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riassunto su Vittorio Alfieri, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto dettagliato su Vittorio Alfieri, che include le opere "Vita" e "Mirra". Esame di Letteratura Italiana

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica riassunto su Vittorio Alfieri e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI I. VITA DI VITTORIO ALFIERI Nato ad Asti nel 1749 da famiglia aristocratica, Vittorio Alfieri riceve un'educazione tradizionale presso l'Accademia Reale di Torino, dove può intrecciare, sin dall'adolescenza, rapporti con giovani rampolli dell'Europa diplomatica e nobiliare del tempo; Entrato nell'esercito nel 1766, tralascia ben presto la vita della carriera militare e diplomatica, per completare la sua formazione con un grand tour durato, con qualche interruzione, fino al 1772. Si ferma in tutte le più importanti città italiane ed europee: da Napoli a Stoccolma a Pietroburgo. Legge i testi dei maggiori illuministi, si innamora dell'Inghilterra sino a prendere lezioni d'inglese, è ricevuto di volta in volta nelle corti dei Paesi visitanti, da Versailles a Vienna; A completare il quadro del giovane Alfieri ci sono gli amori, le relazioni con donne coniugate che suscitano scandalo, come quella londinese con Penelope Pitt sfociata in un duello a Londra con il marito della donna nel 1771; Alfieri frequenta i salotti mondani e quasi tutti i teatri di Londra, Parigi, Lisbona, Madrid: l'esperienza di spettatore costituirà il bagaglio cui potrà attingere nei primi anni della scrittura tragica; Questa si manifesta per la prima volta a Torino, dove Alfieri, appena rientrato, stringe subito legami con molti letterari ritornati, anche loro, nella città; Nella bella casa di piazza San Carlo, Alfieri fonda una società con regole e riti affini a quelli massonici, nei cui passatempi rientra la composizione di testi satirici e libertini con allusioni a figure politiche della corte; Dal 1776, si reca più volte in Toscana; Per essere libero di potersi dedicare alla scrittura, nel 1778 dona alla sorella Giulia i suoi averi in cambio di un vitalizio; La Toscana è un vero laboratorio politico. Stringe importanti amicizie, fra cui quella con l'amico del cuore, Francesco Gori Gandellini, e si lega per tutta la vita a Luisa Stolberg, contessa d'Albany. Stende parte dei trattati Della tirannide, Del principe e delle lettere e le prime tragedie: Filippo, Antigone, Polinice, Agamennone. Compone le antimedicee Congiura de' Pazzi, Don Garzia, Etruria vendicata; Nel 1780 si sposta a Roma per seguire Luisa, e qui mette in scena l'Antigone, legge in molti salotti e nella sua abitazione varie tragedie, entra nell'Arcadia dove declama il Sau/. Roma, città cosmopolita e classicistica, diventa il palcoscenico per l'acquisto della celebrità: quando, tra il 1783 e il 1785, sono stampate a Siena le Tragedie è già salutato come il nuovo Sofocle; Dopo sofferte separazioni, può vivere liberamente con Luisa, rimasta vedova, a Parigi, occupandosi della stampa definitiva presso Didot delle Tragedie e di quella dei trattati e di altre opere (1787-1789); Il salotto parigino della Stolberg è frequentato da letterati e artisti, fra cui Jacques-Louis David; Saluta il 1789 con l'ode Parigi sbastigliato, recandosi con Ippolito Pindemonte a festeggiare la presa; ma si ritrae di fronte alla decapitazione del re, rifugiandosi dal 1792 a Firenze; Qui si dedica alla recita, che lo vede attore, delle sue tragedie, a scrivere le Satire, le Commedie, a tradurre i classici, apprendere il greco, per poi, dopo il 1796, chiudersi in un rifiuto sempre più ostile verso la Rivoluzione, espresso nella violenta satira del Misogallo. Riprende la Vita, iniziata nel 1790, che termina nel 1803, poco prima di spegnersi. Il. LA SCRITTURA DELLE TRAGEDIE Nella scelta della tragedia da parte dell'Alfieri c'è qualcosa di volontaristico: tra i generi tradizionali, quello tragico non aveva ancora trovato in Italia esiti veramente soddisfacenti, che potessero reggere il confronto col teatro classico francese. La tragedia comportava inoltre una comunicazione di tipo nobile, riservata agli animi di forte sentire, e tale da escludere ogni complicità con quel pubblico borghese a cui si rivolgeva tanta nuova letteratura del Settecento; le opposizioni e le tensioni che costituiscono il principio stesso della tragedia, e che devono comunque condurre alla catastrofe finale, si incontravano poi con il carattere conflittuale dell'Alfieri, con quell'impulso a contestare il mondo e la società che egli aveva già avvertito nei suoi viaggi europei e nei suoi rapporti con l'ambiente piemontese; Per Alfieri lo stile non è mai risultato semplice e immediato, ma frutto di un lungo impegno di elaborazione e correzione. Percò egli si crea un metodo a cui resta fedele in tutte le sue tragedie, articolato in tre momenti: ideare, stendere, verseggiare: Il primo momento consiste nel distribuire il soggetto in atti e scene, stabilire e fissare il numero dei personaggi e scrivere un brevissimo riassunto scena per scena; La stesura della tragedia nel suo complesso avviene in un secondo momento e prevede dialoghi in prosa; Nella terza fase i dialoghi vengono trasformati in endecasillabi sciolti, metro affermatosi in vari tentativi tragici del Settecento e assurto ormai al ruolo di metro nobile per eccellenza; sull'ultima di queste fasi, lo scrittore solitamente si sofferma a lungo, alla strenua ricerca dello stille più rispondente alle sue Per questo si comprende meglio la tragedia del Settecento, se la si inquadra nella tendenza a raffigurare l'exemplum virtutis. Di questa tendenza Alfieri è la massima espressione in ambito italiano ed europeo, così come David lo è nelle arti figurative; L'impronta classicistica è visibile anche nel pervasivo linguaggio del giuramento che caratterizza i personaggi tragici alfieriani, riducendo le loro possibilità espressive, rendendole urgenti e assolute. II conflitto spesso si risolve senza indugi in nome della costrizione del giuramento prestato, del suo valore prioritario e primario rispetto ad altri ideali, perfino ai legami di natura (Saul); L'opposizione tra fede data e fede rotta disegna uno scenario in cui si contrappongono personaggi positivi e negativi, forti e deboli, eroi di libertà e tiranni. Oltre i cattivi, tali perchè traditori e spergiuri, c'è l'eroe del male che ad apertura scenica pronuncia un giuramento di vendetta non dissimile, nella sua costruzione retorica, da quello dei buoni (Agamennone); Nel Filippo si assiste al giuramento amicale: il primo atto è suggellato dal vincolo fra Perez e Carlo. L'amicizia stringe i due campioni di virtù e li stacca dalla fallace turba servile che alberga nella reggia di Filippo. Perez sarà trucidato perchè osa difendere Carlo, durante il processo sommario voluto dal re, dalle false accuse di sovversione, tentato parricidio, eresia; Il giuramento racchiude non solo il destino del singolo, ma anche quello di un popolo, come il grandioso giuramento corale che fonda la nascente Repubblica romana, cui Alfieri consacrerà il Bruto primo dedicato a George Washington (parallelismo tra un eroe antico e uno moderno); Il tema del giuramento era in gran voga soprattutto nelle arti figurative e proprio quando Alfieri si trovava a Parigi venne esposta al Salon del Louvre la tela "// giuramento di Bruto" di Jacques-Antoine Beaufort. | contemporanei avevano accostato la tela a una scena del Julius Caesar di Shakespeare (letta da Alfieri); L'influenza shakespeariana è ben visibile, in effetti, sin dalla reietta Cleopatra, in cui la donna, dominata dall'ambizione del regno, giura ad Antonio il suo ambiguo e menzognero amore, per poi trucidarsi con il pugnale, come nei cruenti scioglimenti del tragico inglese; Fra le quattordici tragedie stampate a Siena, non c'è tragedia la cui azione non ruoti attorno a questo straordinario ritorno della parola del giuramento: in particolare la Virginia, ambientata nella Roma repubblicana, offre la gamma più ampia dell'innesto nella modernità di un rituale arcaico del giuramento, poi regolato dalle leggi. La vicenda di Virginia racchiude più giuramenti, da quello eroico di Icilio, che giura vendetta, a quello rivolto al popolo per attestare la nascita non servile di Virginia; Le eleganti pagine dell'edizione Didot delle Tragedie rilanciano la parola del giuramento: si va dalle attestazioni dei figli ai padri (Mirra, Don Garzia) allo scambio delle destre che vincola all'esecuzione di un piano (Congiura de' Pazzi, Bruto secondo), in cui il complotto è raffigurato dalla parte dell'eroe che cospira; A Parigi, in quegli anni, David esponeva le sue tele sul giuramento, fra cui quella celeberrima del Giuramento degli Orazi. V. TRAGICO VERO/VERO SUBLIME Quando Alfieri analizza le sue tragedie nel Parere pubblicato nell'edizione Didot, distingue due linee: l'una di maggior efficacia drammatica, perchè il conflitto nasce all'interno dell'universo parentale (tragedia calda); l'altra più nobile e rischiosa, nella resa scenica, perchè lo scontro è di carattere politico (tragedia fredda); Lo stile dell'Alfieri tragico, alieno dalla dolcezza e dall'eleganza comunemente intesa - per cui l'autore rimandava alla sua produzione di sonetti in stile petrarchesco, poi raccolti nelle Rime -, si sposa con una velocità senza eguali alla corsa verso la catastrofe dell'eroe; | suoi eroi corrono dunque verso la catastrofe: una catastrofe che rinuncia alla narrazione per l'azione e la visione. E come rapido è il ritmo dell'azione, rapidissimo sarà il colpo, mentre il finale, fatto di pochi, pochissimi versi franti e sospesi, corrisponde perfettamente al taglio della spada; Rottura con il topos teatrale della dolce morte. Sin dal teatro greco, lo scioglimento era considerato la sequenza tragica di maggior rilievo. Attorno alla catastrofe tragica ruota, infatti, un sistema di regole e di convenzioni teatrali. La proibizione della vista a teatro attraversa, sin dalla civiltà greca e latina, la stessa storia dell'Occidente. Rispetto a tale tradizione, Alfieri è artefice della frattura che si realizza tra gli anni Settanta e Novanta del Settecento; Il suicidio era più tollerato sulla scena rispetto alle altre forme di morte violenta, soprattutto se, per darsi la morte, l'eroe o l'eroina adoperavano il veleno. Alfieri si distacca subito dalla tradizione, con "suicidi visivi" che si susseguono in molte tragedie (Filippo, Antigone, Virginia, Congiura de' Pazzi, Saul, Sofonisba, Mirra etc...); Nella Mirra l'interdetto dell'incesto è talmente interiorizzato da provocare la morte dell'eroina nello stesso istante in cui nomina, senza volerlo, Ciniro, cioè il nome del padre (orrore emanato dalla vista dell'eroina morente); Nel Saul uno straordinario soliloquio precede il colpo finale. La scena si chiude mentre irrompono, in contrasto con la solitudine del trafitto Saul, "in folla i Filistei vittoriosi con fiaccole incendiarie e brandi insanguinati"; Le due poetiche del "tragico vero" e del "vero sublime" si manifestano anche nella confezione degli scioglimenti, che si snodano attraverso la morte violenta inflitta a un personaggio da un altro soggetto. Qui le tragedie di Alfieri prevedono tutta la possibile casistica: il fratricidio (Polinice, Timoleone, Don Garzia), l'uccisione del figlio (Virginia, Bruto secondo), il matricidio (Oreste), il parricidio e il tirannicidio (Agamennone, Merope, Congiura de' Pazzi, Bruto secondo); Ogni catastrofe rivela una struttura diversa; Nel Parere, rispondendo alle forti riserve avanzate in privato da Melchiorre Cesarotti, Alfieri definisce le caratteristiche strutturali della drammaturgia della congiura: il soggetto è storico, i conflitti sono politici, i personaggi si identificano nelle loro posizioni ideologiche, l'azione è l'esecuzione di un piano, gli atti si riducono a due, la catastrofe è sottoposta a maggiore censura, coincidendo con il tirannicidio; Il tirannicidio avrà un esito spettacolare nel Bruto secondo, in cui diventa espressione della più alta e sacra virtù politica. La differenza con la Mort de Cèsar di Voltaire è veramente significativa: lì la congiura si svolge dietro la scena ed è udita dallo spettatore, qui esplode sulla scena; lì Bruto non compare più dopo la congiura, qui risplende nel ruolo eroico di congiurato, di parricida e di tirannicida; il parricidio del Bruto secondo, elevato a straordinario tirannicidio, restituiva alla scena tragica la radicalità di una parola e di una vista senza interdizioni. VI. IL PRINCIPE E IL LETTERATO Stampati nel 1789, i due trattati Della tirannide e Del principe e delle lettere, non vedranno la luce, sepolti nei magazzini della stamperia di Kehl; | due trattati hanno una data fittizia, come altre opere ritenute pericolose dall'autore; L'Essai sur le dispotisme di Mirabeau aveva in comune con i trattati di Alfieri la convinzione che il dispotismo o la tirannide riguardassero quasi tutti i governi delle nazioni a loro contemporanei. Se Mirabeau considera persino l'Inghilterra uno Stato dispotico, Alfieri, invece, la esclude dalla tirannide e la affianca al popolo romano che, cacciati i Tarquini, aveva fondato la Repubblica; Su tanti altri punti, soprattutto sull'accento posto sulla paura, sull'ignoranza dei propri diritti da parte dei sudditi, sul denaro come causa prima della corruzione e del silenzio di cortigiani e consiglieri, il Della tirannide mostra molte affinità con l'opera di Mirabeau, che viene rieccheggiata anche in Del principe e delle lettere; Qui si delinea lo scenario di un'unificazione dei piccoli Stati italiani, dapprima, sotto due soli principi, poi, eliminato quello della Chiesa, in uno unico e potentissimo che almeno avrebbe fatto acquistare agli Italiani la coscienza di essere un solo popolo. Certamente, in seguito, il grande Stato sarebbe stato rovesciato e si sarebbe formata una grande Repubblica, come accaduto nell'antica Roma, di cui l'Italia era ritenuta erede: questa la conclusione dell'intero trattato; Oltre all'opera di Mirabeau, c'è un altro testo che Alfieri conosceva: Letterato buon cittadino di Luigi Gonzaga. Ciò che colpisce il lettore di oggi è lo straordinario ruolo affidato, in questi testi, alla poesia e ai letterati, quello cioè di interloquire con il potere, ritenendo i letterati in grado di modificare il corso politico degli Stati e, addirittura, della stessa umanità. Il tutto attraverso la grande letteratura che, unitasi alla filosofia, insegnava verità utili e in primo luogo la virtù, coincidente con la giustizia per Mirabeau, con la gloria al servizio dell'uomo per Alfieri; scontro e nel conflitto realizzano la loro identità. La personalità di Antigone si delinea anche per contrasto con quella di Argia, mentre a Creonte fa da controcanto il figlio, raziocinante e animato da sentimenti generosi. A parte vanno considerate le cosiddette tragedie di libertà, ambientate tutt'e tre su scenari diversi: dalla Grecia eroica del Timoleone (Plutarco), alla Roma repubblicana della Virginia (Livio), per arrivare alla grigia Firenze medicea della Congiura de' Pazzi (Machiavelli); "VIRGINIA": L'idea di una tragedia su un episodio eroico della storia romana fu suggerita ad Alfieri dalla lettura di Tito Livio. La leggenda di Virginia è legata alle lotte tra patrizi e plebei: Appio Claudio, che aveva instaurato un potere personale arbitrario, era innamorato di una fanciulla plebea, Virginia, figlia di Virginio e promessa sposa al valoroso Icinio. Dopo aver cercato invano di sedurre la fanciulla, Appio aveva ordinato a un suo complice di impossessarsi di lei, con il pretesto che Virginia era in realtà una schiava di sua proprietà e non la vera figlia di Virginio. Per sottrarla alla vergogna di dover ubbidire ai desideri del tiranno e per affermare il valore fondamentale della libertà di fronte al popolo di Roma, Virginio uccide la figlia. Alfieri si attiene alla trama storica, ma insiste soprattutto, rispetto ai motivi sentimentali, sul significato politico della vicenda e sulla contrapposizione tra tirannia e libertà. La Virginia fu rappresentata varie volte nel corso del triennio rivoluzionario (1796-1799), quando le gesta degli antichi romani divennero modelli di eroismo civico e di fede repubblicana per i giacobini italiani. Centrate su figure femminili sono le altre due tragedie di tema classico, l'Ottavia e la Merope; "SAUL": Ideata e versificata in pochi mesi nel 1782. Tema biblico. Incentrata sulla figura del re ribelle alla volontà di Dio. Gli aspetti tirannici di questa figura si esprimono attraverso l'esplosione assoluta di un io che rifiuta ogni limite, che vuole imporre se stesso su tutto l'universo, ma che nello stesso tempo è insidiato da una serie di ostacoli esterni e di turbamenti interiori che lo conducono all'esito tragico. David, immagine della bontà e della giustizia, benedetto dal favore divino, toglie spazio e respiro alla volontà di potenza di Saul, e insieme gli rivela l'ira di Dio, il limite insuperabile imposto da Dio al suo essere di personaggio. Gli affetti familiari trattengono a lungo la furia di Saul, che si afferma in pieno come una scelta di solitudine: con alcune decisioni tiranniche egli si allontana da tutti gli altri personaggi. Confronto definitivo di Saul con la morte. Alla vigilia di una battaglia decisiva contro i Filistei, David vuole combattere a fianco del suo popolo, sfidando la condanna all'esilio pronunciata contro di lui da Saul stesso, animato da sentimenti contrastanti verso il genero, che ammira e rifiuta al tempo stesso. Saul risulta fin dall'inizio un personaggio contorto, animato da impulsi autodistruttivi, che lo spingono ad un continuo e ossessivo interrogarsi. L'attività tragica di Alfieri si chiude con il gruppo di opere scritte tra il 1784 e l'88, che sembrano avvicinarsi parzialmente al gusto neoclassico: Agide, Sofonisba, Bruto primo, Bruto secondo; "MIRRA": Ideata nel 1784, versificata nel 1786. La vicenda si incentra sull'amore incestuoso di Mirra per il padre Ciniro, re di Cipro, narrata da Ovidio nelle Metamorfosi; ma Alfieri pone il nucleo drammatico nel silenzio di Mirra, nel suo rifiuto di confessare, perfino a se stessa, la vera ragione del turbamento che la possiede, che le fa rifiutare le nozze con il bello e valoroso Perèo, che le fa desiderare la fuga dalla casa familiare o la morte. Senza nulla di eroico o di violento, Mirra non deve scontrarsi con l'ingiustizia e la prepotenza tirannica, ma solo con il male che sorge dal suo io più interno, profondo, indecifrabile. L'autorità regale e familiare si presenta in questa tragedia priva di qualsiasi carattere negativo: i genitori si preoccupano dell'infelicità della figlia con la cura e la dolcezza di moderni genitori borghesi, disposti a perdonare. Il lento rivelarsi del motivo del dolore si esprime nei gesti e nel silenzio, non nelle parole e nei dialoghi, che cercano in tutti i modi una soluzione diversa, un possibile scioglimento felice: solo nell'ultimo atto, Mirra arriva a rivelare al padre il proprio segreto. E' una confessione d'amore che provoca subito la fine di ogni affetto per la fanciulla, che, con un fulmineo gesto suicida, muore in desolata solitudine, mentre i genitori si allontanano alla fine inorriditi. L'azione è ridotta al minimo; vero protagonista della tragedia è il dolore inconsolabile di Mirra reso più impenetrabile dal mistero che fino alla fine lo circonda. LE RIME La sua fotissima vocazione autobiografica, trova nelle Rime (pubblicate in due edizioni: una nel 1789, e la seconda, postuma, nel 1804) e nella Vita i due momenti più espliciti, quasi tra loro complementari; La scrittura delle Rime, soprattutto sonetti, accompagna tutta la carriera letteraria dell'astigiano, come una sorta di "diario"; i componimenti, infatti, recano sempre una data, che segnala il loro legame con occasioni concrete; Rifiutando gli stanchi svolgimenti del petrarchismo settecentesco, egli intende risalire direttamente alla fonte, all'"alto e forte sentire ed esprimersi" del grande trecentista; A quelle forme stilistiche, linguistiche e tematiche fissate dalla tradizione, Alfieri sovrappone la propria inquietudine più brusca e aggressiva, che ingrandisce a dismisura le dimensioni del suo io. Ne risulta un petrarchismo estremizzato; nei momenti stessi in cui appare sconvolto dalla passione e minato da un intimo dissidio, il poeta si sofferma a guardare la poeticità dei propri gesti, fissandosi in pose lapidarie di poeta-eroe; Tutte le occasioni servono a creare pretesti perchè l'autore possa sentirsi poeta, immagine assoluta dell'uomo libero, spregiatore del presente. Linguaggio antimusicale. Ritmo spezzato. Tema amoroso. Motivo politico. Nostalgia del passato. Ritratto idealizzato: letterato-eroe, uomo in cui domina il sentimento. Tematica pessimistica. Amore per una natura simile a sè. Paesaggi selvaggi e orridi. Motivo romantico; "SUBLIME SPECCHIO DI VERACI DETTI": Il sonetto, datato 9 giugno 1789, è un autoritratto fisico e psicologico volto a evidenziare i tratti eccezionali della personalità del poeta che si riflettono anche sul suo atteggiamento esteriore. L'enumerazione delle caratteristiche fisiche, compresa nelle quartine, si conclude con un verso, in cui il dato fisico (pallido in volto) rinvia a una raffigurazione solenne (più che un re sul trono). Nelle terzine il ritratto morale si svolge con un andamento oppositivo, che si conclude nell'interrogativa finale (vom, sè tu grande, o vil?). Il ritratto di sè enfatico, eroico, quasi statuario, si fissa in alcuni tratti eloquenti: la posizione curva, malinconica; il pallore solenne che contrasta con il rosso dei capelli; il rifiuto di accettare compromessi, indice di un carattere appassionato. Ritmo incalzante. La poesia fu imitata da Foscolo. "TACITO ORROR DI SOLITARIA SELVA": Motivo ispiratore di questo sonetto ricco di echi petrarcheschi, e composto in Alsazia nel 1786, è la "dolce tristezza" che il poeta prova quando rifugge la compagnia degli uomini e si immerge nel "tacito orror" di un bosco solitario e selvaggio. Al centro delle quartine è il paesaggio cupo e tenebroso nel quale si rispecchia lo stato d'animo dell'autore; nelle terzine lo scenario naturale scompare momentaneamente e il poeta riflette direttamente sui motivi (il rifiuto politico del mondo contemporaneo) che lo spingono a ricercare la solitudine; nell'ultimo verso, sull'immagine letteraria della "selva" prevale l'immagine più efficace e incisiva del "deserto". La situazione petrarchesca dell'inizio del sonetto lascia presagire una condizione di sofferenza universale; ma il discorso assume poi, nelle terzine, una maggiore connotazione storica e contingente, nel riferimento alla realtà contemporanea, al vi/ secolo, disprezzato dall'autore. Prevale insomma, rispetto al modello petrarchesco, tendente a trasfigurare la singola esperienza in una condizione emblematica, il desiderio di una riflessione polemica sul presente, legata a una situazione concreta. La lingua è solenne e ricca di reminiscenze letterarie soprattutto nelle quartine, e diventa più diretta nelle terzine. L'AUTOBIOGRAFIA Fin dagli anni Settanta, Alfieri è inserito in una fitta rete che gli consente di esportare in Europa idee, testi, sè stesso come personaggio e, poi, come grande tragico; Se si trascurano le poche carte della giovinezza, cioè i primi appunti di un diario intimo, l'idea di scrivere la propria vita, nasce nel cuore dell'Europa nel fatidico 1789. A Parigi, due anni prima, era andato a far visita al grande riformatore della commedia, a quel Carlo Goldoni che si accingeva a pubblicare le sue Memorie (1787). Oltre a Goldoni, i grandi accanto a lui si immortalavano nelle Memori come Giacomo Casanova o nelle Confessioni come Jean-Jacques Rousseau; La grande diffusione del genere autobiografico nel Settecento spinse così l'Alfieri a raccontare direttamente la propria vita, sotto il titolo Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso. Nel 1790, avvolte le carte con cura e sigillate, Alfieri le destinava a essere continuate all'età di sessant'anni; invece, quasi presagisse la fine, riapre il plico a Firenze, corregge, interviene, aggiunge la narrazione degli anni mancanti, dal 1790 al 1803, e chiude la Vita, pubblicata postuma nel 1806, poco prima di spegnersi; La Vita è l'esito di più spinte. Il vuoto - chiamato in causa una prima volto dopo gli anni impegnati a stampare le opere a Parigi - lo riassale a Firenze. Il Proemietto che segnala la ripresa, cioè la Continuazione dell'epoca quarta, rivela il ripetersi della medesima condizione. Ultimate le Commedie, le Satire, varie traduzioni e // misogallo, Alfieri sente che ha "finito di fare". La fine della seconda parte, la fine ultima, scritta nel 1803, pochi mesi prima di morire, contiene al suo interno una testimonianza di morte che è una sorta di tentativo di costruire un finale che cerca di travalicare i limiti di incompiutezza imposti dallo stesso genere autobiografico; Si conclude con la creazione di un monumento alla letteratura e quindi al poeta stesso che è la creazione dell'ordine dei poeti di Omero, un ordine che non solo Alfieri fonda ma che correda anche di un oggetto simbolico, una collana che comprende, tra i suoi medaglioni, tutti gli autori sommi nel canone alfieriano; La seconda parte e l'ultima fine che la conclude hanno quindi una doppia condizione postuma: rispetto al racconto, poichè riaprono un discorso concluso e in secondo luogo sono postume rispetto al tempo effettivo perchè parlano della morte dell'autore, sono proiettate in un futuro di declino prossimo alla fine concreta dell'esistenza; Come se Alfieri, artefice dell'immagine postuma della propria esistenza, avesse voluto padroneggiare anche ciò che non può essere raccontato, cioè la morte dell'autore, in una sorta di delirio di controllo della scrittura sulla vita; Questo anelito a una chiusura che in realtà non si può realizzare si riflette anche nei continui annunci di riapertura del discorso: Alfieri ipoteca anche la scrittura futura e annuncia una quinta epoca che è quasi sicuro di non scrivere ma della quale anticipa comunque i contenuti; E non è un caso che si sia affermata, ad opera delle persone più vicine ad Alfieri stesso, i suoi eredi intellettuali e morali, l'abate Caluso e Luisa d'Albany, la consuetudine di divulgare, fin dalla prima edizione fiorentina del 1806, la Vita assieme alla lettera di Caluso scritta a compimento della narrazione lasciata imperfetta dall'amico, in cui viene raccontata la vera morte dell'autore, quasi un suggello per sottrarre alle contingenze della casualità anche ciò che per definizione non può essere raccontato in un'autobiografia; Fissando il suo nome accanto a quello dei sommi poeti già resi eterni da una gloria ppstuma, egli si autoconferiva insomma una condizione di esistenza oltre la morte, in linea con quanto più volte ribadito nella Vita sull'importanza della gloria eterna; Ciò che risulta sfasato in questa costruzione di una condizione postuma compiuta e assoluta che si fonda, oltre che sulla costruzione letteraria complessiva, su puntelli concreti, è lo sguardo ironico che l'autore posa su questi suoi tentativi, soprattutto alla fine, coinvolgendo l'ipotetico lettore, con il quale lo scrittore intensifica alla fine un dialogo, in una sorta di risata conclusiva, dissacrante e liberatoria; L'ironia presente in tutto il testo corregge la perfezione artefatta della maschera, l'immagine fittizia di sè che l'autore vuole offrire a un lettore che si materializza alla fine; Il lettore viene invitato a ridere con l'autore degli stessi stratagemmi inventati da Alfieri per consegnarsi alla posterità con un bagaglio glorioso e la natura liberatoria del modo comico finisce per offuscare la maschera ideale che l'autore cerca di costruire, dando all'intera narrazione uno statuto più realistico e concreto; Condizione essenziale della scrittura autobiografica è quella che Starobinski chiama "un ècart d'identitè", una sfasatura cioè tra personaggio ideale raccontato e l'autore che aspira a diventare tale personaggio, ma che non cioncide mai totalmente con esso. Tale scarto si alimenta del tempo che intercorre tra i fatti nattati nella loro successione cronologica e il momento della scrittura, nel quale intervengono fattori di cambiamento e trasformazione dell'io. Nella Vita questo scarto è ulteriormente accentuato dalla cesura della fine della terza epoca; (pagina 120) Un'ironia quasi già romantica quella di Alfieri, che si potrebbe definire consapevolezza, ancora sfumata e quasi assopita con i palliativi di gloria, scrittura, eternità letteraria, della contraddizione dell'esistenza umana; Per Alfieri la scrittura autobiografica è lo svelamento degli stratagemmi inventati, o meglio delle maschere indossate, per cercare di costruirsi un destino postumo. INTRODUZIONE: Alfieri spiega le ragioni per la scrittura dell'opera. Dichiara di non voler addurre scuse di falsa modestia, e che ogni biografia è scritta per amor proprio, qualità della quale sono forniti tutti gli uomini ed in particolare poeti, e artisti in generale. Alfieri dichiara di scrivere peri "pochi estimatori della sua opera", sapendo che le sue opere prima o poi verranno pubblicate precedute da una biografia, di cui, però, preferisce essere il diretto autore. La biografia sarà organizzata in cinque parti, corrispondenti alle cinque fasi della vita, anche se sappiamo che l'ultima parte, quella relativa alla vecchiaia non verrà mai realizzata. Altra particolarità è il fatto di parlare esclusivamente di se stesso, nominando altre persone esclusivamente in eventualità positive: scopo della biografia è, infatti, lo studio di un uomo, e l'autobiografia è il caso più lodevole di biografia in quanto nessuno meglio dell'autore può conoscere se stesso. L'introduzione è chiusa da una dichiarazione stilistica: la scrittura sarà semplice, in quanto l'argomento trattato è personale e istintivo, al contrario di altre opere; EPOCA PRIMA- PUERIZIA. CAPITOLO I: Alfieri racconta brevemente della sua famiglia. La madre aveva avuto figli da un primo marito, e dopo che era rimasta orfana per la seconda volta (a causa della morte del padre di Alfieri, quando quest'ultimo aveva appena un anno), si era risposata di nuovo. Alfieri riflette sulla fortuna di essere nato da genitori nobili (percgè così può conoscere davvero, e dunque criticare, la nobiltà), agiati (perchè in questo modo può servire solo la verità, e non avere altri padroni) e onesti (perchè così non deve vergognarsi di essere nobile). Alfieri dichiara inoltre di avere quarantuno anni quando scrive l'autobiografia; CAPITOLO Il: Alfieri inizia il capitolo con un ricordo alla Proust, scritto, dice lui stesso, solo in funzione di rendere noto il funzionamento dei ricordi: uno zio che gli dà dei confetti e di cui lui ricorda solo le scarpe squadrate. Proprio la vista di scarpe simili a quelle dello zio fa tornare in mente a Vittorio il sapore dei confetti. Il secondo ricordo della prima infanzia è legato a una forte malattia che lo ha quasi ucciso. Riflessione sulla sorella Giulia e sulla sua separazione da essa. Digressione sul fatto che le separazioni da tutte le persone amate danno la stessa sofferenza, in quanto l'amore parte sempre alla stessa maniera. Alfieri riceve la sua istruzione a casa, da un sacerdote; . CAPITOLO III: Alfieri descrive l'accadimento di alcuni piccoli avvenimenti, che saranno però decisivi per la formazione del suo carattere. V. CAPITOLO IV: Altri piccoli episodi decisivi per la formazione del carattere di Alfieri. Vi è in particolare un castigo che egli ricorda con terrore, ovvero l'essere stato costretto a recarsi in chiesa con la reticella da notte in capo. Vi sono poi altri due episodi molto significativi: incontro con la nonna materna, venuta da Torino; racconto della prima confessione; VI. CAPITOLO V: Ultimo avvenimento legato all'infanzia, mentre in casa sua si trova anche il fratello maggiore, figlio di primo letto di sua madre. | sentimenti discordanti che prova per il fratellastro sono motivo della riflessione secondo cui due sentimenti umani, spesso diversi, possano essere dovuti alla stessa situazione iniziale. Primo esempio di vanità dell'Alfieri. L'autore, per decisione dello zio paterno, che è anche suo tutore economico, viene mandato a Torino per frequentare l'Accademia. La sezione dell'opera dedicata all'infanzia si chiude con una riflessione sul fatto che chi la trovasse inutile si dovrebbe ricordare che ogni adulto altro non è che la continuazione di un bambino; VII. EPOCA SECONDA-ADOLESCENZA. CAPITOLO I: Descrizione dell'Accademia di Torino; VIII.CAPITOLO Il: Primi due anni all'Accademia. Fatto riguardante un'opera di Ariosto; IX. CAPITOLO III: Descrizione dei parenti che Alfieri ha a Torino. Riflessione sulla lingua italiana e francese; X. CAPITOLO IV: L'autore ribadisce ancora una volta, dopo averlo affermato anche in precedenti capitoli, che gli anni in Accademia sono stati inutili per la sua formazione. Critica alla tecnica narrativa dell'Ariosto. Descrizione degli altri libri letti nella gioventù: alcune storie dell'Eneide, alcune opere di Goldoni, e altri brevi testi. Il capitolo si chiude con la descrizione della Scuola di geometria e filosofia, quella che si fa all'esterno dell'Accademia, all'Università; XI. CAPITOLO V: Descrizione delle prime esperienze di Alfieri con il teatro comico e con la poesia (scritta da lui in onore di una dama di cui suo zio era invaghito); XII. CAPITOLO VI: Spiegazione delle motivazioni che lo hanno portato in seguito a detestare così tanto i francesi; XIII. CAPITOLO X: Alfieri decide di intraprendere un primo viaggio a Roma e a Napoli. Ha soli diciassette anni, e fino ad allora è il viaggio più lungo intrapreso. Per questo, per poter partire deve riuscire a ingannare suo cognato, il marito di sua sorella Giulia, presso la quale vive. Intraprende il viaggio con tre amici dell'Accademia, un inglese, un belga, un olandese. Con la partenza verso questo viaggio si conclude la sezione dedicata all'adolescenza, che Alfieri riconosce totalmente inutile in quanto dedita principalmente all'ozio e all'ignoranza; XIV.EPOCA TERZA-GIOVINEZZA. CAPITOLO I: La prima tappa del viaggio è Milano. Parma e Mantova, visitate solo di sfuggita. La prima lunga tappa è a Firenze; Alfieri si vergogna perchè, nonostante sia nella patria del toscano, preferisce imparare la lingua inglese. Brevi tappe a Lucca, Pisa, e Livorno: quest'ultima è la città che più piace all'autore, sia per la somiglianza con Torino, sia per il mare. Lungo soggiorno a Roma, città di cui Alfieri apprezza molto poco, ad eccezione di alcuni elementi l'avvicinamento alla perfetta lingua italiana è un viaggio in Toscana: Pisa e Firenze. Il soggiorno a Firenze gli servirà anche per elaborare e sistemare alcune delle sue opere già abbozzate o scritte, tra cui il Filippo, scritto inizialmente in francese e poi tradotto in italiano. Alfieri stende inoltre l'idea per un'altra opera completamente nuova, l'Antigone. Scrivendo, capisce che leggere opere di altri autori sullo stesso tema che egli vorrebbe trattare, può rivelarsi una mossa poco felice, in quanto porterà anche involontariamente a copiare l'autore originario. Per questo, Alfieri racconta di aver rinunciato a leggere le opere di Shakespeare. L'ultima parte di questo capitolo racconta di come è venuto a conoscenza della storia che è in seguito diventata una delle tragedie medicee: il Don Garzia; XXVIII.CAPITOLO IV: Dopo un breve soggiorno a Torino, Alfieri decide di intraprendere un secondo viaggio in Toscana, immaginando che l'alloggio in questa regione sarà molto più lungo del precedente. Siena. Qui farà l'amicizia di un altro importante personaggio: il mercante Gori Gandellini, uomo colto che ha il merito di stimolare Alfieri al miglioramento delle sue competenze letterarie. Machiavelli. Stesura del trattato Della tirannide. Si tratta di una stesura molto repentina, e quando sarà il momento di pubblicare l'opera, Alfieri dichiara di aver poco cambiato di quella sua prima forma: egli sa che l'opera corretta dalla saggezza dell'età non avrebbe avuto lo stesso spirito. Alfieri spiega poi un aspetto importante del suo lavoro, ovvero il metodo di stesura delle sue opere; XXIX.CAPITOLO V: Alfieri racconta di aver steso le tragedia Virginia e Oreste. L'evento importante di questo capitolo riguarda un suo soggiorno a Firenze, durante il quale fa la conoscenza di quella che diventerà la donna della sua vita: Luisa Stolberg, maritata con il conte d'Albany (pretendente al trono d'Inghilterra). Flash forward; XXX.CAPITOLO VI: Racconto dell'anno 1778. Alfieri rinuncia a tutte le sue proprietà e le dona alla contessa Giulia e a suo cognato, il conte di Cumiana. Vende inoltre tutto ciò che possiede a Torino. Per completare la sua liberazione, egli rinuncia agli abiti militari, che ammette abbia sempre portato più per vanità che per vera fedeltà al re di Savoia; XXXI.CAPITOLO VII: Alfieri si dedica alla scrittura quasi a tempo pieno, alla stesura di poemi e soprattutto tragedia (tra cui La congiura de' Pazzi e poi il Don Garzia), a cui alterna momenti in cui si dedica alla poesia per omaggiare la sua donna. Trova anche il modo di elaborare un altro testo di tipo riflessivo, Del Principe e delle Lettere. La relazione con la donna però è resa difficile dal fatto che lei sia ancora sposata, ed è quindi costretta a vivere con il marito. Il suo animo è quindi consolato dalla presenza presso di lui di alcuni amici; XXXII.CAPITOLO IX: Capitolo dedicato interamente al lavoro letterario, in quanto la sua amata è stata costretta a spostarsi in un convento a Roma, dopo le inconvenienze avute con il marito. In breve tempo Alfieri si trova con un totale di quattordici tragedie scritte: le ultime due opere a entrare a far parte del suo corredo sono la Merope e il Saul (di ispirazione biblica). Alfieri racconta poi di quale fosse il suo metodo per capire se le sue opere sarebbero state apprezzate (egli confessa di capirlo in base al "sedere" del suo pubblico); XXXIII.CAPITOLO X: Messa in scena dell'Antigone da un gruppo di nobili appassionati di teatro e l'autore stesso in una delle parti. Messa in stampa di quattro opere. Incontro con il Papa. Partenza da Roma. Per ingannare il tempo Alfieri compie un viaggio nel nord della penisola. Siena, Vercelli, piccola incursione a Torino, e visita a due letterati suoi contemporanei, ovvero il Parini a Milano e a Padona il Cesarotti, famoso per aver tradotto in italiano l'Ossian. Questo viaggio di Alfieri si conclude a Venezia; XXXIV.CAPITOLO XI: Messa in stampa di altre tragedie, per un totale di sei. Questa volta è Alfieri in persona ad occuparsi della revisione e della discussione con i censori, impicci di cui per la prima edizione si era occupato l'amico. Lo stress causato dal lavoro e dalla discussione con i revisori gli causa anche un ennesimo periodo di malattia. Critica positiva del Casa/bigi. Alfieri decide di trascorrere l'inverno in Francia e Inghilterra; XXXV.CAPITOLO XIII: Al Carignano Alfieri assiste a una brutta versione della sua Virginia. E' il pretesto per una dura critica all'Italia e all'assenza di un vero movimento teatrale nazionale: mancano bravi attori, autori competenti e un pubblico attento; XXXVI.CAPITOLO XIV: Ricongiungimento in Germania con l'amata, occasione per scrivere tre nuove tragedie, nonostante Alfieri avesse deciso di non occuparsi più di tali opere. Flash forward. Notizia della morte di Gori; XXXVII.CAPITOLO XVI: Dopo aver scritto diciannove tragedie ed essere ripartito alla volta di Parigi insieme alla donna, Alfieri decide che si dedicherà a un nuovo genere letterario, la satira. XXXVIII.CAPITOLO XVII: Messa in stampa delle sue tragedie presso un editore francese. Alfieri ribadisce in questo capitolo che per lui l'italiano è, per la sua musicalità, l'unica lingua degna di fare poesia, sebbene sa che sia con l'inglese che con il francese otterrebbe la gloria più rapidamente; XXXIX.CAPITOLO XVIII: A Strasburgo, Alfieri decide di stampare tutte le sue opere che non siano tragedie. Morte del marito della Stolberg. A fine 1789 scrive un'ode sulla recente Rivoluzione francese, intitolata Parigi sbastigliata; XL. CAPITOLO XIX: Alfieri vive un periodo difficile e di tensione, in quanto con la Rivoluzione francese vede in pericolo sia i privilegi della sua stessa natura di nobile, sia la sua pensione depositata presso il regno di Francia. Le tragedie vengono distribuite in Italia, dove hanno un certo successo. Siamo nel 1790 e Alfieri ha 41 anni. E' arrivato con la sua autobiografia al presente, e spiega che la riprenderà in mano per rileggerla solo dopo circa quindici anni, o per raccontare dei nuovi generi letterari che in quel momento pensa di sperimentare, o per iniziare una quinta epoca, quella del "rimbambimento”". Lascia poi istruzioni nel caso in cui muoia senza poter continuare e rivedere l'opera. Chiede che essa venga eventualmente rifinita stilisticamente, ma che non vengano nè aggiunti, nè tolti eventi. Quest'opera è infatti l'unica in cui Alfieri ammette di aver scritto non per il suo ingegno, come nelle altre, ma facendo operare prevalentemente il suo cuore; l'opera è più personale, spontanea e quindi anche meno raffinata stilisticamente. XLI. LETTERA DELL'ABATE DI CALUSO: La lettera viene posta in fondo all'opera per completarla con il racconto della morte dell'autore (per motivi ampiamente spiegati). Segue ovviamente la lode all'autore, del quale restano fortunatamente le opere. Citazione di Canova, il quale sta già preparando il monumento funebre dell'autore per la chiesa di Santa Croce a Firenze.
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