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Riassunto sulla vita di Dino Campana e sui suoi Canti Orfici, Appunti di Letteratura

Contiene informazioni trattate da vari manuali di letteratura italiana e da un'edizione dei Canti Orfici

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 10/02/2022

Mariachiaraa23
Mariachiaraa23 🇮🇹

4.2

(5)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto sulla vita di Dino Campana e sui suoi Canti Orfici e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! DINO CAMPANA Dino Campana nasce a Marradi, piccolo borgo vicino a Faenza, nel 1885 da un padre maestro elementare e da una madre anaffettiva e turbata da nevrosi di vario tipo, con cui Dino ha un rapporto complicato e sofferto. Studia al ginnasio del collegio salesiano di Faenza e ottiene la maturità classica a Carmagnola, a Torino. Si iscrive alla facoltà di Chimica a Bologna ma passa a Chimica farmaceutica a Firenze, iniziando a dare prova dell’irrequietezza che caratterizzerà tutta la sua vita. Per quanto la città lo affascini, al punto da rimanere impressa nel suo immaginario poetico, nel 1905 Campana ritorna all’università di Bologna, dove comincia a manifestare i primi problemi psichici. Nel settembre del 1906, in seguito a una crisi, il padre lo fa ricoverare nel manicomio di Imola, da dove esce circa un mese dopo. Negli anni seguenti, Campana si mostra sempre più incline a una tendenza quasi nevrotica al NOMADISMO, che gli impedisce di rimanere per troppo tempo in un posto, provocandogli l’irrefrenabile impulso di spostarsi continuamente. Nel 1907 parte per la Francia, l’anno successivo si imbarca come mozzo per un viaggio verso l’America meridionale. Tornato in Europa su una nave in cui si imbarca clandestinamente, viene arrestato ad Anversa, in Belgio, a causa delle sue intemperanze. Nel 1910, dopo un nuovo ricovero in clinica, compie un pellegrinaggio a piedi al monte Falterona e al santuario della Verna, esperienza di cui parlerà nei Canti orfici. Già dai primi anni universitari prende a coltivare la vocazione poetica e nel 1912 pubblica sulla rivista “Il Papiro” la sua prima poesia, La Chimera. Raccoglie in un Quaderno molti componimenti di grande interesse e comincia a scrivere sistematicamente in versi e in prosa. Nel 1913 si trasferisce all’università di Genova. Si allontana spesso, compiendo alcuni viaggi nel territorio ligure e in Sardegna. Intanto lavora incessantemente alla composizione de Il più lungo giorno finché non consegna il manoscritto a Giovanni Papini e Ardengo Soffici per averne un giudizio in vista di una possibile pubblicazione. Ma Soffici perde il manoscritto nel corso di un trasloco, gettando il poeta in una crisi maniaco-depressiva con manifestazioni violente nei confronti dei due editori, che arriva persino a minacciare di morte. Mentre nutre un odio feroce verso tutta la società letteraria, Campana comincia a ricostruire a memoria il testo dei Canti orfici, che pubblicherà a proprie spese nel 1914, presso la tipografia Ravagli. Con lo scoppio del conflitto mondiale non può arruolarsi poiché viene riformato per problemi mentali e ricoverato nuovamente in una clinica psichiatrica. Nel 1916 conosce Sibilla Aleramo, della quale si innamora follemente e con cui ha una relazione intensa e drammatica, che si conclude già alla fine del 1917. La rottura diventa causa di una nuova crisi depressiva e la donna sarà fonte di un’ossessione che lo perseguiterà per tutta la vita, con allucinazioni e tormenti. Nel 1918 il poeta viene ricoverato nell’ospedale psichiatrico situato nella Villa di Castel Pulci. Nel 1928 esce una nuova edizione dei Canti Orfici curata dall’amico Bino Binazzi, che recupera anche i testi rimasti inediti. In questi anni è seguito dallo psichiatra Carlo Pariani, con il quale parla molto e che riporterà in un libro quanto emerso dai colloqui. Campana tenta di fuggire da Castel Pulci ma, feritosi con il filo spinato, si ammala di setticemia e muore, nel 1932. CANTI ORFICI La versione iniziale dei Canti orfici, quella consegnata a Papini e Soffici, si intitolava Il più lungo giorno, citazione di un verso del primo poemetto che vi è raccolto, La notte, nonché allusione all’idea di una vita vissuta come una lunga unica giornata. Dopo lo sventurato smarrimento del manoscritto, Campana cerca di ricostruire a memoria il testo, avvalendosi di abbozzi e appunti che fortunatamente aveva conservato. Aggiunge testi in prosa e in versi e, ricomposta l’opera, il poeta le assegna il titolo definitivo, Canti Orfici. L’opera esce nel 1914 presso il tipografo Ravagli. Campana ha lavorato ossessivamente a quest’unico libro, che si configura come opera della sua vita. La scrittura del poeta elabora impressioni tratte dalla sua esperienza diretta e realizza una perfetta combinazione di arte e vita. Nel passaggio da Il più lungo giorno ai Canti orfici si assiste a un significativo lavoro di riscrittura e dai 18 componimenti iniziali si arriva ai 29 del testo finale. I testi in comune tra le due redazioni sono 15, perché 3 vengono eliminati e 14 aggiunti. Nel 1928 esce presso l’editore fiorentino Vallecchi una nuova edizione dei Canti orfici, con alcune aggiunte, a cura di Bino Binazzi. Nel manicomio di Castel Pulci dove è recluso, Campana ha modo di vedere il libro e si infastidisce molto per la presenza di numerosi errori e scelte grafiche poco appropriate. Per questo scrive al fratello Manlio auspicando a una nuova versione del libro. Nel 1941 provvede a un’ulteriore edizione curata da Enrico Falqui. Fra le carte di Soffici la moglie ritrova nel 1971 il manoscritto di Campana del 1913 che si credeva perduto e nel 1985 esce la più affidabile versione dei Canti Orfici. L’opera appare strutturata in modo unitario come un unico poema di 29 componimenti suddiviso in 3 sezioni: - La Notte è un poema in prosa diviso in tre parti (La Notte, Il Viaggio e il ritorno, Fine) in cui il poeta mette in scena l’incontro notturno con una donna irraggiungibile e dove l’atmosfera onirica si coniuga al tema erotico. - nella sezione Notturni sono riuniti i componimenti poetici maggiori dedicati al tema della notte - La Verna e Varie e Frammenti riuniscono i testi relativi al tema del viaggio. Versi e prosa si alternano, senza per questo compromettere l’unità della raccolta, che è garantita da legami molto forti, sia tematici sia stilistici, tra la fine di una sezione e l’inizio della successiva. Le parti in prosa presentano significativi aspetti lirici. Il libro si presenta come un viaggio, dalla Faenza dell’adolescenza al Mediterraneo genovese della maturità, che simboleggia l’evoluzione dallo scenario infernale della Notte alla luce della liberazione finale in Genova. Il titolo Canti orfici rimanda alle teorie esposte da Eduard Schurè e da Nietzsche, che in Orfeo recuperano il mito dionisiaco. Il richiamo al personaggio di Orfeo allude anche al ritorno all’origine della poesia, alla ricerca di una purezza ideale di cui egli è il simbolo anche per la sua capacità di muoversi tra mondo umano e ultraterreno, tra razionale e irrazionale, con il suo viaggio negli inferi per riprendersi l’amata Euridice. L’aggettivo “orfico” evoca una componente di mistero, anch’essa riscontrabile nella poesia di Campana. Nel mito di Orfeo il poeta ritrova temi con i quali si identifica direttamente: il potere della poesia, la sfortunata ricerca della donna amata, il tema della discesa agli inferi e del ritorno alla vita. Al centro della poesia c’è la memoria, intesa sia come ricordo personale sia come rapporto del presente con il mito. Spesso il punto di partenza è il dato autobiografico, ma i riferimenti svaniscono in favore di situazioni indefinite e di una generale trasfigurazione che fa perdere alle cose la loro collocazione spazio-temporale. Anche il tema del viaggio ha un ruolo centrale e acquisisce identità differenti: dal pellegrino spirituale (La Verna) al vagabondare, passando per il viaggio mentale. Principale strumento di conoscenza del mondo, il viaggio ha mete più o meno lontane ed è una metafora della vita stess a ; un percorso spesso interrotto e ripreso in luoghi tra loro distanti, che non termina mai e sempre ricomincia. In tutto il libro compaiono continui riferimenti alla figura femminile; la donna assume diverse fisionomie: è madre, prostituta, bambina, zingara. Ricorrente è anche l’elemento notturno, tradizionalmente legato all’imporsi di forze irrazionali; si abbina ai concetti di indefinito, di incerto, di ignoto. La realtà notturna è sempre presentata in alternanza con il giorno e spesso squarciata dai lampi di luce. Ne La Notte il poeta ricorda gli anni dell’adolescenze trascorsa a Faenza. Il simbolo di questo periodo è la torre della città, che occupa tutto il poemetto per il suo potere mitico. Al ricordo, collocato in una sfera onirica, si unisce la visione e l’idea di un tempo che si ripete ciclicamente. Nell’abbinarsi di sogno e ricordo, il poeta perde la dimensione del presente. Nei Notturni si affaccia il tema della morte e del destino e i toni si fanno quelli di una tragedia. La Verna racconta un pellegrinaggio che Campana compie nel 1910 nei luoghi francescani; si tratta di un percorso iniziatico, ma anche di ritorno a una purezza originaria. Nell’ascrivere l’opera al genere dei Canti, Campana intende collocarla nel filone di una tradizione formale precisa, che ha in Leopardi uno dei principali antecedenti. Nonostante si sia voluto leggere il libro come un’opera istintiva e immediata, la scrittura dei Canti orfici è in realtà frutto di una riflessione e di un costante confronto con la letteratura precedente e contemporanea, italiana ed europea: dai poeti del “crepuscolo” ai futuristi, ai simbolisti francesi, a Carducci e d’Annunzio. Per la tendenza alla visionarietà, si è opportunamente parlato dell’importanza del riferimento alla poesia del simbolista Rimbaud. Sul piano filosofico, all’orfismo si collega la concezione nietzschiana dello spirito dionisiaco, che è energia istintuale e forza generatrice, e dell’esperienza artistica come immersione e abbandono al flusso di dolore e gioia della vita. Al personaggio di Orfeo, inoltre, si affianca quello di Faust, nel quale Campana si identifica esplicitamente, come se ne indossasse la maschera, in uno scritto in prosa della sezione La Notte, un Faust “giovane e bello” che vagabonda per Bologna con “ansia del supremo amore”. Campana rilegge entrambi i miti, di Faust e di Orfeo, alla luce dell’interpretazione data da Nietzsche: Faust
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