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RIASSUNTO Una passione infiammabile: guida allo studio del cinema muto- Paolo Cherchi Usai, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

RIASSUNTO Una passione infiammabile: guida allo studio del cinema muto- Paolo Cherchi Usai

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 19/01/2019

Garbz
Garbz 🇮🇹

4.4

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Scarica RIASSUNTO Una passione infiammabile: guida allo studio del cinema muto- Paolo Cherchi Usai e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Una passione infiammabile Premessa L’epoca del cinema muto va dal 1895 (brevetto del Cinematographe Lumiere) al 1927 (primo film con sequenze parlate e cantate “The jazz singer”, Alan Crosland). Le fotografie in movimento erano già note prima dei fratelli Lumiere (dal 1893) grazie a della particolari macchine che permettevano a una sola persona di vedere, tramite un mirino, una sequenza di pochi secondi. Il crepuscolo del muto inizia con i primi esperimenti sonori di registrazioni sulla pellicola nel 1927 e si concludono nel 1935. I film muti qui considerati sono quelli compresi nel periodo dove, per avere un accompagnamento musicale o dei dialoghi, bisognava che fossero presenti orchestre, cantanti o attori. Il cinema muto sapeva che sarebbe andato verso la sua fine e che, quindi, era di per sé una forma d’arte. Il passaggio al cinema muto provocò oltre alla rivoluzione tecnologica un evento che sconvolse l’industria del cinema e decretò il licenziamento di molte persone, il mutamento del pubblico e i loro modelli di percezione del visibile. Questo portò l’allontanamento dello spettatore dal cinema muto e quindi l’archiviazione di quest’ultimo. Rivisitare i film muti comporta un’identificazione con una sensibilità visiva perduta. 1 che cos’è il film muto La pellicola era prodotta con sostanze organiche instabili. Prima del 1894 vennero ideate delle macchine come il Mutoscope (un cilindro sul quale sono disposti rettangoli di carta di dimensioni variabili con sopra delle fotografie che danno l’impressione di un movimento continuo ad un solo spettatore), ma poi il film ebbe la meglio. La pellicola era composta da una base (supporto), un substrato di gelatina adesivo, un’emulsione (il lato opaco) sensibile alla luce legata alla base alla con un substrato adesivo e costituita da una sospensione di sali d’argento in gelatina. Otre questi 3 stati ce ne possono essere altri 2: una sottile patina di gelatina che protegge l’emulsione e un ulteriore strato che previene la formazione di aloni o l’arricciamento della pellicola. La base dei film fino al 1951 è in nitrato di cellulosa (altamente infiammabile), sostituito poi con l’acetato di cellulosa o in poliestere. Il supporto standard fu il 35 millimetri elaborato nel 1889 da Henry M. Reichenbach per George Eastman. Dotata di 4 perforazioni a profilo vagamente regolare per ciascun fotogramma fu portata alla fama tramite il Kinetoscope di Edison (permetteva di vedere piccoli spezzoni di pellicola). Prima di questo era usato quello dei fratelli Lumiere a profilo circolare. Le dimensioni della pellicola di Edison rimasero invariate fino al 1905 dove base e altezza diventarono dritte e lati e profilo leggermente circolari. Nel 1924 ci fu l’introduzione di due diverse perforazioni, pellicole positive (Kodak standard) e pellicole negative (Bell& Howell). Ci furono vari concorrenti e vittime del 35mm: 1) Mutoscope in 70mm 2) Varie pellicole a 60mm, 63mm, 75mm, 17,5mm, 28mm (concorrente al 35mm) e 9,5mm 3) Macchina da presa Chrono de poche a 15mm nel 1900 4) Eastman Kodak 16mm (Kodascope) poteva essere direttamente proiettata Ci furono vari altri formati ma furono unicamente fasi sperimentali. La pellicola fino a metà degli anni 20 fu in bianco e nero detta ortocromatica perché poteva registrare solo in scale di grigi di certi colori (no il rosso). Venne sostituita dalla panoramica delle Kodak che permetteva di prendere tutti i colori. Su di esse poi si potevano applicare i colori a mano (come nei film di George Melies) ma era un lavoro lungo e ricco di errori, così nel 1906 la Pathé brevettò il pochoir, una colorazione meccanica che utilizzava mezza dozzina di tonalità diverse (le aree colorate erano ritagliate e poi attaccate su copie matrici che venivano appoggiate sulle copie positive. Si pensò anche di colorare la pellicola in modo monocromatico con la tintura (vernice colorata o pellicola già colorata), il viraggio (sale metallico sostituito all’argento) e mordenzatura (immagine trattata con un sale che fissa il colore organico). Le parti scure si coloravano e le parti bianche restavano bianche. Nel 1906 fu inventato il Kinemacolor, veniva posto un disco semitrasparente diviso in due parti (rosso e blu) davanti alla macchina e poi proiettato il film, facendo così mischiare i colori. Nel 1915 venne creata la pellicola Kodachrome che registrava 2 colori e nel 1922 fu girato il primo film a colori (The Toll of the sea) ricavato da due negativi positivi con colori separati cementati uno addosso all’altro. All’inizio il cinema era solo parlato grazie ad attori ed imbonitori che recitavano durante la proiezione, poi arrivò la musica che andava (per le sale più piccole) dal pianoforte o carillon ad un orchestra con cantanti. Edison nel 1889 ideò un modo per sincronizzare un grammofono a cilindro al Kinetoscope (si chiamava Kinephonograph) ma era di brevissima durata. La Pathé presentò nel 1896 un sistema di dischi fonografici sincronizzati alle immagini proiettate (venne persino preferito ad una macchina che registrava immagini e sonoro nel 1906). Nel 1918 venne presentato un impianto di registrazione su pellicola separata da far partire in contemporanea al film, nel 1926 la Fox fuse immagini e voce (esperimenti su varie interviste) e poi, poco dopo, la Warner Brother fece uscire “The jazz singer”. Le proiezioni venivano fatte rigorosamente usando proiettori a mano dove l’operatore doveva adeguare la velocità alla velocità di ripresa. Questa cambiava per la qualità di illuminazione della scena, sensibilità della pellicola, azione compiuta ecc. la velocità standard era tra i 14 e i 18 fotogrammi al secondo (ma la velocità poteva variare da scena a scena). Era anche notevolmente influenzato dall’illuminazione usata: l’era la luce ossieterica (piccolo cilindro di calce viva resa incandescente da una fiamma fatta da ossigeno ed etere), ossidrica (miscela di ossigeno ed idrogeno), ossicalcica (getto di ossigeno e alcool) e acetilene (gas ma troppo debole). Nei proiettori venivano inserite pellicole 35mm dove i fotogrammi misuravano 23mm larghezza e 18mm altezza e in ogni metro erano contenuti 54 fotogrammi. Non è possibile stimare quanti film sono stati girati (circa trentamila) e anche la distribuzione fu molto influenzata dal numero di copie dei film e da dove venivano prodotti. Le pellicole ancora in vita, poi sono soggette alla decomposizione che portano l’itero film, nel giro di un centinaio di anni, a polverizzarsi, prender fuoco oppure marcire (era il nitrato a dare via alla decomposizione, da qui il famoso motto “Nitrate can’t wait”). Comunque le pellicole rimaste possono ancora essere proiettate solo se restaurate e su particolari proiettori simili a quelli dell’epoca. 2 dove si trovano il film? restaurato i film inserendoci anche le musiche ma “snatura” la forma del film in più, molto spesso, i pianisti che accompagnavano le proiezioni improvvisavano per enfatizzare certi momenti. Ma in cineteca la musica non si può sentire e il film lo si può vedere unicamente da soli tramite delle moviole (apparecchiature che ti fanno vedere il film su schermi grandi come fogli F4). Per poter afferrare una bobina non bisogna mai prenderla unicamente per i lati (cadrebbe il centro) o srotolarla (si graffierebbe), bisogna sempre chiedere agli assistenti presenti. Bisogna far procedere il film a 24 fotogrammi al secondo, ma si può andare anche più veloci o far tornare indietro, azionare sempre i comandi con gentilezza, non riavvolgerle il rullo (chiedere all’operatore), se la pellicola si spezza, fermare tutto e chiamare l’operatore, mai utilizzare nastro adesivo per attaccare la pellicola al nucleo, fermarsi sempre prima della fine della bobina e se ci si accorge che la pellicola ha bisogno di un restauro, fermare la visione e chiamare l’operatore (potrebbe prendere fuoco). Per quanto un film appaia completo, molte parti possono non appartenere all’opera originale grazie alla pratica del rimontaggio, ma l’azione più invasiva che si poteva fare ad una pellicola era la sostituzione delle didascalie quando il film veniva rimesso in circolazione. Spesso le didascalie venivano considerate vecchie e quindi sostituite con delle nuove che non centravano nulla con il film, oppure venivano lasciati appositamente degli spazi vuoti per inserire le didascalie in altre lingue. Per capire se le didascalie sono originali o sostituite bisogna avere un buon occhio e tanta esperienza. Non si potrà mai sapere se il fil è completo. La copia, poi, più viene modificata più si allontana dal vero significato della pellicola madre. Le pellicole di nitrato contengono diverse giunture perché la pellicola si è rotta, il contenuto si è alterato o c’era bisogno di un montaggio particolare della scena. Per assemblare di nuovo la pellicola si utilizzarono all’inizio filo per cucire o punti metallici, poi si preferì utilizzare un collante specifico. Le funzioni di questi particolari montaggi erano diverse, Melies, per esempio, lee utilizzava per creare effetti speciali, comparsa o scomparsa di oggetti e persone. Era utile anche per la colorazione della pellicola: essa veniva divisa in diverse parti e, a seconda di che colore doveva assumere la scena, venivano fatti diversi bagni. Per capire se le pellicole unite tra le giunture sono della stessa epoca basta guardarle: se hanno tutte la stessa forma e dimensione sì, altrimenti è frutto della fusione di più pellicole di epoche differenti. Giunture a parte, possiamo considerare altre parti come: 1) Lo spazio tra un fotogramma e l’altro e il suo profilo (variavano da compagnia a compagnia) 2) Le scritte ai lati della pellicola (le compagni ci stampavano su il proprio nome per far sì che non venissero copiate) 3) L’area scura che segna la distanza tra fotogramma positivo e negativo 4) L’ombra che premette di capire se la pellicola è stata ricavata direttamente dal negativo o da una copia 5) Il numero, l’ampiezza e il profilo delle perforazioni 6) Lo spessore della pellicola (variava fino al 1915). A questo punto bisogna fare una scheda di visionatura. Molti studiosi affermano che bisognerebbe ricordare tutto a memoria (come faceva Jean Mitry), ma scrivere è sempre più comodo per ricordare. Bisogna sempre distinguere le informazioni ricavate da una copia e quelle di una fonte dell’epoca. Indispensabile inserire il nome originale del film e il nome con cui è stato catalogato, una data (di solito quella di uscita) e il genere del film. bisogna poi inserire il luogo dove si trova la pellicola (per poterlo far visionare anche ad altri, il formato del film ( per far capire quale esemplare è), la natura del supporto (nitrato o safety per la definizione dell’immagine), la lingua delle didascalie (se è una copia o no), il tipo di apparecchiatura usato per vedere il film, la data in cui si è visto, il numero di rulli rispetto alle bobine della copia completa, la lunghezza e la durata rispetto alla velocità di proiezione, il numero d’archivio, altre scritte sulla pellicola (interpreti, numeri di catalogo, sigle e marchi di fabbrica). Fatto tutto ciò, se è possibile, fare delle foto alla pellicola e catalogarle per poterle studiare anche a casa. Per facilitare studi e ragionamenti è sempre meglio fornirsi di un registratore durante la visione per registrare le eventuali considerazioni. 5 saper vedere il cinema muto Per vedere un film muto bisogna tenere conto di due cose: la “storia interna del film” cioè le alterazioni subite nel corso degli anni e la distanza dalle abitudini cinematografiche degli spettatori di inizio ‘900. I restauri poi, privati o standard che siano, sono andati a cercare l’originalità di ogni film, o seguendo un rigore filologico (si avvicina più che può alla copia originale, magari creando lacune o incomprensioni nella storia) oppure l’effetto spettacolare (magari per migliorare la storia alcune scene e parti sono state riaggiunte o modificate ma andando a manomettere l’autenticità del film). Quali copie preferire? Meglio una copia o bella ed infedele all’originale (es il film “Intolerance” che, dopo aver subito varie modifiche, fu presentato al New York Film Festival e molto apprezzato a differenze delle se copie originali ma incomplete). Comunque, per visionare un film muto restaurato bisogna: 1) Vedere il film non restaurato, 2) Vederlo nella forma più vicina a quella che si ritiene sia stata mostrata per la prima volta 3) Sapere le intenzioni di chi ha modificato il film (passati o presenti) 4) Accettare o respingere l’idea che qualcuno ha modificato un film e lo ha reso qualcos’altro Comunque dobbiamo tenere conto che anche le copie originali non sono originali del tutto, l’originale è in nitrato che poi veniva copiato in varie copie. Quindi gli “originali” di oggi sono le copie degli originali del tempo. Colore, musica, particolari sono andati persi col tempo e, anche inserendoli, vanno a modificare l’originalità del film. Per poter capire realmente un film muto dobbiamo distaccarci dai nostri abituali criteri e avvicinarci a quelli dell’epoca. Per esempio, a inizio secolo si usava l’ellissi per un montaggio più veloce: un’azione iniziava in una scena ma non veniva conclusa nella scena dopo ma si vedevano già i risultati. Tutti i film vengono analizzati e catalogati in modo molto rigido e schematico è ottimo per catalogare i film ma ne va a discapito della loro bellezza e artisticità. Ogni film è un’opera d’arte, non un oggetto da collezione. Ogni volta che si ha tra le mani una pellicola che può portare ad una importante scoperta bisogna: 1) Vedere più possibili pellicole dello stesso film, 2) Mai fidarsi delle informazioni senza aver fatto una ricerca 3) Consultare sempre una copia originale 4) Confrontarsi anche con delle non-fiction dello stesso tempo (molte tecniche venivano prese da lì) 5) Fare attenzione ai tantissimi film ancora senza nome e essere sicuri di quello che si sta facendo per non andare a creare confusioni tra diverse pellicole di diversi film. Un film muto, comunque, non deve essere preso come un oggetto antico, esso è più moderno di quanto si possa immaginare e riscoprirlo con le sue caratteristiche dell’epoca non è solo un passatempo ma un azione di fondamentale importanza per chiunque sia interessato al cinema. Regona 1: se si trova un film in nitrato non proiettarlo ma rivolgersi al più vicino archivio per farlo restaurare. Regola 2: ogni documento d’epoca relativo al cinema muto dovrebbe essere consultato analiticamente piuttosto che selettivamente Regola 3: se un informazione non è precisa diffidarne Regola 4: rispettare le regole delle cineteche Regola 5: le tracce utili per identificare un film non sono la prova conclusiva sulla sua identità Regola 6: è sempre necessario distinguere le informazioni ricavate da una copia o da un originale Regola 7: ogni film è un oggetto unico quindi può solo in parte essere omologato ad altre pellicole con lo stesso titolo Regola 8: la copia originale di un film è un oggetto plurimo, frammentato in diverse copie
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