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Riassunto Vita di Quinto Fabio Massimo (Plutarco), Appunti di Storia Romana

Riassunto Vita di Quinto Fabio Massimo (Plutarco)

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 30/06/2024

Giuristi-2.0
Giuristi-2.0 🇮🇹

4.3

(13)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Vita di Quinto Fabio Massimo (Plutarco) e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! PLUTARCO VITE PARALLELE La biografia come genere letterario è il racconto della vita di un uomo dalla nascita alla morte, in cui si afferma la tendenza a valutare le realizzazioni di una persona e il suo carattere come un’unità. Mentre allo storico interessano le azioni (praxeis), il biografo si preoccupa piuttosto del carattere di una persona (èthos), che può rivelarsi più in frasi lapidarie, giochi di parole o aneddoti che in azioni sensazionali. Plutarco nacque a Cheronea in Beozia intorno al 45 d.C. Ad Atene studiò retorica entrando anche a far parte dell'Accademia platonica. Quindi intraprese una carriera politica che lo portò a ricoprire importanti cariche pubbliche impiego in patria, a viaggiare molto e a intrattenere un'intensa attività diplomatica con Roma, dove trascorse alcuni periodi e fu familiare all’entourage di Traiano. Secondo una notizia della Suda Traiano avrebbe concesso a Plutarco gli ornamenta consularia e gli avrebbe addirittura attribuito una non definita autorità sui governatori residenti nella penisola balcanica. Parallelamente svolse la sua attività letteraria e di scrittore, di cui le Vite parallele rappresentano il progetto più ambizioso. Le Vite consistono di ventidue coppie di biografie, ognuna narrante la vita di un uomo greco e di uno romano: fanno eccezione le vite singole di Galba e Otone e le vite di Arato e di Artaserse. Delle Vite parallele è andata perduta proprio quella che doveva essere la prima coppia (Epaminonda, il massimo «eroe» tebano, particolarmente caro perciò a Plutarco, e Scipione): così non abbiamo la prefazione generale che Plutarco aveva sicuramente premesso all’intera raccolta, e nella quale probabilmente, oltre ad illustrare i criteri della composizione, avrà fornito indizi preziosi sui tempi di elaborazione di un’opera così vasta. È anche probabile che nella prefazione generale Plutarco affrontasse 1 il problema ineludibile al quale di tanto in tanto fa riferimento in altre prefazioni a singole vite: è il problema tipicamente moderno di giustificare perché si riscriva una storia che è stata già scritta ed è disponibile in fonti venerabili. La struttura di base della raccolta prevede che alla biografia di un personaggio greco sia costata quella di un romano che presenti tratti in comune. Un'idea, alla cui origine c'era l'intento conciliatore, da parte di più Plutarco, di sottolineare e diffondere l’immagine di un impero greco-romano, nel quale non era in discussione la leadership politica e militare dei Romani, ma che vedeva i Greci, grazie al loro splendido passato, guidare, con pari dignità, la vita culturale e artistica. Quanto allo scopo dell’opera, Plutarco non si propose di riscrivere la storia, ma di utilizzarla ai suoi fini, cioè principalmente in senso morale e pedagogico. Illustrando esempi significativi di virtù e vizi dei suoi personaggi, lo scrittore persegue un intento educativo. In questo senso, anche la presentazione di modelli negativi rientrava nel programma. L’idea che sorregge le Vite parallele è infatti quella della comprensione attraverso l’analogia: analogia dei personaggi, ma anche, e talora in primo luogo, delle situazioni. Proprio perché la grande storia è già stata scritta e si tratta piuttosto di capirla, l’analogia costituisce una via preziosa alla comprensione e la biografia ne è lo strumento più idoneo. In certi casi l’accostamento di due personaggi è, di per sé, una interpretazione: accostare ad esempio Fabio Massimo, cunctator inascoltato, a Pericle significa mettere in chiaro in modo immediato la caratteristica capitale della politica periclea e l’ostilità di cui fu circondata. Un altro aspetto programmatico della biografia plutarchea è la subordinazione delle azioni alla rappresentazione del personaggio e del suo èthos. È proprio l’idea di èthos a essere al centro delle Vite di Plutarco. Esso viene ricercato nella filigrana delle azioni grandi e piccole e nei detti più o meno famosi. La 2 disfatta. Per Fabio si trattò di un errore grave: per colpa dei suoi indugi il nemico l'aveva anticipato e sconfitto. L'opposizione si fece sempre più decisa, anche a Roma, per la faccenda dei prigionieri che Fabio aveva scambiato con Annibale. I due generali si erano impegnati a fare uno scambio, uomo contro uomo. I prigionieri che fossero avanzati devono essere riscattati con il denaro. Siccome avanzavano romani, il Senato si oppose a sborsare denaro per uomini che si erano fatti catturare al nemico. Fabio intendeva mantenere la parola data, inviò il figlio a Roma, vendette le sue proprietà e pago lui il riscatto ne volesse rimborsato. Un esempio di fides o di liberalitas. Intanto Minucio, lasciato solo mentre il dittatore era a Roma per compiere sacrifici, parte all'attacco e, approfittando dell'assenza di Annibale, riporta un notevole successo. Fabio venne accusato non solo di debolezza e inettitudine, ma anche di tradimento. Fabio diede prova di grande costantia, di fermezza degna dei filosofi, sopportando con pazienza e mansuetudine le accuse, le calunnie e insinuazioni. Ciò che lo preoccupava era l’interesse pubblico. Egli aveva paura di non fare in tempo ad impedire che per vanagloria ed orgoglio Minucio si mettesse in pericolo e ciò avvenne. Minucio finì in trappola e Fabio realizzò l’impresa più grande, correndo a salvare il collega in pericolo. Il trionfo di Fabio risalta in una scena di grande commozione: Minucio si presentò al campo del dittatore, dove insieme con le sue truppe fece atto di sottomissione. Ex eventu le accuse di debolezza e inettitudine vennero sconfessate. Minucio si rivolse a Fabio, chiamandolo padre. I due si abbracciarono e i soldati fecero lo stesso. Con la scena di riconciliazione termina il racconto della dittatura. Si apre una fase in cui il Temporeggiatore giocò un ruolo meno rilevante sul piano istituzionale, ma ugualmente ricco e propulsivo. Per un certo tempo, dopo che Fabio depose la dittatura, i generali romani ne continuarono la condotta di guerra. Tuttavia, ad entrare in scena fu Terenzio Varrone, il quale con la sua inesperienza e la sua precipitazione mise a repentaglio l’incolumità dello Stato. Lo scontro con Varrone non si svolse direttamente, ma attraverso un intermediario, Paolo 5 Emilio, cui Fabio Massimo affidò la difesa della sua politica. Come in passato, la lotta non sarà soltanto con Annibale, ma anche con il nemico interno e la sua follia. Plutarco non offre il racconto particolareggiato della battaglia di Canne, ma lascia largo spazio alla morte di Paolo Emilio, che soccombe in un’estrema fedeltà alla condotta di Fabio e agli impegni assunti con lui. Nell'atmosfera di panico seguita alla battaglia di Canne, Fabio Massimo emerse come l'unico punto di riferimento. Quelli che parevano essere difetti, ora risultano pregi. Vigliaccheria e incapacità si rivelano intelligenza soprannaturale o divina, che aveva previsto in anticipo una sventura così grande. Di nuovo Fabio fece ricorso ad uno scrupoloso rispetto della religione per allontanare i cattivi prodigi e avere gli dei favorevoli. Il risultato più alto e la sezione si vede quando Varrone fece ritorno a Roma. Il console venne ricevuto in un clima di riconciliazione, riproponendo ancora una volta la scena tra Minucio e Fabio. Dopo la battaglia la situazione fu particolarmente favorevole ai cartaginesi, ma la strategia di Fabio Massimo non cambiò. Se nessuno lo avesse combattuto, Annibale si sarebbe danneggiato da sé e logorato nella guerra. Uno dei punti del programma di Fabio era quello di impedire le defezioni degli alleati, sostenendo la necessità di usare comprensione e generosità. Il capitolo 20 riporta due episodi esemplari: a) a un soldato marsico di grande valore che fomentava la rivolta tra i compagni, Fabio, riconoscendo che non lo si era trattato secondo il merito, donò un cavallo e un corredo di armi; b) a un altro di origine lucana, che passava la notte fuori all'accampamento per incontrare la sua donna, fece dono dell'amata che aveva fatto precedentemente riscattare. Con la presa di Taranto il tono cambia. Sembra che in quest'occasione Fabio Massimo sia stato inferiore alla sua fama non tanto per il tradimento in sé, 6 grazie al quale riconquistò la città, quanto piuttosto per l'atteggiamento verso i vinti, in cui affiora slealtà e violenza. Con la presa di Taranto inizia una fase di obsolescenza, che offesa doti e caratteri del Temporeggiatore. Di grande valenza esemplare è l'omaggio reso al figlio console. Nel comportamento di Fabio che scende da cavallo e nelle parole che accompagnano il suo gesto riappare il tema della grandezza dello Stato e delle sue istituzioni, che aveva caratterizzato fin dall'inizio la sua partecipazione alla vita pubblica. Vi è poi il tema della superiorità del bene pubblico e quello privato e le logge delle tradizioni familiari. Anche la moderazione, con cui sopporta la morte il figlio, ulteriormente fa risaltare le sue doti di ottimo padre. Poi si apre una fase di crisi: Scipione, reduce dai trionfi Spagna, propone di attaccare il nemico trasferendo la guerra in Africa. In un primo momento, Fabio si muove contro Scipione per prudenza, per assicurare la sicurezza dello Stato, ma successivamente affiora un senso di invidia. In lui vi era la volontà di impedire l'ascesa di Scipione, apparendo non più preoccupato per il bene dello Stato ma per paura di sembrare debole e inetto. Tuttavia, Fabio non assistetti al trionfo di Scipione, morendo un anno dopo che Annibale aveva lasciato l’Italia. La sua morte in ogni caso, con la partecipazione di tutti i cittadini, rappresentò il pieno riconoscimento e la consacrazione definitiva dell'eroe, celebrato come padre il popolo. Per molte virtù Pericle e Fabio Massimo risultavano simili: per la mitezza d’animo e la rettitudine e la capacità di sopportare la stoltezza del popolo e dei colleghi di governo. È la mitezza d’animo a caratterizzare l’identità stessa di Fabio sia morale sia fisica, il suo programma politico. L’allontanarsi dalla mitezza d’animo comporta il rischio di smarrirsi e perdere la propria personalità. Pericle e Fabio Massimo esercitano la mitezza d’animo per sopportare pazientemente l’impopolarità e l’odio. Attraverso essa viene in rilievo la virtù plutarchea consistente nella capacità di sopportare l’arroganza del popolo e dei colleghi. Sia Pericle sia Fabio Massimo hanno in mente soltanto la salvezza e la sicurezza dello stato. 7
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