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Riassunto testi d'italiano dell'interno programma di 5^, Appunti di Italiano

Riassunto dei testi principali di: Leopardi, Realismo, Verga, Decadentismo, D'Annunzio, Pascoli, Futurismo, Crepuscolari, Svevo ,Pirandello, Ungaretti e Montale

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 18/10/2020

giorgia-beccarini
giorgia-beccarini 🇮🇹

4.2

(15)

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Scarica Riassunto testi d'italiano dell'interno programma di 5^ e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Testi Leopardi Sono così stordito dal niente che mi circonda: I temi principali sono il nulla e la noia. La lettera, scritta all’amico Pietro Giordani, ri7lette lo stato di abbattimento seguito al fallito tentativo di fuga da Recanati. Egli non trova conforto neppure nell’attività intellettuale, poiché un disturbo agli occhi gli impedisce di leggere. Il poeta descrive la noia che lo devasta e il niente che lo avvolge, inoltre parla della sua malattia agli occhi che gli impedisce di studiare a seguito dei sette anni di “studio matto e disperatissimo”. La teoria del piacere: In questo passo Leopardi afferma che il desiderio principale dell’uomo è il piacere, ovvero la felicità. Questo è un desiderio in7inito, che non ha limiti ne per durata ne per estensione, non 7inisce se non con l’esistenza. Tale piacere però, non lo si può trovare nella realtà, ma solamente nell’immaginazione, e per questo motivo noi uomini ci illudiamo conferendoci speranza. L’immaginazione è la prima fonte della felicità umana. Da fanciulli, senza la ragione, eravamo in grado di essere felici, come lo erano gli antichi, i quali vivendo nell’ignoranza non avevano preoccupazione di una realtà illusoria. Il vago, l’inde9inito e le rimembranze della fanciullezza: Tratti dallo zibaldone. Leopardi afferma che da fanciulli, ogni cosa, anche la più semplice, ci conferiva l’idea d’in7inito. Tuttavia, crescendo, e diventando grandi, quei medesimi oggetti o situazioni che prima ci allettavano non ci fanno lo stesso effetto. L’autore inoltre, aggiunge che la maggior parte delle immagini e sensazioni inde7inite che noi proviamo dopo la fanciullezza, non sono altro che un ricordo di essa. In questo modo, la sensazione presente, non deriva direttamente dalle cose, ma dall’immagine fanciullesca del passato. Vi è quindi sempre il ri7lesso del passato nel presente. Inde9inito e in9inito: Questo passo è tratto dallo zibaldone. Leopardi, in questo testo, spiega come un’immagine, o una situazione inde7inita, in questo caso, l’innalzarsi di una torre, possano far nascere un senso di in7inito. Teoria della visione: In questo testo, Leopardi elenca tutto ciò che desta nell’animo umano ciò che lui de7inisce come idee inde7inite e in7inite: tutti quegli oggetti che giungono alla nostra vista o udito (ai nostri sensi) in modo inde7inito. Il fatto di poter giocare e spaziare con la propria immaginazione riguardo alle cose che non possiamo completamente vedere. Si sofferma inoltre sul concetto di pianura, che lui vede come un’idea inde7inita in estensione. In7ine, a dare un senso di in7inito, lo sono quella moltitudine di cose e suoni poco chiari e non distinguibili l’uno dall’altro. La rimembranza: Per Leopardi, la rimembranza, quindi il ricordo, risulta essere fondamentale nel sentimento poetico. L’in9inito: La poesia è suddivisa in due parti: la prima parte che va da verso 1 al verso 8 è raccontata attraverso una sensazione visiva, la seconda parte, invece, viene raccontata attraverso una sensazione uditiva. Nei primi versi Leopardi parla di una siepe, la quale funge da impedimento per la vista e porta così al fantastico, ovvero all’immaginazione di spazi in7initi. Successivamente l’in7inito da spaziale diventa temporale e la voce del vento viene paragonata all’in7inito silenzio creato dall’immaginazione precedentemente. Un’immagine scaturisce l’altra e alla 7in della poesia il pensiero del poeta si smarrisce portando un senso di dolcezza. La sera del dì di festa: Ci sono due grandi temi attorno ai quali ruota il componimento: l’infelicità percepita dal poeta, che si sente escluso dalle gioie della vita e della sua giovinezza, e il passare del tempo, che annienta qualsiasi cosa sia stata fatta dall’uomo. Questi temi, cari a Leopardi, compaiono in tutte e tre le strofe di cui si compone la poesia. Nell’immaginario del poeta la contrapposizione tra la gioia del giorno festivo e la delusione del ritorno alla normalità lavorativa è un tema fondamentale che si sviluppa per tutto il componimento. Nella prima strofa Leopardi apre con una visione quieta, la descrizione di un paesaggio notturno e della luna un’immagine vaga ed inde7inita. Nella seconda strofa Leopardi approfondisce questa delusione amorosa che sta vivendo e la collega in maniera diretta, come già accennato, al volere della natura, che lo esclude da tutte quelle che sono le gioie dell’esistenza. in7ine, nell’ultima parte, il poeta rievoca le epoche passate, in particolare la città di Roma criticando la società del presente, affermando che il tempo vani7ica tutte le cose e le porta via. A Silvia: Nella prima parte, Leopardi domanda a Silvia se, dopo tanti anni, ricorda ancora i giorni felici nei quali si affacciava alla giovinezza. Quando anche il poeta aveva nel cuore la 7iducia nella vita e, come Silvia, aveva pensieri piacevoli, speranze e belli gli apparivano il fato e la vita. Tuttavia questo è destinato a 7inire per colpa della natura, che promette negli anni della giovinezza e dell’adolescenza, ma poi non mantiene ciò che ha promesso. Nella seconda parte il poeta fa un paragone tra il destino della ragazza e il suo. Silvia moriva senza veder 7iorire la sua giovinezza, senza poter parlare di amore con le compagne e senza godere delle lodi della propria bellezza. Con la sua morte, tramontava anche la speranza di felicità di Leopardi. A lui, infatti, come a Silvia, i fati negarono le gioie della giovinezza, dove sogni e speranze dovrebbero diventare realtà. Svaniti dunque i sogni con l’apparire della realtà dolorosa, non resta altro che la morte per liberarci dalla miseria e dalle amarezze della vita. Vi è dunque il tema del ricordo, in particolare quello della giovinezza e viene fatto un parallelismo tra le due vite in quanto accomunate dalle illusione e dalla speranza. Silvia non viene descritta 7isicamente ma vengono descritte le sue azioni, pertanto Leopardi utilizza la poetica del vago e dell’inde7inito. Importante è il tema dell’illusione (v.36) e alla 7ine della poesia l’autore compie una ri7lessione generale sul destino degli uomini, affermando che la morte sarebbe l’unica via di liberazione (pessimismo cosmico). La quiete dopo la tempesta: La poesia narra dell’arrivo della pace dopo un violento temporale e quindi della ripresa delle attività quotidiane da parte della gente del borgo natio (Recanati). Ma il poeta percepisce che questi momenti di calma sono soltanto brevi interruzioni del dolore, che è inevitabile. È proprio in questa canzone che si potrà raggiungere la felicità ma che sarà solo temporanea. La parte iniziale della poesia è descrittiva, con l’alternarsi di sensazioni visive e uditive, ma non si tratta di una descrizione oggettiva, bensì tutta basata su elementi della poetica del “vago e inde7inito”: viene descritto il borgo e compaiono, infatti, suoni lontani, spazi vasti e indeterminati, indicazioni paesaggistiche essenziali. Questo paesaggio campagnolo festoso e allegro, in cui è tornato il sereno dopo un temporale, è una chiara metafora delle gioie passeggere della vita. Nella seconda parte, caratterizzata da un ritmo più lento e dedicata alla ri7lessione concettuale e 7iloso7ica, invece, viene enunciata la teoria del piacere leopardiana, secondo la quale il piacere è “7iglio d’affanno”, ossia può derivare solo dalla cessazione di un dolore, in quanto la natura, ormai considerata “matrigna” porta agli uomini solo affanni. In questa chiave, viene altresì valorizzata la morte come estrema e de7initiva 7ine di ogni dolore, in quanto l’uomo è, per natura, destinato a soffrire. Il piacere, dunque, non può assumere connotazioni positive, bensì è solo l’illusione momentanea della cessazione delle pene. Il sabato del villaggio: come nella quiete dopo la tempesta la prima parte è descrittiva, vi è la rappresentazione del borgo durante la festa per sottolineare il fatto che il sabato sia il giorno più atteso della settimana. Si hanno quindi immagini vaghe ed inde7inite che sono predilette dal poeta ed inoltre vi è una contrapposizione tra due 7igure femminile, una “donzelletta” e una “vecchiarella”, che rappresentano rispettivamente la speranza giovanile e la memoria, i ricordi del passato. Nella seconda parte, invece, vi è una ri7lessione sul piacere visto come attesa di un godimento futuro, come speranza ed illusione (a differenza della quiete e come negli almanacchi). Leopardi ci invita a non spingere lo sguardo oltre i con7ini dell’illusione giovanile (non pensare alla domenica), in quanto bisogna godersi il tempo senza pensare a quello che verrà dopo. Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: Il tema principale del testo è la natura, ma sopratutto assistiamo al passaggio dal pessimismo storico a quello cosmico. Un uomo semplice e primitivo ha un colloquio notturno e solitario con la luna, quest’ultimo si pone delle domande alle quali però non riceve risposta. In questo canto parla della nascita dell’uomo, affermando che non ha avuto altro che sofferenze 7in dalla nascita e arriva così a rendersi conto delle illusioni della natura. L’uomo esprime infatti il male di vivere e afferma che se si riposa si annoia, domandando così alla greggia come faccia a non provare noia dato che compie sempre le stesse azioni. va a cercare l'uomo in carcere. Qui scopre che Gramigna è stato trasferito altrove, ma la donna decide comunque di rimanere lì, sopravvivendo grazie alla pietà altrui e a qualche lavoretto di pulizia. Nedda: la storia è incentrata su Nedda, una semplice, innocente e rassegnata raccoglitrice di olive che abita in provincia di Catania. Nedda, per aiutare la madre ammalata e che in seguito morirà, è costretta a vagare di fattoria in fattoria in cerca di occupazione, sostenuta solamente dall’amore per Janu, contadino che lavora con lei. Questi è malato di febbre malarica, ma è costretto ugualmente a salire sugli alberi per la rimonta tura degli ulivi; reso estremante debole dal male, un giorno cade dalla scale dell’albero e, ferito, muore dopo essere stato trasportato a casa, lasciando Nedda in attesa di una bambina. Anche la bambina presto morirà, essendo la madre incapace di provvedere al suo sostentamento. Mettendo in luce la cattiveria, l’aridità d’animo e l’incomprensione di coloro che vivono nell’agiatezza di soldi, oro e argento, in Nedda verga confronta l’umiltà, la timidezza e la rassegnazione delle sue creature umili, che rappresentano la pazienza, il silenzio, la mancanza di protesta e di critica. Fantasticheria: l’autore scrive una lettera una sua amica, dama dell’alta società, Che dopo aver visitato Acitrezza, affascinato da quel mondo pittoresco di pescatori, ne fugge annoiata chiedendosi come si potesse vivere tutta la vita in quel luogo. Attraverso una serie di 7lashback ripercorre la vita di poveri pescatori sottolineando il loro attaccamento alla loro terra come le formiche che dopo la pioggia rimangono aggrappati al loro monticello. A questo punto l’autore rammenta la serie di personaggi una donna un vecchietto che stava il timone della sua barca una ragazza affacciata alla 7inestra che sorrideva quando vedeva passare uomo di cui era innamorata. Inoltre, in questa lettera, parla dell’ideale dell’ostrica che sta sempre attaccata allo scoglio su quale la fortuna la posta così come la povera gente rimane attaccata la sua terra. È quindi un paragone quando tali persone decidono di staccarsi dalla loro terra vengono inghiottite dalla vita. Rosso malpelo: La novella narra di un ragazzo che lavora in una cava di rena rossa. Inasprito da pregiudizi che la mentalità popolare attribuisce a chi ha i capelli rossi, non trova affetto nemmeno dalla madre che non si 7ida di lui e lo sospetta di rubare soldi dallo stipendio che porta alla famiglia. Lavora con il padre, Mastro Misciu (al quale è stato dato il soprannome di "Misciu Bestia") che è l'unico a dimostrargli affetto. Spinto dal disperato bisogno di soldi, Mastro Misciu accetta la pericolosa richiesta del padrone di lavorare all'abbattimento di un pilastro, ri7iutato dagli altri lavoratori. Una sera, mentre sta scavando, quel pilastro gli cade addosso. Il 7iglio, nella disperazione, chiede aiuto e si affanna a scavare con le mani nude, ma Mastro Misciu resta sepolto sotto la montagna di rena. Malpelo diventa sempre più scorbutico. Dopo la morte del padre, alla cava viene a lavorare un ragazzino soprannominato "Ranocchio" per il suo modo claudicante di camminare. Viene adottato da Malpelo che da un lato lo protegge e dall'altro lo tormenta picchiandolo e maltrattandolo nell'intento di insegnargli a vivere in quel mondo così duro e crudele. Quando viene ritrovato il cadavere di Mastro Misciu, Malpelo custodisce come tesori gli oggetti appartenuti al padre. Poco dopo Ranocchio, ammalatosi di tubercolosi e stremato dalla fatica, muore. Malpelo, ormai solo (la madre si è risposata, la sorella è andata a vivere in un altro quartiere) assume il compito rischioso di esplorare una galleria abbandonata. Preso del pane, del vino, gli attrezzi e i vestiti di suo padre, si addentra in un cunicolo e non ne uscirà mai più. I lavoratori della cava ancora temono di vederselo spuntare da un momento all'altro con i suoi "capelli rossi e occhiacci grigi". I vinti e la 9iumana del progresso: questo racconto è la prefazione ai malavoglia che funge però da prefazione all’intero ciclo dei vinti. Già nelle prime righe, spiega il suo intento ovvero quello di realizzare un racconto partendo da le classi sociali più basse e umili 7ino ad arrivare all’alta borghesia. Inoltre Verga afferma che il movente dell’attività umana produce la 7iumana del progresso. Per 7iumana del progresso si intende un processo di trasformazione della realtà, la cui forza motrice è identi7icata nella lotta per i bisogni materiale dell’esistenza. Successivamente, verga elenca uno per uno i romanzi che prospetta di scrivere e anche i temi di cui tratterranno. Verga afferma inoltre di concentrarsi prevalentemente sui vinti, i quali sono stati travolti e annegati dalla società in cui vivono. Il mondo arcaico e l’irruzione della storia: Sono le pagine di apertura del romanzo. il giovane Ntoni fu costretto ad allontanarsi da loro. Questo avvenimento è considerato come un vera e proprio rottura dell'equilibrio dato che mette in crisi la famiglia causando loro una declassazione che provoca loro un passaggio da proprietari di una casa e una barca (chiamata Provvidenza) a nullafacenti costretti ad “andare alla giornata” per vivere. L'attributo "nullafacenti" è dovuto, anzi causato, soprattutto da persone del loro stesso villaggio che non ammiravano il gesto di padron Ntoni di vendere i suoi averi per salvare la sua famiglia dai debiti. Essendo in un periodo di ristrettezze e pensando di fare un affare, padron ‘Ntoni, con la mediazione di Piedipapera, acquista a credito dal ricco zio Croci7isso, l’usuraio del paese, un carico di lupini e manda Bastianazzo con la Provvidenza, a venderli a Riposto. Con lui parte pure Menico. La conclusione del romanzo: Padron ‘Ntoni è ormai vecchio e malato, ma Mena e Alessi non vogliono portarlo in ospedale e farlo morire lontano da casa sua. Comprendendo la situazione padron ‘Ntoni chiede ad Al7io Mosca, che è ritornato in paese, di portarlo in ospedale in un momento in cui i due nipoti sono assenti. Alessi si sposa con la Nunziata, che amava sin da ragazzino e riscatta la casa del nespolo, pur a prezzo di durissimi sacri7ici. Padron ‘Ntoni muore prima che possano portarlo a casa. Al7io Mosca chiede la mano di Mena ma la ragazza ri7iuta perché ormai ha già ventisei anni e la storia di Lia ha fatto sprofondare la famiglia nel disonore. Così Mena si ritira a curare i 7igli di Alessi e Nunziata. Una notte si presenta a casa ‘Ntoni, da poco uscito dal carcere, Alessi gli propone di restare ma ‘Ntoni sceglie amaramente di andarsene prima del sorgere del sole. I malavoglia: Presso il paese di Aci Trezza, nel catanese, vive la laboriosa famiglia di pescatori Toscano, soprannominata Malavoglia per antifrasi secondo la tradizione della 'ngiuria (una particolare forma di appellativo). Il patriarca della famiglia è l'anziano Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la "Casa del Nespolo" insieme al 7iglio Bastiano, detto Bastianazzo, il quale è sposato con Maruzza, detta la Longa. Bastiano e Maruzza hanno cinque 7igli, in ordine di età: 'Ntoni, Luca, Filomena detta Mena o Sant'Agata, Alessio detto Alessi e Lia (qualcuno la chiama Rosalia sebbene non sia il suo vero nome secondo la versione originale di Verga). Il loro principale mezzo di sostentamento è la "Provvidenza", nome dato alla piccola imbarcazione che utilizzano per la pesca. Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei 7igli, parte per la leva militare. È la prima volta che un membro della famiglia dei Malavoglia parte per la leva nell'esercito del Regno d'Italia, e sarà questo evento (che rappresenta simbolicamente l'irruzione del mondo moderno in quello rurale della Sicilia contemporanea) a segnare l'inizio della rovina della famiglia stessa. 'Ntoni, lavorando, aiutava economicamente la famiglia, come era usuale all'epoca, e a causa della sua partenza come soldato questi guadagni vengono a mancare. Per sopperire a questa perdita, Padron 'Ntoni tenta quindi un affare comprando una grossa partita di lupini, peraltro avariati, da un compaesano usuraio, chiamato Zio Croci1isso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il carico viene af7idato a Bastianazzo perché si rechi con la Provvidenza a Riposto per venderlo, ma durante il viaggio via mare la barca subisce naufragio, Bastianazzo e il suo garzone muoiono e i lupini vanno persi. A seguito di questa sventura, la famiglia si ritrova con una triplice disgrazia: è morto il padre, principale fonte di sostentamento della famiglia, la Provvidenza va riparata ed occorre pagare il debito dei lupini. Finito il servizio militare, 'Ntoni torna malvolentieri alla dura vita di pescatore alla giornata e 7inisce per non dare alcun sostegno alla già precaria situazione economica del nucleo familiare. Il risanamento del debito contratto con Zio Croci7isso costa alla famiglia anche la perdita dell'amata Casa del Nespolo e la reputazione e l'onore della famiglia peggiorano 7ino a raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron 'Ntoni ad un passo dalla morte. La padrona dell'osteria Santuzza, già desiderata dal poliziotto Don Michele, si invaghisce invece di 'Ntoni (che intanto entra nel giro del contrabbando), mantenendolo gratuitamente all'interno del suo locale. La condotta di 'Ntoni e le lamentele del padre la convincono a distogliere le sue aspirazioni dal ragazzo e a richiamare Don Michele all'osteria. Ciò diventa origine di una rissa tra i due pretendenti, alla 7ine della quale 'Ntoni arriva a dare una coltellata al petto di Don Michele, nel corso di una retata anti-contrabbando. 'Ntoni 7inisce dunque in prigione e Padron 'Ntoni, accorso al processo e sentite le voci circa la relazione tra Don Michele e sua nipote Lia, sviene esanime. 'Ntoni riesce a evitare una forte condanna per motivi "d'onore": l'avvocato lascia intendere che la rissa fosse scoppiata perché 'Ntoni voleva difendere la reputazione della sorella Lia, della quale Don Michele si era invaghito, e che Lia aveva respinto. Il salmodiare di Padron 'Ntoni, ormai molto anziano, si fa sconnesso, e i suoi proverbi (che accompagnano tutta la narrazione) iniziano a venire pronunciati senza cognizione di causa; per motivi anche di sopravvivenza (non è più in grado di lavorare), si decide di ricoverarlo in ospedale. Intanto Lia, la sorella minore, vittima delle malelingue e del disonore, decide di lasciare il paese e 7inisce a prostituirsi a Catania. Mena, a causa della vergognosa situazione della sorella, sceglie di rinunciare a sposarsi con il carrettiere Al7io Mosca, di cui è innamorata, e rimane ad accudire i 7igli di Alessi, il minore dei fratelli, che nel frattempo si è sposato con Nunziata e, continuando a fare il pescatore, è riuscito a ricostruire il nucleo familiare e a ricomprare la Casa del Nespolo, dove si è stabilito a vivere. A questo punto ciò che resta della famiglia fa visita all'ospedale a Padron 'Ntoni, per informarlo che la Casa del Nespolo è di nuovo nelle loro mani e annunciargli un suo imminente ritorno a casa. È questa l'ultima gioia per il vecchio pescatore, che muore proprio nel giorno del suo agognato ritorno a casa: neanche il desiderio di morire nella casa dov'era nato viene dunque esaudito. Alla 7ine 'Ntoni, uscito di prigione, ritorna al paese, ma si rende conto di non potervi restare a causa del suo passato, per quanto il fratello Alessi lo inviti a farlo: con il suo comportamento egli si è auto-escluso dal nucleo familiare, rinnegando sistematicamente i suoi valori, ed è costretto ad abbandonare la sua casa proprio quando ha preso consapevolezza che essa era l'unico luogo in cui era possibile vivere degnamente. La roba: Un contadino siciliano di umili origini di nome Mazzarò, dopo aver lavorato sodo per un lungo periodo della sua vita alle dipendenze di un padrone, riuscì grazie alla sua forza di volontà e avidità ad accumulare una ricchezza considerevole. Mazzarò possedeva fattorie, grandi come piccoli villaggi, con magazzini che sembravano chiese, possedeva un numero incredibile d’ uliveti, di vigne, aveva talmente tanta roba ( per roba s’ intendeva in siciliano terre)che persino il sole che tramontava e gli uccelli che volavano sembravano sue. Mazzarò è descritto come un omiciattolo con la pancia grassa che all’apparenza non valeva niente ma che con ingegno e astuzia era riuscito a diventare padrone di molte terre, rispettato da tutto il paese, di carattere umile e gran lavoratore, era famoso, oltre che per la sua ricchezza, per la sua avidità, per lui i soldi non erano un mezzo per migliorare la propria condizione di vita, ma solamente un continuo accumulare di terre e ricchezze senza godersele; infatti, nonostante fosse ricchissimo, mangiava poco, (probabilmente meno dei contadini alle proprie dipendenze) e solo pane e cipolle, inoltre per non spendere troppi soldi, non fumava, non beveva vino, non usava tabacco,insomma non aveva nessun vizio e addirittura il contadino per risparmiare invece di tenere il cappello siciliano di seta come i baroni, teneva un cappello di feltro, come i più umili contadini. Mazzarò era così attaccato alla sua roba, perché si ricordava quando negli anni passati doveva lavorare duramente a volte 7ino a 14 ore al giorno senza smettere, con la schiena curva, in qualsiasi condizione climatica quindi per lui ora era un’ esigenza normale accumulare ricchezze su ricchezze, senza mai riposare.L’unico problema di Mazzarò era quello di non avere nulla oltre alla sua roba, nessun affetto, nè 7igli, nè cugini, nè parenti, a cui donare le terre dopo la sua morte e visto che per lui si stava avvicinando il periodo della vecchiaia, il solo pensiero di dover abbandonare le sue terre lo faceva diventare matto, talmente matto che arrivava ad ammazzare le sue bestie a colpi di bastone strillando:” Roba mia vientene con me”. La morte di mastro don Gesualdo: Mastro don Gesualdo è condannato a morte in un’amara solitudine tra il disprezzo dei domestici e l’insofferenza della 7iglia e del genero ai quali il vecchio morente non riesce a dire altro che raccomandare, ma inutilmente, di aver cura della sua “roba”, evidentemente il suo unico affetto. Se nei Malavoglia è evidente una dimensione di coralità, nel Mastro don Gesualdo domina il motivo della tragica solitudine del protagonista, preannunzio di quella che sarà la tipica malattia dell’uomo moderno, l’incomunicabilità. Con il romanzo Mastro don Gesualdo, Giovanni Verga rappresenta la decadenza dell’aristocrazia e tratteggia le caratteristiche dell’ascesa della borghesia contemporanea del suo tempo. Una borghesia votata all’individualismo e al materialismo. Testi D’Annunzio Un ritratto allo specchio (Andrea Sperelli e Elena Muti) pag. 523: Andrea, il protagonista della storia, viene lasciato dalla donna amata la quale scompare improvvisamente pr sposare un ricco inglese al seguito di evitare un disastro economico. Andrea è quasi disgustato nello scoprire che la loro appassionata relazione viene interrotta da questioni di denaro ed è assalito dall’orrore al solo pensiero che qualcun altro possa toccare la sua donna. Il protagonista traccia così un ritratto di Elena, la donna amata, arrivando però alla 7ine a costruire un ritratto di se stesso. Egli la analizza, accorgendosi così della falsità di alcuni suoi atteggiamenti, quello che compie successivamente Andrea è una sorta di ritratto allo specchio, in quanto anche lui è esattamente uguale alla descrizione di Elena, e 7inge così ad essere critico di se stesso. Nei primi paragra7i ci troviamo di fronte a un discorso interiore del personaggio, in forma indiretta libera. Da «Così, in questo modo» interviene invece il narratore che pronuncia espliciti giudizi sul personaggio («con questa ferocia», «esame spietato», «cinico sorriso interiore»). II narratore dunque non lascia interamente la parola ad Andrea Sperelli, ma introduce la sua prospettiva per prendere da lui le distanze. Si manifesta in tal modo quell’atteggiamento critico dell'autore verso il suo eroe che è la struttura portante di tutto il romanzo. Il programma politico del superuomo pag.536: Il protagonista è Claudio Cantelamo il quale all’interno del brano compie una critica alla società moderna e contemporanea poiché caratterizzata dall’ossessione per il denaro. Cantelamo propone così una società autoritaria e gerarchica che sappia calmare l’arroganza delle masse. Il protagonista mira alla rinascita dell’antichità, a riportare in vita l’elitè. Allo stesso tempo però, Cantelamo ritiene che l’artista o gli intellettuali non debbano isolarsi o piegarsi a servire il nuovo dominio borghese, bensì devono gettarsi nella lotta e contribuire a migliorare la realtà e creare un nuovo quadro politico. Questo romanzo è stato de7inito il manifesto politico del superuomo, in quanto contiene le nuove teorie di D’Annunzio, il linguaggio è quindi aulico, con molte metafore e paragoni e interrogazioni retoriche. In questo gli intellettuali devono contribuire attivamente, non devono rimpiangere il passato, ma usare la parola per distruggere la società borghese. D’Annunzio propone così un eroe forte e sicuro di se, che incarna perfettamente il concetto di super uomo. Questo progetto non deve essere considerato come il prodotto di una mente malata, in quanto ha radici nella realtà di 7ine secolo: forti con7litti sociali, contrastati con dif7icoltà dal governo e imperialismo, in cui le grandi potenze conducevano una politica aggressiva. La sera 9iesolana pag.561: Il poeta descrive una sera di inizio giugno, articolandola in tre momenti distinti: 7ine del pomeriggio, sera e l’inizio della notte. Ogni strofa è così autonoma alle altre e attraverso le parole D’Annunzio scaturisce una serie di suggestioni. L’opera si ispira nostre al cantico delle creature di san Francesco. La sera è il momento della fusione panica con la natura e rappresenta l’attesa del rapporto d’amore con la propria donna: dopo la sera ci sarà una notte d’amore, ma il poeta preferisce descriverne l’attesa, attraverso procedimenti irrazionali, in particolare la sinestesia e l’analogia. Vuole evocare più che descrivere razionalmente le scene. Si tratta di una sera di giugno dopo la pioggia al crepuscolo, un momento di passaggio e di metamorfosi, fatto di trasformazioni quasi impercettibili, un momento carico di attesa e di suggestione. Come la sera ‘muore’ spegnendosi lentamente nella notte (v.49), così la primavera muore trascolorando nell’estate. In tutta la poesia, D’Annunzio si rivolge ad un “tu” indeterminato, probabilmente la donna amata. Nella prima strofa, originariamente intitolata Natività della luna, il tema centrale è il sorgere della luna: essa è tutta costruita su una serie d’immagini Nella terza strofa, giunge al massimo l’esaltazione irrazionale dell’innamoramento: si crea una dimensione favolosa in cui le parole servono non a denotare ma ad evocare. Si giunge ad una sensualità panica. Il lessico è ricercato e ricco di arcaismi. La pioggia nel pineto pag.568: La poesia vine trasformata in un vero e proprio canto musicale. Vengono infatti distinti suoni di varie voci, come quello della pioggia, delle cicale ed in7ine delle rane. Nella poesia vediamo nello speci7ico il panismo D’Annunziano, le persone e gli elementi sono al pari con la natura, sono contenuti in essa: volto bagnato come foglie o capelli che profumano di ginestre. Il poeta esorta la sua compagna a restare in silenzio, al 7ine di ascoltare con la dovuta attenzione i suoni inusitati (le parole più nuove) emessi dalla natura: le parole sussurrate da gocce e foglie lontane, avvertite sin dalle soglie del bosco. Sta piovendo e la pioggia altro non è che una manifestazione della natura, che avvolge e riveste tutto. Il poeta invita più volte la sua compagna ad ascoltare la musicalità della pioggia e i suoni emessi dalla natura. Alla donna in questione viene attribuito il nome di Ermione. Un altro tema molto importante della lirica è quello dell’amore, in quanto il poeta parlando della pioggia estiva refrigerante sottolinea come questa rigeneri non solo la natura, ma rinvigorisca anche l’anima dei due innamorati, i quali continuano ad abbandonarsi alla forza dei sentimenti e dell’amore, ma con la consapevolezza che si tratti soltanto di una favola bella (v. 29) che li ha illusi in passato e continua ad illuderli. Testi Pascoli La poetica decadente pag.602: Viene delineata con chiarezza la poetica pascoliana. Il fanciullino, alla base della poetica di Pascoli, viene de7inito come uno strumento per allontanarsi dalla situazione sociale del tempo. Egli ci permette di cogliere la realtà nei suoi aspetti più profondi. Pascoli ripone molta attenzione sulle piccole cose, come ad esempio le piante ed utilizza per descrivere uno stile aulico, proprio per valorizzarle. Secondo il poeta il fanciullino è in ognuno di noi, ma in alcuni tace, ed è solo nei poeti che si sente, di fatti, il poeta è colui che è in grado di guardare oltre il mondo sensibile. Inoltre, vine delineata la funzione della poesia, che ha un’utilità, oltre che morale anche sociale. Il poeta «fanciullino» di Pascoli appare quindi un veggente, dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni, prigionieri delle abitudini e delle convenzioni del pensiero razionale; è colui che può spingere lo sguardo oltre i limiti della realtà visibile, coglierne immediatamente l’essenza segreta. Si delinea in tal modo non solo una visione del mondo, ma una poetica decadente. X agosto pag.623: E’ una delle molte poesie in cui Pascoli rievoca la propria tragedia personale ovvero l’uccisione del padre avvenuta il 10 agosto del 1867, nonché la notte di San Lorenzo, e per questo motivo il poeta introduce così la sua poesia. Compare in particolare modo il tema del nido, viene fatta una similitudine tra la rondine e il padre nel loro ritorno a casa. La prima strofa corrisponde all’ultima proponendo il motivo delle stelle che cadono in quella notte, che nell’immaginario pascoliano, rappresentano il pianto del cielo sulla malvagità degli uomini: quest’immagine rende l’idea di un cosmo profondamente umanizzato. Di fronte alla malvagità del mondo, l’unico rifugio, dovrebbe essere il “nido”, unico luogo protetto in cui trovare pace, ma la casa è anch’essa “romita”, solitaria, lacerata dalle tragiche vicende del mondo, dunque insuf7iciente a proteggere l’uomo, a cui non resta che invocare invano il “pianto di stelle” del cielo che lo soccorra e partecipi del suo dolore. Compare in particolare modo il tema del nido, viene fatta una similitudine tra la rondine e il padre nel loro ritorno a casa. L’uccisione della rondine mentre tornava al nido al nido allude a tutti gli innocenti perseguitati dalla malvagità, sopratutto a Cristo (spini, corona di spine) e al padre del poeta. Temporale pag. 630: Il titolo è parte integrante del testo. Vi sono rapide notazioni visive ed uditiva. Il testo si apre con un termine onomatopeico che sembra introdurre ciò che verrà dopo: si tratta del brontolio del tuono ed anche del nome di un uccello. Nel primo verso il poeta introduce un’impressione acustica (il tuono), alla quale fanno seguito impressioni di carattere visivo-cromatico che, nel 7inale, lasciano lo spazio al simbolismo. Per Pascoli, che si riallaccia ai simbolisti francesi, il poeta deve cogliere l’essenza delle cose, il loro mistero e deve aiutare a decodi7icare i simboli. Colpisce lo stile nominale adottato dal poeta, il quale usa un verbo soltanto nel secondo verso. Il termine affocato che compare nel terzo verso è, come capita sovente in Pascoli, di derivazione dantesca. Colpisce lo stile nominale adottato dal poeta, il quale usa un verbo soltanto nel secondo verso. Il termine affocato che compare nel terzo verso è, come capita sovente in Pascoli, di derivazione dantesca. Novembre pag.632: Il titolo è parte integrante del testo, che può essere de7inito come un quadretto di natura, impressionistico e naturalistico. Si è nella stagione dell’autunno e Pascoli pone nel testo una nomenclatura botanica. Il poeta de7inisce la primavera come illusoria, come un slo ricordo e la poesia diventa così evocativa, suggestiva e allusiva. Successivamente parla della tristezza dell’autunno, che simboleggia la morte e alla quale alludono specialmente i rami secchi. Il lampo pag.635: Titolo parte integrante del testo. La poesia allude ad un dolore tragico e lo scenario è piuttosto inquietante. Vi è una visione istantanea, un’improvvisa luce di un lampo che fa apparire la sagoma di una casa che successivamente sparisce nella notte. Viene infatti attuato un paragone con un occhio che si apre e si chiude. Italy pag. 654: La vicenda è ispirata ad un fatto reale: due fratelli emigranti, Ghita e Beppe, tornano dall’America al paese da cui erano partiti, un paesino vicino a Castelvecchio, con la piccola Molly malata di tisi. La bambina, nata in America, in un primo momento detesta l’Italia, ma poi instaura un profondo legame con la nonna. Molly guarisce grazie al clima dell’ambiente, mentre la nonna muore. Gli emigranti ripartono per l’America e Molly ai bambini che le chiedono se ritornerà risponde di “Si” in italiano. I temi principali dell’opera sono il mondo contadino, la realtà dell’emigrazione e il con7litto tra l’ottica dei giovani e quella passata. La storia narrata è composta da fatti di realtà quotidiana e non più simbolici. Il gelsomino notturno pag.662: La poesia fu composta in occasione delle nozze dell’amico Gabriele Briganti, allude infatti alla prima notte dopo la celebrazione del matrimonio. L’opera può essere de7inita come un invito all’amore, viene infatti trattato il tema della fecondazione che porta così all’idea della nascita e di una nuova vita. Nella seconda e terza quartina prevale l’atmosfera di pace della 7ine del giorno, attraversata però dall’attesa di qualcosa di misterioso che sta per giungere. Anche lo sguardo del poeta, che sembra osservare la scena dall’esterno della casa, è un indizio della sua sofferenza silenziosa; egli non può che vedere il lume in mano allo sposo salire “su per la scala” (v. 19), dove però poi si spegne. Testi avanguardie Manifesto del futurismo pag. 716: Scritto da Marinetti e pubblicato sul giornale le 7igaro di Parigi il 20 febbraio del 1909. Il testo enunzia i principi fondamentali della rivoluzione futurista. In particolare vi è un rovesciamento dei canoni tradizionali come l’ammirazione per la velocità di un’automobile. Vengono infatti posti diversi riferimenti al mondo industriale. Al punto 9, la guerra vine de7inita come sola igiene del mondo, vista come un ‘occasione per esaltare il proprio eroismo. Vi è inoltre una forte critica al passato e una critica nei confronti dei musei, de7initi come cimiteri, in quanto ammirare l’antico equivale a versare la propria anima in un’urna funeraria invece di proiettarsi verso il futuro. In7ine, il manifesto esorta a bruciare le biblioteche, i libri, in modo tale da liberare il paese dal passato e mirare ad un rinnovamento della società. (ultima riga) Manifesto tecnico della letteratura futurista pag.720: Marinetti enuncia i procedimenti su cui intende basarsi la nuova letteratura futurista da un punto di vista operativo e tecnico. Al contrario, il manifesto precedente illustrava l’ideologia del movimento. Spiegare i vari punti: distruggere la sintassi, verbo all’in7inito, abolire aggettivo e avverbio… Il disordine, il caos diventano fondamentali e bisogna introdurre tre nuovi elementi (il rumore, il peso, l’odore) Nel testo viene illustrato il trionfo dell’immaginazione senza 7ili, inoltre, viene proclamata l’estetica del brutto, distaccandosi così dal passato. In realtà, la sensazione di benessere e di felicità dell’eroe deriva dal fatto che egli ha trovato in Augusta un perfetto sostitutivo della figura materna , di quella dolcezza di cui ha bisogno. La speranza di acquistare salute da questo matrimonio è però smentita dal protagonista stesso quando durante il viaggio di nozze egli confessa la paura di subire un furto o di essere aggredito. Tuttavia, alla fine si capisce che il ritratto che Zeno traccia della moglie è un ritratto che rivela disprezzo e ostilità, in quanto la moglie, esattamente come il padre è caratterizzata dall’immobilità La profezia di un’apocalisse cosmica pag. 869: Svevo compie un’amara riflessione sulla condizione dell’uomo, tracciandone una prospettiva pessimistica. La vita viene identificata come una stessa malattia e vi è quindi un indebolimento generale della civiltà. Secondo l’autore, l’unica soluzione è un’apocalisse che avverrà attraverso l’invenzione della bomba atomica che potrà così purificare il mondo, poiché la scomparsa dell’uomo comporterà la scomparsa delle malattie sulla terra. Svevo propone la fine del mondo come la soluzione alla fine della malattia della vita, auspicando così alla salvezza dell’uomo attraverso la sua distruzione, per progredire. Testi Pirandello Un’arte che scompone il reale pag 901: La ri7lessione deve smontare luoghi comuni e mettere il lettore di fronte al nulla della vita. Il lettore deve usare la ragione contro se stessa, per dimostrarne l’utilità e alla 7ine deve avere una sensazione di vuoto. Da questa operazione di smontaggio deve nascere il sentimento di assenza dalla vita, e cioè il “sentimento del contrario”. Pirandello passa poi alla 7igura della vecchia signora, la quale è metafora della realtà, del mondo e di noi stessi, perché anche noi crediamo di costruire la realtà, ma costruiamo solo delle maschere e siamo noi stessi maschere. Di fronte a questa donna si ha una prima reazione immediata a cui rispondiamo con una risata goffa, ed è questa l’arte comica; poi, con la ri7lessione si capisce che questa condizione di vita è penosa: questo è il sentimento del contrario che deriva dalla percezione del proprio nulla, questa è l’arte umoristica. Il treno ha 9ischiato pag 916: Il protagonista della vicenda, come spesso avviene in Pirandello, è un esponente della piccola borghesia impiegatizia, senza alcuna apparente qualità e senza nessun tratto d’interesse: Belluca è infatti un grigio ragioniere, scrupolosissimo sul lavoro ed irreprensibile nella vita privata. Senonché un giorno, preso da un attacco di rabbia folle, egli, urlando che "il treno ha 7ischiato", si scaglia contro il capouf7icio, tanto da dover essere ricoverato in un manicomio, dove la diagnosi dei medici, incapaci di fornire ad amici e conoscenti dell’uomo una giusti7icazione razionale a degli eventi a prima vista assurdi, parla di encefalite o “febbre cerebrale”. In realtà la narrazione - che procede a ritroso, secondo un percorso assai intricato, a spiegare le ragioni del gesto di Belluca - ricostruisce a poco a poco il quadro effettivo che si cela dietro le apparenze. Così, un evento banale come il 7ischio di un treno, che proietta la mente di Belluca in mondi “altri” liberi da ansie e preoccupazioni, è ciò che fa scattare la molla della folle ribellione alla realtà. Com’è norma, non manca la conclusione “umoristica”, tipica di molte novelle pirandelliane: Belluca, su intercessione di un amico, viene reintegrato in uf7icio dopo le scuse al superiore che, consapevole della situazione, concederà al sottoposto delle piccole pause in cui Belluca, ricordando il “7ischio” del treno, possa fuggire per brevi istanti dalle pressioni del mondo reale. Dietro all’enigma di Belluca c’è un tratto costitutivo del ragionamento di Pirandello sull’uomo contemporaneo: forse è la normalità quotidiana a rappresentare la vera follia. La costruzione della nuova identità e la sua crisi pag 932: Mattia Pascal si costruisce un’identità nuova, sotto il falso nome di Adriano Meis, nome scelto ascoltando sul treno dei frammenti di una conversazione tra passeggeri. Pascal cerca di trasformare il suo aspetto: si taglia la barba, indossa un paio di occhiali scuri per coprire lo strabismo, una giacca lunga a doppio petto e un cappello a larghe tese. Inizia a viaggiare per l’Italia e per l’Europa, senza una meta prestabilita, senza uno scopo preciso se non quello di godere appieno dell’inaspettata libertà. Ad un certo punto però comincia ad avvertire il peso della solitudine e sente la necessità di riallacciare quella rete di rapporti sociali che in passato lo soffocava e condizionava. Viene inoltre compiuta una forte critica alla società. Lo strappo nel cielo di carta e la lanterinoso9ia pag 941: Anselmo Paleari è il padrone della casa romana dove Mattia Pascal – trasformatosi in Adriano Meis – ha 7issato la sua residenza e dove cerca vanamente di costruirsi una nuova vita. Egli si fa portavoce di alcune stravaganti derive del pensiero del primo Novecento, tra cui primeggiavano la teoso7ia e l’occultismo. Egli afferma che la nostra personalità è una costruzione 7ittizia, una maschera, di conseguenza ,a realtà diviene una proiezione della nostra soggettività. Di Anselmo Paleari è invece la “lanterninoso7ia”: secondo questa visione del mondo la paura dell’ignoto, da cui proviene ogni forma d’angoscia, deriva dal possesso, da parte dell’uomo, del sentimento della propria vita come staccata dall’esistenza universale della Natura. Il Paleari paragona tale “sentimento della vita” a un lanternino posto in mano a ogni uomo; questo lanternino, a causa della sua debole luce, permette a chi lo porta di percepire l’immensità delle tenebre che lo circondano, ma non di vederne il termine. Solo la morte spegnerà questo lanternino e riporterà l’uomo nel ciclo universale della materia. Al di là della sua tortuosa 7iloso7ia, la caratteristica essenziale di questo personaggio è la cecità nei confronti delle brutture della vita. E’ evidente che l’immagine del cielo strappato è una metafora del valore distruttivo della ragione nei confronti delle illusioni create dagli uomini stessi a loro conforto; quando cade il sof7itto protettivo di queste illusioni, i valori che ad esse si riferiscono perdono di senso. Sotto questo cielo lacerato gli uomini si ritrovano soli, privi di guide divine o umane; a loro non resta che arrendersi all’inazione. La parabola messa in bocca al Paleari, all’inizio del cap. XII, allude in realtà all’angosciante condizione dell’uomo del Novecento, di fronte a cui sono improvvisamente crollate tutte le certezze sulle quali 7ino ad allora si erano fondate la scienza e la 7iloso7ia. Lo sbigottimento della marionetta che recita la parte di Oreste diventa quindi quella dell’uomo che si sorprende solo e privo di giusti7icazioni per le proprie azioni, sotto un cielo nel quale non vivono più gli dei. Non saprei proprio dire ch’io mi sia pag 946: Mattia Pascal decide di trascorrere i suoi giorni in biblioteca, una volta tornato a Miragno. Intraprende così una conversazione con il prete Don Egidio, il quale afferma che è impossibile rinunciare alla nostra identità in quanto è predeterminata. Mattia Pascal prende atto della perdita della propria individualità e capisce di non sapere più chi lui sia. Signi7icativa è quindi l’ultima frase del romanzo, e del brano, in cui Pascal afferma che a chiunque gli chieda il suo nome lui risponderà “il fu Mattia pascal”, indicando così con la particella fu la perdita della propria identità Nessun nome pag. 961: La conclusione di Uno, nessuno e centomila è l'approdo estremo della parabola iniziata con il Fu Mattia Pascal: vi tocca cioè il punto più alto la critica dell’identità. L'eroe di Uno, nessuno e centomila va più a fondo nelle sue scelte, vede in de7initiva più chiaro. Non si limita a confessare di non sapere chi sia, ma afferma deliberatamente di non voler più essere nessuno, di ri7iutare totalmente ogni identità individuale. Ri7iuta cioè di chiudersi in qualsiasi forma parziale e convenzionale e accetta di sprofondare nel 7luire mutevole della «vita», morendo e rinascendo in ogni attimo, identi7icandosi con le presenze esterne occasionali, senza poter più dire «io». Per questo arriva a negare anche il proprio nome, che è il segno che sancisce il rapprendersi della «vita» nell'individualità singola. Questo vivere di attimo in attimo, in una perenne mutazione, è una condizione esaltante, gioiosa. Se la conclusione del Fu Mattia Pascal era solo negativa, interlocutoria, Uno, nessuno e centomila propone un messaggio che vuol essere positivo, esemplare, un programmatico insegnamento di vita (muoio ogni attimo e rinasco di nuovo). Anche eroi come Mattia Pascal e Sera7ino Gubbio erano estraniati dalla realtà sociale, ma restavano pur sempre a contemplarla da lontano, con superiore consapevolezza dei meccanismi del «giuoco». Moscarda realizza al massimo grado l'estraniazione, poiché nessun legame lo unisce più alla società. Afferma con decisione: «La città è lontana», e la città è proprio il luogo per eccellenza del vivere sociale. Invece della società, Moscarda sceglie la fusione con la natura. Per certi aspetti questa fusione con la natura può far pensare al panismo dannunziano di Alcyone: ed in effetti è ravvisabile nei due scrittori una comune matrice nell'irrazionalismo decadente. Con una differenza, però: la fusione panica per D'Annunzio è un'esperienza eccezionale, che può esser propria solo del «superuomo», mentre per Pirandello è per così dire "democratica", è proposta come modello per ogni uomo che sappia rompere il meccanismo delle convenzioni sociali ed estraniarsi da esse; non solo, ma la teoria del «superuomo» in D'Annunzio è 7inalizzata a forme di dominio autoritario di un'élite sul corpo sociale, mentre l'irrazionalismo di Pirandello è del tutto anarchico, conduce ad una critica distruttiva di ogni compagine sociale. 6 personaggi pag 996: Gli elementi più sperimentali dei Sei personaggi sono: • l'assenza dell'autore e, quindi, la mancanza di un testo scritto (anche se, in realtà, un autore e un copione esistono, cioè Pirandello e i Sei personaggi; è una delle maggiori ambiguità del lavoro); • l'esaurirsi della recitazione tradizionale: gli attori, pur se bravi, non riescono a impersonare la storia dei personaggi; può farlo solo che l'ha vissuta, pur se digiuno di mestiere teatrale; • la sala nuda: la vicenda si ambienta in un teatro privo di scenogra7ie, costumi ecc. e privo di pubblico (in realtà molti spettatori, nel corso degli anni, hanno assistito alle messinscene di Sei personaggi in cerca d'autore: è un'altra delle ambiguità pirandelliane); • il fatto che la messinscena esce dal palcoscenico per allargarsi alla platea (dove il Capocomico a un certo punto va a sedere, per spiare l'effetto complessivo), alle scalette laterali, al fondo della sala (verso cui, nell'epilogo, si dirige correndo e ridendo la Figliastra). Testi Ungaretti Il porto sepolto: Giuseppe Ungaretti ha scritto Il porto sepolto, breve componimento che è stato pubblicato per la prima volta a Udine nel 1916. Questa poesia ha dato il titolo alla prima, omonima raccolta dell’autore e, insieme ad altri componimenti, ha dato vita a Allegria dei naufragi nel 1919. Nel titolo del componimento si trova un elemento fondamentale per comprendere la poetica dell’autore, il porto: esso è simbolo del viaggio introspettivo che il poeta compie dentro se stesso alla ricerca del senso dell’essere umani.Il testo è brevissimo e frammentato, peculiarità della prima poesia ungarettiana. La poesia in esame, Il porto sepolto, è composta da 7 versi liberi, disposti in due strofe. Così come in tutti gli altri componimenti di questa raccolta il titolo è un titolo zero, ovvero costituisce il primo verso e da la prima informazione necessaria per la comprensione del componimento. In questo caso Il porto sepolto caratterizza quel “vi” che troviamo in prima riga: senza il titolo non avremmo idea di dove arriva il poeta o a cosa stia facendo riferimento. La poesia è sicuramente tra le più importanti della raccolta poiché rappresentativa della poetica di Ungaretti. L’idea per questa poesia prende vita da un antico porto di Alessandria d’Egitto che si è inabissato per via di movimenti bradisismici e che diventa un motivo simbolico per il poeta; immergersi nel porto sepolto signi7ica entrare nella profondità dell’animo umano e rimanerci bloccati, come se si fosse in un luogo inesplorabile. Tramite questo componimento il poeta riporta alla luce le tracce dell’origine dell’animo umano, “quel nulla / d’inesauribile segreto”, così da poterle diffondere tra gli uomini. il poeta discende nell’oscurità di quello che è il mistero poetico allo scopo di trovare quella scintilla di ispirazione per far tornare alla luce i suoi canti, ovvero la capacità di scrivere versi. Avviandosi alla conclusione, però, il poeta si rende conto che non ci sono poesie né versi in grado di restituire il signi7icato della creazione, quel senso profondo che alberga sia nella produzione di versi che nelle creazioni di qualsiasi altro tipo. I versi, una volta portati alla luce, vengono dispersi dal poeta. Con questa frase Ungaretti intende dire che qualcosa di ciò che ha dato loro vita va inesorabilmente perduto: il poeta non può far altro che catturare e 7issare sulla carta dei frammenti, delle brevi illuminazioni, rassegnandosi al fatto che il senso profondo di ciò che ha compreso e riportato non sia trasmissibile. Fratelli: La poesia Fratelli, viene composta durante la Prima Guerra Mondiale, il 15 luglio del 1916; il componimento si apre con una domanda che viene rivolta ai soldati che, nell’oscurità della notte, non sono immediatamente riconoscibili al poeta e ai suoi commilitoni. Quest’ultimi infatti desiderano conoscere il reggimento d’appartenenza dei militari che si ritrovano di fronte. Temi. Il tema della lirica è la fraternità degli uomini nel momento in cui acquistano consapevolezza della precarietà della propria condizione. La parola fratelli, tema centrale, viene ripetuta numerose volte. Sinestesia = "roccia di gridi" (v. 14). Sfera sensoriale visiva (roccia) e sfera sensoriale uditiva (gridi). Metafora = "L'infanzia ho sotterrato nel fondo delle notti" (v. 4-5). Iperbole = "in in7inito delle notti" (v. 10). Similitudine = "arrestata in fondo alla gola / che una roccia di gridi" (v. 13-14). Commento La lirica sembra affrontare solo ed esclusivamente il tema della scomparsa del fratello di Ungaretti ("Di me rammento che esultavo amandoti") ma in realtà egli è il fatto scatenante di un dolore ancora più grande nel presente di Ungaretti: la perdita di ogni legame con la sua infanzie. Il fratello defunto rappresentava l'ultimo "testimone" della sua infanzia, questo vuol dire che quando pensava al fratello o quando lo incontrava e iniziavano a parlare del passato, rivivevano quei momenti di vita vissuti insieme di quando ancora erano ancora dei fanciulli, mentre ora non ha nessun altro con cui condividere queste emozioni e il solo ricordare il passato non lo conforta più. Il testo ha una forma autobiogra7ica e, attraverso il quale, il poeta vuole trasmettere il suo stato d'animo per aver subito la perdita dell'infanzia e tutto ciò che essa rappresentava. Il discorso riguarda, in particolare, il ruolo della memoria, che porta dentro di sé ricordi dolorosi della vita. L'infanzia, invece, non ha memoria, in quanto è vissuta in modo spontaneo e felice, senza pensieri, senza le preoccupazioni del passato. Il poeta non è in grado di "smemorarsi", cioè di dimenticare il passato e ritornare a uno stato di fanciullezza felice.Il "grido" simboleggia la spensieratezza giovanile. Nei versi 7inali il poeta si ritrova incastrato nella gola una forma di grido così dura da sembrare roccia, cioè è tale la sofferenza per il lutto da non avere più nemmeno la forza di parlare. Il termine "roccia" simboleggia la disperazione per il suo continuo crescere (negli anni) e, di conseguenza, l'allontanarsi dall'infanzia. Le strofe centrali servono a rendere più chiara la conclusione 7inale. Sotterrando l'infanzia il poeta ha perso se stesso, si sente così impotente nei confronti di ciò che rimane e privo di speranza da arrivare a dire che non gli resta altro che il buio della morte, cioè è caduto in un vortice di disperazione che non ha alcuna via d'uscita. Testi Ermetismo Ed è subito sera: Forma metrica: la poesia è composta da da solo tre versi. Spiegazione di Ed è subito sera: Ed è subito sera, fa parte della raccolta omonima, pubblicata nel 1942. Affronta la tematica, su cui si è incentrata anche la poetica leopardiana e montaliana, della brevità delle illusioni e della solitudine dell’uomo . Nel primo verso si dichiara la solitudine dell’uomo, si dice che l’uomo è tragicamente solo, anche se vive con pienezza la propria vita, anche se è convinto di essere al centro del mondo, anche se sta al centro delle cose terrene e intreccia quindi delle relazioni con gli altri. Nel secondo verso si descrive la contraddizione fra vita e morte, che segna l’esistenza di tutti gli uomini. La vita è come un raggio di sole : dà un 7ilo di calore e di speranza ma nello stesso tempo ferisce l’uomo come una spada o una freccia che, dopo averlo trapassato (tra7itto) , lo tenga inchiodato alla terra . Il raggio di sole è simbolo di vita e di felicità, quindi arriva all’uomo come dono bene7ico , ma poi si trasforma in un’arma e diventa motivo di sofferenza. Nel terzo verso si dice che tutto 7inisce in un attimo. Subito arriva la sera, simbolo di morte. In solo tre versi Quasimodo riesce a esprimere poeticamente le sue ri7lessioni sulla condizione umana. Con le metafore del cuore della terra, del raggio di sole e della sera riesce a concentrare le sue ri7lessioni sulla condizione umana : Con le metafore del cuore della terra, del raggio di sole e della sra riesce a concentrare molti signi7icati in poche parole, e a tradurre le idee in immagini suggestive, come quella dell’uomo tra7itto dalla luce, destinate a rimanere nella memoria di ciascuno di noi. Quasimodo esprime, la condizione esistenziale universale della solitudine dell’uomo e della precarietà della vita, e lo esprime in maniera estremamente concisa come una "sentenza", una "massima" che con poche, signi7icative parole sintetizza una amara verità eterna. Vi sono numerose allitterazioni (sta solo sul…sole…subito sera; della terra tra7itto da un raggio di sole) e una assonanza (della terra). Testi Montale I limoni: I limoni è un componimento di Eugenio Montale, scritto nel 1922, che appartiene alla raccolta Ossi di Seppia. In questo senso la poesia I limoni può essere considerata la dichiarazione di poetica dell’autore: il poeta si rivolge al lettore affermando di ri7iutare le poesie dif7icili dei poeti che sono laureati (ossia hanno ottenuto l’alloro poetico, prestigioso riconoscimento) per raccontare, invece, la realtà comune, il paesaggio aspro della sua terra e la descrizione di un giardino di limoni. Nella prima strofa compare per la prima volta il riferimento ai limoni, che diventano il correlativo oggettivo della sensazione del poeta, e per questo primo momento sembrano essere un oggetto positivo. Nella seconda strofa vengono elencati una serie di elementi naturali e viene affermato come la guerra e quindi la sofferenza sembra lontana perché il quel particolare punto si sente l’odore dei limoni. Nelle ultime due strofe la poesia prende una piega diversa:nella terza strofa compaiono i primi cenni di disillusione e visione realistica della vita con l’accenno all’anello che non tiene, cioè quella parte che, se scoperta, riuscirebbe 7inalmente a dare uno scopo all’esistenza umana.La quarta strofa inizia proprio con un “ma” avversativo: si passa quindi dall’illusione positiva dell’odore dei limoni alla totale disillusione; il mare si vede solo a spicchi e l’animo si rattrista.I limoni quindi appaiono come un’epifania, regalano un breve momento di felicità grazie al loro colore giallo e al loro intenso odore e rappresentano la nota positiva che si oppone alle città rumorose. Non esistono più le illusioni , la luce si af7ievolisce così come l’anima. L’unica speranza è data proprio da questi limoni, che appaiono all’improvviso e solo per brevi istanti. La poesia è enigmatica e densa di interpretazioni, l’importante però è tenere presente che Montale è sì pessimista perché distante dai poeti che vedono la natura come paesaggio idilliaco ma non si nega dei momenti di illusioni, della ricerca di un varco lontano dalla tristezza della città, ossia il giardino di limoni oggetto della poesia analizzata. Non chiederci la parola: La poesia "Non chiederci la parola" è stata scritta da Eugenio Montale nel 1923 e fa parte dell'omonima sezione della raccolta Ossi di seppia. È senza dubbio una delle poesie più celebri e citate di Montale. Si tratta del testo - scritto nel 1923 - che apre la sezione Ossi di seppia della raccolta omonima, e contiene alcune idee essenziali per capire la concezione della poesia e del ruolo del poeta secondo Montale; è divenuta uno dei maggiori emblemi della poetica “negativa” di Montale. L'autore instaura un dialogo con il lettore stesso - o meglio, quel lettore che esige verità assolute e de7initive – parlando a nome dei poeti, come si deduce dall’uso del plurale (Non chiederci), invitandolo a non chiedergli alcuna de7inizione precisa ed assoluta, né su stesso né sull'uomo in genere, e nemmeno sul signi7icato del mondo e della vita. Egli infatti, a differenza dell'uomo "che se ne va sicuro" perché ignaro ed insieme incurante del senso della propria esistenza, non ha alcuna "formula" risolutiva, ma solo dubbi e incertezze, o tutt'al più una conoscenza negativa. Il poeta può soltanto rappresentare, con poche scarne parole, la precarietà della condizione umana. Anche in questa poesia, come già in “Meriggiare pallido e assorto”, appare il muro, immagine ricorrente nella poesia di Montale e simbolo del limite che domina la vita dell’uomo. Meriggiare pallido e assorto: Meriggiare pallido e assorto è un componimento, forse il più conosciuto, di Eugenio Montale scritto nel 1916 ed incluso nella raccolta Ossi di Seppia. La poesia focalizza l’attenzione su un paesaggio estivo (forse quello delle Cinque Terre) e sulla condizione esistenziale dell’uomo; quest’ultimo è isolato, svuotato ed incapace di penetrare il mistero che sta attorno a lui (e che non scoprirà mai). Montale vuole quindi esprime una sensazione di irraggiungibilità riguardo alla felicità, un limite invalicabile rappresentato dal muro con in cima cocci aguzzi di bottiglia. Infatti Montale crede che l’uomo sia isolato, che vive in un mondo dove i contatti con gli altri sono dif7icili, in parte per il progresso, in parte per il regime dittatoriale.La poesia è ambientata in Liguria in un caldo pomeriggio di luce è accecante e un sole così forte da arroventare il muro dell’orto. Il poeta, in preda alla malinconia e all’ozio, assorto e solitario ascolta le voci ed i suoni raccolti nel silenzio di un paesaggio dall'atmosfera aspra e soffocante, dove pruni e sterpi infondono un senso di durezza e di abbandono. Il poeta si scuote dall’iniziale immobilismo e inizia a camminare, osservando i movimenti delle formiche rosse, unico elemento animato in contrasto con la 7issità dell’ambiente, forse simbolo della condizione dell’uomo condannato ad un lavoro incessante e frenetico; avverte la voce delle cicale rimarcando con l’immagine delle rocce nude l’asprezza e l’aridità del paesaggio che gli sta intorno, mentre il mare che luccica lontano diventa il simbolo di una felicità irraggiungibile. Con amarezza sente che il suo camminare avanti e indietro "lungo la muraglia" rappresenta la vita umana, un continuo andirivieni inutile, monotono e solitario, alla ricerca di quello che non si riuscirà mai ad ottenere, perché il muro impedisce all’uomo di evadere dalla sua dura realtà, fatta di “cocci aguzzi di bottiglia” che stanno qui a simboleggiare il dolore e la sofferenza. Il muro, barriera invalicabile, gli infonde un angoscioso senso di oppressione e di impotenza; il poeta ha la consapevolezza che ogni sforzo dell'uomo per raggiungere la felicità è vano e che l'unico punto fermo della vita è il dolore. Spesso il male di vivere ho incontrato : L’argomento principale che fa capolino dai versi è il dolore, il male di vivere che non risparmia neppure la natura: sia gli elementi inanimati che quelli vivi (come le piante e gli animali) sperimentano il male e la sofferenza. Si nota subito un parallelismo esistente tra le due strofe che aprono la lirica: il poeta utilizza sapientemente alcuni oggetti simbolici per spiegare l’affermazione iniziale: “Spesso il male di vivere ho incontrato“. Nella prima strofa, che corrisponde ad una quartina, il termine principale è “male“; intorno a questo ruotano le immagini: il ruscello che non riesce a scorrere, la foglia inaridita che si accartoccia su se stessa, il cavallo s7inito che stramazza a terra. Nella seconda strofa (anche questa una quartina) il poeta mette in risalto i simboli del “bene”: la statua che si erge silenziosa, la nuvola sospesa nel cielo, il falco in volo in uno spazio inde7inito e lontano. Al “bene” il poeta af7ianca un altro stato d’animo che contraddistingue l’esistenza umana: l’indifferenza. Montale parla di indifferenza attribuendole la maiuscola perché secondo il suo punto vista rappresenta l’unico rimedio al male di vivere. Il restare indifferenti dinanzi alle dif7icoltà e al male della vita permette di non soffrire, adottando il giusto grado di distacco verso gli accadimenti. "era il rivo strozzato che gorgoglia" = correlativo oggettivo e simboleggia il suo stato d'animo.. "era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato"= correlativo oggettivo come una metafora del male. "era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola , e il falco alto levato" = correlativo oggettivo come metafora del bene. Non recidere, forbice quel volto: La poesia “Non recidere forbice quel volto” è una delle più celebri tra quelle composte da Eugenio Montale. Essa fa parte della seconda raccolta del poeta, Le occasioni, precisamente della sezione Mottetti. La lirica fu composta nel 1937. La poesia Non recidere forbice quel volto è composta da due quartine di endecasillabi e settenari. Il poeta è lontano dalla donna amata ma vorrebbe mantenere un vivo ricordo di lei: purtroppo però, il tempo ha offuscato la memoria e questa sensazione viene resa attraverso l’immagine del taglio di cesoie con cui viene potato un albero di acacia. Nella prima strofa il poeta si rivolge alla forbice e chiede di non tagliare il volto della donna amata e di non far diventare il suo viso parte della nebbia che avvolge il ricordo delle persone care. La donna è Clizia, ovvero Irma Blandeis, una giovane americana conosciuta a Firenze nel 1933 e costretta dalle leggi razziali a tornare nel suo paese. La seconda strofa della poesia “Non recidere forbice quel volto” invece evoca un’immagine concreta: la forbice diventa la cesoia del giardiniere che sta potando un’acacia in autunno, mentre il guscio della cicala cade dal ramo e 7inisce nel fango. Il gesto del giardiniere diventa così il correlativo oggettivo che permette all’autore di collegare un momento apparentemente normale, il taglio di un ramo, con la perdita della memoria della donna amata. Secondo Montale, infatti, il poeta deve trovare un oggetto (il correlativo oggettivo) che gli possa servire per rappresentare uno stato d’animo, che diventa universale. L’espressione al verso 5 “il freddo cala” è un punto chiave della poesia: indica proprio che la memoria piano piano viene offuscata e il ricordo svanisce.
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