Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto Un vivaio di storia, Sintesi del corso di Storia Moderna

riassunto preciso e minuzioso solo dei capitoli indicati dalla professoressa.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 04/03/2023

serena-imparato-1
serena-imparato-1 🇮🇹

4.1

(9)

4 documenti

1 / 132

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Un vivaio di storia e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! PRIMA PARTE. EGEMONIA IMPERIALE: IL 500 CAPITOLO 1 Una globalizzazione Mondo Nuovo Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, in seguito alle numerose spedizioni esplorative, utilizzano rispettivamente le espressioni “Otro Mundo”(mondo altro, diverso) e “Mundus Novus” per descrivere il gigantesco continente sconosciuto. Il 1492 non è uno spartiacque rigido fra Medioevo ed Età moderna. La scoperta dell’America ha un’importanza fondamentale per la genesi del mondo moderno e assume il ruolo di evento periodizzante della storia. Essa dà inizio al fenomeno dell’espansionismo europeo e della spartizione del globo. Le conquiste che seguirono la scoperta dell’America furono la rappresentazione pratica del primato dell’Europa sul resto del mondo. Pertanto si assiste ad una storia prettamente eurocentrica, che però va scritta cercando di calarsi nella mentalità e nella cultura dei protagonisti per comprendere al meglio le interazioni tra gli europei e il “Mondo Nuovo”. Per i contemporanei di Colombo, la scoperta significava al tempo stesso entrare in contatto con terre sconosciute, convertire al Cristianesimo popoli pagani, cercare tesori, avere l’opportunità di commerciare nuovi prodotti, ecc. A ciò va aggiunta la dimensione fantastica: sembrava di vivere nel mondo narrato nei romanzi cavallereschi e d’avventura. Anche il concetto di conquista era particolare, poiché non si conosceva altra forma di rapporto con civiltà sconosciute se non la signoria su terre e popoli ottenuta con le armi. Le conseguenze della conquista furono molteplici: sterminio della maggior parte della popolazione autoctona, epidemie, malattie virali, destrutturazione di culture, organizzazioni sociali e stili di vita indigeni, crolli demografici (Messico -> da 20mln a 2mln di abitanti in poco più di un secolo), ecc. Il ciclo scoperte geografiche- conquiste- colonizzazione significò anche l’incontro tra culture diverse, scambio che però fu ineguale a causa della tendenza, da parte degli europei, di annullare le culture indigene. I tre continenti maggiormente investiti da tale ciclo erano: Africa, America e Asia. Dopo la fase delle esplorazioni marittime, che durò dal 1492 al 1519, iniziò la fase dell’esplorazione della parte interna del continente americano e del controllo delle regioni più ricche e popolose. Tale fase durò, più o meno, dal 1519 al 1540 e viene definita come fase eroica della conquista. Nel frattempo il contesto storico è cambiato, il traffico commerciale si sta spostando dal Mediterraneo all’Atlantico, oro e argento provenivano dalle miniere del Messico e del Perù, ecc. Il capitalismo commerciale e finanziario riceve un grande impulso dai traffici intercontinentali e favorisce anche lo sviluppo di soggetti sociali più moderni come banchieri, armatori, grandi mercanti. Si sviluppano forme di concorrenza fra gli Stati per il predominio nelle nuove terre e per la formazione di grandi imperi coloniali. Sono gli stati moderni i grandi protagonisti della colonizzazione. Tra cultura, scoperta e conquista il rapporto è molto stretto ed è di reciproco condizionamento. L’Espansione portoghese e spagnola Fin dal primo 400, Portogallo e Spagna presentano una molteplicità di fattori che spingono verso nuove esplorazioni transoceaniche, quali: economico-organizzativi, tecnologici e sviluppo della teoria e degli strumenti geografici. A metà del 15° secolo è pronta la base tecnologica per l’espansione portoghese: LA CARAVELLA. Essa era un’imbarcazione di piccole dimensioni, che poteva portare una maggiore quantità di provviste dato che richiedeva un equipaggiamento ridotto, poteva navigare più lontano dalle coste e poteva rimanere in mare più a lungo. Per quanto riguarda la base economico- organizzativa, il portogallo poteva contare sulla disponibilità di capitali dei mercati italiani. Anche in Spagna (Andalusia) sorgono fondazioni commerciali. Infine, per lo sviluppo della teoria e degli strumenti geografici, a metà del 400, viene rivista la mappa tolemaica del mondo, in cui era rappresentata, in maniera abbastanza accurata, l’Europa, la linea costiera dell’Africa del nord e dell’Arabia, l’Oceano Indiano ed una terra immaginaria parallela al Tropico del Capricorno. Tale mappa mostrava chiaramente che le navi potevano andare direttamente dall’Africa alle Indie. La Spagna, invece, possedeva LA BUSSOLA, gli altri Paesi hanno mezzi diversi per misurare la latitudine, come il quadrante nautico. Nella seconda metà del 400, quindi, i portoghesi hanno aperto la via per mare verso l’Oriente, circumnavigato l’Africa per raggiungere l’Oceano Indiano e l’Asia, al fine di controllare il traffico delle spezie. L’espansione portoghese rappresenta la sintesi di esplorazione e commercio che, nel corso di un secolo, ha consentito lo sfruttamento di enormi risorse, come: gli schiavi, l’oro della Guinea, l’avorio, il cotone, il pepe e lo zucchero. L’espansione portoghese, e gli strumenti usati per la conquista, pone molteplici problemi di natura giuridica, la cui soluzione getta le basi per la futura colonizzazione spagnola. Per giustificare la conquista delle terre e l’assoggettamento delle popolazioni africane, i giuristi inventarono la formula della TERRA NULLIUS, ovvero una terra non sottoposta a signoria, che permetteva ai portoghesi di imporsi per il principio di scoperta- occupazione. Tale principio avrà un’influenza enorme durante tutta la storia della colonizzazione. Fin dall’origine, l’impero coloniale portoghese in Africa mostrò due limiti che incisero sul suo sviluppo: l’incapacità, da parte dello Stato, di gestire le risorse commerciali e coloniali; la forte indipendenza dai mercanti stranieri (italiani, fiamminghi e tedeschi). L’espansione spagnola, precedente rispetto a Colombo, diede luogo all’occupazione castigliana delle isole Canarie. Essa fu l’inizio sia della Reconquista (guerra contro i mori), sia della creazione della Spagna moderna, che della conquista dell’America. La colonizzazione delle Canarie fu portata a termine tra il 1477 e il 1479, anno in cui fu siglato il trattato di Alcaςovas tra Portogallo e Spagna (Spagna otteneva i diritti sulle canarie; Portogallo otteneva i diritti sulle altre isole dell’atlantico e sulle coste Africane a sud di capo di Bojador). Il motivo principale che portava all’occupazione dei territori era la FEDE ->GUERRA CONTRO GLI INFEDELI. Verso la fine del 15° secolo sia il Portogallo che la Spagna avevano accumulato una considerevole esperienza nel campo delle spedizioni d’oltre mare: ambedue sono dotati delle basi organizzative, tecnologiche, di uomini disponibili ad affrontare i rischi delle spedizioni per migliorare le proprie condizioni economiche e sociali, di quello spirito di crociata che tanta parte ebbe nella logica della scoperta e della conquista. Più fragile dal punto di vista economico, sociale e politico; l’interesse del portogallo era orientato verso l’India, quello dei re cattolici di spagna spingeva verso la creazione di un impero euro-africano. L’esperienza della scoperta e della conquista, sia prima che dopo Colombo, non può però essere ridotta solo al ruolo dei due Paesi protagonisti, il Portogallo e la Spagna. Essa fu un’esperienza storica europea, nel senso che coinvolse energie economiche, sociali, politiche e culturali di molte aree del Vecchio Continente. Cristoforo Colombo Nacque a Genova nel 1451, figlio di un artigiano tessile. Dal 1479 si stabilì in Portogallo. Il suo progetto era quello di raggiungere le Indie orientali, partendo dalle coste atlantiche dell’Europa. Tale progetto era basato sugli studi delle mappe medievali dei geografi arabi, sulle ricerche di Paolo Toscanelli, sui ritrovamenti di relitti di navi nell’Atlantico e su miti riguardanti terre sconosciute oltre oceano. Colombo presenta il suo progetto a Giovanni II, re del Portogallo, con esito negativo. Il re pensava che il progetto non avesse fondamenta ed, inoltre, era troppo concentrato sulle strategie di espansione nel versante africano. Quindi Colombo si rivolge a Isabella di Castiglia e Ferdinando il Cattolico: il primo incontro dà esito negativo, il secondo positivo (nel 1491). Il 17 Aprile 1492 la capitolazione di Santa Fé concede a Colombo il titolo di ammiraglio, vicerè e americani; fornì ai conquistatori il modo di mantenersi sfruttando gli eccessi di produzione dei popoli conquistati; e fu l’unica alternativa praticabile all’asservimento in massa della popolazione indigena. L’altra importante modalità di intervento della Spagna nel Nuovo Mondo fu costituita dal MODELLO DI URBANIZZAZIONE che fu introdotto. L’urbanizzazione spagnola delle Indie si ispirava molto al modello a scacchiera delle città castigliane. Le città però erano continuamente soggette a spostamenti e ricostruzioni, spesso dovuti a uragani e terremoti (L’avana, Santo Domingo, San Salvador, ecc.). Quindi il sistema urbano era articolato in modo debole, con enormi distanze tra città e centri di popolazione dispersi e isolati. L’America e la coscienza europea del 500 L’impresa di conquista americana viene considerata come un’opera collettiva in cui fu impegnata gran parte dell’Europa: l’Italia partecipò mandando viaggiatori, l’Inghilterra cercò di insidiare gli spagnoli, la Germania partecipò alla corsa verso il Nuovo mondo con mercanti, operatori finanziari, progressi scientifici in ambito geografico e cartografico, ecc. La reazione della coscienza europea all’incontro con il Nuovo Mondo è di alterità assoluta. In un primo momento vi è un’immagine positiva del selvaggio. Accanto a tale immagine però si sviluppa quella della superiorità della civiltà europea. I selvaggi vivono come le bestie e mangiano carne umana, perciò il loro unico destino era la schiavitù. Pertanto la cultura europea produsse, come giustificazione al massacro degli indios, la difesa della dignità dell’uomo e quindi la realistica percezione dei motivi dell’inferiorità degli indigeni americani rispetto all’Europa contemporanea. In un’opera di Sepùlveda si sostiene l’esistenza di uomini schiavi per natura, perciò tutto l’operato dei conquistadores era giustificato. Proprio un conquistador, Bartolomè de las Casas, pubblicò la prima Relazione della distruzione delle Indie, in cui cerca di dimostrare l’uguaglianza tra loro e gli indiani d’America. Secondo Guicciardini, invece, gli indigeni erano popolazioni infelici, senza cultura e religione, e per tanto facilmente colonizzabili. CAPITOLO 2 Il concetto di “Rinascimento” Al Rinascimento era riconosciuta una forte carica di modernità in contrapposizione al Medioevo. Qui si afferma l’uomo in quanto individuo. La nozione di rinascimento rappresenta un’era di trasformazioni che investono gran parte dell’Europa. L’epoca può essere divisa in 3 fasi: 1) Origine -> nel 14° secolo (Petrarca); 2) Maturità -> tra il 15° e la prima metà del 16° secolo; 3) Fine -> seconda metà del 16° secolo. Nella fase di maturità è individuabile la maggior parte di mutamenti: a) Culturali: passaggio dall’universalismo medievale a una nuova concezione dell’individuo ed alla celebrazione delle sue opere nel mondo. Inoltre, vi è il ritorno all’antico, quindi il mondo classico diventa una guida per la vita; b) Politici: la nuova forma di organizzazione interna e internazionale diventa lo Stato. Quindi il nuovo sistema di rapporti è il sistema europeo degli Stati. c) Economici: rivoluzione dei prezzi a causa delle diverse velocità delle economie degli stati. Se analizzato in tutti questi aspetti, il periodo rinascimentale nella sua fase matura può essere considerato un’unità storica Gli Stati moderni e le nuove forme di vita politica Quasi tutti gli stati avevano un’organizzazione politica simile. Al vertice vi era il SOVRANO, unico titolare del potere che proveniva direttamente da Dio, assistito nell’attività di governo da un CONSIGLIO DEL RE. Poi, vi era un insieme di organismi che amministrava i diversi settori dello stato, comprese le istituzioni periferiche. Erano mantenute le suddivisioni in organi rappresentativi dei diversi ceti (nobiltà, clero, città). Negli stati esteri si costituiscono rappresentanze diplomatiche. Questo tipo di stato è chiamato MODERNO, poiché presenta degli elementi nuovi rispetto al medioevo. La novità principale era la divisione tra il potere che spettava al sovrano ed il suo esercizio che veniva affidato all’amministrazione. Si tratta di una forma di stato molto diversa da quella che si affermerà 2 o 3 secoli dopo, infatti i poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale non sono ancora divisi tra loro, vi è ancora confusione tra le competenze dei diversi uffici, i quali non svolgono tale professione a tempo pieno ->sono stipendiati dallo stato ma sono servitori del re. In pratica i confini tra pubblico e privato sono molto confusi e vi sono ancora molti privilegi, per esempio nei confronti della Chiesa e della nobiltà feudale -> tribunali diversi da quelli dello stato che impongono tasse diverse, ecc. Le funzioni e i caratteri indicati sono comuni a tutta l’Europa, ma i tempi e le modalità di sviluppo dello Stato moderno variano da stato a stato e dipendono da vari fattori (lotte dinastiche, rapporto tra sovrano e ceti, ecc.). FRANCIA: Con la sconfitta di Carlo il Temerario (1477), la conquista della Borgogna e l’annessione della Provenza per mano di Luigi XI , si compie l’unificazione geopolitica della Francia. Il potere regale ha ancora alcune caratteristiche feudali: il re è a capo di una gerarchia di vassalli, conservando l’idea di un rapporto contrattuale con la nazione. Le province annesse godono di un sistema di rappresentanza autonomo. Però tutti i decreti legislativi vengono redatti in nome del re. Il sistema di governo è così comporto: al vertice c’è il consiglio del re, formato dai pari, dai grandi dignitari e dagli ufficiali della Corona. Sotto Francesco I, vi era il Consiglio degli Affari (un consiglio segreto e ristretto), che il re riuniva spesso e che deliberava su tutte le questioni presentate dal re stesso (politiche, amministrative, finanziarie, ecc.). Il consiglio del re si trasforma dal modello medievale, in cui i consiglieri erano legati al re da un rapporto personale ed esercitavano i loro poteri, pari alla regalità, nei distretti amministrativi, detti bailliages. Nel tempo, tali poteri subirono una specializzazione -> esattori, luogotenenti, generali, ecc. Questa specializzazione è una delle caratteristiche del rimodernamento del sistema amministrativo francese, insieme a: formazione di un corpo di funzionari e creazione di un ramo esecutivo dipendente dal sovrano. A ciò si contrappose una grande resistenza, che si manifestò poi negli Stati Generali, ovvero un’assemblea dei rappresentanti di tutta la comunità francese. Comunque, i Parlamenti rimanevano gli organi che potevano rappresentare il più forte livello di resistenza e rappresentanza contro il re. Tale conflitto nasce dall’idea del re che concepiva la registrazione come una forma di pubblicazione, che poteva essere oggetto di osservazione solo da parte dei parlamentari in base alla loro competenza giuridica. Invece i parlamentari volevano esercitare un vero e proprio potere di valutazione degli atti firmati dal re. INGHILTERRA: a seguito della guerra delle due rose, grazie a Enrico VII Tudor, la monarchia inglese, comprendente anche il Galles e parte dell’Irlanda, riesce ad affermare la sua autorità. Enrico VII combatte i residui poteri feudatari istituendo la Camera Stellata, ovvero una specie di tribunale straordinario per le cause contro le famiglie feudali ribelli e cui vengono spesso confiscati i patrimoni. È, poi, con Enrico VIII che si ha una vera rivoluzione nel governo. Il centro dell’amministrazione è assunto dal Primo Segretario e dal Consiglio Privato; si afferma la supremazia dell’Ufficio dello Scacchiere; vengono aboliti i privilegi e le ineguaglianze costituzionali. Artefice di questi cambiamenti è Cromwell, che cerca di concentrare i poteri nello stato. Il sistema politico, invece, si fonda su un equilibrio tra le esigenze della monarchia centralizzata e interessi di vario genere. Il parlamento è diviso in due camere: La camera dei Lord (ereditaria), in cui vi era la grande nobiltà, e la camera dei Comuni (elettiva), in cui vi era la piccola nobiltà terriera, i ceti non nobili e i coltivatori diretti. Il parlamento ha funzione legislativa. Le contee si autogovernano. Inoltre, si sviluppa la teoria dei due corpi del re: 1) Quello mortale, naturale, soggetto a malattie e vecchiaia; 2) Quello politico, incorruttibile, non soggetto a invecchiamento, malattie e morte. Questo secondo corpo passa da un re all’altro ed in esso si concentra l’essenza della sovranità. SPAGNA: in seguito alla Reconquista cristiana, che si completa nel 1492 con l’annessione del Regno di Granada, a Ferdinando e Isabella vengono conferiti i titoli di Reyes Catolicos. Anche in Spagna, nel corso del XVI secolo, si compie un processo di ristrutturazione amministrativa, fondato su una molteplicità di Consigli. I re cattolici ebbero un ruolo fondamentale nell’affermazione di uno stato moderno, infatti, l’unità morale risiedeva proprio nella sovranità monarchica e nel ruolo carismatico dei re. RUSSIA: Ivan III fu l’artefice dell’unità della Russia, liberandola dai mongoli dell’Orda d’oro. La tendenza al controllo e alla centralizzazione statale attraversò la fase della sottomissione alla monarchia dei principi autonomi e dei boiari, mediante l’unificazione religiosa nel Cristianesimo ortodosso e la concezione che non vi fossero leggi al di sopra del sovrano. L’ideale politico di Ivan era un’autocrazia ortodossa di tipo patriarcale. Ma nella realtà lo zar doveva far fronte alle forti opposizioni da parte dell’antica nobiltà feudale, dei boiari, e ai problemi derivanti dalla vastità del suo territorio. A partire dalla metà del XVI secolo, nel sistema statale russo appare un nuovo organismo rappresentativo: gli ZEMSKIE SOBORY (rappresentati del clero, dei boiari, dei ceti mercantili, ecc.), scelti prima dallo zar e poi con sistema elettivo. Inoltre, lo zar crea organismi rappresentativi locali e affida alla piccola nobiltà funzioni di amministrazione della giustizia e favorisce la creazione di autorità elette nelle province. Quindi il rafforzamento del potere centrale russo corrispose all’indebolimento di quello dell’aristocrazia boiara. GERMANIA: Lo sviluppo statale della Germania ha avuto luogo su due piani: 1) Quello dell’Impero: esso ha perso i tre requisiti medievali della sacralità, universalità e continuità. L’impero è affidato agli Asburgo e fra questi, Massimiliano I possiede, per antico diritto feudale, l’Austria e le Fiandre. Qui è evidente la debolezza del sistema politico. Da un lato i domini ereditari dei principi e le città libere sono coinvolti in un processo di formazione dello stato moderno, con sviluppo di nuovi istituti per l’esercizio del potere, come in Austria: la Cancelleria, il Consiglio per la Giustizia, La Camera per le Finanze. Dall’altro lato, l’impero non ha strumenti militari, finanziari e politici tali da applicare le decisioni del Reichstag, dell’assemblea degli elettori, dell’aristocrazia e delle città imperiali. Quindi l’imperatore ha uno scarso potere esecutivo sui principi territoriali e sulle terre libere della Germania 2) Quello degli Stati territoriali (statuale): in quest’area il processo di formazione si presenta condizionato dal rapporto tra principe e ceti. La costituzione per ceti è una struttura dualistica: da un lato il Consiglio del Signore territoriale; dall’altro la Dieta, ovvero l’organismo rappresentante dei ceti delle città, del clero ecc. I ceti hanno ampi poteri che investono vari ambiti (finanziario, militare, giudiziario, ecc.). Nella prima fase della creazione dello Stato i ceti hanno appoggiato ed allo stesso tempo contenuto il potere del principe; nella seconda fase, invece, sono diventati partner indispensabili e spesso al pari del principe per la creazione stessa. L’IMPERO OTTOMANO: Nel 1453, con la conquista di Costantinopoli, inizia la seconda fase dell’espansione turca. In meno di un secolo conquistano: parte dei Balcani (Serbia e Bosnia), Kaffa, Crimea, si estendono verso Siria ed Egitto, Belgrado, Rodi, Buda e Vienna. A metà 500, con Solimano I, l’impero ottomano è il più potente al mondo; alla fine dello stesso secolo è in declino. L’intera struttura imperiale funziona in ragione dell’espansione territoriale. I fondamenti interni del sistema sono: 1) La base del dispotismo del sovrano ottomano è nel rapporto tra il sultano e le fonti di ricchezza del regno. Non vi è proprietà privata. Il sultano sfrutta come possedimenti imperiali personali tutte le fonti di ricchezza. 2) Vi sono due istituzioni parallele: l’istituzione di governo e quella religiosa musulmana. Nei paesi musulmani non vi è distinzione fra chiesa e stato. Il personale dell’amministrazione civile e militare è reclutato tra gli schiavi cristiani, che vengono formati ed educati alla religione musulmana. Diventare proprietà umana del sultano consentiva di essere prossimi alle leve di comando. Il controllo di questo sistema spettava agli ulema, potentissima casta sacerdotale musulmana. 3) Nell’impero ottomano non esiste il feudalesimo. I cavalieri ricevono terre dal sultano in cambio del servizio militare, ma essi non esercitano giurisdizioni né posso tramandare tali terre. 4) Lo stato ottomano comprende diverse etnie, che sono libere di seguire leggi e costumi preesistenti. La rivoluzione dei prezzi e le diverse velocità delle economie europee La spedizione di Carlo VIII fu caratterizzata da rapidità e facilità. L’impresa fu favorita da Ludovico il Moro, un principe italiano e fu preparata tramite alleanze con altre potenze o contando sulla loro neutralità. Per quanto riguarda l’appoggio di Ludovico, sappiamo che avvenne in quanto quest’ultimo necessitava un’alleanza con una potenza straniera per legittimare il suo stesso potere di principe nell’area padana. Per quanto, invece, concerne, l’organizzazione politico-diplomatica della spedizione svolta da Carlo VIII, essa ebbe come prima preoccupazione quella di garantirsi la neutralità di Spagna e Inghilterra. Inoltre alla Francia guardavano vari potentati italiani: Papa Alessandro VI Borgia voleva creare un forte stato nell’Italia centrale, pertanto aveva bisogno dell’appoggio di un’alleata straniera; Venezia aspirava a nuove conquiste territoriali, ecc. Nel 1498 Carlo VIII muore e gli succede Luigi XII, che riprese il progetto della conquista di Milano. Perciò stabilì accordi con Venezia e con papa Alessandro VI Borgia e, nel 1499 conquista Milano. Dopodiché puntò su Napoli, a riguardo del quale aveva due opzioni: conservare il regno di Napoli come feudo della Francia o spartirlo tra Francia e Spagna. Con il Saccheggio di Capua (1501) avviene la spartizione del regno: la metà settentrionale del napoletano e della capitale a Luigi XII (francia) e Puglia e Calabria a Ferdinando il Cattolico. Questo equilibrio durò ben poco, infatti iniziarono i conflitti tra Luigi e Ferdinando e, nel 1502, l’esercito spagnolo sconfigge, a Cerignola, l’esercito francese. Le truppe italo-spagnole coglievano il nemico di sorpresa, non si esauriva nell’urto frontale, ma utilizzava tutte le forme dell’azione manovrata. Era la genesi della guerra moderna. Era anche l’inizio di una lunga dominazione straniera nel Mezzogiorno d’Italia che sarebbe durata oltre due secoli, fino al 1707. Con la conquista spagnola del Regno di Napoli si concludeva la prima fase delle guerre d’Italia e la politica dell’equilibrio si dissolveva. Due esperienze nel laboratorio politico italiano: Girolamo Savonarola e Cesare Borgia In Italia, dopo che i Medici furono cacciati e fu costituita la repubblica, il leader era diventato il frate domenicano Girolamo Savonarola. Egli, mosso da una profonda fede, voleva attuare una renovatio cristiana e combattere contro la politica dei papi, che considerava governanti corrotti. Provando disprezzo per tutti i valori mondani, fece bruciare al rogo: beni di lusso e tesori d’arte. Inoltre, Savonarola, aveva associato i valori cristiani della fratellanza e dell’uguaglianza anche alle riforme politiche. Presto si allearono i gruppi di opposizione si organizzarono: i palleschi che si battevano per la restaurazione dei Medici; gli arrabbiati, vagheggianti un sistema di potere aristocratico. Le soluzioni che propose e gli strumenti adottati non trovarono consensi, infatti nel 1498, dopo una sommossa, fu impiccato. Tra il 1499 e il 1503, invece, aveva luogo l’esperimento politico di Cesare Borgia. Egli voleva eliminare le piccole signorie locali che si erano insediate nel vasto territorio compreso tra Toscana, Romagna e Marche e voleva annetterle formalmente allo Stato della Chiesa per organizzarle in un dominio personale; voleva conquistare l’intera Toscana. Di tale progetto riuscì a realizzare solo la prima parte, aiutato da Alessandro VI. Alla morte di quest’ultimo, succedette papa Giulio II della Rovere, acerrimo nemico dei Borgia, il quale per conquistarsi i loro voti, promise a Cesare di consegnargli lo stato di Romagna. Tale promessa non fu mantenuta e Cesare Borgia fu costretto a fuggire in Spagna, dove morì nel 1507. Francesi e spagnoli nella penisola L’elezione di Giulio II rappresentava una svolta sia nel rapporto tra il sistema degli stati italiani e le potenze europee, sia nella storia del potere pontificio. Egli seppe sviluppare una politica estera aggressiva e costruire forse il più imponente sistema di alleanze del tempo. Inoltre, promosse il consolidamento della monarchia papale e di una politica di centralizzazione del potere. La repubblica di San Marco si rifiutava di consegnare al papa Ravenna e Cervia, occupate da guarnigioni veneziane. Giulio II promosse allora la Lega di Cambrai, in funzione antiveneziana, riuscendo ad unire Luigi XII, Massimiliano d’Asburgo e Ferdinando il cattolico, sconfiggendo così l’esercito veneziano ad Agnadello nel 1509. Vi fu però una ripresa veneziana, che, con grande sorpresa, riuscì a porre resistenza contro le truppe francesi e seppe neutralizzare i tentativi, da parte di alcune famiglie aristocratiche, di mettere in discussione l’assetto politico- costituzionale della repubblica. Faenza, Ravenna, Cervia e Rimini furono cedute al papa; Cremona e la Ghiara d’Adda ai francesi; i porti pugliesi a Ferdinando il Cattolico; e, nei confronti dell’impero, Venezia mantenne la sua posizione nord-orientale. Il problema politico fondamentale, quindi, tornava ad essere la supremazia francese nell’Italia settentrionale. Quindi Giulio II si rese protagonista della Lega Santa (antifrancese), insieme a Ferdinando il cattolico, la Confederazione svizzera e Venezia. Nonostante ciò, nel 1512 le truppe francesi sconfissero le truppe della lega. Successivamente però furono sconfitti in altri scontri e quindi costretti a lasciare Pavia, Genova, Bologna e Milano. A Milano venne insediato come duca Ercole Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro; a Firenze tornarono i Medici. La Spagna quindi aveva conquistato tutto il Regno di Napoli. Non si può riconoscere una sola supremazia nazionale in Italia, data la lunga coesistenza di Spagna e Francia. Proprio grazie a tale linea guida, Venezia siglò a Blois un’alleanza con Luigi XII, grazie alla quale Francesco I (successore di Luigi) sconfisse gli svizzeri e le truppe milanesi nel 1515 a Marignano. Quindi la rioccupazione Francese di Milano sancì ufficialmente la divisione dell’Italia in 2 sfere: quella Francese al nord e quella Spagnola a sud. Terminava così la seconda fase della guerra. L’impero di Carlo V Nel 1500, da Giovanna la Pazza e Filippo, nacque Carlo a Gand, nelle Fiandre. Nel 1506, a causa della morte del padre e della malattia mentale della madre, Carlo V diventò erede delle Fiandre, degli stati ereditari di casa d’Austria, dei regni d’Aragona e di Castiglia e delle loro dipendenze e domini. Nel 1516, alla morte di Ferdinando il Cattolico, Carlo venne proclamato re di Spagna e nel 1519 fu incoronato imperatore di Aquisgrana. Però La Castiglia non accettò di dipendere da una nuova dinastia, perciò vi fu la rivolta dei comuneros (un movimento a base urbana che riuscì a coagulare la protesta della piccola nobiltà, degli artigiani legati alle corporazioni e di esponenti del «ceto civile» (avvocati, dottori in legge, magistrati)) contro il governo di Carlo, il quale riuscì a reprimerla nel 1521. Negli anni successivi riuscì a stabilire gradualmente l’autorità della corona di Spagna e a consolidare la monarchia asburgica nei territori italiani: il regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna. Il decennio che va dal 1520 al 1530 fu decisivo per l’elaborazione di una linea politica e per la ricerca di un equilibrio tra le due esigenze principali dell’impero: l’affermazione dell’autorità della monarchia e la ricerca di alleanze con ceti sociali dei singoli regni. L‘elemento fondamentale della strategia dell’imperatore era la ricerca dei mezzi più adatti per neutralizzare il potere politico dell’aristocrazia feudale e, allo stesso tempo, mantenere o allargare la sua forza sociale ed economica. La politica dell’impero doveva anche tener conto dei due principali punti d’interesse: il mediterraneo e l’atlantico. Nel primo polo furono importanti alcune operazioni militari, come: la presa di Tripoli e Tunisi, che garantirono anche la sicurezza al Regno di Napoli. La struttura dell’impero però spingeva Carlo verso l’Atlantico. Tale struttura era abbastanza complessa e, perciò, la sua politica è caratterizzata da molteplici spinte: Carlo V crea una formazione di potere che si estende geograficamente tra i due emisferi e riesce a far coesistere l’Europa cristiana col Nuovo Mondo. Il collante è la dinastia asburgica, rappresentata dalla forte personalità del sovrano. Da Pavia a Cateau-Cambrésis La terza fase delle guerre d’Italia inizia con l’ascesa di Carlo V, che cambia i termini dello scontro tra Francia e Spagna. Nel 1525, Francesco I, dopo la sconfitta a Pavia, è costretto a rinunciare a Milano e, dopo un anno di prigionia, firma la pace con Carlo V. Subito dopo stipula una nuova alleanza (Lega di Cognac) con Inghilterra, Venezia, Milano, Genova, Firenze e Clemente VII. Dopo le prime vittorie milanesi, vengono massacrati dai lanzichenecchi (truppe mercenarie di Carlo V). Questi ultimi, il 6 maggio 1527 entrano in Roma compiendo saccheggi e violenze. Il sacco di Roma rappresenta un colpo profondissimo al cuore della Cristianità, oltre che l’esito catastrofico di uno scontro tra luterani e cattolici. Venezia, approfittando della debolezza post-sacco, rioccupa Ravenna e Cervia; a Firenze vengono nuovamente cacciati i Medici e ristabilita la repubblica. Quindi il sistema degli stati italiani conferma la sua direzione d’azione: espansionismo a discapito dei potentati momentaneamente più deboli. Nel 1528 Genova si stacca dall’alleanza con Francesco I e si allea con gli Asburgo, finanziando lo stato sovranazionale di Carlo V e dando vita al secondo impero genovese. Il primo risultato di tale alleanza è il fallimento della conquista del regno di Napoli da parte dei francesi. Nel 1529, papa Clemente VII entra nell’orbita spagnola, per poter ridefinire gli assetti politici italiani: restaurazione dei Medici a Firenze, a cui fu posta estenuante opposizione ma fu poi obbligatoriamente accettata. Con il ritorno di Alessandro de’ Medici inizia la fase, a Firenze, del principato dinastico. La pace di Cambrai, detta anche delle due dame, firmata da Luisa di Savoia e Margherita d’Austria, pone fine ai successi francesi in Italia e stabilisce il seguente assetto: Milano, Napoli e Asti sotto il dominio di Carlo V; il Piemonte sabaudo ai francesi; Genova agli spagnoli. Nel 1530 Carlo V è incoronato re d’Italia e imperatore del sacro romano impero: una fase della storia d’Italia si conclude, praticamente tutti gli Stati minori riconoscono il predominio spagnolo nella penisola. Nonostante ciò, i francesi tentano di contrastare il primato spagnolo. Dopo la pace di Cambrai, Francesco I stipula due alleanze: una con i turchi di Solimano I il Magnifico ed una con i principi luterani della Germania. Quindi nel 1535 riprendono le ostilità tra francesi e spagnoli. Il successore di Francesco I, Enrico II, continua la politica del padre e riesce ad occupare i tre vescovadi di Metz, Toul e Verdun. Allo stesso tempo Carlo V viene sconfitto a Innsbruck dai principi protestanti e firma la pace di Augusta, successivamente abdica dividendo i suoi stati tra il figlio Filippo II e il fratello Ferdinando II. Nel 1557 Enrico II perde il suo ultimo importante territorio italiano: il Piemonte. Nel 1559 viene firmata la pace di Cateau-Cambrésis, che viene vista come la vittoria della Spagna sulla Francia. L’Italia spagnola come laboratorio politico Le differenze nell’Italia del particolarismo sono profonde, soprattutto dopo la pace di Cateau- Cambrésis. La prima differenza fondamentale è quella tra Stati indipendenti, sovrani e Stati non indipendenti. La seconda è quella tra Stati a base cittadina (Venezia, Genova, Milano, ecc.) e Stati monarchici (Ducato di Savoia, Stato della Chiesa e Regno di Napoli). Gli stati a base cittadina sono caratterizzati da un sistema di governo oligarchico, fondato su consigli ristretti, con predominio della città dominante e dal precoce sviluppo di una rete di istituzioni amministrative. Gli Stati monarchici, invece, sono caratterizzati dalla forte presenza di sovranità, a volte dinastica, nel caso del ducato di Savoia, a volte pontificia, nel caso dello Stato della Chiesa, altre imperiale, nel caso del regno di Napoli. CAPITOLO 4 Nel primo decennio del 500, la Germania è in fermento sotto vari punti di vista. Si tratta di un insieme di conflitti che però hanno un punto in comune: l’intreccio tra il rinnovamento religioso ed il programma di riforma politica. Un altro punto in comune era dato dai risultati di tali conflitti, ovvero il rafforzamento dei principati territoriali. La nobiltà germanica è molto gerarchizzata. La grande nobiltà ha accresciuto i propri poteri e le proprie giurisdizioni a discapito della piccola nobiltà e dei cavalieri. I leader dei cavalieri accentuano la rivolta contro la chiesa e sognano la formazione di una Germania imperiale fondata sulla forza politica dei cavalieri. Quindi, i cavalieri del medio e alto Reno si coalizzano contro l’arcivescovo di Treviri, ai loro occhi colpevole di essere la massima espressione dell’unione tra potere feudale ed ecclesiastico. Scatta subito la percezione del pericolo, quindi i principi dell’Assia e del Palatinato si schierano con l’arcivescovo, sconfiggendo i cavalieri. Più complessa, invece, è la guerra dei contadini. Fin dai primi anni 20, alcuni seguaci di Lutero, tra cui Carlostadio e Muntzer, hanno proposto di ritornare all’ideale evangelico dell’organizzazione comunitaria dei fedeli, quindi il modello della povertà ecclesiale. Su tali basi si formarono delle comunità di fedeli che parteciparono alle rivolte della Germania tra il 1524 e il 1525. Alla base di tali ribellioni vi era la situazione sociale nelle campagne tedesche, sulle quali gravavano: il potere signorile, il dominio della feudalità, i rapporti di servitù, gli abusi, ecc. I soggetti sociali sono: contadini, abitanti delle città soggette ai principi territoriali, cittadini esclusi dagli uffici e minatori. Gli obiettivi della rivolta erano: abbattere la struttura per ceti, formare una federazione di leghe su base corporativa, sottrarre prerogative politiche alla nobiltà ed espropriare ecclesiastici e religiosi. Qui è evidente l’insegnamento di Lutero, che è dovuto intervenire due volte. Col primo intervento, L’esortazione alla pace, il monaco cerca di mediare tra le due fazioni. Col secondo intervento, Contro le masnade rapaci e assassine dei contadini, Lutero si schiera contro i contadini. Si sentiva al centro di due diverse spinte: quella dei principi, nobili e borghesi che erano stati suoi seguaci nel conflitto con Roma; quella degli estremisti che rischiavano di compromettere tutto il successo del suo movimento. Dopo alcuni iniziali successi, i contadini vengono sconfitti, nel 1525, anno in cui la Riforma trionfa come movimento popolare. Zwingli Mentre in Germania vi era la Riforma dei principi, nella Confederazione svizzera vi era la Riforma delle comunità, promossa soprattutto da Zwingli. I capisaldi teologici della sua dottrina sono: l’opposizione al sacerdozio, al celibato, ai santi e alla messa come sacrificio; una religiosità puramente evangelica; una forte accentuazione dello spirito comunitario dei fedeli. Zwingli cerca sostegno per la sua riforma nelle istituzioni politiche cittadine. Nel 1522 il consiglio municipale di Zurigo gli istituisce un posto di predicatore, stipulando un’alleanza tra lui e le autorità locali, che avevano lo scopo di portare al successo la riforma. Proprio a Zurigo essa si presenta con molte particolarità: nel 1524 abolisce dalle chiese immagini e reliquie; nel 1525 abolisce la messa in latino; abolisce il servizio mercenario; istituisce il Tribunale matrimoniale e dei costumi. Zwingli, ben presto, si trova di fronte gli anabattisti, che esigevano una rigida disciplina comunitaria e una Chiesa libera da ogni rapporto con l’autorità civile. Zwingli deve quindi liberarsi di loro, perciò inizia a perseguitarli. Un altro problema con cui si interfaccia è proprio il rapporto con Lutero e i principi Luterani. Nascono subito divergenze di natura teologica. Tenta di coinvolgere i principi luterani in un disegno politico di unione asburgica -> un’unica confederazione di Stati dalla Danimarca alla Svizzera, che trova supporto solo nel principe Filippo d’Assia. Nel 1531 Zwingli muore e poco dopo le autorità politiche zurighesi firmeranno la rinuncia a qualsiasi politica di alleanza con l’estero. Calvino Jean Cauvin/Giovanni Calvino nei primi anni trenta, durante le persecuzioni di Francesco I contro i protestanti, si distacca totalmente dalla chiesa romana. Grazie ad un’esperienza a Ginevra, in cui incontrò Farel, iniziò ad elaborare il suo progetto: la nuova organizzazione della chiesa su basi politico- comunitarie. Tale modello appare caratterizzato dall’unione tra religione, politica e istituzioni locali. I fondamenti teologici erano: l’abolizione della mediazione ecclesiastica, la dottrina della predestinazione, la considerazione della chiesa in quanto comunità di santi e membra del corpo di cristo. Solo facendo parte della chiesa era possibile vedere e comprendere il disegno della provvidenza divina. La chiesa è un grande organismo che unisce il credente con Cristo, ed anche il potere politico fa parte di questo organismo. Per Calvino le opere dell’uomo sono fondamentali come segno della predestinazione. Quindi, tutta l’attività dell’uomo è impregnata di spirito religioso e viene vissuta come realizzazione della vocazione. La principale differenza tra Lutero e Calvino viene sintetizzata da Febvre: per Lutero CREDO ERGO SUM -> l’identità cristiana è nella fede; per Calvino AGO ERGO CREDO -> l’identità del cristiano è nella corrispondenza delle sue opere all’elezione divina. Questa confessione religiosa ebbe molto successo, soprattutto tra i gruppi sociali urbani (artigiani, commercianti, ecc.) proprio grazie alla funzione positiva assegnata al lavoro produttivo e all’attività professionale vissuta con molto spirito religioso. Carlo V e il Protestantesimo della Germania La questione protestante accompagna Carlo V per tutta la durata del suo impero. Si può suddividere in 4 fasi: 1) Due anni dopo la pubblicazione delle 95 tesi, nel 1519, Carlo V giura la Costituzione imperiale, secondo cui nessuno può essere messo al bando senza processo. Quindi il primo sviluppo del luteranesimo in Germania vede Carlo V diviso a non radicalizzare il conflitto con i principi territoriali ed a difendere la pax christiana. Il risultato di questo compromesso è l’editto di Worms, secondo cui Lutero è condannato ma la definitiva risoluzione della questione è rinviata alla convocazione del concilio. Questa prima fase è riassumibile nella preoccupazione di Carlo in ambito politico, ma anche nella sua speranza di poter restaurare l’impero con l’aiuto del protestantesimo. 2) La seconda fase, compresa tra il 1525 e il 1530, coincide col periodo dell’organizzazione politica della Riforma in Germania. Dopo la guerra dei contadini, i principi cattolici si alleano contro i principi luterani, i quali si alleano tra loro un anno dopo. La prima e la seconda Dieta imperiale di Spira congelano la situazione proibendo qualsiasi innovazione in ambito di fede. Gli stati luterani protestano formando un’ulteriore alleanza. La Germania risulta spaccata in 2. Con la pace di Cambrai si apre una spaccatura anche nel rapporto tra l’imperatore e i protestanti , che era caratterizzata dalla ricerca di una ricomposizione dell’unità religiosa. Tale ricerca è subito vanificata. Un nuovo tentativo di pace è rappresentato dalla Dieta di Augusta, che aveva come problema principale quello della restaurazione della giurisdizione vescovile nelle città imperiali. Proprio per questo motivo vi è la disgregazione della dieta. Le sue deliberazioni prevedono: una moratoria di alcuni mesi per i seguaci della Confessione Augustana, che per tale periodo non possono introdurre innovazioni né ostacolare l’antica fede; l’applicazione dell’editto di Worms; l’impegno a non permettere innovazioni prima delle deliberazioni del futuro concilio ecumenico; l’attribuzione al Tribunale della Camera imperiale di compiti di tutela della Pace nel paese, punendo i trasgressori. 3) Nel 1531 nasce la Lega di Smalcalda, che diventa il centro delle forze antiasburgiche e stringe relazioni con Francia e Inghilterra. L’imperatore deve pensare all’invasione dei turchi in Ungheria ed ai suoi possedimenti spagnoli in Italia, perciò non può assolutamente aprire un conflitto di vaste proporzioni con gli Stati e le città protestanti della Germania. Quindi sospende i processi del Tribunale della Camera imperiale fino a nuova convocazione del concilio e proibisce ogni ricorso alla forza per le questioni religiose. Nel 1542, i protestanti chiedono all’imperatore il riconoscimento ufficiale della loro posizione, in cambio di aiuto contro i turchi -> crisi alle porte. La guerra tra la lega di smalcalda e l’imperatore scoppia nel 1546. Le truppe imperiali vengono battute e Carlo V è costretto a firmare la pace religiosa di Augusta, che stabilisce il principio cuius regio, eius religio. Tale principio permetteva la libera scelta confessionale solo agli stati imperiali ed ai loro principi. I sudditi dovevano sottostare al principio “un solo signore, una sola religione”, potevano solo emigrare in caso non accettassero la religione del principe. La pace di Augusta mirava semplicemente a raggiungere una pace duratura in campo ecclesiastico e politico tra gli stati dell’impero di diversa confessione religiosa. La diffusione della Riforma protestante Il quadro territoriale della Riforma in Europa, verso metà 500, mostra le seguenti caratteristiche: le due grandi are di diffusione, luterana e calvinista; l’area della Chiesa anglicana; la disseminazione di movimenti e gruppi ereticali. AREA LUTERANA: essa si presenta molto compatta. Comprende i territori della Germania centro- settentrionale, il Nordeuropa, alcune zone dell’Europa orientale e le coste baltiche. In Germania il ruolo decisivo fu svolto dalle popolazioni urbane , che aspiravano ad allargare i loro diritti e privilegi nei confronti dell’imperatore. Il mancato coinvolgimento delle zone rurali nella Riforma rese possibile la penetrazione nella Chiesa cattolica, con annessa restaurazione nelle aree tedesche. In Prussia, Alberto di Brandeburgo trasformò il territorio dell’Ordine in ducato laico ereditario e vi stabilì la Riforma. In Danimarca e Svezia, lo scarso radicamento del cristianesimo favorì la Riforma dei sovrani. In Austria la nobiltà rimaneva fedele al cattolicesimo, poiché in possesso di benefici ecclesiastici. I paesi baltici e l’Europa orientale rimasero insensibili alla penetrazione del Luteranesimo. Ma in queste aree, la pluralità di influssi e confessione religiose, resero più semplice la restaurazione della chiesa cattolica. AREA CALVINISTA: essa si presenta più frastagliata. Calvino, in certi casi, consentiva il diritto d’opposizione e resistenza, perciò ebbe fortuna in Francia e nei Pesi Bassi, i quali combattevano con il predominio spagnolo. In Francia la Riforma aveva fatto la sua prima apparizione già negli anno 20 del 500. La stessa sorella di Francesco I, Margherita di Navarra, si converti al luteranesimo. Poi l’alleanza di Francesco I con i luterani tedeschi contro l’imperatore, ed il conseguente allentamento della repressione contro il protestantesimo, fece sì che si diffondesse in tutto il territorio francese. Soprattutto nella nuova versione Calvinista, la Riforma incontrò ampi consensi in quasi tutti i ceti sociali. Il movimento religioso calvinista si avviava a diventare partito politico e ad alimentare la guerra civile in Francia, nella seconda metà del 500. AREA CHIESA ANGLICANA: La riforma religiosa in Inghilterra fu un momento chiave nella formazione dello stato moderno Inglese. Re Enrico VIII inizialmente aveva condannato gli scritti di Lutero. Nella seconda fase del rapporto tra il re e la Chiesa di Roma, invece, bisogna capire la differenza tra l’occasione e i motivi più profondi della rottura. L’occasione fu determinata dal desiderio del re di avere un erede maschio e dalla passione per una dama di corte, Anna Bolena. Perciò, Enrico chiese l’annullamento del matrimonio, sostenendo che non avrebbe potuto sposare Caterina in quanto questa era stata sposa di suo fratello maggiore Arturo. Caterina, invece, sosteneva che Arturo era morto a 14 anni, quindi il matrimonio non era stato consumato. Il processo fu molto complesso e la regina si appellò al papa, il quale a causa delle varie pressioni, non si decideva ad emettere la sentenza. Per quanto riguarda le ragioni più profonde, già nella seconda metà Le istituzioni della Controriforma Le istituzioni della controriforma furono gli strumenti a disposizione della chiesa cattolica per prevenire e reprimere l’eresia sia in ambito culturale che sociale. Praticamente, a metà 500, il papa va affermando la sua doppia fisionomia: pontefice e sovrano. Alla funzione di prevenzione e repressione dell’eresia doveva assolvere, a partire dal 1542, la Congregazione del Santo Uffizio. La bolla promulgata da Papa Paolo III Farnese deputava alcuni cardinali a commissari e inquisitori per la custodia della fede e veniva data loro la piena giurisdizione contro laici ed ecclesiastici. Nella lotta contro l’eresia, l’Inquisizione romana dispiegò tutti i suoi poteri soprattutto quando fu comandata da Paolo IV Carafa, il quale utilizzò tutte le armi a disposizione. Fu particolarmente incisivo il suo intervento per il controllo sociale e culturale dell’ortodossia cattolica. Egli infatti istituì l’Indice dei libri proibiti, nel 1559. Esso distribuiva gli autori in 3 classi: quelli totalmente condannati; quelli condannati per una singola opera; quelli anonimi. In seguito a ciò ebbero inizio, in Italia, i roghi dei libri proibiti. Gli Ordini religiosi e la riconquista delle anime Il Concilio di Trento promosse numerosi provvedimenti per la riorganizzazione della Chiesa. In primis, fu riaffermata la sua struttura gerarchica: al vertice il papa; poi i vescovi, che avevano funzione di controllo dei fedeli e del corretto comportamento degli ecclesiastici; infine le parrocchie, guidate dal parroco, che era l’autorità dottrinaria e morale della comunità dei fedeli. Proprio per vigilare, fu richiesto ai vescovi di visitare con frequenza le parrocchie sotto la loro giurisdizione -> visite pastorali. Un altro terreno di intervento del concilio fu quello della formazione del clero. Era, infatti, urgente educare ed istruire gli ecclesiastici per evitare deviazioni dall’ortodossia. C’era bisogno di un’istituzione che formasse il buon prete, ne accertasse la reale vocazione e ne stimolasse la consapevolezza della missione. A tale modello doveva rispondere l’istituzione dei SEMINARI. L’obiettivo più importante della Chiesa post-tridentina fu la riconquista delle anime; le milizie della controriforma furono gli Ordini religiosi. L’ordine religioso che meglio seppe interpretare lo spirito della Chiesa fu quello dei GESUITI. I suo fondatore fu Ignazio di Loyola, un hidalgo appartenente alla nobiltà basca. L’ideale dei gesuiti era quella di combattere per Dio sotto la bandiera della Croce e servire unicamente Dio ed il pontefice romano, suo vicario in terra. Per seguire questa regola, bisognava trasferire nel nuovo ordine, fondato nel 1534, lo schema della gerarchia militare, basato sulla subordinazione totale alla volontà del capo. Perciò Ignazio, ai 3 voti principali della professione monacale (povertà, castità e obbedienza), aggiunse un quarto voto: l’assoluta obbedienza al papa fino al sacrificio della vita. Il reclutamento dei gesuiti era molto severo e la loro formazione prevedeva: 2 anni di noviziato e quasi 10 di studi di teologia, filosofia, retorica, letteratura e scienze. Solo una piccola élite riusciva ad accedere ai vertici della compagnia. L’ordine inoltre aveva una struttura centralizzata: il padre generale sceglieva i padri provinciali ed era eletto dai superiori, ovvero i responsabili delle case della Compagnia, e da 2 rappresentanti per ogni provincia. I punti di riferimento di Ignazio furono la teologia medievale di San Tommaso, la Scolastica ed il metodo umanistico dell’analisi, dello studio e della ricostruzione dei testi, soprattutto delle Sacre Scritture. Quindi uno dei primi campi di intervento dei Gesuiti fu proprio quello dell’istruzione. Infatti i collegi dei gesuiti diventarono scuole in cui avveniva la formazione delle classi dirigenti delle città e degli Stati europei. Il secondo terreno d’intervento fu quello di ambito missionario. L’obiettivo principale della strategia missionaria gesuitica era quello di ridurre la distanza tra la religione dei semplici e quella dei dotti. La base per compiere tale opera era il catechismo, istituito da un Decreto del Concilio di Trento. CAPITOLO 5 Filippo II e l’egemonia spagnola in Europa Dopo la pace di Augusta, nel 1555, Carlo divise i suoi domini ereditari in due parti. A Ferdinando d’Asburgo, suo fratello minore, dette l’Austria, il regno di Boemia e il regno di Ungheria. Dopo aver abdicato (nel 1556), lascia in favore del figlio, suo successore, Filippo II, la Spagna, i domini Italiani (Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna), la Franca Contea (circondata da Francia e stati germanici), i Paesi Bassi e i possedimenti americani. Nel 1558 Carlo V morì. Nella seconda metà del 500 la Spagna divenne la potenza principale in Europa, per vari motivi: era riuscita ad avere accesso a nuove fonti di ricchezza e a sfruttarle grazie alla scoperta del nuovo mondo; i suoi numerosi domini in Europa rendevano disponibili cospicui mezzi finanziari; ebbe un aumento demografico che, in concomitanza dell’aumento dei prezzi e dell’abbassamento del costo del lavoro, facevano sì che ci fosse più domanda e quindi più produzione; aveva una realtà politica abbastanza compatta; infine, poteva contare su un esercito ben attrezzato. Questi fattori ebbero un notevole peso nel momento in cui Filippo II diventò re di Spagna. L’impero da lui ereditato era insidiato di numerosi pericoli: l’eterogeneità dei diversi regni; le differenze all’interno della stessa Spagna; il pericolo turco (il più grave). La storiografia riconosce 3 fasi nel regno di Filippo II: 1) PRIMA FASE, compresa tra il 1559 e il 1565; 2) SECONDA FASE, compresa tra 1565 e il 1580; 3) TERZA FASE, compresa tra il 1581 e il 1598 (anno della sua morte). Prima del 1559 le ispirazioni politiche di Filippo II sono ancora rivolte verso suo padre: una politica basata sulle strategie matrimoniali. Nel 1543 Filippo sposò Maria Emanuela di Portogallo, che morì due anni dopo. Nel 1554 sposò la regina inglese Maria Tudor. Entrambe le scelte erano state sostenute da Carlo, suo padre, in quanto la prima lo avrebbe aiutato nella difesa delle Indie e la seconda era di stampo utilitaristico senza un preciso scopo. Con la morte di Maria Tudor nel 1558, la situazione cambiava radicalmente poiché l’ascesa di Elisabetta comprometteva l’alleanza anglo-spagnola. Alla vigilia della pace di Cateau-Cambresis Filippo sposa la francese Elisabetta di Valois. Il 1559 è l’anno che segna il passaggio da un impero di base fiamminga (Carlo V) ad uno di base spagnola, fondato soprattutto sulle ricchezze provenienti dal nuovo mondo. Carlo V aveva lasciato a Filippo la Castiglia, un paese in forte espansione demografica e avente come risorsa più importante la lana, infatti metà della produzione nazionale veniva esportata verso le Fiandre e l’Italia. Nonostante ciò, a metà del 500, la Spagna era in una posizione di svantaggio nel mercato internazionale a causa del carattere corporativo della manifattura tessile, della mancanza di artigiani tessili specializzati e della bassa qualità dei prodotti. In sostanza, già nel passaggio da Carlo a Filippo si notavano i primi sintomi di squilibrio tra la potenza politica dell’impero e la crescita economica del paese. L’afflusso dei metalli preziosi provenienti dall’America contribuirono allo sviluppo della potenza politica spagnola, ma non sullo sviluppo economico, poiché: i mercanti-banchieri che controllavano tale flusso erano tutti stranieri (tedeschi, fiamminghi e genovesi); la finanza privata, mediante prestiti a breve termine con alti tassi d’interesse, imponeva alla finanza pubblica spagnola un rapporto sempre più stretto di dipendenza ed i protagonisti della finanza privata erano stranieri (genovesi); non vi era una politica economica in supporto allo sfruttamento delle miniere americane, all’incremento della popolazione ed all’ascesa dei prezzi. Inoltre l’industria laniera spagnola era transumante, perciò molto dannosa per il terreno arato -> la Spagna era uno dei più grandi importatori di grano. Tutte queste scelte contribuirono a creare squilibrio tra popolazione e risorse. La controriforma operata da Filippo fu motivata da esigenze di controllo religioso, politico e sociale. La spagna della controriforma fu anche un sistema di valori: al vertice il nesso “una sola religione un solo re” e la purezza della stirpe. Fu così che la società spagnola dovette vivere una seconda rottura della tradizione di tolleranza e convivenza. La prima l’aveva vissuta con la persecuzione, e conseguente espulsione, dei moriscos e conversos. 1) PRIMA FASE Dopo il trattato di Cateau-Cambresis il sovrano non ha ancora un vasto e preciso disegno di politica internazionale. Ha però la percezione dei pericoli che incombono sul suo regno, ma deve fronteggiare il più grave: i turchi. Nel 1553, l’impero Ottomano si estendeva dal mar Rosso e dalle coste meridionali del Mediterraneo fino alle porte di Vienna. La forza di Solimano I il Magnifico restava nella potenza militare marittima e terrestre. Filippo II decide di attaccare i turchi, perché così a guardia del Mediterraneo sarebbe rimasta solo la flotta spagnola e poiché l’impero ottomano stava vivendo una crisi interna. Però Filippo II ignorava la consistenza della forza militare dei turchi, infatti nel 1560, a Gerba, la flotta spagnola fu battuta. Subito vi fu una ricostruzione navale e la Spagna riuscì a bloccare la flotta turca che stava assalendo Malta, nel 1565. Nonostante la ritirata da Malta, il pericolo turco non scompariva, infatti il sultano accelerava le costruzioni navali e alimentava la volontà di rivincita da parte del suo impero. 2) SECONDA FASE A metà degli anni 60 del 500, Filippo II venne richiamato nella parte nordeuropea dei suoi domini, poiché i Paesi Bassi erano in ebollizione. La diffusione del Calvinismo aveva incrinato la pace in questa zona ed aveva anche alimentato la nascita di una nuova cultura politica fra nobili, artigiani e mercanti, i quali avevano sviluppato sentimenti di nazionalismo e indipendenza dallo straniero che non aiutavano la dominazione spagnola. Inoltre si stavano creando varie falle nell’alleanza tra monarchia spagnola e aristocrazia dei paesi bassi. Il sovrano scelse quindi di reprimere l’insorgenza, mandando il Duca d’Alba a governare col pugno di ferro i Paesi Bassi. La repressione fu dura ed indiscriminata; segnò la fine dell’alleanza tra la monarchia spagnola e una parte dell’aristocrazia dei Pesi Bassi. Iniziò un conflitto tra le province settentrionali dei Pesi Bassi e la Spagna. La ribellione fu organizzata da Guglielmo d’Orange. Nel 1576 le province settentrionali si unirono a quelle meridionali in funzione antispagnola: tale unione viene sancita nella pacificazione di Gand. Tale unità però durò solo poco più di un anno, poiché gli interessi delle due società erano molto diversi. Facendo leva su questa divergenza, la Spagna cercò di recuperare il terreno perduto mandando Giovanni d’Austria nei Paesi Bassi. Questa strategia fu meglio attuata dal suo successore, Alessandro Farnese, che riuscì a recuperare la parte meridionale. Nel 1579 i Paesi Bassi si spaccano ed ad Utrecht nasce la Repubblica delle Province Unite (Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Groninga e Frisia), decise a staccarsi dalla Spagna. La guerra tra Spagna e Province Unite durò diversi decenni. I turchi, invece, dopo essere stati cacciati da Malta, attaccano Cipro e assediano Farmagosta. Ciò indusse la Spagna, i veneziani ed il pontefice Pio V a formare la Lega Santa. Il trattato prevedeva la creazione di una flotta di 300 navi, la liberazione del Mediterraneo dai Turchi e la presa di Tunisi. Così nel 1571, nelle acque di Lepanto, si svolge lo scontro tra ottomani e cristiani. Questa fu una delle battaglie più sanguinose: 60.000 tra morti e feriti su un esercito di 100.000 uomini. La vittoria dei cristiani fu dovuta alla superiorità dell’artiglieri. Successivamente la lega si sfasciò e Venezia preferì trattare una pace separata con i turchi, rinunciando a Cipro. Dopo il 1574, il nuovo sultano Murad III lascia il mediterraneo a causa del conflitto con la Persia: la posta in gioco era il controllo del Caucaso. burocratica fu quella razionalizzazione normativa e della centralizzazione delle funzioni del settore finanziario. La formazione della potenza inglese Tra il primo 500 e metà 600, l’Inghilterra ha subito trasformazioni molto profonde. All’inizio era un paese cattolico, poi si stacca dal papa per volere del sovrano, viene penetrato dalla riforma protestante e istituisce un’altra confessione religiosa con un’altra chiesa, quella ANGLICANA. A metà 600 il panorama dei gruppi religiosi è molto ricco: cattolici, presbiteriani, puritani, quaccheri, ecc. All’inizio l’Inghilterra è un’isola sconosciuta, a metà 600 diventa una grande potenza marittima. All’inizio è un paese agricolo, con un’unica attività industriale: l’esportazione della lana; successivamente guadagnerà risorse importantissime, come il carbone, e avrà un apparato manifatturiero di un certo livello. Sul piano culturale, si potevano trovare astrologi, streghe, scienza moderna (Isaac Newton), ecc. Invece su quello politico-costituzionale, il primato passa nelle mani del Parlamento. Tutte queste trasformazioni avvennero nell’età di Filippo II. L’Inghilterra aveva sconfitto la politica imperialista di Filippo ed il suo piano di sottomissione di 3 paesi. Nel primo cinquantennio del 500, l’Inghilterra era ancora una potenza di secondo rango, però, a paragone con gli altri paesi, essa gode di vari privilegi: • LA POSIZIONE GEOGRAFICA: si affaccia sulla Manica, potendo così controllare le vie di collegamento tra i Paesi Bassi e la Spagna; • IL RAPPORTO FRA POPOLAZIONE E RISORSE: esso è meno squilibrato rispetto alle altre nazioni. Se altrove l’aumento demografico, con conseguente aumento della domanda, e quindi dell’inflazione, creava crisi all’interno del paese, l’Inghilterra riuscì a contenerne la portata mediante un nuovo modello di produzione agricola. Qui, infatti, la terra era concepita come investimento di capitali, tant’è che ricordiamo il fenomeno delle recinzioni = privatizzazione delle terre, con conseguente formazione di classi nella gerarchia del ceto agricolo: yeomen, copyholders, gentry. • LA TENDENZA ALL’IMPRENDITORIA: corrispondeva alla tendenza verso il rischio e l’avventura e coinvolse tutte le classi ricche, dotate di capitali, del Paese. I nobili iniziarono ad assumersi i rischi delle iniziative economiche. Le figure mercantili cambiarono, andando strutturando sempre meglio le loro attività. Elisabetta era figlia di Enrico VIII e Anna Bolena. La sua politica religiosa consolidò l’orientamento confessionale calvinista, mantenne l’organizzazione episcopale inglese e represse l’estremismo dei puritani, che si opponevano alle gerarchie vescovili anglicani. Praticamente tutta la politica religiosa della regina era collegata alla politica di consolidamento del potere unitario della monarchia. In ambito di politica estera Elisabetta operò un capolavoro: la politica di alleanza anglo-asburgica, poiché il nemico principale della corona britannica era la Francia, alleata con la Scozia. Tutta la macchina militare, politica ed economica inglese fu organizzata in vista di un preciso scopo: neutralizzare la spinta egemonica di Filippo II e far entrare l’Inghilterra nelle grandi potenze europee. Anche la politica economica fu dettata da notevole lungimiranza: la regina dette un grande impulso alle attività economiche del paese, soprattutto le manifatture, promuovendo lo sviluppo del settore tessile. Furono creati incentivi per gli artigiani protestanti specializzati, sia indigeni che stranieri. L’età elisabettiana è l’epoca d’oro anche della pirateria, attività formalmente fuori legge, ma di fatto autorizzate dalla regina mediante lettere di corsa, che spiegavano i vantaggi ricavati dalle imprese corsare. Spesso si trattava di arrembaggi che avevano funzione militare, come quelli compiuti da Drake nello scontro con l’Invincibile Armata. Tra il 1557 e il 1580 Drake compì la seconda circumnavigazione del globo e pose le basi per il possesso inglese della California. Poi nel 1584 Raleigh fondò la prima colonia inglese in America settentrionale, chiamata VIRGINIA, in onore della verginità della Regina Elisabetta che aveva rifiutato ogni matrimonio. Quello di Elisabetta non fu un governo dispotico. La regina, nei momenti cruciali del suo regno, si atteneva alle regole di un gioco politico secondo cui, i provvedimenti di legge dovevano essere sottoposti ad entrambe le camere del Parlamento: quella dei Pari (dove erano rappresentati i Lord); quella dei Comuni (dove erano rappresentate le nobiltà delle contee). Il parlamento poi formulava il provvedimento sottoforma di statuto, ovvero legge scritta approvata da entrambe le camere. I meccanismi riguardanti le decisioni politiche e la sostanza del potere nel regno sono un po’ più complicati da individuare. La riforma dell’amministrazione, voluta da Enrico VIII, aveva dotato l’Inghilterra di organismi con funzioni finanziarie, di Cancelleria e di strutture di grande importanza politica (consiglio privato e primo segretario). Però non si formò mai una burocrazia centrale e periferica dello Stato, simile a quella francese. La burocrazia si formò partendo dal governo periferico/locale; questo era sotto il controllo della gentry, ovvero la nobiltà di contea. Quindi nell’intreccio tra corte, Parlamento e poteri locali avveniva la lotta. La Francia nelle guerre di religione Il periodo tra la pace di Cateau-Cambresis (1559) e la pace di Vervins (1598) è molto importante per la storia della Francia. Dopo aver attraversato una pericolosa crisi riguardante l’autorità monarchica, la Francia, verso la fine del 500, si avviava verso l’attuazione dello Stato moderno, caratterizzato dal rafforzamento del potere centrale e della sovranità monarchica come principio unitario e garante della pace interna al territorio. Per capire gli eventi francesi dell’ultimo quarantennio del 500, bisogna tenere presenti alcune variabili: la crisi dinastica, dopo la morte di Enrico III di Vallois (nel 1559); la divisione religiosa del Paese tra ugonotti (calvinisti francesi) e cattolici; il collegamento tra lotta religiosa e lotta politica e la sua influenza sullo scontro per il potere; i condizionamenti internazionali, dovuti sia alle congiunture militari, sia alla politica matrimoniale; lo sviluppo di nuove teorie politiche, influenzate dalla guerra civile in Francia. Nel 1559 moriva Enrico II, lasciando 3 principi minorenni. Il maggiore, Francesco II, aveva 15 anni e convolò a nozze con Maria Stuart, regina di Scozia, ma morì poco dopo. Quindi la reggenza passava alla vedova di Enrico II, Caterina de’ Medici. La regina doveva affrontare vari problemi: la crisi finanziaria, l’aumento del debito pubblico e la diffusione dell’eresia calvinista nel territorio. Il potere centrale era debole e doveva fare i conti con una forte nobiltà, divisa in due partiti che volevano conquistare il potere a corte. La divisione di questi partiti rispecchiava anche la divisione religiosa del regno. Il partito Cattolico, avente come leader Francesco di Guisa, in cui militavano i nobili delle regioni settentrionali legati a Maria Stuart; il partito Ugonotto, avente come leader Antonio di Borbone re di Navarra, in cui militavano i nobili delle regioni meridionali. Alla morte di Enrico II, il partito cattolico controllava la maggior parte delle cariche politiche più importanti del paese, da cui erano stati esclusi gli ugonotti. Caterina sceglie quindi una linea di mediazione, cercando di predisporre una serie di contrappesi. Da qui una serie di concessioni nei confronti degli ugonotti, svolte sia per opportunismo, sia per equilibrio politico -> accusa di machiavellismo nei confronti della regina. Questa era l’unica via possibile in un paese attraversato da tensioni sociali, che coinvolgevano anche gli strati popolari a causa di carestie, aumenti dei prezzi, crisi di sussistenza, ecc. Tali tensioni assumevano anche connotati di conflitto religioso tra calvinisti e cattolici. A ciò fu ispirato il primo editto di San Germano, nel 1562, in cui la regina concedeva libertà di culto agli ugonotti , che però dovevano risiedere fuori dalle mura della città. Ovviamente, le reazioni cattoliche non si fecero attendere, e a Vassy furono massacrati circa 70 ugonotti. Proprio dalla Strage di Vassy del 1562 iniziano le guerre di religione. Nella prima fase Caterina cercò di bilanciare sempre le concessioni, infatti: consenti alla nobiltà di praticare la religione protestante solo nelle loro terre e limitò il culto riformato nelle città. Questo compromesso non soddisfaceva gli ugonotti, i quali iniziarono scontri violentissimi sia nelle campagne che nelle città. Quindi Caterina fu costretta a promulgare il secondo editto di San Germano, nel 1570, nettamente a favore degli ugonotti, in cui: venivano loro concesse varie piazzeforti, fortificazioni ed un porto munito di difese, La Rochelle. Questo editto era il risultato della politica di equilibrio della reggente e di elementi di varia natura. In primis, il contesto internazionale: i referenti esterni del partito cattolico erano venuti meno. La Spagna era alle prese coi Paesi Bassi e con la preparazione delle flotte contro i turchi. Maria Stuart era controllata dall’Inghilterra. La fazione ugonotta stava acquistando un forte ascendente in Francia, sia nella società che nel potere. L’editto fu anche il frutto di una nuova cultura politica; gli elementi di tale cultura confluiranno poi nel movimento intellettuale dei politiques, che predicava la pace religiosa, la riconciliazione nazionale; il rafforzamento del ruolo dello Stato sia a livello interno che internazionale. Dopo la vittoria cristiana a Lepanto, la congiuntura mutò sensibilmente. La Spagna Cristiana riprendeva prestigio; il papa e Filippo II appoggiarono maggiormente il partito cristiano; Caterina sostenne i cattolici. Quindi, nella notte di San Bartolomeo, nel 1572, furono massacrati tutti gli esponenti degli ugonotti nelle sale del palazzo reale. Il massacro continuò anche i giorni successivi in tutta la Francia, pertanto la guerra si inaspriva. Divenne di portata internazionale, con Spagna a favore dei cattolici e Inghilterra a favore degli ugonotti. L’inasprimento della guerra era dovuto anche alla crisi dinastica in atto. Durante il regno del terzogenito di Caterina, Enrico III, le mire armate alla successione da parte di Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone si facevano sempre più violente, provocando la cosiddetta guerra dei tre Enrichi. Vi furono due assassinii: quello di Enrico di Guisa per ordine del re; quello del re per mano di un frate domenicano. Così si risolse il problema della successione. Prima di morire, in realtà, Enrico III avrebbe desiderato come successore Enrico di Borbone, ad una condizione però: che si convertisse al cattolicesimo. Ciò avvenne nel 1593. Nel periodo tra la morte del re e la conversione del suo successore, la Francia aveva vissuto un periodo molto violento. La lega cattolica (alleanza fra spagnoli, i papa, i seguaci del partito cattolico e la regina di Scozia Maria Stuart) spadroneggiava, soprattutto a Parigi, dove vi fu un’invasione da parte di un’armata spagnola proveniente dai Paesi Bassi. L’occupazione straniera ed i soprusi del re fecero sparire la simpatia nei confronti del partito cattolico da parte dei parigini e degli abitanti delle altre zone francesi. La conversione di Enrico di Borbone fu un atto di pacificazione del paese che seguiva le direzioni auspicate dai politiques. Nel 1594 Enrico entra a Parigi e dopo 4 anni, col trattato di Vervins, la Spagna rinuncia alle pretese territoriali i Francia; vi è il riconoscimento del re nel ruolo di grande potenza. Fu importante anche l’editto di Nantes, promulgato da Enrico stesso nel 1598, grazie a cui avvenne la vera pacificazione della Francia e la prima vera tolleranza religiosa da parte di un sovrano. Esso prevedeva: libero culto per gli ugonotti; concessione agli ugonotti di alcune piazzeforti come Rochelle e Montpellier; la rappresentanza per loro nei Parlamenti; la libertà civile. Durante le forti guerre di religione in Francia erano nati anche due importanti principi riguardanti l’agire politico: quello del potere fondato su un patto tra governanti e governati; quello della revoca del patto, anche mediante l’assassinio del re. L’Europa orientale Alla fine del 500, anche l’Europa orientale era interessata nella fase di trasformazione dell’organizzazione politico-sociale. In Russia sotto Ivan IV il Terribile il rafforzamento dell’autorità centrale fu ottenuto dallo zar mediante l’indebolimento del potere della grande aristocrazia russa dei boiari. Ivan IV fece largo uso del sistema delle concessioni di terre a coloro che avevano servito il sovrano sia nelle campagne militari contro i Tartari, sia nella conquista del Caucaso, sia dell’Asia centrale, che della Siberia, creando così una piccola nobiltà di servizio. Ristrutturò anche il servizio militare creando la prima FANTERIA permanente, composta da moschettieri. Ammodernò il sistema amministrativo e fiscale. Invece, il sistema sociale ed economico dell’agricoltura russa, fondato sullo sfruttamento della servitù della gleba, non cambiò, anzi andò peggiorando. grazie a questi l’Italia ottenne molto denaro. I guadagni risiedevano nelle operazioni di cambio e sui prestiti a breve termine ed alto tasso di interesse che venivano concessi alla Corona. I caratteri della fase espansiva dell’economia italiana erano: sviluppo agrario, presenza significativa delle città nella produzione di lusso, primato internazionale degli uomini d’affari, effetto positivo della domanda economica degli Stati. La favorevole congiuntura internazionale ebbe effetti positivi anche sul Regno di Napoli. Anche qui vi fu un’espansione dell’agricoltura, favorito dalla nascita del ceto dei massari -> mediatori tra proprietari feudali e contadini che organizzavano la produzione. Anche le attività commerciali del regno di Napoli subirono un notevole incremento, in particolar modo l’esportazione di grano, seta e olio. In questo modo si accentuava la rottura tra le due Italie. Le città dell’Italia settentrionale esportavano ed importavano grosse quantità di manufatti, in un rapporto di scambio equilibrato; le città meridionali, invece, vivevano un rapporto di scambio ineguale con le aree più forti dell’economia europea. Una pluralità di formazioni politiche: analogie e differenze L’Italia rappresentava una sorta di laboratorio sperimentale dei vari metodi di Stato Moderno. In essa convivevano le forme di sovranità e governo profondamente segnate dai due percorsi storici che ne avevano caratterizzato lo sviluppo a partire dal Medioevo: da un lato PRINCIPATI e REPUBBLICHE OLIGARCHICHE; dall’altro MONARCHIE DINASTICHE. Questo schema dualistico si complica sul piano giuridico-formale riguardante la legittimità del potere. A complicarlo ulteriormente fu la conquista spagnola del Ducato di Milano. La monarchia spagnola si poneva il problema di COME governarlo. Vi era l’esigenza di centralizzazione politico-amministrativa senza alterare gli equilibri politici e sociali locali. Per farlo, in tutti i domini si favorì la formazione di personale amministrativo indigeno; si promosse l’ammodernamento delle strutture e delle procedure finanziarie; si cercò di controllare l’apparato mediante la nomina di funzionari spagnoli e la creazione di organi di governo esecutivi. Ovviamente questa strategia non ebbe direzione univoca, poiché in Italia erano presenti diversi contesti sociali. A Milano e Napoli, governatore e vicerè erano molto condizionati dal Senato milanese e dal Consiglio Collaterale napoletano. Nel senato milanese era egemonico il patriziato cittadino di origine mercantile; nel Consiglio invece si rispecchiavano gli equilibri politico-sociali del regno. In entrambi i casi senatori e consiglieri non accettavano la centralizzazione del potere o le innovazioni introdotte dagli Spagnoli. Ma il governo del territorio di Milano era ben diverso da quello del territorio di Napoli. Nel milanese il peso della popolazione delle campagne era notevole. Il contado milanese poteva contare su un procuratore generale che lo difendeva nelle cause e nelle vertenze con la città. Gli spagnoli, quindi, cercarono di ridimensionare il potere dell’élite urbana, introducendo il mensuale, ovvero un’imposta diretta che colpiva la ricchezza mobiliare e immobiliare della città e del contado. Per quanto riguarda Napoli, la monarchia spagnola dovette adottare un modello di governo diverso. La città fu l’unica ad avere un potere reale di contrattazione con la Corona, e lo fece valere sia per farsi riconoscere privilegi fiscali, sia per opporsi ai tentativi di introduzione di strumenti forti di controllo nel regno. Inoltre, la forza fondamentale del Mezzogiorno era rappresentata dalla feudalità. Nell’età spagnola, i baroni meridionali persero il loro potere politico e dovettero accettare di diventare cortigiani. Così potevano continuare ad usare i poteri a loro delegati dal sovrano nei loro feudi. Nonostante dovette cedere una fetta dei suoi poteri politici alla Corona, la feudalità accrebbe il suo potere economico e sociale all’interno dei feudi -> GIURISDIZIONE : insieme di diritti amministrativi, giudiziari, fiscali ed economici riconosciuti dalla giurisprudenza del tempo. In tal modo di determinò un compromesso tra la monarchia spagnola e la feudalità, fondato sul rispetto reciproco di obblighi e limiti e sul riconoscimento di prerogative. La tendenza all’accrescimento dei poteri coinvolse in particolare tre stati: il ducato sabaudo, il granducato di Toscana e lo Stato pontificio. DUCATO SABAUDO: nel ducato di Savoia, Emanuele Filiberto fu considerato uno dei primi sovrani in Europa ad imprimere un accrescimento assolutistico al suo ducato mediante il drastico ridimensionamento dei poteri delle assemblee rappresentative; la formazione di un esercito permanente; lo sviluppo di un solido apparato burocratico. Il controllo della materia finanziaria fu affidato alla Camera dei Conti; al vertice della giustizia c’era il Senato; in periferia i tribunali provinciali, con a capo un prefetto; il coordinamento delle aree tra centro e periferia fu dato all’intendente provinciale. Si sviluppò anche una più agile struttura di potere esecutivo che affiancò il sovrano nelle decisioni più importanti in ambito politico: i SEGRETARI DI STATO -> esteri, guerre e interni. Gran parte di queste cariche fu ricoperta dalla borghesia di diritto; alla nobiltà furono affidate le cariche militari, diplomatiche e provinciali. GRANDUCATO DI TOSCANA: Cosimo I de’ Medici da un lato mostrò la volontà di costruire uno stato monarchico, dall’altro lato associò al potere personale le vecchie classi dominanti della repubblica, tra cui l’aristocrazia fiorentina. L’accentramento assolutistico si realizzò mediante la conservazione delle vecchie istituzioni repubblicane e lo sviluppo, parallelo, di nuove magistrature esecutive controllate dal granduca. STATO PONTIFICIO: Qui la monarchia papale era sui generis. Il pontefice aveva un duplice ruolo: capo della chiesa cattolica e sovrano di uno stato temporale. Il primo ruolo gli dava un prestigio che tutte le potenze cattoliche erano obbligate a difendere ed esaltare; il secondo ruolo gli assegnava compiti molto simili a quelli degli altri sovrani, quindi: costruzione di uno stato centralizzato capace di rispondere alle domande di espansione dell’Italia centrale, la formazione di un esercito professionale , la formazione di un apparato burocratico, ecc. Vi furono notevoli interferenze tra i due ruoli, perché al primo erano legati tutti gli organismi di gestione del potere territoriale pontificio; al secondo erano legati organismi e funzioni extraterritoriali riguardanti la società , che però interferivano con la politica. La chiesa entrò prepotentemente nell’organizzazione dello stato pontificio; non si formò né un esercito né un corpo di ufficiali; l’Istituto della Nunziatura fu affidato ad ecclesiastici. Le repubbliche cittadine intrapresero una via diversa rispetto allo Stato moderno. Repubblica di Venezia: la pienezza dei diritti politici fu riservata al Maggior Consiglio; l’assemblea del patriziato, che eleggeva il doge, aveva potere legislativo e nominava i magistrati; il Senato aveva poteri di natura legislativa, politica e amministrativa; il Consiglio dei Dieci aveva funzioni di alta corte di giustizia. L’aristocrazia, avendo conseguito il monopolio del potere, cercava di difendersi dalle destabilizzazioni interne ed esterne. Repubblica di Genova: il patriziato era il vero depositario della sovranità. Tra medioevo ed età moderna, erano le fazioni a regolare l’accesso dei singoli individui al potere ed a determinare l’alternanza delle famiglie che guidavano la repubblica. Nel 1528 vi fu un’importante riforma politica che imponeva un nuovo reclutamento della classe dirigente della repubblica tra tutte le famiglie iscritte nelle liste dei 28 Alberghi. I nuovi meccanismi prevedevano l’accesso paritetico dei 28 Alberghi al Consiglio Maggiore. Tale riforma fallì nel suo obiettivo di concordia ed iniziarono conflitti tra nobili vecchi e nobili nuovi. Nel 1576, le Leges Novae definirono l’unicità del corpo nobiliare e imposero regole abbastanza rigide per l’accesso alle cariche pubbliche: criterio di cooperazione. La Controriforma in Italia L’età dell’egemonia spagnola fu per l’Italia il periodo in cui meglio si manifestarono tutti gli aspetti della Controriforma e della Riforma cattolica: reazione all’eresia protestante, scontro tra chiesa e cultura filosofico-scientifica, processi dell’Inquisizione, azione pastorale che favorì la fioritura di nuovi ordini religiosi, ecc. Lo stato sabaudo di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, geograficamente vicino a Ginevra = calvinisti, era un baluardo contro l’eresia grazie all’attività dei gesuiti. A Milano, l’impronta della controriforma e della riforma cattolica fu data dall’arcivescovo Carlo Borromeo, che si impegnò sia nell’attività pastorale, sia nella fondazione di seminari che nella formazione del clero. Tutti i paesi accettarono la prerogativa della chiesa di esercitare in tribunali a essa sottoposti la giustizia in materia ecclesiastica. Però gli scontri erano inevitabili, benchè venissero risanati secondo il principio del compromesso. Venezia era caratterizzata dalla grande autonomia da Roma e dal papa, diventando la meta dei sogni degli intellettuali anticonformisti. Quindi vi erano molteplici presupposti per lo scontro tra Venezia e il Papa. Nel 1606 fu nominato teologo e consultore di Stato in materia religiosa Paolo Sarpi; nello stesso anno fu eletto doge Leonardo Donato. Entrambi con scelte politiche antiromane. Quindi la chiesa si ribellò e Papa Paolo V scomunicò tutte le autorità civili veneziane. Inoltre minacciò l’interdetto -> proibizioni di officiare atti religiosi in tutte le chiese della repubblica. L’apparato politico- amministrativo veneziano ed il clero si rifiutarono di obbedire all’interdetto e Gesuiti, Cappuccini e Teatini (che avevano invece obbedito) furono espulsi dallo stato. Il regno di Napoli seppe sviluppare una solida cultura giurisdizionalista e regalista, opponendosi all’estensione dei privilegi del clero, sanciti dal Concilio. Non riuscì, però, ad evitare l’Inquisizione romana e i processi del Sant’Uffizio. Tommaso Campanella promosse nel 1599 una rivolta in Calabria contro gli spagnoli -> fallita e fu imprigionato. Giordano Bruno divenne il simbolo del libero pensiero -> arso sul rogo nel 1600. CAPITOLO 6 L’evoluzione del mondo islamico Tra il 400 e il 500, l’Islam si diffuse in vastissime aree dell’Asia e dell’Africa. Nei primi secoli dell’Età moderna furono costruiti due potenti imperi: OTTOMANI e PERSIANI. OTTOMANI- TURCHIA: l’impero ottomano fu senz’altro uno dei protagonisti della scena internazionale centrata sul Mediterraneo. A metà del 400, con la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II, iniziò la fase espansionista e, in meno di un secolo, l’impero divenne uno dei più potenti del mondo. Le ragioni di questa gigantesca avanzata sono molteplici: posizione geografica favorevole; capi con grande personalità; grande abilità militare; esercito ben organizzato; interferenza tra le strutture politiche, religiose e militari dello stato; ecc. Le motivazioni principali, invece, del successo turco erano fondamentalmente 2: 1) La prima di carattere internazionale. Gli anni di maggiore espansione turca in Europa coincisero con la fase più critica dello scontro tra Carlo V e Francesco I, quindi la concentrazione delle due grandi potenze (Spagna e Francia) era distolta dall’invasione turca, che riuscì a prendersi Belgrado e Vienna, e di battere Luigi II d’Ungheria. 2) La seconda legata al modello politico-organizzativo dell’impero. Al vertice dell’Impero vi era il sultano, califfo di tutte le terre sunnite dell’Islam. La forza del sultano stava nel dispotismo ottomano, ovvero nella quasi totale mancanza di proprietà privata della terra. Tutto il territorio agricolo dell’impero apparteneva personalmente al sultano, tranne i patrimoni degli enti religiosi. Quindi nei domini imperiali non si creò mai una nobiltà ereditaria. Inoltre era già presente la pratica del timàr, che consisteva nella concessione di terra da parte del sultano. Nel 1573 iniziava il periodo senza shogun, ovvero una fase in cui il Paese fu governato da potenti capi militari. Nobunaga, mediante alleanze regionali, riuscì ad imporsi sulla parte centrale della nazione, spezzando la resistenza dei daimyo, ponendo fine all’indipendenza di alcune città mercantile, reprimendo le sette religiose buddhiste che avevano costituito delle proprie zone armate. Quest’opera di conquista fu ampliata da Hideyoshi che riuscì a sottomettere i magnati. Nel 1601, nella battaglia di Sekigahara, la sua famiglia fu sterminata e il potere fu assunto da Ieyasu, che dopo due anni fu nominato shogun dall’imperatore. La sua formazione statale e sociale durò fino al 1868. Le caratteristiche peculiari furono: unità senza centralismo, convivenza di regime feudale e sviluppo economico, feudalesimo controllato. L’evoluzione del processo si sviluppa su varie tappe. La prima fu costituita dalla ricomposizione delle sovranità regionali in un sistema feudale unitario. Il regime aveva i seguenti requisiti: al vertice c’era l’imperatore, che non esercitava direttamente il potere; poi lo shogun, che esercitava il potere, possedeva un quarto delle terre coltivate, che, a loro volta erano amministrate da 40 intendenti. Anche la società era organizzata il gerarchie chiuse: daimyo, samurai, contadini e commercianti. Il potere feudale era illimitato nei feudi, ma i feudatari non potevano né erigere nuovi castelli né sposarsi senza il consenso dello shogun. L’India Al principio del 500 la mappa politica indiana si presenta così: un nucleo compatto al nord, intorno al sultanato di Delhi; un insieme di sultanati al centro e al sud; la presenza diffusa sulla costa meridionale e occidentale di basi portoghesi. Nel 1526 tale quadro viene sconvolto. Babur, che aveva conquistato l’Afghanistan nel 1504, prende possesso di Delhi. Qui si stava formando un impero moghul ed il suo artefice era il re Akbar. Durante i primi anni del suo regno egli controllava solo la parte a nord del Punjab; dopo circa 50 anni, sarà padrone di tutta l’India settentrionale, dell’Afghanistan, del Kashmir, del Sind e del Belucistan. Il fondamento di questo stato era militare: ogni funzionario era membro dell’esercito. Al vertice dell’impero c’era l’imperatore, che comandava le forze armate ed era fonte di giustizia e amministrazione. Sulla terra assegnata dall’imperatore non erano concessi titoli definitivi e l’acquisto fondiario era consentito solo per scopi edilizi. I servizi burocratici e militari venivano pagati in denaro. I funzionari erano scelti dall’imperatore, che li organizzava gerarchicamente e stabiliva le condizioni di servizio. L’impero era organizzato in province, rette da vicerè. Il sistema delle imposte era organizzato in due settori: il primo era preposto al prelievo delle imposte sui beni immobili, ai dazi, alle imposte sul commercio e a quelle sull’eredità, ed era di competenza dell’autorità centrale; il secondo, era incaricato dalla riscossione di dazi e tasse minori, che gestiva autonomamente ed era affidato alle autorità provinciali. Lo stato prelevava una quota fissa dal lavoro agricolo, ovvero un terzo del prodotto. L’India si reggeva su un’economia principalmente agraria. Tale sistema reggeva e non portò a rivoluzioni sociali. Questo perché, nella prima fase dell’impero, furono sovrapposte leggi e ordinamenti semplici con usi locali, mantenendo anche dei capi indigeni, ma badando che non si creassero poteri tali che potessero minacciare l’imperatore. Inoltre, il sistema delle caste rese superflua la centralizzazione del potere. Esso organizzava la popolazione in gruppo ereditari e endogamici: i maschi svolgevano, tramandando di padre in figlio, la stessa funzione sociale (sacerdote, guerriero, artigiano, ecc.). SECONDA PARTE: IL 600 CAPITOLO 7 Una crisi generale Tra la fine del 500 e quella del 600 quasi tutte le aree europee furono investite da un processo di trasformazione storica, riconosciuto col nome di crisi generale del 600. Tale crisi riguardava le strutture agrarie, la contrazione demografica, il settore manufatturiero, industriale e commerciale , l’accelerazione del ciclo carestia-epidemia-carestia, gli effetti della guerra, il declino delle vecchie gerarchie ed il consolidamento delle nuove, ecc. Per quanto concerne l’evoluzione demografica del continente, nel 500, la popolazione europea passò da 80 a 100 milioni di abitanti. Nel 600 però vi fu una debole crescita demografica. Le cause erano varie: le guerre, soprattutto quella dei 30 anni; le epidemie; ecc. per quanto riguarda l’Agricoltura, all’inizio del 600, il suo secolare processo di espansione si interrompe. I segnali erano molteplici: i prezzi dei cereali diminuiscono; le superfici coltivate diminuiscono; il rapporto semente- prodotto diminuisce; si passa dalla cerealicoltura all’allevamento. Lo sviluppo della cerealicoltura era legato al rapporto tra estensione e domanda, agli alti prezzi di mercato ed al basso costo del lavoro. Inoltre era legato anche al favorevole andamento dei raccolti, a sua volta dipendente dal fattore climatico. Alla fine del 500 lo sviluppo della cerealicoltura fu bloccato da vari fattori, ad esempio il raffreddamento del clima europeo che durò fino a metà 600. Il costo del lavoro aumentò, le rese ed i profitti diminuirono, la domanda si contrasse a causa dell’impoverimento delle economie agricole che erano fondate sulla monocoltura. La contrazione della domanda, però, era dovuta anche alla maggiore pressione economica e sociale dei ceti privilegiati, che tendevano ad allargare sempre di più la propria giurisdizione. Anche le manifatture, l’industria ed il commercio furono investiti dalla crisi. Riguardo l’organizzazione industriale del tempo, sappiamo che la tecnologia non era ad uno stadio evoluto, infatti l’energia di base era quella fornita dall’uomo, raramente era quella animale o idraulica. Furono introdotte delle innovazioni nei 3 settori più importanti dell’industria: industria estrattiva -> pompe idrauliche; siderurgia -> taglio meccanico, laminatoio e cesoiatrice; e manifattura tessile -> mulini meccanici da filanda. Lo sviluppo industriale fu rallentato anche dall’organizzazione del lavoro, soprattutto nell’Europa mediterranea. Le corporazioni di arti e mestieri avevano perso il potere politico nel mediterraneo, ma mantenevano quello di controllo riguardante l’organizzazione economica mediante privilegi, monopoli e irrigidimento di regole per l’accesso all’attività professionale. Le manifatture inglesi, invece, erano in grande ascesa, così come quelle dei Paesi Bassi, che erano stati capaci di diversificare le merci e di rispondere positivamente alla domanda di beni praticando prezzi accessibili. Il centro del commercio internazionale si era spostato dal Mediterraneo all’Atlantico: Ovest -> Nord. Vi furono nuove gerarchie anche nel controllo del credito e della finanza. L’importanza del denaro crebbe tra 500 e 600. L’afflusso dei metalli preziosi dal Nuovo Mondo accrebbe il fabbisogno monetario dato che si intensificarono gli scambi. Tutti avevano bisogno di capitali. Ma il numerario (massa monetaria circolante) era scarso. Il sistema monetario era soggetto a continui sbandamenti. L’afflusso di oro e argento americano esaurì molte miniere e creò una crisi della manodopera indigena. Perciò il valore dell’oro impennò, le monete più pregiate si svilirono e si dovette ricorrere alla coniazione in rame, con il conseguente aumento dei prezzi. A causa della scarsità di moneta circolante si fece ricorso ad una moneta fiduciaria. Anche i processi sociali furono investiti dalla crisi. La corsa alla terra, all’occupazione degli uffici e dell’amministrazione statale, all’investimento nel debito pubblico, furono tendenze comuni a tutta l’area europea; però non determinarono effetti simili in tutto il continente. Per esempio, mentre nell’Europa mediterranea si andavano riaffermando la feudalità e la giurisdizione baronale, in Inghilterra l’aristocrazia si trasformava profondamente. Infatti la vecchia aristocrazia mostrò una sorprendente prontezza a sviluppare nuove risorse sui propri possedimenti terrieri e ad assumere un ruolo importante nelle iniziative industriali, coloniali e commerciali. Il declino dell’Impero spagnolo Alla fine del 500 l’impero spagnolo era ancora uno dei più temibili candidati alla conquista del mondo. La Spagna di Filippo III e Filippo IV era entrata in un periodo di declino del sistema imperiale. Stavano venendo meno la ricchezza e l’egemonia politica della Castiglia; il consenso dei Paesi sudditi del Re cattolico; la capacità del sistema di subordinare ad esso tutte le relazioni internazionali. Si parla di declino, e non di crisi, per sottolineare la durata non breve del processo. Durante il regno di Filippo III (1598-1621) si manifestarono i primi segnali di declino. La nazione fu investita da una crisi economica di vaste proporzioni- > cattivi raccolti, peste, decadenza dei settori agricoli della Castiglia, con successivo spopolamento, ecc. un ulteriore colpo all’economia fu dato dall’espulsione dei moriscos. Questi erano musulmani convertiti al cristianesimo, che, da un lato costituivano un problema per il governo, poiché rappresentavano una minoranza etnica non integrata che provocava disordini e rivolte; dall’altro, però, rappresentava la spina dorsale dell’agricoltura e dell’artigianato spagnolo. Praticamente i moriscos funsero da capro espiatorio del declino. Durante il regno di Filippo III si produssero anche importanti mutamenti nel sistema politico spagnolo. Il suo centro fu costituito dalla figura del valido, una figura politica a metà tra il favorito del sovrano ed il primo ministro. I due più importanti validos furono: duca di Lerna -> Filippo III, conte-duca d’Olivares -> favorito di Filippo IV. La politica internazionale di Filippo III e del duca di Lerna fu caratterizzata da una linea pacifista, infatti: 1603 Pace con l’Inghilterra; 1609 tregua con le Province Unite di 12 anni. Sotto il regno di Filippo IV e del suo favorito si costruì un nuovo imperialismo internazionale e si costruì un maggiore coinvolgimento delle province nella vita economica, politica e militare della Spagna -> proposte per risolvere la crisi dell’impero. La politica estera di Filippo IV può essere suddivisa in 3 fasi: 1) inizia con la fine della tregua d’Olanda, che segna la fine della pax hispanica di Filippo III. Tra il 1621 ed il 1627 Olivares costruisce un sistema di alleanze in funzione antiolandese, ottenendo un importante successo contro l’esercito delle province unite. Inoltre la spagna conquista la Valtellina. 2)essa è compresa tra il 1627 ed il 1635. A trascinare la Spagna nell’ennesima impresa militare fu la questione della successione del Monferrato. Nel 1627 moriva il duca di Mantova. Di diritto, il suo successore sarebbe dovuto essere Carlo I di Gonzaga-Nevers (francese), ma Mantova sotto il controllo dei francesi era un pericolo per l’Italia spagnola. Quindi il governatore di Milano penetrò, nel 1628, con le sue truppe nel Monferrato. Olivares lo aiutò. La guerra di Mantova fu il più grave errore che Olivares potesse commettere in politica estera, poiché la Spagna non solo non ottenne nulla, ma manifestò aggressività imperialistica gratuita a tutte le potenze europee. La guerra di Mantova, inoltre, preparò il conflitto franco- spagnolo del 1635. Durante questi anni Olivares mise a punto un progetto in cui vi sarebbe stata la collaborazione diretta dei domini spagnoli -> Uniòn de las armas. Tale progetto incontrò forti opposizioni sia da parte dell’aristocrazia castigliana sia da parte delle province che avrebbero dovuto collaborare in misura massiccia. Fu anche una delle cause della rivolta catalana. 3) l’ultima fase è assorbita dal conflitto franco-spagnolo (1635-1648) che conclude la guerra dei 30 anni. In questo periodo la Spagna fu impegnata sia sui fronti internazionali che su quelli interni. Nel 1640 vi fu lo scoppio di due crisi gravissime interne al sistema imperiale spagnolo: la rivolta in Catalogna e la secessione del Portogallo. I primi 40 anni furono i più critici per la monarchia spagnola, perché sia la Catalogna che il Portogallo dichiararono indipendenza; l’unità del sistema politico si era frantumata; alla base della società si insinuava la crisi dell’economia castigliana. Nel 1643, dopo la sconfitta da parte dei francesi, Olivares fu deposto dal suo incarico. Nel 1647 scoppiarono 2 rivolte nei domini italiani: in Sicilia e nel Regno di Napoli. Nel decennio precedente, la Sicilia ed il Regno di Napoli avevano dovuto sopportare il peso finanziario e militare degli impegni della Corona spagnola. La guerra dei Trent’anni: un conflitto mondiale Quella che è passata alla storia con il nome di guerra dei Trent’anni, a causa della sua durata dal 1618 al 1648, fu un conflitto dalle molteplici caratteristiche. Si scontrarono innanzitutto due civiltà, oltre che due credo religiosi, quello protestante e quello cattolico. Da un lato la Boemia, che difendeva la tolleranza religiosa, e dalla cui parte vi erano gli stati germanici dell’unione evangelica; dall’altro lato gli stati germanici della lega cattolica, insieme agli Asburgo d’Austria e alle forze imperiali, che tentava di restaurare l’unità dell’impero mediante l’unione tra trono e altare e mediante la distruzione dell’eresia protestante. Una seconda caratteristica della guerra fu l’internazionalizzazione del conflitto, che si verificò sia a causa del carattere religioso, sia perché proprio quel carattere era associato a fini politici, ovvero la lotta egemonica sul continente. Una terza caratteristica fu l’emergenza di nuovi protagonisti sulla scena politica europea, come: le potenze del nord, la Danimarca e la Svezia. Il conflitto fu una guerra di massa, la prima della storia moderna, poiché quasi 100 milioni di europei furono coinvolti. Proprio per questo i costi furono elevatissimi e regioni come la Pomerania o il Brandeburgo registrarono perdite umane pari al 65% della popolazione. La guerra si può dividere in 4 fasi: 1. FASE BOEMO-PALATINA (1618-1625) Dopo la defenestrazione di Praga, in Boemia fu nominato un governo provvisorio. L’arciduca Ferdinando richiese l’intervento armato delle forze imperiali, così nel 1618 l’esercito imperiale entrava in Boemia. Al suo fianco si schieravano Federico V, principe elettore del Palatino e capo dell’Unione evangelica, ed il duca di Savoia. Per reazione, scendeva in campo anche la Lega cattolica. Nell’agosto del 1619, Boemia, Lusazia, Slesia e Moravia eleggevano come nuovo sovrano Federico V. Nello stesso mese dello stesso anno, Ferdinando di Stiria veniva eletto imperatore col nome di Ferdinando II. L’esercito dell’unione evangelica fu sconfitto da quello di Ferdinando II nella battaglia della Montagna bianca. A Federico V furono sequestrati i beni e fu imposto l’esilio. I beni dei nobili protestanti furono trasferiti ai nobili cattolici. Nel 1622 fu riconquistato anche il Palatinato. Però, nel 1621 si riapriva la guerra tra Spagna e Province Unite. Inoltre si aprì un terzo fronte di guerra anche in Italia. Nel 1625 la Spagna intervenne a fianco dei cattolici della Valtellina contro i seguaci della riforma. 2. FASE DANESE (1625-1629) Dopo il successo degli Asburgo sull’esercito boemo-palatino, il conflitto iniziò ad allargarsi. L’espansionismo cattolico-asburgico aspirava alle potenze del Nord-Europa, in particolar modo alla Danimarca. Qui regnava Cristiano IV, che sognava di conseguire l’egemonia su tutta la penisola scandinava e sul Baltico -> progetto identico a quello della Svezia. Essendo appoggiato da Olanda, Inghilterra e Francia, Cristiano IV entrò in guerra a fianco dei protestanti contro l’impero. Ma Ferdinando II affidò il comando delle truppe imperiali a Wallenstein, genio della strategia militare. Questo sconfisse le truppe protestanti, invase la Danimarca e la costrinse ad una pace umiliante, facendola fuori dal conflitto. Con la pace di Lubecca del 1629, Cristiano IV rinunciò ad ogni ingerenza dell’impero. L’imperatore, dal canto suo, emanò l’editto di Restituzione, secondo cui dovevano essere riconsegnati alla Chiesa cattolica tutti i beni confiscati a partire dal 1552. La fine di questa fase fu favorevole agli Asburgo d’Austria , che avevano imposto la loro autorità praticamente a tutte le regioni dell’Impero. 3. FASE SVEDESE (1630-1635) Nel 1592 il re di Polonia, Sigismondo Vasa, ereditò anche la corona di Svezia. Nel 1599, la Dieta svedese depose Sigismondo e gli successe lo zio, Carlo IX. Le sue mire espansionistiche verso la Polonia e la Danimarca non ebbero successo; si costituirono però le linee direttrici per l’affermazione della Svezia sia sul piano interno che internazionale -> ad opera del successore, Gustavo Adolfo. Molti sono i fattori che possono spiegare l’ascesa in tempi rapidi di un paese che al principio del 600 contava solo un 1mln di abitanti. La Svezia possedeva una fonte di ricchezza: le risorse minerarie. Ferro e rame furono in parte esportati ed in parte usati per l’armamento. Il secondo motivo del successo svedese fu il sistema di rapporti di produzione, che privilegiava la piccola proprietà contadina. Da questo ceto venivano reclutati i soldati. Il terzo motivo consisteva nell’abilità politica e amministrativa del re Gustavo Adolfo, che seppe creare un sistema di potere fondato sul rapporto privilegiato con l’aristocrazia e sul suo coinvolgimento nell’amministrazione dello stato. Il pericolo asburgico incontrava nel Baltico il baluardo della potenza svedese, che non avrebbe mai tollerato l’espansione in quel mare. Gustavo Adolfo, dopo essersi alleato con Richelieu, si spinse in Germania col suo esercito, occupò Monaco e sconfisse l’esercito imperiale. Non potè assaporare il frutto della vittoria inquanto morì proprio sul campo. La morte del sovrano disorientò le truppe svedesi, che furono sconfitte da quelle imperiali nel 1634 a Nordlingen. I principi protestanti li abbandonarono e firmarono, nel 1635, la pace di Praga. Gli stati germanici erano quindi di nuovo sotto l’egemonia asburgica. 4. FASE FRANCESE (1635-1648) A questo punto la Francia entrava direttamente in guerra. Le due parti in conflitto erano ora: Francia, Svezia e Olanda vs Spagna e Impero. Al trono imperiale era succeduto Ferdinando III e le fila della politica francese erano tirate da Richelieu. A Rocroy, Luigi di Borbone, principe di Condè e comandante delle truppe francesi, ottenne una brillante vittoria sugli spagnoli. Insieme agli svedesi, i francesi penetrarono in Sassonia, Boemia, Palatinato, Alsazia e Baviera. Nel 1644, iniziarono le trattative di pace a Osnabruck e Munster. Al principio del 1648 gli spagnoli firmarono la pace separata con l’Olanda, riconoscendone l’indipendenza. La pace di Vestfalia, che pose fine alla guerra dei 30 anni, fu siglata nel 1648 solo da Impero, Francia e Svezia. La Spagna non firmò, perciò la sua guerra con la Francia continuò. La prima questione fu la pacificazione religiosa. Da un lato si confermò il principio del cuius regio eius religio; dall’altro si apportarono ad esso sensibili integrazioni. I principi potevano scegliere la religione del loro stato. I sudditi dovevano seguire la religione di famiglia, che doveva essere stata la stessa da almeno 25 anni. Chi non voleva seguire questa norma doveva lasciare il Paese, conservando il suo patrimonio. Questa normativa rappresentava un grande passo avanti rispetto al passato e consentiva la convivenza tra cattolici, luterani e calvinisti. Sul piano politico-territoriale il trattato di Vestfalia prevedeva: l’estensione dei territori francesi al Reno, incorporando i tre vescovadi di Metz, Toul e Verdun + l’Alsazia, senza Strasburgo. In Italia i francesi controllavano il Pinerolo e Casale Monferrato. La Svezia guadagnava in territorio germanico Brema e Verden, entrando a far parte della Dieta imperiale. Inoltre, estendeva la sua influenza alla Pomerania occidentale, acquisiva il primato sul Baltico e sul mare del Nord. Infine era riconosciuta solennemente l’indipendenza dell’Olanda. Verso un’Europa multipolare: il nuovo quadro internazionale dopo le paci di Vestfalia, Pirenei e Oliva La guerra tra Francia e Spagna continuò fino al 1659. Le sue sorti mutarono radicalmente dopo la battaglia delle Dune, nel 1658, grazie all’alleanza tra Francia e Inghilterra. Con la Pace dei Pirenei, del 1659, la Spagna cedeva all’Inghilterra Dunkerque e Giamaica; alla Francia parte delle Fiandre e dell’Artois, e nei Pirenei la Cerdagna e il Rossiglione. Il matrimonio tra Luigi XIV e Maria Teresa, figlia di Filippo IV, stabilì altri legami tra i 2 Paesi. La guerra proseguì nel Baltico tra il sovrano svedese Carlo X e la Danimarca. Nel 1660 la pace di Oliva concludeva il conflitto a spese della Polonia. Parte dei suoi territori vennero spartiti tra Svezia, Brandeburgo e Russia. La storiografia interpreta le tre paci (Vestfalia, Pirenei e Oliva) come il segno dell’indiscussa egemonia francese in Europa. CAPITOLO 8 La società inglese dai Tudor agli Stuart La vivacità economica, politica e culturale della società e la forza dell’assetto storico-costituzionale contribuirono alla formazione ed allo sviluppo dell’Inghilterra come grande potenza. Questi fattori garantirono il successo del processo rivoluzionario, che iniziò contro il governo degli Stuart nel 1640 e si concluse nel 1688 con l’affermazione della monarchia parlamentare costituzionale. Alla fine del regno di Elisabetta lo Stato inglese presentava alcune carenze: -PIANO FINANZIARIO: gran parte delle risorse provenivano dai beni della Chiesa incamerati dallo Stato post- Riforma; non esistevano monopoli pubblici culle attività economiche che potessero garantire entrate alla Corona; la ridotta burocrazia centrale comportava il ricorso al sistema di venalità degli uffici; il potere pubblico aveva una buona capacità impositiva sia nel prelievo che nel controllo fiscale. La spina dorsale dell’esercito era costituita dalle milizie locali. I nuovi tribunali regi dovevano convivere con i tribunali del diritto consuetudinario, che egemonizzavano la teoria e l’esercizio della giustizia. Era assente una burocrazia di governo locale. In pratica, con lo sviluppo della Riforma, si era stabilito un compromesso tacito tra Corona e Parlamento, secondo cui le classi rappresentate nelle Camere dei Comuni accettavano ed appoggiavano le scelte religiose e politiche del re, a condizione che si permettesse loro di governare le campagne e le città. Mediante tale compromesso, le gentry aumentarono la loro ricchezza, il loro potere economico, conquistarono il governo delle contee ed il controllo dei seggi alla Camera dei comuni. -CONTROLLO RELIGIOSO: Elisabetta lasciava in eredità ai suoi successori una chiesa ufficiale priva di basi dottrinarie. Da qui deriva la massiccia diffusione di sette estremistiche protestanti (=puritani) e cattoliche. Il punto di forza dello stato inglese stava nell’equilibrio tra re e Parlamento e nella sua capacità di favorire mutamenti e trasformazioni sociali. Nel momento in cui questi due requisiti verranno meno, allora monarchia e parlamento forzeranno tale equilibrio e tali mutamenti, scatenando una rivoluzione. Il più importante mutamento che si ebbe sotto Elisabetta fu la trasformazione dell’aristocrazia. Le funzioni del ceto furono modificate, identificandosi nella ricchezza fondiaria, nel rapporto con la corte e nel ruolo di classe dirigente. La proprietà terriera rimase alla base della rappresentanza, ma nella vita politica inglese la Camera dei Comuni (che rappresentava la gentry e la media e piccola nobiltà) assume un peso sempre maggiore rispetto alla Camera dei Lord (che rappresentava le famiglie della grande aristocrazia dei Pari). Con la vendita delle terre e le recinzioni la gentry era cresciuta di numero e di forza. L’aumento del prodotto nazionale in agricoltura e manifattura (lana) provocò un processo di redistribuzione della ricchezza che moltiplicò le stratificazioni interne alla gentry. Il ceto degli esquires finì per comprendere tutti i gentiluomini di campagna, i principali possidenti dei villaggi e i possidenti di circoscrizioni con un reddito superiore alle 250 sterline. Alla gentry appartenevano anche i knights (cavalieri) e i baronetti. Elisabetta rimase nubile, quindi non lasciava eredi alla sua morte. Le succedeva Giacomo I Stuart, figlio di Maria Stuart, re di Scozia -> unione Inghilterra-Scozia. Il suo regno fu un’età di forti contrasti e lacerazioni, che investirono tutti gli ambiti della politica, creando così un distacco sempre più forte tra la società civile e la dinastia Stuart. Al modello della chiesa anglicana, fortemente sostenuto da Giacomo, si opponeva il modello del Puritanesimo; all’armamentario teologico e dottrinario della Chiesa di Elisabetta corrispondeva il forte ruolo assegnato ai vescovi anglicani, che acquistarono un potere enorme nel controllo della disciplina religiosa; alla Chiesa anglicana episcopalista si opponeva il movimento puritano. Questo movimento teorizzava: il ripristino del più ortodosso Calvinismo dottrinario, l’abolizione di ogni residuo cattolico, una società fondata sul primato dell’individuo, della sua religiosità e delle sue autonome scelte, e sul ruolo della comunità dei pastori e dei fedeli. Era inevitabile che un tale movimento fosse sia politico che religioso ed entrasse in conflitto con la monarchia. L’economia inglese nei primi anni del 600 era in espansione, ma la gestione statale dello sviluppo economico era carente. La corona aveva concesso monopoli e diritti di privativa anche sui generi di largo consumo, creando scontenti e divisioni interne al ceto dei mercanti. L’imposizione fiscale sulla rendita fondiaria creava scontri tra re e Parlamento. Anche in politica estera l’avvicinamento con la Spagna era fonte di preoccupazione per i sudditi inglesi. Il conflitto tra il parlamento e la corte era alimentato dalla corruzione e dal clientelismo del governo. Il suo centro era rappresentato dal favorito del re, George Villiers, duca di Buckingham. A lui ed al suo entourage facevano capo: la distribuzione delle privative, dei privilegi economici, la vendita di uffici, di titoli nobiliari, l’accesso al sistema delle prebende a corte. L’opposizione della camera dei comuni si diresse, quindi, contro il sistema di potere a corte. Gli ultimi anni del regno di Giacomo coincisero con la fase boemo-palatina della guerra dei 30 anni. La successione a trono di Carlo I Stuart si verificava nel pieno della guerra, mentre entravano in conflitto nuovi protagonisti, come la Danimarca. In occasione dell’invio di rinforzi militari da parte dell’Inghilterra agli ugonotti francesi, esplose il conflitto tra re e Parlamento. Il terreno dello scontro fu quello fiscale. I parlamentari decisero di approvare la richiesta regia di denaro per far fronte alla guerra, ma solo dopo aver ottenuto dal sovrano il riconoscimento della limitazione del potere assoluto. La Petition of Rights del 1628 prevedeva: il consenso del Parlamento per tutte le forme di imposizione fiscale straordinaria, il divieto di ricorrere alla corte marziale, il divieto di imporre gli acquartieramenti militari nelle case private. Così scattò la reazione su vasta scala di Carlo. -REAZIONE POLITICA -> nel 1629 il sovrano sciolse il parlamento e diede vita ad un governo personale formato dal re, dal Privy Council e dalla Star Chamber (che aveva la giurisdizione sui reati di lesa maestà e che divenne un tribunale per l’eliminazione degli oppositori). -REAZIONE RELIGIOSA -> nel 1633 fu nominato arcivescovo di Canterbury William Laud. Essendo stato ripristinato il prestigio dei vescovi, essi ricomparvero nel Privy Council e nelle altre magistrature. I preti riacquistarono il ruolo di mediatori tra dio e uomo. Si riformò la proprietà ecclesiastica. Furono svolte persecuzioni contro i puritani, che furono costretti ad emigrare, creando le prime comunità inglesi nordamericane in Massachussetts. -REAZIONE ECONOMICA E SOCIALE -> ebbe le sue manifestazioni più significative nella concessione di nuovi monopoli, nella vendita di titoli nobiliari più estesa, nell’incentivo offerto dalla corona ad un ulteriore irrigidimento corporativo e nella sollecitazione di un rapporto preferenziale tra sovrano e Lord (alta aristocrazia feudale). Alla fine degli anni 30 il malcontento verso il sistema di corte si spostava direttamente verso il sovrano: la crisi di fiducia investiva i vertici del potere fino al re. Lungo Parlamento, costituita da presbiteriani (conservatori) che voleva sostituire la chiesa anglicana episcopalista con una chiesa calvinista fondata su un sistema di presbiteri (consigli) e su una nuova identità di chiesa-stato; gli indipendenti (opposti ai primi), che erano il gruppo egemonico della New Model Army, costituiti da nobili di campagna, piccoli proprietari di provincia e mercanti, la cui politica si basava sull’opposizione a qualsiasi chiesa di stato e sulla tolleranza religiosa; i levellers (livellatori) che rappresentavano le sette religiose, predicando l’assoluta libertà di culto, la democratizzazione della società e, in casi estremi, l’abolizione di proprietà privata a favore del comunismo dei beni. L’ago della bilancia politica tra queste diverse forze in campo fu assunto da Cromwell e Ireton, leader dei levellers. Mediante una campagna capillare, il radicalismo dei levellers si era diffuso nella nuova armata. Cromwell e Ireton da un lato sostennero la new model army contro la richiesta, da parte dei presbiteriani, di scioglimento; dall’altro cercavano di bloccare le spinte estremistiche. I levellers praticamente si battevano per il suffragio universale, per la separazione fra Chiesa e Stato, per una costituzione repubblicana a favore dell’uguaglianza fra cittadini. Secondo Cromwell e Ireton, invece, l’accesso al potere pubblico doveva essere riservato ai percettori di reddito annuo non inferiore ai 40 scellini. La preoccupazione maggiore degli indipendenti, invece, era il rischio reale di anarchia, dato che: il parlamento era controllato dai presbiteriani, Carlo I era fuggito in Scozia, l’esercito era in fermento e non riusciva a controllare le spinte radicali che lo agitavano. Tra il 1647 e il 1648 si profilava un pericoloso pluralismo di poteri e l’affermazione di forze centrifughe che avrebbero potuto vanificare tutte le conquiste dei rivoluzionari. Cromwell epurò il parlamento di tutti i presbiteriani, attaccò Carlo sconfiggendolo a Preston. Il re fu processato, condannato per alto tradimento e giustiziato, nel 1649. Andava facendosi strada un nuovo principio di sovranità politica. 2) Seconda fase (1649-1653) Nella seconda fase Cromwell e il Parlamento dichiararono decaduta la monarchia, crearono il Consiglio di Stato (sostituto del Consiglio privato) e abolirono la Camera dei Lord. Nel 1649 fu proclamata la Repubblica Unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda = COMMONWEALTH. Permanevano comunque le divisioni interne alla repubblica per quanto riguardava il suffragio universale. Non erano nemmeno svaniti i rischi di ritorno alla monarchia, poiché il primogenito di Carlo I, Carlo II, aveva acquisito il titolo nei Paesi Bassi. Cromwell ed il suo entourage attuarono una politica interna per la salvaguardia assoluta del diritto di proprietà, libertà religiosa ed indipendenza della Chiesa dallo stato, stabilità sociale ed eliminazione delle opposizioni estremistiche. In politica estera, invece, si perseguiva l’obiettivo di un’unificazione del Paese. I costi di questa strategia furono elevati. I capi dei levellers furono arrestati e tutti gli ammutinamenti dell’esercito furono repressi. Per riconquistare la Scozia Cromwell promise alla nazione condizioni di maggior tolleranza; per riconquistare l’Irlanda, invece, egli ebbe la mano pesante, infatti tra il 1649 e il 1650 furono uccisi circa 600.000 irlandesi ed altri furono costretti ad emigrare. Le terre tolte ai cattolici furono distribuite tra i soldati protestanti inglesi. Lo strumento più potente della politica espansionistica inglese fu l’Atto di navigazione del 1651, promulgato dal Lungo parlamento, che sanciva il monopolio inglese sul commercio nordamericano. Esso rappresentava un atto di guerra contro l’Olanda, che effettivamente scaturì 3 guerre navali anglo-olandesi tra il 1652 e il 1674. Nel 1653 Cromwell sciolse il Lungo Parlamento a favore dell’insediamento di un’assemblea eletta dai capi dell’esercito, che però durò solo pochi mesi. Inoltre diventò lord protettore del Commonwealth. 3) Terza fase (1653-1658) In qualità di lord protettore, Cromwell aveva il potere di scegliere i nuovi membri del Consiglio di stato tra gli ufficiali dell’esercito. Questa era una vera dittatura militare. La stessa politica non valeva né tra i moderati dell’esercito, che difendevano la carta costituzionale del ’53, né tra i realisti, che aspiravano al ritorno alla monarchia. La politica economica suscitava tensioni: il protettore aveva fatto ricorso a nuove imposizioni fiscali e aveva istituito l’imposta fondiaria. Anche la politica estera antispagnola non incontrava le volontà del ceto mercantile. Nel 1658 Cromwell morì, lasciando l’Inghilterra in una condizione di lacerazioni e contrasti. 4) Quarta fase (1658-1660) Questa fu la fase in cui si preparò la restaurazione. Il figlio di Cromwell, Richard, subentrò nella carica del padre ma non garantiva più la sicurezza dei ceti abbienti. Tra l’esercito riprese a diffondersi il movimento radicale. Perciò era necessaria la restaurazione di un ordine politico più solido. Nel 1660, un esercito con a comando George Monck marciò su Londra, senza incontarre resistenza, restituendo i poteri al Parlamento. Carlo II Stuart rientrò così in Inghilterra -> restaurazione: monarchia, camera dei Lord e chiesa anglicana. La restaurazione degli Stuart da Carlo II a Giacomo II Durante il regno di Carlo II Stuart l’istituzione monarchica ed il rapporto tra Chiesa anglicana e Stato erano stati restaurati, ma bisognava fare i conti con la Camera dei comuni e con le forme più moderne di organizzazione della vita e della lotta politica. Nacquero 2 schieramenti attorno a cui roteava la vita politica inglese: - TORIES -> che credeva nel diritto divino dei re, nel principio dinastico e nella religione di stato anglicana; - WHIGS -> che credeva nell’autorità del parlamento, nella libertà religiosa e in un diverso principio di rappresentanza politica. La tendenza del sovrano nell’instaurare l’assolutismo incontrava ostacoli nell’opposizione parlamentare. Fu importante la legge approvata nel 1679: l’Habeas corpus ad subjiciendum. Essa consisteva nell’abolizione del carcere preventivo, ma prevedeva l’arresto solo sulla base di motivi penalmente perseguibili e vietava qualsiasi forma di restrizione illegale della libertà. L’alleanza di Carlo II con Luigi XIV preoccupava i britannici, perché risultava chiaro che la Francia avesse aiutato l’Inghilterra nella guerra contro l’Olanda solo per accrescere la propria potenza economica e politica. Dopo l’ultima guerra anglo-olandese il sistema di alleanze inglese cambiò: cresceva l’ostilità contro la Francia e si gettavano le basi per un’alleanza con l’Olanda. Il successore di Carlo II, Giacomo II (FRATELLO), accentuò la rottura tra governo e parlamento. Egli cercò di rafforzare l’esercito con quadre cattolici e si circondò di intellettuali di prestigio per riaffermare il diritto divino dei re. Il suo modello era quello Francese di Luigi XIV. Però il partito whig era più forte del partito dei tories, perciò iniziò a rivendicare la libertà di stampa ed una partecipazione attiva alla vita politica. A segnare le sorti di Giacomo II fu la nascita di suo figlio, poiché così facendo si perdevano le speranze di ricostruire un impero con equilibrio costituzionale. La gloriosa rivoluzione e la dichiarazione dei diritti Un larghissimo schieramento di whigs e tories offrì la corona d’Inghilterra allo statolder d’Olanda Guglielmo II d’Orange ed a sua moglie Maria Stuart, figlia di Giacomo II, entrambi protestanti. Nel 1688 un piccolo esercito olandese sbarcò sul suolo inglese senza incontrare resistenza. Sulla bandiera dell’esercito olandese appariva la scritta “pro religione et libertate”. La popolazione inglese fu entusiasta di accogliere Guglielmo, mentre Giacomo II fuggì presso Luigi XIV. Il primo atto di Guglielmo fu, nel 1689, l’emanazione del Bill of Rights, che rappresentò la fine della monarchia assoluta e definì il nuovo equilibrio costituzionale inglese, fondato sulla limitazione dei poteri del re. La fonte della sovranità del re era nel Parlamento, organo che rappresentava la volontà della nazione. Questo fu l’esito della gloriosa rivoluzione, definita, appunto, gloriosa perché priva di guerra civile e massacri, bensì basata sulla riorganizzazione dell’assetto politico e religioso, secondo il principio del consenso. Negli anni 40 del 600 in Europa scoppiarono molte rivolte (Catalogna, Napoli, Sicilia, Francia) ma solo una rivoluzione ebbe successo. Vi è una differenza sostanziale tra il concetto di rivoluzione e quello di rivolta. La rivoluzione mira ad un mutamento radicale degli equilibri politici preesistenti; la rivolta rappresenta un crisi, su scala regionale e locale, dell’assetto sociale e costituzionale che non viene intaccato nelle sue fondamenta e conserva, in altre parti del paese, la sua legittimità ed i suoi effetti. Un’anomalia nello schema europeo: l’Olanda nel 600 La civiltà olandese del 600 era vista come un’anomalia nello schema europeo. L’Olanda fu l’unico paese europeo a sottrarsi alla stagnazione economica generale; a sottrarsi dal dominio spagnolo; a trovare i mezzi per competere economicamente coi paesi più potenti; a consolidare le sue posizioni nel Baltico e nel Mediterraneo ed a costruire un sistema politico originale. Dopo la tregua dei 12 anni con la Spagna, i Paesi Bassi si trovarono divisi in: Province Unite e Paesi bassi meridionali. La divisione aveva varie nature: -politica: le prov. Unite avevano costituito uno stato indipendente a regime repubblicano; i paesi bassi appartenevano alla corona spagnola, perciò rimanevano fedeli alla causa monarchica. -religiosa: le prov. Unite erano protestanti; i paesi bassi erano luogo di diffusione gesuitica. -economico-sociale: le prov. Unite erano una potenza marittima borghese con interessi commerciali; le produzioni dei paesi bassi erano egemonizzati dalla nobiltà. Il fattore più interessante delle Prov. Unite era il modello politico. Esso era uno stato repubblicano a struttura federativa. Organi federali erano gli Stati Generali, per la politica estera e la finanza, e il Consiglio di Stato, per affari minori. La sede della sovranità era negli Stati Provinciali, che nominavano lo statolder, il capo dello Stato. Altra carica importante della vita statale era quella del gran pensionario, che fungeva da consulente legale delle province. Le cariche pubbliche erano elettive. Il centro motore del paese era costituito dalla provincia d’Olanda, il cui cuore era Amsterdam e dove, nel 1611, vi era stata fondata la Borsa. L’Olanda stabiliva rapporti con paesi amici e nemici, dominando il commercio del Baltico. Nel 1602 fu creata la Compagnia delle Indie Orientali, ovvero un’associazione permanente fondata sia sul libero acquisto di azioni da parte dei cittadini, sia sulla concentrazione di capitali. Alla compagnia fu riconosciuto il monopolio del commercio olandese sui mari, oltre lo stretto di Magellano e il capo di Buona Speranza. Nel 1652 la Compagnia dette vita ad una fortificazione attorno al capo di Buona Speranza, iniziando la colonizzazione olandese del Sudafrica. Di più breve durata fu la Compagnia delle Indie Occidentali. La vera forza dell’Olanda era l’industria. Il paese importava materie prime e semilavorati ed esportava manufatti. La disponibilità di capitali che ne scaturiva ebbe esiti positivi sull’agricoltura: bonifiche di laghi, investimenti per l’ammodernamento delle tecnologie agricole. La pace con la Spagna (1648) significò per l’Olanda conquiste territoriali ed il riconoscimento della supremazia economica sui paesi bassi meridionali. Intorno al 1650 le prov. Unite possedevano un vasto impero commerciale. La compagnia delle Indie Orientali controllava il commercio mondiale delle spezie, aveva ottenuto il monopolio commerciale col Giappone, si era insediata a Giava, Formosa, Malacca, Ceylon e nelle isole Molucche. La compagnia delle Indie Occidentali invece aveva formato sull’isola di Manhattan la Nuova Amsterdam, occupata poi nel 1644 dagli inglesi e chiamata Nuova York. Dal 1636 al 1645 gli olandesi controllarono anche il commercio degli schiavi neri. Sul piano politico, dal 1653 al 1672, il regime repubblicano si consolida e viene sperimentata una nuova forma di governo senza statolder. Lo stato viene governato dal gran pensionario Jan de Witt, che rappresenta l’oligarchia di Amsterdam. I caratteri del suo governo sono: una maggiore autonomia delle diverse province e la tolleranza religiosa. Per quanto riguarda il conflitto anglo-olandese, sappiamo che nel punto iniziale della guerra c’è l’Inghilterra di Cromwell, invece al punto finale c’è il progetto di egemonia della Francia di Luigi XIV. La prima guerra anglo-olandese, dal 1652 al 1654, si combatté sulla base di due principi contrastanti: domini della Spagna vigeva la legge salica, che non ammetteva la successione al trono da parte delle donne. Alla morte di Filippo IV, Luigi avendo sposato sua figlia Maria Teresa, rivendicò parte dei domini spagnoli. Occupò i Paesi Bassi meridionali e la Franca Contea. Con la pace di Aquisgrana del 1668, alla Francia furono riconosciute le conquiste territoriali dei Paesi Bassi spagnoli ma fu imposta la restituzione della franca contea. La seconda guerra del sovrano fu quella contro l’Olanda, che avrebbe portato grandi vantaggi territoriali alla Francia. L’Olanda era l’antagonista economico della Francia, infatti la prima non aveva accettato la guerra delle tariffe imposta dalla seconda e avevano reagito bloccandone le esportazioni. Luigi tesse delle alleanze con Inghilterra e Svezia contro l’Olanda e la guerra scoppiò nel 1672. Nel 1674, a favore dell’Olanda entrarono in guerra l’Impero e la Spagna: le truppe brandeburghesi sconfissero le svedesi; vi fu il matrimonio tra il sovrano olandese e la figlia del sovrano inglese, che designò il riavvicinamento tra le due nazioni. C’erano numerosi rischi riguardanti lo scoppio di una guerra su scala europea e riguardanti l’isolamento della Francia. Così Luigi firmò la pace a Nimega, nel 1678, guadagnando la Franca Contea. Un altro momento importante fu la Guerra della Lega di Augusta del 1686-1697, in cui una coalizione tra Spagna, Inghilterra, Olanda, Svezia, Austria e altri stati minori combattè contro l’occupazione francese di alcuni territori nella valle del Reno. Il conflitto si concluse nel 1697 con la pace di Ryswick, secondo cui la Francia dovette restituire tutto tranne Strasburgo. L’assolutismo in Prussia e Austria Il modello in cui meglio si realizza il processo di centralizzazione è quello del Brandeburgo-Prussia di Federico Guglielmo. Una tappa importante nell’ascesa della potenza prussiana è la pace di Oliva (1660), secondo cui la Prussia viene unita al Brandeburgo, aggiungendosi ad un complesso territoriale che includeva: Pomerania orientale, Magdeburgo, Halberstadt e Minden. Ma anche in Brandeburgo l’assolutismo non era di facile realizzazione. L’abilità dell’elettore Federico Guglielmo consisteva nello stipulare un compromesso con la nobiltà che dominava la Dieta: il principe confermava i privilegi ed estendeva i poteri giurisdizionali della feudalità, avendo in cambio finanziamenti per la costruzione di un esercito permanente che lo avrebbe aiutato a gettare le premesse per l’autonomia finanziaria e amministrativa. Nel Brandeburgo si affermava, quindi, un assolutismo di stampo nobiliare: i posti più importanti dell’amministrazione venivano conferiti ai nobili di vecchio lignaggio, gli junker, che perdevano forza come ceto ma vedevano allargata la fascia di immunità dalle imposte, di privilegi e di autorità sui contadini. Una monarchia in fase di consolidamento potrebbe essere definita quella dell’Austria sotto Leopoldo I d’Asburgo. Il problema principale della monarchia asburgica era l’Ungheria, che si rivelava un ostacolo per la creazione di un assolutismo omogeneo. La dinastia asburgica regnava solo in virtù di un’unione personale, quindi la sua autorità era elettiva e revocabile; la nobiltà del Paese vigilava sulla sua costituzione e sulle sue prevaricazioni; lo jus resistendi legittimava le rivolte nobiliari. La tenacia del particolarismo magiaro era legata anche ai potenti appoggi che aveva oltre la frontiera ottomana. Era, perciò, inevitabile che il problema ungherese fosse legato con il rapporto fra monarchia asburgica-ottomani. Nel 1660 la Transilvania insorse contro il dominio turco: gli ottomani vinsero e si diressero verso Vienna ma vennero sconfitti dalle truppe austriache. L’intervento delle truppe asburgiche era dettato dal disegno di Leopoldo che aspirava a distruggere l’opposizione magiara nei confronti della monarchia. Il sovrano annullò tutti i privilegi di cui godevano gli ungheresi e diede vita alla repressione delle minoranze protestanti. La reazione fu la rivolta del 1678. Nel 1683 Vienna fu assediata dai turchi e nel 1699, con la pace di Carlowitz, i turchi cedettero agli austriaci l’Ungheria e la Transilvania. Leopoldo invece ottenne il consenso dai magiari a rendere la dinastia asburgica elettiva. Spagna e Italia: un’età di decadenza? Dopo la pace di Vestfalia e nel corso del 600, la Spagna perse alcuni pezzi importanti del suo impero: Portogallo, Franca Contea, parte delle Fiande, Artois, Cerdagna, Rossiglione sui Pirenei. Dal punto di vista dell’estensione territoriale dei suoi domini, dell’articolazione amministrativa, della politica internazionale, la monarchia dei Re Cattolici rimase ancora una potenza imperiale. Non aveva più l’egemonia europea, aveva perso i Paesi Bassi e la Franca Contea, ma aveva superato la crisi degli anni 40, restaurato il potere in Catalogna e mantenuto i domini italiani. Inoltre poteva contare su un vasto impero coloniale. Tale impero però era molto debole e non aveva più la capacità di difendersi dagli attacchi esterni. Nonostante ciò prese parte al sistema di alleanze antifrancese dimostrando forza militare. Più fragili erano i fondamenti economici e sociali della monarchia spagnola. La Castiglia subì un declino demografico, una crisi commerciale e artigianale molto grande. Si ebbe un arretramento della Castiglia rispetto alle altre regioni spagnole, e siccome la Castiglia rappresentava il cuore dell’economia imperiale, questa crisi invase tutta la Spagna. Tale processo riguardò principalmente l’ultima fase del regno di Filippo IV ed il primo di quello di Carlo II. Anche per l’Italia vale lo stesso discorso. Gli effetti della guerra dei 30 anni furono avvertiti soprattutto nell’Italia settentrionale. Nella crisi demografica che investi la nazione un ruolo importante fu giocato dalle epidemie di peste, che dimezzarono le popolazioni delle città colpite. Dopo lo spostamento dei traffici verso l’Atlantico, gli hombres de negocios erano olandesi, inglesi e francesi, quindi l’Italia si trovò tagliata fuori. La sua crisi del settore tessile fu dovuto soprattutto alla concorrenza dell’Europa nord-occidentale, dove si era avuta una riconversione della produzione di lusso alla produzione di massa; i costi per produzione e servizi erano più bassi a causa dello spostamento delle attività dalla città verso la campagna; il basso costo del lavoro rese possibile lo sviluppo di tecnologie più avanzate. Un altro segnale di crisi della società italiana fu la tipologia dei comportamenti economici. La tendenza era verso il ritorno alla terra, verso l’immobilizzo dei capitali, verso l’investimento nei titoli del debito pubblico in espansione in tutti gli stati. Anche dal punto di vista politico l’Italia continuava a presentarsi come un laboratorio sperimentale. In tutti gli stati italiani del tempo le funzioni pubbliche della vita politica andarono estendendosi e meglio organizzandosi per quanto concerneva normative, procedure, efficacia degli strumenti di applicazione, ecc. diverso fu il peso esercitato dai singoli stati nella politica internazionale e diversi furono anche i gradi e la qualità di realizzazione del modello assolutista nella vita interna degli stati. Il Piemonte sabaudo fu influenzato nel modello di politica interna da Luigi XIV. Carlo Emanuele II adottò una politica mercantilistica, coinvolgendo l’aristocrazia ed i suoi capitali nella promozione di attività economiche. Lo stato pontificio non realizzò più una presenza significativa nella scena internazionale. Anche il ruolo di Venezia era in declino. Il Granducato di Toscana, in ambito di politica estera, fu dipendente dalla Francia. Milano, Napoli, la Sicilia e la Sardegna erano dipendenti dalla corona spagnola. A metà del 600 le pressioni francesi ai confini col Piemonte misero in pericolo le sorti del dominio spagnolo in Lombardia. Il trattato dei Pirenei del 1659 riportò la pace e la lontananza dei teatri di guerra in cui era coinvolta la Spagna rese possibile la ripresa dell’economia milanese. La monarchia spagnola favorì questo riequilibrio economico sia con una politica fiscale tendente a prelevare in maniera equa la ricchezza della campagna e quella della città e sia con una politica economica che promosse lo sviluppo del profitto imprenditoriale. La restaurazione della monarchia spagnola nel regno di Napoli avvenne nel segno di una svolta nel modo di governare. La depressione demografica post-peste, la crisi agraria del 1660-80, la contrazione che colpì il commercio meridionale, la pressione fiscale in aumento a causa delle guerre, non consentirono ai vicerè di Napoli ed ai ceti dominanti di dar vita ad una politica riformatrice. Solo alla fine del 600 vi fu una lieve ripresa. Una rivolta scoppiata in Sicilia tra il 1674 ed il 1678 rischiò di mettere in dubbio il dominio spagnolo sull’isola. Messina, nel 1675, proclamò la sovranità di Luigi XIV. Nel 1678 la Spagna riuscì a sconfiggere il separatismo siciliano, reprimendolo duramente e ripristinando il dominio del baronaggio feudale e della chiesa sull’isola. La Sardegna, anch’essa governata da vicerè spagnolo, visse alcune trasformazioni durante il 600. Lo sviluppo delle istituzioni amministrative del regno sardo rafforzò sia il ceto nobiliare e sia il ceto togato, che assunse la direzione degli affari pubblici. I Paesi scandinavi Nel corso della guerra dei 30 anni la Svezia aveva raggiunto uno status internazionale: era la vincitrice del conflitto in terra tedesca. Con la pace di Vestfalia la Svezia aveva ottenuto al Pomerania occidentale, Brema, il controllo dei tre fiumi Elba, Oder e Weser. Ma la Danimarca controllava il traffico nel Sund ed il suo sistema di dazi. La prima guerra del nord scoppiò per il controllo del Baltico. Con la pace di Copenaghen la Svezia si impossessava delle province meridionali: Halland, Scania e Blekinge. I successi della politica estera svedese erano stati garantiti dalla sua forza militare, che derivava dalla grande disponibilità di ferro per l’armamento e dalla particolare composizione dell’esercito, formato da nobili e piccoli proprietari contadini. Quindi a fronte di un basso grado di commercializzazione dell’agricoltura c’era la ricchezza mineraria del paese, in particolar modo di ferro e rame. L’apice della produzione del rame in Svezia fu connesso al crollo della moneta d’argento in Castiglia. Sempre grazie alla ricchezza mineraria, la Svezia riuscì a stabilire un controllo sul mercato internazionale degli armamenti. A realizzare il modello assolutistico fu anche la personalità dei sovrani: Carlo XI promosse una redistribuzione della ricchezza agricola del Paese equilibrando, così, il rapporto tra i beni della Corona, quelli della nobiltà e quelli dei contadini. La svolta nel modello politico della Danimarca si ebbe nel 1665, quando Federico III trasformò la Corona da elettiva ad ereditaria, ridimensionando i poteri dell’aristocrazia, dando nuovo impulso alle funzioni dello stato ed intervenendo sulla materia fiscale, mediante la redazione di un catasto delle proprietà fondiarie. La via polacca La Polonia era una monarchia elettiva: la sua aristocrazia, per mantenere debole lo stato centrale, preferì avere prima un re francese, poi uno ungherese e infine la dinastia svedese dei Vasa. A metà del 600, la Polonia fu teatro di una guerra europea per il suo controllo. Ne uscì stremata e con perdite considerevoli. Essa era circondata da potenze in ascesa, infatti fallì la possibilità di dominare il Baltico e di diventare una potenza marittima, dato che la Prussia fu sottratta dal Brandeburgo; inoltre perse l’Ucraina orientale con le sue fertili terre; i turchi le sottrassero la Podolia. Oltre alla debolezza geopolitica vi era anche la strutturale anarchia politica: la norma dell’unanimità parlamentare (il liberum veto) poteva paralizzare lo stato. Negli ultimi anni del 600 il re soldato Giovanni Sobieski cercò di dare un ruolo internazionale al Paese, ma lo scambio con le altre potenze fu ineguale. Il progetto di monarchia ereditaria fallì: nel 1696 la nobiltà polacca rifiutò la successione del figlio di Sobieski, facendo ascendere al trono il principe Augusto II Wettin di Sassonia, che era appoggiato dalla Russia. CAPITOLO 9 Scienza della politica, scienza dello Stato L’affermazione della sovranità del Principe, durante il 500, è in diretta relazione con lo sviluppo di una nuova politica: lo stato moderno, tendenzialmente assolutista. Dalla metà del 500 alla metà del 600, la scienza politica, creata da Machiavelli, diventa scienza dello Stato. All’origine di questo percorso troviamo Jean Bodin, che scrive l’opera Six livres de la Republique, nel 1575. Qui la res publica è lo stato: al fine di avere pacificazione religiosa, sociale e politica (=unità della nazione) la sovranità deve risiedere in un solo principe e deve essere indivisibile, perpetua, ereditaria e suprema (cioè indipendente dai poteri condizionanti, come quello del papa, dell’imperatore, dei Parlamenti, ecc.). con Giovanni Botero la riflessione sullo stato diventa Ragion di Stato, ovvero l’individuazione di tutti i modi e i mezzi per conservare al meglio il potere politico. La sua opera “della ragion di stato” ebbe un enorme successo in tutta Europa. L’assolutismo si fonda sull’identificazione degli interessi del principe con quelli dello stato. Ma il 600 è anche il secolo in cui si scopre l’individuo, il diritto naturale o giusnaturalismo e la società. Una prima riflessione in merito è offerta in un’opera di Ugo Grozio. A Grozio interessa la regolamentazione dei rapporti internazionali, che dovevano fondarsi sul diritto naturale vede teorici e storici dell’arte che lo bollano come caduta estetica di tutte le espressioni culturali e valori negativi; nella seconda fase, tardo-ottocentesca, la critica italiana lo identifica come una crisi dei valori estetici, morali, politici e civili; nella terza fase, la visione di decadenza si va superando e si va meglio definendo il suo carattere di età di transizione dal Rinascimento all’illuminismo. È complicato identificare gli elementi e i caratteri che compongono la cultura Barocca. Essi si possono ritrovare nelle grandi opere: dipinti di Caravaggio -> nuovo uso della luce; opere di Bernini -> spazio illimitato. I primi piani sono enormi e le figure sono vicinissime a chi guarda, le scene sono colte di sorpresa, a tratti spiate, e devono creare meraviglia. Si proietta la grande scena della vita, ma i modi di rappresentazione sono tanti. L’attenzione si sposta dall’essere all’apparenza, il mondo viene concepito come impressione ed esperienza, che però è transitoria e quindi, fluendo, rende molto drammatica la percezione della realtà. Il senso più profondo del Barocco è proprio la coscienza dei conflitti e delle trasformazioni che stanno investendo l’uomo del mondo. Lo sfondo, tra crisi e cambiamento, si riflette in due capolavori della prima metà del 600: Don Quijote, di Miguel Cervantes, e La vida es sueño, di Calderón de la Barca. La formazione e l’organizzazione del sapere Il monopolio della formazione scolastica era esercitato dai Gesuiti. La loro ratio studiorum (modello e organizzazione degli studi) era alla base della formazione di tutte le classi dirigenti degli stati dell’Europa cattolica. In molte città furono istituiti i seminaria nobilium, vale a dire scuole per soli nobili, che educavano questo ceto all’esercizio del potere. Le università, invece, erano le roccaforti della cultura. I due settori più importanti, diritto e medicina, erano rigidamente controllati da collegi che abilitavano alla professione e conferivano privilegi ai loro membri. In quasi tutta l’Europa del 600 il primato fu detenuto dai giuristi, depositari della lex che spesso interpretavano in maniera arbitraria; ricoprivano cariche pubbliche; erano i partner dei sovrani nell’esercizio del potere. La nuova cultura, fondata sul metodo razionale e sull’esperienza diretta dei fatti, era esterna ai collegi ed alle università. Alla fine del 500 si sviluppò l’Accademia, che rappresentava la necessità da parte degli intellettuali di produrre e scambiare cultura. I contenuti erano spesso legati all’umanesimo retorico, alle problematiche letterarie, stilistiche e formali, ai giochi linguistici, ecc. Si può affermare che l’accademia, come nuova struttura di produzione e organizzazione culturale, giocò un ruolo fondamentale nella storia degli intellettuali: essi cominciarono a prendere coscienza della loro funzione autonoma nella vita politica e sociale e del bisogno di dotarsi di strutture organizzate per la ricerca culturale e la sua trasmissione. CAPITOLO 10 Le guerre europee Le guerre della prima metà del 500 erano state guerre per il predominio europeo ed i protagonisti erano stati principalmente: Francia e Spagna. La pace di Cateau-Cambresis aveva sancito la supremazia della Spagna sul continente europeo. L’egemonia internazionale di Filippo II fu resa possibile anche dal fatto che gli altri stati europei stavano ancora vivendo una fase di formazione: la Francia era attraversata da guerre di religione; l’Inghilterra elisabettiana aveva problemi interni di consolidamento del potere sovrano; le formazioni politiche della Germania erano appena uscite da una condizione di dualismo dei poteri. Alla fine del secolo, lo scenario internazionale presentava i primi segnali di novità. Il pericolo turco si era allontanato dal Mediterraneo; si era rotta l’unione tra Paesi Bassi e Spagna -> nascita dell’Olanda; l’Inghilterra aveva bloccato l’ascesa spagnola; in Francia si erano concluse le guerre religiose; il centro economico e dei traffici era stato spostato dal Mediterraneo all’Atlantico. Il mutamento degli equilibri politici fu rappresentato dalla pace di Vestfalia. La guerra dei 30 anni era iniziata presentando una grande concentrazione di potere con l’alleanza tra gli Asburgo d’Austria e gli Asburgo di Spagna. Nella seconda metà del 600, l’Europa era ormai multipolare ed in essa giocavano un ruolo importantissimo: Inghilterra, Prussia, Russia e Austria. Questa multipolarità bloccava l’ascesa della Francia di Luigi XIV. Nasceva una nuova gerarchia, fondata sulle differenze tra piccoli Stati e grandi Stati. Il rapporto che esisteva tra questi seguiva, secondo alcuni scrittori francesi, la teoria dell’equilibrio. Tale equilibrio era connesso con l’unità etico-culturale dell’Europa. In quest’ottica, la guerra era l’extrema ratio per frenare il potente che voleva imporre il proprio dominio. Nella reazione ai tentativi egemonici di Luigi XIV ebbe un ruolo importante la difesa della concezione di vita europea come coesistenza e concorrenza di unità statali. Nella prima metà del 700, vi fu il primato della politica classica. I soggetti privilegiati erano le corti, ristrette élite che controllavano la diplomazia. Occasioni di conflitto erano i problemi dinastici, ovvero le questioni di successione al trono spagnolo, polacco, austriaco, inglese e si alcuni stati italiani. La rivalità tra stati era stata data anche da conflitti di interessi commerciali. Inoltre, un’altra peculiarità del periodo era il nesso stretto tra politica interna e politica estera. Dalla prima guerra di successione spagnola, che si concluse col trattato di Utrecht nel 1713, la Francia uscì isolata; Spagna, Olanda e Svezia si indebolirono; emersero Prussia, Russia e Austria; la Gran Bretagna di affermò potenza economica che aveva il controllo di Mediterraneo e Atlantico. La successione al trono polacco, del 1733, fece riaprire lo scontro tra Asburgo (Austria) e Borbone (Francia), che si concluse con la pace di Vienna nel 1738. Con la guerra di successione austriaca, 1740-1748, il quadro si complicò: la Francia tornò a sognare l’egemonia europea; l’Inghilterra si schierò con Olanda e Austria contro la Francia; la Prussia entrò in guerra contro l’Inghilterra per interessi commerciali. La pace di Aquisgrana, del 1748, chiuse solo la questione dell’assetto italiano, poiché la guerra ormai era diventata globale. La pace di Ryswick, del 1697, concluse la guerra della Lega d’Augusta, bloccando le mire espansionistiche di Luigi XIV (Francia). Quella guerra aveva avuto una coalizione antifrancese molto ampia: Spagna, Inghilterra, Olanda, Svezia, Austria e Stati minori. Dopo la morte senza eredi di Carlo II (Spagna), nel 1700, lo scenario dei pretendenti al trono era questo: il testamento di Carlo designava erede universale Filippo d’Angiò (francese), che avrebbe assunto il nome di Filippo V. Però vi era nel testamento una clausola che vietava l’unione di Francia e Spagna. Allora si delinearono due schieramenti: la coalizione anglo-austro-olandese, in cui entrarono anche il Palatinato, l’Hannover e la Prussia; ed il blocco franco-spagnolo + duca di Savoia, re di Portogallo ed elettori di Colonia e Baviera. La guerra scoppiò nel 1702. Nel 1707 le truppe austriache invadevano Napoli e sancirono la fine della dominazione spagnola nel regno. Alla morte di Giuseppe I D’Asburgo, nel 1711, saliva al trono di Vienna il fratello, Carlo VI -> egemonia degli Asburgo in Europa. Iniziarono le trattative di pace: Utrecht, nel 1713, e Rastadt, nel 1714. La vincitrice del conflitto fu l’Inghilterra, poiché conquistò possedimenti nell’America settentrionale e Gibilterra e Minorca nel mediterraneo. Filippo V fu riconosciuto re di Spagna. La Francia rinunciò ad ogni pretesa sulla Spagna. All’Austria fu attribuito il Belgio spagnolo. Cambiò anche la geografia politica italiana: Napoli, Milano, Sardegna e Stato dei Presidi passarono all’Austria; Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne il regno di Sicilia. L’elettore di Brandeburgo, Federico, fu eletto re di Prussia. Alla fine della guerra di successione furono poste le premesse per un nuovo equilibrio italiano. Si applicò il metodo delle barriere: stati cuscinetto come il Belgio (tra Francia e Olanda) e lo Stato sabaudo (tra Francia e Austria) avrebbero dovuto prevenire eventuali conflitti. Negli anni successivi alla guerra di successione spagnola, la dinastia asburgica ottenne successi sul fronte dei Balcani. Già con la pace di Carlowitz del 1699 l’Austria aveva sottratto territori agli ottomani. Con la pace di Passarowitz, del 1717, l’Austria conquistò la Serbia e parte della Valacchia. Il Baltico mutò le sorti dell’equilibrio: la Svezia, dopo la pace di Oliva del 1660, aveva conquistato l’egemonia del Baltico. La seconda guerra del nord, combattuta da Polonia, Danimarca e Russia contro la Svezia si concluse nel 1721. Con la pace di Nystadt la Svezia perse il ruolo di grande potenza e la Russia affermò la sua egemonia sul Baltico -> mercato panrusso. Nel 1671 in Russia vi fu una guerra contadina, sulla quale lo zar Pietro I fece leva per consolidare la base economica e sociale del potere centrale. Durante il primo quarto del 700 si verificò un progresso della produzione industriale. Nacquero nuove manifatture nei settori metallurgico e tessile e si sviluppò altrettanto la piccola produzione mercantile. Lo zar (Russia) favorì la formazione di una nobiltà di servizio e dette solidità all’ideologia assolutista. Nel Regolamento militare la forma statale russa venne definita come MONARCHIA ILLIMITATA. Per quanto concerneva la politica estera, Pietro il Grande (Russia) si occupò dei confini sicuri, dell’indipendenza nazionale e dell’egemonia nel Baltico. Nel 1703 aveva fondato San Pietroburgo, dove nel 1715 trasferì la capitale della Russia. 6 anni dopo, con la pace di Nystadt si concluse la seconda guerra del nord e Livonia, Estonia, Ingria e parte della Carelia divennero territori russi. Un’altra nuova potenza fu la Prussia. Federico I di Brandeburgo ne assunse il titolo di re nel 1701 (Prussia). Si dedicò alla politica protezionistica; allo sviluppo delle industrie e delle attività urbane; all’apertura delle frontiere nei confronti dei protestanti stranieri, che impiegò nelle officine per la lavorazione del ferro, del rame e dell’ottone -> ripresa attività artigianali; dette maggior efficienza allo Stato nell’ambito del prelievo fiscale; trasformò l’esercito in una corporazione, i cui membri furono leali servitori dello Stato di Hohenzollern. Il successore di Federico I (Prussia) fu Federico Guglielmo I (Prussia), il quale proseguì con la rivoluzione dall’alto. Il dispotismo degli Hohenzollern bloccò lo sviluppo di istituzioni rappresentative moderne e distrusse la forza politica dei ceti. Però dimostrò anche tratti di modernità: le tasse non erano appaltate e l’efficacia del prelievo statale fu superiore agli altri stati; l’efficienza e l’onestà dei funzionari prussiani divennero esemplari. Le città e le campagne vennero schiacciate dal peso degli junker, nobili dediti alle armi. La nobiltà restò la classe dominante e mantenne in servitù gran parte della popolazione. Dalla guerra della Lega d’Augusta alla guerra di successione polacca, le potenze dell’Europa occidentale (Inghilterra, Francia e Spagna) furono alle prese con problemi simili e con un passaggio da vecchi a nuovi equilibri economici, sociali e politici. Tutte e 3 furono assillate da questioni di successione, ma parteciparono a eventi bellici. In Francia prima la guerra della Lega d’Augusta, 1689-1697), poi quella di successione spagnola, 1702-1714. L’Inghilterra da Guglielmo II d’Orange fino alla fine del regno di Giorgio I d’Hannover, quindi 1714-1727, gettò le basi per uno sviluppo economico, sociale e commerciale che sarebbe proseguito per tutto il secolo. La Francia, tra la reggenza di Filippo d’Orleans e Luigi XV ritornò ad essere potenza egemone in Europa, riuscendo a costruirsi un’identità di potenza commerciale europea molto forte. Infine, la Spagna di Filippo V non fu più considerata in decadenza, bensì come una realtà che andò formandosi come entità politica nazionale e visse quindi tutti i problemi di questa fase. Per quanto riguarda l’evoluzione dei singoli stati: l’Inghilterra, nel 1701, grazie all’Act of Settlement aveva permesso al Parlamento di regolare la successione alla morte di Guglielmo III, escludendo gli eredi maschi e favorendo le femmine. Quindi dopo la morte di Gugliemo III (Inghilterra) sul trono inglese salì la figlia di Giacomo II (Inghilterra), Anna di Danimarca, che unificò Scozia e Inghilterra nel Regno Unito di Gran Bretagna. Alla morte di Anna (Inghilterra), il Parlamento attribuì la corona a Giorgio I della dinastia tedesca degli Hannover. Il regno che egli ereditava, nella seconda metà del 600, era mutato.esso era stato interessato ad un processo di redistribuzione del reddito: gentry, mercanti, piccoli e medi proprietari costituivano il ceto dei produttori si metà della ricchezza del Paese. I giornali italiani più famosi furono: La Frusta letteraria e Il Caffè, dei fratelli Verri e Beccaria. A questa cultura d’élite che diventava sempre più aperta, si contrapponeva la condizione culturale di massa che era pessima. A metà del 700, gli analfabeti erano tra il 70 e l’80% della popolazione. Gli illuministi infatti si posero anche il problema dell’alfabetizzazione e dell’istruzione di massa delle classi sociali, ma questi processi rimasero prevalentemente affidati alla Chiesa, alle parrocchie ed agli Ordini religiosi. Le forme dello sviluppo economico e sociale Il 700 è un secolo di espansione economica. Il movimento di crescita riguardò sia la demografia che l’economia. La popolazione europea passò da 114 milioni a 180 milioni. Però bisogna osservare la qualità di questa evoluzione demografica. Il saldo attivo della popolazione fu dovuto a vari fattori: diminuzione della mortalità infantile; prolungamento della vita; emigrazione; controllo delle nascite; diminuzione della nuzialità e quindi della natalità. Inizia, in questo momento, quella che potremmo chiamare la storia cosciente della popolazione. Anche il quadro demografico è diverso nelle varie zone europee. In Inghilterra diminuì l’importanza delle crisi alimentari, quindi, quando il raccolto non raggiungeva quantitativi sufficienti, si faceva ricorso all’importazione, in modo che la popolazione potesse accedere facilmente al minimo vitale (nonostante l’aumento dei prezzi). Nella seconda metà del 700, diminuirono anche le epidemie, che erano un altro fattore di mortalità. L’agricoltura continuò ad occupare il primo posto nell’economia europea. Ma il 700 vide la coesistenza di aree ad agricoltura estensiva, dove l’aumento produttivo era ottenuto mediante l’aumento della superficie coltivata e l’intensificazione del lavoro contadino/servile, e ad agricoltura intensiva, dove si cercava di massimizzare la produzione della terra mediante coltivazione, irrigazione, introduzione di colture foraggiere, nuovi attrezzi, ecc. Anche guardando le rese agricole si poteva notare la diversa velocità di ciascuna agricoltura europea. Intorno alla metà del 700 le più alte rese agricole erano nei Paesi Bassi. Nello stesso periodo si sviluppava la tendenza a ottenere maggiore produttività dalla terra in diverse parti del continente, come Danimarca, Brandeburgo, Francia e Inghilterra. Le conseguenze di questa tendenza furono: redistribuzione della ricchezza e differenziazione sociale crescente. Ciò causò l’abolizione dei feudalesimo. A spingere in alto i prezzi delle derrate agricole contribuì l’aumento della domanda, che si concentrava nelle città. Se in Inghilterra e nei Paesi Bassi l’investimento di capitali urbani nella terra era indice di uno scambio produttivo tra città e campagna, in altri paesi le città costituivano grandi mercati di consumo delle risorse prodotte dalla campagna. L’Europa del 700 fu l’Europa delle città, in particolare delle metropoli. Nel 1700 solo 2 città avevano più di 400.000 abitanti; nel 1800 diventarono 3: Londra, Parigi e Napoli. Proprio in queste grandi città si esercitò la capacità politica degli stati, mediante la promozione delle funzioni commerciali interne ed esterne; nella creazione di infrastrutture pubbliche e vie di comunicazione; nel controllo dell’incremento demografico e dell’articolazione sociale; nella soluzione dei problemi annonari (=relativi alle scorte di cereali ed altre derrate alimentari) e di approvvigionamento; ecc. Le basi economiche della società cominciarono a mutare nel corso del 700 e gli illuministi ne fecero l’oggetto dei loro dibattiti. Ricchezza/potere divenne un binomio sempre più stringente. L’accumulazione del capitale favorì l’accentuazione del conflitto tra diritto di proprietà e privilegio del possesso. I valori del merito e dell’imprenditorialità/industriosità divennero un modello da far valere contro i parassitismi, le speculazioni e gli atteggiamenti improduttivi. Tuttavia il processo atto a disarticolare la società di antico regime non fu né lineare, né prevedibile nei suoi sviluppi, né definito. Non fu lineare perché non si attuò nel 700 un passaggio elementare da una società all’altra; non fu prevedibile perché le forze economiche, sociali ed intellettuali che si battevano per il nuovo non avevano le idee chiare sul tipo di società e sul modello di nuovi rapporti che avrebbero sostituito i vecchi; non fu definito nello scontro tra forze conservative e forze progressiste. Eppure si ebbero decisive trasformazioni all’interno degli ordini tradizionali della società. Ad esempio, nella distinzione tra nobiltà di spada e nobiltà di toga. La nobiltà di spada dell’Europa centro-orientale era ben diversa da quella dell’Europa mediterranea. Quella dell’Europa centro-orientale aveva poteri militari, economici e sociali rilevantissimi. In Francia, invece, essa era prevalentemente una nobiltà di corte, che aveva nelle sue mani le alte cariche militari, civili e religiose, ma i partecipanti all’esercizio del potere costituivano l’élite francese. Nel processo di trasformazione delle nobiltà, ebbe un ruolo fondamentale lo Stato: a Oriente creò la nobiltà di servizio, che aveva poteri illimitati sul piano economico e sociale; a Occidente, invece, si favorì una più accentuata dialettica interna al mondo nobiliare, promuovendo l’immissione di nuovi membri nell’aristocrazia. In quasi tutta Europa la nobiltà era una casta con valori e comportamenti, tranne in Inghilterra. Qui nel 700, si sviluppò una nobiltà imprenditoriale/mercantile e cresceva, nella società, il potere dei proprietari, dei mercanti, degli operatori d’affari e degli imprenditori non nobili. Le riforme dell’assolutismo illuminato L’età dell’assolutismo illuminato rappresentò lo sviluppo più maturo dei principi e delle funzioni dello stato moderno. La difficoltà nel conciliare assolutismo e illuminismo consistette nel fatto che il processo riformatore dovette far fronte ai limiti dell’antico regime e potette svilupparsi solo in compatibilità con esso. Gettò, inoltre, le basi per la crisi del vecchio ordine, ma non fu sufficiente per la sua totale trasformazione. Per raggiungere tale obiettivo ci fu bisogno della rivoluzione. Fu fatto un grande sforzo nel 700 per rendere più efficiente, esteso ed efficace l’esercizio del potere monarchico, mediante la specializzazione della pubblica amministrazione. In pratica il 700 rappresentò il passaggio da un sistema di governo in cui i ruoli di politica e amministrazione erano molto confusi, ad un nuovo modello di divisione di funzioni tra governo e burocrazia. Tale passaggio fu graduale e fu interno all’amministrazione, infatti a stessa parola “ministro” nacque come sinonimo di capo. Furono soprattutto le riforme dell’assolutismo illuminato a spingere verso un apparato amministrativo più efficiente e verso una più precisa distinzione di funzioni e poteri. Il nucleo dell’apparato amministrativo austriaco fu il Consiglio di Stato, composto da funzionari con compiti consultivi e diviso in settori specializzati: finanziario, commerciale e militare. Gli affari giudiziari furono affidati al nuovo tribunale supremo che aveva giurisdizione su tutto il territorio. Le riforme intervennero anche in materia fiscale. Le più importanti voci del fisco, nella prima metà del 700, erano: dazi sulle importazioni, monopoli, imposte indirette (=tasse sui consumi di prima necessità), imposte miste (=accise) e imposte dirette. Tutti gli stati ricorrevano all’imposizione indiretta poiché era di più facile riscossione, però era anche la più impopolare perché spesso colpiva i ceti produttivi più deboli, come gli artigiani. Le riforme fiscali, a metà 700, cercarono di fornire allo stato strumenti di certificazione un po’ più attendibili che potessero colpire, in maniera più equa, i sudditi, suddivisi per categorie sociali e professionali. Mediante la compilazione dei catasti si passò ad un sistema fiscale fondato su piani organici di accertamento della ricchezza immobiliare, valido per tutto il territorio statale. Sull’amministrazione della giustizia, nell’antico regime, avevano un grosso peso: la coesistenza di più giurisdizioni, tra cui la feudale, e la confusione nell’amministrazione tra sfera giudiziaria e sfera esecutiva. Tra l’altro l’ordinamento non era unificato. Su questo terreno le riforme dei sovrani furono limitate, però la codificazione del diritto, e la sua semplificazione, contribuirono a unificare l’ordinamento. Le giurisdizioni privilegiate non furono però abolite. Il 700 fu il secolo della scienza camerale, ovvero la scienza dell’amministrazione pubblica. Molti studiosi cercarono di elaborare una teoria delle scienze amministrative. In Austria e Germania furono istituite scuole e cattedre per lo studio dei problemi amministrativi. I principi della scienza camerale furono: il primato del governo monarchico; la felicità dello stato come scopo della politica; lo sviluppo ed il pieno utilizzo delle risorse per garantire la sicurezza del paese. PRUSSIA: con Federico II la Prussia consolidava il ruolo di grande potenza, nel lasso di tempo che andava dalla pace di Vestfalia alla guerra di successione austriaca (1648-1740/48). A definire questo ruolo avevano concorso vari fattori: la frantumazione della politica tedesca; l’assenza di concorrenti tedeschi in grado di competere con le grandi monarchie europee; il rapporto fra la dinastia Hohenzollern e la formazione sociale prussiana dominata dagli junker. Vi era la necessità di costruire uno stato forte sul piano militare, in grado di difendersi dalla Svezia. Nel 1748, con la pace di Aquisgrana, Federico II ottenne il riconoscimento dell’annessione della Slesia, ricca regione mineraria e industriale, che sottrasse all’Austria. Tra il 1756 ed il 1763 la Prussia fu impegnata nella guerra dei 7 anni, in cui impegnò moltissime energie finanziarie e militari e grazie a cui il sovrano si fece riconoscere lo status quo territoriale. Con la prima spartizione della Polonia, nel 1777, fu annessa la Prussia occidentale. Alla morte di Federico II la superficie del territorio prussiano era raddoppiata rispetto al 1740 e la popolazione quasi triplicata. Nella politica interna, il suo punto di forza fu la capacità di tradurre alcuni principi di riforma dello Stato senza intaccare le fondamenta della formazione sociale prussiana. Il sovrano aveva ereditato il militarismo ed il calvinismo da suo padre, ma dimostrò sensibilità verso la filosofia, la letteratura, l’arte, la musica ed i valori laici della cultura illuministica. Egli favorì la libertà di stampa e rese obbligatoria la formazione elementare. I settori privilegiati della riforma di Federico II furono l’amministrazione e la giustizia. Fu accentuata la specializzazione ministeriale: nel 1741 fu istituito un ministero del commercio e nel 1746 un ministero per l’esercito. L’organizzazione della burocrazia era retta da principi collegiali ed il suo nucleo di base era rappresentato da un consiglio di funzionari corresponsabili. Inoltre, Federico II abolì la tortura, limitò la pena di morte e progettò la riforma dei codici. Altro settore di intervento fu l’economia, per la quale il sovrano favorì la colonizzazione delle terre orientali e attuò la prima politica popolazionista in Europa. Stimolò programmi pubblici in campo agricolo e industriale. Le basi della società prussiana rimasero immutate: lo stato non esercitava nessuna giurisdizione sulla popolazione rurale, che era governata dagli junker, e le imposte dei contadini erano riscosse dai signori. Inoltre persisteva la servitù della gleba. AUSTRIA: il peso internazionale dell’Austria asburgica era aumentato nella seconda metà del 600. Il prestigio della dinastia aumentò dopo le guerre contro i turchi. Una grave perdita però fu la Slesia. Risolto il problema della successione, l’ascesa al trono di Maria Teresa d’Asburgo aprì una fase di riforme. Maria Teresa seppe circondarsi di consiglieri intelligenti, come Friedrich Wilhelm Haugwitz e Wenzel Anton von Kaunitz. Il primo coordinò le riforme della politica interna; il secondo fu il ministro degli esteri della monarchia. L’intero apparato di governo fu rinnovato e modernizzato, furono unite le cancellerie d’Austria e di Boemia e le rispettive corti d’appello. L’aristocrazia e il clero furono chiamati a contribuire maggiormente al carico fiscale mediante strumenti più efficaci di accertamento. Il consiglio di stato fu chiamato a dirigere l’apparato. Maria Teresa fondò collegi per l’educazione e la formazione del personale chiamato a dirigere la vita dello stato. Le riforme teresiane furono superate da quelle di suo figlio Giuseppe II. Egli fu nominato coreggente degli stati ereditari asburgici, quindi dal 1780 al 1790 regnò sul trono che fu di sua madre. Giuseppe II intervenne in campo religioso, interrompendo la tradizione del cattolicesimo bigotto asburgico; sopprimendo le proprietà ecclesiastiche; trasformando le università in istituzioni statali; sottoponendo a regolamento i servizi religiosi. Lo stato si fece carico dell’istruzione di base, che fu resa obbligatoria e laicizzata. La pubblica amministrazione fu professionalizzata: le sue gerarchie furono organizzate in base al merito e furono aperte a nuovi ceti sociali, la polizia segreta sorvegliava le procedure ed i comportamenti dei funzionari. Anche la giustizia fu investita dalla politica riformatrice del sovrano: fu abolita la censura e fu introdotto un nuovo codice penale. Il prelievo delle imposte fu centralizzato e la coscrizione fu resa obbligatoria. I decreti più rivoluzionari, però, furono: l’abolizione della servitù della gleba, la certezza del piccolo possesso contadino, la garanzia per tutti i sudditi della libera scelta matrimoniale ed il diritto a mutare residenza, professione e proprietà. Tutti questi cambiamenti erano destinati a suscitare contrasti. In particolare, le norme che uniformavano la ripartizione del prodotto agricolo colpivano gli interessi della nobiltà fondiaria dell’Impero. Prima la parte di prodotto agricolo destinata al contadino produttore diretto corrispondeva al 30%, le norme di Giuseppe la estesero al 70%. Come reazione vi fu l’ostruzionismo del ceto nobiliare che, alla morte di Giuseppe, trovò il momento perfetto per un’estesa reazione signorile. Quindi il successore, Leopoldo II, fu costretto a ripristinare i poteri della nobiltà. RUSSIA: Pietro il Grande fu l’artefice della potenza russa e le aveva fatto assumere il ruolo di grande potenza sia in Europa che in Asia. Nonostante ciò, la Russia restava un paese arretrato. A metà 700, oltre il 90% della proprietà era feudale, solo il 10% era mezzadrile o libera, ma sempre in subordinazione al signore feudale. Morto Pietro I, la nobiltà di corte condizionò gli zar successivi con personalità deboli, come Pietro III. Proprio la moglie di quest’ultimo, Caterina, si impadronì del potere mediante un colpo di stato, nel 1762, e fece poi assassinare il marito. Il regno di Caterina II fu aperto alle influenze culturali dei philosophes: Dalla guerra dei 7 anni alla spartizione della Polonia Le tensioni europee dopo la pace di Aquisgrana del 1748 non si erano sciolte. La Prussia era in fase espansionista, l’Austria voleva riprendersi la Slesia, la Russia cercava una più stabile egemonia nel Baltico, l’Inghilterra e la Francia erano in conflitto per l’egemonia coloniale. Il sistema dell’equilibrio entrava, dunque, in crisi. Nel 1756 scoppiava la guerra dei 7 anni (1756-1763) tra Francia e Inghilterra, combattuta su fronti europei, indiano e americano. Federico II di Prussia si alleò con l’Inghilterra; la Francia invece si alleò con Austria e Russia. Si attuò un capovolgimento delle alleanze tradizionali. Questo conflitto mise in luce: il protagonismo militare della Prussia; la fragilità del sistema politico-militare della Francia, che perse molti possedimenti americani e postazioni indiane; la vocazione centroeuropea e balcanica dell’Austria; la supremazia marittima dell’Inghilterra. Nel 1762 Federico II (Prussia) firmò la pace separata con lo zar Pietro III di Russia e, poi, nel 1763 con l’Austria, ottenendo la conferma dell’annessione della Slesia e l’unificazione territoriale dei domini Hohenzollern. La pace firmata a Parigi, nel 1763, tra Francia e Inghilterra estrometteva la Francia dall’America settentrionale e riconosceva l’espansione inglese in India. La conclusione della guerra dei 7 anni spostò, dunque, l’asse dell’equilibrio verso America, Asia e Africa. Alcuni anni dopo questo sistema di equilibrio entrò in crisi dall’interno. Per quasi 2 secoli, le potenze europee, a turno, avevano esercitato il protettorato sulla Polonia, entrando anche in conflitto tra loro per garantirsi il controllo del suo territorio. In sostanza la Polonia era sempre stata governata dall’esterno. Di fatto, furono 3 le potenze che, dopo Aquisgrana, ipotecarono il destino polacco: Russia, Prussia e Austria. Dopo la morte del principe imposto sul trono polacco da Russia, Prussia e Austria, Augusto III di Sassonia, Caterina II di Russia e Federico II di Prussia invasero la Polonia per imporre il loro candidato, Stanislao Poniatowski. Stanislao voleva attuare riforme tendenti a limitare il potere aristocratico , perciò era inevitabile lo scontro. Quindi la Russia inviò truppe sul territorio polacco e dopo 4 anni riuscirono a reprimere la ribellione dell’aristocrazia. Nel 1772 Russia, Prussia e Austria procedettero alla prima spartizione della Polonia, per cui: L’Austria acquistò la Galizia; la Russia acquistò gran parte della Bielorussia; la Prussia ottenne la parte occidentale della sua stessa nazione ed il controllo del litorale meridionale del Baltico. Questa prima spartizione fu un grave colpo per lo spirito illuminista: il mito di un possibile incontro tra intellettuali e politica si infrangeva nel manifesto con cui le 3 potenze cercavano di giustificare la spartizione. Nel 1792 i soldati di Caterina II (Russia) invasero di nuovo la Polonia, poiché Stanislao stava cercando di trasformare la monarchia polacca da elettiva in ereditaria e di abolire il potere di veto dei magnati. Nel 1793 fu compiuta una seconda spartizione a favore di Russia e Prussia. Nel 1794 ci fu un’insurrezione nazionale, che fu violentemente repressa e nel 1795 si giunse a una terza spartizione. Con la prima spartizione la Polonia perse il 30% del suo territorio; con la seconda perse quanto restava dell’Ucraina, che andava alla Russia, e la Poznania, che andava alla Prussia; con la terza spartizione il paese scomparve del tutto. CAPITOLO 11 Le vecchie potenze coloniali: spagnoli e portoghesi in America Nel 700, Spagna e Portogallo, considerate potenze di secondo livello in Europa, possedevano estesissimi territori oltreoceano. Si trattava di Paesi che avevano pagato un caro prezzo ai colonizzatori spagnoli e portoghesi: espropriazione di risorse, libertà, patrimonio etnico e culturale; azione di annientamento; integrazione forzata secondo regole imposte dai colonizzatori. I risultati raggiunti erano l’integrazione di vastissimi territori in un’unità politico-dinastica ed il controllo economico e amministrativo da parte di un centro statale europeo, soprattutto per i territori americani della Spagna. Nella corsa espansionistica verso Asia e Africa, Spagna e Portogallo vennero esclusi poiché la spinta a quella corsa fu data dai ceti commerciali ed imprenditoriali di Olanda, Inghilterra e Francia. Però, a quegli stessi paesi serviva che altri paesi di minor potenza, come Spagna e Portogallo, conservassero integri e controllassero i loro imperi coloniali. Spagna: L’impero coloniale spagnolo, nel 700, comprendeva gran parte dell’America meridionale, le isole dei Caraibi, il Messico, la Florida e le Filippine. Si trattava di un impero essenzialmente americano. Al vertice dell’amministrazione c’erano i viceré nel Messico e in Perù, capitani, generali e governatori negli altri territori. Nei domini americani i poteri dei viceré, e delle cariche equivalenti, erano molto ampi, e coprivano la politica, la milizia, l’area giudiziaria e quella finanziaria. Questi viceré venivano reclutati nelle file dell’aristocrazia castigliana. I viceré erano assistiti dalle Udienze, formate da magistrati che amministravano le province maggiori ed esercitavano il potere nel caso in cui non ci fossero i viceré o i governatori. L’ondata riformatrice di Carlo III di Borbone si avverti anche nelle colonie: durante il suo regno si ebbe l’acquisto della Louisiana nel 1763 e la costruzione del viceregno del Rio de la Plata. Furono riorganizzate le province secondo nuove unità amministrative; fu stabilita la figura degli intendenti; l’esercito fu costituito da milizie regolari di europei, neri e meticci. Il quadro sociale ed economico dell’America spagnola, nel corso del 600, vide la crescita della popolazione bianca, l’arrivo di schiavi neri e la formazione di popolazione meticcia, che avevano favorito la ripresa demografica. Fu anche grazie a loro che l’agricoltura poté svilupparsi nel corso del secolo. Alla crescita contribuirono la messa a coltura di nuove terre, l’introduzione di nuove coltivazioni (vite, canna da zucchero) e l’impiego degli animali nella produzione agricola. Le attività manifatturiere ed industriali si svilupparono tra 600 e 700, in particolare le costruzioni navali, il settore tessile e l’edilizia. La produzione d’argento crebbe fino al 1635, poi rimase bassa per il resto del secolo. Nel 700 le miniere d’argento sudamericane produssero di nuovo a pieno ritmo, garantendo circa l’85% dell’argento mondiale. Quanto all’oro, gli spagnoli sfruttavano solo i depositi alluvionali e i filoni di superficie di alta qualità, che iniziarono (entrambi) ad esaurirsi. Gli elementi deboli del sistema spagnolo erano essenzialmente 4: 1. Il rapporto stato-economia: il controllo statale del commercio coloniale era affidato alla Casa de Contrataciòn, che era un’agenzia con sedi a Siviglia e Cadice. I trafficanti di tutte le nazioni marittime si burlavano del monopolio tenuto dai mercanti di Siviglia e Cadice poiché i contrabbandieri avevano vita facile e le merci trasportate dalle flotte regolari spesso non provenivano dalla Spagna. 2. La fragilità militare: le province si difendevano arruolando milizie non regolari sul luogo. 3. La corruzione e la scarsa efficienza dell’amministrazione coloniale: tutte le pratiche burocratiche avevano un iter molto lungo e macchinoso; il rapporto tra centro e periferia era difficile; il sistema della venalità delle cariche alimentava corruzione e disfunzioni. 4. Chiusura e conservatorismo dei gruppi dirigenti coloniali. Le riforme di Carlo III non eliminarono del tutto questi motivi. Il meccanismo amministrativo fu semplificato mediante la sostituzione del consiglio delle Indie con il ministero delle Colonie; il monopolio commerciale di Siviglia e Cadice fu abolito; le tasse sui traffici furono abolite; fu ridotto il patrimonio ecclesiastico e furono limitati privilegi e immunità; furono espulsi i gesuiti. Portogallo: i possedimenti coloniali del Portogallo comprendevano il Brasile, le basi commerciali sulle coste Africane (Angola e Mozambico), Indiane, Indonesiane e in alcune isole del Pacifico. Tra il 500 e il 600 le principali merci esportate dal Brasile erano lo zucchero, il tabacco, il cotone e i pellami. Agli inizi del 700, la scoperta di giacimenti auriferi fece diventare l’oro la principale ricchezza della colonia. Il Brasile però non aveva ricchezza di manodopera indigena a buon mercato: la popolazione era scarsa, il lavoro era affidato agli schiavi, il commercio interno era limitato allo scambio di prodotti artigianali. Il Brasile era inserito in un sistema commerciale triangolare. I suoi vertici stavano in Portogallo, in Angola e in Brasile. Dal Portogallo le navi portavano in Angola manufatti europei, vini pregiati e prodotti provenienti dall’Oriente; dall’Angola venivano esportati in Europa schiavi e avorio. Due le direttrici dal Brasile: verso l’Europa e verso l’Angola. Quindi le esportazioni dalle colonie erano utili al Portogallo per raddrizzare il proprio bilancio. Dopo un primo esperimento di liberalizzazione del commercio, il Portogallo costruì una struttura centralizzata dotata di ampi poteri di controllo sul commercio americano, che però non riuscì a frenare il contrabbando né il commercio di frodo praticato dalle navi inglesi. Le nuove potenze coloniali: olandesi, inglesi e francesi in Asia OLANDA: furono gli olandesi a svolgere il ruolo di guida dell’espansione europea nel 600. In questo secolo, l’Olanda viveva la sua epoca d’oro, perché Amsterdam era il centro della navigazione. Nonostante la guerra con la Spagna, l’Olanda finanziava la sua economia, facendo arrivare dal Baltico il grano e l’argento americano nella penisola iberica. La Banca di cambio, fondata ad Amsterdam nel 1609, aveva un ruolo simile alle odierne banche svizzere. Il capitale commerciale olandese era interessato al commercio delle spezie. Così, tra la fine del 500 e l’inizio del 600, alcune compagnie commerciali raggiunsero l’India, il Giappone, Giava e le Molucche. Nel 1602 le compagnie concorrenti si unirono in un’unica compagnia, chiamata Compagnia olandese delle Indie orientali. Essa aveva una struttura federalista, quindi ogni abitante poteva investire quanto meglio credeva nelle spedizioni. L’ideologia era quella del mare liberum come fondamento del diritto internazionale. Lo scopo, invece, era quello di garantirsi il monopolio delle spezie -> obiettivo realizzato nel 600 a spese di spagnoli, portoghesi e inglesi. Gli olandesi penetrarono nelle Molucche, a Celebs, dove consolidarono il monopolio di noce moscata e garofano, presero possesso di Formosa, controllarono il commercio col Giappone, ebbero successo nello sfruttamento persiano per la seta e arrivarono a Ceylon dove subentrarono alla potenza navale portoghese. In questi territori non realizzarono un piano di colonizzazione, il loro interesse primario era costituito dai guadagni delle società. I segnali di crisi si avvertirono nel corso del 700, a causa dei bilanci passivi delle compagnie, delle perdite che si accumulavano vista la crescita della domanda europea di merce controllata dalla concorrenza coloniale e dell’aumento del contrabbando. Nel 1799 l’Olanda proclamò colonie i possedimenti delle compagnie e tale rimase la situazione fino alla II Guerra Mondiale. INGHILTERRA: Anche gli inglesi penetrarono in Asia con la East India Company. Solo alla fine del 600, però, assunsero un ruolo di leader nell’espansione coloniale. Le tappe furono: i numerosi combattimenti navali contro i portoghesi, sui quali ebbero la meglio; la creazione di filiali della Compagnia sulle coste indiane; la nascita di città importanti come Madras; il passaggio ad una nuova fase dell’espansione sotto l’autorità diretta del parlamento. La concorrenza olandese, verso la fine del 600, fu vinta dagli inglesi per vari motivi: il più stabile assetto costituzionale dell’Inghilterra; gli investimenti massicci ed il maggior coinvolgimento dei ceti nelle imprese e negli affari coloniali; la crescente importanza dei tessuti in cotone al posto delle spezie -> declino commercio olandese. Proprio l’interesse verso i tessuti in cotone indiani fu motivo di conflitto, poiché tale interesse nacque da una rivoluzione nella moda, nella quale crebbe il gusto per le stoffe leggere ed eleganti, a discapito delle pesanti lane inglesi. Nel 1678 fu proibita in Inghilterra l’importazione di stoffe in lino e seta francesi. Da qui l’aumento della domanda di tessuti indiani in cotone, che provocò la caduta della domanda dei manufatti in lana, una disoccupazione crescente nel settore e la crisi di giovani manifatture di seta inglesi. Nel 1700, una disposizione legislativa vietò la diffusione dei tessuti indiani e così la lavorazione di cotone inglese rifiorì.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved