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Riassunto Valutazione della qualità nei servizi per l'infanzia, Dispense di Pedagogia Sperimentale

Riassunto del libro VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ NEI SERVIZI PER L'INFANZIA. Sistemi e strumenti. Restiglian, 2020. Esclusi paragrafo 2.3 e dal 2.5 in poi

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 14/08/2023

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Scarica Riassunto Valutazione della qualità nei servizi per l'infanzia e più Dispense in PDF di Pedagogia Sperimentale solo su Docsity! Valutazione della qualità nei servizi per l’infanzia Sistemi e strumenti Emilia Restiglian Presentazione Il vasto campo di implicazioni entro cui il termine "qualità" è divenuto terreno di azioni normative e progettuali rivolte all'ambito scolastico e la questione ha coinvolto sin dagli anni Novanta anche i servizi educativi per l'infanzia. Andando per ordine, per quanto attiene all'ambito della scuola, al termine di un percorso che affonda le sue radici nella legislazione sull'autonomia e nella legge 28 marzo 2003, n. 53 (riforma Moratti), il D.P.R. 28 marzo 2013, n. 80, ha istituito il Sistema nazionale di valutazione (SNV), evidenziando la finalità <<del miglioramento della qualità dell'offerta formativa e degli apprendimenti» (art. 1) e articolando il procedimento valuta- tivo in quattro fasi: 1. autovalutazione; 2. valutazione esterna; 3. azioni di miglioramento; 4. rendicontazione sociale (art. 6). L'articolazione dei quattro punti del processo evidenzia, dunque, l'intento di valutare le scuole all'interno di una logica non tanto premiale e/o sanzionatoria, quanto piuttosto volta a favorire una progettualità mirata al miglioramento, a partire da processi partecipativi e riflessivi che tengano conto di tutti gli attori coinvolti. La successiva direttiva 18 settembre 2014, n. 11, nel ribadire le finalità della valutazione, fortemente connesse alla dimensione della qualità, ha sottolineato il ruolo che in ogni scuola dovrebbe avere il Rapporto di autovalutazione (RAV), inteso come occasione di verifica e riflessione in chiave di riprogettazione di azioni trasformative tali da consolidare «l'identità e l'autonomia della scuola, rafforzando le relazioni collaborative tra gli operatori e responsabilizzando tutta la comunità scolastica nel persegui mento dei migliori risultati». L 'offerta di uno strumento pensato per la crescita delle scuole. Anche la C.M. 21 ottobre 2014, n. 47, ha specificato che tutto il processo di valutazione deve favorire <<un 2 coinvolgimento attivo e responsabile delle scuole, fuori da logiche di mero adempimento formale», fissando tutte le scadenze che - a breve e a lungo termine - avrebbero scandito il processo di valutazione dall'anno 2014-15 in poi. La valutazione può essere in serie, prima esterna e poi interna; può essere anche, sempre in serie, prima interna e poi esterna; infine, può essere in parallelo con le due forme di valutazione condotte contestualmente. Partire dalla valutazione interna significa fornire agli osservatori esterni un quadro già selezionato della situazione, facilitando la focalizzazione e la condivisione di più suggerimenti commisurati alle reali necessità del contesto. Adottare in primis il punto di vista interno può consentire di porre le basi per un approccio sistemico alla qualità secondo una prospettiva olistica che implichi, innanzitutto, il riconoscimento da parte di chi opera in situazione dell'importanza della gestione dei processi e la capacità di collegare e integrare tale approccio con altre dimensioni significative, quali ad esempio: la promozione e la valorizzazione delle competenze professionali interne ed esterne, l'innovazione organizzativa, lo sviluppo di know-how innovativo e la capacità di cogliere anticipatamente i bisogni dell'utenza diretta (bambine e bambini, ragazze e ragazzi) e indiretta (famiglie e comunità). È possibile rintracciare un nesso significativo tra le questioni poste pensando alla scuola e quelle relative ai servizi per l'infanzia ora integrati come zerosei secondo le disposizioni del recente D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 65. Infatti, l'attenzione per la qualità nei servizi per la prima infanzia, agli esordi in particolare negli asili nido, ha permesso sin dalle prime esperienze di scoprire la complessità di questa istituzione che, superata la sua funzione esclusivamente assistenziale, si configura sempre più come luogo di educazione in continuità verticale, ma anche come spazio di crescita per le famiglie e per la comunità in un'ottica di animazione socio-culturale. Si può affermare che il principio di qualità si basa sul presupposto che esista la possibilità di migliorare e ottimizzare vari aspetti, puntando a una maggiore soddisfazione, nonché responsabilizzazione, di tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo. Un concetto di qualità "dinamico", affinché la sua realizzazione sia intesa come obiettivo multi-prospettico, da raggiungere attraverso un'attività di osservazione sapiente e continua dell'organizzazione, delle risorse, dei processi didattici e delle situazioni contestuali che contraddistinguono un'effettiva relazione sinergica tra risultati ed esiti educativi. Per gli educatori e gli insegnanti, orientarsi in un'ottica di qualità richiede capacità e competenze non solo strumentali in riferimento alla valutazione, ma anche strategiche per quanto riguarda la realizzazione di una relazionalità socio-costruttiva nei confronti dei vari stakeholder, affinché si apra un significativo e dialogico orizzonte di negoziazione su ciò che è parimenti complesso, ossia il costrutto di "qualità percepita". 5 D.Lgs. del 13 aprile 2017, n. 65, Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015, n. 107 (detta "Buona Scuola"). Alla base del sistema integrato ci sono ricerche che confermano l'importanza di gettare le basi per lo sviluppo delle potenzialità di ogni bambino, in particolare dei bambini provenienti da situazioni culturali e sociali svantaggiate, per cercare di contrastare tale situazione (OECD, 2017). Il sistema integrato, come nel caso della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per le persone con disabilità, è una norma che è stata voluta fortemente dal basso, da associazioni come il Gruppo nazionale Nidi e Infanzia, da Comuni e Regioni che da tempo lavorano in un'ottica di continuità e confronto tra nidi e scuole dell'infanzia. La sentenza della Corte costituzionale del 22 novembre 2016, n. 184, e l'esito del referendum del 4 dicembre dello stesso anno hanno di fatto riconfermato la tradizionale attribuzione di competenze al sistema Regioni-enti locali che, al di là di una consolidata giurisprudenza costituzionale che riconosce ai sistemi educativi 0-6 anni un preminente significato educativo, e non meramente assistenziale, non ha aiutato la costruzione di un sistema integrato. La sentenza ha chiarito nello specifico che la definizione di standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l'infanzia e della scuola dell'infanzia, diversificati in base alla tipologia e all'età dei bambini e agli orari di servizio, è di competenza delle Regioni. Il D.Lgs. 65/2017, in qualche modo, ha acceso i riflettori sulla questione. Pur non occupandosi direttamente di qualità, tale decreto richiede attenzione verso una serie di aspetti che costringono nidi e scuole a confrontarsi e a comprendere la loro identità entro una visione pedagogica basata sul riconoscimento della centralità del bambino nei processi di apprendimento. Ancora oggi però è diffusa l'idea che sia sufficiente "custodire" i bambini quando sono piccoli. L'accesso indiscriminato negli anni ai ruoli di educatore di nido e di insegnante di scuola dell'infanzia da parte di persone non preparate, accesso non ancora terminato, non ha favorito né sostenuto processi di qualità nei servizi per l'infanzia. L'università la si considera un requisito di base che poi deve essere "agganciato" a un conte- sto lavorativo altrettanto aggiornato. Se questo non accade, il servizio per l'infanzia sarà un luogo di riproduzione culturale rigido, ancorato a modalità di lavoro ripetitive, che non tengono conto dei bisogni (e dei diritti) dei bambini. Aggiungiamo a questo la preoccupazione costante di "preparare" i bambini al grado educativo successivo. Vediamo, infatti, educatori preoccupati di preparare il bambino all'ingresso nella scuola dell'infanzia e insegnanti concentrati sulla continuità con la scuola primaria. Tali approcci coincidono essenzialmente con l'abituare il bambino a rimanere seduto e fermo, a completare schede predisposte o a svolgere compiti ripetitivi. Le persone che si preoccupano di questo non hanno una professionalità forte. Difficile parlare, in questo caso, di qualità dei servizi per l'infanzia. 6 È vero che anche nei nidi e nelle scuole dell'infanzia si parla di congruenza tra obiettivi e risultati (efficacia) e tra risorse e risultati (efficienza), di organizzazione del lavoro e di formazione delle risorse umane. È difficile, però, trasporre l'ottica della qualità di ambito aziendale, legata alla soddisfazione del cliente, nei servizi alla persona. I clienti di nidi e scuole sono i bambini, ma essendo piccoli ci sono naturalmente anche le famiglie. Inseguire la soddisfazione dei soli genitori, infatti, può essere fuorviante. Al centro dovrebbe esserci l'idea secondo cui nido e scuole sono luoghi di educazione e cura del bambino. 1.2 Cenni di storia della qualità In Giappone il consenso attribuito a Deming fu così ampio che venne istituito un premio (premio Deming) per chi si fosse distinto nello studio (ricercatori) o nell'applicazione (aziende) delle teorie statistiche. I premi nazionali o internazionali per la qualità hanno consentito di diffondere la cultura della qualità, soprattutto alla fine del secolo scorso, favorendo l'emergere di buone pratiche e stimolando il miglioramento continuo. La qualità dei processi e della produzione aveva infatti permesso di realizzare prodotti migliori a costi inferiori rispetto al mondo occidentale. A partire dagli anni Cinquanta vengono introdotti concetti e modalità per la gestione d'impresa come il ciclo Plan- Do-Check-Act (PDCA), i "circoli della qualità" e alcuni strumenti statistici. Il ciclo PDCA, conosciuto anche con il nome di "ruota di Deming", è un metodo usato per controllare e migliorare la qualità dei processi aziendali, ottimizzando l'interazione tra progettazione, produzione, vendita, controllo e riprogettazione. Si divide in quattro fasi che formano un processo ciclico: Plan (pianificare le azioni per migliorare un prodotto o un processo); Do (eseguire quanto pianificato, raccogliendo informazioni); Check (controllare e studiare i risultati ottenuti); Act (agire sulla base di quanto appreso). In seguito comincia a farsi strada il concetto di qualità intesa come soddisfazione del cliente, spostando il focus dal produttore al consumatore e alimentando la tendenza a offrire un prodotto sempre più di qualità a un prezzo più alto. A partire dagli anni Settanta si sviluppa il Total Quality Management (TQM), che prevede il controllo sul processo produttivo da parte del lavoratore, al quale vengono affidate più mansioni e non solo un compito su cui specializzarsi. Si diffonde quindi la convinzione che, senza questo tipo di controllo, difficilmente si possono ottenere prodotti privi di difetti o imperfezioni: nella competizione per la conquista del mercato, la risorsa umana fa la differenza, in quanto nessuno conosce meglio il lavoro di chi lo fa tutti i giorni. La gestione totale della qualità ha come presupposto che tutti i lavoratori 7 siano convinti dell'importanza della qualità, ponendosi in un'ottica di miglioramento costante, anche come arma competitiva nel mercato globale. Nel caso di nidi e scuole dell'infanzia, gli stakeholder sono i destinatari (bambini e famiglie), il personale, lo Stato, i Comuni e gli enti locali. Uno degli aspetti più interessanti del TQM è la gestione per processi, intendendo per processo una sequenza di attività logicamente interconnesse, finalizzate a un obiettivo specifico. Ciascun processo comprende un input in ingresso, un fornitore interno o esterno che accoglie l'input, un output in uscita e i clienti, interni o esterni, che sono i destinatari dell'output. Un processo comprende anche risorse (materiali o immateriali), vincoli, regole e opportunità. Altro nodo centrale del TQM è il miglioramento continuo come strategia che invita a «ripercorrere continuamente il cammino tracciato migliorandolo perché, dato che la realtà muta con continuità, non è possibile adagiarsi sul successo acquisito e stare a guardare: occorre continuare ad impegnarsi con intensità crescente». Lo strumento principale per realizzare il miglioramento continuo è il ciclo PDCA, citato in precedenza. Si affianca al TQM, pur non essendo a esso equivalente, il sistema di certificazione della qualità, e cioè l'insieme delle norme europee e mondiali di certificazione delle aziende. È verso la fine degli anni Settanta che si sente l'esigenza di unificare la normativa, per arrivare nel 1987 alla pubblicazione del primo standard sulla gestione della qualità, ISO 9000, da parte dell'International Organization for Standardization (ISO). In Italia vengono divulgate nel 1994 con la sigla UNI EN ISO 9000. Le norme costituiscono i requisiti minimi che un sistema aziendale deve possedere per garantire al cliente il livello di qualità concordato o atteso in modo affidabile e permanente. L'applicazione delle norme ISO, può portare anche a un'eccessiva burocratizzazione che scoraggia l'innovazione e il miglioramento continuo. Infine, le norme non garantiscono di per sé la qualità, ma assicurano solo che quanto scritto nel documento venga rispettato. La letteratura distingue un concetto plurale di qualità a partire da una molteplicità di punti di vista che sono il risultato dell'interazione tra chi offre un servizio e chi lo riceve (utente): la qualità attesa, la qualità progettata, la qualità erogata e la qualità percepita. Facendo riferimento esplicito a un servizio educativo si può affermare che: ● la qualità attesa riguarda l'utente e rappresenta ciò che ci si aspetta di trovare quando si sceglie un determinato nido o scuola. Viene ancor prima che l'utente si informi sulla struttura e può essere espressa o meno (esplicita o implicita); ● la qualità progettata riguarda il servizio ed è relativa al pensiero e alle intenzioni del servizio (offerta educativa e formativa) rispetto all'offerta rivolta all'utente. Viene prima dell'erogazione del servizio; 10 il confronto tra differenti idee, prospettive ed esperienze e che non poteva essere ridotto a un'operazione prescrittiva. Il lavoro della Rete è confluito nella definizione di "40 obiettivi di qualità" che i servizi per l'infanzia degli Stati membri avrebbero dovuto raggiungere nei successivi dieci anni, ma che purtroppo non sono stati conseguiti. Secondo l'approccio della Rete (Commissione europea, 1996, p. 7): ● la qualità è un concetto relativo, fondato su sistemi di valori e convinzioni; ● la definizione della qualità è un processo di per sé importante, in quanto offre l'opportunità di mettere in comune, analizzare e comprendere meglio i valori, le idee, le conoscenze e l'esperienza prodotta nel settore; ● tale processo dovrebbe essere caratterizzato da una partecipazione democratica, con il coinvolgimento di diversi gruppi di soggetti ● le esigenze, le opinioni e i valori di questi gruppi non sempre coincidono; ● la definizione della qualità deve essere concepita come un processo dinamico e continuo, che comporta valutazioni e aggiornamenti periodici, senza mai giungere a una risposta conclusiva e "oggettiva". La qualità è, quindi, un percorso frutto di una scelta ragionata e condivisa che può essere rivista sistematicamente, in quanto la sua definizione è destinata a restare provvisoria e a cambiare con il mutare dei tempi e con l'evoluzione dei contesti. Nella scuola dell'infanzia italiana degli anni Novanta ci sono due elementi che hanno contribuito alla diffusione di procedure di valutazione e di autovalutazione: la sperimentazione ASCANIO e l'introduzione della Carta dei servizi. ASCANIO (Attività sperimentale coordinata avvio nuovi indirizzi organizzativi) ha coinvolto un buon numero di scuole nel territorio nazionale dell'anno scolastico 1994/95, in seguito all'in troduzione degli orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali (D.M. 3 giugno 1991), consentendo di costruire modelli organizzativi coerenti con il nuovo profilo culturale disegnato dagli orientamenti e di anticipare i processi di realizzazione dell'autonomia scolastica, nel quadro della riforma complessiva delle istituzioni educative (riordino dei cicli), La Carta dei servizi viene introdotta nel 1995 (D.P.C.M. 7 giugno 1995) nelle scuole di ogni ordine e grado. Le tematiche toccate dai "40 obiettivi di qualità" erano piuttosto ampie: formazione del personale, finalità educative, finanziamento dei servizi e loro valutazione. Si trattava di obiettivi che perseguivano fini quantitativi legati all'espansione dei servizi, tra cui l'impegno di «sforzarsi per fornire, entro il 2010, conformemente ai modelli di offerta di cure, un'assistenza all'infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l'età dell'obbligo scolastico e per alme no il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni». 11 Nel 2011 la situazione sembra addirittura peggiorare per alcuni Stati membri. Ci si era resi conto, infatti, di come i tagli alla spesa pubblica, portati avanti da alcuni paesi, avessero di fatto ridotto il numero di servizi per l'infanzia e abbassato il livello di qualità, con un conseguente inasprimento delle disuguaglianze sociali. È la comunicazione 66, Educazione e cura della prima infanzia: consentire a tutti i bambini di affacciarsi al mondo di domani nelle condizioni migliori (COM/2011/66), il documento che sintetizza al meglio l'idea della qualità dei servizi come elemento fondante per sviluppare pienamente le potenzialità di ogni bambino, in particolare di quelli provenienti da contesti sociali svantaggiati. La Commissione europea, consapevole dei limiti delle azioni intraprese, riprende e diffonde una serie di studi pedagogici, psicologici, sociologici ed economici che dimostrano come i servizi per l'infanzia possano promuovere il successo formativo e ridurre le disuguaglianze nel lungo periodo. La comunicazione 66/2011 ha evidenziato come l'educazione e la cura della prima infanzia (Early Childhood Education and Care - ECEC) costituiscano la base essenziale per il buon esito dell'apprendimento permanente, dell'integrazione sociale, dello sviluppo personale e della successiva occupabilità. Se il ruolo dei servizi per l'infanzia è complementare a quello centrale della famiglia, l'impatto per il bambino risulta profondo e duraturo, tanto da non essere paragonabile a quello di provvedimenti presi in fasi successive. Tra i documenti più recenti che affermano questo c'è quello dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (OECD, 2017). Il documento fa riferimento esplicito, ad esempio, ai risultati delle prove internazionali PISA (Programme for International Student Assessment) e PIRLS (Progress in International Reading Literacy Study), che dimostrerebbero in modo chiaro come la partecipazione a iniziative ECEC di elevata qualità porti a conseguire in tali test risultati notevolmente superiori sulle competenze di base. PISA è un'indagine internazionale promossa dall'OCSE. La settima edizione del 2018 ha coinvolto 79 paesi. Per ogni ciclo triennale di PISA viene approfondito un ambito particolare: PISA 2018 ha posto al centro della valutazione la competenza di lettura. Lo studio IEA PIRLS è un'indagine internazionale promossa dall' Interna- tional Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA): avviata nel 2001 e proposta con cadenza quinquennale, ha come principale obiettivo la valutazione comparativa dell'abilità di lettura di bambini al quarto anno di scolarità". Molto citato è il lavoro dell'econometrista James Heckman, premio Nobel nel 2000, l' "equazione di Heckman". L'equazione illustra il fatto che quanto più gli interventi vengono attuati in fasi precoci dello sviluppo del bambino, tanto più producono risultati. La comunicazione 66/2011, inoltre, tra le proposte avanzate per la cooperazione tra gli Stati membri a livello di politiche ECEC, suggerisce di trovare un giusto equilibrio tra elementi cognitivi e non cognitivi nel programma di studi; di sviluppare politiche per attirare, formare e trattenere in ECEC personale adeguatamente qualificato; di assicurare la garanzia di qualità, 12 attraverso ad esempio la progettazione di contesti pedagogici armoniosi e ben coordinati, coinvolgendo le parti interessate. Le aree principali di intervento definite dalla comunicazione 66/2011, rispetto alle quali orientare le azioni di cooperazione tra gli Stati membri al fine di migliorare l'accesso e la qualità dei servizi per l'infanzia da o a 6 anni, sono così riassunte da Lazzari (2015, p. 84): ● creazione di servizi inclusivi ad accesso universale; ● progettazione di curricoli efficaci che rispondano ai bisogni di apprendimento e di socializzazione ● incremento delle competenze del personale che opera all'interno dei servizi per l'infanzia ● identificazione di forme di finanziamento efficaci ed eque che garantiscano l'accesso ai servizi per l'infanzia ● elaborazione di forme di governance che prevedano una solida collaborazione tra le politiche afferenti ai diversi settori di cui i servizi per l'infanzia sono interlocutori Nel marzo 2012 è stato istituito un gruppo di lavoro tematico sull'educazione e cura dell'infanzia, sotto il coordinamento della Direzione generale educazione e cultura della Commissione europea. Il gruppo ha adottato una specifica metodologia di lavoro, il "metodo aperto di coordinamento", che si fonda sull'apprendimento reciproco tra pari, partendo dall'identificazione e dall'analisi critica delle iniziative politiche che hanno contribuito ad aumentare in modo significativo l'accesso ai servizi all'infanzia e a migliorare la qualità in ambito educativo, per poi definire raccomandazioni in grado di supportare l'azione dei politici e del personale dei servizi. Il gruppo di lavoro ha messo a punto un documento, Proposal for Key Principles of a Quality Framework for Early Childhood Education and Care, dove nella prima parte vengono presentate alcune condizioni che possono contribuire a realizzare e ad assicurare una qualità elevata nei servizi, nonostante la mancanza di una definizione di qualità condivisa a livello internazionale. Tali condizioni sono: la qualità strutturale, la qualità di processo e la qualità degli esiti formativi. Anche le organizzazioni sanitarie possono essere descritte come il risultato dell'interazione tra queste tre componenti. ● La qualità strutturale si riferisce alle norme e all'organizzazione dei servizi ● La qualità di processo si riferisce alle pratiche attuate nel servizio, compresi il gioco, le relazioni tra gestori e famiglie, tra bambi- ni e adulti e tra bambini, l'integrazione tra pratiche di cura e pratiche educative, l'attuazione quotidiana del progetto pedagogico e il coinvolgimento dei genitori nella vita del servizio. 15 Se intendiamo la valutazione come un processo partecipato, non possiamo esimerci dall'introdurre il concetto di autovalutazione. Quando si parla di autovalutazione si fa riferimento alla possibilità che la valutazione venga svolta per proprio conto, in modo autonomo. Se si parla di autovalutazione in un servizio educativo, si intende il processo di attribuzione di valore e di giudizio da parte degli operatori al proprio contesto lavorativo. Si tratta di attivare le proprie capacità e risorse per leggere e riflettere sulla propria azione educativa e sulle dimensioni che compongono il proprio ambito di lavoro, al fine di autocorreggere e autoregolare le azioni stesse. Il termine è a volte sostituito con quello di "valutazione interna" Zanelli (1998), afferma che la pratica valutativa consente di controllare l'operatività in modo retroattivo grazie al feedback, che permette di utilizzare l'informazione sui risultati ottenuti per introdurre aggiustamenti correttivi nella pratica. L'eterovalutazione, detta anche "valutazione esterna", è l'azione del dare valore e del giudicare il servizio da parte di persone esterne, ad esempio i fruitori del servizio stesso o anche i soggetti deputati a rilasciare autorizzazioni al funzionamento, accreditamenti o certificazioni. Laddove non venga utilizzata in modo complementare alla valutazione interna, la valutazione esterna può essere percepita come controllo, e di conseguenza potrebbe essere rifiutata o osteggiata dal personale. La valutazione nei nidi e nelle scuole dell'infanzia permette di far emergere la "pedagogia latente", ovvero «l'insieme delle pratiche, delle regole, delle abitudini, delle routine, degli avve- nimenti, delle attività e delle usanze caratteristiche di un certo contesto che, pur essendo del tutto soggette a deliberazione cosciente da parte degli agenti educativi, hanno comunque una ricaduta formativa sui bambini che in tale contesto, o meglio da tale contesto, sono chiamati ad apprendere». Sono aspetti che vanno al cuore del lavoro di educatori e insegnanti. Strumenti di valutazione di contesti educativi e formativi. Non si tratta più di pensare alle pratiche di valutazione di profitto degli allievi, ma di «giudicare la scuola nella totalità e nella complessità degli elementi che la costituiscono per verificare l'efficacia delle soluzioni organizzative e formative adottate e per rendere trasparenti i processi che la attraversano e la guidano». Si tratta di strumenti che pongono in rilievo indicatori e standard di riferimento, partendo dai «requisiti minimi che devono essere garantiti per assicurare lo star bene di utenti ed operatori, per giungere a livelli di eccellenza relativi comunque alla fisionomia peculiare di ogni servizio, alla sua storia in una realtà circoscritta». Valutare in senso educativo significa «usare strumenti scientificamente rigorosi per raccogliere informazioni su un dato evento, attivare un processo dinamico che a) postula l'interpretazione dei dati stessi sulla base degli strumenti di cui si è detto, 16 b) mira ad un impatto sulla situazione di partenza che implica un'azione, un cambiamento, un miglioramento, una decisione innovativa. Gli strumenti che vengono presi in considerazione sono vere e proprie scale di valutazione che definiscono una determinata realtà considerata come un modello, facendo riferimento ai vari aspetti che la compongono e alle relazioni tra gli stessi. Tali aspetti rappresentano gli elementi essenziali del contesto scuola. La valutazione formativa accompagna il processo di apprendimento nel suo svolgersi per correggerlo e migliorarlo in alcuni aspetti rendendolo adatto all'utente. La valutazione sommativa, invece, si colloca al termine di un certo apprendimento o programma c mira a controllare e verificare i risultati attuando di fatto una rendicontazione dei risultati raggiunti. Qualche anno dopo i termini sono stati trasposti nella valutazione degli apprendimenti. La trasposizione ha reso la valutazione formativa la principale soluzione metodologica per differenziare e individualizzare gli itinerari didattici, facendo in modo di fornire feedback e successivo recupero in caso di risultato non raggiunto. Da quel momento la valutazione formativa si è arricchita di specificazioni aggettivali (valutazione dinamica, regolativa, autentica, trasformativa) che l'hanno resa un concetto più dinamico, tanto da arrivare alle definizioni di valutazione per l'apprendimento (o a sostegno dell'apprendimento) e di valutazione dell'apprendimento, in sostituzione di valutazione formativa e sommativa. I termini in inglese sono formative assessment e assessment for learning e summative assessment e assessment of learning. La valutazione formativa è «una forma di valutazione che ha luogo "in itinere", nel corso del processo di qualificazione pedagogica del servizio o della realtà educativa, al fine di migliorare e innovare il servizio stesso dopo averne osservato le realizzazioni e le pratiche e dopo aver riflettuto e discusso sulle finalità che un gruppo di lavoro si è dato e sugli obiettivi che intendeva raggiungere. Mentre la valutazione sommativa sarebbe finalizzata a formulare “un giudizio finale sulla capacità dimostrata da una certa realtà educativa nell'assolvere i compiti che le sono stati affidati e gli obiettivi che essa si è riproposta. La trasposizione del ragionamento dal contesto più ampio a quello dei servizi educativi viene fatta da Cipollone (1999) collegando la valutazione sommativa all'esigenza di giungere a forme di certificazione della qualità. Si tratta di un controllo della qualità che viene affidato per lo più a figure esterne al servizio, prevalentemente a tecnici della valutazione, spesso a cadenze prefissate. La valutazione formativa, invece, ha a che fare con i processi di consapevolezza rispetto al proprio sé professionale, all'esplicitazione delle idee che fondano il lavoro con i bambini, dei parametri di qualità che si ritengono realizzabili e di ridefinizione del proprio lavoro sulla base degli esiti del processo valutativo stesso. 17 La valutazione è la «raccolta sistematica e interpretazione dei dati che conduce come parte integrante del processo ad un giudizio di valore che mira all'azione». Sono richiamate le categorie di orientamento al futuro, tramite un'azione migliorativa e di rinnovamento. Il concetto di giudizio di valore era già stato espresso da Barbier quando affermava che «si ha valutazione quando ci troviamo in presenza di operazioni che hanno per risultato un giudizio di valore sulle attività di formazione» e che la «valutazione è un atto deliberato e socialmente organizzato che si concretizza in un giudizio di valore» e non solo attività implicita o spontanea. Semeraro definisce la valutazione come «un processo complesso di attribuzione di significato, attraverso giudizi di valore a fatti, eventi, relazioni; si tratta di un processo complesso proprio perché qualsiasi oggetto da valutare è caratterizzato da complessità, collocandosi in una rete di interdipendenza». Alunni, insegnanti, personale ATA, dirigenti scolastici, amministratori, cittadini, insegnanti di ordini scolastici precedenti e successivi e rappresentanti del mercato del lavoro possiedono punti di vista diversi, perché hanno formazione, interessi, valori e aspettative diversi. Per questo motivo la qualità non è un concetto assoluto, bensì relativo. La qualità come concetto relativo è una tesi ripresa anche da New quando la definisce "dinamica" e "relativa", superando l'idea di compromesso/amalgama «di risposte a fattori diversi e complessi all'interno di un contesto di elementi storici e ideologici». Tognetti pone l'accento sulla necessità di considerare la dimensione soggettiva della valutazione della qualità, in quanto costruzione sociale «legata al processo di comunicazione e confronto fra i diversi attori sociali». Se si intende considerarla all'interno del processo di governo del sistema dei servizi, non si può prescindere dal rendere il concetto esplicito, condiviso, relativo, multidimensionale e osservabile. Per fare questo bisogna: definire le dimensioni che connotano il concetto, altrimenti non si riesce a comunicare l'idea di valutazione agli altri; condividere una serie di dimensioni; incrementare e modificare aspettative e conoscenze; scomporre le dimensioni individuate, definendo un insieme di regole di giudizio costruite su indicatori, e rendere il giudizio comunicabile. L'efficienza riguarda il rapporto tra i risultati raggiunti e le risorse impiegate, mentre l'efficacia concerne il raggiungimento degli obiettivi e si articola in interna ed esterna. L'efficacia interna «riguarda il raggiungimento degli obiettivi organizzativi, prescindendo in ogni caso dai reali cambiamenti prodotti sui beneficiari, mentre l'efficacia esterna riguarda il reale cambiamento che il programma (o il servizio) ha realizzato». 20 ● la limitazione delle risorse; è una caratteristica dei servizi alla persona, in cui c'è sempre pochissimo tempo, pochissimo personale e pochissima disponibilità economica. Un elemento interessante legato al concetto di qualità è l'innovazione, frutto della ricerca della qualità. L'innovazione si articola in processi di verifica e di valutazione che, nella loro dimensione, promuovono qualità. In questo modo «un'innovazione di qualità non dipenderebbe dall'attrattività, dalla funzionalità o dalle proprietà dell'oggetto specifico che la innesca, bensì dalla qualità del (nuovo) progetto pedagogico del nido che ne scaturisce». Sarebbe, quindi, il progetto pedagogico la componente fondamentale della qualità di un servizio educativo. Esistono alcuni criteri cui associare domande-guida specifiche per la valutazione della qualità dell'innovazione. Tali domande-guida si inseriscono nella logica aperta e contestuale già descritta: soddisfano una logica di possibilità (e non di necessità), hanno un ordine non gerarchico (e quindi variano da progetto a progetto) e fanno riferimento al contesto, ai motivi e ai valori del nuovo progetto pedagogico. Parlare di qualità significa introdurre metodi imparziali e trasparenti di valutazione, che consentono di sostituire i giudizi personali, riducendo il bisogno di conoscenza e di responsabilità personale. Esiste la concezione positivistica secondo cui il mondo esterno può essere conosciuto tramite la misurazione e sulla convinzione che il ricercatore sia in grado di adottare una posizione obiettiva e neutrale rispetto all'oggetto di indagine, separando i fatti dai valori. Alla base vi è l'assunto che ci sia “un'entità o essenza di qualità, che è una verità conoscibile, obiettiva e certa che attende là fuori di essere scoperta e descritta». Il "discorso sulla qualità" ricerca la certezza applicando unmetodo scientifico, che consente di tendere a universalità, stabilità, normalizzazione e standardizzazione (criteriologia). Indicare criteri di qualità spetta in questo caso a esperti. Uno strumento adeguato riuscirebbe a “ridurre la complessità e la diversità dei prodotti misurati (ei contesti all'interno dei quali essi esistono ed operano) ad un numero limitato di criteri misurabili di partenza, che possano poi essere introdotti in una serie di punteggi numerici”. Ne deriva una scarsa attenzione al processo. Nei servizi all'infanzia non si parla di consumatore o di cliente, ma di utente, spesso anzi di utenti. Effettivamente, la focalizzazione su una sola persona trascurerebbe la questione dell'utilità pubblica di servizi di questo tipo e delle responsabilità che la politica assume nei confronti della collettività. Se ipotizziamo che un servizio di qualità sia tale quando soddisfa le esigenze di tutti i consumatori e della comunità più in generale, possiamo aggiungere che la definizione di qualità dovrebbe emergere di conseguenza da un dialogo con la comunità 21 stessa entro un contesto politico e sociale specifico e contestualizzato. Questo approccio postmodernista viene definito "discorso della costruzione del significato", che si posiziona in quanto tale nell'incontro con gli altri (ibid.). I richiami sono chiaramente al costruzionismo sociale e a un'idea di apprendimento come processo di costruzione sociale per mezzo del quale diamo un senso al mondo. Lo scopo è quello di costruire il significato partendo dalla pratica e riconoscendo che ci possono essere più interpretazioni, senza cercare di ricondurre la pratica entro categorie precostituite in modo categorico. In questo modo vengono accolte la complessità, la diversità, la soggettività, le prospettive e i punti di vista altrui, fino a giungere a una riconcettualizzazione del termine stesso di qualità. I due approcci non possono essere considerati alternativi in quanto fondati su posizioni differenti. Non avrebbe senso, quindi, cercare di capire quale sia il migliore, quanto piuttosto riconoscerne e comprenderne i limiti, i rischi, i presupposti e i valori. 1.5 Valutazione formativa e partecipata Un gruppo di ricercatori di Pavia ha messo a punto l'approccio del "valutare-restituire-riflettere-innovare-valutare". L'approccio parte dalla definizione di valutazione come «accertamento intersoggettivo di più dimensioni formative e organizzative di un contesto educativo e indicazione della loro misurabile distanza da espliciti livelli considerabili ottimali da un gruppo di riferimento, in vista di un'incidenza concreta sull'esperienza educativa». La definizione è stata messa a punto nell'ambito di un progetto che fa capo al Servizio nazionale per la qualità dell'istruzione. La definizione delle ricercatrici evidenzia il carattere pragmatico, e quindi pratico e concreto, della valutazione, che ha un impatto sul contesto oggetto di valutazione, esaminato e giudicato nelle sue diverse dimensioni, utilizzando processi intersoggettivi collegati a un gruppo di riferimento e raccogliendo dati che vengono confrontati con determinati standard (i livelli espliciti considerati ottimali). Il confronto viene considerato attendibile in quanto i valori di riferimento sono condivisi e la misurazione avviene in modo rigoroso. L'approccio ha una funzione essenzialmente formativa. La funzione formativa ingloba anche l’ empowerment evaluation, con lo scopo di promuovere processi di consapevolezza e autodeterminazione nelle organizzazioni, in modo che la valutazione possa diventare parte integrante del lavoro di progettazione di ogni intervento educativo. Grazie allo sviluppo dell'empowerment evaluation, i soggetti apprendono a valutare e a formulare i loro obiettivi in modo più consapevole e autonomo, negoziando con gli altri valori, obiettivi e significati del processo di valutazione. 22 Nell'approccio pavese la valutazione formativa assume un ulteriore valore educativo in quanto il processo attivato ha funzione trasformativa, «inducendo una modificazione di atteggiamenti, fornendo l'opportunità di acquisizione di capacità e conoscenze, arricchendo e articolando l'esperienza dei partecipanti relativamente all'oggetto che si è andati a valutare, promuovendo un processo "a spirale" di formazione continua». Oggetto della valutazione è una particolare realtà educativa e più precisamente: una realtà complessa (agenzia, istituzione, servizio), situata e specifica, caratterizzata da una finalità educativa. Può essere un asilo nido, una scuola dell'infanzia, un istituto comprensivo, un centro per le famiglie ecc. Per essere valutato l'oggetto deve presentarsi in una forma organizzata, se non proprio istituzionale: finalità, responsabili, destinatari, operatori devono essere riconoscibili. La valutazione è rivolta in modo particolare alla qualità intrinseca di un servizio educativo, più che agli aspetti gestionali e/o organizzativi, pur nella consapevolezza che le due dimensioni si possono influenzare l'un l'altra. Gli autori dell'approccio giungono a individuare in modo più preciso l'oggetto della valutazione nel contesto educativo come «insieme delle risorse materiali, umane e simboliche che un'istituzione o un'agenzia organizza e mette in gioco allo scopo di produrre una ricaduta formativa», e lo offrono ai destinatari dell'intervento educativo e formativo. Ciò che viene valutato è l'offerta formativa di una scuola nella sua interezza, l'ambiente fisico, le relazioni interne ed esterne all'aula, il lavoro quotidiano con i bambini e le strategie adottate, il curricolo e il pensiero pedagogico dell'istituto, la riflessione sull’ intenzionalità educativa, che si esplica in ogni gesto e in ogni scelta. Sono importanti altresì anche le componenti organizzative dei nidi e delle scuole dell'infanzia, quali ad esempio l'organizzazione dei bambini e dell'orario di educatori e insegnanti, la divisione dei compiti e dei ruoli. Ciò che viene valutato deve costituire un "modello". Si precisa che gli indicatori sono di solito espressi in forma quantitativa e derivano da aree di studio come quella economica e sociologica. In ambito educativo si considerano indicatori alcuni dati quantitativi relativi a fenomeni educatori, come il tasso di dispersione scolastica, e questo fin dai lavori OCSE degli anni Novanta per consentire il monitoraggio dei sistemi educativi. Gli indicatori servono in questo caso a descrivere una realtà educativa e a porla a confronto con altre a livello nazionale e internazionale. Se tramite gli indicatori arriviamo a fornire un giudizio su una certa realtà, allora questi ultimi possono essere concepiti come criteri che consentono di misurare tali obiettivi. Gli indicatori vengono concepiti nel percorso descritto sopra come suggerimenti e orientamenti rispetto a uno standard sulla base del quale giudicare l'accettabilità o meno delle situazioni reali, accertando lo scarto tra il piano dell'essere "livello di qualità raggiunta" e quello del "dover essere" come livello di qualità auspicata. 25 che rilevi il consenso del gruppo rispetto ai criteri proposti nello strumento. La metavalutazione, letteralmente "valutazione della valutazione", è la riflessione critica sul processo di valutazione che consente di migliorare la valutazione stessa. 7. Valutazione-bilancio dell'esperienza. Avviene a conclusione del processo e prevede la restituzione dell'intera esperienza valutativa al gruppo di lavoro. Il giudizio è sempre guidato da valori, aspetto nuovo questo perché fino a quel momento la valutazione era sempre stata considerata indipendente dalla dimensione valoriale. Al valutatore viene chiesto di essere giudice e di possedere nozioni sia tecniche che descrittive, ma questo non si è rivelato facile. Secondo la più recente valutazione di quarta generazione, la realtà (o le realtà) è costruita e, quindi, si modifica nel tempo per forma e contenuto a seconda delle persone (o gruppi di persone) e dei contesti considerati. La valutazione è dunque un processo sociale mutevole in cui i valutatori entrano in relazione. ⚠Qualità relativa, e non assoluta.⚠ Tra i principi di tale valutazione c'è la negoziazione, alla cui base si pone la collaborazione e, quindi, l'inclusione degli stakeholder nel processo di valutazione stesso. La negoziazione è utile per mettere assieme diversi punti di vista e prospettive, includendoli in un'azione percorribile. Viene ribadita l'importanza del contesto come insieme complesso di aspetti che entrano in reciproca relazione tra di loro, elementi concreti e aspetti simbolici, senza che sia possibile pensare di indagare la qualità utilizzando criteri, strumenti e procedure validi per realtà che non hanno una mission educativa. È il contesto a essere oggetto di valutazione. La negoziazione e il confronto servono per definire la quali tà intrinseca di un servizio o di una scuola e sono al contempo la "posta in gioco" per tutti coloro che ritengono che il benessere di un'istituzione sia costituito dai valori e dagli obiettivi formativi. L'empowerment evaluation presentata in precedenza trova nella revisione dell'approccio un ulteriore approfondimento per quanto riguarda il ruolo del "valutatore-formatore". Nei processi di valutazione formativa richiamati, ogni partecipante (stakeholder) viene invitato a mettere in luce la sua esperienza in modo che possa essere confrontata con la realtà oggetto di valutazione, ma anche con le proprie idee e i propri convincimenti, così da far emergere un'esplicitazione dell'implicito. Per fare questo è necessario un valutatore-formatore in grado di sostenere i partecipanti nel processo di autoregolazione, che porta alla propria autorealizzazione, facilitando la rimozione delle barriere che ostacolano il contatto della persona con i propri vissuti e con la consapevolezza delle proprie aspirazioni (Rogers, 1970), oltre che sollecitando le capacità e le risorse, pena la mancanza di evoluzione del gruppo dal punto di vista progettuale. Deve anche saper lavorare sulla "zona di sviluppo prossimo", così come definita da Vygotskij (2004), vale a dire un'area 26 in cui il soggetto può lavorare, con il supporto di una persona più capace, per raggiungere l'autonomia o acquisire ulteriori competenze. Il ruolo del valutatore-formatore è quello di "promuovere dall'interno" processi di valutazione formativa. Viene definito come esterno alla realtà oggetto di valutazione, della quale ignora la storia o gli elementi fondanti: è persona esperta di realtà educative e di valutazione, in quanto conosce gli strumenti valutativi disponibili (e i valori/criteri su cui si fondano) e li sa comunicare. Un attore sociale anche lui coinvolto nella dinamica con il gruppo di lavoro, formato dagli operatori interni, con il compito di: ● assumersi la responsabilità dell'intero processo ● garantirne lo svolgimento secondo modalità democratiche e dialogiche: significa fare in modo che tutti i partecipanti al processo di valutazione possano esprimere il loro punto di vista, sollecitando il confronto ● promuovere la funzione riflessiva e formativa della valutazione: significa presentare al gruppo di lavoro, prendendo come riferimento la struttura e la filosofia dello strumento utilizzato, i dati raccolti, le concordanze e le divergenze emerse, nonché avviare la discussione sui punti critici 1.6. La certificazione di qualità "Qualità" è un vocabolo di uso comune, ma è anche un termine al quale il mondo della produzione prima e dei servizi poi hanno attribuito un significato tecnico specifico. Importante aspetto settoriale legato al controllo, è diventata, a partire dagli anni 2000, una componente essenziale per il mercato. Il significato intrinseco del termine "qualità" porta con sé una certa complessità che tocca aspetti etici, deontologici, morali, filosofici. la qualità di un prodotto o di un servizio è rappresentata da quelle peculiarità che gli permettono di soddisfare le aspettative del soggetto che lo utilizzerà. Il livello di qualità deve poi essere raggiunto non in modo episodico, ma ininterrotto nel tempo. si parla di "sistema qualità", proprio perché tutte le figure (di un'azienda, di una cooperativa ecc.), a diverso titolo, sono fortemente coinvolte nei processi tesi a migliorare sempre più il livello qualitativo del proprio operato. La qualità non riguarda solo gli aspetti tecnici, ma presenta altresi connotati di tipo organizzativo e di tipo economico-gestionale che sono determinanti per la fluidità dei processi. 27 Dal punto di vista deontologico, possiamo dire che procedere secondo l'ottica della qualità, tanto nelle produzioni quanto nei servizi, significa procedere secondo l'applicazione sistematica del buon senso, della correttezza, delle normative cogenti. È importante non dimenticare che quando parliamo di servizio ci riferiamo, in particolare nel caso del presente lavoro, ai "servizi alla persona". L'ambito dei servizi alla persona prevede l'esecuzione e/o l'erogazione di molteplici attività lavorative nelle quali avviene la fornitura di un servizio che implica una relazione diretta con il cliente/utente/fruito- re. Nella maggior parte dei casi, quando si parla di servizi alla persona ci si riferisce alle seguenti aree: servizi socio-sanitari; servizi sociali; servizi assistenziali; attività associative; attività di educazione e formazione; attività di turismo, ospitalità e tempo libero. Rammentiamo che per servizi sociali, educativi, assistenziali, sanitari ecc. si intendono tutte le attività relative alla predisposizione e all'erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento; ricordiamo inoltre che, con la legge quadro 8 novembre 2000, n. 328, sono state poste le basi per la realizzazione di un sistema integrato di servizi e interventi socio-assistenziali ed educativi, ma soprattutto è stato introdotto il riconoscimento di un ruolo attivo dei soggetti privati, in particolare del privato sociale, comunemente denominato terzo settore; il terzo settore (per lo più rappresentato da cooperative, enti, fondazioni, associa-zioni di volontariato et similia) si occupa non solo della gestione dei servizi stessi, ma anche della programmazione e della realizzazione degli interventi. Nasce così l'impresa sociale, una struttura economica e organizzativa che, pur mantenendo la capacità di attivare meccanismi di solidarietà e di reciprocità, è in grado di agire anche sul libero mercato. E poiché, come già detto sopra, il mercato è un ambito, per sua stessa definizione, concorrenziale, molte cooperative scelgono di certificarsi ISO per avere un vantaggio competitivo rispetto alle cooperative non certificate. Quanto sopra espresso ci introduce all'interno del mondo del non profit, nel quale le cooperative sociali hanno, per prime, sviluppato e sperimentato il modello organizzativo basato sulla certificazione di qualità. In Italia, soprattutto al Centro-Nord, si è assistito a un notevole aumento di cooperative sociali di tipo A o di tipo B (la cooperativa di tipo B si distingue perché prevede che al proprio interno, nel ruolo di lavoratori o anche solo di soci, vi siano persone portatrici di svantaggi come: persone con disabilità, ex carcerati, ex tossicodipendenti ecc.) che si occupano di servizi alla persona o che operano nel mondo dei servizi sociali, socio- sanitari, educativi e formativi. Va chiarito che non vi è alcun obbligo a certificarsi e che si tratta di una libera scelta. Nel 1994 sono state emanate alcune norme (le norme UNI EN ISO serie 9000) che contengono i 30 L'azienda dovrà dimostrare di essere in grado di seguire le procedure predisposte dal consulente insieme a essa e di utilizzare una documentazione che dia evidenza della corretta applicazione di tali procedure. La verifica viene svolta da un gruppo di valutazione, normalmente composto da due, massimo tre persone, sulla base di un programma inviato in anticipo all'azienda (circa dieci giorni prima). Il team di verifica controlla il manuale della qualità, le procedure, i processi, la documentazione, e accerta la coerenza tra quanto espresso a livello progettuale e quanto effettivamente posto in essere dai lavoratori. Al termine il gruppo di valutazione si riunisce per discutere e stila il rapporto di verifica, che evidenzia le eventuali situazioni di non conformità riscontrate: in questo caso viene richiesto all'azienda di adottare opportune azioni correttive, fissando i termini per la loro attuazione e per la comunicazione all'ente. La "non conformità" altro non è che il mancato soddisfacimento da parte del sistema qualità di un requisito o una deviazione rispetto alle norme di riferimento. In relazione alla loro gravità, le non conformità possono essere classificate come "maggiori" o "minori". Quando il team di certificatori rileva una non conformità, suggerisce diverse modalità per la verifica delle azioni correttive e chiede all'organizzazione di applicarle e di dimostrare che la non conformità è stata risolta. Il gruppo di valutazione presenta quindi alla direzione l'esito della verifica ispettiva, in base al quale raccomanderà o meno all'apposito comitato di certificazione dell'ente il rilascio del certificato. Non dimentichiamo che, in caso di gravi non conformità non risolte, l'ente certificatore può anche decidere di sospendere l'iter di certificazione. Una volta ottenuta la certificazione ISO 9000, arriva la parte più difficile che consiste nel mantenimento e nel miglioramento del sistema qualità. L'organismo di certificazione, di lì a poco (dopo circa un anno), tornerà per verificare il buon funzionamento del sistema e per essere certo che il percorso compiuto dall'azienda non sia stato fatto per salvare le apparenze o per avere un marchio di qualità da esibire, ma perché realmente crede in queste procedure. Il certificato ha normalmente una validità di tre anni che però è subordinata all'esito positivo delle visite periodiche di sorveglianza che avvengono, come detto, annualmente. Se si fallisce, il rischio è quello di vanificare tutte le fatiche e le spese sostenute, ma soprattutto di perdere quell'opportunità che sta portando in Europa numerose aziende. Certificazione UNI 11034. La norma UNI 11034, "Servizi all'infanzia", si presenta come strumento di garanzia in merito all'affidabilità e alla sicurezza dei luoghi in cui i bambini piccoli trascorrono il proprio tempo. Essa infatti permette di ottenere un riscontro oggettivo, prova- to e documentato, circa la bontà dell'organizzazione del servizio, della competenza 31 pedagogica di educatori e insegnanti, della sicurezza delle procedure e, globalmente, della qualità che richiede un buon contesto educativo che opera con bambini e bambine nella fascia 0-6 anni. La norma UNI 11034 "Servizi all'infanzia" riguarda: ● servizi alla prima infanzia (fino a 3 anni); ● servizi alla prima infanzia strutturati con servizi educativi rivolti anche alla fascia di età 3-6 anni; ● servizi educativi progettati per la fascia di età o-6 anni, come nel caso dei centri infanzia, pubblici e privati. È una norma complementare alla ISO 9001. La norma prevede che la direzione della struttura: ● definisca la propria missione esplicitando i risultati che intende raggiungere con il proprio lavoro; ● rediga un documento tecnico all'interno del quale descrivere tutte le procedure che intende attuare così come le modalità operative, inserendo ruoli, funzioni e nominativi dei responsabili interni; ● predisponga una pianificazione delle diverse attività che consenta al genitore di conoscere in modo approfondito il percorso educativo che il proprio bambino inizierà a vivere; ● rediga il progetto educativo che racconti con dovizia di particolari come sia organizzata la struttura: spazi, tempi, routine, educatori, impostazione pedagogica, progettazione educativa, verifica della progettazione educativa, relazione con le famiglie, relazione con i servizi sociali e sanitari, relazione con le altre agenzie formative del territorio; ● metta in atto tutto questo avvalendosi di personale qualificato, formato, aggiornato e in ogni caso individuato attraverso un preciso assessment center; ● assicuri che tutti gli operatori seguano corsi di formazione ● stabilisca i modi e i tempi del monitoraggio delle azioni educative, della valutazione, della verifica. Quali sono i vantaggi di una certificazione UNI 11034? Ottenere una certificazione di questo tipo significa differenziarsi ed elevare i propri standard qualitativi. 32 1.7 L’autorizzazione all’esercizio e all’accreditamento istituzionale La legge regionale ER (Regione Emilia-Romagna) del 10 gennaio 2000, n. 1, Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia. La regione ave-va approvato una legge volta a regolamentare i servizi educativi per i bambini e le bambine da 0 a 3 anni. Questa legge è stata tra le prime e più importanti leggi regionali con il compito di definire i requisiti per autorizzare e accreditare i servizi nido pubblici e privati. Negli anni 80 il Centro-Nord viveva un nuovo boom economico con conseguenze positive e negative. La Regione Veneto che si attrezzò molto velocemente con una legge regionale (23 aprile 1990, n. 32) presa ad esempio da tutte le regioni italiane e citata spesso. Questa legge consentiva l'implementazione di servizi per l'infanzia innovativi da parte di enti pubblici, ma anche del privato sociale, così come del privato tout court. Una normativa che ebbe due grandi meriti: a) l'ideazione di servizi diversificati sulla base delle esigenze di famiglie e territori (micronidi, centri infanzia, nidi integrati, atelier pomeridiani ecc.); b) l'erogazione di contributi economici, a fondo perduto, tanto per l'edificazione o la ristrutturazione di nuovi servizi, quanto per la gestione degli stessi, erogando un contributo mensile per ogni bambino iscritto e frequentante; somme che permisero ai Comuni di fissare delle rette mensili (rette nido) sostenibili per tutte le famiglie, in quanto si trattava di rette calcolate sulla base del reddito annuo di ogni famiglia. La prima immediata conseguenza della richiesta di posti nido ebbe la sua diffusione nel ricco Nord-Est, nel quale vi è sempre stata, tradizionalmente, una forte spinta imprenditoriale. Iniziarono così a diffondersi a macchia d'olio molti servizi rivolti all'infanzia, gestiti in particolare da privati di rado consapevoli della delicatezza e della complessità di un servizio rivolto a bambini dai 3 ai 36 mesi. Videro dunque la luce strutture dai nomi più disparati: giardini dell'infanzia, baby parking, centri prima infanzia, centri 0-10 anni ecc. Il fatto è che, contemporaneamente alla nuova legge sui finanziamenti, non vi era un organismo di controllo, soprattutto relativamente al privato, circa gli aspetti di sicurezza degli edifici così come le modalità educative, gli itinerari pedagogici, la preparazione degli operatori. Accadde dunque che, laddove il settore dei nidi pubblici era oggetto di rigorosi controlli, grazie anche al prezioso apporto delle Unità socio-sanitarie locali (USSL) che avevano il compito di rilasciare il certificato igienico-sanitario (quindi la possibilità di funzionare) solo dopo attenti e sensati controlli, il privato, che difficilmente era sottoposto a controlli e spesso lavorava nel sommerso, tendesse un po' all'anarchia: dagli orari di aper tura 35 È un requisito che assicura una sorveglianza e un accudimento tarati sul numero dei bambini presenti. Sono numeri che cambiano di poco da Regione a Regione. 4. Requisiti strutturali 5. Requisiti tecnologici. Si tratta di requisiti legati ad aspetti meramente tecnici, ma documentabili e certificabili. AS-NI-AU-3.1 L'organizzazione architettonica e l'arredo devono rispondere a requisiti di equilibrio estetico, nel rispet to delle indicazioni psico-pedagogiche in merito all'utilizzo di materiali e colorazioni che favoriscono la salubrità dell'ambiente e la serenità e la sicurezza dei bambini. 6. Requisiti organizzativi. I requisiti organizzativi riguardano il progetto pedagogico-organizzativo di base, che deve definire aspetti principali come calendario, routine, inserimento ecc. AS-NI-AU-4.1 L'ente gestore deve assicurare e documentare la presenza di un progetto educativo e organizzativo/gestionale del servizio. Si fa riferimento a un progetto che illustra come sia organizzato il servizio da tutti i punti di vista: impostazione pedagogica,, ingresso e commiato, tempi, spazi, materiali, gruppi di bambini, alimentazione, relazione con le famiglie, con il territorio, con le scuole dell'infanzia, con i servi- zi sociali, con i servizi sanitari, con l'amministrazione. B) Requisiti per l'accreditamento istituzionale. Il servizio può dimostrare di saper operare a un buon livello. organizzativo e pedagogico. Anche in questo caso, il giorno della verifica giunge un team proveniente dall'USSL o dall'amministrazione comunale, composto da due o tre professionisti, che a seguito della richiesta di accreditamento avanzata dall'ente gestore del nido si reca presso la struttura e controlla che vi sia un'evidenza effettiva e documentale della capacità del gruppo di lavoro di rispondere correttamente ai requisiti. Il livello di adesione al requisito viene espresso in valori percentuali: 0% quando il requisito non è minimamente soddisfatto; 60% quando è soddisfatto in parte; 100% quando è soddisfatto pienamente. Si rammenti che essere autorizzati è obbligatorio, mentre non lo è essere accreditati. Infatti, l'accreditamento consente alle strutture aperte entro l'anno 2010 di accedere ai contributi regionali. Per le strutture nate dopo il 2010, è possibile essere accreditate ma non ricevere i contributi regionali. Seguire i requisiti richiesti dal percorso di accreditamento equivale a: creare una memoria storica del servizio; creare un'identità del servizio; essere un reale punto di riferimento per il territorio; documentare la qualità nei confronti dei diversi stakeholder. L'accreditamento va a certificare l'intenzionalità, a contrastare lo spontaneismo e a permettere la diffusione di un linguaggio comune che consente la condivisione di significati. 36 I requisiti per l'accreditamento si dividono in requisiti generali (3) e requisiti di area (10), per un totale di 13 requisiti. Di segui to viene riportata l'analisi di due requisiti: uno generale e uno di area. 1. Requisito generale 1- ACC - 0.1 Deve essere garantita la rilevazione del grado di soddisfazione da parte di utenza, committenza, operatori e famiglie. In caso di indagine campionaria, il campione stesso deve essere statisticamente significativo. Nel caso del nido, questo diritto viene dato: 1. al committente: ovvero all'ente che decide di dare il servizio in gestione (ad esempio il comune può essere committente di una cooperativa); 2. agli operatori. Vi possono essere però momenti nei quali il lavoro di relazione può produrre zioni di disagio nell'educatore o nell'ausiliario ed è pertanto importante andare a sondare anche il grado di soddisfazione di quello che spesso viene definito il "cliente interno" sempre attraverso uno strumento che consenta agli operatori di esprimere un giudi- zio; 3. alle famiglie. Il requisito richiede anche di sondare la soddisfazione dell'utenza, ma nel nostro caso l'utenza diretta è rappresentata dai bambini. rima- ne importante ricordare che tutti coloro che compilano un questionario di gradimento hanno diritto all'anonimato. Non a caso molti sono i servizi che offrono la possibilità di compilare il questionario tramite web, tutelando al massimo l'anonimato. 2. Requisito di area AS-NI-ACC - 4.7 Il progetto deve essere documentato e messo a disposizione delle persone che accedono al servizio. La progettazione educativa è finalizzata: ● alla creazione di un ambiente che favorisca l'instaurarsi di relazioni significative tra bambini e adulti e tra gli stessi bam- bini; ● alla messa in atto di azioni educative e didattiche differenziate per processi di crescita e sviluppo ● a garantire interventi di personalizzazione educativa e inte- razione con la famiglia. Il requisito esplicita che il progetto educativo deve concernere l'organizzazione di ambienti che permettano la relazione tra bambini, tra bambini ed educatori, tra i bambini e i loro familiari. Chiede poi che gli ambienti consentano l'esperienza di diversi vissuti educativi differenziati o differenziabili per età. chiede evidenza della predisposizione di attività nelle quali venga coinvolta anche la famiglia. Quanto alla personalizzazione educativa, diventa importante considerare che, oltre al grande e piccolo gruppo, vi è, sopra ogni cosa, il bambino nella sua individualità, nelle sue caratteristiche peculiari, nei suoi bisogni personali. 37 Il buon educatore sa porsi in relazione con ciascun bambino in modo diverso, conosce il carattere e la personalità di tutti i bambini, li accoglie e li rispetta. Quando l'educatore pone in essere un'esperienza, un laboratorio, un gioco sa che ciascun bambino necessita di supporti diversi e diversificati, pertanto sarà egli stesso a creare, in team con il coordinatore, uno strumento che offra la possibilità di definire una sintetica, ma circostanzia- ta progettazione individuale per ciascun bambino, finalizzata a creare la storia dei suoi vissuti e della sua evoluzione al nido. 1.8 Governance dei servizi per l’infanzia Gli anni successivi all'emanazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1044, con cui sono stati istituiti gli asili nido comunali, hanno rappresentato nella storia dei servizi per l'infanzia italiani un periodo di grande fermento pedagogico e cultura-le. La disomogeneità dell'offerta si traduce a livello nazionale in una copertura di servizi per la fascia 0-3 anni di massimo il 23% (di cui solo il 12,3% pubblici), dato ancora distante dall'obiettivo, posto agli Stati dell'Unione dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002, di garantire entro il 2010 ad almeno il 33% dei bambini tra o e 3 anni l'accesso al nido o ai servizi integrativi. In particolare, nel Centro-Nord la copertura dei servizi per la fascia 0-3 è pressappoco del 31%, mentre al Sud è di circa il 13,5%. La soglia del 33% è stata superata in regioni come la Valle d'Aosta (42,3%), l'Umbria (39,4%), l'Emilia-Romagna (36,3%) e la Toscana (33,3%), mentre in altre la mancanza di servizi per la prima infanzia è davvero allarmante (solo il 6,6% in Campania e il 9,3% in Sicilia). Risultati decisamente migliori riguardano, invece, l'accesso alla scuola dell'infanzia, che in Italia accoglie il 92,6% dei bambini dai 3 ai 6 anni, superando l'obietti- vo europeo del 90% di copertura (Openpolis, 2019). Dopo l'entrata in vigore della legge 1044/1971, le Regioni, in modo differente le une dalle altre, hanno legiferato e regolamentato il funzionamento dei servizi per la prima infanzia, che nel corso degli anni si sono modificati per tipologia e organizza- zione nel tentativo di rispondere in modo adeguato ai cambiamenti sociali in corso e ai bisogni delle famiglie. Inizialmente i Comuni, nell'ambito della propria organizzazione interna (uffici, servizi e personale), hanno gestito in forma diretta nidi e servizi integrativi, per poi contemplare, a seguito dell'aumento della domanda da parte delle famiglie e della richiesta di misure di contenimento della spesa pubblica, forme di gestione indiretta e precisamente: ● l'appalto di servizi in cui il Comune ha mantenuto la titolarità del nido/servizio integrativo; ● la concessione, in cui la titolarità del servizio è passata al concessionario, che si è assunto in modo sostanziale il rischio economico della gestione. La gestione esternalizzata, in forma completa o parziale, diffusasi a partire dagli anni Novanta, anche grazie alla legge 8 novembre 1991, n. 381, sulla Disciplina delle cooperative 40 integrata in cui tutti operano per una politica condivisa dell'educazione, incoraggiando collaborazioni e sinergie tra i servizi di educazione e istruzione del territorio. In questa prospettiva, lo stesso decreto legislativo promuove un'idea di governance locale, quando, all'art. 7, parla delle funzioni e dei compiti degli enti locali e, in particolare, dell'attivazione di un coordinamento pedagogico dei servizi a livello territoriale, composto da coordinatori pedagogici dei servi- zi per l'infanzia pubblici e privati, che costituisce una risorsa fondamentale per la qualificazione "diffusa" del sistema inte- grato di educazione e istruzione. Si tratta di superare un'idea di governance e di valutazione della qualità dei servizi legata al solo rilascio dell'autorizzazione e dell'accreditamento istituzionale da parte dell'ente pubblico, per passare a una visione della valutazione basata su una cultura del confronto e su pratiche di partecipazione democratica, in una logica di rete e partenariato, di cooperazione e coordinamento, considerati gli strumenti più efficaci per promuovere un'effettiva qualità di tutti i servizi educativi. Partendo dagli indirizzi regionali sulla costituzione dei Coordinamenti pedagogici territoriali (CPT) (D.Lgs. 65/2017, art. 6, comma 1, lett. c) gli enti locali, anche attraverso la costituzione di tavoli tecnici e la stipula di specifici accordi, sono chiamati a sostenere lo sviluppo di una rete dei servizi educativi pubblici e privati rivolti a bambine e bambini di 0-6 anni, nel rispetto dei differenti approcci e modelli gestionali di ciascuna istituzione. CPT: si può dire che a essi spetta il compito di indicare, in forma partecipata e condivisa, principi educativi e pedagogici comuni da cui partire per: ● progettare dei percorsi formativi rivolti a tutto il personale del sistema integrato di educazione e istruzione, allo scopo di favorire un approccio educativo e pedagogico coerente e la costruzione di percorsi di continuità tra i servizi per la prima infanzia e le scuole dell'infanzia e, in prospettiva, di un curricolo 0-6 anni; ● sostenere l'attività dei coordinatori pedagogici dei singoli servizi, attraverso il confronto, la condivisione di saperi, esperienze e metodologie e la risignificazione delle pratiche rispetto a una visione pedagogica comune; ● promuovere un dinamismo progettuale nell'ambito del sistema integrato dei servizi rivolti all'infanzia, sostenendo ricerche e iniziative innovative in ambito educativo e didattico. Nella costruzione di un sistema regionale di regolazione della qualità educativa a governance pubblica, il gruppo di lavoro regionale ha in sostanza definito le condizioni per assicurare un rapporto tra coerenza e differenza, garantendo il rispetto di alcune componenti di qualità basilari, senza omologare o appiattire l'identità e le potenzialità di realtà diverse. Facendo proprio il punto di vista di Pirsig, si può dire che que sto processo ha posto l'accento su due componenti importanti della qualità: quella statica, che si riferisce a 41 elementi fissi, che possono essere esplicitati e definiti, e quella dinamica, che oltre a essere promotrice di processi evolutivi è trasformativa e generatrice di cambiamenti. Si deduce che la qualità non sta solo nella capacità di conformarsi a valori, condizioni e modalità rispondenti alle finalità delle istituzioni educative, «ma anche nella capacità di tener vivo all'interno dei servizi un costante processo di ricerca». Per garantire pari qualità dell'offerta educativo-formativa su tutto il territorio, la governance del sistema territoriale dei servizi educativi deve poter contare, da un punto di vista tecnico, su di una "regia" pedagogica, resa possibile da figure pedagogiche di sistema. Solo in tale prospettiva è possibile garantire e tutelare effettivamente i diritti dei bambini e delle bambine a fruire di servizi educativi di qualità elevata. 2. Sistemi e strumenti di valutazione della qualità nei servizi per l’infanzia Vengono presentati in questo capitolo alcuni strumenti di valutazione dei servizi per l'infanzia messi a punto in un arco temporale piuttosto ampio e ritenuti particolarmente significativi. Alcuni strumenti sono destinati in modo specifico ai servizi per la prima infanzia (0-3 anni), altri alla scuola dell'infanzia (3-6 anni), altri ancora si pongono nell'ottica del sistema inte- grato zerosei. Tutte le date indicate di seguito si riferiscono all'anno di pubblicazione degli strumenti. Prima infanzia: SVANI (Scala di valutazione dell'asilo nido, 1992); ISQUEN (Indicatori e scala di valutazione della qualità educativa del nido, 1999); lo strumento messo a punto dalla Regione Toscana assieme all'Istituto degli Innocenti di Firenze (2015); SPRING (Strumento per lo sviluppo di processi riflessivi e indagini valutative nei nidi da parte dei gruppi di lavoro educativi), elaborato dal Coordinamento pedagogico provin ciale (CPP) della Provincia di Forli-Cesena (la versione illustrata più avanti è quella del 2017); IdEA (Idea di educazione e di auto- valutazione) messo a punto dal gruppo U.NI.QU. (Università e nido per la qualità) dell'Università degli studi di Padova (in corso di stampa). Scuola dell'infanzia: SOVASI (Scala per l'osservazione e la valutazione della scuola dell'infanzia, 1994), AVSI (Autovalutazione della scuola dell'infanzia, 2001), DAVOPSI (Dispositivo di anali- si e valutazione dell'organizzazione pedagogica della scuola dell'infanzia, 2008), PraDISI (Prassi didattiche dell'insegnante della scuola dell'infanzia, 2013) e RAV Infanzia (Rapporto di autovalutazione, 2015). Zerosei anni: ASEI (Autovalutazione dei servizi educativi per l'infanzia, 2000) e TRA 0-6 (2017). Nel paragrafo conclusivo (PAR. 2.13), infine, vengono citati anche altri strumenti ed esperienze di valutazione nel nostro paese. 42 2.1 Scala di valutazione dell’asilo nido (SVANI) SVANI (Scala di valutazione dell'asilo nido), detta anche ITERS- SVANI, adattamento della scala statunitense ITERS (Infant/ Toddler Environment Rating Scale), pubblicata in Italia nel 1992 da Harms, Cryer e Clifford con alcune variazioni rispetto all'edizione originale (1990). Questa era di fatto la rielaborazione di due scale precedenti: la scala ECERS (Early Childhood Environment Rating Scale) relativa alla fascia 0-6 anni e la scala FDCRS (Family Day Care Rating Scale). Entrambe sono state messe a punto da Harms e Clifford, la prima nel 1980 e la seconda nel 1989. La scala ITERS, che si rivolge alla fascia di età 0-30 mesi, si compone di 7 aree tematiche articolate in 35 item e consente a osservatori interni ed esterni di delineare il profilo di ogni singola sezione di asilo nido. L'ottica di fondo del loro lavoro è stata quella di supportare la valutazione della singola sezione di bambini e di ambienti microsistemici. Come si è detto, lo strumento si articola in 7 subscale o aree di interesse: "Arredi e materiali a disposizione dei bambini", "Cure di routine". "Ascoltare e parlare". "Attività di apprendimento", "Interazione", "Organizzazione delle attività quotidiane". "Bisogni degli adulti". Per ciascuna subscala è presente un certo numero di item. Per ciascun item viene richiesto di assegnare un punteggio da 1 a 7. I punteggi dispari sono accompagnati da esemplificazioni, mentre i punteggi pari “rappresentano un livello intermedio e si possono assegnare secondo la logica della scala ordinale, quando tutti i requisiti del punteggio precedente sono soddisfatti ma non lo sono alcuni di quello successivo”. I punteggi servono per collocare il nido a un certo "livello di attuazione": si parte da un livello inadeguato (livello 1) per proseguire con un livello minimo (livello 1), buono (livello s), fino ad arrivare a un livello eccellente (7). 45 2.2 Indicatori e scala di valutazione della qualità educativa del nido (ISQUEN) In seguito a un'iniziativa di valutazione della qualità in 36 nidi emersero alcune perplessità durante un percorso di ricerca-formazione svoltosi negli anni 1992 e 1993. La scala SVANI, infatti, non era ritenuta in grado di rendere conto di un'idea di nido che si stava affermando nella Regione Umbria in quel periodo, legata più a elementi della qualità educativa connessi a una riflessione sulle pratiche, piuttosto che ai meri aspetti di un fare verificabili di concreto tramite l'osservazione. La scala SVANI è stata così "decostruita" e discussa. Il risultato di tali percorsi è stato ISQUEN (Indicatori e scala di valutazione della qualità educativa del nido), uno strumento elaborato in modo condiviso da Becchi, Bondioli, Ferrari (1999) e finalizzato a fare emergere l'idea di nido" espressa per lo più dal perso- nale interno della struttura. Esso non esclude la presenza di un osservatore-esperto esterno, ma con la funzione di facilitatore nel processo di restituzione dei dati, che è un momento fonda- mentale del percorso. ISQUEN consente al personale del nido di cocostruire «una pedagogia della primissima età grazie a un continuo processo di riflessione sulla pratica», processo che naturalmente non può considerarsi finito, ma che, come si vedrà per gli strumenti successivi, abbisogna di un sostegno duraturo nel tempo per garantire la continuità della riflessione e, quindi, il mantenimento dei livelli di qualità. ISQUEN si articola in 4 parti o aree tematiche ("I soggetti", "I contesti e le pratiche", "I saperi del fare" e "Le garanzie"), articolate in 14 aspetti (A) e in 51 item, chiamati criteri (C). Gli aspetti sono articolazioni delle parti: ad esempio, la Parte III, "I saperi del fare", si articola in "Osservazione", "Progettazione", "Programmazione", "Valutazione", "Documentazione". Ciascuno di questi aspetti si declina a sua volta in item (criteri): ad esempio, l'aspetto "Documentazione" (A12) comprende "Documentare: condizione dell'impegno" (C41) é "Documentare: finalità e implicazioni" (C42). 46 ISQUEN ha permesso agli educatori di "sganciarsi" dalla logica progressiva della scala ordinale, proposta da SVANI, che non sempre consente di cogliere la varietà delle esperienze e le diverse azioni educative. ISQUEN, invece, dispiega poco a poco una certa idea di nido nei vari item (criteri), legati l'uno all'altro, restituendo alla fine una visione complessiva di un servizio per la prima infanzia. Così, ad esempio, l'item (criterio) C40, "Valutare", dopo la descrizione degli aspetti che lo costituiscono (descrittori), si lega a quello successivo collegando strettamente l'operazione del valutare ad altri "Saperi del fare", come la documentazione. Tecnicamente ogni valutatore procede assegnando un punteg gio al criterio espresso, segnando sul foglio di risposta uno o più aspetti. Il descrittore "a" corrisponde al punteggio 1, il "b" al punteggio 3 e il "c" al punteggio s. Per ciascun criterio sono quindi possibili i seguenti punteggi: 1 se ci si riconosce solo nel descrittore a; 3 se ci si riconosce solo nel descrittore b; 5 se ci si riconosce solo nel descrittore c; 4 se ci si riconosce nei descrittori a e b; 6 se ci si riconosce nei descrittori a e c; 47 8 se ci si riconosce nei descrittori b e c; 9 se ci si riconosce in tutte e tre le affermazioni. È possibile, inoltre, esprimere accordo totale, parziale o disaccordo con il criterio, potendo anche assegnare un giudizio alla sezione e allo strumento. Questo è valido nel caso di autovalutazione, ma può essere prevista anche la valutazione da parte di esterni. ISQUEN è chiaramente uno strumento più complesso e arti-colato rispetto a SVANI. la presenza di un esperto dello strumento in grado di facilitare percorsi di autovalutazione dei contesti. L'esperto può essere un ricercatore, un coordinatore, un educatore. Tale esperto, ponendosi come esterno alla situazione, deve essere in grado di gestire un gruppo di lavoro, sostenendo e sviluppando percorsi di autovalutazione, finalizzati al miglioramento secondo le fasi previste. ISQUEN prevede inoltre dei questionari per: a) l'osservazione della qualità in particolari momenti di routine, in relazione all'igiene e alla sicurezza, ad attività peculiari e ad aspetti gestionali del servizio, per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni sulla singola sezione e sul nido stesso, da abbinare alla scala SVANI; b) la valutazione della qualità percepita dalle famiglie utenti;c) l'analisi della qualità organizzativa. Altro questionario costruito ad hoc è quello di metavalutazione, che ha lo scopo di far emergere opinioni sui criteri di qualità scelti per ciascun indicatore di ISQUEN, su eventuali "mancanze", tempi di compilazione e complessità degli item. Si tratta in sostanza del primo di molti strumenti legati all'idea di "valutazione formativa" in grado di mettere in luce i fondamenti di numerose esperienze di co-costruzione della qualità. Si tratta di dispositivi che si rifan- no quasi esclusivamente a strumenti adattati al contesto italiano o realizzati ex novo da un gruppo di ricercatori che fa capo agli insegnamenti di area pedagogica dell'Università di Pavia: Egle Becchi in primis e, a seguire, Anna Bondioli, Monica Ferrari, Donatella Savio e altri che via via verranno citati. 2.4 Strumento per lo Sviluppo di processi riflessivi e indagini valutative nei nidi da parte dei gruppi di lavoro educativi (SPRING) SPRING (Strumento per lo sviluppo di processi riflessivi e indagini valutative nei nidi da parte dei gruppi di lavoro educativi) è uno strumento di valutazione elaborato dal Coordinamento pedagogico provinciale (CPP) della Provincia di Forlì-Cesena. Il gruppo si è confrontato in un primo momento con il significato di "qualità", per poi condividere una serie di riflessioni che hanno costituito la sperimentazione biennale. Il lavoro ha consentito di sviluppare uno strumento conosciuto come SCIN (Strumento condivisione/costruzione identità nidi).
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