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Riassunto Sul pathos della conoscenza di Francesco Cattaneo, Dispense di Estetica

Riassunto del saggio Sul pathos della conoscenza di Francesco Cattaneo, utile per la preparazione all'esame di estetica e culture del novecento

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 29/06/2024

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Scarica Riassunto Sul pathos della conoscenza di Francesco Cattaneo e più Dispense in PDF di Estetica solo su Docsity! SUL PATHOS DELLA CONOSCENZA. NIETZSCHE E LA SAGGEZZA TRAGICA In Nietzsche la conoscenza viene intesa come incorporata, in relazione ai bisogni della vita. Il divenire favola del mondo vero apre la strada per una diversa esperienza della verità. Il pathos apporta sapere perché in esso scopriamo il nostro essere esposti: la sovrabbondanza dei fenomeni ci incalza. 1. Pathos e corporeità Seguendo la critica alla metafisica di Nietzsche possiamo affermare che la conoscenza deve essere un pathos. 110. La forza delle conoscenze non consiste nel loro grado di verità, ma nella loro età, nel loro essere incorporate, nel loro carattere di condizioni per la vita. Sotto questo punto di vista le conoscenze vengono considerate non in base a un astratto grado di verità, cioè in base a come le cose sarebbero in sé, ma sul piano della forza, che viene fatta derivare dall’età delle conoscenze, dal loro essere incorporate nella vita. Nel capitolo La ‘ragione’ nella filosofia del libro Crepuscolo degli idoli di Nietzsche, la parola ragione viene messa tra virgolette per distaccarla ironicamente e segnalare la sostanziale irragionevolezza, facendo notare come la filosofia coincide con la metafisica. Secondo Nietzsche i filosofi/metafisici hanno due idiosincrasie: 1) Mancanza di senso storico – tendono a destoricizzare ogni cosa, pensando di elevarla, ma in realtà significa creare una copia pietrificata della vita, mummificare. La de storicizzazione porta con sé una de vitalizzazione e di conseguenza anche una de realizzazione. I filosofi producono delle astrazioni, delle proiezioni esangui e idolatrando il concetto, uccidendo e impagliando, ma pretendendo di eliminare la morte, eliminano l’intreccio di sorgere e perire a partire da cui si dà la vita stessa. Il metafisico anela a ciò che è [non ho ben capito perché] e trova il colpevole nella sensibilità. I sensi ci ingannano sul mondo vero. Liberiamoci da essi, dal divenire, dalla storia, dalla menzogna – la storia non è altro che fede nei sensi, fede nella menzogna. Via dal corpo, affetto da tutti i possibili errori della logica. Il termine morale in questo passo viene utilizzato in due sensi. Viene impiegata, innanzitutto, per indicare le conclusioni che si possono trarre da determinate premesse: i sensi ci ingannano sul mondo vero, dunque bisogna liberarsi dall’inganno dei sensi. Viene utilizzata poi per rimandare al fondamento della metafisica, dove portare all’estremo la verità discende dalla distinzione radicale tra un bene che va in ogni caso perseguito e un male che va in ogni caso evitato. Il dualismo tra verità e menzogna si rivela uno strumento indispensabile per la costituzione di una società. Questa dualità si impone come un obbligo che deriva dalla metafisica; dunque, la morale è la menzogna più grande perché nasconde il carattere menzognero stesso di ogni pretesa umana alla verità. Liberarsi dall’inganno dei sensi vuol dire liberarsi anche dalla percezione del divenire e del fluire, quindi dalla storia e dal corpo (sede della sensibilità e di ogni distorsione e deformazione del mondo vero). La filosofia si conferma essere un’imitazione della morte, perché è la sola in grado di separare lo spirito immortale dal corpo mortale. Parmenide, secondo Nietzsche, ha incoraggiato la separazione erronea fra spirito e corpo, la quale grava sulla filosofia stessa. La sua filosofia appare come una ragnatela di concetti universali al cui centro c’è il filosofo-ragno, che tenta di catturare il vivente e succhiargli il sangue. L’odio per il sangue della vittima distingue il filosofo dal ragno, e suggerisce la convergenza tra volontà di verità e volontà di morte. 2) Scambiare la volontà di morte con la volontà di verità – per Nietzsche i concetti più universali sono quelli che giungono per ultimi, che poi vengono posti a fondamento della vita medesima. 2. Prospettivismo, nichilismo e ultimo uomo La conoscenza di cui parla Nietzsche non è la conoscenza metafisica, ma la conoscenza del corpo, della sensibilità, del divenire, della storia. Tale conoscenza si dà sempre e solo a partire da determinate condizioni, dunque è situazionale, contestuale, biografica. Nietzsche ha la consapevolezza che il pensiero è sempre legato al percorso esistenziale del pensatore e quindi è sempre incarnato. Il prospettivismo significa che ogni conoscenza dipende dalla prospettiva di chi guarda. Ma se chi guarda è il soggetto e la conoscenza è relativa, allora ne deriva che il prospettivismo è anche un soggettivismo e un relativismo, ovvero una valorizzazione. Interpretando da questo punto di vista, il pathos diventa una peculiarità idiosincratica del sentire di un individuo; dunque, non esiste la verità in sé, ma solo ciò che a ciascuno appare vero secondo il suo angolo visuale. Parafrasando un altro capitolo del Crepuscolo degli idoli, possiamo affermare che il mondo vero finisce per diventare favola e la verità si dissolve in apparenza, in inganno e in menzogna. Se però la verità è abbandonata all’apparenza, ciò implica che la menzogna sia in qualche modo più vera del vero. Ci si libera della verità metafisica in nome e in forza di un’altra verità. Nel prologo di Così parlò Zarathustra viene introdotta la figura dell’ultimo uomo, che ha come carattere distintivo l’incapacità di disprezzarsi. Questo determina un impoverimento dell’esperienza e fa sì che egli rimanga sempre lo stesso e che si conservi per un tempo indeterminato. L’uomo capace, invece, in virtù della sua forza, di tendere al di là di sé è invece quello che perdura meno. L’ultimo uomo si crede intelligente e non ha bisogno di domandare alcunché; poiché non ha domande, non può disprezzarsi e superarsi. L’esperienza dell’ultimo uomo si riduce a vogliuzza (capricci) e intrattenimento. Il soggetto rimane in fondo sempre identico a sé stesso e questo comporta un appiattimento e un’uniformazione. Le esperienze che vive sono in fondo sempre le stesse e la sua felicità è in realtà un’indifferenza nichilistica.
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