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Riassunto "Un vivaio di storia. L'Europa nel mondo moderno" di Aurelio Musi, Dispense di Storia Moderna

Riassunto del manuale "Un vivaio di storia" di Aurelio Musi + "I Balcani. Civiltà, confini, popoli " di Egidio Ivetic

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 27/06/2023

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Scarica Riassunto "Un vivaio di storia. L'Europa nel mondo moderno" di Aurelio Musi e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA Il Cinquecento Il Nuovo Mondo e la colonizzazione: Il 1492, anno della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, sebbene non separi in modo netto il Medioevo dall’Età moderna, è comunque un momento cruciale che porta a una trasformazione del sistema dei rapporti internazionali, delle basi dell’economia e dà inizio all’espansionismo europeo. La scoperta del “Nuovo Mondo” avvia una progressiva affermazione dell’Europa (chiamata dagli Illuministi il “vecchio continente” per la tendenza a vedere la storia come eurocentrica) a livello globale; avviando, così, un processo di globalizzazione (che si intensificherà poi in età contemporanea). Al concetto di scoperta è strettamente legato quello di conquista, le nuove terre trovate venivano strappate con violenza alle popolazioni indigene locali, le quali venivano poi sfruttate, sterminate, convertite, sottomesse, … Avveniva un incontro tra culture diverse e ne veniva fuori uno scambio ineguale. Da una parte gli europei (spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi, olandesi) portarono nelle Americhe le epidemie, le malattie e sconvolsero organizzazioni sociali e culture indigene; però crearono nuove forme di rapporti, nuovi modelli di organizzazione del territorio e organismi economici e politici in base al contesto in cui si trovavano. Tre continenti furono soggetti a questi fenomeni: America, Africa e Asia. Dopo una prima fase di esplorazioni marittime (1492-1519) seguì quella della conquista (1519-1540). Conseguenza di tutto ciò fu uno sviluppo del capitalismo commerciale e finanziario (nascono le figure di banchieri, armatori, grandi mercanti). Ci si inizia ad avviare verso la formazione dei grandi Imperi coloniali. Grazie a una buona base economico-organizzativa, allo sviluppo della tecnologia e della teoria/strumenti geografici, Portogallo e Spagna sono i primi Stati ad iniziare l’impresa. A metà del XV secolo nasce la caravella (nave di piccole dimensioni, più manovrabile, tiene più provviste grazie a un equipaggio ridotto), viene rivista la mappa tolemaica del mondo e viene incoraggiata l’idea di poter circumnavigare l’Africa e, infine, vengono sviluppati nuovi e migliori strumenti per la navigazione (bussola, quadrante nautico). Sono i Portoghesi ad avviare tutto nella seconda metà del Quattrocento, Bartolomeo Diaz nel 1487 arriva alla punta meridionale dell’Africa (che prende il nome di “Capo di Buona Speranza”); l’Africa viene circumnavigata e si apre una nuova via verso l’Occidente. Grazie a ciò inizia lo sfruttamento di grandi risorse: oro, avorio, cotone, pepe, zucchero. L’interesse del Portogallo era orientato soprattutto verso l’India. Da parte spagnola vediamo invece la colonizzazione dell’arcipelago delle Canarie tra 1477 e 1479, lì la regina Isabella di Castiglia concede ai protagonisti dell’impresa di effettuare La La Spagna occupa invece le isole Canarie, dove Isabella di Castiglia concede agli artefici della conquista di effettuare repartimientos, ovvero di dividersi il “bottino” e le cariche pubbliche nelle terre. Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia erano interessati a costruire un impero euro-africano. In seguito, nel 1479, viene siglato il trattato di Alcaçovas tra Spagna e Portogallo con l’obiettivo di dividere e spartirsi il globo. Cristoforo Colombo nasce a Genova nel 1451 e, crescendo, si avvicina alla navigazione. Nel 1479 si stabilisce in Portogallo. Convinto della sfericità della Terra, vuole raggiungere le Indie orientali partendo dalle coste atlantiche dell’Europa. Presenta il suo progetto prima a Giovanni II (re del Portogallo) con esito negativo, poi a Isabella e Ferdinando per ben due volte, di cui solo l’ultima con esito positivo. Riesce a compiere più spedizioni: la prima arriva il 12 ottobre 1492 alle Bahamas; la seconda è avviata grazie al successo della prima ma i risultati sono deludenti (portati solo un po’ di schiavi); la terza ha un bottino più cospicuo (oro, perle e altri preziosi) e arriva in America Latina; dopo essere stato incarcerato per corruzione, viene liberato da Isabella e compie l’ultima spedizione, costeggia l’Honduras e prova ad andare più a Sud ma dopo essersi arenato torna in Spagna, dove muore del 1506. Alla luce delle nuove scoperte fu necessario rinegoziare il trattato del 1479, il quale viene sostituito con il trattato di Tordesillas del 1494, in sui venivano definite le zone di influenza di Spagna e Portogallo salvaguardando gli interessi delle due potenze: la rotta della circumnavigazione dell’Africa e la scoperta il Brasile per l’impero portoghese, l’impero coloniale della Spagna diretto verso il Nuovo Mondo. Inizia la globalizzazione (divisione di un mondo più vasto). Nel 1497 Vasco da Gama doppia il Capo di Buona Speranza e del 1498 è a Calicut; dopo di lui Pedro Alvares Cabral arriva in Brasile; poi Ferdinando Magellano nel 1522 arriva in America Meridionale, supera lo stretto che porta il suo nome e arriva nelle isole Filippine. L’innovazione radicale dell’impero portoghese è data dalla conquista del Brasile tra 1521 e 1530. L’Inghilterra invece è interessata alla parte settentrionale dell’America e invia Giovanni e Sebastiano Caboto tra il 1497-98. Le aspirazioni della Francia sono ciò che porta il Portogallo verso la colonizzazione dell’America meridionale, rinforzando gli insedi in Brasile. Intanto la Spagna fa conquiste nei Caraibi; i primi stanziamenti nelle Antille sono prettamente commerciali, a questo scopo viene fondata la Casa de Contrataciòn nel 1503 come centro amministrativo del traffico commerciale americano. Con la spedizione in Messico di Hernàn Cortés del 1519 e quella in Perù di Diego Almagro e Francisco Pizarro del 1522 inizia la vera conquista: vengono distrutti la civiltà Azteca e l’impero Inca. Queste violenze vengono spinte dalla fede missionaria. Tre principi guida nella fondazione delle nuove colonie: 1) sovranità esclusiva sulle terre e unione diretta con la madrepatria; 2) l’importanza di questi territori per le finanze statali; 3) il fine dell’evangelizzazione. opposizioni da parte dei boiari, senza considerare la limitazione data dall’enorme estensione del territorio. Dalla metà del XVI secolo nesce un nuovo organismo rappresentativo del clero, dei boiari e della piccola nobiltà; in seguito, lo zar crea anche degli organismi rappresentativi locali, affida alla piccola nobiltà delle funzioni di amministrazione della giustizia e di polizia e favorisce nelle provincie la creazione di autorità elette fra i cittadini e i piccoli proprietari. Per contrastare e ridimensionare la potenza dei boiari, Ivan III e Ivan IV il Terribile distribuiscono la terra alla nobiltà di servizio (piccola nobiltà al seguito dello zar) e la rendono ereditaria. Le campagne si spopolano e si diffonde ancora più pesantemente la servitù della gleba. Si assiste a un rafforzamento del potere centrale e a un indebolimento dell’aristocrazia boiara. Nel XVI secolo la Germania non è unificata quindi lo sviluppo statale avviene su due piani (Impero e Stati Territoriali). L’Impero è affidato agli Asburgo e Massimiliano I possiede Austria e Fiandre; è molto debole dal punto di vista costituzionale, vengono creati nuovi istituti per l’esercizio del potere (Cancelleria, Consiglio per la Giustizia, Camera per le Finanze) ma non sono presenti strumenti militari, finanziari e politici capaci di applicare le decisioni del Reichstag (assemblea degli elettori, aristocratici e città imperiali). Negli Stati territoriali lo Stato si forma condizionato dal rapporto tra principe e ceti; qui troviamo una struttura dualistica con da una parte il Consiglio del signore territoriale e dall’altra parte la Dieta (organismo rappresentativo dei ceti). In una prima fase i ceti hanno indebolito la figura del principe ma in una seconda sono diventati suoi “partner” dell’affermazione dello Stato. Nel 1453, con la caduta di Costantinopoli, inizia la seconda fase dell’espansione turca; in meno di un secolo l’area di controllo di espande enormemente. Il XVI è il secolo di maggiore sviluppo dell’Impero ma verso la fine si avvertono già i segnali di crisi (la struttura imperiale si basa sull’espansione territoriale). I fondamenti del sistema turco sono: il dispotismo (tutte le fonti di ricchezza sono utilizzate dal sovrano come possedimenti personali); esistono due istituzioni parallele del governo e quella religiosa musulmana, nei Paesi dell’Islam non c’è separazione fra Stato e Chiesa; non esiste il feudalesimo nell’impero; sono presenti diverse etnie che possono mantenere leggi e costumi preesistenti. A metà del Cinquecento è avvenuta quella che viene chiamata “rivoluzione dei prezzi” (aumento rispetto all’inizio del secolo). Ciò si deve non solo alla scoperta del Nuovo Mondo ma anche a fattori come la crescita demografica; tale aumento porta ad allargare le aree coltivabili (lo vediamo soprattutto in Inghilterra, Francia, Germania e Italia) ma anche a rivedere le pratiche culturali, ad introdurre nuove colture e ad applicare maggiori capitali nell’economia agricola. In questo periodo nascono e crescono nuove città e si verifica il fenomeno dell’inurbamento. Si sviluppa anche la domanda dei prodotti industriali (siderurgia, metallurgia, attività mineraria, boschiva, tessile, edilizia) soprattutto sotto richiesta dello Stato per lo sviluppo delle funzioni pubbliche, per la politica degli armamenti e per le opere edilizie. E’, così, necessaria una diversa organizzazione del lavoro; inoltre vengono a formarsi i grandi complessi industriali. Emerge la figura del mercante imprenditore e operatore finanziario e si sviluppa la compagnia commerciale (già nata in età medievale), formata da una casa-madre e serie di succursali e filiali nelle principali piazze commerciali e finanziarie. Nei vari settori già visti (commercio, terra, amministrazione, …) continuano a convivere antico e nuovo. Nella terra il sistema feudale continua a prevalere; nel commercio possiamo trovare ancora forme come lo scambio e le piccole fiere affiancate da fiere cambiarie internazionali in cui gli uomini d’affari usano tecniche bancarie più sofisticate come la lettera di scambio (ciò è possibile grazie ad un uso più intenso e generalizzato dell’antica pratica dell’usura); nelle professioni civili avvocati e magistrati sostituiscono i privati e concentrano la loro potenza; nella pubblica amministrazione troviamo il fenomeno della venalità degli uffici (comprare e vendere cariche pubbliche), questo dimostra che sebbene ci si stia avviando verso una centralizzazione dei poteri sono ancora presenti meccanismi di stampo feudale. Nel corso del Cinquecento la diffusione della cultura aumenta grazie all’incremento della tipografia e quindi alla stampa di molti libri (soprattutto religione, letteratura, diritto e politica). Il protagonista dei libri è l’uomo, visto come individuo e artefice di relazioni e rapporti. Anche le arti studiano l’uomo e gli artisti rivendicano la loro autonomia e dignità, firmando le loro opere; essi circolano e viaggiano nei principali centri della cultura (città e corti). Stati italiani e dominazione straniera: L’identità dell’Italia politica è stata stabilita dalla Pace di Lodi del 1454, viene promossa e imposta una politica d’equilibrio fra le varie componenti italiane. La crisi viene accelerata dalla morte di Lorenzo il Magnifico e papa Innocenzo VIII, dall’espansionismo delle grandi potenze e dalla tendenza a intraprendere avventure egemoniche di alcuni Stati italiani. Tra Italia e grandi potenze europee c’è un grande divario nella disponibilità di strumenti politici e militari, gli Stati italiani hanno varie debolezze interne ma, ciò nonostante, il predominio in Italia equivale al predominio in Europa. Vari stati hanno risorse finanziarie, commerciali, agricole, … (Milano, regno di Napoli, ducato di Savoia, Stato della Chiesa, Venezia, Firenze) ma nessuno è in grado di realizzare una supremazia. La “svolta” avviene con la spedizione di Carlo VIII (re di Francia) in Italia, sostenuta dal principe Ludovico il Moro, duca di Milano. In questo periodo il ducato si trova in una situazione instabile in quanto Ludovico non è il legittimo erede ma ha ottenuto il posto assassinando il figlio del precedente duca Galeazzo Maria Sforza, Gian Galeazzo II (1497), il quale era pure sposato con Isabella figlia del re di Napoli. Ludovico ricorre a Carlo VIII in quanto egli può rivendicare alcuni titoli di legittimità sul regno di Napoli dal momento che era legato alla dinastia angioina dal 1266 e poi passato agli Aragona nel 1442. Alla morte di Carlo VIII nel 1498 segue Luigi XII d’Orléans, il quale prosegue il progetto e nel 1499 conquista il milanese, proseguendo poi verso il regno di Napoli. Viene decisa una spartizione del regno tra Francia e Spagna con il trattato di Granada del 1500, a Luigi XII ottiene la metà settentrionale del Napoletano (inclusa capitale) mentre Ferdinando il Cattolico ottiene Puglia e Calabria. Il meridione diventa un laboratorio in cui si sperimentano armi e pratiche politiche. Per Ferdinando il regno è fondamentale per la costruzione dell’Impero spagnolo, motivo per cui avvia una conquista spagnola del regno di Napoli, conclusa nel 1503; con questo termina la prima fase delle guerre d’Italia e si dissolve la politica dell’equilibrio. Con la cacciata dei Medici da Firenze e la costituzione della repubblica, a capo troviamo ora Girolamo Savonarola, il quale teorizza una “renovatio” cristiana e vuole combattere contro la politica temporale dei papi. Viene introdotta una costituzione semidemocratica, vengono abolite le imposte (creato Monte di pietà per i più bisognosi) e il potere dei sostenitori di Savonarola (piagnoni) è aumentato: Si creano presto gruppi di opposizione: palleschi (restaurazione Medici) e arrabbiati (sistema di potere aristocratico). In seguito, Savonarola viene scomunicato dal papa e nel 1498 viene impiccato e arso. Sempre tra 1499 e 1503 troviamo Cesare Borgia, intento a eliminare le signorie locali fra Toscana orientale, Marche e Romagna, annettendole allo Stato della Chiesa. Riesce a realizzare in gran parte il suo obiettivo grazie a una serie di congiunture fortunate e alla rete di alleanze e protezioni tessuta da Alessandro VI della famiglia Borgia; la sua avanzata termina, però, alla morte di Alessandro IV. Il nuovo papa, Giulio II della Rovere, è stato nemico dei Borgia precedentemente; dopo la sua elezione, Cesare scappa in Spagna, dove muore nel 1507. Il nuovo papa si distingue per una politica estera aggressiva, per un grade sistema di alleanze e per la promozione del consolidamento della monarchia papale accompagnato da una centralizzazione del potere. Nel 1508 promuove la Lega di Cambrai, in funzione antiveneziana, con Luigi XII, Massimiliano d’Asburgo e Ferdinando il Cattolico, sconfiggendo i veneziani; la Serenissima, però, si riprende velocemente e promuove una serie di paci separate con i diversi avversari in base ai diversi interessi. In seguito il papa promuove nel 1512 la Lega Santa antifrancese con Ferdinando il Cattolico, la Confederazione svizzera e Venezia; dopo un primo insuccesso, i francesi vengono cacciati, a Milano viene insediato Ercole Massimiliano Sforza (figlio del Moro) e a Firenze ritornano i Medici. Si capisce in seguito che non si può riconoscere in Italia la supremazia di una sola nazione, motivo per cui Venezia e il pontefice siglano un’alleanza con Luigi XII, portando alla rioccupazione francese di Milano. L’Italia è, quindi, divisa in due zone: quella francese a Nord e quella spagnola a Sud. Massimiliano I d’Asburgo, ereditato l’Impero (Austria e Stati Germanici), attua una serie di strategie matrimoniali che gli permettono di ottenere le Fiandre (sposando Maria di Borgogna) e di assicurarsi un’unione tra Asburgo e Spagna (facendo sposare il figlio Filippo con Giovanna la Pazza, figlia dei re Cattolici), insieme ai suoi domini italiani e americani. Si staccano però Svizzera e Ungheria. Da Filippo e Giovanna nasce Carlo, il quale nel 1506 (morte del padre), inizia ad ereditare quello che diventerà impero universale: le Fiandre e gli Stati ereditari della casa d’Austria, i regni d’Aragona e di Castiglia e i loro domini. Nel 1516 diventa re di Spagna alla morte di Ferdinando; nel 1519 è incoronato imperatore di Aquisgrana alla morte di Massimiliano. I primi problemi si presentano in Spagna, la quale non accetta la dipendenza dalla dinastia straniera; avvengono una rivolta dei “comuneros” e varie altre proteste che però nel 1521 Carlo riesce a reprimere. Inizia a consolidare la monarchia asburgica sia in Spagna che nei domini italiani e cerca un punto di equilibrio tra l’affermazione della sua autorità e la ricerca di alleanze con i ceti sociali. Per quanto riguarda la politica nel Mediterraneo, continua la contesa per l’Italia sia per il predominio europeo che per contenere i turchi; la struttura dell’impero spinge però verso le coste atlantiche. La Francia si oppone alla candidatura di Carlo come vogliono abbattere la struttura per ceti, formare una federazione di leghe su base corporativa, sottrarre prerogative politiche alla nobiltà, espropriare ecclesiastici e religiosi. Lutero è chiamato in causa e, mentre con un primo intervento cerca di mediare, dopo un secondo si scontra maggiormente contro i ribelli. Lutero si trova, quindi, al centro di due diverse spinte: una dei principi/nobili/borghesi e una degli estremisti; per questo ordina ai primi di scontrarsi con i secondi, sconfiggendoli. In Germania trionfa la Riforma dei Principi. Nella Confederazione svizzera assistiamo invece a una Riforma delle Comunità promossa da Huldrych Zwingli. La sua dottrina consiste ne: l’opposizione al sacerdozio/celibato/santi/messa come sacrificio, una religiosità puramente evangelica, una forte accentuazione dello spirito comunitario dei fedeli. Egli cerca sostegno nelle istituzioni politiche cittadine. Presto anche Zwingli si trova in condizioni simili a quelle di Lutero, a metà tra una Riforma diffusa e radicata in alcuni cantoni svizzeri (che fanno i conti con l’irrigidimento dei cantoni centrali cattolici) e un’ala sinistra della riforma (gli anabattisti). Zwingli fa perseguitare e distruggere i circoli anabattisti (i più radicali). In Francia troviamo invece Giovanni Calvino, nato a Noyon nel 1509. Studia filosofia, diritto e arti liberali a Parigi. Il suo modello di riforma è caratterizzato da una più forte compenetrazione fra religione, politica e istituzioni locali. Fondamenti teologici della sua dottrina sono: essenza della Chiesa sta nella rivelazione del verbo attraverso le Sacre Scritture; abolita la mediazione del clero; accentuata la dipendenza assoluta dell’uomo da Dio attraverso la dottrina della predestinazione. Per lui la Chiesa riveste un ruolo importante in quanto mette in contatto il credente con Cristo. Come per Lutero, le opere non sono un mezzo per raggiungere la salvezza, la differenza sta però nel fatto che per lui sono indispensabili come segno della predestinazione. Le “opere buone” sono un mezzo per realizzare la corrispondenza ai disegni divini. Il Calvinismo ha grande successo presso i gruppi sociali urbani (artigiani, uomini d’affari, commercianti) grazie alla funzione positiva assegnata al lavoro produttivo e all’attività professionale vissuta con intenso spirito religioso. La diffusione delle idee di Lutero porta Carlo V alla massima prudenza politica, in quanto necessita anche dell’appoggio dei principi e delle città imperiali della Germania per attuare la sua strategia internazionale volta verso Mediterraneo, pericolo turco e Italia. Per convogliare il bisogno di difendere la pax cristiana con quello di evitare il conflitto con i principi proclama l’editto di Worms, con cui Lutero è condannato come eretico ma la risoluzione della questione è rinviata alla convocazione del concilio (un modo per temporeggiare ma anche per invitare la Chiesa ad attuare una vera riforma al proprio interno, vuole realizzare sia una riforma religiosa che politica dell’Impero). Segue la Dieta imperiale di Spira (1526-29) con cui viene proibita qualsiasi innovazione in materia di fede prima del concilio; gli stati luterani protestano e la Germania si spacca in due. Dopo la pace di Cambrai (1529), la fine provvisoria delle ostilità con Francia e papa e l’incoronazione di Carlo c’è un nuovo tentativo di pacificazione con la Dieta di Augusta (1530), vengono stabiliti: il divieto da parte dei nuovi movimenti di ostacolare l’antica fede, l’obbligo di convocare il concilio entro un anno, la restituzione dei patrimoni di chiese/conventi espropriati con la forza, l’applicazione dell’editto di Worms, l’impegno a non permettere nessuna “innovazione” fino al concilio, l’attribuzione al Tribunale della Camera imperiale del compito di tutelare la pace punendo i trasgressori. Nel 1531 nasce la Lega di Smalcalda, composta da vari Stati protestanti; essa diventa presto centro delle forze antiasburgiche e stringe relazioni con la Francia e l’Inghilterra. L’imperatore è impegnato con i turchi e l’Italia, quindi sospende i processi del tribunale e impedisce qualsiasi ricorso alla forza fino al concilio, io quale viene sempre rinviato. Nel 1542 alla Dieta di Spira i protestanti chiedono il riconoscimento ufficiale della loro posizione in cambio di aiuti finanziari e militari contro i turchi. Nel 1546 scoppia la guerra tra imperatore e Lega che termina con la pace di Augusta firmata da Carlo V nel 1555; essa stabilisce il principio “cuius regio, eius religio” (“un solo signore, una sola religione”) L’Europa della riforma, dal punto di vista territoriale, è divisa in: due grandi aree luterana e calvinista; l’area della Chiesa anglicana; movimenti e gruppi ereticali disseminati un po’ ovunque. L’area luterana comprende: Germania centro-settentrionale, Nordeuropa, ampie zone dell’Europa orientale, le coste baltiche. La Riforma protestante è accolta e porta a delle riforme politiche in stati come la Prussia, Danimarca, Svezia. Tocca anche altri stati ma per molteplici motivi in quelli la Controriforma riesce a contrastarla. L’area calvinista comprende: le città svizzere, l’Olanda, il Palatinato e il Basso Reno della Germania, la Scozia. Calvino, consentendo il diritto di opposizione e resistenza, porta ad una larga diffusione nei Paesi Bassi e in Francia. La Riforma religiosa in Inghilterra fa compiere un passo avanti verso lo Stato Moderno. Inizialmente re Enrico VIII si oppone al luteranesimo; in seguito, avviene però una rottura con la Chiesa di Roma. Egli desidera un erede maschio ma sua moglie Caterina d’Aragona gli ha dato solo cinque femmine; inoltre amava una sua dama di corte, Anna Bolena. Alla richiesta di poter annullare il precedente matrimonio e poter avere nuova moglie, papa Clemente VII replica con la scomunica; avviene la rottura. Il 3 novembre 1534, attraverso l’Atto di supremazia, Enrico VII ottiene il titolo di unico e supremo capo della Chiesa anglicana inglese; è annullata la distinzione tra potere temporale e spirituale. Questa è stata più una riforma politico-costituzionale che religiosa; la riforma teologica si vede con la pubblicazione del “Libro della preghiera comune” (1549) con cui vengono riconosciuti due soli sacramenti, Battesimo ed Eucarestia. Nella fase nascente del Protestantesimo, il bisogno di non rompere tutti i legami con la Chiesa di Roma porta i leader del movimento a prendere le distanze e condannare tutte le frange estremiste. Nella seconda fase tali posizioni radicali si sviluppano ulteriormente. Gli anabattisti accentuano il carattere volontario della professione di fede attraverso il battesimo degli adulti; la pratica degli ideali di uguaglianza e giustizia sociale predicati nelle Sacre Scritture; la concezione della Chiesa come una libera comunità di fedeli. Gli spiritualisti predicano la netta opposizione tra spirito e corpo e si oppongono alla riforma come istituzione. La crisi religiosa ha prodotto, però, anche gruppi e movimenti di opposizione a ogni forma di istituzione ecclesiastica (“eretici”). L’Italia non viene investita dalla Riforma protestante; si sviluppano, però, in alcune aree, gruppi, circoli e cenacoli sensibili alla dottrina sia luterana che calvinista, rielaborandole (un ruolo di primo piano viene svolto dall’Umanesimo). La Controriforma corrisponde a: la repressione antiprotestante, il consolidamento dei dogmi e delle strutture ecclesiastiche, la riorganizzazione interna alla Chiesa cattolica. I poteri che si oppongono al Protestantesimo sono: i re di Spagna (i “re Cattolici”), la Chiesa, i teologi e la cultura accademica cattolica, i Gesuiti. La Riforma cattolica va vista come un rinnovamento religioso che investe la Chiesa dal tardo Quattrocento fino al XVII secolo; si manifesta attraverso la diffusione di cenacoli e gruppi erasmiani, la creazione di ospedali, una nuova religiosità e la diffusione dell’ideale di “reformatio”. Essa è, però, anche abusi, eccessi, oscurantismo e intolleranza dei nuovi apparati controriformistici della Chiesa. Dopo continui rimandi, il concilio annunciato da Carlo V si apre a Trento (localizzazione viene incontro sia a papa che imperatore, territorio italiano nell’orbita giurisdizionale dell’impero) nel 1545, tre sono gli obiettivi: recuperare i territori protestanti, arginare l’eresia, riaffermare il primato papale in una Chiesa cattolica riformata. Esso opera su quattro livelli: l’ordinamento della materia dogmatica e sacramentale, l’affermazione decisa dalla giurisdizione ecclesiastica a l’allargamento della sua sfera d’influenza, la disciplina del clero, l’organizzazione delle forme della pietà e della religiosità popolare. Il Tridentino si chiude nel 1563 ma i suoi effetti si protraggono nel tempo. A metà del Cinquecento il papa va accentuando la sua doppia fisionomia: pontefice (capo della cristianità, comunità universale) e sovrano (dello Stato pontificio). Alla funzione di prevenzione e repressione dell’eresia assolve l’istituzione della Congregazione del Santo Uffizio dell’Inquisizione (1542), a sei cardinali inquisitori viene affidata la piena giurisdizione contro laici ed ecclesiastici (perseguitate pure autorità ecclesiastiche che dissentivano anche minimamente da quanto imposto). Per quanto riguarda il controllo sociale e culturale dell’ortodossia cattolica, viene istituito l’Indice dei libri proibiti (1559), i quali vengono divisi in tre classi: autori totalmente condannati, quelli condannati per una sola opera e gli anonimi. Controllati gli stampatori e avviati roghi dei libri. Viene riaffermata la struttura gerarchica della Chiesa, in ordine: papa, vescovi, parrocchie (frequenti visite pastorali per controllare il corretto adempimento delle funzioni delle parrocchie). Altro terreno di intervento è quello della formazione del clero, necessaria sia per educare gli ecclesiastici in modo conforme a quanto dettato dal Concilio sia per evitare deviazioni dall’ortodossia; vengono istituiti i seminari. Altro importante obiettivo è quello della riconquista delle anime, ruolo fondamentale è ricoperto dagli Ordini religiosi, i quali si impegnano a combattere l’eresia e a rafforzare l’autorità di Roma: Ordine dei Teatini (Oratori del Divino Amore), Somaschi (Compagnia dei servi poveri), Ordine degli Scolopi, Barnabiti, Gesuiti. L’ordine che meglio interpreta lo spirito della Chiesa cattolica del tempo è quello dei Gesuiti, fondato da Ignazio di Loyola nel 1534 e riconosciuto nel 1540; i quattro voti della professione monacale per Ignazio sono: povertà, castità, obbedienza e sottomissione assoluta al papa fino al sacrificio della vita (quest’ultimo introdotto dal fondatore stesso in aggiunta ai primi tre tradizionali). Il reclutamento è durissimo e seguono svariati anni di studi, un’élite ristretta accede ai vertici della compagnia. L’Ordine ha struttura centralizzata, padre generale sceglie i padri provinciali ed è eletto dai responsabili delle case della Compagnia e da due fallisce; il riscatto avviene con la battaglia di Lepanto del 1571, nella quale vince la flotta cristiana. Dopo ciò la Lega di scioglie, Venezia tratta una pace separata con i turchi e lo stesso fa Filippo II; Filippo e il sultano Murad III raggiungono un accordo per via della necessita del primo di impegnarsi nei Paesi Bassi e in Portogallo e del secondo di concentrarsi sul nemico persiano. Il re del Portogallo, morto in una spedizione contro il sultanato del Marocco, lascia il paese senza eredi; Filippo II, avendo sposato Maria Emanuela di Portogallo, rivendica i titoli per la successione. Sebbene non ci fosse totale consenso, vista la debolezza del paese, al momento dell’invasione da parte delle truppe del re spagnolo viene incontrata una debole resistenza; ne consegue l’annessione del Portogallo (1580) e l’acquisizione di un vasto impero coloniale. Non c’è alcuna integrazione politica ed economica, ai portoghesi viene concessa autonomia istituzionale e restano separati anche i domini coloniali di Spagna e Portogallo. L’attenzione di Filippo II si sposta poi verso l’Inghilterra; la penetrazione cattolica dei Gesuiti, la presenza in Inghilterra dell’ex regina di Scozia Maria Stuart (il suo paese è diventato calvinista), la lotta del pontefice contro la Chiesa anglicana spingono il re a progettare l’invasione del Paese. Filippo sottovaluta, però, la forza navale e militare dell’Inghilterra. Nella primavera del 1588 l’”Invincibile Armata” spagnola, sostenuta dalle truppe di stanza dei Paesi Bassi (guidate da Alessandro Farnese), parte da Lisbona e a luglio entra nella Manica e si scontra con le truppe inglesi; la superiorità dell’artiglieria inglese, le due tattiche diverse di battaglia (navi leggere inglesi adatte all’abbattimento delle navi avversarie, quelle spagnole più pesanti adatte allo scontro ravvicinato), le avversità atmosferiche, i marinai olandesi e la scarsissima mobilità decretano la sconfitta degli spagnoli, l’arresto delle mire espansionistiche, il tramonto dei sogni di restaurazione cattolica e l’affermazione dell’Inghilterra come grande potenza marittima. Uno dei primari obiettivi di Filippo II è un’organizzazione del potere statale più articolata; è fondamentale la centralizzazione politico-amministrativa, le regole e procedure non sono uniformi in tutto l’impero; l’unico vincolo unitario fra le diverse parti è la figura del sovrano, il quale si trasferisce in Castiglia dal 1559. L’assenza permanente dagli altri regni porta il sovrano ad affidare a viceré o governatori (delle varie aree) compiti politico-amministrativi ampi. L’amministrazione si divide in Consigli dipartimentali, che si occupano di materie e funzioni di governo interessanti tutta la monarchia, e Consigli territoriali, che si concentrano sul governo di singole parti della monarchia. Questo è un sistema macchinoso, caratterizzato le lentezze burocratiche e da difficoltà di controllare gli equilibri interni; per questo vengono introdotti i Segretari del re con la funzione di mediazione tra sovrano e Consiglio. Altro punto importante per Filippo II è la razionalizzazione normativa e la centralizzazione delle funzioni soprattutto nel settore finanziario (sviluppo di classi dirigenti, burocrazie indigene, ceto di funzionari). L’Impero è fondato sull’unità politica e religiosa, con un Paese guida (la Castiglia) e articolato in sottosistemi (come l’Italia) chiamati a difendere l’Impero in caso di necessità. Inghilterra: A metà Seicento l’Inghilterra si configura come un paese dai molteplici gruppi religiosi, separato dal papa, e come grande potenza marittima e coloniale. Il successo politico-militare è dovuto alla superiorità del sistema economico, sociale e politico (Primato del parlamento, …). Una serie di vantaggi la porta a scalare la classifica tra le varie potenze: la posizione geografica (strategica per controllare le vie di comunicazione), il rapporto fra popolazione e risorse è meno squilibrato che altrove (il modello produttivo dell’agricoltura riesce a sostenere l’incremento demografico), la tendenza all’imprenditoria/rischio/avventura (i nobili si assumono i rischi delle iniziative economiche). Dopo la morte di Enrico VIII, il figlio Edoardo ha problemi di successione a causa della minore età; nel 1553 sale al trono Maria Tudor la quale sposa Filippo II un anno dopo, il re vuole far entrare l’Inghilterra nell’orbita spagnola; alla morte di Maria viene bloccato il tentativo di Filippo e si fa avanti Elisabetta, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena. Con l’Atto di supremazia si fa nominare capo delle cose sacre e profane; la sua politica religiosa è collegata a quella politica di consolidamento del potere unitario della monarchia. In merito alla politica estera promuove la politica di alleanza anglo-asburgica (comune nemico la Francia) e la politica matrimoniale segue lo stesso schema di alleanze (Maria Tudor con Filippo II re di Spagna, Maria Stuart con Francesco II re di Francia). Quando Maria Stuart fa rientro il Scozia dopo la morte del marito, il Paese è ormai prettamente calvinista, falliscono i tentativi di restaurazione cattolica e la donna è costretta a rifugiarsi in Inghilterra. In un momento di crisi dovuto alla morte di Guglielmo d’Orange (eroe della rivolta dei Paesi Bassi), la scomunica di Elisabetta da parte di Pio V e la preparazione di Filippo II all’attacco, Maria Stuart diventa pericolosa e perciò Elisabetta la fa decapitare nel 1587. Sotto Elisabetta Tudor c’è uno sviluppo del settore tessile, il lavoro artigianale viene regolamentato, vengono creati incentivi per gli artigiani protestanti specializzati (sia indigeni che stranieri). Questa è l’epoca d’oro della pirateria, attività fuorilegge ma autorizzate dalla regina attraverso le “lettere di corsa”, documenti in cui vengono precisati i vantaggi ricavati dalla regina attraverso le imprese corsare. Tra 1557 e 1580 Drake compie la seconda circumnavigazione del globo e arriva in California; nel 1584 viene fondata la prima colonia inglese in America settentrionale, la Virginia. Con Elisabetta si perfeziona il modello di assolutismo inglese; se il re vuole che un provvedimento abbia forza di legge deve essere sottoposto ad entrambe le Camere del parlamento (Lord e Comuni), il Parlamento formula il provvedimento sottoforma di statuto. Non si forma una burocrazia centrale e periferica dello Stato, essa si forma a partire dal governo periferico, locale, sotto lo stretto controllo della gentry (nobiltà di contea). Francia: Verso la fine del Cinquecento la Francia si avvia verso lo Stato moderno; gli eventi che caratterizzano lo Stato in questi ultimi anni del secolo sono: la crisi dinastica dopo la morte di Enrico II di Valois, la divisione religiosa del paese tra ugonotti (calvinisti) e cattolici, il nesso fra lotta religiosa e politica, i condizionamenti internazionali (congiunture militari e politica matrimoniale), lo sviluppo di nuove teorie politiche (influenzate da guerra civile). Nel 1559 Enrico II muore lasciando tre principi minorenni (uno è Francesco II, si sposa con Maria Stuart), la reggenza passa alla moglie Caterina de’ Medici. La regina straniera si ritrova a dover affrontare numerosi problemi: crisi finanziaria, contrasti politi e religiosi, potere centrale debole e nobiltà forte. In ambito politico/religioso decide di adottare una linea di mediazione per non far aumentare a dismisura il potere da una delle due parti (cattolici di Francesco Guisa e ugonotti) e mettere dei contrappesi. Vengono fatte varie concessioni agli Ugonotti: con il primo editto di San Germano del 1562 viene concessa loro la libertà di culto a patto che vivano al di fuori delle mura della città (culto riformato vietato nelle città), segue una reazione cattolica con la strage ugonotta di Vassy. Con il secondo editto di San Germano viene concessa la piena libertà di culto, piazzeforti, fortificazioni e addirittura un porto munito di difese, la Rochelle. Mentre in un primo momento Caterina fornisce, quindi, supporto agli ugonotti, dopo la vittoria cristiana di Lepanto la Spagna si schiera a sostegno del Guisa e per questo motivo la regina muta schieramento. Tale cambiamento, anche violento, si rispecchia chiaramente nella notte di San Bartolomeo tra il 23 e 24 agosto 1572 in cui vengono massacrati gli esponenti di spicco degli ugonotti, a Parigi per celebrare le nozze del capo Enrico di Borbone. Durante il regno del terzogenito di Caterina, Enrico III, le mire degli aspiranti al trono, Enrico di Guisa e Enrico di Borbone, sfociano nella “guerra dei tre Enrichi”. Dopo l’assassinio del Guisa per ordine del re e di Enrico III per mano di un fanatico frate domenicano, succede il Borbone a patto che si converta al Cattolicesimo. Egli diventa re nel 1593, questo evento può essere visto come un atto di pacificazione del paese. Nel 1598 il trattato di Vervins segna la rinuncia da parte della Spagna alle pretese territoriali in Francia ma anche il riconoscimento internazionale di Enrico IV e il ruolo di grande potenza della Francia. Nello stesso anno è promulgato anche l’editto di Nantes, con il quale avviene il primo riconoscimento della tolleranza religiosa da parte di un sovrano. Europa orientale: Anche l’Europa orientale è attraversata da trasformazioni in questo periodo. In Russia, sotto Ivan IV il Terribile c’è un rafforzamento dell’autorità centrale; viene ristrutturato il sistema militare creando la prima fanteria permanente (composta di moschettieri); viene ammodernato il sistema amministrativo e fiscale. Nonostante il passaggio dal dominio dei boiari a quello della piccola nobiltà di servizio, il sistema sociale ed economico dell’agricoltura russa non muta, anzi, le condizioni peggiorano a causa dello spopolamento delle campagne, della crisi della forza- lavoro contadina e dell’inflazione dei prezzi. All’inizio del Seicento la Russia precipita in una situazione di anarchia, rivolte sociali, usurpazione tra rivali, conflitti nel ceto dei boiari. monarchie dinastiche (ducato di Savoia, Stato pontificio, viceregno di Napoli, Sicilia e Sardegna). Nei domini spagnoli si favorisce la formazione di personale amministrativo indigeno, vengono promosse riforme per l’ammodernamento delle strutture e procedure, vengono nominati funzionari spagnoli e creati organi di governo con funzioni esecutive per controllare l’apparato. In Lombardia viene ridimensionato il potere delle élite urbane attraverso il mensuale, un’imposta diretta che colpisce la ricchezza mobiliare e immobiliare nelle città e nel contado. A Napoli si contratta con la Corona per far riconoscere l’immunità, privilegi fiscali ma anche per opporsi a qualsiasi introduzione di strumenti forti di controllo e coercizione nel Regno. Vengono difesi usi, consuetudini, e ordinamenti dal potere centralizzato e assolutistico. Viene tenuto conto, dalla Spagna, della forza fondamentale della feudalità; si trova un compromesso: i baroni perdono potere politico ma possono esercitare quello che gli viene concesso dal sovrano, cresce il potere economico e sociale all’interno dei feudi. Il governo delle campagne è affidato ai baroni e ai loro tribunali e corti. Nel ducato di Savoia si verifica un accentramento assolutistico con un ridimensionamento dei poteri delle assemblee rappresentative, la formazione di un esercito permanente e lo sviluppo di un solido apparato burocratico; si sviluppa anche una più agile struttura del potere esecutivo che affianca il sovrano nelle più importanti decisioni politiche: i segretari dello Stato (nobili). Nel granducato di Toscana l’accentramento assolutistico si realizza con la conservazione delle vecchie istituzioni repubblicane e lo sviluppo, in contemporanea, di nuove magistrature esecutive direttamente controllate dal granduca. Lo Stato pontificio si avvia verso la formazione di uno stato centralizzato, la formazione di un esercito professionale, di un apparato burocratico, di un’autorevole diplomazia. Due anime del papa: temporale che si occupa del potere territoriale pontificio e spirituale che aveva competenze extraterritoriali. La Chiesa entra nell’organizzazione dello Stato pontificio e viene limitata la partecipazione dei ceti regionali e locali alla macchina statale. Le repubbliche mantengono il carattere oligarchico cittadino. Nella repubblica di Venezia la pienezza dei poteri politici è affidata al Maggior consiglio che elegge il doge (potere legislativo e nomina magistrati); altri due consigli sono il Senato (funzioni legislative, politiche e amministrative) e il Consiglio dei Dieci (funzioni di alta corte di giustizia). Nella repubblica di Genova il patriziato è il depositario della sovranità; nel 1528 con una riforma politica cambia il sistema di accesso al potere imponendo un reclutamento, inoltre, con il Consiglio maggiore, dosa l’accesso alle cariche per evitare gli squilibri di rappresentanza. Nel 1576 le Leges Novae definiscono l’unicità del corpo nobiliare e regole rigide per l’accesso alle cariche pubbliche. Quindi, in questo periodo, in Italia, le trasformazioni più importanti riguardano il mondo nobiliare; si distinguono due raggruppamenti: la feudalità e i patriziati urbani. Il peso del patriziato urbano deve fare i conti con la forza del contado e delle comunità non urbane. L’età dell’egemonia spagnola è il periodo in cui si manifestano gli aspetti della Controriforma e della Riforma Cattolica. Lo Stato Sabaudo di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I è un baluardo contro l’eresia grazie all’attività dei Gesuiti. A Milano è Carlo Borromeo a dare l’impronta della Controriforma e della Riforma cattolica. Venezia si caratterizza per una maggiore autonomia da Roma e dal papa; qui c’è una maggiore libertà, l’esercizio del Tribunale dell’Inquisizione è limitato, la macchina politico amministrativa è efficiente, per questo motivo è meta degli intellettuali meno conformisti. Questo porta ad un conflitto tra Venezia e papato; del 1606 viene nominato teologo e consultore di Stato in materia religiosa il frate Paolo Sarpi e doge Leonardo Donato: entrambi danno una forte impronta antiromana alla politica, questo porta il papa Paolo V a scomunicare le autorità civili veneziane e minaccia l’”interdetto” (proibizione di praticare riti religiosi in tutte le chiese della repubblica). Gli unici ad obbedire all’interdetto sono Gesuiti, Cappuccini e Teatini e per questo vengono espulsi dallo Stato; attraverso la mediazione di Enrico IV re di Francia e la logica del compromesso viene risolta la questione (colpevoli consegnati al papa ma il giudizio del tribunale ecclesiastico non viene riconosciuto dalla Repubblica). Il regno di Napoli riesce ad opporsi all’estensione dei privilegi del clero ma non riesce ad evitare l’Inquisizione romana e i processi del Sant’Uffizio. Alla fine del XVI secolo i fermenti di rinnovamento religioso entrano in sintesi con quelli di ribellione politica, Chiesa e Stato collaborano per la repressione del pericolo (Tommaso Campanella promuove rivolta in Calabria e viene incarcerato, Giordano Bruno viene arso sul rogo nel Campo dei Fiori a Roma per aver messo in discussione la trascendenza di Dio e aver portato una nuova cultura; scienza e filosofia vanno distinguendosi dalla fede). Stati extraeuropei: Tra XV e XVI secolo l’Islam si diffonde in vaste aree dell’Asia e dell’Africa. Nei primi secoli dell’Età moderna nascono due potenti imperi: ottomani/osmanli (dal capo Othman/Osman) e persiano. L’Impero ottomano nel XIV vede una prima avanzata, la nuova ondata espansionistica si verifica dopo la caduta di Costantinopoli; sotto il suo dominio troviamo Siria, Egitto, Belgrado, parte dell’Ungheria, principati di Moldavia, Valacchia e Transilvania, territori lungo il Danubio e il Dnestr, il Mar Nero, Irak e Maghreb. Tutta questa espansione si verifica nella fase più critica dello scontro tra Carlo V e Francesco I in Europa, ma essa non è favorita solo grazie a ciò, bensì anche al modello dell’impero: al vertice il califfo, sultano di tutte le terre sunnite, l’autorità suprema è nelle mani di un solo uomo; c’è una totale mancanza della proprietà privata della terra (territorio dello Stato è bene del sovrano ad eccezione di quello degli enti religiosi), per questo è diffusa la pratica del “tìmar” (concessione della terra da parte del sovrano, non è ereditario, le dimensioni sono calcolate con esattezza, l’assegnatario è controllato e non esercita nessuna forma di giurisdizione); i vertici dell’apparato burocratico e militare sono reclutati fra gli schiavi di origine cristiana (ogni anno tot bambini di sesso maschile vengono sottratti alle famiglie e vengono educati nella fede musulmana e nelle discipline dell’amministrazione civile e militare, questo garantisce massima fedeltà al sovrano). Lo scopo centrale dello Stato ottomano sul piano interno è lo sfruttamento fiscale dei possedimenti imperiali (non viene imposta nessuna conversione, al sultano basta riscuotere dai cristiani ciò che serve per mantenere la continuità del gettito fiscale). I fattori che portano alla decadenza e crisi turca sono la superiorità militare ed economica dell’Europa assolutista, la lunga guerra in Persia e i motivi di ordine interno all’organizzazione e alla dinamica dell’impero ottomano; il nomadismo e l’impero non sono compatibili: i turchi si affermano solo dove hanno il tempo di insediarsi, ovvero in Asia minore. I turchi sunniti (seguaci di Maometto) dimostrano una grande capacità di penetrazione grazie alla duttile organizzazione dell’Impero. Gli sciiti (riconoscono solo Maometto, suo genero il califfo Alì e i discendenti maschili), invece, si stabiliscono in Persia e si distinguono dai turchi per la conflittualità con gli infedeli. Alla base della potenza persiana troviamo la dinastia safavide, sotto Abbas I il Grande si ha l’affermazione della Persia come grande potenza; qui troviamo un’autocrazia in cui Stato, governo e ricchezze sono considerati beni del sovrano, vengono eliminati i particolarismi, vengono stabilite nuove rotte commerciali. Tra XV e XVI secolo si forma un terzo nucleo di espansione dell’Islam, grazie ai mercanti musulmani e ai missionari, dalle coste occidentali dell’oceano Indiano ai confini con il Pacifico, dall’Indonesia all’Africa orientale, al Marocco e all’Africa nera. In Marocco si trova un Islamismo militante; gli Arabi creano un impero commerciale nell’Africa orientale. A metà del XIV secolo l’impero mongolo creato da Genghiz Khan ed eredi entra in crisi, dopo numerose rivolte, nel 1368, i mongoli vengono cacciati e viene creata la dinastia cinese dei Ming. Di origine contadina, promuovono una politica di grandi opere pubbliche in agricoltura, irrigazioni, rimboscamenti, dighe; la capitale viene trasferita a Pechino. Il XV secolo è un periodo di consolidamento territoriale, di affermazione del potere centralizzato della monarchia e di sviluppo economico e commerciale (numerose spedizioni marittime), ne consegue la nascita di rapporti diplomatici e commerciali tra Estremo Oriente, Medio e Vicino Oriente, e tra Asia, Europa e Mediterraneo. In certe zone si sviluppa la coltivazione di cotone e tè, aumenta l’esportazione di tè, seta, lacche, porcellane, riso. Sotto i Ming si avvia anche una modernizzazione statale e viene attuata una serie di riforme. Nella società cinese, al vertice della gerarchia sociale troviamo la ricca aristocrazia fondiaria, il meccanismo unificatore è la famiglia (un gruppo di famiglie, discendenti dallo stesso progenitore, clan); le fortune accumulate dalla famiglia con i servizi prestati all’imperatore vengono investite nella terra, ciò viene fatto nell’interesse della discendenza. A fine del Cinquecento diventano intensi gli scambi tra Europa e Cina grazie all’opera di evangelizzazione dei Gesuiti. Alla fine del Quattrocento il potere centrale in Giappone è disintegrato (crollo shogunato ashikaga), tra XV e XVI secolo l’organizzazione magnatizia prende il sopravvento: i signori feudali (daimyo) controllano blocchi territoriali, nei quali i guerrieri (samurai) sono loro vassalli e tutte le terre sono di loro proprietà in quanto sovrani feudali. Si distingue dal feudalesimo europeo perché non esistono terre di libera proprietà, è il signore a concedere feudi a pieno titolo dopo un giuramento di fedeltà, il legame personale tra signore e vassallo è più forte di quello tra vassallo e la terra. Il feudalesimo si intreccia con il sistema di parentele e clan. Nel 1573 il capo militare Oda Nobunaga prende il potere, periodo senza shogun in cui governano potenti capi militari e avvengono le prime riunificazioni. Inizia la conquista, continuata poi da Toyotomi Hideyoshi, il quale viene però ucciso; il nuovo shogun diventa Tokugawa, inizia shogunato tokugawa con unità senza centralismo, convivenza di regime feudale e sviluppo economico e feudalesimo controllato. Viene ricomposto il mosaico delle sovranità regionali in un sistema feudale unitario; al vertice c’è l’imperatore, il potere reale è esercitato dallo shogun, le gerarchie sociali sono chiuse (daimyo, samurai, contadini, commercianti). Il potere feudale è Sempre in questo periodo Olivares organizza l’Uniòn de las Armas, coinvolge tutte le province spagnole facendole contribuire con uomini e mezzi alla formazione della forza militare dell’impero. La terza fase (1635-48) è segnata dalla guerra franco-spagnola, le varie guerre contro francesi/olandesi/Germania portano a due crisi: la rivolta in Catalogna e la secessione del Portogallo. Con lo scoppio della guerra contro i francesi, l’importanza strategica della Catalogna (confini orientali) cresce ma i rapporti si sono deteriorati, nel 1641 essa si stacca dalla Spagna e si avvicina alla Francia; dopo ciò anche il Portogallo rivendica l’indipendenza; tutti questi fattori portano alla sconfitta degli spagnoli nel 1643 e Olivares viene deposto. Seguono nel 1647 due rivolte in Sicilia e nel regno di Napoli a causa della pressione tributaria e dell’inflazione. In particolare, la rivolta di Napoli si distingue in tre fasi: la prima è segnata dalle due figure di Tommaso Aniello d’Amalfi e Giulio Genoino, i quali interpretano sia i motivi della protesta antifiscale sia quelli della lotta politica dei ceti popolari, la richiesta è quella della parità di peso politico tra nobiltà e popolo; la seconda è segnata dall’uccisione di Tommaso e dall’esilio di Giulio, la rivolta si radicalizza e assume un’impronta antifeudale; nella terza fase i leader popolari proclamano la Real Republica Napoletana sotto la protezione del re di Francia ma l’esperienza fallisce, si aprono quindi le trattative con gli spagnoli, i quali ritornano trionfanti nel 1648. Dopo aver raggiunto la pace religiosa, Enrico IV si occupa di trovare un equilibrio fra dominio e consenso, promuovendo una politica di consolidamento dello stato basata sulla formazione e lo sviluppo di un ceto di funzionari pubblici; viene autorizzata la vendita degli uffici pubblici però è sanzionata l’ereditarietà; diventando maggiormente controllato il reclutamento si viene a formare un solido legame tra re e la sua burocrazia (classe di governo fedele ai Borbone). Gli esponenti più importanti diventano la nobiltà di toga, distinta dalla nobiltà di spada. Altro settore di intervento è quello dell’economia, c’è uno sviluppo dell’agricoltura e delle manifatture tessili. In politica estera Enrico IV si impegna a promuovere alleanze in funzione antiasburgica con olandesi, Savoia e Venezia. All’interno dello Stato ci sono ancora contrasti tra partito cattolico e ugonotto; è proprio un fanatico estremista della Lega cattolica ad assassinare Enrico IV, lasciando in figlio di soli dieci anni. La reggenza viene affidata alla vedova Maria de’ Medici; il decennio 1614-24 è un periodo critico a causa del vuoto di potere, esplodono conflitti religiosi e politici; è proprio in questo momento che il cardinale Richelieu entra a far parte dell’entourage della regina, nel 1624 diventa primo ministro del nuovo re Luigi XIII. Si possono distinguere due fasi del governo di Richelieu: un primo (1624-28) in cui si concentra sulla politica interna, in particolare la questione ugonotta, a tal fine si ritira dall’alleanza antiasburgica e nel 1628 sconfigge l’esercito ugonotto alla Rochelle; la seconda fase è all’insegna della politica internazionale, nel duello franco-spagnolo riesce a dimostrare la propria superiorità indebolendo e ridimensionando il sistema imperiale spagnolo anche attraverso alleanze e spie. La Francia riesce a dimostrare la superiorità nel conflitto anche grazie alla capacità di superare tensioni e conflitti sociali (lo Stato riesce a sconfiggere le rivolte). Alla morte di Richelieu segue Giulio Mazzarino; nel 1643 muore Luigi XIII e i francesi vivono un altro periodo di reggenza, quello di Anna d’Austria, madre di Luigi XIV. Durante i primi anni di Mazzarino i successi sul fronte internazionale e della guerra con la Spagna si alternano ad altri di turbamento e crisi nell’ordine politico interno. I Parlamenti si fanno portatori della voce dell’opposizione della nobiltà di toga e dei funzionari/esercenti (contrari alla continuazione della guerra e alla pressione fiscale) ma Mazzarino fa arrestare alcuni parlamentari, facendo scoppiare la rivolta; il movimento prende il nome di Fronda parlamentare e si assiste anche a una partecipazione popolare. Nel 1649 il Parlamento di Parigi raggiunge un accordo con la monarchia. Altro problema da affrontare è quello della nobiltà di sangue e del partito del suo leader, il principe di Condé, Luigi di Borbone; non accettano il progetto di centralizzazione di Mazzarino. Nel 1651 Mazzarino viene mandato in esilio, segue un vuoto politico durante il quale egli raccoglie forze militari il cui comando viene affidato al generale Turenne; nella battaglia di Parigi (1652) il generale vince il principe e Mazzarino ritorna con Luigi XIV nella capitale. Un maggior centralismo monarchico si realizza con la divisione tra la titolarità del potere del sovrano e la gestione del potere affidata alla mediazione tecnico-amministrativa dei burocrati. La Riforma protestante crea complicazioni nella costituzione politica della Germania; il sistema di potere negli Stati germanici è costituito dal rapporto tra principi e ceti territoriali rappresentati nelle Diete. Dopo la Riforma, la maggior parte dei principi è cattolica e questo equilibrio e composizione pesano nella formazione di partiti e di rapporti di alleanze. Dopo Massimiliano II segue Rodolfo II d’Asburgo, il quale tende a spostare gli equilibri a favore dei cattolici; si creano, quindi, due formazioni: l’Unione evangelica (capeggiata dell’elettore del Palatinato) e la Lega cattolica (con leader il duca di Baviera). Ciò che fa scoppiare il conflitto politico-religioso è la successione al trono di Boemia, dove è stato stabilito il cattolicesimo come religione di stato secondo il principio “cuius regio eius religio” ma vengono tollerati luterani e calvinisti; dopo l’abdicazione di Rodolfo II segue Mattia che sembra interessato all’annessione all’Austria, ma il timore della Dieta boema è dato dall’erede imperiale, Ferdinando di Stira, cattolico di formazione gesuitica che avrebbe di sicuro imposto la Controriforma a tutto l’impero germanico. Nel 1617 succede Ferdinando e la Dieta boema costituisce nel 1618 un governo di emergenza, nello stesso anno due governatori cattolici vengono gettati dalla finestra del castello praghese di Rodolfo II; la defenestrazione di Praga è che dà inizio alla guerra di Trent’anni. Guerra dei Trent’anni: Prende il nome dalla sua durata che va dal 1618 al 1648, due sono gli schieramenti: da una parte la Boemia e gli Stati germanici dell’Unione evangelica che sostengono la tolleranza religiosa; dall’altra gli Stati germanici della Lega cattolica, gli Asburgo d’Austria e le forze imperiali che vogliono restaurare l’unità dell’impero attraverso l’unione controriformistica. La guerra assume subito dimensione internazionale e l’obiettivo muta velocemente: l’egemonia sul continente. Durante essa emergono nuovi protagonisti della scena politica europea: le potenze del Nord, la Danimarca e la Svezia. È una guerra di massa: quasi 100 milioni di europei coinvolti. Della guerra dei Trent’anni si possono distinguere quattro fasi: 1)la fase boemo-palatina (1618-25): dopo la defenestrazione in Boemia viene nominato un governo provvisorio. L’arciduca Ferdinando richiede l’intervento armato delle forze imperiali. Morto l’imperatore Mattia anche in Ungheria esplode la rivolta. Nell’agosto 1619 Boemia/Lusazia/Slesia/Moravia eleggono sovrano Federico V; nello stesso meso viene eletto imperatore Ferdinando II. L’esercito dell’Unione evangelica viene sconfitto nella battaglia della Montagna bianca (1620) e viene attuata una dura repressione. Nel 1621, con il termine della tregua con l’Olanda, viene riaperto un fronte di guerra tra Sagna e Province unite; si apre un terzo fronte in Italia, dove la Spagna interviene a fianco dei cattolici della Valtellina contro i seguaci della Riforma nel 1625; 2)la fase danese (1625-29): dopo il successo degli Asburgo in Boemia, l’espansionismo cattolico- asburgico vuole raggiungere le potenze del Nord Europa, in particolare la Danimarca. Al momento lì regna Cristiano IV, il quale sogna l’egemonia sull’intera penisola scandinava e il dominio del Baltico, deve però scontrarsi con la Svezia (analogo piano). Appoggiato da Olanda, Inghilterra e Francia, Cristiano scende in guerra a fianco dei protestanti contro l’Impero; Ferdinando II però affida l’esercito all’abile condottiero Albrecht von Wallenstein, il quale sconfigge le truppe protestanti, invade la Danimarca e la costringe alla Pace di Lubecca (1629); 3)la fase svedese (1630-35): nel 1529 la corona di Svezia viene ereditata da Sigismondo Vasa ma la Dieta svedese lo depone nel 1599; gli succede lo zio Carlo IX. Le sue mire espansionistiche verso Polonia e Danimarca non hanno successo, però costituiscono le linee direttrici per l’affermazione della Svezia sia sul piano interno che su quello internazionale, opera del successore Gustavo Adolfo. Gli Asburgo, nel Baltico, incontrano quindi gli Svedesi che bloccano l’espansione in quel mare. Gustavo, alleato con Richelieu, decide si spingersi in Germania con il suo esercito e sconfigge l’esercito di Wallenstein (1632); la sua morte in battaglia disorienta però le truppe svedesi, che vengono sconfitte dalle truppe imperiali nel 1634, segue la pace di Praga del 1635; 4)la fase francese (1635-48): a questo punto la Francia decide di entrare direttamente in guerra. Da una parte troviamo Francia, Svezia e Olanda mentre dall’altra Spagna e Impero (intanto salito al trono Ferdinando III); seguono svariate sconfitte degli spagnoli ma i colpi decisivi sono tra il 1643 e 1644. Nel 1644 iniziano le trattative di pace; la pace di Vestfalia pone fine alla guerra dei Trent’anni e viene siglata nel 1648 da Impero, Francia e Svezia; la guerra tra Francia e Spagna, quindi, continua. Viene confermato il principio cuius regio eius religio, i principi scelgono le religione, i sudditi sono tenuti a seguire la religione di famiglia fino ad almeno 25 anni indietro, chi segue la norma deve abbandonare il Paese, conservando però il patrimonio. Sul piano territoriale la Francia ottiene i vescovadi di Metz, Toul e Verdun, l’Alsazia, le fortezze di Pinerolo e Casale Monferrato (Italia); la Svezia guadagna Brema e Verden (Germania), la Pomerania occidentale e viene riconosciuto il suo primato nel Baltico e nel Mare del Nord; viene riconosciuta la sovranità di vari domini del Sacro Romano Impero, si restringono quindi le prerogative imperiali; viene riconosciuta l’indipendenza dell’Olanda. pluralismo di poteri e l’affermazione di forze centrifughe. Cromwell decide quindi di cacciare dal Parlamento tutti fuorché i suoi fedelissimi, dopodiché attacca l’esercito di Carlo e lo sconfigge, il re viene giustiziato il 30 gennaio 1649; 2)proclamazione del Commonwealth (1649-53): viene dichiarata decaduta la monarchia, viene creato un Consiglio di Stato e nel maggio 1649 è proclamata la Repubblica Unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda (Commonwealth). I problemi persistono, continuano le divisioni interne ai rappresentanti e si fa avanti il figlio di Carlo I, Carlo II, il quale viene riconosciuto da Scozia e Irlanda. In politica estera Cromwell cerca di unificare il paese attraverso la soluzione militare del problema irlandese e scozzese: mentre gli oppositori tra i primi vengono uccisi o costretti ad emigrare, ai secondi viene garantita maggiore tolleranza. Per quanto riguarda la politica espansionistica, viene promulgato l’Atto di Navigazione (1651) che riserva all’Inghilterra il monopolio del commercio nordamericano (atto di guerra all’Olanda, seguono tre guerre navali anglo-olandesi tra 1652 e 1674). 3)dittatura militare (1653-58): nel 1653 Cromwell scioglie il Lungo Parlamento e insedia una nuova assemblea, viene nominato lord protettore del Commonwealth e in qualità di ciò sceglie egli stesso i nuovi membri del Consiglio di Stato tra gli ufficiali dell’esercito; inizia la dittatura militare. Seguono contrasti politici tra moderati dell’esercito (difendono la carta costituzionale) e realisti (monarchia), problemi nella politica economica e nella politica estera antispagnola. Alla morte di Cromwell del 1658 l’Inghilterra è segnata da lacerazioni e contrasti. 4)restaurazione di Carlo II (1658-60): segue il figlio di Cromwell, Richard, che non garantisce più sicurezza ai ceti abbienti. È ora necessario restaurare un ordine politico più solido, quindi nel 1660 un esercito comandato da George Monck marcia su Londra e restituisce i poteri al Parlamento; non viene incontrata nessuna opposizione, solo sostegno sociale. Rientra in Inghilterra Carlo II Stuart, la monarchia è restaurata insieme alla Camera dei Lord e alla Chiesa anglicana. Carlo II si deve confrontare con quanto lasciato dalla Rivoluzione: il nuovo ruolo decisivo nella politica inglese della Camera dei Comuni e le più moderne forme organizzative della vita e della lotta politica. Nascono due schieramenti: i tories (conservatori), che credono nel diritto divino del re/principio dinastico/religione di Stato anglicana, e i whigs (progressisti), che credono nell’autorità del Parlamento/libertà religiosa/un diverso principio di rappresentanza politica. La tendenza del nuovo sovrano a instaurare un nuovo regime assolutista trova opposizione parlamentare. Nel 1679 viene abolito il carcere preventivo. Per le guerre anglo-olandesi, Carlo II si allea con Luigi XIV ma dopo l’ultima guerra le alleanze cambiano, torna l’ostilità per la Francia e si pensa ad un’alleanza anglo-olandese. Il successore di Carlo, Giacomo II, accentua la frattura fra re e Parlamento; cattolico, senza eredi (tollerato per questo), il suo modello è quello della Francia di Luigi XIV. Alla nascita del figlio di Giacomo II cadono le speranze di ripristinare il protestantesimo. Uno schieramento formato da whigs offre la corona d’Inghilterra allo statolder d’Olanda Guglielmo II d’Orange e a sua moglie Maria Stuart. Nel 1688 l’esercito olandese sbarca in Inghilterra e lo statolder viene accolto mentre Giacomo II fugge; nel 1689 Guglielmo III emana la “Bill of Rights” che, con la formula “il re regna, non governa” viene sancita la fine della monarchia assoluta, fonte della sovranità è ora il Parlamento. Negli anni Quaranta del Seicento scoppiano molte rivolte (crisi, sospensione temporanea di un assetto sociale e costituzionale) in Spagna, Francia, Russia, Cina, ma ha successo un’unica rivoluzione (sovvertimento rapido e improvviso degli equilibri politici preesistenti), quella inglese. L’Olanda: I Paesi Bassi si trovano divisi in due parti: Province Unite e Paesi Bassi meridionali; la loro divisione è politica, religiosa ed economico-sociale (le prime stato indipendente repubblicano e protestante con forti interessi commerciali, i secondi sono sotto la Corona e cattolici e le attività produttive sono egemonizzate dalla nobiltà). La novità delle Province Unite/Olanda è il modello politico dello Stato repubblicano a struttura federativa; gli organi federali sono gli Stati Generali, lo statolder è il capo dello Stato (potente famiglia, gli Orange), al suo fianco c’è il gran pensionario (consulente legale delle province), le cariche pubbliche sono elettive. Il centro motore del Paese è la provincia d’Olanda e la città di Amsterdam è il cuore; nel 1611 viene fondata lì la Borsa. L’Olanda domina il Baltico; nel 1602 viene fondata la Compagnia delle Indie Orientali, un’associazione fondata sul libero acquisto di azioni da parte dei cittadini e sulla concentrazione di capitali (1652 Compagnia crea fortificazione al Capo di Buona Speranza), segue la Compagnia delle Indie Occidentali del 1621. Altra forza del paese è l’industria. La pace di Vestfalia con la Spagna significa conquiste territoriali per l’Olanda e il riconoscimento della supremazia economica sui Paesi Bassi meridioali. Intorno al 1650 le Province Unite possiedono un vasto impero commerciale che preoccupa l’Inghilterra, in concorrenza contro di loro; però, in America, gli olandesi non riescono a conservare le loro posizioni. Tra 1653 e 1672 il regime repubblicano si consolida ed è sperimentata una nuova forma di governo senza statolder, è il gran pensionario Jan de Witt a governare lo Stato e si riscontra una maggiore autonomia delle diverse province e la tolleranza religiosa. In politica estera si assiste al conflitto anglo-olandese: durante la prima guerra si scontrano l’idea inglese di monopolio e supremazia marittima e l’idea olandese di libertà dei mari; tra la prima e la seconda guerra si assiste alla Pace dei Pirenei (sancita inferiorità Spagna rispetto alla Francia) e alla restaurazione monarchica in Inghilterra, viene siglata un’alleanza Francia/Olanda in funzione antinglese; le trattative di pace si concludono in favore all’Olanda; si forma una nuova alleanza tra Olanda/Inghilterra/Svezia in funzione antifrancese ma le grande potenze temono l’Olanda e viene firmato un accordo segreto Inghilterra/Francia accordando un attacco congiunto contro l’Olanda.; nel 1672 torna Guglielmo III d’Orange e si ha l’ultima guerra, si conclude con la pace di Westminster che riconosce i principi liberistici olandesi. Alla fine, nessuna delle due potenze riesce ad affermare la propria egemonia mutano i rapporti: nel 1677 Maria Stuart va in sposa a Guglielmo III d’Orange e nel 1678 è siglata un’alleanza anglo-olandese. Assolutismo e antico regime (Francia, Prussia, Austria, …): L’assolutismo si riassume nella formula “rex legibus solutus”, “il re è sciolto dal vincolo delle leggi”. L’idea del potere assoluto della monarchia nasce in Francia durante le guerre di religione come soluzione al disordine sociale e politico. La monarchia assoluta di tipo occidentale non si identifica con il dispotismo orientale e, inoltre, va analizzata nella diversità delle formazioni storiche europee. Il concetto di “antico regime” consiste in tutto ciò che si oppone alle conquiste della rivoluzione; quello di “assolutismo” indica i caratteri del rapporto tra Stato e società nei centocinquant’anni che precedono la Rivoluzione francese. I caratteri sono: la fonte della sovranità è il re, lo sviluppo delle funzioni dello Stato (la gestione del potere è affidata a corpi specializzati), non esiste una divisione tra poteri dello Stato, esistono corpi privilegiati con giurisdizioni separate, questi corpi sono poteri economici e commerciali e non potenze politiche autonome, lo schema di classificazione della società è per ordini (al vertice della società la nobiltà, segue la nobiltà di dignità, lo stile di vita è un elemento di gerarchia sociale). Nell’antico regime europeo si possono riconoscere due vie estreme opposte allo stato moderno: la via francese (esaltato ruolo della monarchia come centro e rappresentante unitario del Paese, ridotte forze antagonistiche) e la via polacca (anarchia e frantumazione del potere centrale dello Stato, esaltazione dell’indipendenza del ceto nobiliare). Importante, nella seconda metà del XVII secolo, è il nesso tra politica internazionale e politica interna degli Stati, che diventa sempre più stretto durante le guerre di successione della prima metà del XVIII secolo. Nella gerarchia degli stati europei durante la seconda metà del XVII secolo comincia a formarsi la distinzione tra grandi, medie e piccole potenze. Il secolo di Luigi XIV si caratterizza per una rivoluzione generale della cultura e dell’arte ma anche per un processo di consolidamento dello Stato moderno che coinvolge il governo del territorio, la politica economica e la politica internazionale. Al tempo di Luigi XIV la Francia contra 20 milioni di abitanti, inoltre il Paese è lo Stato europeo più dotato di città di media grandezza, Parigi per tutto il XVII secolo è prima città europea; per questo il governo del territorio è una questione importante per il sovrano: esso deve tener conto dell’articolazione degli insediamenti umani, delle trasformazioni nella geografia urbana, delle divisioni anche istituzionali tra le diverse province. Luigi XIV deve fare i conti con la nobiltà: ridimensiona la potenza dell’antica aristocrazia, i grandi del regno vengono estromessi dal Consiglio del Re ma mantengono i comandi militari; attraverso il conferimento di titoli viene incentivata la nobiltà di toga e d’ufficio; la funzione dei Parlamenti viene ridotta alla registrazione automatica degli editti (governa re mediante decisioni personali). Viene data attenzione anche al rapporto tra centro e periferia; quest’ultima viene governata attraverso la figura dell’intendente provinciale. Il piano di centralizzazione di Luigi XIV deve fare i conti con la diversità; ogni Parlamento e Corte sovrana sono padroni della propria giurisprudenza e i loro interessi si scontrano con il progetto monarchico di uniformare l’ordinamento giuridico. Anche di fronte al fisco ci sono situazioni e condizioni diverse: nei pays d’état (Stati provinciali) l’autonomia fiscale è ampia. Nel campo della politica religiosa del sovrano vengono bloccati movimenti e correnti religiosi non aderenti all’ortodossia cattolica, è bloccata la diffusione del protestantesimo, vengono rafforzate le prerogative statali della Chiesa di Roma e il controllo della monarchia sull’organizzazione ecclesiastica francese. Nel 1685 viene revocato l’editto di Nantes e viene sostituito con quello di spagnola nel regno di Napoli, avviene un più efficace intervento assolutistico attraverso la repressione del banditismo baronale, una maggiore tutela dell’ordine pubblico, il controllo degli abusi del clero; vari fattori impediscono però la politica riformatrice; alla fine del XVII secolo ci sono le premesse per una ripresa economica. La rivolta scoppiata, a causa della crisi di sussistenza, tra 1674 e 1678 in Sicilia rischia di mettere in discussione il dominio spagnolo; si innestano spinte indipendentistiche dell’oligarchia del Senato di Messina e dopo che nel 1675 la città proclama la sovranità di Luigi XIV, nel 1678 gli spagnoli riescono a sconfiggere il disegno separatista e ad attuare una repressione. Anche la Sardegna è governata da un viceré spagnolo; i Parlamenti si fanno interpreti delle istanze autonomistiche dell’isola; lo sviluppo delle istituzioni amministrative rafforza il ceto nobiliare e il ceto togato. Durante la guerra dei Trent’anni la Svezia raggiunge statura internazionale e si mostra vincitrice insieme alla Francia. La prima guerra del Nord scoppia per il controllo del Baltico, il re svedese Carlo X, alleato con Brandeburgo e Danimarca, invade la Polonia; si conclude con la pace di Copenaghen (1660) con la quale la Svezia prende possesso delle tre province meridionali. La forza militare della Svezia è data dall’enorme disponibilità di ferro e dalla composizione dell’esercito. Il sistema feudale è debole, imperfetto e tardivo ma a far fronte c’è la ricchezza mineraria del Paese e, grazie a ciò, la Svezia stabilisce il controllo sul mercato internazionale degli armamenti. Il sovrano Carlo XI promuove una grande redistribuzione della ricchezza agricola del Paese. Nel 1665 la Danimarca si trasforma da Corona elettiva ad ereditaria; inoltre c’è un incisivo intervento in materia fiscale attraverso la redazione di un catasto delle proprietà fondiarie. La Polonia (monarchia ereditaria), a metà del Seicento, è teatro di una guerra europea per il suo controllo; ne esce con perdite considerevoli del suo territorio, con la popolazione diminuita di un terzo, con il crollo dell’esportazione dei cereali. Alla debolezza geopolitica si affianca l’anarchia politica: il liberum veto (unanimità parlamentare) paralizza lo Stato. Negli ultimi anni del Seicento il re Giovanni Sobieski cerca di dare al Paese un ruolo internazionale ma lo scambio con le grandi potenze è ineguale e non vengono mai raccolti dei benefici. I tentativi di centralizzazione falliscono e lo stesso vale per il progetto di monarchia ereditaria; in merito a ciò il nuovo erede al trono, Augusto II Wettin di Sassonia, guadagna il posto grazie all’appoggio della Russia; l’intervento di questa potenza negli affari polacchi determinerà una futura guerra. Scienza, cultura e politica: Dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento la scienza della politica si presenta come scienza dello Stato. Per Jean Bodin, padre del governo assoluto, la sovranità deve risiedere in un solo principe e deve essere indivisibile, perpetua, ereditaria e suprema. Per Giovanni Botero la riflessione diventa “ragion di stato”, ovvero l’individuazione di tutti i modi, le tecniche, gli strumenti atti alla miglior conservazione del potere politico. Il Seicento è anche il secolo che scopre l’individuo, il diritto naturale/giusnaturalismo, la società. Per Ugo Grozio le relazioni internazionali devono fondarsi sul diritto naturale o razionale; lo Stato deve essere una società regolata sulla base di un obbligo contrattuale (cittadini si sottomettono all’autorità). Per Samuel Pufendorf le convenzioni che attuano il passaggio dallo Stato di natura alla società civile sono: matrimonio, famiglia, costituzione del corpo politico. Per Thomas Hobbes nello stato di natura gli uomini sono in guerra tra di loro; l’unione degli uomini fondata su un reciproco accordo con obiettivo la garanzia della pace è lo Stato; due contratti uniscono gli uomini nello Stato civile: pactum societatis, pactum subiectionis; la sua teoria sulla sovranità è esposta nell’opera “Leviatano” (corpo di un mostro costituito da una moltitudine di minuscoli esseri). Il potere dello Stato, quindi non si basa solo sul dominio ma anche sul consenso (contratto, reciproco accordo). Si sviluppa anche il liberalismo moderno; per John Locke l’unica fonte della sovranità è il popolo che delega il potere al sovrano e può revocarglielo qualora non rispettasse i diritti naturali fondamentali dell’individuo: libertà, uguaglianza, diritto di proprietà, rispetto per le persone. Quindi, il secolo si apre sugli scenari della “ragion di stato” e si chiude su quelli della crisi della coscienza europea; si sta per aprire l’età dei Lumi. L’economia politica ora si identifica con la politica economica degli Stati e con la loro politica finanziaria. C’è il bisogno di disporre di ingenti quantità di metalli preziosi e di difendere la moneta da tosature (alterazioni di peso) e da contraffazioni; attenzione data alla questione della bilancia dei pagamenti, dei cambi esteri, del commercio dei capitali. Il mercantilismo è la dottrina dominante ed è un insieme di atteggiamenti, una politica economica basata sul concetto secondo il quale la potenza di una nazione sia accresciuta dalla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni. C’è interesse per l’economia e l’analisi economica. Si riflette sull’incremento degli agglomerati urbani, sui rapporti tra ambiente naturale, risorse economiche e sviluppo demografico. Antonio Serra capisce che l’industria può essere più produttiva dell’agricoltura e che la buona disponibilità di oro e argento deriva dalla prosperità dell’economia e non viceversa. La riflessione di Michel de Montaigne sulla complessità dell’uomo e l’ideale di saggezza come guida e misura dell’anima inaugura la riflessione dei “moralisti” (nome deriva dal francese di “costumi, usanze”). Essi si dedicano all’osservazione e disciplina dei costumi, l’unico oggetto della loro indagine è l’uomo e questo tema; il loro spazio di riflessione è la solitudine interiore dell’intellettuale ma anche il salotto. Il tempo di questi intellettuali è il “tempo del sospetto”. Nel Seicento si assiste alla rivoluzione scientifica, ovvero i mutamenti profondi nella cosmologia (modo di concepire l’Universo), nel metodo della ricerca e della conoscenza, nella figura professionale dello scienziato, nell’articolazione disciplinare del sapere scientifico; alcune figure importanti sono Niccolò Copernico, Giovanni Keplero, Galileo Galilei. In particolare, con quest’ultimo si assiste allo scontro tra scienza e fede; per la Chiesa è la parola rivelata fonte di legittimità per il sapere scientifico, per Galilei l’unica autorità deriva dal metodo scientifico diretto (ciò nonostante, lui crede nella necessaria conciliabilità tra scienza e fede). Lo scienziato passa buona parte della sua vita a contrastare la Chiesa ma, alla fine, nel 1633 abiura le sue idee. Cartesio esalta la forza della ragione, elogia il dubbio come strumento per arrivare alla verità, elabora un metodo per la conoscenza sistematica della realtà, un insieme di regole per la guida dell’intelligenza. La scienza è opera della ragione e sul metodo empirico-induttivo che deduttivo sono fondate la scienza moderna e le moderne forme di conoscenza; autonomia della scienza rispetto alla ragione. Importanti in questo periodo sono anche l’articolazione delle discipline e i progressi compiuti nelle diverse branche della scienza (fisica moderna con dinamica e statica, chimica moderna, medicina con la fisiologia e l’anatomia). Il termine Barocco conosce varie fasi: una prima alla fine del Settecento teorici e storici dell’arte (soprattutto neoclassici) bollano tutte le espressioni della prima metà del Seicento come cadute estetiche e valori negativi; una seconda tardo-ottocentesca in cui viene visto come una crisi dei valori estetici, morali, politici, civili, mentre in altre aree viene visto come una particolare immagine del mondo; una terza in cui si va superando la visione di età di decadenza e viene sostituita dall’espressione di “età di transizione” tra Rinascimento e Illuminismo (anche attuale). Figure importanti di questo periodo sono Caravaggio, Bernini, Poussin, Rubens, Giambattista Marino, Miguel de Cervantes, Calderòn de la Barca. L’attenzione si sposta dall’essere all’apparenza, il mondo è fatto di espressioni ed esperienze transitorie (che fluiscono). Il monopolio della formazione scolastica superiore nell’Europa cattolica del Seicento è esercitato dai Gesuiti; in molte città vengono istituite scuole solo per nobili, le università sono roccaforti della cultura tradizionale, i settori del diritto e della medicina sono controllati rigidamente da collegi. Alla fine del Cinquecento era andata formandosi l’Accademia, nata soprattutto per bisogno degli intellettuali di ritrovarsi e comunicare esperienze, ricerche, scoperte, per produrre e scambiare cultura; le accademie sono rigidamente controllate in quanto incoraggiate dal potere statale ed ecclesiastico, ciò nonostante, è proprio in esse che contenuti e metodi della nuova cultura iniziano a circolare. L’Accademia è fondamentale per la realizzazione dell’importanza degli intellettuali e della loro necessità di disporre di strutture autonome finalizzate alla ricerca culturale e alla sua trasmissione. Mentre in Francia è lo Stato che interviene nella vita culturale, in Inghilterra è la società civile a promuovere una più libera circolazione delle idee. Il Settecento Guerre di successione: Le guerre della prima metà del Cinquecento sono state per il predominio europeo è hanno segnato il predominio della Spagna; durante il Seicento si assiste alla formazione dell’Europa multipolare (Inghilterra, Russia, Prussia, monarchia austriaca); si viene a formare una nuova gerarchia tra piccoli e grandi Stati e l’equilibrio fra questi ultimi è fondamentale per la “pace universale”. L’equilibrio è strettamente connesso all’unità etico-culturale dell’Europa. Il massimo teorico del XVIII secolo dell’equilibrio fra potenze come fattore della stabilità politica internazionale è David Hume. La prima metà del XVIII secolo è l’epoca del primato della politica classica; soggetti privilegiati sono le corti, ristrette élite. Occasione per lo scoppio dei conflitti sono i problemi dinastici ma anche gli interessi commerciali. Una caratteristica del periodo è il nesso stretto tra politica estera ed interna. Nel Settecento si assiste alla guerra di successione spagnola (1702-14), polacca (1733-38) e austriaca (1740-48). Dopo Baltico e Balcani, è l’Italia ad essere per quasi vent’anni al centro del sistema dell’equilibrio europeo; è teatro di spartizioni. L’imperatore Carlo VI d’Asburgo cerca di valorizzare gli sbocchi marittimi dei suoi domini: costruisce ad Ostenda due Compagnie commerciali (affari indie Orientali), Fiume e Trieste diventano porti franchi. Alla morte, Carlo non ha eredi marchi; viene perciò approvata la Prammatica sanzione nel 1713 che abolisce nei domini asburgici la legge salica secondo cui le donne hanno il divieto di occupare il trono; segue quindi la figlia primogenita di Carlo VI, Maria Teresa. La Prammatica sanzione per essere efficace deve essere approvata anche dalle altre potenze; qui arriva il compromesso tra Inghilterra e Austria: l’Inghilterra la riconosce se l’espansione commerciale asburgica viene bloccata, per questo vengono smantellate le Compagnie commerciali di Ostenda. L’Italia è quindi soggetta alla guerra di successione spagnola, alle mire di Elisabetta Farnese e ai bilanciamenti voluti dall’Inghilterra. Nei propri territori italiani, gli Asburgo promuovono una serie di riforme, ottengono inoltre la Sicilia dal Piemonte sabaudo. In Piemonte si assiste ad interventi nel fisco, nel regime feudale, nelle immunità ecclesiastiche, nella codificazione giuridica e nella scuola. L’altra parte d’Italia è quella delle repubbliche di Venezia, Genova e Lucca, granducato di Toscana, piccoli ducati come Parma e Piacenza, la corte di Modena, la curia pontificia. La politica italiana si fa fuori dall’Italia. Con la morte di Augusto II di Sassonia nel 1733 scoppia la guerra di successione polacca, ci sono due candidature alla sua successione: Stanislao Leszczynski, suocero di Luigi XV (sostenuta da Francia e polacchi), e Federico Augusto II di Sassonia (sostenuta da Austria, Prussia e Russia). Lo zar Pietro il Grande penetra in Polonia e fa insediare Federico Augusto; la prima parte del conflitto vede quindi Asburgo contro Borbone e vede come oggetto delle mire l’Italia e il suo dominio. Nel 1735 cominciano delle trattative segrete tra Francia e Austria e il rovesciamento di alleanze portano Carlo VI a stipulare la pace di Vienna (1738): Federico Augusto diventa re, a Stanislao viene attribuita la Lorena che però passa alla Francia dopo la sua morte, è ristabilito l’equilibrio. L’equilibrio viene rotto quando Carlo VI muore nel 1740, il re di Prussia Federico II (sostenuto dalla Francia e dal blocco borbonico) invade la Slesia austriaca; l’Inghilterra cerca di fare da mediatrice e gioca sul tavolo diplomatico. Sull’evoluzione del conflitto dal 1743 hanno peso determinante gli interessi extraeuropei e i condizionamenti della politica interna sulla politica estera; entrano in guerra Francia e Inghilterra e alla fine del 1743 franco-spagnoli combattono contro austro-inglesi. Tutta l’Europa diventa teatro di guerra (Italia, Germania, …). Prussia e Inghilterra restano potenze protagoniste del gioco diplomatico (la prima perché creerebbe squilibrio nelle forze determinando la sconfitta di uno dei due schieramenti, la seconda perché vuole salvaguardare il proprio commercio marittimo e dominio coloniale. È la diplomazia a riequilibrare le sorti della guerra, che vedono la Francia in fase di avanzata militare. La pace viene firmata nel 1748 ad Aquisgrana: viene riconosciuto l’assetto coloniale atlantico dell’anteguerra, a Maria Teresa viene riconosciuta l’eredità paterna e al marito Francesco Stefano di Lorena viene attribuito il nuovo titolo imperiale, la Prussia annette la Slesia. In Italia: regno di Sardegna ai Savoia; Stato di Milano agli Asburgo d’Austria; repubbliche di Venezia e Genova (con Corsica) indipendenti; ducati Parma/Piacenza/Guastalla a Filippo di Borbone- Farnese (fratello Carlo VII re di Napoli); granducato di Toscana ad Asburgo-Lorena ma indipendente; regno di Napoli e Sicilia indipendenti sotto il governo dei Borbone di Spagna. L’equilibrio trovato su scala italiana non viene trovato su quella europea; la distribuzione di forze venutasi a formare in territorio italiano è l’unica destinata a durare in Europa, l’assetto rimane immutato fino alla discesa di Napoleone. Illuminismo e idee (nella società): Il motto dell’Illuminismo è “Sapere aude!”, “abbi il coraggio di servirti della tua conoscenza”. Il secolo dei Lumi vede, quindi, l’uso spregiudicato della ragione applicata a tutti i campi. Ciò che apre la strada all’Illuminismo è la crisi della coscienza europea, fra tardo Seicento e gli anni Trenta del Settecento; la seconda fase, tra anni Trenta e Cinquanta del Settecento coincide con la formulazione dell’Enciclopedia; la terza, fra gli anni Sessanta e Settanta, vede l’economia al primo posto e l’esperienza di governo illuminato di alcuni sovrani assolutisti; la quarta, nel ventennio precedente la Rivoluzione, vede la crisi dell’antico regime e l’“ansia del nuovo mondo”. Uno degli illuministi più importanti è Voltaire. L’idea guida del dibattito illuministico è il nesso religione-libertà-tolleranza; all’idea di tolleranza è legata quella di libertà di pensiero. L’Illuminismo si oppone a ogni metafisica ed è in stretta relazione con la revisione critica della tradizione. Il sapere è fondamentale per trasformare la realtà, la ragione e l’esperienza sono al servizio della pubblica felicità; la filosofia deve andare in soccorso dei governi. L’Illuminismo è una cultura universale ma assume tratti differenti nelle diverse aree europee; il centro del movimento è Parigi (philosophes illuministi francesi; in Germania troviamo il movimento letterario Sturm und Drang). La conoscenza dell’uomo, esaltata nel Rinascimento, è fondamento e fine della missione dell’intellettuale, tesa a guarire gli uomini dei loro pregiudizi. Il sistema del sapere deve articolarsi in un insieme di scienze dell’uomo. Montesquieu dedica gli ultimi anni della sua vita a comporre “Lo spirito delle leggi” di cui i punti più importanti sono due: la varietà storica di leggi/istituzioni/usi/costumi e l’esigenza di costruire un ordine intelligibile in questa varietà; getta le basi per definire la teoria politica e la sociologia politica. Esplica la sua teoria dei tre tipi di governo (repubblica, monarchia, dispotismo) ma esprime anche le sue considerazioni sull’Inghilterra e sulla sua Costituzione, basata sulla separazione dei poteri (re esecutivo, Camere legislativo) che comunque cooperano tra loro. Una massima fondamentale è “il potere fermi il potere” (equilibrio). La porta si apre su due modelli costituzionali: una monarchia prima aristocratica e poi parlamentare; la repubblica presidenziale. Nel XVIII secolo non vengono gettate solo le basi del liberalismo ma anche quelle della democrazia. Jean-Jacques Rousseau ripresenta il problema del “contratto sociale”; mentre per Hobbes lo stato di natura è pericoloso, per Rousseau è uno stato felice e sono le istituzioni umane a favorire la diseguaglianza. La soluzione al problema è la sovranità democratica: i diritti individuali sono alienati a favore della comunità che costituisce la base della società. Anche diritto e giustizia sono oggetto dell’indagine illuminista in quanto l’assenza di strumenti pubblici e di meccanismi obiettivi di certificazione crea incertezza e disuguaglianza nella prassi giudiziaria; lottano per una legge uguale per tutti e un controllo del procedimento giudiziario, l’importanza della prova legale, la limitazione degli appelli. Nel trattato “Dei delitti e delle pene” (1764) di Cesare Beccaria vengono denunciate tortura e pena di morte. Nasce anche l’economia politica, i fisiocratici stabiliscono il principio che è produttivo solo quel lavoro che crea un plusvalore; secondo loro il lavoro agricolo è l’unico produttivo e la rendita fondiaria è l’unica forma di plusvalore. La funzione equilibratrice fra tutti i fattori economici è svolta dal mercato. I proprietari terrieri devono godere di più ampie garanzie di libertà e deve essere allentata pressione fiscale esercitata su essi. In agricoltura, produttività e sviluppo mercantile, Antonio Genovesi vede il possibile superamento dell’arretratezza del Mezzogiorno, essa infatti non dipende dal terreno/clima ma dal governo/leggi/scienze/culto religioso tendente a “far amare la fatica”. Alla base della scienza economica moderna troviamo Adam Smith; la sua teoria del valore è strettamente connessa al livello avanzato dei rapporti di produzione: il valore di scambio delle merci è basato sulla quantità di lavoro o sul tempo di lavoro in esse incorporato. La teoria dei prezzi tiene conto di tre classi naturali: salario dei lavoratori, profitto e rendita fondiaria; profitto e rendita formano il plusvalore (evoluzione rispetto ai fisiocratici). Per Smith è il lavoro sociale, la quantità di lavoro necessaria che crea il valore; il plusvalore è ciò di cui si appropria colui che gestisce le condizioni di lavoro, il capitalista. Gli strumenti di comunicazione giocano un ruolo importante nella circolazione delle idee. Nasce un partito degli intellettuali: ma sul terreno del rapporto tra cultura e politica le posizioni di philosophes e illuministi europei non sono omogenee e seguono percorsi diversi. Soprattutto nel terreno dell’organizzazione della cultura l’Illuminismo compie grandi passi avanti con la pubblicazione dell’Encyclopédie, un’opera in 17 volumi di testo e 11 illustrazioni, pubblicata tra 1751 e 1772 (Diderot e D’Alembert e partecipazione Montesquieu, Rousseau, …); essa consiste in un “dizionario” di scienze, lettere e arti. Il Settecento è anche il secolo dello sviluppo dell’editoria con gazzette e giornali letterari. Salotti e accademie sono il crocevia di costume, moda, società, cultura e politica nell’età dei Lumi. Contemporaneamente è presente anche, però, una condizione culturale di massa in cui i processi di alfabetizzazione e acculturazione arrivano malapena alle categorie escluse dei livelli alti e medi della società; non ci saranno progressi fino alla metà del XIX secolo; gli illuministi si pongono questo problema ma nella pratica le istituzioni rimangono affidate alla Chiesa, alle parrocchie e agli ordini religiosi. Il Settecento è anche caratterizzato da una crescita della demografia e dell’economia: il saldo attivo della popolazione è dovuto alla diminuzione della mortalità infantile, al prolungamento della vita, all’emigrazione, al controllo delle nascite, alla diminuzione della nuzialità e quindi della natalità (fronteggiate malattie e controllato numero delle nascite). Diminuisce l’importanza delle crisi alimentari grazie all’importazione e diminuiscono anche le epidemie. Si cerca di stabilire un equilibrio tra popolazione e risorse. L’agricoltura fino al 1850 occupa il primo posto nell’economia dell’Europa; si distinguono aree ad agricoltura estensiva e aree ad agricoltura intensiva; a metà del XVIII secolo le più alte rese agricole sono nei Paesi Bassi ma in generale si diffonde la tendenza a ottenere una maggiore produttività della terra. Le conseguenze di questa tendenza sono la redistribuzione della ricchezza e la differenziazione L’età dei Lumi in Spagna è un’epoca di ripresa incompleta. Il ridimensionamento favorisce il recupero demografico; il ritmo minore di crescita delle esigenze fiscali e militari consente di riservare risorse per lo sviluppo delle manifatture e del commercio (tutto limitato alle aree rurali). Si accentua il processo di differenziazione regionale: Catalogna al primo posto nello sviluppo, Castiglia all’ultimo. Sia Spagna che Portogallo sono soggetti al potere della Chiesa di Roma; i Gesuiti monopolizzano l’istituzione scolastica, controllano i settori del commercio. In questo momento troviamo l’iniziativa riformatrice di Carlo III di Borbone, il quale mira ad intervenire nel campo dei rapporti fra Stato e Chiesa: limita le immunità ecclesiastiche e i poteri dell’Inquisizione e nel 1767 espelle i Gesuiti dal regno (scioglimento Compagnia di Gesù). L’assolutismo illuminato si dispiega anche nella ristrutturazione amministrativa, nelle misure per la liberalizzazione di commercio e artigianato, del rinnovamento della cultura e promozione delle accademie e società economiche. In Portogallo, con i re Giovanni V e Giuseppe I si assiste all’espulsione dei Gesuiti, la repressione dei nobili ribelli al processo di centralizzazione statale, la creazione di compagnie per lo sfruttamento delle colonie. Viene ricostruita Lisbona dopo il terremoto del 1755; lì si realizza il modello di città illuministica (ridisegnato il centro secondo criteri che privilegiano funzionalità e razionalità). L’azione riformatrice dei sovrani illuminati si realizza anche in Italia, in particolare ne’: il regno di Napoli, la Lombardia, la Toscana. Nel regno di Napoli il re Carlo dei Borbone riforma l’amministrazione centrale con la costruzione di dicasteri e segreterie più funzionali. Promuove la riforma dei tribunali e si mette in atto il primo serio tentativo di riforma fiscale globale. Con il concordato del 1741 tra regno e Sede Apostolica vengono limitati l’immunità, il diritto d’asilo, l’eccessivo numero degli appartenenti al clero. Nel 1759 muore Ferdinando Vi re di Spagna senza eredi, quindi Carlo di Borbone è chiamato; a Napoli viene costituito il Consiglio di reggenza per via della minore età del figlio di Carlo. In questo periodo si assiste alla riforma delle finanze comunali, il rafforzamento delle magistrature periferiche dello Stato, l’espulsione dei Gesuiti. La struttura economica resta fragile, dipende dal mercato internazionale; nel 1763- 64 si assiste alla carestia e crisi economica. Napoli si presenta comunque grande capitale europea, metropoli e grande centro culturale, laboratorio politico-intellettuale. Dopo la pace di Aquisgrana (1748) la Lombardia è sotto dominio austriaco; durante il regno di Maria Teresa vengono promosse alcune riforme: il nuovo catasto, la centralizzazione dell’amministrazione e il reclutamento del personale in base a merito e preparazione, l’abolizione della venalità delle cariche pubbliche. Vengono estese al granducato riforme dell’Impero come: il controllo rigido dello Stato della Chiesa, la presenza degli intendenti, l’educazione scolastica, la promozione di istituzioni culturali. La Lombardia viene inserita in un sistema economico integrato. Nel granducato di Toscana l’arciduca Pietro Leopoldo dei Lorena promuove due riforme: l’allivellazione e il nuovo codice penale del 1786. I sudditi guadagnano diritti sul piano della libertà individuale ed economica; la soppressione del tribunale del Sant’Uffizio porta a una maggiore tutela della liberà di coscienza. A Napoli, Milano e Firenze le riforme trovano motivi ispiratori nel movimento illuministico. Polonia: Dopo la pace di Aquisgrana le potenze europee si dividono in quelle che hanno orizzonti più continentali e quelle che hanno interessi d’Oltremare. La corsa anglo-francese all’impero coloniale ha subito ripercussioni sugli equilibri europei; per questo nel 1756 scoppia la guerra dei Sette anni tra Francia e Inghilterra combattuta sui fronti europei, sul fronte indiano, sul fronte americano. Federico II si allea con l’Inghilterra mentre la Francia con Austria e Russia; la guerra rivela il protagonismo militare della Prussia di Federico II e il suo protagonismo politico in Europa. Nel 1762 e 1763 Federico II firma due paci separate con Russia e Austria, ottenendo la Slesia e l’unificazione territoriale dei domini degli Hohenzollern. La pace di Parigi (1763) tra Francia e Inghilterra estromette la prima dall’America settentrionale e riconosce l’espansione della seconda in India; l’asse dell’equilibrio non è più il Mediterraneo ma America/Asia/Africa. Dopo la fine della dinastia Jagellone le potenze europee sono entrate in conflitto e hanno esercitato a turno il protettorato sulla Polonia ma non hanno mai messo in discussione l’integrità territoriale. Dopo Aquisgrana sono Russia, Prussia e Austria a decidere il destino della Polonia. Dopo la morte del principe posto sul trono polacco dalle tre potenze, esse invadono la Polonia per imporre il loro candidato: Stanislao Poniatowski, amante di Caterina II ed educato secondo idee illuministiche e con l’obbiettivo di attuare riforme. Immediata è la risposta dell’aristocrazia, la quale viene però repressa. Nel 1772 avviene la prima spartizione della Polonia tra Russia, Prussia e Austria con l’obiettivo di “rimettere in ordine” la Repubblica polacca; è un appello diretto al diritto di intervento negli affari interni agli Stati. Nel 1792 i soldati di Caterina invadono di nuovo il Paese perché Poniatowski cerca di trasformare la monarchia polacca da elettiva in ereditaria e di abolire il veto dei magnati; avviene quindi una seconda spartizione nel 1793 a favore di Russia e Prussia. Nel 1794 avviene un’insurrezione nazionale cui segue la repressione e terza spartizione nel 1795, con la quale il Paese scompare del tutto. Vecchie e nuove potenze coloniali, capitalismo coloniale, colonie: Nel XVIII secolo le potenze di secondo rango in Europa, come Spagna e Portogallo, possiedono estesi territori oltreoceano; lì i risultati raggiunti sono quelli dell’integrazione di vasti territori in un’unità politico-dinastica e il controllo economico e amministrativo da parte di un centro statale europeo. Nella corsa all’espansione coloniale in Asia e Africa concorrono Olanda, Inghilterra e Francia. L’impero coloniale spagnolo, invece, è essenzialmente americano. Al vertice dell’amministrazione ci sono i viceré nel Messico/Perù, capitani, generali e governatori negli altri territori; i poteri di queste figure nei domini americani sono assai ampi e sono di natura politica, militare, finanziaria e giudiziaria; essi sono reclutati nelle file dell’aristocrazia castigliana. I viceré sono assistiti dalle Udienze (formate da magistrati che amministrano le province maggiori). Con Carlo III di Borbone si ha la massima espansione territoriale della Spagna in America. Dal punto di vista del quadro economico e sociale si assiste a una ripresa demografica grazie all’importazione di schiavi, i quali favoriscono anche lo sviluppo dell’agricoltura, sostenuta dalla messa a coltura di nuove terre, l’introduzione di nuove coltivazioni e l’impegno crescente di animali. Le famiglie dell’aristocrazia terriera allargano le loro proprietà, la Chiesa e gli Ordini religiosi fanno lo stesso. Le attività manifatturiere e industriali si sviluppano durante XVII e XVIII secolo e la produzione di argento cresce grazie alle miniere sudamericane. Gli elementi deboli del sistema coloniale spagnolo sono: il rapporto Stato-economia (controllo statale del commercio coloniale è affidato alla Casa de Contrataciòn ma l’efficacia del suo potere di controllo è scarsa), la fragilità militare (sono presenti solo milizie non regolari sul luogo), la corruzione e la scarsa efficienza dell’amministrazione coloniale (tutte le pratiche burocratiche passano per un iter lungo e macchinoso), la chiusura e conservatorismo dei gruppi dirigenti coloniali. Vengono introdotte delle riforme da Carlo III ma eliminano solo alcuni degli elementi di debolezza del sistema. Per quanto riguarda i possedimenti coloniali del Portogallo, le principali merci esportate sono zucchero, tabacco, cotone, pellami; a partire dal Settecento vengono scoperti giacimenti d’oro in Brasile ed esso diventa la principale ricchezza. Il Brasile però non dispone di una consistente manodopera indigena a buon mercato: la popolazione è scarsa e il lavoro è affidato prevalentemente a schiavi, il commercio interno rimane limitato ai mercati locali e allo scambio di prodotti artigianali. Le esportazioni dalle colonie servono al Portogallo per raddrizzare il suo bilancio ma non riesce a mantenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti solo tramite l’esportazione dei propri prodotti nazionali verso il Nordeuropa. Quindi, lo schema fondamentale della dipendenza è: i Paesi sottosviluppati importano dai paesi più sviluppati manufatti ed esportano materie prime; il saldo import-export è sempre passivo per i Paesi sottosviluppati. La tipologia della dipendenza coloniale è: i centri europei espropriano la periferia coloniale delle risorse e se ne appropriano per il loro sviluppo; in questo modo privano i Paesi coloniali dei mezzi necessari al loro progresso. Sono gli Olandesi a guidare l’espansione europea del XVII secolo; Amsterdam è centro della navigazione, il più grande mercato di merci e di capitali dell’intera Europa. Il suo primato è dato dalla superiorità tecnologica e dal sistema economico. La Banca di Cambio fa da intermediaria nei pagamenti interstatali e offre una sicura possibilità di investimento in caso di crisi finanziaria. Il capitale commerciale olandese è interessato al commercio delle spezie. Nel 1602 le varie compagnie si uniscono nella Compagnia olandese delle Indie orientali, la quale ha struttura federalista in cui ogni abitante può investire nelle spedizioni la cifra che vuole. L’ideologia è quella del “mare liberum” come fondamento del diritto internazionale. Lo scopo è quello di garantirsi il commercio delle spezie; per questo penetrano nei territori interessati a portoghesi/spagnoli e inglesi e monopolizzano le spezie, senza però realizzare veri piani di colonizzazione. I segnali di crisi di avvertono nel Settecento: bilanci passivi delle compagnie, accumulazione di perdite perché in Europa cresce la domanda di altro tipo di merci, aumento del contrabbando. Gli inglesi penetrano in Asia con la East India Company ma solo alla fine del XVII secolo assumono il ruolo di leader nell’espansione coloniale. Per una parte del XVII secolo la Compagnia viene superata dalla concorrente olandese ma quest’ultima viene vinta verso la fine Tra 1750 e prima metà dell’Ottocento una parte dell’Europa occidentale viene investita da una trasformazione nelle basi dell’economia, nell’ordine sociale, nei modelli di vita. L’epicentro è l’Inghilterra, in cui si assiste a progressi notevoli in vari rami dell’industria tessile, metallurgica e meccanica grazie a varie innovazioni tecnologiche: sostituzione delle macchine alle attività umane, la sostituzione di fonti artificiali a quelle animali, umane e naturali. Questo processo prende il nome di Rivoluzione industriale e porta a un aumento della produttività e del reddito individuale, migliora le condizioni di vita, trasforma il volto delle città europee, stimola un flusso di investimenti. I costi sono lo sfruttamento coloniale, l’assenza di regole e norme di tutela dei lavoratori, lo sfruttamento di donne e bambini, l’accentuazione del divario tra Paesi industriali più ricchi e meno ricchi. Le vecchie forme di produzione manifatturiera convivono con le nuove. La società europea del XVII e XVIII secolo è prevalentemente agraria; però le differenze tra i vari sistemi hanno un peso notevole nel legame tra agricoltura e sviluppo industriale; solo alcune aree agrarie dell’Europa si trovano meglio preparate all’industrializzazione. Al primo posto troviamo l’Olanda, davanti allo squilibrio tra popolazione e risorse essa reagisce rendendo più efficiente il loro lavoro grazie a una più marcata specializzazione dei terreni agricoli. Questo, insieme all’abolizione degli obblighi feudali, porta alla rivoluzione agricola olandese. L’Olanda si trova, inoltre, inserita in una favorevole economia di scambio. In Francia le condizioni del terreno, il grado di sfruttamento, le stratificazioni sociali delle campagne variano molto; per questo i nuclei industriali sorgono nelle aree mercantili intorno a Parigi, all’Alsazia e alla Lorena e la rivoluzione agricola si trasmette più gradualmente. Ancora meno preparata allo sviluppo industriale si mostra l’Europa mediterranea: l’Italia centrale (domina mezzadria), l’Italia meridionale e la Spagna (struttura del regime delle terre inadatta). La Germania presenta un dualismo tra parte orientale più arretrata e parte occidentale più aperta alle trasformazioni industriali. L’Inghilterra vede le più importanti trasformazioni agricole grazie al ritmo più intenso di rotazione delle colture, l’introduzione delle macchine, l’investimento di capitali per migliorare la produzione e l’inserimento dell’agricoltura nel commercio internazionale. Le forme di produzione precedenti la rivoluzione industriale sono: la manifattura rurale a domicilio (uno o più imprenditori riuniscono funzioni industriali e commerciali, acquistano materie prime e attrezzi, vendono il prodotto finito, dirigono e controllano il processo produttivo svolto presso il domicilio del lavoratore), manifattura centralizzata (azienda di grande dimensioni ad alta intensità di capitale e con molti addetti), le industrie tradizionali controllate dall’artigianato urbano e dalle corporazioni. I vantaggi dell’Inghilterra sono: la presenza di molte manifatture rurali a domicilio, l’assenza di vincoli corporativi, i bassi costi di produzione e distribuzione, il mercato omogeneo, gli investimenti in infrastrutture, la disponibilità di materie prime, la liberà di iniziativa, la diffusione del pensiero scientifico, ricerca e filosofia empiriche e sperimentali, la disponibilità all’innovazione, il potere d’acquisto e il tenore di vita più alti, la società aperta, l’avanzato processo di urbanizzazione. I prerequisiti della Rivoluzione industriale in Inghilterra sono: la localizzazione delle risorse naturali, l’integrazione fra agricoltura e industria, il sostegno dello Stato, la concentrazione di manodopera specializzata soprattutto in alcune regioni, la disponibilità di capitali. Intorno alla metà del Settecento la pressione della domanda del mercato e l’esigenza di aumentare la produttività risparmiando sulla forza-lavoro rendono possibili le invenzioni di macchine e metodi per risparmiare lavoro e il loro sfruttamento e diffusione nell’industria. Nei primi anni del Settecento la manifattura tessile inglese si divide in: preparazione, filatura, tessitura e finitura. Una piccola parte di queste fasi è meccanizzata all’inizio del XVIII secolo grazie all’utilizzo della gualchiera, dei telai, del torcitoio e della ruota da filare; verso la metà del secolo però questi progressi sono insufficienti. Il primo settore che incontra la Rivoluzione industriale è quello del cotone; la disponibilità del cotone americano è in continuo aumento, grazie alle piantagioni lavorate dagli schiavi; inoltre, il mercato è più elastico. Vengono introdotti nuovi tipi di macchinari: filatoio meccanico/ad acqua/intermittente e il telaio meccanico. Nell’industria del ferro il capitale investito, il valore prodotto, il numero di addetti sono inferiori rispetto a quelli dell’industria del cotone ma le potenzialità di sviluppo sono altissime. Un nuovo convertitore di energia, la macchina a vapore, e lo sfruttamento su larga scala del carbon fossile al posto del carbone di legno permettono lo sviluppo e la diffusione della Rivoluzione industriale in Inghilterra. L’applicazione della macchina a vapore di Watt (1776) porta a una rivoluzione nel campo della metallurgia e della costruzione meccanica. Nell’industria siderurgica vengono introdotti nuovi sistemi di fusione del ferro e di trasformazione della ghisa. Nell’industria mineraria vengono introdotti i carrelli sui binari e sistemi migliori di aerazione. Anche la tecnologia chimica applicata al settore tessile migliora. Allo stadio più avanzato della Rivoluzione industriale c’è: una separazione fra i proprietari dei mezzi di produzione e i produttori diretti, fra imprenditori e lavoratori o salariati; la concentrazione dei lavori in un unico luogo di lavoro, la fabbrica; una divisione più accentuata del lavoro; l’impiego delle macchine e la produzione di massa per il mercato. Si vengono a formare insediamenti industriali. L’offerta di manodopera per l’industria diventa sempre maggiore soprattutto nei primi decenni dell’Ottocento. La forza-lavoro infantile viene reclutata dalle strutture dell’assistenza pubblica e dagli enti ecclesiastici ed è sottoposta a sfruttamento. Il sistema di fabbrica convive insieme all’industria a domicilio e all’artigianato. Ai primi stadi della Rivoluzione l’identikit dell’imprenditore non è omogeneo; gli imprenditori del cotone iniziano a formare le prime associazioni industriali con l’obiettivo del controllo assoluto della manodopera. Tra 1780 e 1830 i lavoratori cominciano ad organizzarsi e danno vita a movimenti di protesta; in contemporanea va formandosi una classe operaia dotata della coscienza di un’identità di interessi in contrapposizione ad altri. Le tappe della formazione della coscienza di classe sono la nascita di leghe e clubs di lavoratori radicali, il movimento luddista e si sviluppo il socialismo utopistico. Il movimento luddista corrisponde a quel ciclo di agitazioni che nei primi decenni dell’Ottocento pongono tra i problemi all’ordine del giorno il salario minimo, più umane condizioni di lavoro, il rispetto per l’operaio, la riduzione della giornata lavorativa. Rivoluzione americana: Nel 1620 i padri pellegrini, comunità puritana non ortodossa, fanno nascere la prima colonia inglese in America (New England, Massachusetts) dopo un lungo viaggio a bordo del Mayflower. Per quanto riguarda i fondamenti politico-istituzionali delle colonie inglesi in America, esse nascono per concessione, da parte del sovrano; l’appartenenza è alla Corona ma i coloni hanno un corpo legislativo e istituzioni rappresentative autonomi. Nel 1664 una piccola flotta inglese conquista New Amsterdam e la ribattezza New York in nome del suo concessionario, il duca di York. Per il 1732 le colonie inglesi in America sono 13. La nascita e sviluppo delle colonie sono causati dalle lotte politico-religiose in Inghilterra; i puritani vengono perseguitati e sono costretti a fuggire dalla madrepatria, così facendo trapiantano in America modelli originali di vita comunitaria e di convivenza religiosa e sociale. Al motivo religioso si aggiunge quello economico; la maggior parte della gente che prende la via dell’America è attratta dalla speranza di migliorare la propria situazione economica. Le colonie si danno ordinamenti, istituzioni, leggi, organismo rappresentativi accettati da tutti i coloni e riescono a vanificare i tentativi di centralizzazione e di costruzione di una burocrazia imperiale. Al centro degli ordinamenti c’è l’Assemblea coloniale, la rappresentanza qui non è per ceti od ordini ma per singole comunità, che costituiscono politicamente la colonia. Ciononostante, c’è comunque un rapporto tra America e Inghilterra: un rapporto ideale (dato dall’influenza del pensiero politico europeo), affiancato da un sentimento di appartenenza alla comunità unitaria inglese, tale sentimento viene consolidato dalla difesa contro i pericoli esterni (Spagna, Francia). La fedeltà delle colonie alla madrepatria è favorita dalla politica internazionale: la sicurezza dei coloni è affidata ad eserciti regolari e alla flotta inglese. La realtà è l’impero e la molteplicità e diversità di situazioni che lo compongono, è una comunità unitaria ma geograficamente divisa. Il Settecento per le colonie americane è un periodo di crescita demografica; a contribuire è l’emigrazione europea (inglesi, francesi, irlandesi, scozzesi, svizzeri, tedeschi, spagnoli) del XVII e XVIII secolo. La chiave dell’espansione demografica è la produttività dell’agricoltura, la quale è differenziata in base alle tre sezioni Nord (fondato un nuovo villaggio, i terreni vengono divisi equamente tra le famiglie che li coltivano a rotazione, carattere fondamentale è la vitalità delle città), Centro (troviamo un sistema di agricoltura mista con cereali, frutta, verdura e allevamento; presente una rete portuale) e Sud (tabacco, cercati poi terreni verso Ovest perché il tabacco esaurisce la fertilità del suolo nel giro di 6-9 anni). Dal 1730, i punti di fuga dal sistema mercantilistico imperiale, la crescita economica delle colonie, la nascita e formazione di un’élite coloniale sempre più cosciente dei suoi diritti e della sua autonomia, accentuano i motivi di conflitto con la madrepatria. I motivi del conflitto tra colonie e madrepatria sono sia di natura economica che politica. Più le colonie rafforzano la loro struttura economica e politica più pesa la mancanza di autonomia nel sistema mercantilistico inglese: mentre in un primo momento le norme protettive hanno contribuito alla crescita dell’economia, ora bloccano l’ulteriore espansione. Per quanto riguarda la politica; Inghilterra e America si ispirano a un diverso principio di sovranità: sebbene il Parlamento abbia più potere, la sovranità è concentrata in una sola autorità a cui devono sottostare anche le colonie, dove va a formarsi una diversa teoria della sovranità limitata in cui, del cittadino, sovranità è espressione di volontà popolare, ognuno è singolo detentore della sovranità collettiva, si formano l’idea liberale e l’idea democratica (due grandi idee dell’Ottocento), i nuovi valori della convivenza civile diventano libertà/eguaglianza/fratellanza fra uomini ma acquistano rilievo anche il talento e il merito individuale. Il “buono” della Rivoluzione è rappresentato dall’influsso del secolo dei Lumi sulle giornate dell’89, il “cattivo” dalla violenza del Terrore e il dispotismo di Napoleone, lontani dallo spirito illuministico. Il carattere della Rivoluzione è borghese. L’89 va considerato come una rottura epocale e periodicizzante della storia dell’Ottocento europeo. Le principali fasi della Rivoluzione sono due: la prima va dal 1789 al 1794, la seconda dal 1795 al 1804. Nella seconda metà del Settecento in Francia si assiste ad alcune trasformazioni. Nell’agricoltura, alla vigilia della Rivoluzione, meno di un terzo dei terreni appartengono a nobiltà e clero; è inoltre aumentata la produzione e grazie al miglioramento dell’alimentazione anche le crisi di mortalità si riducono. La struttura feudale è resistente e il regime varia da luogo a luogo. I diritti feudali e signorili gravano su un mondo contadino oppresso dalle decime ecclesiastiche e dalle imposte regie (che ancora pesano in misura rilevante sui bilanci delle famiglie). Espansione e modernizzazione economica investono la Francia; i ritmi di settori come siderurgia, manifattura serica e commercio coloniale sono in crescita; le infrastrutture sono modernizzate. Nonostante ciò, la Francia arriva più tardi dell’Inghilterra alla Rivoluzione industriale a causa: della mancata integrazione fra agricoltura e industria, il carattere artigianale e protoindustriale delle attività manifatturiere, i metodi di produzione arcaici dell’industria, l’assenza di un ruolo decisivo dello Stato nell’introdurre l’industria, le limitazioni della domanda interna, gli scarsi incentivi all’investimento industriale, la scarsa disponibilità di risorse minerarie. Il mondo della nobiltà risulta una casta sempre più chiusa e che accentua sempre di più i caratteri dell’ordine privilegiato; difatti costituisce poco più dell’1% della popolazione. Lo 0.5% della popolazione appartiene al clero, all’interno di esso le differenze economiche e sociali sono notevoli ma l’appartenenza ad esso conferisce immunità e privilegi. Si trova poi il Terzo Stato, cui fanno parte: gruppi legati al commercio internazionale, uomini d’affari, banchieri, personaggi dell’amministrazione, appaltatori d’imposta, pubblici funzionari, proprietari terrieri non nobili, avvocati, notai, medici, ingegneri. Il Terzo Stato non corrisponde alla borghesia; i comportamenti economici e sociali e le fonti di reddito sono differenti; gli appartenenti non hanno un’identità di classe; inoltre, le loro aspirazioni sono dirette spesso verso il feudo e il titolo di nobiltà. Fino alla fine del XVIII secolo le forme di investimento predominanti e preferite dal Terzo Stato sono ancora quelle tutelate e offerte dal sistema dell’antico regime: terra, uffici, debito pubblico, appalto delle imposte. Lo stato di crisi che porta alla Rivoluzione è dato da vari fattori: le tensioni interne alla società degli ordini; il malcontento dei ceti popolari e dei contadini; l’influenza delle idee illuministiche; la complessiva arretratezza del sistema politico. Tra le cause più importanti della Rivoluzione c’è la crisi politica e finanziaria della monarchia. Dopo un primo regno di Luigi XV affiancato dal ministro Fleury, alla morte dell’ultimo il sovrano decide di proseguire da solo; il quindicennio precedente alla guerra dei Sette anni è segnato dal conflitto fra partiti diversi a corte e dall’opposizione dei Parlamenti a ogni intervento del sovrano teso a controllarne i poteri. L’opposizione alla politica di Luigi XV continua fino a quando il Parlamento non viene soppresso, nel 1770; esso viene però reintegrato all’arrivo del successore, Luigi XVI, il quale avvia un progetto riformatore ispirato alle idee illuministiche. L’impegno della Francia nella guerra d’indipendenza americana contribuisce a dissanguare le finanze pubbliche, già esauste a causa delle spese smisurate della corte di Versailles; per questo si fa ricorso, sotto la guida il ministro Jaques Necker, a un massiccio indebitamento pubblico. Quando egli rende pubblico il bilancio dello Stato nel 1781, viene allontanato. Nel 1783 diventa ministro Charles Alexandre de Calonne, che propone una serie di misure per l’assestamento del bilancio statale; per cercare di garantirsi l’alleanza dei ceti fa convocare un’assemblea di notabili composta principalmente da membri della nobiltà, l’opposizione alle misure è generale, soprattutto perché contestata la rappresentatività dell’assemblea, e viene richiesta la convocazione degli Stati generali (si chiede una forma di rappresentanza diversa che coinvolga l’interna nazione). Nel 1788 il re trasferisce alcune prerogative del Parlamento a corti di nomina regia e corti inferiori controllate dal sovrano; questo provoca subito la reazione di nobiltà e Terzo Stato. Luigi fa riformare la procedura penale sopprimendo la tortura e limitando la pena di morte; con la crisi di credito della monarchia e l’opposizione congiunta di forze diverse, il re è costretto a richiamare Necker e promette la convocazione degli Stati Generali per il maggio 1789. Lo Stato francese è alle soglie della bancarotta a causa di una grave carestia e di una fase di congiuntura sfavorevole ma non vengono prese iniziative fino agli Stati Generali. Il problema centrale è quello delle modalità di convocazione e di voto dell’assemblea. Necker si ripromette l’abolizione dei privilegi fiscali e vuole allo stesso tempo ridimensionare il potere della nobiltà, favorire il Terzo Stato ma non mettersi alle sue dipendenze; per questo propone il doppio numero di rappresentanti del Terzo Stato e voto per testa e non per ordine limitato alle sole questioni finanziarie. I nobili mandano inviano al re una supplica ma viene accordato comunque il raddoppio; la nobiltà esplode provocando la guerra civile. In tutta la Francia vengono convocate assemblee per eleggere i deputati agli Stati Generali; sono presenti i cahiers de doléances, cioè i registri di richieste, petizioni, denunce redatti nel corso delle assemblee elettorali e presentati dai delegati al sovrano. Nobili e Terzo Stato hanno dei valori comuni: la devozione alla monarchia ma il bisogno di rappresentanza nazionale; la fine del dispotismo dei ministri e la limitazione del centralismo burocratico; l’affermazione della libertà di stampo e la tolleranza religiosa. Il conflitto nasce perché i ceti privilegiati vogliono mantenere il sistema degli ordini e si oppongono al voto per testa mentre il Terzo Stato appoggia questo voto e chiede liberà e uguaglianza. Gli Stati Generali si riuniscono a Versailles il 5 maggio 1789 e metà dei deputati è costituita da membri del Terzo Stato, gli altri due quarti da rappresentanti di nobiltà e clero. Una parte del clero è composta da parroci simpatizzanti con il Terzo Stato e proprio questo porta alla vittoria della proposta di un’unica assemblea fatta dal Terzo Stato. Allora i delegati si riuniscono nella sala destinata al gioco della pallacorda e ribadiscono in un giuramento (giuramento della pallacorda, 20 giugno 1789) la loro unità, il carattere nazionale dell’assemblea e l’impegno a stabilire una solida Costituzione per il Paese; in seguito essi si proclamano Assemblea nazionale costituente. Il re accetta gli esiti degli Stati Generali e legittima l’Assemblea nazionale ma tutto avviene in linea di continuità con il passato in quanto tutti continuano a considerare necessaria la sanzione regia e Luigi XVI resta garante del patto con la nazione, inoltre i tre ordini non vengono dissolti. Ciò che impone la Rivoluzione è: la reazione della corte , del clero e della nobiltà più conservatori; l’intervento delle masse popolari nella Rivoluzione; il ricorso alla forza armata. All’inizio del mese di luglio il re fa circondare Parigi da mercenari stranieri e l’11 luglio licenzia Necker e lo sostituisce con un ministro più vicino all’aristocrazia. Il Terzo Stato allora promuove la creazione di una milizia controllata dalla municipalità di Parigi; ma il popolo della capitale si organizza autonomamente e il 14 luglio artigiani, operai e piccoli commercianti parigini assaliscono la fortezza della Bastiglia dove sono rinchiusi i rei di Stato. Durante luglio nelle città si costituiscono municipalità fedeli all’Assemblea nazionale e una forza armata, la Guardia Nazionale (comandata da La Fayette). Nelle campagne scoppiano rivolte di natura antifeudale; sotto la pressione di questo movimento contadino l’Assemblea nazionale decide l’abolizione dei privilegi feudali. Il 26 agosto l’Assemblea nazionale proclama in 17 articoli la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” in cui vengono enunciati i principi dell’89: libertà e uguaglianza dei diritti, assicurato l’esercizio dei diritti del cittadino, la sovranità è della nazione, i cittadini possono resistere all’oppressione. Luigi XVI approva i decreti solo dopo la marcia di La Fayette su Versailles, dopo la quale il sovrano è anche costretto a trasferire la corte a Parigi, insieme all’Assemblea nazionale. Prima della Costituzione del 1971 l’assemblea deve affrontare le urgenti questioni finanziarie: i beni della Chiesa diventano proprietà della nazione; la vendita dei beni nazionali favorisce la formazione di un nuovo ceto di proprietari (provenienti soprattutto dalle classi urbane). La riforma agraria viene attuata attraverso la soppressione senza indennità di tutti i privilegi connessi al feudalesimo (aboliti tutti i diritti che si ritengono usurpati a danno dello Stato o frutto di violenza); sono sottoposti ad indennità e a riscatto i canoni fondiari o diritti reali (censi, rendite, diritti di trasferimento per eredità o per vendita). Alla riforma agraria si affianca quella giudiziaria: abolita la venalità degli uffici, giustizia viene separata dall’amministrazione, istituiti due tribunali nazionali, attuato decentramento giudiziario. Nel luglio 1790 viene approvata la Costituzione civile del clero, Chiesa inquadrata nel nuovo modello amministrativo; la reazione di Roma e del pontefice Pio VI è durissima; in Francia il clero si spacca (preti costituzionali e refrattari). I cardini della Costituzione del settembre 1791 sono: la conferma di tutti gli articoli riguardanti le libertà fondamentali del cittadino, la divisione dei tre poteri in tre diversi e autonomi organismi politici, il potere legislativo all’Assemblea legislativa, il potere esecutivo al sovrano, il potere giudiziario ai giudici eletti dal popolo, l’istruzione primaria è gratuita. Prima di arrivare alla promulgazione della Costituzione, nella notte tra 20 e 21 giugno, il re cerca di fuggire dal Paese ma viene bloccato, arrestato e ricondotto a Parigi; questo evento porta a galla la divisione delle forze e gli schieramenti della Rivoluzione: da una parte i nobili liberali con La Fayette e conte di Mirabeau (destra), dall’altra ci sono i deputati più radicali con Maximilien Robespierre (sinistra). Nel 1789 era stata creata la Società degli amici della Costituzione, detti giacobini; in seguito, essa si scioglie perché scissa in vari tronconi e si divide in vari club con diverse linee politiche. Il più radicale dei club è quello dei cordiglieri, i cui leader sono Jean-Paul Marat e Georges Danton. liberalizzazione del commercio, all’abolizione di tutti i calmieri; questo provoca una rivolta popolare dei sanculotti, repressa. La Costituzione dell’anno III sostituisce la dichiarazione “gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti” con “l’eguaglianza consiste in ciò, che la legge è uguale per tutti”. Il suffragio ritorna a doppio grado (elettori designati cittadini contribuenti proprietari di un patrimonio di reddito che rispetti le condizioni imposte). Il corpo legislativo è di 750 membri divisi in due consigli: Consiglio dei Cinquecento e Consiglio degli Anziani. Il governo viene affidato a un direttorio di cinque membri scelti dagli Anziani in un elenco fornito dai Cinquecento. Viene ripristinato il controllo giuridico-amministrativo sulle municipalità e vengono abolite tutte le Comuni rivoluzionarie. I principi della proprietà privata e del liberalismo economico vengono sanciti dalla nuova Carta costituzionale. Dopo la prima e intensa fase della rivoluzione subentrano ora stanchezza e rassegnazione e balza in primo piano la lotta per il potere ma anche il bisogno, per il Terzo Stato benestante, di consolidare sul piano economico, sociale e politico le conquiste del 1789. Le elezioni del 1795 sono favorevoli ai monarchici. Ma al Direttorio gli ex convenzionali risultano a maggioranza nei Consigli grazie al decreto dei due terzi (due terzi dei futuri deputati dei Consigli devono essere membri della disciolta Convenzione) riescono ad imporre cinque personalità che hanno votato la condanna a morte di Luigi XVI. La crisi, i problemi di liquidità finanziaria, la guerra, la divisione del Paese condizionano la politica del Direttorio tra il 1795-97. Sul piano interno l’esecutivo deve affrontare la conflittualità sociale e politica; nell’inverno del 1795-96 Gracchus Babeuf (seguace di Robespierre) e Filippo Buonarroti danno vita a una congiura contro il Direttorio (la congiura degli eguali); la dottrina politico-sociale del babuvismo prevede l’eguaglianza dei salari, l’abolizione della proprietà privata, il controllo completo sulla distribuzione del reddito, la soppressione dell’eredità, l’educazione comune (avrà grande influenza sui primi teorici del socialismo). La congiura viene scoperta, Babeuf e seguaci vengono condannati a morte nel maggio 1796 mentre Buonarroti viene deportato. Per quanto riguarda la crisi finanziaria, l’uso di una nuova carta moneta, il mandato territoriale, porta inflazione e il ritorno alla moneta metallica; bancarotta e indebitamento portano il Direttorio a dipendere dalla finanza privata, dai banchieri. Sul piano della politica internazionale la Francia stipula trattati con Prussia, Olanda e Spagna, quindi nei primi mesi del 1976 solo Inghilterra e Impero Asburgico restano in armi; per il Direttorio la guerra è indispensabile per consolidare l’unità nazionale, far valere il prestigio del nuovo regime e per bilanciare la crisi finanziaria con il prelievo fiscale dai territori invasi. All’inizio del 1796 vengono lanciate tre armate contro l’Impero asburgico: Europa Centrale, Svizzera e Italia; è quella italiana ad avere la meglio e a far spostare su questo fronte il centro della guerra. Il comando dell’armata d’Italia viene affidato dal Direttorio a Napoleone Bonaparte. Nato nel 1769, si forma nelle scuole militari di Brienne e Parigi; giovane ufficiale d’artiglieria proveniente dalla piccola nobiltà e molto colto, all’arrivo della Rivoluzione egli la accoglie con entusiasmo. Quando l’Assemblea proclama l’annessione della Corsica alla Francia, Napoleone si schiera con la fazione francese e giacobina; l’isola viene però occupata dagli inglesi e si trasferisce con la famiglia in Francia, a Tolone. Qui, per incarico della Convenzione, gli viene affidato il comando dell’artiglieria che libera la città dall’assedio dei realisti appoggiati dagli inglesi; ottiene la promozione a ufficiale di brigata. Le sue idee filogiacobine lo fanno però arrestare e processare; ritornato in libertà viene chiamato da Barras, al potere nel primo Direttorio. Lo vuole come esperto militare e gli affida la repressione degli ultimi focolai insurrezionali a Parigi; il successo lo fa promuovere a maggiore generale con il comando dell’”armata dell’interno”, poi nel 1796 comandante dell’armata d’Italia. È merito di Napoleone quello di aver rinsaldato il rapporto fra quadri militari e Rivoluzione, tra capi e masse militari: unisce i valori assegnati alla guerra con gli ideali della Rivoluzione. È soprattutto la campagna d’Italia a determinare l’ascesa di Napoleone: nel giro di un mese piega il regno di Sardegna e fa firmare l’armistizio di Cherasco. Il 15 maggio fa ingresso a Milano dove crea una nuova municipalità; qui c’è il primo braccio di ferro tra Napoleone e Direttorio in quanto l’ultimo non è interessato a conquistare la Lombardia. Provano ad affidare ad un altro generale le truppe in Lombardia e a mandare verso Roma Bonaparte ma le sue proteste lo impediscono. Questo consente agli austriaci di trasferire truppe in Italia ma Napoleone riesce comunque ad assediare Mantova, spingersi nei territori pontifici e spingersi verso Vienna facendo firmare una pace all’Austria. Si configura un nuovo genere di guerra-lampo. La Rivoluzione ha creato un nuovo modello di esercito in cui il merito e il talento individuali sono premiatissimi; scarsi sono gli ufficiali di carriera capaci di comandare grosse unità, per questo Napoleone riesce a compiere velocemente la sua scalata verso il vertice del potere. Il potere politico dipende sempre più dal potere economico e dal potere militare. La tensione sociale non diminuisce a causa della deflazione. L’abbondanza dei raccolti fa crollare il prezzo dei prodotti agricoli. La destra monarchica è in ripresa; sono i militari repubblicani a salvare la rivoluzione: ma il prezzo è un Colpo di Stato. Realisti e moderati preparano una rivolta ma i militari e Napoleone vengono in soccorso del Direttorio e nella notte tre il 3 e 4 settembre 1797 un’armata comandata da uno dei subordinati di Napoleone occupa Parigi e arresta i capi realisti e uno dei membri del Direttorio. Seguono, nel periodo del secondo Direttorio: inasprimento delle leggi sui controrivoluzionari, censura e stampa sottoposta al controllo della polizia, repressione che colpisce tutti i “sospetti” (giacobini). Vengono promosse però anche due riforme importanti: quella finanziaria (per debito pubblico e imposte) e quella militare (servizio militare obbligatorio). Lo stretto intreccio tra l’andamento della guerra e la dinamica del potere all’interno apre la strada a Napoleone Bonaparte. L’entusiasmo per i valori di libertà e democrazia del 1789 si diffondono in tutta Europa (“Patrioti” soni i partigiani della Rivoluzione in altri Paesi), il giacobinismo ha notevole fortuna europea. Nella sua campagna d’Italia Napoleone incontra un terreno preparato ad accogliere le idee della Rivoluzione. La Rivoluzione ha sollecitato nel dibattito politico dei patrioti italiani la formazione di due correnti e di due programmi: la prima corrente si ispira a un programma democratico e si ispira alle idee di Robespierre e Saint-Just; la seconda corrente si ispira a un programma moderato. Nel passaggio dai governi provvisori alla proclamazione delle repubbliche, le nuove forme istituzionali nei territori italiani occupati, Napoleone favorisce l’affermazione delle correnti moderate: Repubblica cispadana, Repubblica cisalpina, Repubblica ligure, Repubblica romana. Durante la crisi in Egitto di Napoleone, il re di Napoli decide un attacco contro l’esercito francese in Lazio ma poco dopo i francesi rientrano a Roma mentre la famiglia reale abbandona Napoli; nasce la Repubblica napoletana. Nel febbraio 1799 il Piemonte viene annesso alla Francia. Il modello politico costituzionale stabilito nel triennio 1797-99 dai francesi in Italia riprende i principi ispiratori della Costituzione del 1795: potere esecutivo a organo collegiale; potere legislativo a un’assemblea elettiva (in realtà membri scelti dai francesi); abolizione del sistema giuridico dell’antico regime, affermazione dei diritti fondamentali dei cittadini (libertà, eguaglianza, proprietà). Importante per il Mezzogiorno è l’abolizione della feudalità; intensa è l’attività legislativa della Repubblica napoletana in materia giudiziaria: nuovo sistema giudiziario modellato su quello francese. La Francia tende a sfruttare economicamente i territori italiani. Il sentimento di fedeltà alla Chiesa e agli antichi sovrani, unito alla percezione di trovarsi davanti a nuovi dominatori e all’odio per i “miscredenti giacobini” portano a una frattura tra la minoranza dei patrioti e la maggioranza delle società dei territori occupati dai francesi. L’esperienza repubblicana nell’area napoletana dura poco: in Calabria si organizzano le prime insorgenze sanfediste e si forma un’Armata cristiana e reale della Santa Fede (formata da contadini e da briganti). L’insurrezione antigiacobina dei contadini esprime anche la rivolta delle campagne contro i privilegi e il plurisecolare parassitismo di Napoli capitale (quindi anche rivolta della compagna contro la città). Sanfedismo e il mutamento della congiuntura internazionale (vittorie coalizione antifrancese) portano alla fine dell’esperienza della Repubblica napoletana nel 1799. Tra la primavera e l’estate del 1799 cadono anche le altre repubbliche italiane. L’eredità che lasciano getta le basi e i fondamenti ispiratori di uomini e gruppi che partecipano al Risorgimento italiano. La congiuntura internazionale sfavorevole, soprattutto a causa dell’Inghilterra, porta il Direttorio a mettere a punto una strategia: uno sbarco francese oltre Manica e un’insurrezione irlandese. Napoleone riconosce la superiorità navale inglese, quindi propone una spedizione in Egitto per minacciare gli interessi coloniali britannici; partono nel maggio 1798 e sconfiggono le forze militari egiziane nella battaglia delle Piramidi, ma il 1° agosto Horatio Nelson sorprende la flotta francese e la distrugge nella rada di Abukir. Questo evento incoraggia la formazione della seconda coalizione contro la Francia rivoluzionaria (Inghilterra, Russia, Austria). Nella primavera 1799 attaccano su tutti i fronti le forze francesi che si ritirano sulle Alpi e sul Reno; le sconfitte provocano contraccolpi nella vita politica francese e c’è un nuovo rimpasto nel Direttorio: entrano Sieyèrs e i giacobini (reprimono poi le rivolte e insurrezioni contadine). Grazie alle seguenti vittorie sul fronte internazionale il Direttorio ha un attimo di respiro; privato del supporto dei giacobini cerca quello dei militari e trova il sostegno di Napoleone. L’idea di Sieyèrs è quella di servirsi dei militari per stabilizzare il governo, modificare la Costituzione del 1795 e sconfiggere la controrivoluzione, conservando le conquiste del 1789 e senza impaurire l’alta borghesia con un ritorno al roberspierrismo e al regime democratico del 1793; Napoleone accoglie la proposta ma il suo vero obiettivo è la conquista del potere personale. La nomina di Bonaparte a comandante delle truppe di Parigi incontra forti opposizioni, allora i soldati invadono l’aula mentre i deputati fuggono dalle finestre: si attua il colpo di Stato del 18 Brumaio. Nel 1802 la Repubblica cisalpina diventa Repubblica italiana e la gestione viene affidata da Napoleone al vicepresidente Francesco Melzi d’Eril, il quale introduce ordinamenti simili a quelli francesi. Nel 1805 la Repubblica italiana si trasforma in regno d’Italia e Napoleone si fa incoronare re. L’organizzazione dello Stato e della società nel regno d’Italia si compone de’: il Consiglio di Stato con il compito di elaborare progetti di legge; il Senato che approva i progetti, presenta al re istanze provenienti dalla società civile, controlla il rispetto dei diritti dei cittadini. La novità è la struttura dei ministeri con suddivisione in direzioni e sezioni con ben definite competenze. Viene introdotto l’insieme dei codici francesi. Il sistema giudiziario cambia: la figura del giudice di pace viene posta alla base di una struttura a piramide, per cause di maggiore importanza e con più alti livelli di reponsabilità la competenza spetta al Tribunale di prima istanza; Corti di appello e Corte di cassazione completano il sistema. Sul terreno finanziario vengono definiti nuovi criteri ai quali devono sottostare tutte le amministrazioni, anche quelle periferiche; l’imposta fondiaria viene adeguata a seguito dei nuovi rilievi catastali. Altri territori italiani vengono progressivamente annessi al regno: Toscana, Marche, Lazio, Umbria, regno di Napoli. Quindi, solo Sicilia e Sardegna rimangono fuori e si rifugiano nelle corti borbonica e sabauda, difese dagli inglesi. L’imperatore si mostra intollerante verso qualunque tentativo di autonomia; in politica interna ed estera non si può prescindere dagli interessi della Francia. L’esecutività e il rispetto di questo vincolo vengono garantiti dal centralismo amministrativo; cardine di questo sistema sono i funzionari di carriera, prefetti al Nord, intendenti nel Mezzogiorno. Tutte le “innovazioni” introdotte consolidano l’idea che il regime napoleonico sia in grado di produrre sia un’espansione economica sia un rinnovamento nella struttura sociale. Alla conquista del regno di Napoli viene nominato re Giuseppe Bonaparte, il quale si circonda di ministri francesi esperti; la principale riforma promossa è l’eversione della feudalità. A Giuseppe, designato re di Spagna da Napoleone, succede Gioacchino Murat; egli possiede una personalità carismatica particolarmente amata dai napoletani e con lui il regno assume un carattere più nazionale. Intorno al 1801 l’Impero napoleonico ha raggiunto la sua massima espansione in Europa; l’Impero germanico è stato riorganizzato ed è nata la Confederazione del Reno; nel 1806 Francesco d’Asburgo Lorena dichiara la fine del Sacro Romano Impero; dopo il 1807, nell’area germanica, solo la monarchia austriaca e la Prussia sono indipendenti (Prussia principale antagonista dell’egemonia francese e nucleo promotore dell’unificazione della Germania); tra 1807 e 1809 Napoleone costituisce il granducato di Varsavia, trasformato poi in regno di Polonia nel 1812; altri Stati vassalli della Francia sono la Confederazione elvetica, il regno d’Olanda, la Danimarca, la Svezia. Avviene un cambiamento della geografia politica europea con il distacco dello zar Alessandro I dal blocco inglese e l’aggressione della Svezia, nasce il contrasto: Napoleone sospetta una politica di ampliamento territoriale degli zar, Alessandro deve imprimere una svolta ai rapporti con la Francia perché l’opinione pubblica non è favorevole all’intesa con Napoleone (per motivi economici ma anche patriottico-religiosi). Il segnale di Alessandro arriva quando viene ucciso il primo ministro Michail Michailovic Speranskij, ispiratore di un progetto costituzionale basato sul modello napoleonico; Napoleone decide una breve campagna in Russia in terra polacca. L’esercito napoleonico si compone di 700.000 uomini; i russi però non accettano lo scontro diretto e usano una tattica: si ritirano facendo terra bruciata dietro di loro, così i francesi si ritrovano sempre privi di rifornimenti ma per forza a inseguire in nemico; l’unica occasione in cui i francesi mostrano la loro superiorità è a Borodino nel 1812, dove sconfiggono i russi. L’ingresso a Mosca, però, viene preceduto da un incendio e dall’arrivo del freddo invernale; viene decisa la ritirata (esercito dimezzato) ma è ora che la resistenza popolare, sostenuta da cosacchi e truppe popolari russe riesce a decimare a più riprese i superstiti con azioni di guerriglia. Napoleone anticipa il rientro in Francia e la ex Grande Armata torna con circa 500.000 tra morti e prigionieri. Sentita la notizia sulla ritirata dell’imperatore in Russia, nel 1813 viene formata la sesta coalizione antifrancese; dopo una battaglia presso Lipsia, Napoleone viene sconfitto e costretto a ritirarsi al di là del Reno. I francesi vengono cacciati da Germania, Svizzera, Olanda e Spagna; la Francia capisce che è il momento di opporsi concretamente all’imperatore. Con l’arrivo di inglesi, austriaci e russi Bonaparte gioca la carta del patriottismo e riesce a radunare un’esercito con i più fedeli, con il quale riesce a fermare le incursioni; l’intervento inglese, però, porta le forze alleate a sconfiggere i francesi ad Arcis-sur-Aube e a conquistare Parigi il 31 marzo 1814. Il Senato francese dichiara decaduto l’imperatore il 3 aprile 1814. A Fontainebleau Napoleone tratta la sua uscita di scena: abdica senza condizioni chiedendo solo di potersi ritirare sull’isola d’Elba. Luigi XVIII di Borbone, fratello di Luigi XVI, sale sul trono francese e la Francia, con un trattato firmato a Parigi il 30 maggio 1814, torna ai confini del 1792. È la fine anche del regno d’Italia, riprendono possesso del loro regno gli antichi sovrani. Il nuovo assetto dell’Europa viene deciso al Congresso di Vienna; tocca al primo ministro inglese la difficile mediazione diplomatica tra pretese e gelosie fra le varie potenze. Napoleone percepisce le difficoltà diplomatiche e intuisce che parte della Francia non lo ha ancora dimenticato; per questo matura l’idea dello sbarco clandestino a Cannes nel marzo 1815, il 20 entra a Parigi, viene riconosciuto di nuovo come imperatore e sottopone una Carta costituzionale, l’Atto addizionale alle Costituzioni dell’Impero, che viene approvata. Affronta, quindi, la settima coalizione antifrancese; lo scontro decisivo è a Waterloo il 18 giugno 1815 ed è la disfatta dei francesi. Napoleone rientra a Parigi e abdica definitivamente, l’8 luglio Luigi XVIII risale al trono di Francia mentre Bonaparte viene relegato a Sant’Elena dove muore il 5 maggio 1821. Il 15 marzo Gioacchino Murat dichiara guerra all’Austria dopo aver visto fallire le trattative per conservare il regno di Napoli; lancia un appello agli italiani per conquistare l’indipendenza nazionale ma non viene accolto, le truppe napoletane vengono sconfitte e sul trono ritorna Ferdinanda IV di Borbone. La Restaurazione: Prometeo liberato e Minerva trionfante è la metafora che rappresenta la Rivoluzione industriale: Prometeo si libera dalle catene, dei limiti imposti dagli dèi alla sua stessa forza umana solo attraverso il trionfo del sapere aude illuministico; la liberazione di Prometeo incatenato non avrebbe potuto prodursi senza il trionfale concorso di Minerva, dea della sapienza della ragione. La Rivoluzione industriale è questo: la sintesi tra uomo e macchina; la sua novità sta nel trinomio meccanismo/innovazioni del sapere e della tecnologia/sistema di fabbrica. È un evento di rottura e di salto qualitativo. La Rivoluzione porta ad un ulteriore stadio i processi avviati già all’inizio dell’Età moderna: le diseguaglianze interne al continente; scambi ineguali tra Europa e Paesi extraeuropei; coesistenza di modi di produrre più antichi con il moderno sistema di fabbrica; differenti velocità di diffusione delle innovazioni. Essa è un processo a ondate successive, una reazione a catena; si possono distinguere tre rivoluzioni industriali: dal vapore all’elettricità, dal carbone al petrolio, infine l’atomo. Lo sviluppo è diseguale e disomogeneo: tra 1830 e 1870 si industrializza la fascia occidentale del continente (Francia, Belgio, Germania, Olanda, Svizzera); tra 1870 e la Prima guerra mondiale lo sviluppo interessa i Paesi scandinavi, l’Austria-Ungheria, l’Italia, la Russia, la Spagna; tra la Prima e la Seconda guerra mondiale ci sono il Portogallo e alcuni Paesi danubiani e balcanici; successivamente coinvolge tutti i restanti Paesi centro-orientali e balcanici. Lo sviluppo europeo diventa, quindi, generale dalla metà del XIX secolo in poi e raggiunge il suo culmine nella seconda metà del XX secolo. Il periodo compreso tra le paci di Vestfalia/Pirenei/Oliva e il Congresso di Vienna presenta fattori di continuità e di discontinuità nel sistema delle relazioni internazionali. I fattori di continuità sono: la riaffermazione del principio di legittimità dinastica e di ereditarietà delle Corone (l’avventura napoleonica viene considerata solo una frattura); la considerazione degli Stati come soggetti di pari diritto ma differenti nelle pratiche del potere e perciò divisibili in potenze grandi/medie/piccole; la distinzione tra Stati-nazione semplici e formazioni politiche composte da piccoli Stati autonomi e indipendenti; la concezione del principio di equilibrio come garante della stabilità europea. Il fattore di forte discontinuità è il passaggio da un’Europa unipolare (Spagna prima potenza) e una multipolare. Il nuovo ordine di Vienna si fonda sulla Santa Alleanza tra le tre potenze cristiane (Austria cattolica, Prussia protestante, Russia ortodossa) e sulla “Quadruplice”, stipulata fra i quattro contraenti (Austria, Prussia, Russia, Inghilterra) come singoli. La miscela tra il criterio della potenza e il criterio dell’equilibrio guida le relazioni internazionali. La restaurazione non è piena, il potere dei sovrani sì ma la geopolitica e la vita sociale e civile non riescono a tornare come prima; di Napoleone restano vivi e operanti sia i criteri e le linee ispiratrici della pubblica amministrazione sia l’ordinamento giudiziario messo in atto dal Codice napoleonico. Si fa strada l’idea di nazione, accompagnata dal sentimento di patria e alla formazione del nazionalismo (“risveglio delle nazioni”). Il periodo 1815-48 è l’”età della rivoluzione”: ci si avvia verso il gradualismo parlamentare in Gran Bretagna, nasce la forma parlamentare-costituzionale nei piccoli Stati, c’è l’abolizione della servitù della gleba, si generano pangermanismo e panslavismo, si raggiunge il suffragio universale, la repubblica attua la sovranità popolare. Nel ‘48 vengono riportate al centro due questioni cruciali: la nazionalità e la maturazione dell’opinione pubblica soprattutto nei Paesi dell’Europa mediterranea. È Palermo a dare l’avvio ai moti del gennaio 1848, seguono Toscana, Stato sabaudo, Stato Pontificio, Francia, Germania, Venezia, Milano; la spinta proviene dal basso ma sono gli intellettuali i protagonisti; dopo ciò la spinta verso l’unificazione della penisola diventa più forte. Il ’48 meridionale presenta spinte fra loro divergenti, che non trovano occasioni e momenti di sintesi nella dinamica degli eventi. Un triplice sentimento di Spagna quello della morte, i Balcani richiamano la complessità dei popoli e paesaggi, l’arcaicità, il folklore, l’epica orale, territori sconosciuti, l’orientalismo. Diversi destini: la Spagna conquista l’Atlantico, l’Italia rimane centro del Mediterraneo, i Balcani diventano terra di congiunzione tra Oriente e cuore d’Europa (ovvero l’Europa centrale). Essi si definiscono come regione composita nei secoli XVI-XIX. I Balcani sono noti per i molteplici confini interni; essi sono anche il luogo dove il confine meridionale, il Mediterraneo, e quello orientale si incontrano e si saldano. Nella geografia romana, Spagna e Italia sono da subito concetti territoriali precisi; i Balcani invece non sono un territorio unitario, essi, come concetto geografico, hanno una storia più recente. Nel Settecento si diceva “Turchia in Europa” per indicare l’area; il termine Balcani viene coniato in modo approssimativo da August Zeune, un geografo tedesco, nel 1808. Egli pensava che il Balkan (catena che si trova in Bulgaria e il cui nome significa “montagna” in turco) fosse un tutt’uno con la catena dei monti Dinarici, che si vedono in Dalmazia e arrivano al Carso di Trieste e a Gorizia; l’errore diventa regola dal 1880 in poi. Il geografo servo Jovan Cvijic parla di “penisola balcanica” anche se penisola non sembra visto il territorio più largo alla base che lungo nello sviluppo peninsulare; ciononostante si accetta per la similitudine con l’Italia e la penisola iberica. I Balcani sono quindi un contesto europeo frammentato tra stati slavi e territori bizantini nel medioevo e poi unito dagli Ottomani nel Quattrocento; nasce la Rumelia (chiamata così dai turchi), la terra dei Rum, i romani. I turchi ripristinano le strade e urbanizzano, viene spostato il baricentro verso Istanbul/Costantinopoli (chiave politica e religiosa per l’Islam). Tramite guerre uniscono province, eyalet, sangiaccati e i popoli. Al contrario di Italia e Spagna, nei Balcani permangono le contrapposizioni religiose; inoltre, qui il ruolo dei clan, di famiglie o gruppi fondati su convenienze è importantissimo, lo stato fa fatica ad imporsi. I Balcani, inoltre, sono assenti dal canone narrativo della storia moderna d’Europa, vengono accennati appena; gli Ottomani non contribuiscono alla costruzione della modernità europea se non come il diverso, solo l’islamizzazione viene menzionata. I Balcani diventano tali durante il dominio ottomano, tra la caduta di Costantinopoli del 1453 e le guerre balcaniche del 1912-13. Nella parte occidentale si incontrano la cristianità cattolica, quella ortodossa e l’’islam; Ottomani, Asburgo e Venezia si fronteggiano lungo il limes. Bisogna distinguere Balcani ed Europa sud-orientale: la seconda nasce in riferimento all’Europa centrale (Mitteleuropa) di stampo culturale tedesco e raggruppa tutto ciò che c’è a sud-est dello spazio storico/culturale germanico, comprendendo quindi Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Romania, Moldavia, Croazia, oltre agli stati propriamente balcanici (il confine settentrionale dei Balcani si definisce solo dopo la nascita della Jugoslavia nel 1918); il secondo, fin dalle sistemazioni geografiche di fine Ottocento, si posizionano a mezzogiorno dei corsi fluviali Danubio-Sava-Kupa e sono delimitati dai mari Adriatico, Ionio, Egeo, di Marmara e Nero, ci sono ben 10 stati (Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Serbia, Macedonia del Nord, Bulgaria, Romania, Turchia, Albania, Grecia, Kosovo) e tante sono le lingue e le religioni/confessioni (cattolicesimo, islam, ortodossia). Il patriarca di Costantinopoli rimane la massima autorità morale ma la sua chiesa è ridotta a pochi fedeli. Gli studi sui Balcani, in quanto insieme territoriale, nascono nell’Ottocento; inizialmente l’interesse principale andava alla dimensione linguistica della regione, così i primi grandi studiosi furono glottologi e filologi. Nel 1896 nasce la Balkan Komission presso l’Accademia austriaca delle scienze a Vienna; il voler conoscere e controllare i Balcani (ma anche l’Europa ad Oriente della Germania) diventa una costante nello spazio di lingua tedesca che produce ottimi studi ed istituti. Jovan Cvijic vede i Balcani come una regione europea a sé entro cui nei secoli hanno trovato collocazione la civiltà bizantina, ottomana, veneziana-italiana e centroeuropea, accanto alla civiltà locale di tipo patriarcale. Lo storico bulgaro di inizio Novecento Ivan Sismanov vede nei Balcani uno spazio dell’originaria comunanza tra i vari popoli, evidente nei reciproci prestiti del folklore. Nicolae Iorga considera l’Europa sud-orientale un contesto di eredità condivise, civiltà e tradizioni istituzionali simili. Nelle lingue balcaniche, per quanto dissimili tra loro, si può riscontrare un Balkansprachbund, un’unione linguistica balcanica; i Balcani hanno anche una loro unità storica e culturale. Tra le due guerre sorsero istituti di studi balcanici a Belgrado e a Bucarest, sempre a Bucarest nasce nel 1963 l’Associazione per gli studi del sud-est europeo e c’è anche un rilancio degli istituti balcanici a Belgrado/Sarajevo/Salonicco. Edgar Hosch sostiene che i Balcani siano una parte interna all’Europa sud-orientale in cui si fronteggiano e convivono tradizioni bizantine/orientali- ottomane con quelle dell’Europa centrale/italiano-mediterranea. Holm Sundhaussen ha riassunto i tratti essenziali dei Balcani: la complessità e numerosità etnica, la perdita di continuità con l’antichità, l’eredità bizantina e cristiana ortodossa (prevalenza stato sulla chiesa), l’eredità ottomana e islamica (tradizionalismo), il ritardo economico in età moderna, la tendenza a subire la geopolitica internazionale. Nei Balcani si osservano per secoli domini imperiali estranei all’area, si sono avvicendate forme politiche straniere di esclusione dal potere, si è vissuta a lungo un’amministrazione arbitraria, si è avuta sempre una debole urbanizzazione e non ci fu una radicale secolarizzazione. La modernità è stata introdotta dall’alto, dallo stato e quindi non è stata condivisa dalla società. L’indeterminatezza del corpo geografico dei Balcani rivela l’indeterminatezza della conoscenza storica e culturale di tale area. I Balcani non sono stati definiti come una regione geografica, bensì un’area culturale in cui si riscontra una certa “mentalità balcanica” nelle popolazioni che ci vivono. Dove iniziano i Balcani? Il loro limite settentrionale, in particolare il tratto nord- occidentale, dipende dalla geografia e dalla storia non tanto dei Balcani quanto dell’Europa centrale a cui essi si saldano. Secondo Theobald Fischer la linea Fiume-Karlovac-Belgrado-foci del Danubio delimita i Balcani; sul Danubio e il Sava l’opinione è alquanto concorde. Il segmento nord-occidentale è stato dibattuto per via delle Alpi Dinariche che connotano i Balcani (paesaggio dinarico e carsico); questo perché sono presenti paesaggi balcanici, appenninici, mediterranei nello spazio di alcune decine di kilometri e ciò confonde. Un confine geografico e storico si profila tra Fiume e Karlovac; in più, c’è il fiume Kupa, un confine antico e duro molto sentito, infatti qui la frontiera è netta anche sul piano linguistico (lingua slovena e lingua croata). Il fiume Kupa e l’antico limite sud-orientale del Sacro Romano Impero, che finiva a Fiume, vanno presi quale tratto conclusivo dei Balcani. In precedenza, il limite dell’Italia orientale era sulla linea Sava-Kupa, ma di recente questa impostazione è stata superata; è ora più chiaro che tra Gorizia, Trieste e Fiume si dispiega il limite meridionale dell’Europa centrale. I Balcani vengono sospinti alla frontiera posta tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina. A ridosso dei fiumi Danubio-Sava-Kupa c’è tutta una fascia di transizione verso l’Europa centrale. Il Danubio ha tre personalità: una tedesca meridionale (fino a Vienna), una pannonica (fino a Belgrado), una valacca (fino al Mar Nero). I Balcani appaiono tozzi sulla carta geografica; nella forma ricordano una specie di “Tau” con tre corni: uno puntato verso Fiume, uno verso il Peloponneso e uno verso le foci del Danubio. Lo sviluppo latitudinale di quest’area indice di più di quello longitudinale. Per secoli i Balcani sono stati isolati e circumnavigati, solo imperi romano e ottomano li hanno dominati. L’impero bizantino ha avuto sovranità diretta su Croazia settentrionale, Romania, Moldavia e Vojvodina (Serbia) nei secoli VI e XI-XII. In seguito, sempre a sud della linea Danubio-Sava, si è avuto il dominio diretto dell’Impero ottomano e quindi la diffusione dell’islam e del diritto coranico (sharia). Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, l’impero bizantino continua a vivere per altri mille anni. Dal XV al XX secolo troviamo l’impero ottomano; ma i limiti dei Balcani non sono stati definiti dalla conquista ottomana quanto più dalla riconquista austriaca/cattolica tra 1684 e 1718; si è creato un limes europeo dai profondi significati politici e culturali. A livello etnico, dopo una romanizzazione, si vide nel VI-VII secolo la penetrazione delle comunità slave; la componente immigrata, secondo alcune stime, non avrebbe oltrepassato il 20% della popolazione totale e si pensa che ci furono minori ma ripetute migrazioni (la lingua slava si sarebbe diffusa tramite popolazioni non necessariamente slave). L’ondata slava colpisce tutte le province bizantine, rimangono escluse le oasi romanze (da cui deriverà la popolazione romena) e l’oasi degli albanesi. Dall’VIII secolo inizia una riconquista bizantina; dal XV secolo penetrano popolazioni turche, e quindi tartare (quindi convivono lingua greca, albanese, turca e tartara). I Balcani andrebbero divisi in tre parti: occidentali, orientali e meridionali. Le prime due parti fanno rientrano in quello che Cvijic chiamava il blocco continentale che comprende le regioni di Dalmazia, Lika, Gorki Kotar, Bosnia, Erzegovina, Montenegro, Serbia, Bulgaria, Dobrugia, Albania, Kosovo, Epiro, Macedonia e Tracia. La parte occidentale del trapezio viene definita Balcani occidentali, indicano l’area post-jugoslava (senza Slovenia con in più l’Albania): vuoto lasciato dalla scomparsa della Jugoslavia è anche un vuoto concettuale. I Balcani occidentali sono stati periferie imperiali di Istanbul, Vienna e Venezia. I Balcani orientali coincidono con la Bulgaria, la Tracia turca e la Dobrugia romena; qui, molta attenzione viene data allo studio della civiltà dei traci. Tutta la Romania andrebbe considerata parte sud-orientale dell’Europa centrale ma si preferisce spingerla verso i Balcani, almeno sul piano storico e culturale. I Balcani meridionali coincidono con la Grecia: essi riguardano solo la parte continentale della Grecia (fino ai promontori del Peloponneso e della Calcidica), la parte insulare è un contesto mediterraneo. Infatti, lungo la facciata marittima si può dire che il Mediterraneo si sovrapponga e coincida con i Balcani. Infine, c’è la Turchia, quel poco di Turchia europea (compresa Istanbul) che però guarda ai Balcani come propria parte storica in quanto, sebbene geograficamente marginale, Istanbul/Costantinopoli sono state capitali dei Balcani tra l’età romana e la fine dell’Ottocento. espressione di questa civiltà si riscontra nei monasteri/architettura/affreschi. La chiesa serba ebbe il suo patriarcato nel 1346 ma presto il sogno svanì (1355). Nel 1354 l’impero bizantino sembrava al collasso, minacciato da turchi e genovesi, ma riuscì a sopravvivere per altri cent’anni; stava però emergendo lentamente un nuovo avversario: i turchi. Nel 1371 iniziò la conquista ottomana dei Balcani. L’affermazione dell’Ungheria giunse al culmine del 1358 quando si impose su Venezia con il trattato di Zara, ma non riuscì a proporsi come potenza marinara. La Bosnia venne invasa da Maometto II e catturò e decapitò l’ultimo re Stefano Tomasevic. Sul mare, il lungo confronto tra Venezia e Genova (culmine con guerra di Chioggia, 1379-81) si concluse con il consolidamento dello Stato da Mar della prima. Il dominio veneziano si estese a Salonicco nel 1423 ma già nel 1430 venne conquistata dagli Ottomani; seguirono altre perdite con le guerre veneto-ottomane. I Balcani, tra il 1356 e il 1402, subirono la prima affermazione ottomana: la Serbia divenne principato vassallo ottomano, nel 1396 scomparve ciò che rimaneva della Bulgaria, l’impero venne ridotto alla capitale e alla parte centrale del Peloponneso. La crisi che subentrò tra gli Ottomani nel decennio 1402-12 non venne sfruttata da bizantini (divisi da faide interne), serbi e bulgari. Il 29 maggio 1453 Costantinopoli cadde per la seconda volta, fu la fine definitiva dell’impero romano. Con la conquista del regno di Bosnia e dell’Erzegovina, per il 1481 gli Ottomani consolidarono del tutto il loro dominio nei Balcani centrali. La caduta dell’impero bizantino è una grande svolta sul piano simbolico dei Balcani, per il mondo cristiano ortodosso, per tutte le compagini circostanti dal Mar Nero al Levante, fino alla stessa Venezia. La lunga partita tra slavi e romani si conclude nella comune sconfitta rispetto all’avvento ottomano. Rispetto all’impero romano d’Oriente la presa degli Ottomani sui Balcani fu decisa e diede prova di saldezza. Lo stato ottomano intervenne nelle strutture viarie e nella fondazione di nuove città; la costante espansione e trasformazione dell’impero ottomano portò alla nascita della Rumelia. I Balcani sotto gli Ottomani dal 1453 fino a inizio Novecento: La Rumelia fu una terra cristiana dominata da musulmani. Nel 1453 erano già quasi quattro secoli che i turchi selgiuchidi risiedevano nell’Anatolia, ne controllavano la parte centrale, ma gli Ottomani sono qualcosa di diverso dai Selgiuchidi. I turcomanni al seguito dell’Orda d’oro furono incoraggiati dai bizantini (1200) a stabilirsi nelle marche di frontiera verso lo stato dei Selgiuchidi (simili per lingua ma diversi per origini), i quali li spinsero verso la popolazione romea; la coabitazione tra ottomani e romei fu inizialmente mediata dai selgiuchidi. Emerse la figura di un capo, Osman, combattivo e ambizioso, che iniziò ad aggregare una schiera di seguaci; di scontro in scontro si formò prima una comunità, poi un piccolo popolo, fino alla formazione del nuovo popolo: gli Ottomani. Nel 1302 Osman sconfisse i bizantini a Bapheus (Izmit); nacque così lo stato ottomano con quattro principali connotazioni: la tendenza all’espansione, la capacità di sfruttare le rivalità tra i vicini, il negoziato con i soggetti subordinati, la capacità di aggregazione. La religione e la filosofia politica dell’islam stavano alla base identitaria della dinastia ottomana; a ciò si affiancava un pragmatismo. Gli ottomani avevano una grande capacità tecnica e strategica che si coniugava con una precisa aggressività. La scelta di Adrianopoli come capitale segnò l’ingresso degli ottomani nei Balcani. Tre uomini, Osman/Orkhan/Murad, cambiarono per sempre la storia dell’Anatolia e dei Balcani. L’avanzata turca fu graduale ma costante, fatta di battaglie, scorrerie, intimidazioni e trattative con i potentati locali. La frammentazione delle società balcaniche fu sfruttata dagli Ottomani per consolidare con corruzione e ricatti il ruolo egemone tra i ceti dirigenti balcanici. L’organizzazione territoriale dei Balcani ottomani (“beilerbelik”, provincia di Rumelia) fu avviata già dal 1360-70: inizialmente si trattava dei territori traci e macedoni, dove la sovranità ottomana era diretta; erano esclusi gli stati vassalli; la Bulgaria “sparì” (non più stato vassallo e viene integrata nella Rumelia). Dal secondo Quattrocento la Rumelia corrisponde a: Turchia, Grecia, Bulgaria, Albania, Macedonia settentrionale, Serbia, Kosovo, Montenegro; Bosnia ed Erzegovina. Divenne necessaria una riforma amministrativa con l’espansione verso Ungheria, Siria, Egitto, coste africane, mar Rosso, Mesopotamia: dal “beilerbelik” si staccarono e crearono nuovi “eyalet” (province, “pascialati” dall’autorità dei governatori, i pascià). Il primo fu l’eyalet dell’Arcipelago (1533), venendo incontro alle esigenze del corsaro e ammiraglio turco Hayreddin Barbarossa. Seguirono l’eyalet di Cipro (1573) e poi quello di Creta (1670). Il governatore dell’Arcipelago era il kapudan pascià (grande ammiraglio della flotta ottomana); proprio il successo del Barbarossa portò alla creazione dell’Arcipelago, che nel 1535 fu sottoposto al kapudan pascià come eyalet marittimo; con questo il grande ammiraglio fu elevato al rango di visir e poteva quindi partecipare alle riunioni del “divan” (consiglio di stato). L’Arcipelago fu una compagine amministrativa a sé, in cui viveva una maggioranza greca; l’incarico di dragomanno (interprete delle lingue ma anche delegato dal grande ammiraglio all’amministrazione delle isole) della flotta venne ricoperto proprio da un greco fanariota. Con la conquista ottomana dell’Ungheria, nel 1541 fu costruito l’eyalet di Buda; questo durò fino al 1686, anno della riconquista asburgica. La Bosnia fu distaccata dalla Rumelia ed elevata a eyalet nel 1580; nel 1600 si forma nello stesso modo l’eyalet di Silistra. I Balcani nel 1600 sono per il 90% sotto la sovranità ottomana, suddivisi negli eyalet di Rumelia, Bosnia e dell’Arcipelago; Venezia possedeva le isole e città dalmate, nonché le isole Ionie e l’avamposto di Butrinto di fronte a Corfù. Questa geografia rimase stabile fino al Settecento; l’Ungheria ottomana sparì tra il 1686-99. Lo stato ottomano si reggeva su due pilastri di natura giuridica: il diritto musulmano coranico (la sharia) e l’adattamento all’utilità politica e governativa ottomana dei diritti consuetudinari o formali nei contesti dominati. Sotto Maometto II si ha la compilazione del kennuname, la raccolta di leggi dedicate al diritto penale, al regime fiscale, al regime doganale, ai mercati, ai porti, allo status dei sudditi. Il sultano (sceicco dell’islam) poteva interpretare a seconda delle esigenze pratiche la legge coranica). I sudditi erano i musulmani e i non musulmani; entrambi riconoscevano nel sultano il sovrano per volontà divina, egli era il massimo garante dei diritti; solo i musulmani potevano accedere ai ruoli di governo. Il vertice della società ottomana era occupato dalla classe dirigente, al di sotto del ceto dirigente e dominante stava la “raya”, la massa tutelata dal sovrano, la quale reggeva il sistema pagando i tributi in cambio di sicurezza e diritto. Con Maometto II Costantinopoli divenne la capitale di uno Stato grande quanto l’impero bizantino ai tempi di Basilio II; il cuore era il palazzo imperiale, il Topkapi, da qui il sovrano governava con l’aiuto del gran visir (primo ministro). Il massimo organo esecutivo era il divan al quale accedevano sultano, gran visir e altri quattro visir (due economi e due capi della giustizia), poi c’era il capo dell’amministrazione e interprete normativo. Maometto II fu l’ultimo sultano a presenziare e presiedere il divan. Fino alla conquista dell’Egitto (1517) c’erano due parti amministrative dello Stato, la Rumelia e l’Anatolia (“beylerbelik”), ma con l’espansione verso Siria/Egitto/Mesopotamia fu introdotta l’unità dell’”eyalet” (al cui vertice si trovava un “beylerbey”): ogni eyalet aveva i suoi sangiaccati, ogni sangiaccato aveva un proprio divan. Nel corso del Cinquecento, al di sotto del sangiaccato, nelle province balcaniche, le istituzioni si possono suddividere secondo l’assetto giudiziario (circoscrizioni di competenza dei giudizi, le unità territoriali di tipo feudale). C’era un margine di governo locale presso le comunità di villaggio, nelle zone più isolate. Tutta la terra era suddivisa in tre categorie: proprietà dello stato, proprietà privata, proprietà delle fondazioni pie. La moneta ufficiale era l’aspro d’argento ma circolavano molte monete veneziane e ungheresi, d’oro e d’argento). I non musulmani dovevano pagare un’imposta personale a titolo di protezione da parte del sultano. La regolarità della leva fiscale era importante date le continue spese per le guerre (trasgressione pena di morte). L’esercito era molto forte, gli ottomani avevano corpi militari con funzioni e ruoli ben definiti: la punta di diamante era la cavalleria/”sipahi” (cavalieri notabili ognuno con un “timar”, feudo attribuito su terra del sultano, che garantiva agiatezza, risorse e motivazione), ad essa si aggiungeva la seconda cavalleria/”akinci” (responsabili delle incursioni negli stati confinanti durante i periodi di tregua). La fanteria aveva a sua volta più corpi, il più famoso quello dei giannizzeri (giovani cristiani prelevati dalle famiglie, “dazio di sangue”, decadrà solo nel Seicento), erano lo schieramento che marciava davanti al sultano e, in tempi di pace, si occupavano dell’ordine nelle città. Un altro punto forte era l’artiglieria. L’alimentazione era un aspetto molto curato e pieno di ritualità in ogni segmento delle forze militari: il rituale di mangiare insieme rafforzava lo spirito di coesione della truppa. Il sistema ottomano, quindi, almeno nei primi due secoli, si fondava su una rigida osservanza delle gerarchie e dei compiti; in questo si mostrava più avanzato rispetto a qualsiasi controparte europea. Sistema ottomano: L’amministrazione turca distingueva i centri abitati a seconda della funzione e della grandezza in: città, cittadine, borghi, mercati e villaggi. La viabilità nel medioevo era ridotta all’essenziale; gli Ottomani restaurarono la viabilità romana, costruirono ponti sui fiumi; la complessiva rete statale gravitava verso Istanbul. La comunicazione fluviale ebbe un notevole incremento lungo il Danubio: sorsero ponti e cantieri per navigli e servizi di trasporto sulla direttrice Buda-Belgrado- Mar Nero. Gli Ottomani promossero la crescita di nuove città e rafforzarono centri antichi; le città svilupparono un multiculturalismo. La città ottomana era un insieme di comunità (mahale) distinte in senso religioso e sociale. Il centro urbano era il luogo principale delle attività artigianali organizzate in corporazioni; accanto all’area artigianale non c’erano piazze ma gli secolare impedita la pastorale). Alla compresenza di musulmani, ortodossi e cattolici si deve aggiungere la componente ebraica sefardita; la Bosnia vive a lungo senza traumi la convivenza tra diversità, fino a tardo Novecento. Non sono stati assenti dei fenomeni di resistenza ai modelli ottomani; si interpreta il brigantaggio balcanico come una lotta sociale, la resistenza all’ottomanismo. Fu investito ogni territorio dei Balcani. I briganti, agivano in compagnie, si radunavano sulle montagne e scendevano a valle spostandosi per i boschi, colpendo proprietà musulmane isolate e carovane; questo avveniva con cadenza stagionale. In inverno stavano rintanati, anche perché spesso erano contadini che si davano al brigantaggio per ricavare un’ulteriore entrata. Questa dinamica presente nelle periferie non metteva in crisi il sistema, era un brigantaggio tollerabile. Tutto il Cinquecento, in Croazia, fu segnato da ripetute ribellioni contadine. L’espansione dell’impero ottomano nei primi secoli è un’esperienza in progressione, con una continua capacità di adattamento (almeno fino al Seicento). Come sistema imperiale, quello ottomano va sempre visto sullo sfondo della storia del Mediterraneo. L’antemurale e i rapporti tra Europa e impero ottomano: Con l’avanzata turca verso il cuore d’Europa e l’espansione nel Mediterraneo, Venezia e Ungheria diventano baluardi della difesa: l’antemurale della cristianità. Il loro fu uno sforzo militare e diplomatico durato dal 1460 al 1683. Per la cristianità i Balcani divennero la terra nemica, turca, da dove partivano gli attacchi, le razzie, il terrore. I tentativi di risolvere il pericolo turco con una crociata decisiva fallirono; l’ultimo tentativo è nel 1464 con papa Pio II ma la morte del pontefice porta all’annullamento della spedizione. Al posto della crociata ci fu il primo grande scontro, durato sedici anni (1463-79), tra Venezia e gli Ottomani nell’Adriatico; alla fine Maometto II perse e Venezia si trovò a trattare, a pagar tributo pur di condividere con gli Ottomani il Levante, e rimase l’unico stato marittimo in grado di fronteggiare i turchi. In seguito, Maometto II occupò nel 1480 Otranto e scoppiò la crisi, la sua morte, però, permette di riprendere la città. Degna di menzione è la vicenda di Giorgio Castriota Scanderbeg, nobile albanese nato nel 1405 costretto all’islam, fece carriera come militare ottomano ma poi si convertì al cattolicesimo; deciso a creare un principato proprio, crea una lega e stabilisce il quartier generale a Croia. Lottò per anni contro gli ottomani con successo, rispose all’appello di papa Pio II per la crociata però nulla si fece ed egli si ritrovò a guerreggiare da solo. A fronte di scarsi aiuti da parte cristiana, Scanderbeg vide gradualmente sfumare l’incisività della sua lega. Tra il 1466-67 cercò aiuto in Italia e gli venne incontro Venezia ma non riuscì a recuperare Croia e si ritirò, morì nel 1468. Benché avessero sviluppato una temibile flotta, gli Ottomani non erano un popolo marinaro; nel 1490 la Serenissima dominava l’Adriatico. Tutto il suo sistema, dall’Istria a Cipro, costituiva una sorta di arcipelago; tutto questo, assieme allo spazio dell’Adriatico, di metà Ionio e due terzi di Egeo, fu lo Stato da Mar, il Mediterraneo di Venezia sorto nel 1204 e durato fino al 1797; questo costituì un limes, la prima linea di difesa della cristianità nel Mediterraneo, mentre la seconda linea era data dal regno di Napoli e Malta. Nonostante i conflitti, non decaddero le relazioni litorale-interno, tra contesto veneziano e contesto turco; nei porti avveniva il tradizionale interscambio. Dopo la perdita di Cipro seguirono settant’anni di pace, di convivenza, di interscambi lungo le frontiere armate; la Serenissima fu l’unico stato europeo occidentale ad avere frontiere porose con i turchi. La guerra di Candia fu forse il conflitto più lungo mai combattuto nel Mediterraneo: dal 1645 al 1669 tra Venezia e turchi. Se quello veneziano era il limes marittimo, quello continentale era rappresentato dall’Ungheria. Il regno d’Ungheria sviluppò un proprio sistema di difesa sotto il re Mattia Corvino (decenni 1458-90, umanesimo ungherese), un’unica linea antiturca in Ungheria meridionale, Slavonia, Croazia e Bosnia occidentale. Ciononostante, le incursioni nemiche continuarono a penetrare in profondità fino al 1483, quando Corvino siglò una tregua con Istanbul. A Corvino seguì Ladislao II Jagellone (corona ungherese e boema) della dinastia polacca, la cui elezione provocò una spaccatura tra la nobiltà; la crisi portò all’indebolimento del corpo militare, rendendo più precaria la situazione al confine. Il confine però rimase saldo, nonostante le continue predazioni turche. Nel 1516 Luigi II Jagellone seguì, la dinastia si legò poi agli Asburgo. Egli si trovò sotto le ambizioni di Solimano il Magnifico e la sua politica espansiva ottomana; la Sublime Porta voleva spingersi più a nord, oltre la linea del Sava, nelle terre del bacino Danubiano. La guerra tra ungheresi e turchi porta alla morte di Luigi; gli succede Ferdinando d’Asburgo, a Praga viene acclamato dalla nobiltà boema mentre quella ungherese si divide in due partiti. Ferdinando si trovò a capo della cristianità che contrastava l’avanzata ottomana; nella sua figura, imperatore del Sacro Romano Impero, si realizzò l’Europa centrale. Il regno d’Ungheria e di Croazia diventa l’Antemurale Christianitatis (in costante arretramento) e Ferdinando ne è diventato il responsabile. Davanti all’avanzata turca, le province della Croazia storica scomparvero soppiantate da sangiaccati e la popolazione migrò verso nord; le comunità furono smistate e collocate a ripopolare il confine; l’avanzata ottomana aveva ridefinito la geografia dell’area. Il 1526-27 rimane uno spartiacque per l’Europa centrale, inizia il lungo scontro politico e militare tra gli Asburgo e gli Ottomani, intenti a contendersi il centro e il sud-est europeo fino al 1908. Tra il 1529 e il 1791 collochiamo le dieci guerre austro-turche riassumibili in quattro fasi: la prima è segnata dall’avanzata turca, dal 1529-53, quando gli Asburgo arrestano il nemico in Croazia; la seconda va dal 1593 al 1683 ed è segnata dalla “lunga guerra”, cui seguì una lunga pace; l’assedio di Vienna, da cui gli Asburgo escono vincitori, apre la terza fase dei conflitti, segnata dalla riconquista del regno d’Ungheria (e conquista di Belgrado e Serbia) e dalla definizione dei confini dei Balcani; l’ultima fase corrisponde alla resistenza degli Ottomani, che si riprendono il pascialato di Belgrado. Si creò, così, un equilibrio che si mantenne fino al 1878. Il contrasto tra Venezia e gli Asburgo segnò buona parte del Cinquecento. La causa furono gli uscocchi (profughi dei domini ottomani) concentratisi a Segna, cittadina usata dagli Asburgo per ostacolare la Serenissima. Tra 1580 e il primo decennio del Seicento le loro scorrerie colpirono le città istriane; a ciò seguì la guerra di Gradisca con la quale vennero eliminati. Poi le energie militari e diplomatiche vennero consumate altrove. Entrambi si trovarono alleati solo nel 1684, all’indomani dell’assedio di Vienna, nella Lega Santa. Una relativa stabilità tra Venezia e ottomani ci fu tra 1540 e 1645, cui seguì una nuova rottura con tre guerre: di Candia (1645-69), della Lega Santa/Morea (1684-99), della “piccola guerra” (1714-18). La linea dell’antemurale veneziano coincideva ormai con la linea ultime del cattolicesimo. Le diocesi furono il riferimento dei pochi cattolici rimasti nelle terre ottomane; i capisaldi cattolici vissero la riforma postridentina, aiutati dall’ordine francescano e domenicano. In genere, fra 1516 e 1684, ci fu la tendenza della Serenissima dell’arroccarsi sul litorale evitando lo scontro diretto con gli Ottomani; infatti dal Cinquecento preferì il buon vicinato con i turchi, combattendo solo quando il dominio marittimo era messo in discussione. Questo atteggiamento ebbe una svolta nella guerra della Lega Santa, decisa a spingersi oltre e mantenere quanto conquistato. L’antemurale era il contenimento di un impero in espansione che europeo non era. L’avanzata ottomana fu possibile solo grazie alle faide tra la nobiltà ungherese. L’antemurale fu anche la contrapposizione fra due imperi, da cui scaturirono alcune connotazioni fondamentali dell’identità dell’una e dell’altra parte. La monarchia asburgica sviluppa una storia specifica rispetto al resto del Sacro Romano Impero; anche Venezia rimane qualcosa a parte nella storia d’Italia. Vienna, da centro della resistenza contro le conquiste turche, divenne capitale di un impero impegnato ad avanzare, nel Settecento, verso le terre balcaniche. Il confine tra i due imperi fu militarizzato e rigido fino al Settecento. L’antemurale è il punto di incontro e scontro tra cattolicesimo, ortodossia e islam ottomano. Sia da parte austriaca-ungherese, sia della Serenissima e delle frontiere dell’eyalet di Bosnia si costruirono corpi militari pronti a contrastare le incursioni; tutte le città erano murate. Il territorio era attraversato da soldati, milizie, avventurieri. La divisione politica si rifletteva sugli antagonismi tra le comunità locali, tra sudditi ottomani e sudditi asburgici. Guerre turche e riconquista: La “pax ottomana” è un periodo in cui la regione rimane sostanzialmente esente da fermenti sociali fino alla guerra del 1684-99; questo grazie alla continua tensione bellica (soprattutto Ungheria), infatti il consenso verso il potere ottomano si era forgiato anche sull’economia della guerra. L’Ungheria, secondo Solimano, non doveva essere annientata, l’idea era quella di costruire un regno vassallo; la pressione sul fragile regno portò alla crisi per la successione al trono, al contrasto aperto tra Ferdinando d’Asburgo e Giovanni Zàpolya, a una guerra civile tra nobiltà magiara. Solimano irruppe come terzo fattore; pensò di colpire Vienna, così iniziò la salita. Vienna si preparava alla difesa rafforzando le mura, ergendo bastioni, Ferdinando si spostò in Boemia. Gli ottomani giunsero a Vienna nel settembre 1529 ma la reazione dei difensori fu decisa; il 14 ottobre una nevicata improvvisa segnò la fine dell’assedio e la ritirata dei turchi. Nel 1531 Solimano progetta una seconda spedizione, però lungo il percorso gli ottomani si imbatterono nella città di Koszeg, dove una guarnigione di croati guidata da Nikola Jurisic oppose resistenza, portando alla ritirata turca. Nel 1533 Solimano siglò ad Istanbul una pace con gli Asburgo al fine di concentrarsi sulla Persia dei Safavidi, essa fu un successo diplomatico ma fu minata da incidenti fra le due Ungherie. Con il trattato di Nagyvarad Zàpolya sarebbe diventato re d’Ungheria e alla morte senza eredi avrebbe passato il testimone a Ferdinando; però all’ultimo l’erede nacque facendo saltare l’accordo, per questo gli Asburgo attaccarono e gli Ottomani ribatterono, vincendo; l’Ungheria sarebbe stata turca per 145 anni Ottomani e un ingrandimento impressionante dei domini asburgici; questo favorì la riscossa di Istanbul e nel 1690 le forze ottomane ripresero Skopje e sbaragliarono gli austriaci a Prizren/Pristina/Novi Pazar. A complicare la situazione la grande migrazione serba nell’odierno Kosovo e l’epidemia di peste; l’iniziativa tornava dalla parte turca e vennero progressivamente riprese tutte le città. Gli Ottomani tornarono a colpire l’Ungheria e gli Asburgo per arginare la controffensiva puntano a una battaglia decisiva: Luigi Guglielmo margravio di Baden-Baden inscenò una ritirata tattica verso la cittadina di Slankamen; essa venne accerchiata e il 19 agosto 1690 si giunse allo scontro risolutivo. Sul Danubio si incrociarono le flottiglie austriaca e turca e nella sparatoria l’ultima ebbe la meglio; Koprulu lanciò un colpo finale ma un corpo di prussiani fermò il flagello, permettendo l’avanzata della cavalleria tedesca; Koprulu morì sul campo. Dal 1690 al 1694 ci fu un periodo di stallo, nel 1695-96 gli Ottomani ripresero l’iniziativa e il sultano Mustafa II ebbe fortuna in una campagna nel Banato dove vinse contro gli austriaci varie volte. Lo scontro decisivo si ebbe presso Zenta l’11 settembre 1697; a capo delle forze imperiali c’era Eugenio di Savoia (considerato uno dei maggiori strateghi della storia); gli imperiali si dispiegarono a semicerchio attorno alla fanteria turca, che fu spinta verso il fiume Tibisco, massacrando poi tutti i turchi che incontravano. La vittoria portò Eugenio a lanciare una campagna in Bosnia, dove distrusse quanto incontrava, fino a raggiungere e incendiare Sarajevo; rientrò vittorioso a Vienna. La guerra della Lega Santa si concluse ufficialmente nel gennaio del 1699 con la pace di Carlowitz, siglata dagli Asburgo, dagli Ottomani e dalla repubblica di Venezia. Nel 1714 scoppiò un conflitto tra Venezia e Sublime Porta a causa delle insurrezioni greche nel Peloponneso; questo convinse gli Asburgo a rinnovare un’alleanza con la Serenissima e nel 1716 si tornò alle armi: nella battaglia a Petrovaradino il principe Eugenio si scontrò contro l’enorme truppa turca e ne uscì vittorioso. Nell’aprile 1717 Eugenio partì da Vienna alla volta di Belgrado ma arrivò presto la risposta ottomana. Il 15 agosto un’enorme esplosione deflagrò nella città di Belgrado; il 16 agosto, in piena notte, Eugenio ordinò l’attacco contro le truppe poste fuori città; la battaglia volse a favore degli imperiali. La Serenissima ebbe minore fortuna nell’ultima guerra contro la Sublime porta nel 1714-18, la quale si conclude con la sconfitta di Venezia e la pace di Passarowitz tra Ottomani, Asburgo e Venezia, la quale fu un trionfo per Vienna. In Serbia furono introdotte nuove riforme amministrative e fiscali che non incontrarono il favore della popolazione locale, fu incoraggiata l’immigrazione di una comunità tedesca a Belgrado, fu istituita una milizia serba e non fu perseguita alcuna politica religiosa favorevole al cattolicesimo. Nel 1736 morì Eugenio di Savoia e gli Ottomani tornarono sul piede di guerra contro la Russia; essendo Russia e Austria alleate nella guerra di successione polacca, gli Asburgo entrarono nel conflitto con una campagna in Bosnia che però non andò bene. Le truppe austriache dovettero ripiegarsi in Serbia e nel 1738 iniziarono a penetrare le forze ottomane, facendo ritirare ulteriormente gli avversari fino a Belgrado; seguì un assedio capeggiato da Ivaz Mehmed e il conte Wallis, comandante della città, dovette arrendersi. Si arrivò così al trattato di Belgrado del 1739 tra austriaci e turchi e alla pace con Istanbul della Russia. Gli Ottomani restaurarono il pascialato di Belgrado. Trascorse mezzo secolo all’insegna della stabilità e la pace permise un forte interscambio economico attraverso le frontiere. Protagonista di una nuova mobilità fu la popolazione serba; capo dell’insurrezione del 1804 fu Giorgio Petrovic Karadjordje. L’ultimo conflitto austro-turco avvenne nel 1788-91; Austria e Russia volevano conquistare e spartire la Turchia d’Europa così nel 1788 ci fu l’aggressione contro gli Ottomani. Le prime azioni si mostrarono inconcludenti e i turchi presero l’iniziativa, invasero il Banato e i serbi, spaventati, scapparono in territorio austriaco; per far fronte a questa crisi venne creato un corpo militare di volontari serbi (“Freikorps”). Nel 1789 ci fu la svolta: l’Austria inviò le proprie truppe contro la Serbia e la Bosnia; inoltre ci fu un’unione delle forze austriache e russe che portarono alla vittoria della battaglia di Focsani, cui seguì quella a Rymnic in Valacchia (riescono ad occupare militarmente la regione) e il recupero di Belgrado. Il conflitto si era fermato nei Balcani mentre era costante l’avanzata russa; la svolta avvenne quando Leopoldo decise di siglare una pace a parte con gli Ottomani a Svistova (1791) in cui l’Austria rinunciò a tutte le conquiste e sancisce il suo ritiro dallo scacchiere balcanico (Leopoldo concentrato sulla Francia). Turchia europea e Turchia ottomana, rapporti: Il tracollo ottomano in Ungheria fu militare e morale e trasformò i Balcani da retrovia a limes. I Balcani erano ormai ottomani e decisivi per la sopravvivenza dell’impero; era la stessa popolazione balcanica ottomana a resistere agli attacchi dell’Europa cristiana. La resistenza della Serenissima a Corfù evidenziò la sua forza marittima ancora intatta. Il Settecento fu un secolo di passaggio nella storia ottomana tra la “persistenza dell’apogeo” e la decadenza dell’Ottocento, caratterizzato da tentativi inutili di riformare e modernizzare l’impero e dalla frammentazione in diverse situazioni regionali e subregionali. Dopo sette secoli, si giunse a un equilibrio precario e a una matrice religiosa e culturale condivisa; ma anche questa omologazione dei Balcani era destinata a decadere con i risorgimenti nazionali. L’impero ottomano, una volta venuta meno l’espansione, aveva perso la propria ragion d’essere; solo nel Settecento l’Europa viene percepita nel suo insieme come riferimento. Ormai non era più l’Europa della cristianità ma secolarizzata, laica e scientifica, i Balcani erano solo l’Oriente; da qui ci fu l’esigenza impellente di inviare missioni diplomatiche nelle varie capitali per imparare e applicare nuove esperienze. Nella storia che va dal 1718 al 1912 bisogna distinguere la storia dei Balcani non ottomani da quelli ottomani. Nella fascia adriatica e ionica fu un secolo di stabilità politica, di espansione economica e culturale; furono costruite strade e fu sviluppato il commercio e trasporto fluviale, vennero avviati stabilimenti industriali e si formarono i grossi villaggi. Pure sul litorale albanese ci fu uno sviluppo nei centri urbani. Con la scomparsa della Serenissima nel 1797, a opera di Napoleone, gli Asburgo poterono controllare due terzi dell’Adriatico. Ci fu un primo dominio austriaco, seguito da una fase napoleonica, cui si oppose la flotta russa e a cui subentrò poi quella inglese. Nel 1816 l’Austria costituì il regno di Dalmazia e confermò il Confine militare. Il 1848, la crisi di marzo a Vienna e la repubblica democratica di Venezia lanciarono una speranza per un futuro liberale e democratico in Dalmazia. Alla rivincita asburgica del 1849 seguono il neoassolutismo e la modernizzazione di stato delle infrastrutture. Nel 1867 nacque la duplice monarchia di Austria-Ungheria. Nel 1881 fu abolito il Confine militare e la Croazia ebbe modo di ingrandirsi. In Dalmazia sorsero rivalità politiche tra croati, serbi e italiani. Per quanto riguarda l’entroterra balcanico, l’Ottocento è segnato dall’avvio dell’industrializzazione, dalla modernità, dalla polarizzazione fra comunità nazionali, dal confronto politico su scala sociale (in chiave nazionalista). La convivenza fra varie comunità fu possibile fino allo scoppio della Grande Guerra. La fascia adriatica dell’impero d’Austria fu di facile gestione; la vera frontiera era il Confine militare, integrato nella Croazia nel 1881; esso era una frontiera militarizzata ma anche un cordone sanitario per l’impero e l’Europa. Al confine si trovava un’intera società, i “Grenzer”, gli uomini di frontiera; negli Statuta Valachorum si regolarono le mansioni ed obblighi, i loro diritti e liberà. Il sistema militare era retto da contingenti militari ripartiti sul territorio e retti da colonnelli; esso rispondeva direttamente a Vienna. L’effetto barriera del Confine militare si era fatto sentire sui traffici commerciali; il percorso, infatti, non era diretto (lo era in minima parte). La Bosnia, inoltre, era un continuo e pericoloso focolaio di peste. Nel Settecento, le regioni riconquistate in Slavonia, Sirmio, Baranija e Banato ebbero una crescita demografica grazie alla colonizzazione organizzata, progredì inoltre un’agricoltura di primo piano, crebbero le cittadine venne sviluppato un sistema di comunicazione fluviale. A difendere tutto questo c’erano una linea di fortezze e porti fluviali con truppe, ussari e puntuali pattuglie. L’area di frontiera era una nuova Europa. Nel Settecento è necessario distinguere ciò che era e rappresentava la capitale Istanbul dal resto della regione. Seguirono una serie di sultani: Ahmed III, Mahmud I, Osman III, Mustafa III; quest’ultimo in particolare fu un sultano più dinamico durante il cui sultanato vennero accolti molti europei. Ai vertici dello stato si perseguì una lenta trasformazione. Selim III volle riformare le forze armate ma perse gradualmente il controllo della situazione (insubordinazioni) e fu costretto a dimettersi. Poi ci fu dal 1807 Mahmud II, il quale pose le premesse per il periodo del Tanzimat, delle riforme in materia giudiziaria, finanziaria, amministrativa e militare dell’impero. Il Tanzimat si estese dal 1839 al 1878. La capitale dell’impero era avanti rispetto alle periferie; l’unica eccezione era Salonicco. Negli eyalet balcanici, nel corso del Settecento, accanto ai funzionari e militari, si era affermato un ceto di notabili musulmani, gli “ayan”, che deteneva il potere economico e godeva del massimo prestigio sociale e livello locale. In seguito alla guerra del 1788-91 il potere centrale perse il controllo sulle periferie e la situazione divenne sempre più caotica. In questo clima di crescente incertezza, di mancanza di riferimento nel centro dello stato, avvengono diversi distacchi (pieni o parziali) dal modello ottomani; tre in particolare sono i casi: Serbia e Montenegro; greci fanarioti e Grecia; Bosnia. In Serbia l’effetto confine ha indotto una mobilità degli individui attraverso di esso; la porosità della frontiera facilità gli affari ed emerse la figura del mercante ortodosso che ampliò le geografie commerciali sviluppando delle reti. Un forte colpo è dato dall’abolizione del Patriarcato di Pec nel 1776 con l’intento di estendere l’autorità, le cariche, i diritti e quindi le entrate nel patriarcato di Costantinopoli; nel 1767 segue l’abolizione delle prerogative dell’arcieparchia di Ocrida. L’orizzonte del mondo ortodosso era stato segnato dall’ascesa della Russia di Pietro il Grande: durante la guerra tra Russia e impero ottomano, per la prima volta l’autonomia alla Bosnia ed Erzegovina ma il gran visir Midhat pascià rifiutò; allora la Russia dichiarò guerra all’impero ottomano e, dopo una lunga battaglia, le truppe di Istanbul cedettero: il trattato di Santo Stefano impose una grande Bulgaria indipendente, che arrivava a Ocrida e al mar Egeo. Al cancelliere Bismark non andava bene quindi, dopo trattative, venne smantellata (ridimensionata e divisa in tre parti: Bulgaria, Rumelia orientale e Macedonia) venne definita una nuova geografia dei Balcani al congresso di Berlino. L’assetto del 1878 si sarebbe mantenuto fino al 1912: questa fu l’ultima fase ottomana in Europa. L’Austria- Ungheria, nonostante si fosse tenuta lontana dalla guerra, ottenne il diritto di occupare la Bosnia ed Erzegovina; ottenuta la Bosnia, Vienna perseguì una precisa politica balcanica, tramite accordi commerciali e connessioni ferroviarie con la Serbia. Nel 1881 Belgrado siglò una convenzione segreta con l’Austria-Ungheria. Nel 1882 la Serbia si proclamò regno e nel 1888 promulgò una costituzione più liberale e democratica; in politica estera si iniziò a guardare verso la Russia e con Vienna, invece, si giunse alla rottura. La Grecia, a Berlino, non ebbe nulla, se non la possibilità di negoziare con Istanbul un’eventuale acquisizione in Epiro e in Tessaglia: le trattative con l’Epiro si interruppero a causa della contrarietà dei capi albanesi a ogni annessione; sulla Tessaglia si giunse a uno stallo e poi alla minaccia di una crisi bellica nel 1880. La Bulgaria dipendeva dalla Russia in tutto e Istanbul non seppe/volle reagire davanti all’avanzata russa perché voleva evitare il conflitto. Nel 1908 il principe Ferdinando proclamò l’indipendenza da Istanbul della Bulgaria in quanto regno; l’indipendenza politica portò a una stasi che si cercò di compensare con la chiusura doganale e l’orientamento sulla cerealicoltura ma ciò portò ad un indebolimento del mercato interno, a un’economia di basso profilo e all’indebitamento per modernizzare e strutture e apparato militare. Gli Stati di recente indipendenza dovettero affrontare i problemi dell’autogoverno e della subalternità rispetto sia alla Sublime Porta sia alla Russia e all’Austria. La Turchia europea visse dal 1878 al 1908 il dominio del sultano Abdul Hamid II e ci fu un crescente subbuglio tra popolazioni cristiane oppresse e l’immigrazione dei musulmani. Sei erano i vilayet: Adrianopoli, Salonicco, Kosovo, Monastir, Scutari e Giannina. Vivevano slavi macedoni, greci, turchi, armeni, serbi, kutzo-valacchi, tartari, bulgari, albanesi e stranieri. Abdul aveva perseguito una politica religiosa e culturale di risveglio islamico e tutto ciò estremizzò la contrapposizione tra musulmani e cristiani. La situazione degli albanesi vedeva la suddivisione tra una netta maggioranza musulmana, una componente cattolica e una greco-ortodossa; non c’era una lingua comune. Fondamentale fu, nella storia nazionale, la riunione dei capi albanesi del 1878 nella quale fu chiesto il riconoscimento in quanto nazione albanese. Il problema principale dei Balcani era però la Macedonia; qui diverse comunità fino al 1860 si erano identificate con la fede religiosa. Tra gli ortodossi c’era la partizione in patriarchisti (patriarcato di Costantinopoli) ed esarchisti (esarcato bulgaro); la costituzione della Bulgaria accentuò il contrasto tra i due, portando alla spaccatura dell’unità ortodossa. Nel 1894 nacque a Sofia un Comitato supremo per l’autonomia della Macedonia; emersero spinte autonomiste che si tradussero nell’Organizzazione rivoluzionaria interna macedone, il comitato non si dissociava dalla cultura bulgara ma dallo stato. Si formò un’identità nazionale slavo-macedone contraria al regime ottomano. Nel 1903 scoppiò una ribellione nel vilayet di Monastir, seguirono attentati dinamitardi e azioni terroristiche; Russia e Austria-Ungheria formarono un comitato internazionale che limitava la sovranità ottomana in Macedonia, vennero introdotte riforme istituzionali. La Bosnia ed Erzegovina viveva una particolare modernità sotto gli austriaci dal 1878 al 1908; l’Austria-Ungheria aveva accorpato una terra musulmana e ortodossa, ma soprattutto musulmana in ogni sua città. Essa diede l’opportunità alla popolazione musulmana di conservare la propria civiltà ottomana dentro la cornice dell’impero, riconobbero il diritto alla sharia come diritto parallelo al Codice civile. Quest’area fu traghettata senza traumi e senza la feroce deottomanizzazione; ciò nonostante, molti scelsero di emigrare. In Bosnia il governatore Benjamin Kallay tentò di sviluppare un’identità trasversale alle varie componenti proponendo un’identità bosniaca e una cultura letteraria; tutto impregnato di un orientalismo che indicava in che direzione si stesse indirizzando la Vienna imperiale: l’appropriazione dei Balcani. L’annessione della Bosnia ed Erzegovina nel 1908 (piena sovranità austriaca sulla provincia) portò a una crisi internazionale: crebbe l’ostilità tra la popolazione serba (guardava alla propria madrepatria) e nacque la questione jugoslava (ipotesi di uno stato comune per gli slavi del sud). La polveriera balcanica: Le due guerre balcaniche della fine della Belle Époque segnarono il passaggio nella questione d’Oriente; l’espressione “polveriera balcanica” indica proprio questi due conflitti e la conseguenza che portarono: la terza guerra balcanica, tra Austria-Ungheria e Serbia, scoppiata nel luglio 1914 e diventata guerra europea e poi mondiale. Sei Paesi furono coinvolti in queste guerre e sul retroscena troviamo la partita diplomatica giocata tra Triplice Intesa e Triplice Alleanza. Il Novecento si è aperto in Europa con le guerre balcaniche e si è chiuso con le guerre jugoslave. Il rapporto con l’Europa era di completa subordinazione, sia per i governanti sia per i governati della vecchia Rumelia; fu questo il motivo principale che spinse i Giovani Turchi al colpo di stato del luglio 1908. Con l’annessione del 1908 della Bosnia ed Erzegovina all’Austria- Ungheria ci fu la rottura dell’intesa tra quest’ultima e la Russia. Lo scoppio della guerra italo- ottomana del 1911 ripropose la questione d’oriente e aggravò l’instabilità della Turchia europea. Tra la spedizione italiana e la prima guerra balcanica si forma la Lega Balcanica (Serbia, Bulgaria, Grecia, Montenegro), dietro la cui formazione c’è la Russia con lo scopo di intimorire l’Austria-Ungheria ma anche di interferire nelle opportunità economiche e dinamiche interne allo stato ottomano. Il 1908 aveva innescato, inoltre, la questione degli albanesi e delle loro aspirazioni nazionali; una ribellione contro la politica dei Giovani Turchi portò nel 1912 alla nascita dell’Albania Autonoma. Questo però stava per compromettere le ambizioni greche e serbe e, perciò, gli alleati balcanici dichiararono ufficialmente guerra all’impero ottomano: la guerra scoppiò nel 1912 e fu una guerra lampo nella quale Serbia, Bulgaria, Grecia e Montenegro sconfissero nettamente l’impero. Finalmente i tre antichi popoli (serbi, bulgari, greci) erano riusciti ad eguagliare i successi della campagna russa del 1878; l’armistizio fu nel dicembre 1912 e fu indetta a Londra la conferenza di pace. A Istanbul un colpo di stato del 1913 riportò al potere i Giovani Turchi e riaccese la guerra ma essa durò poco e l’impero dovette accettare un secondo armistizio (trattato di pace di Londra del 1913). La Bulgaria durante la prima guerra balcanica non era riuscita a risolvere nessuna delle questioni aperte con gli stati confinanti (greci e serbi) e si era mantenuta rigida; una serie di fraintendimenti e incidenti con le truppe serbe/greche, nelle quali lo stato non intervenne, portarono a una seconda guerra il 30 giugno 1913 nella quale i bulgari vennero sbaragliati dai loro avversari e furono costretti a firmare il trattato di Bucarest con cui venivano sancite le perdite bulgare e la conclusione delle due guerre. Questa seconda guerra preannunciò le future rivalità tra Serbia e Bulgaria, tra la Bulgaria e la Grecia, tra la Serbia e l’Austria-Ungheria. Queste guerre crearono l’illusione che una guerra rapida potesse risolvere i problemi e realizzare le ambizioni politiche; per questo l’Austria-Ungheria decise di consegnare l’ultimatum alla Serbia nel 1914 con l’obiettivo di togliere la questione dei popoli slavi-meridionali dentro e fuori l’impero asburgico con una terza guerra balcanica, ma la fiammata balcanica accese una vera polveriera, la Prima Guerra Mondiale. A lungo venne trascurata l’altra faccia delle guerre balcaniche: le sistematiche atrocità contro i musulmani, gli esodi di intere comunità islamiche, le rappresaglie fra serbi e albanesi, bulgari e turchi, greci e bulgari; a soffrire fu la popolazione. A guerra finita, in un clima di odio e ritorsione, si sperimentò una feroce deottomanizzazione. Il collasso della Turchia europea non fu solo militare, ma anche sociale, demografico, economico e culturale; la drastica cancellazione della dimensione ottomana rimane un trauma da riconoscere e riconsiderare. I piccoli stati balcanici erano sempre stati pedine degli imperi e questo fu dimostrato dalla loro debolezza. La passività delle grandi potenze ancora nel 1912, nonostante il tardivo impegno della Francia, esprimeva la sfiducia e la scarsa considerazione verso questi stati. Sin dall’indipendenza, Grecia, Serbia e Bulgaria vissero all’ombra della politica estera delle potenze. Le pretese territoriali su Macedonia, Epiro, Albania, Kosovo, il sangiaccato e la Tracia, secondo disegni che ispiravano agli imperi, completavano l’avvio alla modernità, intesa come avvicinamento ai modelli europei occidentali. Tutto ciò si saldava con il pragmatismo del XX secolo, ma i sogni ed entusiasmi della prima guerra balcanica lasciarono il posto all’amara seconda guerra, all’insoddisfazione per i trattati di pace, finendo sommersi dai fatti, dalle conseguenze e dalla memoria della Prima Guerra Mondiale. Nei processi di modernizzazione, Serbia, Bulgaria, Grecia e Romania ebbero successo, dal reclutamento, dalla mobilitazione alla formulazione di piani strategici, fino all’uso delle armi, compresi gli aerei; ci fu uno stacco netto nel 1912 rispetto al 1897. I “fronti interni” si rivelarono compatti nell’”essere nazione”, ma anche sufficientemente critici dinanzi alla realtà dei fatti. Un progresso si realizzò e fu accompagnato da un nazionalismo e offuscato dalle violenze, atrocità ed eccidi. I paesi della Lega balcanica videro nelle vittorie del 1912-13 la dimostrazione dell’alto livello raggiunto dalle forze militari e della capacità del sacrificio collettivo per le ragioni della nazione (dopo il 1945 guerre balcaniche viste come una lotta di liberazione). La prima guerra balcanica ebbe una crescente copertura mediatica, di stampa e di editoria, man mano che si susseguirono i successi degli alleati; il conflitto del 1912-13 fu il banco di prova di una moltitudine di inviati di guerra e di un giornalismo libero di narrare operazioni e trame diplomatiche perché ai margini della realtà europea. Tale libertà venne meno con la Grande Guerra, che fu caratterizzata da una stampa inizialmente allineata.
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