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Riassunto Titolo V la prova , Manuale di diritto processuale civile (principi) , Liebman, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunto del titolo V "la prova"

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 30/05/2019

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Scarica Riassunto Titolo V la prova , Manuale di diritto processuale civile (principi) , Liebman e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! TITOLO QUINTO. LA PROVA. I. CAPITOLO PRIMO. PRINCIPI GENERALI. 148. La prova. Istruzione probatoria è chiamata dalla legge quella parte della fase istruttoria che viene dedicata all’assunzione delle prove e agli atti o procedimenti che alle prove si riferiscono. Si è già detto che il processo di cognizione è diretto alla formulazione di un giudizio che consiste nella valutazione di uno o più fatti. Ma i fatti, prima di essere valutati, devono essere accertati. Si chiamano prove i mezzi che servono a dare la conoscenza di un fatto e a fornire la dimostrazione per formare la convinzione della verità del fatto medesimo; e si chiama istruzione probatoria la fase del processo diretta a raccogliere le prove necessarie a quello scopo. Se la giustizia è lo scopo ultimo della giurisdizione non vi è può essere giustizia se non fondata sulla verità dei fatti ai quali si riferisce. La percezione e valutazione delle prove da parte del giudice ,riguardo dichiarazioni delle parti aventi ad oggetto affermazione di fatti suscettibili di conseguenze giuridiche, ha comunque un valore essenzialmente relativo: siamo sempre nel campo della convinzione soggettiva e comunque si tratterà pur sempre di un giudizio di probabilità seppur si spera elevata e di verosimiglianza. A questo motivo di relatività un altro se ne aggiunge ed è proprio del processo civile ed è dovuto al modo e ai limiti con cui si raccolgono le prove. Dal punto di vista giuridico, tuttavia, questi limiti rimangono superati dal momento in cui la decisione diviene vincolante,immutabile e cosa giudicata. Per riassumere,quindi, prova è tutto ciò che può servire a convincere il giudice dell’esistenza o inesistenza di un fatto e in questo senso è sinonimo di mezzo di prova poiché prova può essere inteso anche il risultato che i mezzi mirano ad ottenere (per cui si dice che è raggiunta o mancata la prova di un certo fatto). Istruzione probatoria è l’insieme delle attività processuali dirette a raccogliere ed elaborare i mezzi di prova cosicché il giudice li possa utilizzare per decidere la causa. 149. Le norme sulla prova. Il giudice non può mettersi liberamente ad indagare intorno ai fatti della causa. È per questo che la legge regola minuziosamente i mezzi di prova di cui è consentito l’uso nel processo e i modi e le forme della loro assunzione. In linea generalissima possiamo dire che la diffidenza per alcune fonti di prova ha indotto il legislatore a limitarne l’uso e in parte ad escluderlo e a favorire altre dotate di maggiore attendibilità e più certe nei risultati. Inoltre,per dare ordine allo svolgimento del processo e per garantire il principio del contradditorio e dell’uguaglianza delle parti, l’esibizione e l’assunzione delle prove sono regolate con la prescrizione di forme e termini rigorosi. Queste norme assolvono a due finalità: da un lato mirano ad assicurare un proficuo risultato dell’istruzione probatoria ma dall’altro la necessità è quella di favorire la certezza e la risoluzione dei rapporti giuridici. È per questo che l’effetto complessivo del regime legale della prova è quello di raggiungere uno standard medio nei risultati che dia un grado soddisfacente di approssimazione della verità ma che può altresì sacrificare qualche aspetto dei casi che offre particolare difficoltà alle indagini. Le norme che disciplinano le prove tanto nelle loro ammissibilità ed efficacia quanto nei modi e nelle forme della loro produzione e assunzione formano un organico inscindibile e un istituto giuridico unitario. Al legislatore è purtroppo mancata questa visione unitaria; esso ha arbitrariamente spezzato quell’unità organica e ha separato le norme in due gruppi collocando nel codice civile quelle che regolano l’ammissibilità e l’efficacia dei mezzi di prova e nel codice di rito quelle che regolano l’assunzione delle prove nel processo. 150. Natura delle norme sulla prova. La prova si dà nel processo ed è rivolta al giudice destinata com’è ad affermare la convinzione di lui intorno ai fatti della causa e a costituire perciò il fondamento delle sua decisione. Queste elementari proposizioni permettono di classificare la prova come norme strumentali-processuali in quanto sono norme che si limitano a disciplinare i modi e le forme della loro evidenza nel processo ed hanno delle risultanze all’interno di esso. Come si è detto il legislatore ha tuttavia misconosciuto il carattere unitario della disciplina collocando nel c.c. le norme che regolano l’ammissibilità e l’efficacia di alcuni mezzi di prova. La scelta è stata giustificata le prove “vengono in considerazione anche come mezzo per far valere i propri diritti, e ciò non solo in giudizio, ma anche fuori di questo […] per il rispetto dei medesimi e di tranquillità nel loro godimento”. Bisogna però marcare come queste osservazioni non hanno la forza per separare la disciplina dell’istituto e questo perché anche le norme contenute nel c.c. regolano l’ammissione delle prove e la loro efficacia nel processo e ciò è di tutta evidenza per la prova testimoniale,la confessione e il giuramento. Un discorso a parte poi va fatto per le prove precostituite che si formano fuori dal processo (es. documenti) ma che comunque hanno l’effettiva forza probante solo nel processo e saranno in questo valutate dal giudice “secondo il suo prudente apprezzamento”. L’utilità delle prove fuori dal processo parte quindi come un’utilità meramente di fatto, non giuridica, ed è quindi una presunta efficacia che, col loro impiego, potranno spiegare all’interno di un eventuale processo. Da ultimo per quel che concerne le presunzioni, bisogna distinguere fra presunzioni legali e presunzioni semplici. Quest’ultime la legge dice che sono “le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto”; le prime invece non hanno a che fare con l’accertamento dei fatti e la loro disciplina non appartiene al processo. Alla luce di quanto detto non si può dunque dubitare della natura processuale di queste norme. Ne deriva la conseguenza che devono sempre trovare applicazione le norme sulle prove che sono in vigore nel momento in cui il processo si svolge anche se i fatti da provare sono avvenuti in epoca anteriore e il rapporto controverso sia regolato da legge straniera. È solo la legge del tempo e del luogo del processo che può indicare i mezzi e i modi che il legislatore ha ritenuto idonei per formare la convinzione intorno la verità dei fatti. 151. Graduazioni della prova. 153. Fatti notori. Al principio che i fatti debbono essere provati in giudizio fa eccezione il caso del fatto notorio che il giudice può porre a fondamento della decisione anche senza bisogno di prova. Sono da considerarsi notori quei fatti che sono noti alla generalità delle persone di media cultura nel tempo e nel luogo della decisione al punto che non possa aversi alcun dubbio sulla loro esistenza o sul loro modo di essere. Appunto perciò la prova è superflua e la conoscenza che ne ha il giudice non gli viene dalla sua scienza bensì dalla notorietà pubblica che rende assurdo ogni dubbio a riguardo e che sostituisce pienamente quel controllo tipico della prova. La notorietà può essere generale, locale o speciale, ristretta cioè a coloro che sono interpreti di una certa disciplina tecnica o scientifica. In questo caso il giudice può farsi assistere da un consulente tecnico. 154. Disponibilità della prova. Il principio dispositivo. Come detto, tocca alle parti l’onere di allegare i fatti che ritengono rilevanti nella causa; ma esse hanno anche l’onere di fornire le prove dei fatti che hanno allegato. A questo onere corrisponde un limite ai poteri del giudice il quale “salvo i casi previsti dalla legge, deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero”. Il giudice non può dunque spontaneamente assumere iniziative istruttorie. Questo insieme di regole prende il nome di principio dispositivo ed è uno dei criteri che regola la dinamica dei congegni processuali. Il principio in questione non esprime tuttavia un principio assoluto ma è legato da una parte a ragioni pratiche (nessuno meglio delle parti conosce i fatti della controversia e i mezzi che possono darne la prova) e dall’altro all’esigenza di assicurare al giudice la sua posizione di imparzialità che verrebbe compromessa se fosse suo compito assumere delle iniziative di contenuto istruttorio. Non costituiscono invece un’infrazione al principio dispositivo i pochi poteri inquisitori riconosciuti al giudice che hanno carattere complementare : così la consulenza tecnica, che non è una prova, ma un mezzo per acquisire o valutare le prove; l’interrogatorio libero delle parti, avente funzione integrativa; l’ispezione di persone e cose; o,ancora, alcuni poteri complementari nella prova testimoniale e il giuramento suppletorio. Quando invece oggetto del processo è uno di quei rapporti che non sono nella disponibilità delle parti (diritti indisponibili), il principio dispositivo subisce una vera attenuazione perché l’ordine giuridico in questo caso non può affidare all’arbitrio delle parti l’accertamento della verità: perciò il pubblico ministero deve intervenire nel processo con facoltà di integrare le iniziative istruttorie delle parti. Per questi casi il legislatore ha preferito affidare un potere istruttorio al pubblico ministero anziché al giudice per la preoccupazione di non menomare la sua imparzialità. Il principio dispositivo si completa poi col divieto imposto al giudice di servirsi, per l’accertamento della verità, della sua eventuale conoscenza personale dei fatti della causa (c.d. “scienza privata”) dovendo egli attenersi al materiale di cognizione esistente negli atti. Va però accennato come il giudice possa utilizzare per la formazione del suo convincimento un materiale ben più ampio di quello fornito dalle sole prove: infatti anche le risposte date all’interrogatorio libero e il comportamento delle parti nel processo possono essere considerati dal giudice agli effetti di ricavarne motivi di convincimento e di valutazione delle prove. Con riguardo a questo la legge fa riferimento sia al contegno che le parti tengono in occasione delle singole prove che più genericamente a tutto il loro comportamento nel processo. La legge dice che il giudice ne possa ricavare “argomenti di prova” e l’espressione ha lasciato perplessi gli interpreti. Onde evitare inadeguate interpretazioni allora è orientamento da sposare quello che intende il sottoporre al libero apprezzamento ogni aspetto del contegno processuale delle parti come elementi di convinzione aventi un valore complementare e sussidiario e non quello di una prova da sola sufficiente. E inoltre è stato giustamente sostenuto che il giudice deve indicare alle parti gli argomenti di prova che crede di poter desumere dal loro comportamento nel processo. 155. Valutazione della prova. Acquisito alla causa il materiale probatorio, il giudice deve valutarlo liberamente “secondo il suo prudente apprezzamento” (art.116) e cioè mediante l’uso della ragione e dell’esperienza e dei risultati di tale valutazione deve dar conto succintamente ma esaurientemente nelle motivazione della sentenza. La legge pone tuttavia limite a questo principio generale per quanto riguarda talune limitazioni che sono stabilite dalle regole di “prova legale”. In questi casi il giudice non può valutare la prova in ragione della forza di convinzione di cui è dotata in concreto ma deve limitarsi a constatare il risultato dell’esperimento probatorio e se questo corrisponde al modello prescritto dalle legge a dedurne l’effetto dalla legge stessa stabilito. Tramite questo espediente il legislatore semplifica e rende più spedito l’accertamento dei fatti. L’esperienza della vita ad esempio dimostra che nessuno è disposto a riconoscere per vero un fatto contrario ai propri interessi e, pertanto, il legislatore ha stabilito che un’eventuale confessione faccia piena prova liberando il giudice dalla necessità di indagare caso per caso attorno alla sua credibilità. Naturalmente valutazione libera non significa facoltà per il giudice di formare il suo convincimento in modo soggettivamente arbitrario. Libertà vuol dire uso ragionato della logica e il giudice dovrà applicare largamente le c.d. “massime di esperienza” che sono quei giudizi di carattere generale che gli permetteranno di apprezzare il significato, l’attendibilità e l’efficacia di una prova. Le cose vanno altrimenti in quei casi in cui per capire la portata di una prova occorre il possesso di cognizioni particolari di una determinata disciplina tecnica o scienza. In questi casi, se il giudice non possiede la cultura specializzata, potrà farsi assistere da un consulente tecnico dal quale apprenderà le nozioni particolari che gli consentiranno di adempiere al suo ufficio. Soggetto a libero apprezzamento è invece il comportamento processuale delle parti. 156. Onere della prova. I. Dalla necessità per il giudice di giudicare in base alle prove prodotte dalle parti, deriva la conseguenza che all’onere di allegare i fatti rilevanti nella causa si aggiunga per le parti l’onere di darne la prova. Se al giudice non sono offerte le prove occorrenti per l’accertamento dei fatti, sarà impossibile che egli possa pervenirvi. Ma le parti al processo sono almeno due cosicché quello che giova all’una nuocerà all’altra e viceversa. Perciò non è affatto irrilevante stabilire quando l’onere di provare i fatti spetta all’uno o all’altro contendente e sorge così un problema della distribuzione dell’onere della prova tra le parti, fra i più difficili della teoria del processo. Il problema si pone per la ragione che il giudice deve decidere in ogni caso, sempre e comunque: anche se un fatto rilevante per la decisione rimane dubbio, non può rifiutarsi di pronunciare e nemmeno può rifugiarsi in una decisione “allo stato degli atti”; egli deve decidere nel merito accogliendo o respingendo la domanda. Ne deriva l’inevitabile conseguenza che debba soccombere quella delle due parti che “avrebbe dovuto” provare il fatto rimasto incerto. Resta però irrisolto l’interrogativo di chi sia la parte gravata dall’onere della prova. Prima di scioglierlo, occorre osservare che il suo rigore può venire alterato da due diversi ordini di motivi. Da un lato infatti un fatto può venire accertato anche in base a prove che non siano state fornite dalla parte gravata ma che si trovino comunque esistenti negli atti (perché ad es. prodotte dall’altra parte o dal pm) e dall’altro il giudice dispone di alcuni poteri istruttori che talvolta possono permettergli di uscire dall’incertezza in cui lo avevano lasciato le prove di parte: l’interrogatorio libero, l’ispezione di persone o cose e la consulenza tecnica possono essere da lui ordinate anche a questo scopo così come possono aiutarlo nella stessa direzione la valutazione del comportamento processuale delle parti e il giuramento suppletorio. Fatte queste premesse si sa che ciascuna parte sia portata ad allegare i fatti a sé favorevoli e questo sembrerebbe il criterio più logico per ripartire l’onere della prova. Ma tale criterio risulterebbe insufficiente perché comunque ogni fatto potrebbe essere prospettato in termini positivi e negativi ed entrambe le parti avrebbero interesse a provarlo solo che l’una come esistente, l’altra come inesistente. Per questi motivi, la legge dispone in termini concludenti che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento “ e “chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato od estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. In altri termini, l’attore deve provare i fatti costitutivi che sono il fondamento della sua domanda; mentre tocca al convenuto provare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi che possono giustificarne il rigetto. È evidente che in tutto ciò la posizione del convenuto è più comoda perché non sorge in lui alcun onere finché l’attore non abbia provato il suo fatto costitutivo; soltanto se il fatto costitutivo sia provato sorgerà in lui la necessità di contrapporgli un’eccezione e di provare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi su cui si fonda. Risulta quindi confermato che a ciascuna parte incombe l’onere di provare i fatti di cui ha interesse. Tuttavia le difficoltà sorgono quando si tratta di procedere all’esatta qualificazione dei fatti. Questo perché non tutte le circostanze che devono concorrere per la produzione di un certo effetto giuridico entrano automaticamente nella categoria dei fatti costitutivi: ad esempio affinché un contratto possa ritenersi valido è necessaria la capacità dei contraenti e il consenso non viziato ma fatto costitutivo è soltanto la conclusione del contratto e non tutti gli altri requisiti di carattere generale. L’incapacità delle parti o l’invalidità del consenso assumeranno allora oggetto di fatti impeditivi in quanto produttivi di annullabilità o nullità del contratto. Come si è capito,allora, la vera difficoltà è data dalla categoria dei fatti impeditivi cioè dalla necessità di distinguere il fatto costitutivo da quegli altri fatti che sebbene indispensabili alla produzione dell’effetto giuridico sono meri elementi integranti del fatto medesimo. A tale scopo è quindi opportuno separare il fatto specifico che è considerato produttivo di un certo effetto giuridico dai requisiti generici la cui inesistenza rappresenterà altrettanti fatti impeditivi. Cosicché il cura del cancelliere. Il consulente che non sia iscritto nell’albo può ricusare la nomina; quello che è iscritto ha l’obbligo di prestare il suo ufficio ma può addurre un motivo di astensione. Nell’uno e nell’altro caso, il consulente deve proporre la sua istanza al giudice che l’ha nominato almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione. Nello stesso termine le parti possono proporre loro istanze di ricusazione. Se la nomina fu fatta dal collegio, l’astensione o la ricusazione vanno proposte al giudice istruttore, davanti al quale deve aver luogo la comparizione. All’udienza di comparizione il giudice istruttore riceve il giuramento del consulente di adempiere fedelmente le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere ai giudici la verità. 161. Attività del consulente. Gli artt. 62 e 194 del codice di rito e 90-92 descrivono le attività del consulente. In generale è opportuno precisare che esse variano molto da caso a caso dipendendo per quantità e qualità da ciò che stabilisce il giudice istruttore. Questo può anzitutto invitare il consulente ad assistere alle udienze o può disporre che compia indagini fuori di udienza tanto da sé (dovendo comunicare alle parti il giorno, l’ora e il luogo delle operazioni) quanto insieme a lui; può inoltre autorizzarlo a domandare chiarimenti alle parti o ad assumere informazioni da terzi. In tutti i casi le parti possono intervenire alle operazioni del consulente e possono presentargli osservazioni ed istanze. Delle indagini del consulente si forma processo verbale quando sono compiute in presenza del giudice istruttore ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione. Se le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, il consulente deve sempre farne relazione scritta. La relazione va trasmessa dapprima alle parti che, entro il termine fissato dal giudice, potranno far pervenire al consulente le loro osservazioni e successivamente il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione delle stesse. Il giudice ha sempre la facoltà di optare per la rinnovazione delle indagini quando non gli sembrino esaurienti e può, per gravi motivi, disporre la sostituzione del consulente. 162. Esame contabile. Un caso particolare di consulenza è quello dell’esame contabile che si distingue per i maggiori poteri che possono essere conferiti al consulente. Infatti: a) in caso di esaminazione di documenti contabili il giudice istruttore può dare incarico al consulente tecnico; b) in tal caso gli affida il compito di tentare la conciliazione delle parti; se le parti si conciliano si redige processo verbale della conciliazione che è sottoscritto dalle parti e dal consulente e inserito nel fascicolo d’ufficio; invece, se la conciliazione non riesce, il consulente espone in una relazione scritta le dichiarazione delle parti, i risultati delle indagini e il suo parere depositandola in cancelleria e le dichiarazioni fatte dalle parti possono essere liberamente valutate dal giudice; c) il consulente incaricato dell’esame contabile, sentite le parti e dietro loro previo consenso, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa ma di essi non può, senza consenso delle parti, fare menzione nei processi verbali o nella relazione. La possibilità di esaminare documenti e registri non prodotti è tuttavia subordinata alla necessità che il consulente si trovi nel luogo in cui la contabilità è conservata. 163. Il consulente tecnico di parte. Quando si debbono decidere questioni di carattere tecnico e il giudice ritiene di doversi fare assistere da un consulente sorge anche per le parti la stessa necessità. Perciò la legge stabilisce che il giudice, con ordinanza, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare un loro consulente tecnico. I consulenti di parte hanno il compito di assistere a tutte le indagini che compie il consulente del giudice e di partecipare alle udienze e alla camera di consiglio tutte le volte che vi intervenie il consulente del giudice con la facoltà di chiarire le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche nell’interesse delle parti rispettive. Il consulente di parte fornisce poi al suo assistito osservazioni e consigli nella preparazione degli scritti difensivi e può, dietro consenso del giudice, depositare nel suo interesse una propria relazione scritta. § 2. La prova documentale. SEZIONE PRIMA : I documen� 164. Il documento. Documento, in generale, è una cosa che rappresenta o raffigura un fatto, in modo da dare a chi l’osserva una certa conoscenza di esso. I documenti hanno perciò una grande importanza per il diritto come mezzi di prova. In particolare, interessano dal punto di vista giuridico, in quanto rappresentativi di fatti giuridicamente rilevanti. Vi si distinguono due elementi: quello materiale, che è dato per lo più dalla carta, ed il contenuto in cui consiste la rappresentazione del fatto giuridico e in relazione a ciò si distingue l’estrinseco e l’intrinseco del documento. I documenti che più frequentemente vengono usati in funzione probatoria sono le scritture : una lettera, un testamento, il documento di un contratto ecc. Sono tuttavia documenti anche le fotografie o disegni. I documenti si distinguono in narrativi e dichiarativi. I dichiarativi hanno per contenuto una dichiarazione dell’autore del documento, che può essere dichiarazione di scienza e di volontà; narrativi sono tutti gli altri. Un documento può comunque essere narrativo e dichiarativo allo stesso tempo e cioè quando l’autore del documento riferisce una dichiarazione fatta da altra persona. Per avere certezza sulla sussistenza di un documento bisogna distinguerlo dalla dichiarazione: l’atto giuridico è dato dalla dichiarazione e il documento è soltanto il mezzo materiale che la contiene e la rappresenta. La distinzione è particolarmente difficile quando la dichiarazione è fatta con la formazione del documento; ma un conto è formulare la dichiarazione per mezzo della scrittura e altro è il suo risultato cioè la produzione di un documento che è una cosa materiale. Si chiama confessorio il documento che contiene la dichiarazione di un fatto contrario all’interesse di colui che fa la dichiarazione; dispositivo o costitutivo quello che contiene una stipulazione contrattuale e riproduttivo quello che rappresenta una dichiarazione già fatta precedentemente, appunto ripetendola. Copia è il documento che riproduce un altro documento. 165. Diverse funzioni del documento. Nel commercio giuridico si tende a dare forma scritta a tutti gli atti più importanti in modo da assicurare per il futuro la loro esatta conoscenza e,se necessario, la loro prova. Anche la legge mostra di avere una maggiore fiducia nella prova scritta in confronto a quella orale risolvendo a favore della prima le eventuali collisioni tra le due prove. In tal modo si stimolano anche le parti a predisporre, quando sia possibile, la prova scritta degli atti giuridici più importanti. Ciò premesso e ferma restando la funzione probatoria del documento, la sua rilevanza giuridica può assumere gradazioni diverse: a) in alcuni casi il diritto menzionato nel documento non può essere esercitato, né trasferito, senza il regolare possesso e il regolare trasferimento del possesso del documento per cui si ha la c.d. incorporazione del diritto nel documento (c.d. titolo di credito) ; b) in altri casi il documento serve a facilitare l’adempimento di una obbligazione mediante l’identificazione dell’avente diritto (documento di legittimazione) ; c) in altri casi la scrittura è assunta dalla legge a requisito di forma per l’esistenza dell’atto giuridico di modo che l’atto è nullo se non è fatto in tale forma (ad substantiam) ; d) in altri casi la scrittura è prescritta dalla legge per la prova dell’atto (ad probationem) nel senso che l’atto può essere validamente sorto in qualunque forma ma non è ammessa la prova per mezzo dei testimoni; e) in tutti gli altri casi la prova scritta occorre con le altre ammesse dalla legge. 166. La sottoscrizione e la data. Agli effetti della funzione probatoria delle scritture assume decisiva importanza il problema della loro provenienza, cioè della paternità del documento scritto. La legge per agevolare la soluzione del problema dispone che chi sottoscrive assume la paternità dell’intero documento, anche se questo non fu da lui nominato in tutto o in parte. La sottoscrizione deve essere sempre autografa e per essa 170. Il telegramma. I problemi che riguardano l’efficacia probatoria dei telegrammi devono tener conto del meccanismo tecnico di questo mezzo di comunicazione del pensiero. Si tratta anzitutto di accertare la provenienza del telegramma. Per esso non vi sono difficoltà a fini probatori se fu sottoscritto dal mittente e la sottoscrizione fu autenticata dal notaio, ma questo è un caso poco frequente. Non ci sono difficoltà nemmeno se colui che figura come mittente riconosce il telegramma come proprio, oppure se la provenienza risulta da altri documenti. Se non incorre nessuna di queste circostanze, il destinatario dovrà chiedere al giudice che ordini all’amministratore dei telegrafi di depositare in cancelleria l’originale consegnato all’ufficio di partenza. Se l’originale è sottoscritto dal mittente o è scritto di suo pugno, si procederà con i mezzi consueti al riconoscimento o alla verificazione della sottoscrizione o del testo dell’originale. Per quanto riguarda il suo contenuto, la legge presume fino a prova contraria la sua conformità con l’originale. 171. Carte e registri domestici. Le carte e i registri domestici contengono di solito annotazioni ed appunti non sottoscritti perché redatti per proprio uso. Tuttavia essi fanno prova contro chi li ha scritti, quando enunciano espressamente un pagamento ricevuto, o quando contengono la menzione espressa che l’annotazione è stata fatta per supplire alla mancanza di titolo in favore di chi è indicato come creditore. Analoga efficacia ha l’annotazione fatta dal creditore in calce di un documento rimasto in suo possesso, benché non sottoscritta, se tende ad accertare la liberazione del debitore; o l’annotazione fatta a margine di un documento del debito posseduto dal debitore. 172. Scritture contabili delle imprese commerciali. Disposizioni particolari disciplinano l’efficacia probatoria delle scritture contabili delle imprese commerciali e delle altre soggette a registrazione. La legge obbliga le imprese menzionate a tenere in buon ordine i registri della contabilità. Il libro giornale e il libro degli inventari sono obbligatori per tutti gli imprenditori; inoltre devono essere tenute le altre scritture contabili richieste dalla natura e dimensione dell’impresa. Le annotazioni contenute in questi registri non sono di regola sottoscritte, ma vi sono altri mezzi per individuare la persona per conto della quale sono fatte: decisiva è l’appartenenza dei libri all’imprenditore o alla società. Le registrazioni contenute nei libri e nelle altre scritture contabili delle imprese fanno prova contro l’imprenditore; esse valgono cioè come prova dei fatti menzionati che siano contrari all’interesse dell’imprenditore a cui i libri stessi appartengono. Tuttavia chi vuole trarne vantaggio non può scinderne il contenuto, non può perciò servirsi della prova che ne risulta per i fatti a sé favorevoli e respingerla per i fatti che invece gli sono sfavorevoli. La prova è sottoposta a libero apprezzamento del giudice e ad essa potrà opporsi la prova contraria, senza limitazione di mezzi. Maggiore è l’efficacia probatoria dei libri, se bollati e vidimati a norma di legge, nei casi di controversie tra imprenditori relative a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa: in tal caso possono far prova non solo contro ma anche a favore dell’imprenditore a cui appartengono. Anche questa è una prova soggetta al libero apprezzamento del giudice. 173. Riproduzioni meccaniche. L’ART. 2712 c.c. dispone che le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in generale, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro cui sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Si tratta di una prova comunque lasciata al generale principio del libero apprezzamento del giudice ma ciò che il legislatore vuol intendere con questa norma è che, soltanto in mancanza di disconoscimento, la prova fornita dalle riproduzioni meccaniche può da sola essere sufficiente a formare il convincimento del giudice. 173-bis. Il documento informatico. Il continuo progresso tecnologico ha indotto a tecniche di documentazione diverse da quella cartacea. La recente normativa ha attribuito al documento informatico la qualifica di vero e proprio documento. Sul piano dell’efficacia probatoria, il maggior problema sta nell’impossibilità pratica di apporre una sottoscrizione autografa idonea a garantire la paternità del documento. È il d.lgs. n.10 del 2002 ad aver attribuito al documento informatico efficacia probatoria in senso stretto riguardo ai fatti e alle cose rappresentate (efficacia propria delle riproduzioni meccaniche) naturalmente fatta salva la possibilità di contestazione della parte nei cui confronti il documento è prodotto in giudizio. Se è disconosciuto nella sua conformità, il documento informatico in senso stretto non può essere sottoposto a verificazione giudiziale ma il giudice può accertarne la conformità con altri mezzi, comprese le presunzioni. Anche il documento dotato di firma elettronica (o semplice) rimane soggetto al libero apprezzamento del giudice e,nondimeno, tale documento soddisfa pienamente il requisito della forma scritta, anche ad substantiam. Il documento informatico sottoscritto con firma digitale è in più idoneo a garantire univoca attribuzione al firmatario e acquista efficacia di prova legale fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da parte di chi l’ha sottoscritto. 174. Le copie degli atti. La copia, riproducendo un altro documento (l’originale), fornisce immediatamente la prova del fatto in esso rappresentato. L’efficacia probatoria della copia dipende dalla sua fedeltà nella riproduzione dell’originale (oltre all’attendibilità di questo). Bisogna distinguere tra copie pubbliche e private. La legge disciplina solo le prime. Le copie di atti pubblici, spedite nelle forme prescritte da depositari pubblici autorizzati, fanno fede come l’originale e le copie delle scritture private depositate presso pubblici uffici e spedite da pubblici depositari autorizzati hanno la stessa efficacia della scrittura originale da cui sono estratte. Se manca l’originale dell’atto pubblico o della scrittura privata, o l’originale presenta abrasioni, cancellature od altri difetti esteriori, è rimesso al giudice di apprezzare l’efficacia probatoria della copia. Oggi sono molto usate anche le copie fotografiche degli originali; esse hanno la stessa efficacia degli originali se la loro conformità è attestata da pubblico ufficiale competente o non è espressamente disconosciuta. Anche le copie grafiche fatte e usate da privati al posto degli originali hanno valore subordinato al mancato disconoscimento della parte contro cui sono prodotte, secondo le regole generali. 175. Documento ricognitivo. Il documento di ricognizione o rinnovazione rappresenta la dichiarazione confessoria dell’esistenza del documento originale, del quale riproduce il contenuto; esso fa perciò piena prova delle dichiarazioni contenute nel documento originale, se non si dimostra, producendo quest’ultimo, che vi è stato errore nella ricognizione. Per avere questa efficacia, il documento ricognitivo deve provenire dalla stessa persona o dalle stesse persone che avevano formato l’originale. SEZIONE SECONDA: Produzione, esibizione, comunicazione dei documenti. 176. Produzione dei documenti. Per adempiere alla loro funzione probatoria, i documenti devono essere dati in visione al giudice ma ciò deve avvenire in una forma e con modalità che consentano anche alla controparte di conoscerli e discuterne il contenuto, con la possibilità di contrapporre ad essi i propri documenti. Si chiama produzione di documenti l’atto con cui questi vengono posti dalla parte a disposizione del giudice. La produzione si fa mediante inserzione dei documenti nell’apposita sezione del proprio fascicolo, che ciascuna parte deve depositare in cancelleria o consegnare al cancelliere personalmente in udienza, quando si costituisce. I documenti prodotti sono acquisiti al processo e non possono più essere ritirati. Nel corso del processo possono venire prodotti altri documenti, sempre mediante inserzione nel fascicolo, fino a che la legge lo consente. 177. Esibizione dei documenti. Non sempre sono prodotti in giudizio i documenti che possono fornire elementi utili per l’accertamento dei fatti della causa. Il documento può trovarsi nelle mani di un terzo, oppure la mutamento apportato a un documento già formato in modo tale che ne consegua in tutto o in parte l’indicato risultato. Un documento che non è materialmente falsato si dice genuino. Per quel che riguarda l’intrinseco, il documento è falso se il suo contenuto non risponde a verità. Anche questo aspetto del falso risulta da un rapporto tra la verità dei fatti e le affermazioni contenute nel documento. Ma sotto questo profilo di falsità occorre ulteriormente distinguere tra le diverse categorie dei documenti. Questa figura del falso può infatti verificarsi solo nei documenti narrativi, o meglio nella parte narrativa di un documento. Il c.p. e l’opinione corrente la chiamano falso ideologico o,come indicata dal Carnelutti, falso mendacio. Un documento si chiama veridico o veritiero quando non è ideologicamente falso. È estranea al problema del falso l’eventuale divergenza interna tra contenuto e la reale intenzione nelle dichiarazioni di volontà. 182. Rilevanza giuridica della falsità. Per un documento il fatto di essere vero o falso integra una sua qualità che assume rilevanza giuridica perché lo fa divenire utile o dannoso nella sua funzione probatoria come mezzo suscettibile di venire utilizzato nella ricerca della verità nel processo. La legge ha quindi avuto molta cura nel predisporre i mezzi che possono assicurare la formazione di documenti veri e nel sottoporre a pene severe gli autori di documenti falsi. Per ciò che attiene al processo civile, la legge ha configurato due procedimenti ossia la verificazione di scrittura privata e la querela di falso destinati ad accertare la verità o falsità di un documento. Oggetto di questi processi è in ogni caso un fatto e,appunto, l’autenticità o falsità del documento ma un fatto che – una volta accertato – imprime al documento una determinata qualità, quasi un suo status che lo rende idoneo, oppure no, alla funzione probatoria. Si è già detto che i documenti scritti sono dotati di un’efficacia probatoria legale la quale suppone che gli stessi siano veri. Perciò una scrittura privata è fornita di tale efficacia purché sia stata riconosciuta oppure verificata; e viceversa tanto la scrittura privata quanto l’atto pubblico saranno privi di efficacia probatoria quando siano dichiarati falsi. Ma nei limiti come questi, in cui i documenti fanno piena fede, la querela di falso è l’unico mezzo per combattere la loro efficacia probatoria nel senso che non bisognerà limitarsi a provare che i fatti da essi risultanti non sono veri ma bisogna dimostrare tramite la querela che i documenti sono falsi. Le regole di prova legale sono poi stabilite dalla legge e sono applicabili naturalmente ai soli documenti veri, non a quelli falsi poiché, quello della verità del documento, è un requisito preliminare. Tanto la domanda di verificazione quanto la querela di falso possono proporsi, oltre che in via incidentale nel processo, anche in via principale in un processo che si pone nei modi ordinari. 183. Riconoscimento della scrittura privata. Come detto, la scrittura privata non reca in se stessa la prova della sua provenienza, sia perché può non essere sottoscritta, sia perché - anche se sottoscritta- non vi è alcuna garanzia salva l’ipotesi dell’autenticazione che essa sia autentica. Da ciò nasce la necessità di accertare l’autenticità della sottoscrizione o della scrittura. Tale accertamento può essere ottenuto mediante riconoscimento, che è la dichiarazione confessoria di chi ha scritto o sottoscritto il documento e riconosce come propria la scrittura o la sottoscrizione. Allo scopo di facilitare l’indicato accertamento, la legge pone a colui contro il quale viene prodotta una scrittura privata, l’onere di disconoscerla; il disconoscimento consiste nella formale e specifica negazione che la scrittura o la sottoscrizione sia di propria mano di colui che ne appare l’autore allo scopo di evitare che sia tenuta per riconosciuta. Perciò la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta quando : 1) se la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace; 2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza, o nella prima risposta successiva alla produzione. 184. Verificazione della scrittura disconosciuta. Se la parte che ha prodotto la scrittura intende valersene nonostante il disconoscimento, deve chiederne la verificazione e cioè proporre nel processo pendente una domande incidentale di accertamento della genuinità della scrittura stessa. Poiché si tratta di vera e propria azione di accertamento, anche se proposta in via incidentale e cumulativa nello stesso processo principale, bisognerà che sussista l’interesse ad agire, che nella specie sarà dato dalla rilevanza della scrittura come prova nel processo principale e dall’insufficienza delle altre prove esistenti. Chi promuove la verificazione deve proporre i mezzi di prova disponibili. Tutte le prove sono ammesse, ma una particolare importanza rivestono le scritture di comparizione, che l’interessato deve produrre o, se non sono in suo possesso, indicare. Il giudice istruttore stabilisce il termine per il deposito delle scritture di comparizione, nomina un consulente tecnico per l’esame grafologico e provvede all’ammissione delle altre prove. Se mancano le scritture di comparizione, il giudice istruttore può ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura. Se la parte invitata a comparire personalmente non si presenta o si rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura può ritenersi riconosciuta: il rifiuto di scrivere è d’aggiunta un argomento di prova che il giudice deve valutare assieme a tutti gli altri esistenti negli atti. Sulla verificazione il giudice pronuncia con sentenza, che sarà propriamente sentenza definitiva sull’azione incidentale di accertamento. Se la sentenza dichiara la scrittura o la sottoscrizione di mano della parte che l’ha negata, essa potrà essere condannata a pena pecuniaria il che significa che vi è vero obbligo di riconoscere la scrittura o la sottoscrizione genuina. La domanda di verificazione può proporsi anche in via principale in un processo ad hoc. Anche in tal caso è necessario dimostrare l’esistenza dell’interesse ad agire, che dovrà consistere nella possibilità di servirsi della scrittura a scopo di prova. Se il convenuto riconosce la scrittura, le spese devono essere poste a carico dell’attore. 186. Querela di falso. La querela di falso può proporsi in corso di causa in qualunque stato e grado del processo principale purché la sua proponibilità non sia esclusa dalla espressa preclusione di nuove conclusioni: non potrà quindi proporsi dopo la precisazione delle conclusioni e la rimessione della decisione. Naturalmente poi la querela non può proporsi se la verità del documento sia stata accertata con sentenza passata in giudicato tanto civile quanto penale (fermo restando che dovrà farsi attenzione ai limiti oggettivi della cosa giudicata, ad esempio l’avvenuta verificazione della sottoscrizione non può impedire di impugnare di falso il testo della scrittura allografa, di cui si sostenga l’alterazione). La querela è proponibile contro qualsiasi specie di documento e quindi quanto l’atto pubblico tanto la scrittura privata. Naturalmente, finché la scrittura non sia stata riconosciuta, è più semplice disconoscerla anziché proporre la querela ma nessuna norma impedisce alla parte di procedere con l’offensiva e di preferire l’impugnazione della scrittura. La querela deve proporsi dalla parte personalmente oppure a mezzo di procuratore speciale (munito di procura speciale a tale scopo) con dichiarazione presentata all’udienza e allegata al verbale. La dichiarazione deve contenere la domanda espressa di accertamento della falsità del documento che si intende impugnare e l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità. È obbligatorio l’intervento nel processo del pubblico ministero. Avvenuta la proposizione della querela, il giudice interpella la parte che ha prodotto il documento se intende valersene nel processo. Se la risposta è negativa, il documento non è utilizzabile in causa a nessun effetto; se è affermativa, il giudice istruttore deve esaminare se ritiene rilevante il documento e, in caso positivo, autorizza la presentazione della querela nella stessa udienza o in quella successiva e ammette i mezzi istruttori che ritiene idonei disponendo modi e termini nella loro assunzione. Nell’udienza in cui è presentata la querela si forma processo verbale nelle mani del cancelliere del documento impugnato. Il processo verbale è redatto in presenza del p.m. e delle parti e deve contenere la descrizione dello stato in cui il documento si trova con indicazione delle cancellature, abrasioni, aggiunte o scritture interlineari. Il giudice istruttore, il p.m. e il cancelliere apporranno la firma sul documento. Il giudice può ordinare al che di esso sia fatta copia fotografica. Se, invece, il documento di falso si trova presso un depositario, e il giudice non può ordinarne il deposito in cancelleria, dispone le necessarie cautele e redige il processo verbale alla presenza del depositario nel luogo dove si trova il documento. 187. Decisione sulla querela. La querela è un’azione di accertamento per sé stante, anche se proposta in via incidentale e cumulativa al processo principale. Su di essa pronuncia sempre il collegio ed è necessario l’intervento del pubblico ministero. non contestazione del fatto affermato dalla controparte. Infatti la mancata contestazione dispensa dalla prova del fatto affermato, ma non impedisce successivamente di contestare il fatto stesso e renderlo controverso con la nascita dell’onere di provarlo per chi abbia interesse al suo accertamento. Invece l’esplicita ammissione del procuratore non solo rende non controverso il fatto, ma fa sorgere per la parte che voglia poi contestarlo l’onere di provare che il fatto non è vero. Queste disposizioni sono comunque sottoposte al libero apprezzamento del giudice e non sono applicabili ai processi in cui si discutono rapporti giuridici regolati da norme di ordine pubblico. 192. Efficacia. I. La confessione giudiziale “forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti indisponibili, cioè regolati da norme di ordine pubblico”. Questa efficacia è limitata al processo in cui la confessione è stata resa: in un altro processo (rapporti regolati da norme di ordine pubblico) può essere apprezzata liberamente dal giudice. L’efficacia di piena prova ha il preciso significato di escludere il libero apprezzamento del giudice, il quale è vincolato a considerare il fatto definitivamente e completamente provato. Il confidente non può smentire la confessione né è ammesso a fornire prova contraria, salvo il caso della revoca. La confessione giudiziale è quindi a tutti gli effetti una prova legale. Si comprende,quindi, che la legge, ad eccetto dei casi in cui la confessione si riferisca a fatti relativi a diritti non disponibili, possa sostituire alla valutazione concreta della dichiarazione confessoria una sua valutazione astratta ed oggettiva con efficacia vincolante per tutti. La confessione non può essere revocata se non si prova che è stata determinata da errore di fatto o di violenza. L’errore qui è un vizio non della volontà ma della scienza di colui che ha confessato. Irrilevante è l’errore di diritto, cioè l’errore riguardo alle conseguenze giuridiche del fatto o della confessione. Infine la violenza toglie ogni valore alla confessione. In caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da uno solo dei litisconsorti, non potendo valere per tutti gli altri, è soggetta al libero apprezzamento del giudice. Nel litisconsorzio facoltativo invece la confessione ha gli effetti legali nei confronti del confidente ed è invece un semplice argomento di prova nei confronti degli altri. Il tradizionale principio dell’inscindibilità della confessione è stato notevolmente attenuato nella legge vigente in armonia col potere lasciato al giudice di valutare liberamente le prove. Perciò quando alla dichiarazione della verità di un fatto sfavorevole si accompagna quella di fatti o circostanze tendenti ad indebolire l’efficacia del fatto confessato o a modificarne o estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità se l’altra parte non le contesti e in caso di contestazione è rimesso al giudice apprezzare l’efficacia probatoria delle dichiarazioni. II. L’insieme delle disposizioni di legge ora illustrate ha fatto spesso dubitare che la confessione sia prova assimilandola più a un negozio giuridico con cui la parte disporrebbe del proprio diritto, insomma un negozio giuridico processuale con cui il confidente disporrebbe del materiale di causa costringendo il giudice a porre i fatti confessati a fondamento della sua decisione. La conclusione tuttavia non può essere oggi accettata. Questo perché l’interpretazione non spiegherebbe di quale diritto disporrebbe il confidente nel caso ed inoltre l’equivalenza tra la confessione e un negozio dispositivo non basta per trasformare la prima nel secondo: manca infatti la congruenza del contenuto dell’atto con l’effetto che ne consegue, effetto che è disposto dalla legge e non dalla volontà del dichiarante. 193. Confessione stragiudiziale. La confessione stragiudiziale, quando è fatta alla parte o a chi la rappresenta, ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale, mentre se è fatta a un terzo, o se è contenuta in un testamento, è liberamente apprezzabile dal giudice. La confessione stragiudiziale deve essere comunque provata in giudizio e non può provarsi per testimoni se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge. 194. Interrogatorio formale. Il mezzo tipico per provocare la confessione giudiziale è l’interrogatorio formale. La parte che vuole interrogare l’avversario sui fatti della causa deve proporre le domande su cui questo è invitato a rispondere, formulando con la maggiore chiarezza possibile le singole circostanze in “capitoli separati”. Il giudice istruttore ammette con ordinanza l’interrogatorio sui singoli capitoli secondo le regole solite cioè quando li ritenga ammissibili e rilevanti fissando i modi e i termini per l’assunzione che dovrà aver luogo nel giorno e nell’ora (cioè all’udienza) a ciò stabilita. L’ordinanza dovrà essere comunicata alle parti, se pronunciata fuori dall’udienza, e notificata in ogni caso alla parte contumace. Purché i fatti articolati siano rilevanti, l’interrogatorio è sempre ammissibile, salvo che si voglia provare un atto per cui la legge richiede la forma scritta e sempre che il fatto dedotto a prova non sia sicuramente smentito da prove già acquisite agli atti. Nell’assunzione dell’interrogatorio non possono farsi domande diverse da quelle formulate nei capitoli, a eccezione delle domande su cui le parti hanno concordato e che il giudice ritiene utili; ma il giudice può sempre chiedere chiarimenti sulle risposte date. La parte interrogata deve rispondere personalmente, senza l’ausilio di scritti preparati; può tuttavia fare uso di note o appunti quando particolari circostanze lo consigliano. Se la parte non si presenta all’udienza o si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio potrà ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio: è la c.d. ficta confessio, la quale, sebbene non vincoli il giudice e la parte come la confessione, è tuttavia più che un semplice elemento di contegno delle parti da cui il giudice possa desumere argomenti di prova. Se invece il giudice istruttore riconosce giustificata la mancata prestazione della parte, disporrà un’altra udienza e potrà ordinare che abbia luogo fuori della sede giudiziaria. 195. Interrogatorio libero. Il codice vigente ha fatto posto al nuovo istituto dell’interrogatorio libero o interrogatorio di chiarificazione accanto a quello dell’interrogatorio formale. Il giudice può infatti, in ogni stato e grado del processo, ordinare la comparizione personale delle parti in contraddittorio fra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa. L’interrogatorio deve essere in ogni caso disposto se chiesto congiuntamente dalle parti le quali possono farsi assistere dai difensori. Nella nostra legge esso è stato concepito come appartenente più alla fase preparatoria che alle fase istruttoria ed esso non mira, come l’interrogatorio formale, a provocare una confessione con efficacia di piena prova legale, “mira piuttosto a far sì che le parti possano chiarire le loro allegazioni di fatto e le loro conclusioni là dove queste sembrino al giudice incomplete od oscure”; “mentre l’interrogatorio formale è diretto contro l’interrogando nel senso che tende a fargli fare dichiarazioni contrarie al proprio interesse, questo interrogatorio libero mira prima di tutto a giovare alla parte interrogata, per darle modo di spiegar meglio al giudice le sue ragioni e di integrare la propria difesa là dove questa, in seguito alle osservazioni del giudice, possa sembrare manchevole”. Può essere insomma un mezzo per permettere al giudice di avere una visione più semplice e diretta del contrasto esistente tra le parti. Va comunque chiarito che le risposte e il contegno delle parti forniranno anche elementi di giudizio non privi d’importanza agli effetti dell’accertamento dei fatti anche se esse, visto che si tratta di un interrogatorio libero da formalismi e vincoli, saranno soggette al libero apprezzamento del giudice. § 4. Il giuramento. 196. Premessa. Le dichiarazioni delle parti sono certamente una fonte importante per la conoscenza di fatti in causa. Degli scritti difensivi di parte, il giudice trae perciò il maggior numero delle notizie che gli serviranno a ricostruire il suo giudizio. Ma le dichiarazioni delle parti presentano un diverso grado di attendibilità, a seconda che il fatto dichiarato sia favorevole o meno all’interesse del dichiarante: massimo, se il fatto è sfavorevole (tanto che la legge ne trae la regola dell’efficacia di piena prova della confessione) e minimo se il fatto è favorevole. È possibile allora accrescere con mezzi estrinseci l’attendibilità della dichiarazione di un fatto anche favorevole e ciò si ottiene costringendo a rispondere sotto il vincolo del giuramento, con l’obbligo, sanzionato anche penalmente, di non fare dichiarazioni false. Nel nostro ordinamento il legislatore ha conservato il giuramento nella sua figura tradizionale di prova solenne e formale sottratta alla libera valutazione del giudice ed esperibile soltanto quando venga deferita da una parte all’altra o, a determinate condizioni, dal giudice. La sua funzione va individuata come rimedio estremo nel caso di mancanza di altre prove: prima di far dipendere la decisione della causa dall’applicazione meccanica della regola sull’onere della prova, il giudice preferisce far “affidamento” sull’efficacia psicologica della sanzioni sociali e penali che colpiscono il falso giuramento. Il deferimento è atto di parte e può essere compiuto in qualunque stato e grado della causa finché questa si trovi davanti al giudice istruttore: perciò anche in appello e nel giudizio di rinvio. La dichiarazione deve essere fatta in udienza dalla parte o dal procuratore munito di mandato speciale oppure con atto sottoscritto dalla parte su cui deve essere prestato il giuramento in modo chiaro specifico e non equivoco e riproducendo la tesi sostenuta della parte chiamata a giurare. Ma la legge offre alla parte una terza possibilità : quella di deferire il giuramento alla parte che lo ha deferito, purché il fatto che forma l’oggetto sia anche proprio di essa e perciò comune ad entrambe. Deferimento e riferimento sono revocabili fino al momento in cui l’avversario dichiari di essere pronto a giurare. Come tutte le prove, anche il giuramento deve essere ammesso dal giudice, previo giudizio della sua ammissibilità, cioè della rilevanza del fatto e della sua idoneità a formare oggetto della prova. Se non vi sono contestazioni, provvede sempre il giudice istruttore con ordinanza; se invece vi sono contestazioni, la questione deve essere rimessa al collegio che provvede anch’esso con ordinanza. In ogni caso il provvedimento che ammette il giuramento è notificato personalmente alla parte cui è deferito, salvo il caso che sia stata presente alla pronuncia. Il giudice istruttore o il collegio, nell’ammettere la prova, possono modificare la formula allo scopo di chiarirne il contenuto; ma in questo caso la parte che aveva deferito il giuramento può revocarlo perché la formula deve avere in ogni caso la piena approvazione di chi ha deferito il giuramento. b) Il giuramento suppletorio è invece deferito d’ufficio dal giudice; esso assume in questo caso la funzione di una prova sussidiaria, riservata in modo esclusivo all’iniziativa discrezionale del giudice, il quale può ricorrere ad essa quando su un fatto rilevante è già stata acquisita una probatio semiplena che gli fa ritenere credibile il fatto ma non gli permette di formare su di esso un giudizio certo. In questo caso è lecito che il giudice deferisca il giuramento a quella delle due parti che gli sembra più idonea a fornire una notizia certa intorno al fatto medesimo. Nelle controversie che il tribunale deve decidere in formazione collegiale, il giuramento suppletorio può essere deferito esclusivamente dal collegio e non può essere riferito all’altra parte. Il collegio provvede con ordinanza, che deve essere notificata personalmente alla parte che deve giurare. Si ritiene che però questa ordinanza possa essere revocata dal collegio qualora questo apprezzi diversamente le prove preesistenti o ritenga la prova inammissibile con la conseguenza che il giuramento rimane privo di effetto nel giudizio. Il giuramento suppletorio è deferito dal giudice istruttore quando deve decidere come giudice unico. 202. Prestazione. Il giuramento è prestato personalmente dalla parte ed è ricevuto dal giudice istruttore, il quale deve ammonire il giurante sull’importanza morale dell’atto e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false, e quindi lo invita a giurare. Il giurante, in piedi, pronuncia a chiara voce le parole: “consapevole della responsabilità che col giuramento assumo davanti agli uomini, giuro …”. Se la parte a cui fu deferito il giuramento è una persona giuridica o un incapace, la prestazione incombe alla persona che si è costituita in giudizio quale suo legale rappresentante. La prestazione si intende mancata, se la parte che deve giurare non si presenta all’udienza fissata, o se, comparendo, rifiuta di prestare giuramento, o se lo presta apportando alla formula variazioni od aggiunte. La parte che non è comparsa può giustificarsi, adducendo i motivi che glielo hanno impedito, e il giudice, se li ritiene fondati, dispone per l’assunzione un’altra udienza. 203. Giuramento d’estimazione. Un caso particolare di giuramento suppletorio è quello che è deferito d’ufficio dal giudice “al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accettarlo altrimenti”. Nel deferirlo il giudice deve anche determinare la somma fino a concorrenza della quale il giuramento avrà efficacia e ciò significa che, se il valore viene indicato nel giuramento in una somma maggiore, l’efficacia della prova è limitata alla somma stabilita dal giudice. § 5. La prova per tes�moni. 205. La testimonianza. Testimonianza è la narrazione che fa una persona di fatti a lei noti per darne conoscenza ad altri. La sua funzione è di rappresentare un fatto passato e renderlo presente alla mente di chi ascolta e non si propone altro scopo se non quello di esternare a chi ne è privo la conoscenza di un evento passato. È un mezzo largamente utilizzato nella vita di relazione per diffondere la cognizione dei fatti. È dunque una prova. In senso ampio la testimonianza comprende anche la dichiarazione della stessa parte, quando ha per oggetto i fatti della causa ma è evidente che, in senso stretto, è considerata dalla legge come l’affermazione fatta da un terzo e testimone e appunto persona diversa dai soggetti del processo. La testimonianza può avere per oggetto non solo le percezioni dirette e immediate del fatto da parte del testimone ma anche il ricordo di altri fatti che possano essere influenti o comunque utili a far conoscere lo svolgimento degli eventi. Fatti che saranno tutti assieme poi soggetti all’apprezzamento del giudice. Il testimone potrà inoltre riferire circostanze non percepite personalmente da lui ma a lui comunicate da altri nel caso oggetto della testimonianza è la dichiarazione fatta a lui da quell’altra persona (che è una testimonianza di secondo grado). Non è invece compito del testimone far conoscere al giudice le regole tecniche o d’ esperienza applicabili ai fatti od applicarle ai medesimi per ricavarne conseguenze rilevanti per la causa. La testimonianza è una prova di larghissima applicazione perché spesso non vi sono altri mezzi che permettano di indagare intorno al modo come si sono svolti i fatti. Purtroppo non è una prova molto sicura perché le percezioni dei testimoni mancano spesso di precisioni e di esattezza e possono comunque venir riferite con alterazione della verità. È per questo che la legge pone importanti limiti all’ammissibilità della prova testimoniale. Ma nei limiti in cui è ammissibile, la prova testimoniale è soggetta al libero apprezzamento del giudice, il quale dovrà valutare i suoi risultati tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive che possono contribuire a stabilirne o no l’attendibilità. 206. Limitazioni all’ammissibilità della prova. I limiti posti dalla legge alla prova testimoniale dipendono dalla natura del fatto da provare o dai rapporti di questa prova con quella documentale che le viene nettamente preferita o,ancora, dalla qualità della persona che dovrebbe fungere come testimone. a) Anzitutto è esclusa la prova per testimoni per tutti gli atti per i quali la forma scritta è stabilita come requisito di validità (ad substantiam). Per questi il documento è la forma necessaria e qualunque altra prova non può essere ammessa perché sarebbe irrilevante. Tuttavia se il contraente ha,senza sua colpa, perduto il documento, la prova testimoniale può essere ammessa per provare che l’atto fu fatto nella forma scritta voluta dalla legge. b) La prova testimoniale non è ammessa, quando abbia per oggetto un contratto, un pagamento o una remissione di debito per un valore eccedente a euro 2,58. Tuttavia il giudice può consentire la prova oltre il limite indicato tenuto conto della qualità delle parti e della natura del contratto. Questo divieto viene mantenuto ancor’oggi a causa della poca fiducia che riscuote la prova testimoniale ed inoltre, per favorire la formazione della prova scritta, forse anche per ragioni fiscali. La giurisprudenza è costante nel ritenere che il divieto valga soltanto per la prova della convenzione e non per quella di fatti diversi, come sarebbero ad es. i vizi della volontà che si allegano per impugnare la convenzione e né per chiarire o interpretare la convenzione stessa e che, infine, il divieto possa comunque essere derogato dalla volontà delle parti e che perciò la prova sia inammissibile oltre il limite di valore indicato solo se vi sia opposizione di una delle parti. D’altra parte la prova testimoniale non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea e, pertanto, non si possono provare con testimoni eventuali patti modificativi. Qualora invece si alleghi che,dopo la formazione di un documento, è stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso, l’autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad altre circostanze, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali. c) Infine la prova testimoniale è ammessa in ogni caso: 1. quando vi è un principio di prova per iscritto che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2. quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3. quando il contraente ha,senza sua colpa, perduto il documento che gli forniva la prova. 207. I testimoni. Capacità. oralmente e non può servirsi di scritti preparati, a meno che il giudice gli conceda di servirsi di note e appunti. Se vi sono divergenze nelle deposizioni di due o più testimoni, il giudice d’ufficio o su istanza della parte può disporre che siano messe a confronto. La legge conferisce al giudice istruttore alcuni limitati poteri d’iniziativa: può escludere alcuni testimoni ammessi, se ha già raggiunto un sufficiente risultato probatorio; può chiamare d’ufficio dei testimoni non indicati se le parti, nelle loro deposizioni, si siano riferiti a queste persone per la loro conoscenza dei fatti; può disporre che siano sentiti testimoni di cui aveva ritenuto l’audizione superflua o dei quali aveva consentito la rinuncia; può disporre che siano riascoltati testimoni già interrogati. 211-bis. La testimonianza scritta. Con la l. 69/2009 il legislatore ha introdotto la possibilità di assunzione di una testimonianza scritta pur circondandola di opportune cautele. L’ART. 257 bis dispone che, se vi è accordo tra le parti, il giudice, tenuto conto di tutte le circostanze, può ammettere la testimonianza scritta. Il testimone può fornire le sue risposte in forma scritta mediante la compilazione di un apposito “modello” di testimonianza, recante la formulazione dei requisiti a lui rivolti, il giuramento che è chiamato a rendere e dell’ammonizione circa la responsabilità morale e giuridica della deposizione. Il modello è notificato al testimone, che deve restituirlo compilato in tutte le sue parti e accompagnato da sottoscrizione autenticata mediante invio con posta raccomandata o consegna diretta alla cancelleria del giudice che ha disposto l’assunzione della prova. Tenuto conto che tale modalità di assunzione compromette il confronto diretto fra il giudice e la fonte di prova, il giudice, esaminate le risposte del teste, può sempre, eventualmente, disporre che sia chiamato a deporre in udienza. § 6. L’ispezione. 212. L’ispezione. L’ispezione è l’attività istruttoria del giudice diretta ad esaminare una cosa o un luogo, allo scopo di prendere conoscenza delle sue caratteristiche rilevanti per la causa. L’ispezione è cosa diversa dal potere del giudice di ordinare ad una parte o ad un terzo l’esibizione di un documento o di altra cosa che, come conseguenza dell’acquisizione al processo, queste assumeranno mezzi di prova rappresentativi. Con l’ispezione si lascia la cosa dove e come si trova e consiste soltanto nelle operazioni necessarie all’osservazione diretta della cosa da parte del giudice o del consulente tecnico. In altri termini l’ispezione acquisisce al processo non la cosa, ma soltanto le osservazioni fatte su di essa dal giudice (o dal consulente) ed esposte nel verbale (o nella relazione). Quindi l’ispezione è essa stessa una prova diretta del modo di essere di determinate cose o luoghi, dalla cui conoscenza si possa acquisire l’accertamento dei fatti che interessano la causa. Altra differenza sta poi nel fatto che l’esibizione può essere ordinata soltanto ad istanza di parte e quando sussistono altre condizioni indicate mentre l’ispezione può essere disposta discrezionalmente dal giudice. L’art. 118 stabilisce che il giudice può ordinare alle parti o ai terzi di consentire sulla loro persona, o sulle cose in loro possesso, le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò non costituisca danno grave per la parte o il terzo e senza che essi siano costretti a violare un segreto professionale o d’ufficio. Il grado di necessità dell’ispezione e il limite del danno debbano essere accuratamente messi a confronto secondo un criterio equamente proporzionato col fine di ridurre al minimo il danno che potenzialmente può imbattersi sul soggetto. Ma sembra pacifico ritenere che il danno che quel soggetto potrebbe essere tenuto a sopportare possa profilarsi maggiore se l’ispezione si ravvisa come indispensabile alla prova mentre un danno ,anche moderato, debba essere evitato se la prova può essere raggiunta con altri mezzi. Va infine precisato che l’ispezione non può essere ordinata per andare alla ricerca di mezzi di prova da acquisire nel processo e ,in altre parole, non può trasformarsi in una perquisizione. 213. Svolgimento dell’ispezione. L’ispezione è disposta anche d’ufficio dal giudice istruttore, il quale fissa il luogo, il tempo e le modalità della stessa. Nel caso di ispezione sulla persona di una parte contumace o di un terzo o su cosa in loro possesso, l’ordinanza dovrà essere loro notificata. All’ispezione procede personalmente il giudice istruttore e se servono particolari conoscenze tecniche, può farsi assistere da un consulente tecnico nominato appositamente per lo svolgimento dell’ispezione. Il giudice può astenersi dall’ispezione e disporre che vi proceda il solo consulente. La sua astensione sarà anzi obbligatoria in determinati casi e in favore del consulente, e anche le parti non possono assistere all’ispezione ma in loro vece potranno partecipare invece i consulenti di parte. Il giudice istruttore: a) Può disporre, anche durante l’ispezione, che siano eseguiti rilievi, calchi e riproduzioni, anche fotografiche, di oggetti, documenti e luoghi e anche rilevazioni cinematografiche o altre che richiedono l’utilizzo di strumenti meccanici; b) può ordinare di procedere alla riproduzione di un fatto, di cui occorra accertare se sia o possa essersi verificato in un dato modo, facendone eventualmente eseguire la rilevazione fotografica o cinematografica. Nel corso dell’ispezione o dell’esperimento, il giudice istruttore può sentire testimoni per le informazioni e dare i provvedimenti necessari per la presentazione della cosa da sottoporre all’ispezione, o per accedere alla località. Può anche disporre l’accesso in luoghi appartenenti a terzi, sentiti possibilmente questi ultimi e prendendo in ogni caso le cautele necessarie alla tutela dei loro interessi. Se l’ispezione fu ordinata sulla persona di una delle parti, o su cosa in suo possesso, e la parte rifiuta di eseguire l’ordine senza giusto motivo, il giudice può desumere da questo rifiuto argomenti di prova. Se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria. Quando all’ispezione procede il giudice, se ne redige processo verbale; quando vi procede il consulente, egli ne redige una relazione scritta.
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