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Riassunto testo con pura passione di Granese, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto testo con pura passione di Granese

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto testo con pura passione di Granese e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Alberto Granese CON PURA PASSIONE – Dall’”itale glorie” di F oscolo all’”umile Italia” di Pasolini Capitolo I – Foscolo poeta “civile” dell’Unità d’Italia - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - CONTESTO STORICO Allo scoppio della Rivoluzione francese (1789), il giovane Foscolo ha undici anni e trasferitosi da Zante (ove nacque nel 1778) a Venezia (1792), può seguire più da vicino il fermento che prende gli animi più sensibili dell'Italia settentrionale, quando il re del Piemonte, Vittorio Amedeo III, entra nella coalizione europea contro la Francia (1793), seguito successivamente da altri stati italiani (il Papato, la Toscana, Genova e Napoli). Soltanto l’oligarchica e indipendente Repubblica aristocratica di Venezia (che territorialmente comprendeva Veneto, Friuli, Istria, Dalmazia, Cattaro, parte della Lombardia e le isole Ionie) ne rimaneva fuori. Successivamente (1795) le alleanze si scioglieranno, mentre solo il Piemonte rinnoverà i patti con l'Austria a Valenciennes. Nel 1796, nella sconvolta compagine europea, appare la stella di NAPOLEONE , a cui è stato affidato il comando degli eserciti della Repubblica, schierati contro gli Austro-Piemontesi, in Italia. I Francesi, valicate le Alpi, sconfiggono ripetutamente i Piemontesi in una serie di fortunatissime campagne militari (Montenotte, Millesimo, Dego e Mondovì), costringendoli all’ Armistizio di Cherasco (28 Aprile 1796) e alla Pace di Parigi, che segnò per il giovane generale corso la via liberà verso la penisola italiana. Sono poi gli Austriaci a essere ripetutamente sconfitti in più riprese (Lodi, Lonato, Castiglione, Arcale, Rivoli), dopo essere stati cacciati anche dalla famosa fortezza del Quadrilatero: viene poi firmato l'Armistizio di Leoben. Gli Italiani, di fronte a questa travolgente ondata, si esaltano ed accolgono Napoleone, trionfante, come liberatore. A Milano, sgombra dagli Austriaci, viene creato un governo provvisorio - la Congregazione di Stato - composta da molti uomini illustri (tra i molti, l’illustre Parini) ; nelle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio nasce la Repubblica Cispadana (che Foscolo riteneva il primo vero nucleo di una “Repubblica italiana”). Nel frattempo il governo veneziano continuava nel suo atteggiamento di indifferenza innanzi agli importanti eventi, ma le idee innovatrici sono già penetrate nelle menti di molti veneziani (tra cui il nostro Foscolo). Ma il 12 Maggio 1797 la città fu costretta ad arrendersi a Napoleone Bonaparte, mentre il Doge Ludovico Manin fu costretto ad abdicare, il Maggior Consiglio venne sciolto e venne proclamato il democratico Governo Provvisorio della Municipalità di Venezia. Sempre nel 29 Giugno 1797 Napoleone fonda la Repubblica Cisalpina (con capitale Milano) , dotata di una 1 Costituzione modellata su quella francese del 1795. Essa arrivò a comprendere : ■ Gran parte dell’antico Ducato di Milano, del Bergamasco , del Cremonese e del Modenese; ■ La Repubblica Cispadana (Bologna, Ferrara, Reggio, restante territorio del Modenese); ■ Con il Trattato di Campoformio , stipulato con l’Austria ( 17 Ottobre 1797), ebbe il Bresciano, il Mantovano e la Valtellina. Il Trattato di Campoformio ( 17 Ottobre 1797 ) prevedeva, in sostanza, lo smembramento della Repubblica di Venezia, i cui territori veniva spartiti tra Francia, Austria ( che si assicurava il dominio dell’Italia settentrionale) e Repubblica cisalpina : ■ Alla Francia : Lombardia , Emilia , Romagna , Belgio , Riva sinistra del Reno , Corfù , Isole Ionie ; ■ All’Austria : Veneto , Istria , Dalmazia ; ■ Alla Repubblica Cisalpina toccavano Bergamo e Brescia ; Ma la Cisalpina ebbe vita difficile e, nel 1799, si scatenò la reazione. Ripristinata da Bonaparte nel 1800, entrò successivamente a far parte della nuova “Repubblica italiana” (26 Gennaio 1802). 2 3. Una simile carica patriottica hanno gli interventi al “ Il Circolo costituzionale di Milano “ , scritti da Foscolo dopo il trasferimento a MILANO (1797 - 1799) - capitale della neo-costituita Repubblica cisalpina - in seguito agli eventi di Campoformio e gli scritti giornalistici pubblicati (al fianco di quelli di altre illustri personalità) su “ Il Monitore italiano “, che danno un ampio resoconto dei primi, deludenti, mesi del 1798). Molti erano i problemi che vi si affrontavano : ■ La critica all’ accesso di lusso (il cui accesso causa sempre la rovina delle Repubbliche) e la richiesta di tutela degli oppressi e dei poveri,, in una Venezia ritornata ormai sotto il gioco della tirannide: per Foscolo, infatti, in una Repubblica libera e indipendente vanno abolite sia la somma povertà che la somma ricchezza. ■ La critica alla Repubblica Cisalpina, sempre più sottomessa alle direttive francesi che, per Foscolo, avrebbe dovuto utopisticamente rappresentare il fulcro di una compagine statale italiana sempre più unita e salda in cui sarebbero dovute convergere tutte le piccole repubbliche democratiche della penisola. Al Direttorio cisalpino si chiedeva di rendersi conto dei pericoli che minacciavano la giovane Repubblica: soprattutto la dilagante corruzione dell’amministrazione e la debolezza a difendere l’autonomia del nuovo Stato dalle prepotenze dei nuovi dominatori Francesi. “Difesa del Quadro politico di Melchiorre Gioia “ (1798) Con questo articolo Foscolo difese l’economista Melchiorre Gioia , accusato di essere nemico del governo cisalpino. Gioia operò una coraggiosa denuncia contro il progressivo deterioramento della situazione politica italiana, mettendone a nudo i mali e accusando spregiudicatamente il Direttorio di inettitudine: in questo modo, per Foscolo, egli si era reso “utile al popolo”, risvegliandone la sopita diffidenza. 4. Trasferitosi a BOLOGNA (1799 - 1804) Foscolo riprese l’attività giornalistica, collaborando sia a “ Il Monitore bolognese “ che a “ Il Genio democratico “, continuando a mettere sotto accusa la 5 dirigenza cisalpina, la sua corruzione e l’oppressione dei miseri. Gli scritti foscoliani del periodo 1799-1801 sono caratterizzati da una fondamentale sperimentazione stilistica. “Istruzioni popolari politico- morali “ (1799) Discorrendo in generale dei costumi delle antiche Repubbliche, ritorna sul tema dell’indipendenza di un popolo e su quello della validità delle leggi, il cui compito è quello di anteporre il bene comune degli individui al bene dei singoli. “Discorso su la Italia“ ( Ottobre 1799) • Ritorna qui il problema dell’Indipendenza nazionale (rinvigorito dalla partecipazione di Foscolo all’azione militare per difendere Genova assediata). Il poeta invita qui il generale Jean Ètienne Championnet (importante protagonista in Italia della difesa della Repubblica romana e della successiva nascita della Repubblica napoletana) a guidare la lotta per l’indipendenza dell’Italia, assicurandone l’Indipendenza e l’unità territoriale. Tale avvenimento avrebbe senz’altro risvegliato i forti animi, ormai sopiti, degli italiani, che avevano sempre guardato di malocchio la tirannia francese e la corruzione del Direttorio cisalpino. Il Discorso ha una forte carica di progettualità politica. • Caratteristica fondamentale del Discorso foscoliano è il suo dominante registro espressivo : in esso abbondano il frequente uso della paratassi, della spaziatura tra capoversi oltre che il suo carattere sentenzioso e perentorio (scopo del Foscolo è infatti indicare precise linee di tempestiva azione politico – militare). • Il Discorso ha come modello uno dei breviari di istruzioni tattiche più diffusi tra i democratici unitari italiani, i “Conseils aux patriotes cisalpins”di Marc-Antoine Jullien de Paris , che per Foscolo costituirono sempre un importante punto di riferimento. • Si tratta del più grande documento politico e letterario di questo periodo, scritto pochi giorno dopo il colpo di stato di Napoleone (9 Novembre 1799) in occasione 6 “Dedicatoria a Bonaparte “ ( 26 Novembre 1799) della ristampa dell’ode “Bonaparte liberatore”. Si tratta di una prosa esemplare, la cui profondità di pensiero e immediatezza di resa espressiva non sarebbero sfuggite all’attenzioni di tutti i patrioti italiani (soprattutto degli esuli meridionali come Vincenzo Cuoco, Francesco Lomonaco, Francesco Saverio Salfi e Matteo Angelo Galdi). • Con uno stile sia cesariano (perfezione geometrica) che tacitiano (asciuttezza e maestosità insieme), Foscolo riesce ad innalzare alla massima tensione possibile tutte le contraddizioni sue e dei democratici italiani di fronte al condottiero corso: emergono così, in un continuo e ben bilanciato alternarsi di elogi, moniti e minacce, sia l’ammirazione per il suo genio militare che lo sdegno per le sue ambiguità politiche . • Il colpo di stato napoleonico (in un periodo in cui non era ancora stata promulgata la Costituzione consolare dell’anno VIII a struttura fortemente autoritaria e una netta prevalenza dell’esecutivo sul legislativo) non viene visto in un ottica completamente negativa, in un quadro politico in cui ancora non incombeva la volontà dittatoriale del generale corso: Foscolo, rifacendosi alla massima di Solone (secondo la quale l’azione di un despota è necessaria per fondare un apparato repubblicano) era pur sempre consapevole che la rivoluzione d’Italia era opera di Bonaparte e che solo egli poteva essere in grado di garantire la libertà ai popoli e la pace all’Europa. Foscolo ritiene ancora possibile (anzi, necessario) indicare, da patriota e uomo di lettere, proprio a Napoleone (figlio della Rivoluzione francese e sempre partecipe del sangue italiano) onorevoli linee di condotta politica per mettersi al riparo dal giudizio della posteriorità e ottenere “l’immortalità” nei posteri : ■ Restaurare in Italia quella Libertà che egli stesso aveva fondato. ■ Rispettare gli “altissimi ingegni”. • Lo scritto foscoliano aveva posto tutte le premesse delle due direzioni fondamentali della linea politica dell’ala radicale e del movimento democratico e unitario verso il nascente regime napoleonico : ■ Adesione alle eccezionali conquiste del suo genio militare. 7 STRUTTURA - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - • Lettera del 27 Agosto, Firenze : Jacopo si reca a Santa Croce, dove celebra, commosso le sepolture degli uomini illustri (il motivo ritornerà nel carme Dei Sepolcri, 1802). • Lettera del 25 Settembre, Firenze : Jacopo si reca a Montaperti, dove, memore del ricordo dantesco del X Canto dell’Inferno, riflette sulle piaghe prodotte dalle guerre fratricide in Italia. • Lettera del 20 Novembre : la Notte,le tenebre e le stelle appaiono fuggitive dinnanzi alla luce del Sole, che domina l’universo e rischiara le tenebre (per Foscolo è padre e monarca). • Lettera del 4 Dicembre, Milano : Jacopo incontra Giuseppe Parini , colui che per il suo alto valore poetico e morale divenne un vero e proprio mito risorgimentale. Nell’efficacia contrastiva della forma dialogica , emerge ancora più chiaramente il conflitto del protagonista, diviso tra tensione libertaria e difficoltà di realizzazione di un efficace progetto di indipendenza e unità nazionale. • Lettera del 19 e 20 Febbraio, Ventimiglia : sullo sfondo maestoso dei confini d’Italia, Jacopo medita sulla ingiusta sorte toccata all’Italia, ormai priva di unità interna e sopraffatta dall’avarizia delle Nazioni. Ma la riflessione assume qui anche caratteristiche più generali, giungendo a rivelarsi più una universale valutazione della natura degli uomini partendo dalle vicende più emblematiche della storia ( Israeliti e Babilonesi, Greci e Romani), tutte permeate da inestinguibili conflitti. Tali conflitti non fanno altro che confermare la sostanziale infelicità umana. 10 • Lettera del 14 Marzo : si racconta dell’involontaria uccisione di un misero lavoratore, travolto dal cavallo di uno Jacopo forsennatamente sofferente in una Notte tempestosa e terribile. L’episodio si conclude con un magnifico richiamo shakespeariano-sepolcrale ai luoghi dei morti ammazzati, frequentati, secondo la fantasia popolare, dagli spettri. Come si nota onnipresente è la componente ossianico-sepolcrale (che forse segna un passo indietro rispetto alle più lucide meditazioni dei grandi Sonetti): Jacopo esprime il desiderio di essere seppellito, di notte, in un sito abbandonato, senza lapide e senza esequie, sotto una distesa di pini. Ma ancora più importante è la pre-leopardiana invocazione alla Luna che precede questo episodio. Il satellite è così paragonato all’uomo : mentre la prima muore e risorge infinitamente per ogni suo ciclo, all’uomo è concessa una sola morte e mai un ritorno. Frammento della storia di Lauretta : Jacopo incontra per l’ultima volta la sua amata Teresa proprio di sera. EDIZIONE ZURIGHESE (1816) - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - • Lettera del 17 Marzo : in tale lettera (introdotta solo successivamente nella penultima edizione del romanzo), Foscolo inserisce dei passi degli inediti successivi Discorsi della servitù dell’Italia (1812-1813). Lo scritto contiene una profezia sulla caduta di Napoleone (stesa quando l’evento era già accaduto e che poteva benissimo adattarsi anche al clima agitato e convulso degli ultimi anni del XVIII sec.), un’accorata denuncia all’immoralità dei rappresentanti dello Stato (ai quali il giovane Jacopo opponeva il suo carattere fiero e dignitoso), delle riflessioni sulle questioni attinenti all’indipendenza italiana (il giovane lamenta la mancanza in Italia di un vero popolo e di autentici cittadini su cui fondare una Repubblica e di valorosi “nobili” attenti e interessati a difenderla). • Lettera del 13 Maggio: è qui presente una variatio. Jacopo ammira estasiato la volta notturna , in una sublime elevazione dell’anima che nemmeno il Sole è in grado di dare. 11 • Lettera del 21 Maggio: i sentimenti di Jacopo riguardo alla Notte sono ora mutati. Le notti diventano lunghe e angosciose ( poiché gli strappano la possibilità di stare vicino a Teresa) e accompagnate dalle folgori, portatrici di terrore e buio. Le Notti sono ora portatrici di incubi e deliri, squallide e desolanti. • Lettera del 29 Maggio: la Notte diventa il tempo di una ricerca vana, di pianto nell’oscurità più fitta. • Viene poi aggiunta una “ Notizia bibliografica ” (contenente edizioni, traduzioni, verità storica e interpretazioni del romanzo, rapporti con il Werther goethiano) , preziosa sul piano critico ma inattendibile su quello informativo e documentario. È qui racchiusa la vera e propria poetica del notturno, il punto più alto della concezione foscoliana della Notte. Inoltre sempre qui il poeta distingue tra : ■ Il suicidio del suo Jacopo, che avviene in una notte serena e placida; ■ Il suicidio del Werther goethiano, che avviene un notturno burrascoso e tempestoso. 5. Dopo un periodo di soggiorno in FRANCIA (1804 - 1806), dove incontrò il giovane Manzoni, Foscolo ritornò in ITALIA (1806 - 1813) : fu nell’ordine a Milano, a Venezia, a Treviso, a Padova, a Verona (in compagnia dell’amico Ippolito Pindemonte, anch’egli poeta), a Brescia, a Pavia (dove ottenne la cattedra di eloquenza all’Università, ruolo prima di lui ricoperto da Vincenzo Monti e Luigi Cerretti), a Padova, nuovamente a Milano (1804 - 1812), a Piacenza, a Parma, a Bologna e a Firenze (1813). 12 l’Assoluto – avesse un’anima segreta e palpitante, capace addirittura di commuoversi dinnanzi alle miserie umane : è nella notte, insomma, che il poeta capta i segnali provenienti dall’Infinito, proiettando in esso tutte le più alte vibrazioni emotive della sua anima (ritenendo che la Natura è capace di sostituire la colpevole indifferenza dei suoi figli). ■ NEWTON : Universo ordinato secondo leggi matematiche, distante e del tutto indifferente alle cause umane. ■ FOSCOLO : Universo pietoso che commisera le lapidi degli uomini con la luce delle stelle e con le rugiade notturne (immagine prediletta di Foscolo, simbolo di balsamo ristoratore). • Opposizione Luce notturna – Luce solare (Virgilio, Gray) : accanto agli estinti vi sono gli amici che versano “lacrime votive” e, secondo la tradizione funebre degli antichi, accendono a questi lampade sepolcrali. Le urne non obliate, perciò, non sono abbandonate sotto le stelle pietose : la pietas è ora degli amici e dei congiunti che, essendo ben consapevoli che gli occhi dell’uomo morente cercano il sole (calzante metafora della vita che ormai, affievolendosi, fugge via da lui), accendono lampade per illuminare la Notte (che è qui intesa sia come Morte che come il buio della camera sepolcrale). • Diversa dai tragici notturni di Maratona e Montaperti è la descrizione della Notte fiorentina : prorompendo in un grido appassionato, il poeta celebra la città toscana irradiata dai raggi lunari (che sembrano addirittura dare fertilità alle sue valli e alle sue colture), placida e tranquilla, vero centro spirituale e culturale d’Italia. È il magico spettacolo del notturno fiorentino, talmente sublime da distrarre dalle sue mansioni (lo studio e la comprensione delle leggi del cosmo) perfino Galileo, completamente affascinato dal rumore dell’acqua dell’Arno e dalle convalli fiorentine irradiate dalla luce lunare. “Dell’origine e dell’ufficio della Letteratura“ (Gennaio 1809) • Si tratta di un’orazione che Foscolo scrisse e recitò nel Gennaio 1809 presso l’Università di Pavia. • Si tocca il tema della Notte. Dopo un’ analisi piuttosto tecnica (esplorazione dell’ordine delle stelle e delle distanze, delle forze e delle perturbazioni nei moti dei pianeti; diverse rotazioni degli astri), Foscolo giunge al passo di più felice ispirazione poetica : la figura del pastore che saluta il pianeta Venere nella volta notturna , preannunzio del pastore leopardiano del Canto Notturno. Ma il poeta si 15 sofferma anche sulla Luna , oggetto di venerazione degli uomini antichi e punto di riferimento di ogni invocazione. Bellissima l’immagine teocritea della vergine innamorata che confida al satellite il suo desiderio d’amore: si tratterebbe (ma non è sicuro) di una donna reale, Francesca Giovio, la figlia del conte Giovanni Battista Giovio, di cui Foscolo, riamato, si era invaghito. Nel periodo 1812 - 1813 (tra la ritirata dalla Russia e la disfatta di Lipsia, quando il potere napoleonico attraversò un primo serio pericolo di indebolimento militare), a Foscolo sembrò che l’accresciuta gloria del vicerè d’Italia, Eugene Beauharnais, rispondesse a un disegno politico incentrato sulla maggiore autonomia e indipendenza dell’Italia dal sistema imperialista bonapartista (poiché sembrava che costui potesse agire con maggiore autonomia all’interno del Regno). Era questa, dunque, la situazione propizia per riprendere la causa dell’indipendenza italiana (pur sussistendo in Italia ancora un sovrano francese), nonostante altissimo era il rischio che, privata dal dominio francese, l’Italia potesse perdere l’indispensabile difesa garantita solo dal generale corso. È non è da escludere che proprio tale questione sia una delle ragioni dell’incompiutezza delle “Grazie” (alle quali il poeta lavorava proprio in questo periodo, tra Firenze e Milano), poiché stavano ormai svanendo quelle ragioni ideali e politiche immerse nell’età napoleonica di cui Foscolo veniva costantemente nutrito. 6. Foscolo lasciò definitivamente l’Italia (1813 - 1827): visse in Svizzera (1813 - 1816) e poi in Inghilterra (1816 - 1827), dove morì. “Discorsi della servitù dell’Italia“ (1812 - 1813) • Si tratta di un’opera incompiuta, di cui ci rimangono solo alcuni frammenti (purtroppo mai pubblicati), preparati da Foscolo allo scopo di difendersi dalle accuse rivoltegli in seguito al suo intervento per sedare la sommossa milanese del 20 – 22 Aprile 1814. • Caratteristica dei Discorsi è una vibrante denuncia politica e una lucida analisi del fallimento dei progetti di indipendenza nazionale e della delusione di quanti avevano sperato nella costruzione di uno Stato italiano legittimo e sovrano. Foscolo afferma che la causa di ciò sia da attribuire allo smembramento del quadro politico e istituzionale italiano (a cui oppone quello inglese, che il poeta ammira e predilige) ad opera dell’egoismo degli italiani “di ogni setta”. Solo la mediazione dei cittadini (il “popolo” e non la “plebe”) può ricomporre l’infranto equilibrio statale che, per essere risanato, necessita comunque di una “monarchia giusta”. 16 “Le Grazie “ (1812 ) • Opera incompiuta. • Fondamentale è la tematica della Notte con il suo silenzio, attraversato solo dai languidi e morbidi suoni di una musica lontana e ignota, che conquista e rapisce, che fa smarrire i cuori degli amanti (Elettra ; Saffo). • Dinamica unificazione delle esperienze umane di Foscolo con le suggestioni letterarie e gli spunti culturali di altri poeti . “Account of the Revolution of Naples “ (Gennaio 1821) • Questo lavoro, di grande penetrazione storica, viene pubblicato durante l’esilio inglese. • Gli eventi narrati (ovvero la ribellione al potere borbonico e la consecutiva proclamazione della Repubblica napoletana nel 1799) vengono da Foscolo riletti al luce del “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli” di Vincenzo Cuoco e delle drammatiche vicende europee dopo il 1815 : la sconfitta della Repubblica per il poeta è dovuta sia alla perversa convergenza dei “liberatori” francesi (insensibili al processo di autonoma maturazione del patriottismo democratico) sia agli inglesi, in realtà consenzienti alla politica internazionale del legittimismo reazionario (Foscolo ripropone il ruolo dell’Inghilterra negli equilibri europei che, proprio in virtù della sua civiltà liberale, doveva necessariamente rispettare il diritto dei popoli, soprattutto dei più deboli). • La novità dello scritto foscoliano consiste nell’ andare oltre il quadro napoletano e di rendersi conto che, mancando una vera e propria ridefinizione dell’equilibrio europeo, l’Italia non avrebbe mai trovato piena indipendenza e libertà. “Discorso sul testo della Commedia “ • Anche questo scritto fu redatto nel periodo inglese. • Foscolo fu un grande studioso di Dante : in questo saggio, la Commedia viene calata e adattata nel temperamento del poeta e nella cultura, nella civiltà e nella religione d’Italia. Il capolavoro dantesco diviene così un’opera di eccezionale portata innovativa di imprescindibile orientamento ideale e politico. 17 • I modelli prediletti del giovane Foscolo sono i poeti greci e latini e naturalmente la Letteratura sepolcrale inglese. Riguardo a quest’ultima, un’importanza particolare assume l’opera poetica di Edward Young (autore de “Le Notti”). “In morte di Amaritte“ (1796) • In quest’elegia in terzine dantesche, Foscolo ci presenta il poeta Young che, avvolto dal totale silenzio, nottetempo (l’Oscurità è qui personificata con l’iniziale maiuscola) si aggira solitario in un cimitero desolato e cupo allo scopo di piangere il triste destino toccato alla figlia Narcisa. “Le rimenbranze “ (1797) • Anche in quest’altra elegia in terzine dantesche ritorna il lamento di Young per la giovane Narcisa. Qui, come ne “All’ amica incerta” compare anche Eloisa, ora scapigliata ed implorante sulle squallide tombe, mentre la nera Notte invade le desolate campagne cimiteriali. • La personificazione delle ore notturne (le Ore), negre e taciturne e portatrici di orrore assume per il poeta una valenza totalizzante : la Notte ha il potere di annichilire ogni cosa, di ghermire il creato fino a divenire immensa. È questa una lezione che il Foscolo desume da illustri modelli : ■ “La Croce“, un capitolo in terzine composto della Lirica Sacra del Settecento per ascendenze bibliche. ■ “Visioni“ del drammaturgo e poeta Alfonso Varano. ■ “Bassvilliana“ di Vincenzo Monti. 20 “Al Sole “ (1796 - 1797) • In questi versi sciolti (forse i migliori di questo biennio), Foscolo ripropone dei motivi che ritorneranno nelle successive riflessioni di Jacopo Ortis, come quello del Sole come fonte di vita (“Dei Sepolcri”). • Forse proprio in questo periodo matura in Foscolo una concezione più complessa della Notte : la Notte, simbolo di un caos originario e primitivo, è ora una visione più vicina al Natural Sublime settecentesco e sempre ispirata a profondi motivi autobiografici. È una dimensione talmente oscura e appagante che è capace di accogliere nel suo protettivo grembo tutti gli esseri viventi (di qui trova appagamento il desiderio umano di immergersi e confondersi nel buio del Tutto) e perfino di oscurare i raggi solari. 3. Arrivano poi i dodici sonetti maggiori (1798 - 1803). “Forse perché della fatal quïete“ (1798) • Il sonetto incipitario fu composto mentre Foscolo traduceva il De rerum Natura di Lucrezio. Ma, oltre al poeta latino epicureo, anche altri generi e tradizioni letterarie forniscono al poeta preromantico delle importanti suggestioni letterarie a cui attingere. • Il lavoro porta alle estreme conseguenze le riflessioni di Foscolo e le immerge in 21 versi di altissima potenza espressiva , che le portano a raggiungere punte espressive sempre più alte. Ne risulta uno dei sonetti più riusciti, se non il migliore in assoluto, per poeticità, profondità di pensiero e musicalità, modello esemplare di equilibrio formale : ■ Movimento ampio delle quartine ; ■ Drammatica concitazione delle terzine: in esse, col placarsi dello spirito, il tormentato poeta (la cui meditazione sul nulla eterno mette in dubbio la quiete serale) riesce infine a riconquistare la tranquillità serale. • Effetto cosmico della vastità e immensità della Notte : per Foscolo totalizzante è la dimensione notturna con la sua incombente mestezza e sublimità (la sua visione della Notte andava sempre più maturando e stabilizzandosi). Sotto l’influsso di Lucrezio, Foscolo presenta la “cara” sera come immagine della morte che, per il poeta latino, non può incutere timore perché simile al sonno: solo l’assenza della sofferenza fisica e la tranquillità interiore producono il piacere, fine ultimo a cui l’uomo deve tendere. In tal senso nemmeno il nulla eterno può incutere timore, poiché si può immaginare come un’ immensa estensione temporale sia prima che dopo la morte, verso cui precipita l’esistenza umana allo scopo di trovarvi pace assoluta. “All’amica risanata “ (1802) • Si ha qui un movimento oscillatorio (simile a quello degli sciolti “Al Sole”): ■ All’inizio la luce solare risplende sulla terra e sul pianeta Venere, illuminando la bellezza femminile rinata, mentre la notte della malattia appare ormai fortunatamente sconfitta. ■ Alla fine è proprio la brezza notturna che, con il suo dolce spirare sulle onde, diffonde una musicale aura poetica. 22 “Ajace“ composizione : 1810 - 1811 messa in scena : 9 Dicembre 1811 pubblicazione : 1828 tutta quest’epoca, affrontando in una sua celebre lettera (“Lettera apologetica”) uno dei problemi fondamentali della sua riflessione : il rapporto tra potere politico e letterati , sempre ribadendo il suo orgoglioso dissenso di intellettuale verso il sistema napoleonico. Pur mantenendo un duro giudizio di fondo su Napoleone, ne riconosce comunque i meriti politico-militari e opera una netta distinzione tra lodi (che certamente gli dovevano essere tributate) e le false adulazioni degli uomini di cultura e dei ceti dirigenti italiani (incapaci di assumere la guida dello Stato cisalpino dopo la crisi napoleonica. • Foscolo, “nominato” revisore di stile e di lingua delle rappresentazioni teatrali (11 Settembre 1811), si dedica dunque alla composizione della tragedia in V atti di endecasillabi sciolti, messa in scena al Teatro della Scala (9 Dicembre 1811). Il lavoro, censurato perché ritenuto ostile a Napoleone (probabilmente a causa delle insinuazioni dei diffamatori di Foscolo), fu purtroppo ritirato dalle scene e pubblicato solo postumo (1828). • L’argomento è tratto da un Mito particolarmente prediletto dal Foscolo (cantato anche nei Sepolcri) : è la vicenda dell’eroe greco Ajace, al quale l’astuzia di Ulisse e l’arroganza di Agamennone avevano tolto le armi di Achille, costringendolo ad uccidersi per onore. La vicenda si svolge nelle canoniche ventiquattro ore, da un’alba all’altra del giorno successivo. • Nei versi la rappresentazione dell’infelicità umana s’innalza a una dimensione più universale, coinvolgendo tutti i personaggi della famosissima vicenda (le cui caratteristiche fondamentali sono da Foscolo presentate al lettore nella famosissima “Lettera a Silvio Pellico” del 23 Febbraio 1813) e aprendo la strada a diverse allusioni politiche : ■ Agamennone ( Napoleone Bonaparte ) : non è mai sazio di dominio e colpevole di aver scatenato interminabili guerre. Personaggio contraddittorio, che non riesce a dimenticare la sua “altezza di cuore”, per la quale fu un tempo salutato dai Greci come liberatore e difensore dei popoli. ■ Ulisse : è il personaggio assolutamente negativo dell’opera, violento e perfido nell’ambizione. ■ Calcante (è il Papa) : le parole che egli rivolge ad Agamennone fanno presagire le luttuose campagne napoleoniche. ■ Ajace (è il valoroso e sventurato generale Jean Victor Moreau) : è un 25 personaggio estremamente orgoglioso e lucido sino all’ultimo istante di vita, che (a differenza di quello sofocleo che, impazzito per il dolore causato dalla perdita delle armi di Achille, massacra una schiera di greci scambiandola per una mandria di armenti e, rinsavito, si uccide per il disonore) è prima di tutto un eroe virtuoso , un tenace guerriero dalle grandi doti. Altra sua fondamentale caratteristica è il suo profondo pessimismo tragico : Ajace è l’eroe incompreso nella sua solitaria grandezza e, perciò , escluso dalla comune e normale imparzialità della giustizia. ■ Tecmessa : schiava di Ajace e madre di suo figlio Eurisace. Figura modellata sulle classiche eroine euripidee piuttosto che sull’omonimo personaggio sofocleo, è portatrice della forza civile del pudore e della compassione. Personaggio dolce e patetico, Tecmessa è invasa alla fine da un pacato delirio , da Foscolo evocato con versi dal grande impatto emotivo (preludenti alla grande poesia delle “Grazie”). ■ Didimo : è la personificazione di Foscolo. • Come si può facilmente intuire, tutti questi componenti implicano una serie di molteplici piani di lettura : pur seguendo il modello di Vittorio Alfieri, nonostante le raccomandazioni alfieriane di brevità, la tragedia foscoliana è lunga e permeata di dialoghi scarsamente incisivi (in cui spesso si possono ammirare versi di grande eloquenza ma non sempre funzionali al ritmo teatrale dell’azione). Ispirata anche ad altri illustrissimi modelli classici (tra i molti, soprattutto Sofocle, Omero, Pindaro e Ovidio), l’opera contiene versi scanditi da un ritmo robusto e solenne, modulati da una ricca varietà tonale (propria della tragedia classica greca), che muta a seconda della situazione scenica in cui si trovano i personaggi dialoganti (epica, narrativa, didascalico-alessandrina, lirica e altri toni). Presenti anche numerosissime autocitazioni (soprattutto in merito alla poesie civile). • Ritorna ancora il tema foscoliano della polisemia della Notte ( la cui importanza è sottolineata nella tragedia da Ulisse) che, a seconda del contesto del discorso in cui si innesta, assume diversi significati (ma tutti comunque ruotanti attorno a un asse centrale, costituito dall’idea originaria espressa fin dalla produzione giovanile e sempre ricorrente) : ■ È la notte mortale : le armi di Achille dovrebbero essere assegnate al 26 condottiero greco più abile nel guerreggiare i Troiani, infliggendo loro il più alto numero di perdite durante una battaglia notturna (è questo un richiamo analogico tipico dell’immaginario foscoliano). ■ Rappresenta una dimensione antropologica : l’astuto Ulisse se ne sta nascosto nella notte, ovvero nel groviglio oscuro ed imperscrutabile delle sue macchinazioni e dei suoi inganni allo scopo di assecondare i suoi desideri di conquista e potere. ■ Dicotomia Notte - Oblio: nuovamente emerge il fondamentale binomio concettuale già incontrato nei Sepolcri e nel sonetto Che stai ? Sono i topici motivi dell’andare errando nella notte e della morte violenta e dell’esule tomba. “Ricciarda“ composizione : Settembre – Giugno 1813 messa in scena : 17 Settembre 1813, Bologna stampata : Londra, 1820 • La tragedia, ambientata nella Salerno altomedievale, rappresenta il dramma della protagonista (Ricciarda appunto), combattuta tra il rispetto filiale (per il padre Guelfo, signore di Salerno, assediata dall’ ingiustamente spodestato fratello Averardo) e l’amore (quello per Guido, figlio di Averardo e nascosto nella cripta del castello, dove si trovano le tombe di famiglia). Il dramma si conclude con il suicidio di Guelfo che, prima di togliersi la vita, uccide Ricciarda. • Nel clima sepolcrale di un Medioevo di maniera, Foscolo (con la grande tensione emotiva dei suoi versi) affresca scene drammatiche a tinte cupe e notturne (le lugubri lapidi su cui aleggia un’ inesorabile aura di Morte; il topico motivo funebre della tomba come letto nuziale). • La Notte, da dimensione quieta che protegge dai pericoli (il monologo di Guido che, nel primo atto, nascosto tra le tombe sotterranee del castello, aspetta la fugace visita dell’amata) diventa foriera di distruzione e morte (lo scontro cruento degli eserciti e dei loro generali; la morte di Ricciarda; il suicidio di Guelfo), apocalitticamente identificata con l’ira divina o talvolta semanticamente associata a una dimensione psicologica (una lunga notte infernale, shakespeariana, gravida di tormenti e terrori e di terribili folgori). È il buio assoluto della Notte che mette in moto le emozioni del poeta (nella cui dimensione il poeta può attingere al Bello, perfino al SUBLIME) e non la luce 27 “Delle vicende e della rigenerazione de’ teatri“ stesura manoscritta : 1797 - 1798 stampa : Luglio 1798 compito di preparare il popolo alla ripresa dell’attività rivoluzionaria e democratica (che potrà avvenire solo attraverso una completa rigenerazione etica e politica). Il teatro, poiché ha una funzione educativa, ha anche una sua precisa valenza politica: esso (insieme al giornalismo e alla milizia pubblicistica) è un potentissimo strumento per organizzare il consenso intorno alla nuova repubblica democratica e agli ideali patriottici e rivoluzionari (i cui valori forse non era ancora troppo tardi realizzare nel periodo 1797-1798, prima della svolta autoritaria di Trouvè). • Galdi respinge le teorie di Rousseau riguardo al teatro : quest’ultimo riteneva, infatti, che le istituzioni teatrali fossero fonti di nuova corruzione. Ma, per Galdi, non bisognava confondere i teatri quali erano (certamente viziosi e corrotti) da come dovevano essere: Galdi presenta il modello di un colto Teatro Nazionale su modello della cultura greca e romana (età repubblicana), istitutore dei cittadini e fonte della migliore morale. • Modelli prediletti sono le tragedie antiche, superiori alle moderne perché hanno acquistato grandezza e sacralità col passare del tempo: gli argomenti antichi sono più originali, perché più originali i fatti stessi ; la struttura del dramma antico è produzione dell’ingegno del poeta, il cui scopo è quello di aderire fino in fondo allo “spirito del teatro”, attingendo a un vasto campo di precetti morali e di sentenziare espressioni cui potrà poi anche operare tagli o ampliamenti (essendo avvenimenti antichi e lontani nel tempo). • Il Teatro e la Musica, per Galdi, sono elementi catartici della società, servono a purificare l’uomo dai suoi squallori e dalle sue sozzure (che lo scrittore denuncia magistralmente, grazie a una scrittura densa e veloce, accostando mirabilmente l’eloquenza classica mista all’eloquenza giacobina e rivoluzionaria). 30 1797 – 1798 : Galdi si proponeva di rilanciare la sua iniziativa politica in senso più accuratamente democratico. Aveva, nel frattempo, avuto alcuni allarmanti segnali dell’inizio del deterioramento della situazione. Seconda metà 1798 : Galdi assiste ad una situazione sempre più vicina ad una crisi costituzionale (che sarebbe potuta culminare in una definitiva emarginazione dell’ala più radicale del giacobinismo italiano). 1798 - 1799 : la crisi raggiunge il culmine. Gli eserciti austro-russi entrano vittoriosi a Milano (28 Aprile 1798) e, di lì a poco, cade la Repubblica Napoletana. Questi eventi chiudono in Italia tutta l’esperienza politica e costituzionale del triennio repubblicano (1797 – 1799), aprendo la strada a un aspro periodo in cui vige un clima di soppressione : ■ Viene soppresso “Il Monitore italiano” (al quale collabora anche Foscolo), perché contenente sferzanti articoli denuncianti la corruzione, l’eccessivo lusso e l’inettitudine del Direttorio cisalpino. ■ Melchiorre Gioia pubblica il “Quadro politico di Milano” (Giugno 1799) e viene accusato di aver minacciato la caduta della Repubblica. Riguardo a ciò, Foscolo (a cui Gioia chiede un intervento difensivo) dirà che Gioia non minacciò la caduta della Repubblica ma ne svelò coraggiosamente i mali , tacciando coraggiosamente i governanti di inettitudine, ignoranza e puro interesse egoistico. Egli ebbe dunque il merito di aver risvegliato la diffidenza del popolo (che è la “sentinella della libertà”). ■ Settembre 1798: l’ambasciatore Trouvè elabora ed impone alla Cisalpina una nuova Costituzione a base antidemocratica: limitazioni del diritto di voto, del potere legislativo e della sovranità popolare; la discriminazione dell’ala “unitaria” giacobina” 31 2. Francesco Saverio Salfi (1759 - 1832) 1796 : sul “Termometro politico della Lombardia”, Salfi (intellettuale calabrese, esule meridionale a Milano) aveva affrontato il problema del teatro patriottico e, a Brescia (1797), aveva partecipato al piano governativo di democratizzazione dei teatro : essendo il teatro uno degli aspetti primari dell’istruzione pubblica e scuola di costume e morale , può nascere e svilupparsi solo in uno Stato assolutamente libero (poiché i regimi tirannici hanno corrotto questa nobile istituzione, trasformandola in una mera manifestazione servile). Inoltre ogni governo deve avere la sua forma di teatro corrispondente. Nelle Repubbliche greche il teatro era uno spazio moralizzante e onnicomprensivo, aperto a ogni classe sociale e dal carattere polivalente (si esibivano gare di talenti poetici, artici, ginnici; ospitavano illustre personalità; distribuivano premi a coraggiosi atleti). “Pausania“ scrittura: 1798 – 1800 (Milano, Marsiglia, Lione) • Lo scritto, insieme a quelli di Lomonaco (Rapporto al cittadino Carnot) e Cuoco (Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli), si colloca all’inizio di tutto quel grande dibattito costituzionale (1800-1801) che avrebbe caratterizzato e assorbito tutto l’impegno militante del movimento unitario e democratico. ■ Lomonaco, Cuoco : scelgono la forma aperta e diretta dei fatti narrati e della proposta politica. ■ Salfi : affronta il problema con il linguaggio cifrato della fabula allegorica. • Tragedia direttamente ispirata alle opere alfieriane di libertà, fu composta a Milano nel 1798 (nel periodo in cui i rapporti tra la Repubblica Cisalpina e Napoleone erano ormai diventati complessi e contraddittori) e completata nel 1800. La tragedia fu l’unico dei lavori salfiniani a vedere la stampa ed è importantissima (al dì là della 32 imporre anche in Italia una subordinazione politico – militare simile a quella francese. • Se l’ autore avesse seguito la vera e propria vicenda storica (narrata da Tucidide e da Cornelio Nepote), la morte di Pausania (murato vivo dai concittadini spartani all’interno del tempio in cui si era rifugiato per sfuggire alla loro ira) sarebbe stata quella di un traditore della Patria, coperto sempre di infamia. Nel dramma salfiano,invece, il reggente spartano – proprio quando sua madre Teane gli mostra la gloriosa spada di Platea, sulla quale tempo prima egli aveva giurato di difendere ad ogni costo la Patria –, schiacciato dai sensi di colpa e dai peccati di spergiuro e tradimento, sceglie la nobile via del suicidio, suprema autopunizione esemplare: oppresso dal proprio insopportabile rimorso (motivo fondamentale del dramma, negli ultimi versi ossessivo e martellante, che diventa lo specchio deformante del vizio), Pausania sceglie la strada del pentimento e si toglie la vita. Egli diviene vittima sacrificale e , attraverso questo tipo di morte, si purifica e si riscatta. E tanto grande è il rimorso rispetto al crimine commesso da richiedere, attraverso il pentimento, la pietà e infine il perdono. La scelta del suicidio è densa di implicazioni strategiche, poiché contiene in sé la delicata realtà politica della Milano napoleonica della seconda Cisalpina: fuor di metafora, Salfi vuol dire che un uomo grande, in cui gli ideali di Libertà e di Patria sono innati ed inestinguibili, non può totalmente rinnegarli e, perciò, può riportare nuovamente le sue eccezionali capacità al loro servizio (cosa che avrebbe dovuto fare anche Napoleone, recuperando quegli ideali rivoluzionari e giacobini a cui era stato educato e ponendole al servizio della democrazia). Pausania è l’ultima severa espressione del Giacobinismo italiano (indispensabile premessa alla formazione di una salda coscienza politica, democratica e unitaria che ci avrebbe condotto al Risorgimento e, dunque, all’Indipendenza nazionale), la tragedia della fine di un’epoca (il triennio repubblicano, eccezionale avanguardia per la diffusione di grandi valori e prese di coscienza), ma sempre infarcita della speranza di un futuro migliore nel segno della sognata indipendenza e unità. 35 “Trenta tiranni“ opera inedita • È una tragedia di argomento greco, conservata ancora manoscritta e, dunque, inedita. • Si tratta di un’interpretazione in chiave allegorica della lenta agonia della prima Repubblica Cisalpina. “Plateesi“ opera inedita • Si tratta di una tragedia, anch’essa destinata a rimanere inedita, che rappresenta le drammatiche vicende napoletane del 1799. 3. Francesco Lomonaco (1772 - 1810) Patriota lucano di grandissima importanza, a Napoli si accostò al gruppo dei giacobini e alle idee filosofiche del Condillac (che ispirarono più tardi il suo saggio “L'analisi della sensibilità“ (1801) e nel 1799 aderì alla Repubblica Napoletana, sostenendola con una pubblicistica vivacemente democratica. Esule in Francia con la restaurazione borbonica, Lomonaco presentò a L.N. Carnot il suo “Rapporto sulle segrete cagioni e su' principali avvenimenti della catastrofe napoletana “ (pubblicato più tardi), assai polemico contro i Borboni, nel quale era affrontato complessivamente il problema della Libertà italiana, che soltanto l'unità e l'indipendenza nazionale avrebbe potuto procurare. Trasferitosi a Milano, la fama del “Rapporto” e delle “ Vite degli eccellenti italiani “ (1802) gli fece avere dal governo l'incarico di scrivere le “Vite dei famosi capitani d'Italia “ (1804 - 1805) e una cattedra nella Scuola militare di Pavia. Le idee democratiche di Lomonaco , ribadite nei “Discorsi letterari e filosofici “ (1809), finirono per alienargli le simpatie del governo. Morì suicida. • In quello che è un vero e proprio dramma storico (vi si affronta il problema della Libertà italiana) , Francesco Lomonaco sottolinea una fondamentale antitesi : 36 “Rapporto al cittadino Carnot“ Agosto – Ottobre 1800 ■ I tiranni : gli imbelli tiranni e gli intriganti cortigiani, tenebrosi artefici del male. ■ Gli eroi della rivoluzione e della libertà. • I nomi tipici del mondo greco e romano sono da Lomonaco associati a personaggi contemporanei, a cui sono accumunati da particolari aspetti morali e politici. Anche in questo caso Lomonaco distingue i perfidi despoti (Ferdinando IV dagli eroi repubblicani e dai martiri della repressione. 4. Vincenzo Cuoco (1770 - 1823) Storico e uomo politico. Fondatore del “Giornale italiano” (1804), a Napoli ricoprì importanti cariche sia durante il regno di Joaquin Murat sia dopo il ritorno dei Borbone. Influenzato da Gianbattista Vico, nel suo “ Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 “ (1801) criticò l'astrattezza dei patrioti napoletani che si erano ispirati all'esperienza rivoluzionaria francese non prendendo in considerazione la realtà napoletana e le concrete aspirazioni del popolo. “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 “ • Il saggio narra gli eventi accaduti a Napoli tra il Dicembre 1798 (fuga in Sicilia di re Ferdinando I di Borbone ) e la caduta della Repubblica Napoletana, comprese le rappresaglie che ne seguirono la fine. • L’opera conobbe un vasto successo (fu presto tradotto anche in tedesco) e andò abbastanza rapidamente esaurito, tanto da spingere l'autore - anche per scoraggiare i tentativi di ristampa abusiva - a porre mano ad una nuova edizione ampliata, che vide la luce nel 1806. Nel 1807 il saggio fu tradotto anche in Francese (quasi contemporaneamente ad analoga traduzione del "Platone in Italia"). 37 La riflessione dell’autrice Marguerite Yourcenar riesce a illuminare efficacemente il rapporto della modernità letteraria con i miti e gli archetipi dei classici della civiltà greco-romana. Il punto di vista moderno oscilla tra tre fondamentali tendenze: ■ Tendenza a spiegare razionalmente il Mito; ■ Subordinare il tempo ciclico del Mito a quello lineare della storia (pur subendone l’indiscutibile fascino); ■ Tendenza ad accettare la sostanza astorica e metastorica del Mito (poiché portatrice di valori densi di una verità originaria e allusivo specchio all’ambiguità del reale); Edipo ( Οἰδίπους ) IL MITO : Eroe greco del ciclo tebano e nominato già in Omero, Edipo è protagonista del poema ciclico perduto Edipodia; ma la sua leggenda è nota soprattutto dall’Edipo re e dall’Edipo a Colono di Sofocle e dalle Fenicie di Euripide. Nato da Laio re di Tebe e da Giocasta, fu dal padre esposto sul monte Citerone, con le caviglie trafitte (donde il nome: «dai piedi gonfi»), per scongiurare l’avverarsi della profezia dell’oracolo di Delfi secondo cui il giovane lo avrebbe ucciso. Alcuni pastori di Corinto trovano Edipo sul monte e lo portano al loro re, Polibo, alla cui corte il giovane resta, credendo di esserne figlio (in un’altra versione, Edipo è gettato in mare o a Sicione o a Corinto ed è trovato da Peribea, moglie di Polibo). Un giorno, recatosi a interrogare l’oracolo di Delfi, gli viene predetto che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Atterrito, si allontana da Corinto e va nella Focide, dove, in seguito a un litigio sulla precedenza in uno stretto varco, uccide il vecchio Laio. Prosegue poi verso Tebe e, sciogliendo l’enigma propostogli dalla Sfinge - un terribile mostro che insediava la città - libera i cittadini dal pericolo, ottenendo in ricompensa il regno e la mano della regina Giocasta. Nella versione più antica, la scoperta dell’incesto segue subito alle nozze con Giocasta. Dopo il suicidio di questa, Edipo sposa Eurigania, ne ha figli, muore in guerra ed è seppellito a Tebe. Nella leggenda più recente, invece, convive a lungo con la madre e ne ha quattro figli: Eteocle, Polinice , Antigone, Ismene. Scoppiata poi una pestilenza e imponendogli l’oracolo di ricercare l’uccisore di Laio, viene a conoscere la verità. Allora, inorridito per il folle gesto, si acceca e dai figli stessi e da Creonte, fratello di Giocasta, viene cacciato dalla città. Accompagnato da Antigone, erra per la Grecia finché, giunto nel demo attico di Colono, sparisce agli occhi della figlia e di Teseo. 40 • In Sofocle, Edipo va alla costante ricerca delle sue origini, scavando a fondo nella sua coscienza per conoscere il mistero originario dell’esistenza (l’attività razionale è centrale ). • È stata da molti spesso definita una tragedia “sfingea”: a mettere in relazione Edipo con una Sfinge (che rappresenta l’Über-Ich, il Super Io, del personaggio ) sarà Hugo von Hofmannsthall in un suo celebre dramma (“Edipo e la Sfinge”, 1904), in cui il protagonista, dominato dalle pulsioni dell’Es, è ossessionato da un sogno, che è figura del parricidio e del sacrilego incesto. • In Pierpaolo Pasolini, vi è il rifiuto dell’attività razionale : poiché l’elemento inconscio tende ad abbassare la componente intellettuale, viene nel film eliminata la soluzione dell’enigma ella Sfinge. Antigone IL MITO : Antigone è figlia del tebano Edipo e di sua madre Giocasta (o ,secondo la più antica tradizione, di Eurigania). Giovinetta accompagna, con Ismene, il padre cieco nel suo esilio. Dopo la miracolosa scomparsa di Edipo, 41 ( Ἀντιγόνη ) torna a Tebe per mettere pace tra i fratelli in lotta. Nell’Antigone di Sofocle dà sepoltura a Polinice, sfidando il divieto del tiranno di Tebe, Creonte, che la condanna a essere rinchiusa viva in una caverna, dove essa si suicida. Sul suo cadavere si uccide il suo fidanzato Emone, figlio di Creonte, che invano ne aveva tentato la difesa presso il padre. Oltre alla famosissima opera di Sofocle, ci rimangono anche alcuni frammenti di una versione composta da Euripide. • Il mito di Antigone è stato da sempre considerato una vicenda cruciale dell’identità politico-culturale del popolo greco. • Antigone, figlia di Edipo (con il quale Sofocle la pone ineludibilmente in contrasto) nell’immaginario letterario moderno incarna la figura eroica della ribelle che si oppone alle leggi della polis, per difendere i sacri diritti della famiglia e della consanguineità. E sarà soprattutto per questi motivi che, nelle epoche in cui si scateneranno violenze ed intolleranze religiose, il mito di Antigone diventerà il paradigma più alto della lotta contro lo strapotere dei totalitarismi. • Fittissima la serie di rifacimenti in epoca moderna e contemporanea ad opera di : ■ Luigi Alemanni (1533). ■ Robert Garnier (1580). ■ Jean de Routrou (1638). ■ Vittorio Alfieri (1783). ■ Hegel : nell’ Estetica, l’Antigone sofoclea viene considerata una delle opere d’arte più perfette di tutti i tempi. ■ Friedrich Hölderlin (traduzione). 42 ■ Gabriele D’Annunzio : la produzione teatrale dannunziana prende avvio dopo un viaggio in Grecia (1895), un’attenta lettura dei classici e un crescente interesse per le nuove scoperte archeologiche. Dopo la composizione de “La città morta” (1898), il poeta pescarese compone una “Fedra”(1909), ispirata a importantissime opere classiche (la quarta epistola delle Heroides di Ovidio e, soprattutto, la Phaedra di Seneca). La Fedra dannunziana non è propriamente tragica: non è reticente ma conosce ed esprime il suo desiderio , fa affiorare totalmente il represso ed esprime liberamente la sua libido. Medea ( Μήδεια ) IL MITO : è questo uno dei grandi miti, immortalati dalle tragedie di Euripide (il primo che lo fece conoscere all’immaginario occidentale) e Seneca. Dopo la felice conclusione dell'impresa, gli Argonauti sono tornati in Grecia con il Vello d'oro e Giasone, capo della spedizione, ha portato con sé Medea, figlia di Eeta, re dei Colchi, con l'intenzione di vivere a Iolco; tuttavia la principessa colchide, per punire Pelia, zio di Giasone e usurpatore del regno di Tessaglia, con le sue magiche arti ha indotto le sue figlie a ucciderlo. In seguito a questo crimine, che si è aggiunto alla morte violenta del fratello Apsirto durante il viaggio di ritorno con la nave Argo, Medea, Giasone e i due figli (Mermèros e Feres) hanno trovato rifugio a Corinto. La tragedia si apre con un lungo monologo della nutrice Nosside, uscita dalla casa per sfogarsi con il Cielo e la Terra, perché angosciata dalle condizioni psicofisiche della padrona e timorosa in pari tempo della tremenda reazione, che potrebbe scaturire dal ripudio di Giasone, il quale all'improvviso ha deciso di sposare la giovane figlia del re Creonte. L'entrata in scena del Pedagogo, che riporta in casa i figli della padrona, aumenta i timori della Nutrice, che viene informata della decisione del re di Corinto di mandare in esilio Medea e i ragazzi. Dall'interno del palazzo si sentono le maledizioni urlate a 45 piena voce della protagonista, ma quando viene fuori, invitata dalle donne corinzie, che formano il Coro, lei appare inaspettatamente lucida e calma; anzi a conclusione del suo discorso ne chiede la solidarietà per il suo progetto di vendetta e il silenzio. Nel frattempo arriva Creonte per comunicare personalmente la decisione di scacciare Medea e i figli dalla città, però, il re si lascia convincere a rinviare di un giorno l'esecuzione del bando, senza prevedere i rischi per sé e per la giovane figlia. Durante un violento contrasto verbale Medea rinfaccia a Giasone il suo indispensabile aiuto per la conquista del Vello d'oro e il ruolo avuto nell'uccisione del nemico Pelia. Da abile oratore l'interlocutore ribatte alle accuse, offrendole soltanto una somma di denaro e la possibilità di avvalersi dell'accoglienza di quelli legati a lui dal vincolo di ospitalità. Sulla strada di ritorno da Delfi, in modo inatteso, giunge a Corinto il re ateniese Egeo, al quale la protagonista strappa la garanzia di un asilo sicuro. Forte di questa promessa e fingendo una riappacificazione, Medea manda a chiamare Giasone per chiedergli di acconsentire ai figli di portare i doni nuziali alla novella sposa in modo da implorarne la protezione. Durante il lungo monologo successivo opposti sentimenti lacerano l'animo della protagonista, che, nonostante il disperato amore di madre, decide di completare la vendetta, uccidendo i propri figli. Dopo l'accettazione dei regali intrisi di veleno, torna il Pedagogo portando la notizia che ai ragazzi è stato revocato l'esilio. Successivamente arriva un messaggero per annunciare il modo crudele in cui sono morti la principessa e il padre Creonte, che era sopraggiunto in soccorso. Informata della morte dei nemici, Medea può completare la vendetta all'interno della casa, nel corso dell'unica breve assenza dalla scena. Giasone, arrivato di corsa per salvare i figli dalla ritorsione dei Corinzi, viene informato dal Coro dell'ultimo orrendo delitto. Mentre sta per abbattere la porta sbarrata della casa, in alto compare a sorpresa Medea sul carro alato del Sole, dove si trovano anche i cadaveri dei ragazzi. Nel corso dell'ultimo scontro verbale la protagonista e Giasone si attaccano l'un l'altro arrivando agli insulti; alla fine, però, a Giasone non rimane altro da fare che invocare Zeus a testimone dei crimini compiuti da Medea e maledire il proprio destino. Medea è un grande personaggio del teatro tragico, forse uno dei più grandi: un personaggio inquietante, i cui valori sembrano non appartenere al mondo umano. 46 ■ Euripide : è una creatura femminile in cui passionalità e razionalità non sono dissociati, personaggio duttilmente razionale ma, nel contempo, anche dominata dagli istinti. ■ Seneca : la trasforma in una maga straniera, empia e malefica. ■ Albrecht Dihle : compie una tripartizione in macrocategorie dei testi che hanno trattato, attraverso i secoli, il mito di Medea. Anche se questa risulta essere solo una mera riduzione orientativa, non significa che sia del tutto adeguata per comprendere la natura delle varie Medee che furono composte nel corso del XX sec (anche perché il più delle volte i tre motivi che caratterizzano la protagonista si legano e fondono indissolubilmente tra loro). • Le opere che hanno rappresentato una Medea sovrannaturale , un essere divino o demoniaco. • Le opere che hanno rappresentato una Medea barbarica , la donna dall’ ”alterità esotica” che non riesce ad integrarsi nella nuova civiltà. • Le opere che hanno rappresentato una Medea innamorata, vittima delle pene d’amore e del tradimento di Giasone. ■ Cesare Pavese : nel suo dialogo “Gli Argonauti”, appartenente alla raccolta “Dialoghi con Leucò” (1947), lo scrittore presenta un ormai vecchio Iasone che, discorrendo sull’Acrocorinto con la giovane Mèlita, ricorda l’avventura argonautica e vede le navi lasciare il porto. Pavese (come Pasolini) è interessato al vitalismo selvaggio del mito ancestrale (non ancora contaminato dall’irresponsabile ferocia dei “nuovi” dèi olimpici), vuole andare oltre il testo classico letterario , collegandosi direttamente con la fonte del mito olimpico al fine di recuperarne il fascino sacro e arcano. 47 • Glauce : la sua morte è da Pasolini “bipartita”, attraverso la divisione in due macrosequenze : ✓ Attraverso l’elemento della visione, Pasolini presenta allo spettatore la versione euripidea della morte di Creusa : la principessa muore avvolta dalle fiamme, scatenate dagli incantesimi di Medea. Essendo questa una proiezione immaginativa di Medea, è legata al suo mondo magico. La “morte per maleficio” è un dato del solo mito. ✓ Nella realtà dei fatti, invece, la fanciulla muore lasciandosi cadere dall’alto delle mura della reggia, in presa alle irrefrenabili pulsioni di Thanatos . Glauce è un personaggio innocente che si nega la vita dinnanzi ai drammatici aspetti esistenziali (perché dalla loro mole schiacciata), una giovinetta dalla psiche ancora infantile, tormentata ed angosciata da un male antico. • Intendendo risalire alle radici antropologiche della tragedia greca, Pasolini o rende più arcaico il testo euripideo (lo riporta alle origini rituali) oppure lo modernizza con delle aggiunte psicologiche (come si vede nella parte realistica). • Importantissima l’antitesi visiva tra : ✓ Medea ( il mondo barbaro ): rappresenta il mondo primitivo e violento, magico, sacrale. Essa è ancora immersa in una realtà arcaica, regolata da un tempo ciclico e rituale, nella quale, un giorno, improvvisamente giungono gli Argonauti a portare la loro concezione razionalistica e lineare della storia. Medea è un personaggio dominato da una dirompente forza erotica, distruttiva e violenta, quasi sovrumana. ✓ Giasone ( il mondo “moderno”) : rappresenta il mondo pre-borghese e razionalistico della civiltà moderna, che ha completamente rimosso da sé il sacro. Gli Argonauti arrivano nella patria di Medea, la Colchide, portando una concezione lineare della storia e sembrano comportarsi come una nazionale colonizzatrice (questa la visione “politica” del Pasolini di “Petrolio”). 50 • Pasolini va oltre il testo classico (Omero, i tragici greci, Virgilio, Seneca), ricollegandosi direttamente alla fonte archetipica del mito : egli sembra avvertire che la struttura letteraria classica è solo una delle varianti possibili al racconto mitico, una variabile “censurata” dalla vittoria definitiva degli dèi olimpici. Pasolini (come Pavese) è interessato all’evocazione di una dimensione ancestrale e preolimpica prima ancora che fosse trasformata in Letteratura (celebrando gli eroi di un mondo arcaico e primitivo), al suo vitalismo selvaggio e puro , perché non ancora contaminato dall’irresponsabile ferocia dei “nuovi” dèi olimpici. Si ricerca la fonte originarie del mito olimpico, perpetuo portatore di un fascino sacro e arcano, la sua viscerale ed archetipica forma. La tensione della Modernità a rivisitare il mito è, per Pasolini e Pavese, espressione del tentativo di esorcizzare il proprio smarrimento esistenziale , di ristrutturare la realtà su nuove basi ma, soprattutto, di operare un riscrittura del Moderno attraverso il mito. 51 Capitolo VI – Vocazione artistico - letteraria di Gatto e Sinisgalli Partendo dalla triade junghiana mare – madre – luna, le radici biografiche delle poesie del salernitano ALFONSO GATTO (1909 - 1976) giungono alla finale identificazione della sua opera con la sua città, alla quale si allacciano tutte le sue tappe umane e artistiche : la Salerno degli anni giovanili; la Napoli degli anni universitari, dove stringe amicizia con Persico, Amendola e Ricci; la Milano degli anni Trenta, frequentata da un nutrito gruppo di artisti meridionali, dove il poeta svolge una assidua attività giornalistica e stringe amicizia con Quasimodo, Marotta, Sinisgalli , Sassu e altri importantissimi intellettuali; la Salerno degli anni Sessanta e Settanta, quando presenta alla galleria d’arte il suo “Catalogo”, che raccoglie i pittori più significativi di quel periodo di intense sperimentazioni artistiche (quando il poeta rende nota la sua intima aspirazione pittorica). Per Gatto, la memoria evocante e il melodico flusso dei colori e dei versi hanno il compito di assorbire e diluire lo stimolo emotivo, quel grumo iniziale di sofferenza e fatica che caratterizza la sua prima produzione artistica. L’ispirazione è un coinvolgimento totale di tutto l’essere, sempre presente negli strumenti che l’uomo ha a disposizione (occhi, mani, corpo), e non un evento metafisico. Nei cataloghi ritornano con frequenza due termini, spesso contrapposti come poli estremi : • ENERGIA : è quella vivente della linea, del segno, ritmo unico di “definito e indefinibile”. • SILENZIO : è, a volte, la vera poesia di un opera, la cui inviolabilità l’artista non deve mai tradire. • Ma, spesso, Gatto si lascia andare anche ad allucinanti fantasticherie, espresse con una certa verbosità baroccheggiante o a una fantasiosa retorica. 52 (1962) collegate alle poetiche simboliste europee (soprattutto il Simbolismo francese) : questo cosmopolitismo poetico, che proietta il poeta al di fuori della realtà municipale in cui opera, è una delle componenti fondamentali della sua poetica. • Altro aspetto costante della poetica di Gatto è quello della memoria evocante (evidenti gli influssi di Marcel Proust) : la memoria è involontaria e folgorante evocazione degli attimi trascorsi attraverso le “intermittenze del cuore”, è ricerca del tempo perduto. • Accentuata è anche la componente di “Veggenza”, generalmente associata alla figura dell’artista, possessore di una superiore sensibilità (evidente il riferimento alla concezione del poeta voyant di Arthur Rimbaud), che ha il compito di decifrare la “foresta di simboli” (Charles Rimbaud) ed esprimere l’inesprimibile, nonostante l’inferiorità dei mezzi a disposizione (la parola è insufficiente ad esprimere l’insieme delle segrete e viscerali relazioni tra i multiformi aspetti del reale). La veggenza interiore e l’energia onirica sono acuiti dalla metafora stessa della Modernità, quella della cecità, dell’incapacità di vedere il mondo esterno e naturalistico : venendo meno nell’uomo questa capacità, egli è naturalmente portato a volgere su di sé le sue riflessioni. • Centrale è anche il rapporto poesia - pittura, discipline che condividono la stessa natura e che fondano la loro progressione sul processo di sviluppo del dato memoriale. A tale connessione, ne è associata una seconda, che include anche la musica, la cui supremazia nei versi e nei colori era già stata celebrata da Paul Verlaine. In questo modo, il trinomio poesia – pittura – musica rivela una profonda corrispondenza tra arti e sensi (Baudelaire, Rimbaud). L’arte ha lo scopo di rivelare il desiderio inconscio dell’uomo, quella parte irrazionale dell’Io che si sottrae al controllo della ragione : Gatto vuole che questa sua parte “nascosta” gli sia rivelata proprio dalla sua opera, poichè egli, come ogni artista, aspetta ancora di comprendere a fondo se stesso. L’opera d’arte non deve avere in sé il programmatico e il preordinato, ma l’imprevedibile, il sorprendente, l’elemento innovativo (è il concetto del “mai-detto-prima” di Stèphane Mallarmè). • Fondamentale per Gatto lo shock semantico provocato dall’automatismo fonico dei segni verbali (evidente l’influsso del Surrealismo) : la poetica gattiana è un fatto fisico che, nei suoi risultati, deve poter esistere con una esemplarità naturale. • L’inventore è un naufrago pronto a viaggiare nella sua opera (a cui nessun 55 ordine preesiste) rimettendosi sempre in gioco, è un vagabondo (chemineau) che va oltre il mondo abituale, distruggendone figure e cose, creandone un altro in cui queste vengano percepite nella loro profonda realtà vissuta. L’interesse visivo di Gatto per le arti visive fu costante negli anni. Anche il poliedrico LEONARDO SINISGALLI (1909 - 1981), pur con la sua salda formazione scientifica (entusiastici furono gli studi matematici), nel corso della sua formazione giovanile, aveva avvertito una irresistibile attrazione per la poesia e l’arte : per questo motivo possiamo dire che in questo autore le due culture, quella scientifica e quella artistico – letteraria, si presentano sempre in perfetta simbiosi. Fondamentali le letture di Sinisgalli negli anni giovanili : legge gli “Charmes” di Paul Valèry (raccolta che portava sempre con sé, acquistata a Roma nel 1925), le “Traduzioni delle poesie popolari del Madagascar” di Jean Paulhan , l’ “Inno a Caino” di Giuseppe Ungaretti e molti altri fondamentali testi. Il lavoro più importante di Sinisgalli si svolgerà nell’ufficio pubblicità e propaganda della Finmeccanica , raggiungendo uno dei suoi momenti più alti e celebri nell’ideazione e direzione della rivista “Civiltà delle macchine” (1978). Poichè la rivista non si rivolgeva solo a un ristretto gruppo di intellettuali ma a un pubblico di vario genere, interessato in egual modo alle novità delle due culture (quella scientifico-tecnlologica e l’ artistico-letteraria), essa conteneva scritti di vario genere, finalizzati soprattutto alla chiarezza delle idee (tanto da presentare scritti rigorosi nelle diverse discipline, dalla traduzione e il commento a tutti i capitoli del De bello gallico cesariano sino agli articoli attinenti l’elettronica, l’aeronautica e la missilistica, dalle antologie dei poeti futuristi sino alle applicazioni di statistica matematica all’industria). 56 In un suo celebre articolo, Sinisgalli sostiene una delle sue idea più suggestive: quella di mandare gruppi di bambini in visita alle fabbriche. L’incontro tra l’innocenza e il miracolo del lavoro moderno di officina e cantiere diveniva, così, emblematico ed importantissimo. “Emozione del collaudo“ (Il Mattino , 16 Maggio 1978) • Come nelle creazioni dell’arte, anche nei congegni tecnologici si avverte una particolare sacralità : • Nell’esaminare la costruzioni dei velivoli (quando il poeta si reca in visita presso una Scuola di addestramento a Capodichino), Sinisgalli opera una descrizione che può benissimo adattarsi ad un’opera d’arte più che a una costruzione meccanica. I velivoli, con la loro incredibile sproporzione tra “corpo” e “ala”, inducono il poeta a pensare a quelle presenze stranianti caratteristiche di Franz Kafka. La virtù dei velivoli derivava sì da un’attitudine intrinseca alla materia ma soprattutto dal disegno della forma. “Passione del disegno“ (Il Mattino , 9 Febbraio 1977) • Per Sinisgalli, il disegno è un elemento fondamentale , che più volte nel corso della sua gioventù gli era venuto in soccorso (cosa che, col passare degli anni, la poesia faceva sempre più di rado). Il poeta ne ricorda le continue esercitazioni con elementi di fortuna, biro, matite, pennarelli. “Chi è Maldonado ?“ (Il Mattino , 8 Aprile 1977) • Viene celebrata l’importanza del disegno industriale (industrial design), attraverso un breve ma esauriente profilo di uno dei protagonisti della querelle arte – industria, Tomàs Maldonado, pittore, designer e filosofo argentino. • Maldonado afferma che una scuola di Design ha il compito sia di formare uomini che sappiano creare ed esprimere sè stessi , sia di mostrare la finalità sociale di quella creatività. • Riprendendo il dibattito condotto da Menna, Eco, Fossati, Argan e altri, Sinisgalli afferma che compito del design è quello di correggere la retorica, la faciloneria e il fanatismo dei tempi moderni, di riunire arte e società allo scopo di risolverne l’antinomia. • Poichè il design (e, dunque, il prodotto industriale) non può né deve sostituirsi all’arte, Sinisgalli è portato a esaltare e rivalutare (ma non si tratta di uno sterile rimpianto del passato pre-industriale) il ruolo dell’artigianato, che sembra 57 ■ Lucio Fontana : la sua caratteristica principale è la ricerca delle sillabe plastiche (contemporanee alla poetica ermetica), che sconfinano nell’anti-materia, nella non-poesia. ■ Giorgio De Chirico – Andrè Breton : in un articolo del ’79, Sinisgalli si sofferma sulla tesi di Valsolda Mucci, secondo cui il seme della pittura metafisica risiede in alcuni passi dello Zibaldone leopardiano e sul rapporto complesso De Chirico-Breton (i due si scambiarono più volte pesanti critiche). ■ Domenico Cantatore : in un articolo del ’79, Sinisgalli mostra un Cantatore (pittore di secondo piano con cui egli condivise un intenso sodalizio negli anni milanesi) in età matura, capace di dipingere con maggiore sicurezza di timbro e di taglio paesaggi leggeri e intensi, ritrovando l’innocenza, il bene più lontano dalle macchinazioni e dalle simulazioni. Cantatore è legato ad una pratica pittorica tradizionale, espressione di contenuti e valori etici. Andando oltre le esperienze scientifiche e artistiche nazionali, Sinisgalli afferma che l’arte di avanguardia e la scienza hanno ormai superato i confini del visibile, andando ad indagare “il dominio delle strutture” piuttosto che degli involucri: al centro del lavoro del fisico, del poeta e della filosofo (dalla cui sinergia deve nascere una cultura nuova ed autonoma) è l’immaginazione. “Natura calcolo fantasia“ (Il Mattino , Maggio – Giugno 1951) “Geometria barocca“ (Il Mattino , 14 Settembre 1977) • L’Unità è formata da “cocci di molteplice”, regolati dalla forza della scommessa, dell’alternarsi, dell’incomponibile dialettica del pari e dispari. 60 “Visita all’acciaieria“ (Il Mattino , 8 Gennaio 1978) Capitolo VII Moravia e Pasolini – Un’amicizia underground Nell’articolo intitolato “Il grande romanziere” (“Il Mattino”, 11 Luglio 1976), Leonardo Sinisgalli si sofferma molto sull’amicizia (ma si tratta, in realtà, di un vero e proprio legame simbiotico e viscerale) tra Pierpaolo Pasolini e Alberto Moravia e su come il secondo, all’indomani dell’assassinio del primo (2 Novembre 1975), fosse stato l’unico scrittore e amico a piangerlo sinceramente. Sinisgalli è sicuramente condizionato da queste due grandi personalità, che ebbero il merito di aver fatto sorgere in lui la vocazione letteraria del romanziere. ■ Pasolini : il poeta friulano era devotissimo all’amico Alberto. ■ Moravia : per Sinisgalli, il “grande romanziere” (per il quale la scrittura era sentita come una missione) era totalmente dominato dalla personalità di Pasolini (da lui assimilato a un moderno Orfeo), ne sentiva l’autorità schiacciante, sino a convincersi di essere a lui inferiore. Quando Pasolini intraprese la via del cinema (che per il poeta friulano diveniva esperienza filosofica e linguistica), Moravia gli espresse le sue perplessità (mentre la sua compagna, Elsa Morante, avanzava addirittura delle obiezioni), pur rimanendo sensibile all’idea pasoliniana di un “cinema di poesia” che avesse un carattere improvvisato e documentaristico (in netto contrasto con il cinema di consumo degli anni Sessanta) e un poeta capace di aprirsi ad un’esperienza multiforme, dilatando le proprie possibilità espressive (nel caso di Pasolini l’altro mezzo di espressione è naturalmente quello cinematografico). 61 “Immagini al posto d’onore“ (L’ Espresso , 1 Ottobre 1961) • Moravia considera riuscito alla perfezione il trasferimento sullo schermo della narrativa pasoliniana, che a volte sembra proprio pensata per divenire pellicola : l’accanita ricerca del corposo e dell’autentico per mezzo del dialetto, l’abbandono della parola metaforica per l’immagine diretta e immediata. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Panoramica cinematografica degli Anni Sessanta ANNI SESSANTA • 1961 : Con la realizzazione del primo film di Pasolini, “Accattone“, si afferma il cosiddetto cinema d’autore. • 1961 : esce “L’avventura“, di Michelangelo Antonioni. • Opere di riferimento fondamentali hanno i film di Federico Fellini , Jean-Luc Godard e Francois Truffaut. • La Nouvelle Vague (un movimento cinematografico nato in Francia alla fine degli Anni Cinquanta), ripudiando il formalismo, elegge a proprio maestro Roberto Rossellini, trova 62 1963 : Moravia pubblica l’articolo sull’ ”uomo medio”, provocatoriamente messo da Pasolini “sotto il bisturi” : già del romanzo moraviano del ’54 (prima delle dissacranti parole messe in bocca a Welles ne “La ricotta”) Pasolini comincia a costruire quell’identikit del borghese - ignorante, stupidamente fossilizzato sui propri ideali e sempre omologato alla massa - che affiderà come “scandalo” proprio al cinema. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 1963 : Jean-Luc Godard gira “Le mèpris”, tratto dal romanzo moraviano “Il disprezzo” (1954). Questo segna un’evoluzione nel rapporto tra Pasolini e Moravia, che diviene profondo e viscerale (nei profondi recessi della mente, dove nascono e si evolvono le idee), non esterno e basato sui fatti. Il film è anche e soprattutto metacinema : come Pasolini, anche Godard realizza una pellicola su un film da farsi (ma questa volta l’opera di riferimento è l’ ”Odissea”), in cui compare un famoso regista nel ruolo di se stesso (in questo caso Fritz Lang). Nel film abbondano riferimenti cinematografici e letterari (evidenti i rimandi ai suoi stessi film e a quelli di Rossellini). Il prodotto originale francese (e non la versione italiana, ridotta ed alterata) se, da un lato, si allontana dal romanzo di Moravia (avente ancora una impostazione deterministica e psicologica), dall’altro a questo vi si collega per la trama : il più alto punto di contatto dei due lavori è l’interpretazione psicoanalitica del poema omerico - ipotizzata tanto dal personaggio moraviano (il regista Reingold) che dal Fritz Lang nella pellicola di Godard - , secondo cui il rapporto che legava Odisseo a Penelope sarebbe stato di fedeltà, ma non di amore. In tal senso, questa interpretazione dell’”Odissea” funge da momento rivelatore della crisi coniugale tra i due personaggi omerici. “Le mèpris” svela il punto preciso in cui si incontrano e si scambiano, a livello underground, le idee di Pasolini e Moravia, che è proprio la loro visione del mondo e del cinema. La loro amicizia, tramandata da tanti fili sotterranei e non sempre immediatamente percepibili, può essere considerata un caso unico e paradigmatico nella cultura del Novecento italiano. 65 Guerra vs Cultura – guerra vs Natura in “La Ciociara” di Alberto Moravia Alberto Moravia, attento osservatore e fine intellettuale, visse direttamente l’esperienza della Guerra insieme a sua moglie, Elsa Morante. Ma dall’esperienza bellica sino al periodo di composizione del romanzo (1957) è trascorso del tempo : a metà degli Anni Cinquanta, in Italia le condizioni umane, socio-economiche e culturali sono già abbastanza mutate rispetto a quelle del periodo postbellico, difficili e disperate. Questo consente allo scrittore di calare nella narrazione problematiche più “intellettuali”, esemplificandole nel buon senso “popolano” dei protagonisti, il cui pensiero è soggetto a una progressiva maturazione. Il settimo capitolo de “La ciociara” di Moravia presenta un’impostazione diaristica (si apre con lo sbarco alleato ad Anzio) : nel contesto della guerra (vissuta e raccontata dalla protagonista, la popolana Cesira, fuggita precipitosamente da Roma insieme alla figlia Rosetta e con questa rifugiatasi nella piana di Fondi, dove si trova una comunità di sfollati), gli eventi (la maggior parte dei quali non è particolarmente significativa) si susseguono con snervante monotonia, mentre il ritmo narrativo rimane stagnante fino ad arenarsi. Dal capitolo ottavo, tuttavia, Moravia imprime alla narrazione un ritmo più veloce, in crescendo. Se in un primo momento la piccola comunità di Fondi si era sottratta abilmente alla guerra, ora, con l’esercito alleate alle porte di Roma, avviene un capovolgimento delle sorti dei tre protagonisti, Cesira, Rosetta e Michele : è il narratore onnisciente ad avvisare il lettore che le vicende stanno per assumere un risvolto tragico, sino alla catastrofe finale (sono queste le parti più note del romanzo). ■ Michele Festa viene sequestrato e poi ucciso. È questo un colpo durissimo per le sue donne. ■ Cesira e Rosetta, discese a una Fondi liberata dall’esercito romano, sono al centro di un inverosimile episodio : per aver ospitato clandestinamente alcuni soldati inglesi, le due donne 66 vengono scortate in auto sino al villaggio natale della protagonista. Qui si compie la catastrofe, il punto cruciale del dramma sia a livello letterario che filmico (De Sica lo enfatizza particolarmente) : lo stupro della giovane Rosetta ad opera dei “liberatori” marocchini. ■ Alla catastrofe seguono numerosissime conseguenze : il silenzio e la sofferenza di Rosetta; il senso di impotenza di Cesira, che piange e canta (qui il canto ha funzione catartica); le brevi storie di Clorindo e Rosario (sino alla morte di quest’ultimo); 1. GUERRA vs CULTURA • Guerra : è considerata in rapporto all’uso dell’istruzione, dell’educazione e della cultura (intesa come educazione etica e purezza di sentimenti), poiché istruzione ed etica sono profondamente connesse. Natura Cultura Pur essendo violentata dalla guerra, la Natura continua indifferente il suo corso. La guerra mette in crisi la cultura e sconvolge la struttura morale degli individui, rivelandone i lati più oscuri e nascosti, sino ad operarne una sorta di profanazione. • I personaggi non incontrano direttamente la guerra, ma la subiscono : Moravia non racconta di particolari eventi bellici, ma dei loro riflessi fisici, psichici ed etici sulla psiche delle sue creature. • Per Cesira, la perfezione, la purezza e la santità non sono innate, ma acquisibili attraverso le “prove della vita” (fondamentali sono perciò la conoscenza e l’esperienza) : ben lo dimostra la metamorfosi di Rosetta dopo lo stupro, quando, da “fiore di sera e maggiolino” provvisto di una fede religiosa apparentemente solida ma in realtà suscettibile a cadere (dopo l’incontro con gli sfollati, in una bella notte stellata la giovane si inginocchia e rivolge una appassionata preghiera alla Vergine) diviene figura apatica e rassegnata, desiderosa di subire nuovamente quella violenza. 67 di Cesira riguardo all’educazione, alla perfezione e all’inesperienza di Michele e Rosetta e soprattutto alla riflessione di Michele sul Male provocato esclusivamente da chi non sa (che ora viene purtroppo amaramente smentita). I protagonisti incontrano tre personaggi : ✓ Un soldato russo, bellissimo ma traditore (essendosi alleato con i tedeschi) fatalisticamente in attesa della vendetta dei suoi connazionali. ✓ Lena, una povera ragazza demente, che ostenta il seno nudo, a simboleggiare la misera condizione delle donne durante la guerra. ✓ Un tenente tedesco, incontrato nella casa di un avvocato benestante, amico di Michele. Nella descrizione fisica operata da Cesira appare deformato in chiave animalizzante. Costui, pur essendo coltissimo (è un ottimo conoscitore della lingua, della letteratura e dell’arte italiana; si interessa di filosofia; comprende la fondamentale differenza di classe tra proprietari terrieri e contadini; comprende e conosce la situazione politica italiana), è comunque capace di compiere il male (prova una sorta di godimento estatico nel bruciare i nemici col lanciafiamme). Tutto ciò mette in crisi l’intellettualismo etico di Michele, che rimane esterrefatto, avvilito e triste dinnanzi alle barbarie che produce la guerra, di fronte alla quale crolla sia ciò che si vede (il denaro, i beni materiali) sia ciò che non si vede (la cultura, le ideologie, la perfezione) : ne nasce una confusione etica tra bene e male (si crede di star facendo il bene, mentre si compie il male). ■ Episodio in alta montagna, dove i protagonisti incontrano due ufficiali italiani disertori : uno di questi, costretto dalla carestia, era divenuto anche un ladro (a dimostrazione che la guerra è “la meno naturale e comprensibile” delle cose, poiché porta a galla i lati più oscuri e selvaggi dell’uomo, tramutandolo persino in ladro o in assassino). 2. GUERRA vs NATURA L’altro polo dialettico verso cui è orientata la narrazione moraviana è costituito dalla Natura e dal suo rapporto con la Guerra (che mette in crisi la cultura, l’istruzione e l’educazione, alle cui base si trovano solo la “perfezione”, la “purezza” e la “non esperienza” delle cose del mondo). La Natura entra nella narrazione fin dal capitolo secondo, assumendo l’aspetto di una serena e limpida giornata settembrina : tutto sembra normale ma, sotto quella dolce apparenza, avanza inesorabile lo spettro della Guerra, le cui tracce sono improvvisamente visibili nelle desolate campagne incolte lasciate dagli uomini in fuga (in sintonia con la precarietà dell’esistenza umana). Ma nonostante ciò, la Natura - leopardianamente indifferente alla guerra, alle questioni e ai sentimenti umani (esemplare l’episodio dell’infinito spazio siderale della notte che si staglia di fronte alla giovane Rosetta in preghiera a Sant’Eufemia, quel sublime matematico di matrice kantiana che 70 rimane intangibile e impassibile alle miserie umane) - continuamente si rinnova (anche se continuamente violentata e torturata dal guerra), riprendendo sempre il suo inarrestabile, ritornando sempre e comunque imperturbabile. Macerie di Sant’Eufemia / alta montagna Piana di Fondi Una Natura bella, incontaminata ed imperturbabile , del tutto indifferente ai sentimenti umani (significativo in questo senso l’esempio della bellissima volta celeste con i suoi astri, che appare lontana, silenziosa e indifferente alle miserie umane, tetragona alla violenza dei suoi conflitti), che continuamente si rinnova e riprende il suo corso. È una Natura nuda e violenta, in sintonia con la precarietà dell’esistenza umana. È quella delle desolate macerie di Fondi, dove i protagonisti incontrano il gruppo di sfollati. E si comprende che effetto ha la guerra sugli uomini, devitalizzati e riportati a uno stato regressivo (essi non esitano ad rubare e persino a uccidere). All’indifferenza della Natura si associa l’assenza della Legge : in Guerra si uccide e si ruba impunemente, impera una Non – Legge - la Legge del più forte - basata sull’arbitrio e sul terrore, dalla quale i personaggi sperano invano di ottenere giustizia. • Secondo Michele è un’ illusione sperare di ottenerla. • Cesira giunge alla conclusione che in guerra ci rimettono gli onesti : a salvarsi sono i peggiori, coloro che rubano e ammazzano. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - • In Cesira e in Rosetta l’illusione e la suggestione di comunicare con la Natura sono espresse con intensa emozione : la loro terra gli trasmette forza , la serena pace notturna le calma (è questo un momento di intensa commozione in cui Rosetta si inginocchia e, travolta dalle emozioni, si abbandona alla preghiera) e sembra renderle partecipi dell’infinito del cosmo. Il rapporto delle protagoniste con la Natura attraversa l’intero romanzo con una ciclicità quasi asfissiante e sempre scandita dagli stessi, ripetitivi e quasi nevrotici, argomenti ( ciò è maggiormente accentuato dalla registrazione diaristica e dal trascorrere delle stagioni) : pur sconvolgendo ogni cosa esistente, la Guerra è lontana e si percepisce come ferma, va per la sua strada, indipendente da quella intrapresa della Natura. 71 Solo la lontananza dalla dimensione bellica, consente all’uomo di immergersi nella Solitudine : è in essa (che, anche se ha il difetto di allontanare da occupazioni utili, aiuta l’uomo a stimolare l’immaginazione), nella momentanea liberazione dalle esigenze pratiche e nella pura contemplazione che l’essere umano può scoprire profonde Verità : il vero Sublime è, dunque, nell’interiorità dell’uomo, che lo proietta al suo ambiente circostante (sublime proiettivo), tanto al vasto ed eccelso cielo stellato (sublime matematico di matrice kantiana) quanto alle alte e maestose cime innevate della Ciociaria (sublime maestoso). Meraviglioso è il lirismo che Moravia riesce a raggiungere in questi punti : la Natura si rivela in tutta la sua bellezza incontaminata, con i suoi variopinti colori e i suoi sublimi silenzi, sempre capace di superare gli scempi della Guerra alternandosi tra Morte e Rigenerazione. • Simbiosi Guerra – Natura. La proiezione delle illusioni umane dalla Natura alla Guerra. Si spera ora nello sfondamento delle linee nemiche e nell’avanzata dell’esercito alleato, che avrebbe garantito la fine del conflitto : in tal senso, i bombardieri americani sono salutati come “angeli meccanici”, la dirompente forza delle armi anglo-americane è associata alla forza naturale del tuono e della valanga. Questa impressione ben si collega alla immensa carica vitale della protagonista, dotata di impulsi irrefrenabile verso la vita (lo stesso episodio finale del sogno dell’ormai defunto Michele che la salva dal suicidio è solo la proiezione onirica delle sue subliminali pulsioni esistenziali). • Il romanzo si conclude con il ricordo di Michele : memore degli insegnamenti del giovane (la cui morte diviene estremo gestito sacrificale per spingere gli altri a continuare a vivere), segnata dalla tragica esperienza della guerra e rivestita dalle sue solite qualità (una salda energia vitale, una vivida intelligenza, una cultura basata sulla pratica quotidiana), Cesira è ormai maturata, comprende che vale sempre la pena continuare a vivere, nonostante tutte le difficoltà della vita, nonostante l’indifferenza della Natura di fronte al crudele destino di Rosetta, tradita da quella compagna così familiare e materna ma, in realtà, passiva e disinteressata spettatrice della violenza umana. Il film di Vittorio De Sica si conclude con le lacrime di Rosetta, non appena apprende del crudele destino di Michele : il pianto assume qui valore lustrale e catartico, dopo la profanazione fisica, psicologico e morale della giovane, che proprio attraverso il dolore raggiunge la piena e definitiva maturazione. 72 1. NAPOLI Questa è la prima meta che Pasolini raggiunge, dopo aver lasciato il litorale laziale. Il suo sguardo, sempre antropologicamente attento, si focalizza su una specie di corte dei miracoli (espressione designante un vicolo chiuso o a un quadrivio di una città dove si riunivano in gruppi organizzati mendicanti ed emarginati sociali, temporalmente collocato dall’immaginario romantico nel periodo medievale, ma storicamente identificabile intorno al XVII secolo), che sembra rifarsi a uno dei celebri notturni parigini di Baudelaire : nella notte si incontrano scugnizzetti (giovanissimi ragazzini di strada) agli ordini di un grottesco nano, papponi fischiettanti canzoni in dialetto napoletano, guappi, ragazzi di vita, prostitute, infelici. Della realtà partenopea Pasolini ammira estasiato (perché riconducono al Sublime) soprattutto le caratteristiche soggettive e non neutre delle persone e degli oggetti che incontra, i suoni di questa tentacolare realtà sociale (che sembrano costituire un idioma misterioso e ricco di magica suggestione, circondato da un’ aura mitica e metastorica), la furbizia e l’astuzia meridionali. Pasolini ripropone la famosa osservazione leopardiana della Meridionalità nel tempo secondo cui la civiltà antica, da lui amatissima, sarebbe stata una civiltà “meridionale” perché dotata di maggior naturalezza e di una forte capacità immaginativa (caratteristica che mancava alle “popolazioni settentrionali”). Al mito metastorico di un passato incontaminato e puro và congiunto quello narcisistico dell’ Infanzia e della ricerca delle origini (una sorta di metafora del viaggio “sempre più a Sud” intrapreso dal poeta friulano). Amplificazione topografica dei luoghi e degli ambienti visitati : Napoli vista come una semicircolare scia luminosa; il Vesuvio, la cui descrizione non può che evocare l’immagine affrescata da Leopardi nella “Ginestra“, il dynamisch Erhabene di Kant e il delightful horror di Burke. ISCHIA Anche qui il poeta riscontra le stesse caratteristiche dei personaggi del napoletano ma “salva” dal punto di vista fisiognomico un certo Michele, un unto e asmatico proprietario di una pensione, un giovincello basso e squallido, gli operai a lavoro e il cameriere dell’Hotel di Lacco Ameno (ove Pierpaolo si reca per incontrare Luchino Visconti), che gli sembra un mastino. Persino il mare sbadiglia come un enorme cane addormentato. Amplificazione topografica dei luoghi e degli ambienti visitati : visitando gli strapiombi e gli scoscendimenti dell’isola, immersi in una luce violenta e pesante, Pasolini li definisce “infernali”, associandoli naturalmente a quelli incontrati da Dante e Virgilio nella prima Cantica. CAPRI Amplificazione topografica dei luoghi e degli ambienti visitati : scendendo nella Grotta Azzurra, Pasolini ha l’impressione di “galleggiare su una lastra di luce” e, appena dopo l’ingresso (in fondo alla grotta, il poeta immagina di dover incontrare prima o poi Minosse), prova insieme delusione e scoperta, poiché mai nulla è bello come lo si immagina. 2. COSTIERA SORRENTINO- AMALFITANA 75 Domina qui la trasfigurazione lirica : per la prima volta Pasolini usa la parola “bellezza”, definendo il territorio “la più bella costa del mondo”, inondata dal sole e custode di una imperitura bellezza, sopravvissuta ai secoli. Il Sublime e il Bello (siamo all’altro polo dialettico della celebre Enquiry di Burke) ritornano ad invadere l’animo del poeta in maniera epifanizzante, nei magnifici paesaggi, nelle incommensurabili cattedrali normanne, nella creatività di un Arte immortale. Entra qui la Storia (quella presenza che sembrava ormai dimenticata) che dimostra e conferma la grande statura civile della poetica pasoliniana, capace di spaziare sulla vastità della storia italiana : su Amalfi, la potente repubblica marinara, divenuta umile paese da grande potenza che era ma comunque felice; su Ravello, paesino in cui ancora resiste il fascino dell’Italia cristiana e comunale. Ma Pasolini non dimentica nemmeno il Mito: è il fascino della costiera, la cui bellezza è associata a quella di Greta Garbo. 3. COSTA LUCANA Ritorna lo schema della costiera sorrentina, ma riletto nell’ottica dantesca: il paesaggio diviene un concreto inferno, ossessivo nelle proprie ripetizioni nel paesaggio ma stupendo nelle sensazioni che suscita. Sarà proprio in terra lucana (a Matera) che anni dopo sarà girato il capolavoro pasoliniano “Il Vangelo secondo Matteo” (1964). 4. SICILIA Siracusa Qui lo sfondo antropologico muta: il ragazzo che strappa dal fiume Arapo delle canne di papiri (durante la pausa estetizzante che il poeta si concede con l’attrice Adriana Asti) appare a Pasolini con un volto antico, fenicio o alessandrino (evidente la sua magnifica predisposizione visionaria). Il poeta visita templi ed anfiteatri e, infine, si reca su una spiaggia sulla cui sabbia , rovente e dantesca, si stende. Capo Passero In questa isoletta, a largo della punta estrema della Sicilia, la gente che di sera siede fuori a prendere fresco è dal poeta etichettata come “la più bella gente d’Italia, razza purissima, elegante, forte e dolce”: è qui compiuta una profonda idealizzazione antropologica di matrice roussiana. 76 Il Mare assume per Pasolini una profonda risonanza simbolica: esso è metafora dello sprofondamento regressivo nell’inconscio, nella dimensione prenatale, di una rapida ed improvvisa uscita dalla storia per ritornare alla fusione con l’informe e ignoto caos originario. Perciò, nel fare il bagno nelle acque della più povera e lontana spiaggia d’Italia, Pasolini ha la sensazione di aver compiuto un’ immersione sacra, francescana, nelle acque purificatrici del Mar Ionio (quello di Odisseo, del mito della nascita di Venere, del Foscolo e della sua Zante), espressione di un “caos sovrumano”, selvaggio e straniero ma anche seducente. 5. COSTA SALENTINA E COSTA CALABRO - IONICA Risalendo la costa adriatica, ammira gli assolati meriggi della costa salentina e, sulla costa calabro – ionica, ammira le città di Taranto (assimilata a un gigantesco diamante in frantumi) e Crotone (le cui colline gli appaiono lunari). Capitolo IX – Pasolini “interprete” di Dante “La volontà di Dante a essere poeta“ (Dicembre 1965) • In questo contributo critico dei primi anni Sessanta, Pasolini manifesta il proprio debito nei confronti di Gianfranco Contini (che, in una lettera del Dicembre ‘64 indirizzata proprio al poeta friulano, gli anticipava le linee guida del suo importantissimo saggio su Dante, “Un’interpretazione di Dante”) e della sua tesi dei “due stati” ( da cui sarebbe derivata la pasoliniana teoria dei “due registri”). Strettissimo fu il rapporto Contini – Pasolini (Pasolini conosceva molto bene la dantistica continiana), che individuano nella Commedia l’importantissima idea-chiave della “doppia natura“, tanto importante da divenire il motivo della duplicità e dello sdoppiamento (fondamentali nell’opera pasoliniana). Questi i fondamentali studi critici su dante di Gianfranco Contini. 77 “Intervento sul discorso libero indiretto“ • Collegando Contini a Gramsci, Pasolini parte dall’idea che il discorso indiretto libero (il cui primato nell’uso è attribuito a Dante) implica : ■ Un’ideologia : essa attraversa tutta l’opera dell’autore; ■ Una coscienza sociologica : la consapevolezza dell’esistenza delle diverse categorie sociali. Tale coscienza si manifesta nel plurilinguismo, poiché i diversi registri linguistici usati da Dante sono sempre incastonati nel tessuto linguistico dominante ed è impossibile rivivere il discorso peculiare di un parlante senza individuarne l’estrazione sociale (il discorso indiretto libero ha, dunque, anche un fondo sociologico). “La Mala Mimesi“ (Aprile 1966) • Il saggio fu scritto in risposta a Cesare Segre. • Pasolini analizza l’episodio del ladro Vanni Fucci (canti XXIV e XXV dell’Inferno) : costui prima parla con un linguaggio plebeo e blasfemo , per poi proferire una profezia in stile alto ed enigmatico. Dandogli voce attraverso il discorso diretto (il suo “livello linguistico” è lo stesso del poeta fiorentino, poiché egli fu un nobile divenuto per violenza ladro), Dante ne opera una mimesi, attraverso la quale esprime il suo “reale giudizio” (che è il fermo giudizio morale di condanna) nei suoi confronti (Dante ne opera lo smascheramento). • In questo famosissimo episodio, Pasolini individua tre importantissime fasi linguistiche : ■ Una adozione mimetica integrale : è espressa in un linguaggio comico. ■ Una lingua media comune : è la lingua della stessa cerchia sociale e culturale di Dante. ■ Attribuzione a Vanni del toni “alti” del suo stesso linguaggio, inconcepibili in parlanti non poeti : Dante contamina la sua lingua poetica alla lingua gergale del malfattore. “La volontà di Dante a essere poeta“ • Pasolini ribadisce che l’allargamento linguistico (lessicale ed espressivo) di Dante è in primo luogo sociale : la “Commedia” è un misto di “romanzo” e poesia in cui giudizio morale, penetrazione psicologica e pietà sono retti da uno sguardo sociale profondamente oggettivo. La vera scelta linguistica di Dante è data dalle varie scelte operate per evitare un eventuale “conformismo” istituzionale del volgare stesso: il suo plurilinguismo va perciò accostato alla sua coscienza sociale e alla partecipazione attiva alle lotte politico sociali. 80 (Dicembre 1965; 1972) • Il poeta delle “Ceneri” insiste più volte sul doppio registro (rapido e lento) della “Commedia” (questi aspetti coesistono nell’episodio di Pia de’ Tolomei) e sulla sua duplicità (nell’allegoria si manifestano due componenti, la figurativa e la simbolica così come Dante è insieme scrittore e protagonista del suo capolavoro). ■ Punto di vista teologico ; registro veloce (è funzionale al punto di vista teologico e trascendente, và dritto allo scopo prefisso) ; realtà figurativa ; Dante narratore ; ■ Punto di osservazione sociologico ; registro lento (è funzionale al punto di vista terreno, agli interessi umani e politici, è uno sguardo alle cose del mondo); realtà allegorica ; Dante personaggio ; • Ma l’unità del linguaggio poetico di Dante è comunque incastonato nel tessuto linguistico dominante. • Importantissima è anche l’equidistanza che Dante mantiene tra se stesso e gli infiniti spazi del suo mondo. • I personaggi danteschi non sfuggono né al razionalismo prosastico (le loro parole obbediscono a canoni razionali e sintetici) di Dante né alla programmazione escatologica dell’intera opera (la lingua poetica con la quel i personaggi parlano non contraddice la loro razionalità ma la aprono a indefinibili ambiguità irrazionalistiche). “La Divina Mimesis“ scrittura : 1963 - 1965 pubblicazione : 1975 • Nella Divina Mimesis, Pasolini esibisce e rimarca la sua idea della doppia natura della Commedia. • Il libro, costituito da frammenti narrativi (tutti con relativa data) scritti tra il 1963 e il 1965, uscì pochi giorni dopo la morte di Pasolini (1975). ■ Due canti sono interi (anche se già pubblicati) e corrispondono ai primi due dell’Inferno. ■ Appunti del terzo, quarto e settimo canto (allo stato di frammenti), arricchiti di tre Note. ✓ Nella prima Nota, redatta dall’autore, si dichiara che l’opera è scritta a 81 strati, come un diario e che la stratificazione cronologica doveva svolgersi alla maniera di un processo formale vivente (una sorta di work in progress), essendo l’opera magmatica, come la vita. Il “processo formale” della Divina Mimesis doveva svolgersi in maniera tale da documentare il passaggio da un precedente a un successivo pensiero (un’idea nuova non deve cancellare la precedente, ma correggerla o lasciarla inalterata) ✓ La terza Nota è una finta Nota dell’editore, che comunica al lettore di aver pubblicato gli scritti di un blocchetto di note e di un biglietto ritrovati addosso al cadavere di Pasolini, ucciso “a colpi di bastone” (particolare che destò viva impressione, come se l’autore avesse previsto nel dettaglio la sua tragica scomparsa) a Palermo nel 1965. L’opera, che sembrerebbe postuma, in realtà non lo è, poiché Pasolini, ritenendola pronta per la stampa, l’aveva consegnata a Einaudi prima di essere ucciso (1975). Il fatto che Pasolini abbia scelto Palermo come luogo del suo “omicidio” è una chiara allusione agli attacchi del Gruppo 63, • Essendo un misto di cose fatte e cose da farsi (pagine rifinite, pagine abbozzate o intenzionalmente abbozzate), l’opera rientra nella tipologia degli appunti per le opere da farsi, propria dell’ultimo Pasolini : è stata definita dal suo autore una forma – progetto in cui non vanno differenziate parti realizzate da parti intenzionali (poiché deve presentarsi così nella sua forma definitiva). Alla luce di ciò, ben si comprende allora che la “morte” di Pasolini non è programmata ma funzionale alla struttura compositiva della “forma – progetto” : così come la morte rappresenta il compimento della vita e gli dà senso (poiché solo grazie alla morte, si può dire di essere vissuti davvero) , così la “morte” dell’autore sembra chiudere quest’opera in fieri. • In che cosa consiste l’originalità dell’opera pasoliniana ? A rispondere in maniera implicita a questa domanda è Alberto Moravia, ne “Il disprezzo”(1954). Il protagonista, Riccardo Molteni, avversando una ricostruzione cinematografica dell’Odissea (sia in chiave psicanalitica che nella forma di kolossal hollywoodiano), espone la sua interpretazione leopardiana : il mondo omerico è visto appartenere a una civiltà sviluppatasi in accordo con la Natura e richiama, per analogia, l’Ulisse dantesco (Inferno, XXVI), evocato da Primo Levi in “Se questo è 82 ■ La Lupa : questa fiera, “con la carne divorata dall’abiezione della carne”, non rappresenta più la cupidigia (come in Dante), ma la lussuria. Questa figura è il ritratto del poeta (ha la bocca assottigliata, il mento sporgente) e, a maggior ragione, gli incute paura e lo fa sentire privo dell’autorità della propria poesia (il poeta teme che questa creatura possa sottrargli la forza e la volontà di esprimersi). Il timore del poeta è quello dell’imborghesimento : il poeta ha paura di divenire “conformista”, ovvero privo dell’impeto della novità scandalosa, schiavo della paura di dire la verità frontalmente. Ma ecco che si presenta al lettore la componente onirica : mentre è bloccato e non può proseguire oltre, il poeta scorge una figura “ingiallita dal silenzio”, un’ombra pronta a soccorrerlo. È un’altra figura in cui il poeta si riconosce, è il Pasolini – Virgilio, un’altra parte di se stesso, un suo doppio (Pasolini lo definisce “un piccolo poeta civile degli Anni Cinquanta”), che possiede sia i suoi connotati fisici (la guancia magra e lo zigomo pronunciato) che la sua biografia (friulano per parte di madre, vissuto a Bologna e a lungo a Roma). Citando Dante, Pasolini riconosce il suo soccorritore (e, dunque, se stesso) : si tratta di un poeta civile, detentore di un particolare stile e di una particolare poetica (quelle degli Anni Quaranta e Cinquanta, causa di successo per il protagonista) che ormai, nel presente, hanno perduto la sua valenza. Il linguaggio della Modernità (che dovrebbe servire per descrivere l’orrendo e infernale mondo delle mutazioni antropologiche e sociali prodotte dal Capitalismo) è un linguaggio non più univoco, ma “assurdo”, avanguardista (di qui la polemica pasoliniana alla poetica del Gruppo 63). Per non essere giudicato “vecchio” e “antiquato”, nel percorso letterario che va dalla “Divina Mimesis” sino a “Petrolio” (il postumo romanzo magmatico, allegorico e programmaticamente disposto “a brulichio” dove la frantumazione dell’identità raggiunge il culmine nella scissione del protagonista) , Pasolini sperimenta una via paradossale, ai limiti dell’estetico, impura : è una via essenzialmente basta sulla pluralità di scritture e sull’ibridazione di generi, sulla contemporaneità di “codici concorrenti” e di componenti (anche se inconciliabili) di arte e non arte, sulla compresenza di diversi progetti e opere da fare. La “duplicità” continiana (la duplice natura del poema) si traduce proprio nello sdoppiamento del protagonista : Pasolini è sia guidato (è la sua parte presente, ormai emarginata e debole) che guida (è la sua parte di una volta, quella forte e sicura), immergendosi nell’infernale conformismo piccolo – borghese della realtà degli Anni Cinquanta – Sessanta. Topico in Pasolini il motivo della dissociazione, che raggiunge il culmine nel postumo “Petrolio”, dove avviene addirittura la frantumazione dell’identità del protagonista, Carlo Valletti, trentenne ingegnere petrolifero : 85 ■ Carlo di Polis : è il ricco borghese, il Carlo “politico”. ■ Carlo di Tetis (Karl) : è l’uomo dai caratteri “cattivi”, l’uomo del sesso, oggetto anche di una metamorfosi in donna. Ma Pasolini non esclude nemmeno scambi, confusioni di ruoli e atteggiamenti contraddittori. • Se L’Inferno che Pasolini vuole descrivere è già stato descritto da Hitler (l’eroe orrendo”), il moderno Veltro (che sconfiggerà la Lupa) sarà chi ha spirito aziendale, capitale cartaceo, patria plurinazionale e parlerà una nuova lingua : quella della borghesia,il linguaggio tecnologico della seconda industrializzazione (omologatrice di tutte le altre stratificazioni linguistiche), quella che decreterà la prevalenza della comunicatività sull’espressività. A questa nuova lingua, che non può essere ignorata, Pasolini si opporrà come scrittore. Per questo motivo, paradossalmente, il Veltro rappresenta allegoricamente una figura solidale al conformismo borghese e al consumismo neocapitalistico. 2. Canto II • Il cammino del personaggio – poeta prosegue fin dentro l’Inferno neocapitalistico. • Pasolini, con una intensa carica lirica, accosta l’immagine del viandante a quella dei fiori : è il motivo leopardiano della “ginestra, immortale” e quello dantesco dei “fioretti dal notturno gelo”. 86 3. Canto III (frammenti) • Compare qui una folla anonima (speculare alla schiera dantesca degli Ignavi dell’Antinferno), al perenne inseguimento di uno straccio con un simbolo escrementizio (in Dante troviamo una bandiera, un vessillo mosso dal vento) : si tratta della gente media, i piccoli intellettuali, i moralisti conformisti, i parassiti politici, che fanno della loro omologazione una fede. • Le parole pronunciate da questa schiere sono diversi gerghi , pronunciati da bocche ripugnanti, asociali ed incapaci di comunicare (in Dante erano le “orribili favelle” ad essere parlate dai dannati). 4. Canto IV (8 frammenti) • Dopo l’immedesimazione lirica nei fiori, il taglio letterario del Canto IV diventa più saggistico, • In Dante, il Canto IV ha una forte carica metaletteraria ed appare in dittico con il III. Tema centrale della Commedia è il libero arbitrio : dal buio dell’Ignavi, che non ne seppero fare uso, sino all’emisfero di luce circoscritto ai Magnanimi (gli “spirti magni” del Limbo, esclusi dalla Grazia divina e dunque posti in un luogo isolato), che peccarono per mancanza di fede. 87 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - In numerose opere pasoliniane è dato cogliere numerosissimi riferimenti alla Commedia (nonostante la prevalenza dell’Inferno, non mancano nemmeno altri luoghi del poema) e le più frequenti presenze “infernali” (sia nei testi poetici che nei romanzi). “Ragazzi di vita“ (1955) “Una vita violenta“ (1959) • Il plurilinguismo dantesco (Gianfranco Contini) e la concezione di Letteratura nazional – popolare (Antonio Gramsci) esercitano una forte suggestione sulla scrittura pasoliniana: le contaminazioni linguistiche, l’intreccio dei registri (medio – alto e basso) e gli aspetti dialettali. “Le ceneri di Gramsci“ (1957) • Il poemetto “L’umile Italia” (appartenete naturalmente alla raccolta), presenta sin dal titolo una tipica espressione virgiliana, usata da Dante nel Canto I dell’Inferno (v. 106). • Il verso quasi alla fine della quarta strofa è, invece, un verbo di evidente citazione dal Canto XVII del Paradiso (v.98). • Come “opera da farsi”, la “Divina Mimesis” appare bene in evidenza nella settima sezione di questa silloge, “Progetto di opere future”. 90 “Poesia in forma di rosa“ (1964) • 1964 : è un anno di crisi per Pasolini, stretto tra il venir meno degli impegni ideologici degli anni ’50 e la polemica al Gruppo 63, • All’Inferno medievale, Pasolini sostituisce l’Inferno dell’età neocapitalistica, in cui sono puniti i peccati della Modernità : il Conformismo, la Volgarità, il Cinismo, l’eccesso di Rigore, Il Servilismo, l’Irrazionalità, ecc … • Numerosi i riferimenti alla poesia di Arthur Rimbaud, il poeta flanêur dalla giovinezza errabonda e solitaria, del forte anticonformismo (con il rifiuto della morale comune), del turbamento, della morte, dell’impossibilità di amare una donna e del motivo onirico. • A parte il binomio Aprile – Madre , nella “Supplica a mia madre”, Pasolini presenta al lettore una straziante confessione che non implica nessuna possibilità di fuga, scendendo nel fondo della propria disperazione esistenziale : causa di questo disagio è l’impossibilità e l’assolutezza dell’amore verso sua madre, un ‘amore che sembra angosciare e schiavizzare il poeta. “Alì dagli occhi azzurri“ (1965) • Il racconto “Dal vero” (1953 - 1954) è preceduto da un collage di versi tratti dall’Inferno (quasi tutti) e dal Purgatorio (l’ultimo verso). • Sotto il titolo de “La Mortaccia” (1959), Pasolini raccoglie alcuni frammenti della riscrittura dei primi due canti dell’Inferno. Il discorso indiretto libero trascrive in prosa romanesca il punto di vista della prostituta Teresa che, avendo incontrato Dante, attraversa con lui le strade di Roma sino al carcere di Rebibbia. 91 Capitolo X – I “fotogrammi sublimi” del “Discorso della Montagna” Nella “Lettera“ che Gianfranco Contini scrisse a Pasolini (6 Dicembre 1964), il grande critico anticipava al poeta friulano la nota tesi dei “due stati” della Commedia (quello “rallentato” e quello “veloce”), celebrandone i “fotogrammi sublimi”. Similmente questa sua teoria andava a collegarsi anche al pasoliniano “Vangelo secondo Matteo”. Il “Discorso della Montagna” transita dal testo del “Vangelo secondo Matteo” al film in modo eccezionale : si tratta di cinque minuti di massima concentrazione della macchina da presa sul volto di Cristo, di cui sono mostrati solo i primi e i primissimi piani. La centralità del volto di Cristo permette a Pasolini (attraverso la “positura a icona” del soggetto) di : ■ Epifanizzarne la sacralità, realizzando sul piano visivo e sensibile la sua fondamentale tesi riguardo al cinema : il cinema è il privilegiato strumento artistico capace di captare il sacro e di esprimerlo concretamente, per immagini corpose e pregnanti. ■ Donargli il massimo rilievo, soprattutto grazie all’ibridazione stilistica delle componenti figurative (i pregnanti chiaroscuri ispirati alla pittura di Masaccio, i segni fortemente marcati in nero del volto del Cristo, i costumi riprodotti sulla pittura di Piero della Francesca) e delle musiche (l’assoluto dominio di Bach, Mozart, Prokof’ev, la Missa Luba congolese, i canti popolari, le rielaborazioni di Louis Enrique Bacalov). - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - La macchina da presa non è immediatamente fissa sul volto di Cristo ma, come in una scena corale, vi giunge progressivamente, partendo dall’inquadratura della folla riunitasi per ascortarLo e che si inerpica su per la montagna (un colle nei pressi di Cafarnao). Diversamente dalla sceneggiatura, la voce di Cristo comincia a farsi sentire fuori campo, con le prime Beatitudini pronunciate in terza persona plurale (“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”) mentre la folla comincia ad ascendere al monte. Fino all’ottava beatitudine (“Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”), il Suo volto non si vede, mentre la sua voce (con la sua forte carica ecumenica) sembra espandersi in tutta la dimensione dello spazio inquadrato. Poi improvvisamente, dalla nona (la più lunga : “Beati sarete voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno 92 4. “Beati gli affamati e gli assetati di giustizia perché saranno saziati” 5. “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia” 6. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” 7. “Beati gli artefici di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” 8. “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” ■ Con le successive Beatitudini rivolte ai misericordiosi (che “otterranno misericordia”), ai puri di cuore (che “vedranno Dio”) e agli artefici di pace (che “saranno chiamati figli di Dio”) e ai perseguitati per causa della giustizia (che avranno il regno dei cieli), siamo al centro delle richieste fondamentali dell’esortazione sapienziale giudaica: la Misericordia indica una corrispondenza tra il comportamento umano e quello divino ; la Purezza di cuore non esclude un avvicinamento all’Essere supremo, attraverso la meditazione mistico – ascetica (Pasolini ha ben note le figure di Bonaventura e Bernardo di Chiaravalle, mediatori di Dante nel Paradiso); la produzione di Pace va estesa a tutte le comunità e a tutti gli ambiti della vita. Termina la visione generale di tutta l’umanità, quando la voce fuori campo di Cristo si rivolge a tutto il popolo di Israele, radunatosi per ascoltarlo. Beatitudini IX - XXII 9. “Beati sarete voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e diranno ogni male contro di voi, mentendo per causa mia. Godete ed esultate, perché grande è la ricompensa vostra nei ciel. Così perseguitarono i poeti che vi precedettero”. • Cristo si rivolge ora solo ai suoi discepoli : la sua voce, precedentemente fuori campo, si ricongiunge con il suo viso (che finalmente appare) e assume un tono profetico, soprattutto quando indica agli apostolica necessità di fronteggiare le ingiurie : non c’è una promessa per ogni persecuzione ma solo per quella che avviene per causa Sua, cioè della Giustizia. • Matteo ben rappresenta concetti (“Regno dei cieli”, “visione di Dio”, “eredità della terra”) concreti e universalistici, e non esclusivamente limitati al singolo. 95 10. “Chi, tra voi, se il figlio gli chiederà pane, gli darà un sasso? O se gli chiederà un pesce, gli darà forse un serpente ? E se dunque voi, pur essendo cattivi,sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono ? Fate, dunque, agli altri tutto quello che volete che gli altri facciano a voi perché questa è la Legge dei Profeti. 11. “Non crediate che Io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti. Non venni ad abolire ma a perfezionare” 12. “Voi siete il sale della terra, ma se il sale diventa scipìto, con che gli si renderà il sapore ? Non serve ad altro che a essere buttato via e calpestato dagli uomini ” 13. “Voi siete la luce del mondo. Non può stare nascosta una città collocata sopra un monte né si accende una lucerna per riporla sotto il moggio ma sul candelabro e fa luce a tutti quelli che sono in casa” 14. “Non accomunate tesori su questa terra, dove tignola e ruggine corrodono e dove i ladri sfondano e rubano. Accomunate, invece, per voi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine corrodono e dove i ladri non sfondano né rubano” 15. “Nessuno può servire a due padroni : perché o egli amerà l’uno e odierà l’altro oppure a uno si attaccherà e l’altro disprezzerà. Voi non potete servire a Dio e al denaro” 16. “Quando fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra affinché la tua elemosina rimanga segreta. E il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà ricompensa. ” 17. “Udiste che fu detto “occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non resistere al malvagio: a chiunque ti schiaffeggi sulla guancia destra, porgi anche la sinistra” 18. “Udiste che fu detto “amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico : amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il Quale fa sorge il Suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni e manda la sua pioggia sopra i giusti e sopra gli ingiusti” • Intendendo perfettamente il messaggio di Matteo (per il quale “Vangelo” è il fatto che il Figlio di Dio annunci la volontà del Padre), Pasolini, comprendendo che il Cristo presenta se stesso ai suoi discepoli come oggetto delle loro richieste, sceglie di puntare la macchina da presa solo e unicamente sul suo viso, facendo ascoltare solo la sua voce ed escludendo qualsiasi altra presenza. • Attraverso il Testo-Cristo, il “Discorso” si evolve verso una eticizzazione e una interiorizzazione degli insegnamenti di Gesù, che per Pasolini piombano sull’omologante consumismo della società industrializzata e capitalistica e sull’alienazione moderna : Gesù non è intransigente con i peccatori (che è sempre pronto a perdonare) ma molto più severo con i peccati di carattere “sociale” , quelli dei “farisei” (l’arrivismo, lo snobismo, l’ipocrisia, l’avarizia, il qualunquismo ecc …). • Il “Discorso della Montagna” (subito dopo la conclusione della Beatitudini) è strutturato in primi e primissimi piani di Cristo che ribadisce la Legge dei Profeti, con stacchi e dissolvenze che danno continuità interrotta alle sue parole e il taglio delle inquadrature, che ne sottolineano i passaggi da un motivo all’altro. Le diverse inquadrature (un mattino luminoso, un tardo pomeriggio, una notte tempestosa, una placida sera su uno sfondo equoreo) sottolineano il ruolo intercambiabile delle varie scene che, anche se combinate diversamente, non alterano il valore del messaggio evangelico : ci appare un Cristo in meditazione, fasciato di tenebre; un Cristo su uno sfondo chiaro, portatore di un messaggio alato che anticipa l’elevazione spirituale del Padre Nostro; un Cristo, nuovamente nelle tenebre, che attacca l’ipocrisia e la presunzione di giudicare, ormai illuminato da folgori e bagliori di luce (e non più il vento che ne muove il copricapo); giunge il momento della preghiera, tuoni e lampi cessano, la notte diviene dolce : il volto di Cristo (raddolcito dalla preghiera) ora è totalmente illuminato da una luce serena, epifania dell’ispirazione divina (lo splendore del volto di Cristo raggiunge una chiarezza luminosa, che sembra fonderlo con la luce del cielo). Il Padre Nostro, strutturalmente simmetrico e limpidamente formulato, è da Pasolini articolato in due sezioni (tre richieste del tipo “tu”, con tre imperativi aoristi in terza persona nel testo greco e tre richieste del tipo “noi”) : per Pasolini rappresenta il parlare dell’uomo “attivo” (e, tuttavia, ancora capace di peccare) con Dio (al quale chiede di non cadere vittima delle tentazioni) ; l’ultima inquadratura presenta Cristo senza copricapo, con i capelli mossi, ancora intento ad ammaestrare su uno sfondo nuvoloso : è il momento della scelta del Bene e del Male; la folla, stupita, comincia a scendere dal monte : Pasolini la inquadra ancora in panoramica, mentre la voce di Cristo continua a invadere lo spazio e ad accrescerne la vitalità e la musica di Bach impera, solenne. 96 19. “Non giudicate se non volete essere giudicati. Con quel giudizio col quale giudicherete, sarete giudicati con quella misura con la quale misurerete, sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre della trave che è nel tuo non t’accorgi ?” 20. Pregando, poi, non moltiplicate le parole a fior di labbra come i pagani. Essi credono, con il loro molto parlare, di essere ascoltati. Non vi rassomigliate, dunque, a loro perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima che voi gliele chiediate. Voi dunque pregate così ‘Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terrà. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Male’ “ 21. “Perciò vi dico: non v’affannate per la nostra vita, che mangerete o che berrete, né per il vostro corpo, che cosa vestirete. Non vale, forse, la vita più del nutrimento e il corpo più del vestito ? Guardate gli uccelli del cielo, che non seminano né mietono e radunano in granai. Eppure il Padre vostro celeste non li nutre ? E forse non valete voi più di loro ? E poi chi di voi, per quanto s’affanni, può prolungare di un solo attimo la propria vita ? E del vestire di che vi affannate ? Osservate i gigli del campo, come essi crescono. Non si affaticano né filano, eppure io vi dico che nemmeno Salomone in tutta la sua gloria fu mai rivestito come uno di questi. Se dunque l’erba del campo che oggi è e domani è gettata nel forno, Dio rivesta così, non rivestirà molto di più voi, gente di poca fede ? Non v’affannate dunque dicendo che mangeremo o che berremo o di che ci vestiremo : tutto ciò i pagani ricercano. Al Padre vostro celeste sa che abbisognate di tutte queste cose. Cercate innanzi tutto il Regni di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non vi affannate, dunque, per il domani perché il domani avrà le sue inquietudini. Basta a ciascun giorno la sua pena” 22. Entrate per la porta stretta, perché larga la porta e spaziosa la strada che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto è stretta la porta e angusta la strada che conduce alla vita e pochi quelli che la trovano” • La versione linguistica pasoliniana è grammaticalmente corretta (e, dunque, eccellente) : sia nella sceneggiatura che nel film, Pasolini fa dire a Cristo, limitatamente al secondo versetto, “come noi li abbiamo rimessi” (invece che “come noi li rimettiamo”). Nel testo greco, la corrispondente forma verbale è un aoristo (corrispondente all’originale, in dialetto aramaico), tempo verbale che rende la compiutezza dell’azione con effetti ancora permanenti. 97
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