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riassunto una passione infiammabile - Usai, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

riassunto Una passione infiammabile, Usai

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 22/05/2012

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Scarica riassunto una passione infiammabile - Usai e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! FILMOLOGIA : UNA PASSIONE INFIAMMABILE, Cerchi Usai Questo libro ha lo scopo di introdurre lo spettatore intraprendente alle immagini fotografiche in movimento prodotte durante la cosiddetta epoca del muto. Questa definizione è fatta rientrare nel periodo che va tra il 1895 e il 1927, corrispondenti alle date di brevetto del Cinematographe Lumière. Occorre risalire al 1983 e ancora più indietro, fino alle embrionali apparecchiature per la riproduzione di immagini animate su un supporto sensibile alla luce. Erano macchine che permettevano ad un solo spettatore alla volta di vedere sequenze lunghe una manciata di secondi. Più tardi molte scene furono disponibili alla visione collettiva. Il lungo crepuscolo del muto inizia con gli esperimenti di registrazione diretta al suono su pellicola. È vero che nel 1930 il muto era considerato in Europa occidentale e negli USA, un anacronismo. La presenza o l’assenza di una colonna sonora sulla pellicola non basta a designare l’identità cronologica di un film muto: il cinema sperimentale è stato spesso privo di suono, ma non per questo è omologato ai film delle origini. Alcuni studiosi hanno affermato che il cinema ha subito una trasformazione strutturale, in termini produttivi, stilistici e tecnologici tra il 1919 e il 1917, molto prima che il sonoro apparisse all’orizzonte; la contrapposizione fra il muto e il sonoro ha perduto i caratteri di esclusiva che il senso comune tende ancora ad attribuirle. Il cinema del primo Novecento sapeva di essere muto e si definiva tale nella certezza che la propria natura fosse la componente essenziale di una nuova forma d’arte; a questa certezza si accompagnava la convinzione che la sua condizione primordiale fosse presto o tardi destinata a cessare. Il secondo rilievo è una diretta conseguenza del primo: il passaggio dal muto al sonoro fu, prima che una rivoluzione tecnologica, un evento che sconvolse l’industria del cinema, cioè la vita di decine di migliaia di persone che si trovavano all’improvviso senza lavoro, che dovettero adeguarsi alla nuova realtà o che a questa realtà dovettero la loro fortuna. Da allora il cinema diventa portavoce di una mimesi sottile , capace di modificare l’immaginazione collettiva e di forgiarla. Da allora il muto è diventato oggetto di archeologia e solo raramente di spettacolo: non tanto perché il cinema dei primi trenta anni fosse arretrato in fatto di tecnica, ma piuttosto perché esso sembrava appartenere a una tradizione estinta, indecifrabile ai più. CHE COS’E’ UN FILM MUTO. 1) Supporto La pellicola cinematografica prodotta durante l’epoca del muto è composta quasi esclusivamente da sostanze organiche altamente instabili. Alcune immagini in movimento venivano stampate su supporti diversi dal film: è il caso del Mutoscope , un cilindro sul quale sono disposti dei rettangoli dalle dimensioni variabili; su di essi sono riprodotte delle fotografie che, se osservate in rapida sequenza mediante uno strumento per la visione individuale, offrono l’impressione di movimento continuo. Le sue componenti fondamentali sono: base , detta anche supporto; un sottilissimo substrato adesivo in gelatina; un’emulsione (lato opaco della pellicola) sensibile alla luce, legata alla base mediante il substrato adesivo e costituita di solito da una sospensione di Sali d’argento in gelatina. Oltre a questi tre strati ve ne possono essere altri due: una sottile patina di gelatina, che ha lo scopo di proteggere l’emulsione dai danni meccanici derivati dall’uso del film. La base di gran parte dei film, fino al 1951 è in nitrato di cellulosa, una sostanza altamente infiammabile; da quell’anno il nitrato è stato sostituito dall’acetato di cellulosa e in qualche caso di poliestere. 2) Formati Lo sviluppo commerciale del cinema ha origine dalla produzione di film, con perforazioni sui due lati del fotogramma per il trascinamento meccanico della pellicola, stampati su un supporto flessibile largo 35 mm elaborato nel 1889 da Reichenbach. Questo formato a 35 mm fu considerato il formato standard e tale tendenza fu assecondata dalla società Eastman, le cui pellicole per macchine fotografiche erano larghe 70mm: era sufficiente tagliarle nel senso della lunghezza per ottenere un supporto dalle dimensioni desiderate. A questo tipo di pellicola, adottato ufficialmente nel 1909, è legata la fortuna del cinema come spettacolo di massa. La pellicola a 35 mm è dotata di 4 perforazioni a profilo vagamente rettangolare, per ciascun fotogramma. Dal 1905 al 1924 le perforazioni delle pellicole negative e positive diventarono più grandi e il loro profilo fu ridisegnato : base e altezza diritte, lati a profilo leggermente circolare. La fortuna del 35mm non è priva di alternative, concorrenti e vittime illustri: • pellicole a 70 mm prive di perforazioni laterali • alcune pellicole a 60 mm con 4 perforazioni ai lati del fotogramma. • Il formato Veriscope a 63mm che presenta cinque perforazioni per fotogramma su ciascun lato. • Il primo formato alternativo al 35mm che incontrò una certa fortuna per l’eccellente qualità dell’immagine, fu il 28 mm, introdotto dalla Pathè nel 1912. 3) Colore La pellicola in bianco e nero prodotta fino alla metà degli anni Venti, detta ortocromatica, era sensibile ai raggi ultravioletti, violetti e blu e poco sensibile alle radiazioni gialle e verdi ; il rosso non impressionava affatto l’emulsione al bromuro d’argento. La pellicola pancromatica, elaborata alla fine del 1912 dalla Kodak Company per conto della Gaumont e sensibile a quasi tutte le radiazioni visibili dello spettro , fu dapprima utilizzata sporadicamente a causa del suo alto costo. Nel giro di 4 anni, la pellicola pancromatica divenne tuttavia il supporto preferito dalle grandi compagnie di produzione; era meno sensibile alla luce ma consentiva finalmente di riprodurre una gamma di grigi intermedi assai più vasta. “vuoto” è la storia interna del film: storia dei luoghi che l’hanno ospitato, delle persone che l’hanno conservato più o meno consapevolmente; è anche la storia delle modifiche intervenute nel corso del tempo sull’oggetto, storia della sua progressiva autodistruzione e della sua definitiva scomparsa prima che l’opera abbia potuto essere sottoposta a restauro. La pellicola in nitrato di cellulosa sulla quale erano stampati quasi tutti i film dell’epoca del muto non è , infatti, soltanto infiammabile. È anche deperibile: non può essere utilizzata oltre ad un limitato numero di proiezioni e la sua durata ottimale non supera a quanto pare i cento anni. Gli archivi del film si stanno adoperando per trasferirla su supporti più durevoli : ma è una lotta impari, resa ancora più drammatica dall’enorme quantità di materiale da restaurare e da limiti endemici di tecnologia e di risorse economiche. Non appena prodotto, il supporto comincia a decomporsi anche nelle migliori condizioni di conservazione. Nel corso di tale processo la pellicola sviluppa diversi gas, soprattutto anidride nitrosa, che combinata con l’acqua contenuta nella gelatina e con l’aria forma acido nitroso e acido nitrico. Questi acidi corrodono i Sali d’argento dell’emulsione distruggendo l’immagine e il supporto che ne reca le tracce, fino al totale dissolvimento della pellicola. La pellicola si restringe ed emette un forte e pungente odore, mentre l’immagine svanisce e la base assume una colorazione brunastra. Nella fase estrema del decadimento, il film è ridotto ad una grossa pastiglia biancastra o addirittura a polvere. Un film in decomposizione può bruciare anche a temperature basse, fino a 41 gradi. Non c’è alcun modo per spegnere le fiamme: la pellicola sprigiona infatti ossigeno che alimenta l’incendio e anche sotto un getto d’acqua, di sabbia o di acido carbonico. In Italia la proiezione di film in nitrato è illegale, non dobbiamo mai tentare di esaminare pellicole in nitrato se non abbiamo a disposizione le apparecchiature adatte. Regola num 1 : in caso di ritrovamento di un film in nitrato, non bisogna tentare di proiettarlo! Occorre invece rivolgerci al più vicino archivio del film, che avrà cura di preservarlo in condizioni di sicurezza e, se necessario, di restaurarlo. Proprio perché fragilissime e rare, le copie d’epoca non possono essere proiettate. Una pellicola restaurata deve essere vista su un supporto il più possibile analogo a quello d’origine. Da ciascun esemplare viene ricavato un negativo d’archivio. La pellicola a 35 mm è utilizzata per la duplicazione di film realizzati in altri formati. Molti archivi hanno deciso di riprodurre i film muti a colori su pellicola in bianco e nero, con l’eccezione dei casi in cui si ritiene che il colore eserciti un ruolo fondamentale nella comprensione e nel giudizio estetico dell’opera. La tecnologia attuale non è ancora riuscita a escogitare un supporto in grado di riprodurre con assoluta fedeltà la trasparenza e i colori del nitrato. Per quanto simile all’originale, una copia safety può tuttavia presentare difetti che non dipendono dall’esemplare d’epoca ma dal modo in cui esso è stato manipolato e poi duplicato, come ad esempio: il doppio interlinea (il fotogramma è attraversato nel senso della larghezza da una linea opaca) , stretching ( procedimento che consente la proiezione di film muti alla velocità di 24 fotogrammi al sec) , quadro tagliato (la riproduzione di ciascun immagine effettuata eliminando le aree periferiche del fotogramma originale, allo scopo di inserirvi una colonna sonora), alterazione del contrasto (dovuta ad una ristampa in accurata o effettuata allo scopo di migliorare la qualità della copia d’origine). CAPITOLO II. DOVE SI TROVANO I FILM? All’inizio degli anni Quaranta il patrimonio del cinema muto sembrava ridotto a una congerie di frammenti trascurati dalla cultura ufficiale e lasciati marcire nei depositi. Le poche eccezioni si devono a singoli individui che, hanno posto le basi delle collezioni oggi consultabili nelle cineteche. Erano tempi in cui si faceva una gran fatica a convincere gli intellettuali che il cinema era una forma d’arte, e che i film dovevano essere considerati con lo stesso rispetto che si deve ad una piece teatrale, ad un dipinto o ad un’opera d’arte. L’obiettivo di oggi è quello di raccogliere pellicole ovunque, depositarle da qualche parte e farle sopravvivere in un modo o nell’altro , proiettarle. I collezionisti sono una specie notturna, che detesta la pubblicità e che preferisce a volte perire con i propri averi, piuttosto che abbandonarli ad un’impersonale struttura. I responsabili delle cineteche e i loro collaboratori non basterebbero, da soli, a setacciare tutti i depositi e le vecchie case in cui giacciono le ultime bobine in nitrato. Perciò è un bene che intorno a loro, vi sia questo esercito di esploratori. All’epoca la FIAF era composta da 80 membri, ventisei dei quali in veste di osservatori. Le cineteche che vollero o furono in grado di partecipare al progetto furono 33. Quanti siano i lungometraggi non possiamo saperlo, almeno ufficialmente, ma una stima ragionevole potrebbe avvicinarsi a circa sei mila titoli per apparire verosimile. In più dobbiamo considerare i materiali conservati presso le cineteche che non hanno partecipato al progetto: nel 1988 erano una cinquantina, ma da allora il numero degli aderenti alla FIAF è notevolmente aumentato e crescerà ancora. Le istituzioni aderenti alla FIAF possiedono circa 30.000 film del periodo muto. Le cineteche italiane conservano titoli della produzione americana, francese, tedesca e scandinava in misura sufficiente a soddisfare i bisogni fondamentali di documentazione. Sufficiente non vuol dire ottimale: poiché gli archivi di ciascun paese offrono di solito al ricercatore un’ingente quantità di pellicole prodotte entro i confini nazionali. La più grande fra queste istituzioni è la già citata Federation international des Archives du Film e quasi tutte le cineteche più grandi del mondo ne fanno parte. La FIAF nasce a Parigi nel 1938 e ha costituito la formalizzazione di una tendenza che per lungo tempo era dispersa in correnti eterogenee e finalmente coagulata in struttura grazie agli sforzi di Iris Barry, John Abbot, Henry Lanlois nel nome dei seguenti obiettivi comuni: *coordinare le attività delle istituzioni che si dedicano alla salvaguardi del film *incoraggiare la raccoltà e la conservazione di materiali attinenti le immagini in movimento * favorire la creazione di archivi di film nei paese che ne sono privi. * sviluppare la cooperazione fra le cineteche. Nell’anno di fondazione, la FIAF erano composta da 4 membri : Brlino, Londra, Parigi e New York; con il tempo le istituzioni che vi hanno aderito sono notevolmente aumentate. La situazione italiana Nel nostro paese esistono cinque cineteche aderenti alla FIAF e numerose collezione private di medie e piccole dimensioni. Le cineteche italiane aderanti alla FIAF sono localizzate in 5 regioni tutte del centro- Nord: Piemonte, Lombardia, Friuli, Emilia Romagna e Lazio. Museo Nazionale del Cinema: è il primo archivio italiano del film in ordine di fondazione. Creato a Torino nel 1941 da Maria Adriana Prolo, e dotatosi dello statuto di associazione culturale nel 1953, il Museo rappresenta a pieno titolo la “ memoria storica” dell’attività cinetecaria nel nostro paese. Il suo prestigio è dovuto sopratttutto alla spettacolare collezione di oggetti e apparecchiature precedenti l’invenzione del cinema. Sono quasi duemila, perlopiù introvabili in qualsiasi altra cineteca. Cineteca Italiana: tutto è cominciato grazie a Ligi Comencini e Mario Ferrari, il cui fondo di film è tuttora il nucleo della collezione. La cineteca italiana è nata ufficialmente nel 1947 ed è oggi il principale deposito di film realizzati in Italia durante i primi tre decenni del secolo, il più consistente nella FIAF insieme all’archivio di Amsterdam. Cineteca Nazionale: fondata a Roma nel 1949 come emanazione del Centro sperimentale di cinematografia, la Cineteca Nazionale è un servizio pubblico autonomo che ha il compito di raccogliere tutte le pellicole soggette a deposito legale prodotte in Italia. La specialità della collezione è il cinema del secondo dopoguerra ma dispone anche di una vasta gamma di titoli appartenenti al cinema muto. Cineteca comunale di Bologna: è una delle nuove arrivate nel congresso FIAF (1989). Esiste dal 1967 ed è stata rifondata nel 1974, dopo un breve periodo formativo, si è affermata come una fra le più intraprendenti in materia di acquisizioni, didattica e restauro. La cineteca organizza annualmente la mostra Internazionale del Cinema Libero, ideata nel 1960 da Zavattini. La cineteca di Bologna è anche l’unica in Italia a disporre di un laboratorio di restauro funzionante all’interno dell’istituzione. Il fondo di pellicole, 5.000 film all’inizio del 1990, è in rapida crescita e contiene materiale dell’epoca muta, non reperibile altrove. Cineteca del Friuli: è nata a Gemona nel 1977 ed entrata nella federazione alla fine del 1989. La cineteca del Friuli è la prima in Italia ad aver infranto il tabù della segretezza degli archivi, portando tale gesto di rottura alle estreme conseguenze con l’ideazione delle giornate del Cinema Muto, nate a Pordenone nel 1982 dall’incontro fra Cinepolare, un cineclub locale e alcuni storici del cinema. Le origini della cineteca spiegano anche che la parola d’ordine in vigore è : mostrare. capitolo. La nostra lettura degli studi più complessi dal punto di vista analitico non ci deve indurre ad assumere nei loro riguardi un atteggiamento di passiva deferenza. Possiamo fare a meno di molti libri che cercano di ricostruire la storia delle immagini in movimento, ma non possiamo rinunciare a sapere chi ha fatto quali film, quando ciò è accaduto, dove e per conto di quale compagnia di produzione. Ogni epoca storiografica ha avuto la filmografia che si meritava: ciascuna con le proprie ambizioni di completezza, i propri interrogativi lasciati irrisolti, i propri metodi di raccolta. La prima in ordine cronologico è la filmografia culturale, concepita allo scopo di rafforzare con un sommario apparato informativo le affermazioni di coloro che si erano assunti il compito di riscoprire o rivalutare un attore misconosciuto. Le filmografie preparate a tale scopo verso la fine degli anni Trenta non avevano nessuna pretesa di scientificità. Meno effimeri furono i risultati conseguiti grazie alla filmografia analogica realizzata copiando il più diligentemente possibile i listini di produzione delle società. La precisione della filmografia era infatti basata sulla cura nel riprodurre i dati d’origine. Passò qualche anno, e altri due modelli filmografici emersero con prepotenza. Il primo è il progetto di una filmografia universale, il cui completamento si rivelò ben presto utopistico ma che ebbe il merito di chiarire finalmente l’ampiezza del compito che attendeva gli storici del cinema. L’altro modello era la filmografia autoriale, cresciuta all’ombra delle riviste francesi di cinema degli anni Sessanta. La differenza consisteva principalmente in un’ambizione scientifica dichiarata in termini qualche volta apodittici ma non per questo meno salutare. Di fronte a qualsiasi filmografia che non dice da dove provengono i dati, occorre comportarsi analogamente a come ci si comporta con tutte le fonti secondarie e diffidare. Dalla nostra filmografia potenziale dobbiamo chiederci cosa vogliamo ottenere: • il titolo del film con tutte le sue eventuali varianti • i nomi di chi ha partecipato alla loro realizzazione • i nomi della compagnia di produzione e di distribuzione • la lunghezza del film • un breve ma preciso riassunto della trama • la data. Qualcuno si attende alla data di produzione del film, altri indicano la data in cui il film è stato sottoposto agli organi di censura. C’è infine la data che i paesi anglosassoni chiamano di release cioè di pubblica distribuzione, corrispondente di solito alla data della prima proiezione pubblica. CAPITOLO IV LAVORO SULLA COPIA Il lavoro in cineteca comporta un accordo sui diritti e doveri reciproci del ricercatore e dell’archivista. Entrambe le parti devono far si che il momento della consultazione del film contribuisca a una migliore conoscenza dell’opera e alla salvaguardia materiale. L’archivista è una persona pagata per incrementare, proteggere, valorizzare e divulgare il patrimonio della cineteca. Il ricercatore deve tener presente i limiti finanziari entro i quali ogni cineteca si trova ad agire, ma questo non significa che l’archivista sia autorizzato a rendere la vita impossibile al visitatore ben intenzionato. Se la cineteca è pubblica, chi ne è responsabile si assume l’impegno di assolvere una specifica funzione al servizio della comunità. Se è privata è probabile che essa riceva sovvenzioni pubbliche per funzionare. Può darsi che vedere un film costi di più ma a maggior ragione chi paga deve essere trattato con rispetto e spirito di collaborazione e non come un intruso. Il visitatore metterà bene in chiaro che egli è pienamente consapevole dei propri doveri, e che egli ha tutta l’intenzione di rispettarli. Le richieste devono essere formulate in maniera semplice e chiara; l’ideale è una lista di film ordinati alfabeticamente per titolo, con alcune informazioni filmografiche di base: la data, la compagnia di produzione, il regista. L’archivista non è un ricercatore al servizio dell’utente: prima di rivolgersi alla cineteca si deve essere il più possibile sicuri di quel che si vuole. Gli oggetti che l’archivio mette a nostra disposizione devono essere trattati senza mettere in pericolo l’integrità. Le richieste di film e di materiali correlati devono essere misurate alle forze dell’archivio presso il quale si ha l’intenzione di lavorare. Se i materiali sono sottoposti a restrizioni di carattere legale riguardanti l’accesso a persone esterne alla cineteca, conviene non insistere affinché ll’archivista infranga gli accordi stipulati con detentori dei diritti o con i collezionisti che hanno depositato le loro copie. Lo studio delle copie originali in nitrato richiede una certa esperienza e abilità manuale. I film in nitrato non sono disponili al ricercatore per evidenti motivi di sicurezza dell’utente e delle copie stesse. I risultati della ricerca dovrebbero essere messi a disposizione dell’archivio, per uso interno di chi lavora. Siamo dunque di fronte alla pellicola, e vogliamo esaminarla, se ciò è consentito, diversi oggetti ci saranno utili ( guanti di garza, lente di ingrandimento, un micrometro, una tabella comparativa e una o più tabelle degli edege codes) Molti archivi possiedono anche un microscopio a sorgente di luce fredda, con il quale si scoprono dettagli altrimenti invisibili sullo schermo e talvolta rivelatori dell’identità del film e del suo stato di conservazione. Come si guarda un film muto? Il proiettore in questione è per lo più attrezzato a mostrare film recenti e presenta quindi un mascherino diverso da quello utilizzato all’epoca del muto. Ci si accorgerà subito dello sbaglio in fase di proiezione, qualora le teste e i piedi dei personaggi sono così distanti dalla macchina da presa e che i margini non appaiono integralmente sullo schermo. Meno semplice è far si che la velocità di proiezione sia adattata ai movimenti dei personaggi sullo schermo. La velocità standard è 24 fotogrammi al secondo ed è il risultato di una lunga evoluzione che ebbe termine proprio al crepuscolo del muto. Prima di allora la velocità era di 16 fotogrammi al secondo. C’è infine la musica, che era quasi sempre parte integrante dello spettacolo cinematografico nell’epoca del muto e che molte cineteche affidano a grandi orchestre, complessi da camera, suonatori d’organo e pianisti. Alcune cineteche hanno restaurato film muti registrando su di essi una colonna sonora nella speranza di allargare così il raggio della distribuzione commerciale di film altrimenti condannati a una circolazione limitata. Il dibattito si divide fra i “puristi”, secondo i quali non ha senso mostrare un film che non rispetti lo spirito originario dello spettacolo, e i “riformatori”, che sono disposti ad accettare qualsiasi soluzione purchè i film ne escano valorizzati. Quando ci troviamo di fronte alle copie safety di consultazione, l’assistente ci spiegherà come far passare il film attraverso gli ingranaggi della visionatrice. La visionatrice è dotata di un comando che permette l’avanzamento della pellicola alla velocità standard di 24 fotogrammi al secondo. Quasi sempre lo stesso comando permette anche l’avanzamento veloce. Maggiore è la velocità con la quale passa attraverso gli ingranaggi della macchina, maggiore è il danno che subisce. Se dobbiamo andare avanti e indietro con una certa frequenza durante la visionatura di un rullo di pellicola è bene azionare il comando con gentilezza. La prima trappola è davvero insidiosa: per quanto un film appaia completo, alcune sue parti possono non appartenere all’opera “originale”, essendo state inserite per una successiva distribuzione della pellicola o addirittura prese a prestito da altri titoli. Distributori, proprietari di locali e protezionisti tagliavano, incollavano, rimaneggiavano pellicole per svariati motivi : l’effetto drammatico di un episodio era giudicato debole e si riteneva necessario renderlo più consono alle aspettative del pubblico; un intervento di censure rendeva intelligibile una sequenza, e occorreva perciò ricucirne il tessuto narrativo. Il più delle volte si pensava che le didascalie fossero invecchiate ma quelle nuove non avevano nulla a che fare con quelle eliminate. Al posto delle didascalie si vedranno a volte due linee incrociate che partono dagli angoli dei fotogrammi. Questo tipo di didascalie vengono chiamate flash title e sono comuni nelle copie destinate alla distribuzione al di fuori del paese di origine del film. Distinguere le didascalie originali da quelle rifatte in età successiva e da quelle ricostruite in archivio richiede, oltre ad un occhio attento alle grafie e agli stili, una conoscenza approfondita delle copie sulla cui autenticità non vi è alcun dubbio. Gli archivi più avveduti cercano di riprodurre le didascalie utilizzando gli stessi caratteri tipografici degli originali; noteremo le differenze solo perché il testo non apparirà con lievi graffi e difetti di stampa tipici di una didascalia integra. A questo punto ci chiediamo se il film è completo ma più ci avviciniamo all’origine della copia, più il concetto di copia completa, conforme all’originale, perde il proprio significato fino a divenire il simulacro di una patetica illusione. Un film non è mai del tutto finito: intorno ad esso ci sono sempre, in un modo o nell’altro, “lavori in corso”. Per quanto riguarda il cinema muto, gli operai hanno quasi sempre lasciato diverse tracce del loro passaggio, ed è possibile interpretarle. Una copia originale in nitrato contiene di solito diverse giunture, prodotte per almeno tre motivi:
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