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Riassunto Vicerè parte I, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Riassunto dettagliato Vicerè parte I

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 16/05/2023

francescorosarioluca
francescorosarioluca 🇮🇹

4.6

(10)

66 documenti

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Scarica Riassunto Vicerè parte I e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Parte I Cap I - Il romanzo si apre con la morte della principessa di Francalanza Teresa Uzeda (sottolinea come ella sia morta sola, senza un familiare al fianco, anche perché ella non li sopportava e il sentimento era reciproco) e il suo sfarzoso funerale, estrema, suprema prova di ricchezza e di potenza. Come nelle successive pagine verrà dimostrato con la dettagliatissima descrizione della chiesa dove si è svolto il funerale. Sin dalle prime battute si avverte il senso di confusione (parola ripetuta spesso) dei personaggi creata dall’evento che ancora non è stato palesato e ancor prima che lo faccia si instaura anche il dubbio che poi diventerà certezza. Anche le azioni dei primi personaggi che vengono messi in scena sono confuse: Don Baldassarre è, infatti, colui che dovrebbe dare gli ordini, dire agli altri come comportarsi, ma è anche il primo che non sa cosa fare. Nonostante il grave lutto, tra i componenti della famiglia, salvo rare eccezioni femminili, non c’è commozione, non c’è cordoglio, ma una curiosità smisurata relativa al testamento della defunta. Cap II – Tutti sono interessati unicamente al testamento e in attesa della lettura di quest’ultimo, gli sguardi dei familiari e dei conoscenti su Raimondo (ostenta noncuranza) e Giacomo (appare più grave del solito). Donna Teresa nomina eredi universali Giacomo e Raimondo. Per il principe Giacomo dover dividere il patrimonio con un coerede è comunque un’umiliazione, acuita dall’infimo rango della famiglia della consorte di Raimondo, donna Matilde, schiacciata da sguardi «irosi», isolata, emarginata dagli Uzeda. [Donna Teresa ha salvato gli Uzeda]. Da questo momento in poi la vita di Matilde Palmi si trasforma in un inferno, in una lenta e inesorabile agonia. Cap III - Padre Don Blasco Uzeda, cognato della principessa Teresa, benedettino vizioso e collerico; costretto in gioventù dalla famiglia a prendere i voti, conduce una vita tutt'altro che ispirata ai valori cristiani: gioca al lotto, mantiene numerose amanti da cui ha avuto svariati figli, litiga furiosamente con parenti e superiori, come si legge quando si scaglia contro donna Teresa. Lodovico, terzogenito, secondo tra i maschi, è costretto dalla madre a farsi monaco (in realtà, per ragione e tradizione, sarebbe spettato al terzo maschio, Raimondo, di entrare in convento). Donna Teresa educa Lodovico alla vocazione sin dall’infanzia, adottando una sottilissima strategia psicologica, facendogli credere che la famiglia navighi nella miseria più nera. Del gioco cui è stato vittima Lodovico si accorge troppo tardi, ed egli, nonostante lo sdegno e l’odio, si mostra riverente e sommesso con la madre, come se niente fosse, e affettuoso con il fratello Raimondo, suo usurpatore. Lodovico intende prendersi la sua rivincita scalando le gerarchie dei Benedettini: a soli ventisette anni viene eletto Decano, carica raggiunta a quaranta dallo zio don Blasco, con il quale entra in competizione per la carica di Priore. Quando Don Blasco viene a sapere che il nipote gli contende l’illustre carica di Priore, non sa fare altro che insultarlo. Sia in Lodovico (esempio di virtù) che in don Blasco (brama di rivincita) non c’è il benché minimo interesse per la spiritualità, tutte le loro attenzioni si concentrano sul potere, l’egoismo è il loro dio, ma nello zio la natura bestiale finisce per prevalere sull’interesse, schiacciandolo, costringendolo a restare in basso. Nell’universo dei Viceré il cielo è vuoto: Dio non c’è, e non perché sia morto, quanto, piuttosto, perché qui non sembra essere mai nato, nonostante le chiese e i monasteri. [Ne I Viceré vi sono tanti riferimenti ad altri romanzi dell’ottocento, come I Promessi Sposi . I nfatti, il personaggio di Gertrude , la monaca di Monza, si accosta notevolmente alla figura di don Ludovico . Loro devono subire una monacazione forzata dall’inizio della loro vita giocando con dei balocchi che istigavano verso la strada clericale. Entrambi riescono ad arrivare ad alti livelli, ma don Ludovico riesce ad arrivare più in alto per il fatto che non è un monaco di clausura.] La vita di donna Teresa è costellata d’ingiustizie nei confronti dei figli, e lo stesso destino di monacazione forzata riservato a Lodovico, spetta ad Angiolina, la primogenita, colpevole, imperdonabilmente, di essere nata femmina. Tra i sette fratelli Uzeda, il personaggio di Angiolina è il più debole, perché evanescente, sfumato fino alla dissolvenza, e resta poco più di un’ombra. Del resto, rinchiusa in monastero dall’età di sei anni, resta una sorta di aborto, privata di tutte le possibilità offerte dalla vita umana, e la sua non-esistenza non è altro che un cammino lento e inesorabile verso la demenza. [descrizione Chiara]. Il più originale dei fratelli Uzeda è senza dubbio Ferdinando, l’ultimo maschio, soprannominato «Babbeo» dalla madre, per la sua selvatichezza e le sue manie agricole, che coltiva personalmente, come un contadino qualunque, alla Pietra dell’Ovo, dove si è rintanato, isolato da tutto e da tutti, auto-escluso. Spende pochissimo per sé, giusto il denaro necessario all’acquisto di uno strumento o di un libro, mangia frugalmente i prodotti dell’orto, della caccia, e le rare volte che compare a palazzo scandalizza persino i servi, tanto è stracciato, unto, goffo nei suoi panni vecchi di anni e anni. Donna Teresa approfitta dell’ingenuità del «Babbeo» stipulando con lui un contratto capestro, stabilendo un canone superiore al frutto del podere. Infatti Ferdinando si trova presto in passivo, ma la madre nel testamento gli condona il debito, assegnandogli inoltre un altro podere, quello delle Ghiande: il «colpo maestro» di donna Teresa, che si libera così di un altro erede in favore di Raimondo. Nella sua ingenuità il «Babbeo» è soddisfattissimo. [descrizione Lucrezia] Alla nascita di Giacomo, che peraltro ha messo in pericolo la sua vita, donna Teresa resta «indifferente e crucciata». È con Raimondo che le sue «viscere materne» si commuovono improvvisamente. Chiuso a San Nicola Lodovico, donna Teresa dà a Raimondo il titolo di conte; «avara, anzi spilorcia», largheggia solo con il «beniamino», e mentre Giacomo non vede un soldo e i suoi abiti sono ridotti a brandelli, «l’altro pareva un figurino». Raimondo viene sempre assecondato, mentre Giacomo non dispone di nulla. Eppure, paradossalmente, è proprio Giacomo il più simile alla madre, «autoritario, duro», mentre Raimondo non conosce il valore del denaro, sperpera tutto quello che ha, non s’intende d’affari, ama e cerca esclusivamente svaghi e piaceri. Anche fisicamente i due fratelli sono agli antipodi: «bellissimo» Raimondo, «più che brutto» Giacomo. Il risentimento di Giacomo nei confronti della madre e del fratello erompe con il matrimonio. Innanzitutto donna Teresa, decidendo di far sposare Raimondo, rompe la tradizione, secondo la quale solamente il primogenito doveva prendere moglie, creando così, nell’albero genealogico degli Uzeda, «un ramo storto che avrebbe fatto concorrenza al diritto»; inoltre la principessa destina al primogenito la figlia del marchese Grazzeri e non la cugina Graziella, da lui amata. Giacomo prova a ribellarsi all’autorità materna, ma deve cedere dinanzi alla minaccia della diseredazione. Allora muta atteggiamento, sfogandosi sulla moglie, Margherita. Se il matrimonio di Giacomo va male, quello di Raimondo va molto peggio. Perché se Giacomo non voleva la Grazzeri, innamorato della cugina, Raimondo rifiuta recisamente la possibilità di sposarsi, perché il matrimonio, nella sua smania di libertà e di bagordi, rappresenta «la catena al collo, la schiavitù, la rinunzia alla vita che egli sognava». Donna Teresa non si impone violentemente, come con gli altri figli, ma ricorre all’arma della persuasione: la dote della moglie permetterebbe a Raimondo di fare quello che vuole, e poi potrebbe piantare in asso la povera disgraziata in ogni momento. A questi argomenti il «beniamino» cede, vedendo la possibilità di usufruire di una ricchezza immediata e, soprattutto, la liberazione dal giogo materno. Non manca neppure il figlio illegittimo, e anche in questo caso si tratta di un servo, il maggiordomo Baldassarre. Certo, nei personaggi di De Roberto manca la profondità psicologica e l’incidenza filosofico-morale, abbracciando il naturalismo, l’autore siciliano rinuncia, di fatto, a queste grandiose componenti, ma in essi è possibile ritrovare quell’ansia disperata di affermazione individuale, in chiave egoistica. Ogni Uzeda ha uno o più nemici all’interno della propria famiglia, tra i parenti. Cap IV – presentazione principino Consalvo, figlio di Giacomo, che già a sei anni comprende già tutto, le rivalità e i dissapori che attraversano la famiglia, ma tace, già perfettamente accorto e prudente, «per non incorrere nella collera di nessuno». Giacomo, severissimo con il figlio, diventa intrattabile dopo la lettura del testamento, e gran parte del suo rancore si riversa su Matilde, la cui posizione di Matilde è la più scomoda e drammatica. [descrizione rapporto Matilde- Uzeda e Matilde-Raimondo] Cap V - Il capitolo quinto della prima parte del romanzo è dedicato al morbo del colera, raccontato attraverso il discorso indiretto libero e il filtro delle varie voci popolari che tentano di dare una spiegazione alla malattia. Emerge (certamente) la confusione e lo smarrimento dei personaggi che cercano un possibile luogo sicuro non raggiungibile dal morbo. Ma ecco che si affaccia l’idea del castigo di Dio a causa dei tempi peccaminosi, e delle malefatte del popolo nei confronti della Chiesa e dei preti. Non mancano le credenze nei malefici e nel veleno sparso per ordine delle autorità politiche: la colpa è variamente distribuita tra gli Italiani e i Borbone (o Borboni). Quando non si conosce il male bisogna comunque attribuire una colpa, trovare un capro espiatorio (talvolta più di uno) e fornirsi di una spiegazione che possa, in qualche modo, dare senso a quanto sta accadendo. Gli Uzeda si riuniscono nella villa di Belvedere con i Fersa, solo i Giulente non andarono. Don Blasco e il priore Don Lodovico erano già scappati con tutti monaci di San Nicola a Nicolosi. Naturalmente se il colera non finiva non si poteva far nulla per la sistemazione dell’eredità. Gelosia di Matilde per donna Isabella Fersa. Cap VI - L’ ardore critico di De Roberto si esalta quando aggredisce la sfera pubblica, la politica e la religione. In questo senso, il primo bersaglio della spietata critica derobertiana sono i monaci benedettini, tra i quali spiccano don Blasco e Lodovico, e nel cui monastero, il sontuoso complesso di San Nicola, è entrato anche il principino Consalvo, ma come semplice studente: «I monaci […] facevano l’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso» . La regola resta pura e vuota teoria, monotono sottofondo al lauto pasto, necessario solo a evidenziare la vita contraddittoria dei monaci, che mangiano e bevono più e meglio che in qualunque casa aristocratica. Tutte le indicazioni alimentari della regola vengono bollate come «antichità», e non solo queste. Al contrario di quanto stabilito dalla regola, il monastero si basa su una rigida distinzione sociale, su un inflessibile sistema di casta. Altro che luogo di fervida spiritualità, di penitenza e di preghiera: il monastero di San Nicola è un tempio del gioco d’azzardo, della gozzoviglia, popolato di «ganze» e di bastardi infilati nel convento in qualità di fratelli. Il solo don Blasco ha tre amanti nel quartiere di San Nicola, donna Concetta, donna Rosa e donna Lucia la Sigaraia, con una mezza dozzina di figli. Oltreché dei vizi, i monaci sono preda del fervore ideologico, politico, dividendosi in liberali e in borbonici, discutendo animatamente, rischiando persino di venire alle mani: il loro regno è di questo mondo, un mondo completamente privo di valori, immorale, dominato dalla brama di potere, di denaro, dagli stinti più bassi e beceri dell’animale uomo. Nei Viceré De Roberto fornisce un ritratto dell’umanità davvero desolante, disperante, generalmente pessimistico, in alcuni casi persino nichilistico, come nel personaggio di don Blasco, la figura più nera, diabolica del romanzo. Non a caso don Blasco non redigerà nessun testamento, lasciando che i familiari si sbranino tra di loro come lupi per il suo ingente patrimonio (a proposito di lupi e di motti,homo homini lupus è il proverbio che forse, meglio di ogni altro, racchiude il senso del mondo rappresentato da De Roberto nei Viceré). Cap VII - Impegnato a sperperare denaro e a corteggiare Isabella, Raimondo lascia che sia solamente il fratello, Giacomo, ad amministrare il patrimonio. L’unico pensiero di Chiara è dare un figlio al marito, ma la prole non vuole
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