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Riassunto Vittorio Alfieri da "Amor Mi Mosse", Schemi e mappe concettuali di Italiano

Riassunto Vittorio Alfieri da "Amor Mi Mosse"

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 13/06/2022

ginny-canti
ginny-canti 🇮🇹

4.8

(9)

30 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto Vittorio Alfieri da "Amor Mi Mosse" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Italiano solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI LA VITA La formazione torinese e i viaggi di educazione Vittorio Alfieri nasce ad Asti il 16 gennaio 1749 da una famiglia di antica nobiltà. Alla morte del padre, il conte Antonio Amedeo, la madre si risposa e si trasferisce insieme al piccolo Vittorio a Torino nel palazzo del patrigno. Inizialmente venne educato a casa da suo zio tutore e un’insegnane privato. Dal 1758 al 1766 frequentò l’Accademia reale di Torino per completare gli studi. Per i giovani nobili era solito condurre il Grand Tour, un lungo viaggio che permettesse loro di visitare le maggiori capitali Europee, e non solo. Lo scopo di questo viaggio consisteva nello svelare la politica, la cultura e l’arte dei differenti paesi al ragazzo, e di prepararlo a ricoprire con consapevolezza il proprio ruolo nella società. Difatti, il giovane Alfieri, dopo aver completato l’Accademia, entra nell’esercito e grazie ad alcuni permessi speciali garantiti dal re Carlo Emanuele III, comincia a viaggiare. L’intento del giovane, però, sembrava tutt’altro: il suo fu, più che un viaggio, una fuga dall’ambiente chiuso in cui era stato costretto a vivere per anni. Ma, se da un lato la sua continua irrequietudine lo costringevano a cambiare luogo continuamente, dall’altro lo arricchirono culturalmente. I viaggi dell’autore gli consentirono di stringere rapporti con alcune importanti amicizie, di conoscere la cultura illuminista e di constatare la sua avversione nei confronti delle grandi corti d’Europa, governate dall’oppressione. Inoltre, Alfieri venne a contatto con la sfera amorosa che lo portarono a gesti estremi. Nel 1768 tentò il suicidio a causa della fine di una relazione con una donna olandese di Groninga, mentre nel 1771 sostenne un duello con il marito di Penelope Pitt, a lungo sua amante. Di nuovo a Torino: esperimenti di poesia e di tragedia Dopo quasi cinque anni, il ritorno a Torino sembrò quasi il ritorno in una prigione. Alfieri non voleva conseguire la vita militare o politica, poiché avrebbe comportato un servizio all’autorità. L’unico percorso plausibile sembrava la letteratura. Nel 1777 fondò a Torino la Société des Sansguignons (“Società dei senza ubbìa, senza pregiudizi) a Torino, per la quale scrisse i suoi primi componimenti letterari in francese, la lingua di cultura dello stato sabaudo. Nel frattempo cominciò una relazione amorosa tormentata con la nobildonna torinese Elena Margherita Gabriella Falletti di Villafalletto, sposata e di dieci anni più grande. Per terminare questo rapporto egli compì due gesti estremi: inizialmente fuggì, successivamente si fece legare alla sedia dal proprio servo, fino a che non si sarebbe liberato da quell’amore che l’autore riteneva vergognoso. Nel 1774 compose la sua prima tragedia, Cleopatra, che, al momento della messa in scena al teatro Carignano nel 1775, riscosse un notevole successo e che gli aprì la strada ad altre opere meno importanti. Avvenne da parte di Alfieri una “conversione letteraria” che lo condurrà a dedicarsi alla letteratura. A questo proposito, l’autore si rese conto che di non aver studiato abbastanza nel corso della propria breve vita. Dunque, munitosi di una forza di volontà intangibile, seguì un periodo di studio e approfondimento intensissimo dei classici latini. Una scelta radicale: via da Torino Nel 1778 Alfieri decise che si sarebbe liberato dalla condizione di vassallo del re di Sardegna. Donò tutti i suoi beni alla sorella in cambio di una pensione annua e vendette tutti i mobili di casa, dai quali ricavò altro denaro che gli garantì una rendita annua. Nello stesso anno nacque una relazione, destinata a durare per tutta la vita, con Louise Stolberg, contessa d’Albany e moglie di Charles Edward Stuart. Dunque Alfieri si stabilì a Firenze fino al 1780, fino a che la Stolberg, in seguito a una violenta lite con il marito, non decise di trasferirsi a Roma. Alfieri, naturalmente, la seguì, nonostante lo scandalo che aveva procurato la loro relazione. Tra il 1775 e il 1782 Alfieri conobbe un periodo di grande creatività e compose ben quattordici tragedie. Tra le più famose: il Filippo, l’Antigone, La congiura de’ Pazzi, la Merope, il Saul. Nel 1778 l’Antigone venne rappresentato a Roma nel palazzo dell’ambasciatore di Spagna, con Alfieri nel ruolo di Creonte. Essa riscosse un successo tale da convincere l’autore a procedere nella stampa delle sue tragedie. La prima edizione uscì nel 1783 a Siena. Sebbene l’opera ebbe numerose recensioni negative, probabilmente a causa dello scandalo causato dalla relazione con la contessa, il critico e letterato Ranieri de’ Calzabigi scrisse ad Alfieri una lunga lettera, costituente di critiche, ma anche di convenevoli. Tra il 1783 e il 1788 Alfieri si rimise in viaggio: inizialmente perché non poteva frequentare pubblicamente la Stolberg, e successivamente, dopo il divorzio della stessa, per seguirla. Viaggiò in Italia, in Inghilterra e poi in Francia: nella prima, si fermò anche a Torino, dove assistette alla messa in scena di una delle sue tragedie, Virginia; nella seconda, per comprare dei cavalli, una delle sue più grandi passioni; e infine nella terza, in Alsazia, per convivere con la Stolberg. Nel frattempo, Alfieri aveva deciso che si sarebbe fermato nella composizione di tragedie in modo “meccanico”, attenendosi solo a impulsi improvvisi, dettati da letture o circostanze esterne; tra esse va ricordata la Mirra. Inoltre, si dedicò alla revisione di alcune sue precedenti opere, tra cui i trattati Del principe e delle lettere e Della Virtù sconosciuta, mentre contemporaneamente perfezionava le Rime. Nel 1787 fece stampare a Parigi l’ultima edizione delle tragedie. L’opera si componeva di sei volumi e comprendeva diciannove tragedie, alcuni interventi critici su di esse con Risposta dell’autore e il Parere dell’autore su le presenti tragedie. Alfieri “parigino” Alla fine del 1787 Alfieri si trasferì a Parigi, seguito dalla Stolberg, per conseguire la stampa delle tragedie. Lo scoppio della Rivoluzione francese provocò in Alfieri un iniziale entusiasmo: nel 1789 aveva completato le cinque odi America libera, in onore della conquista dell’indipendenza americana, mentre nel 1788 aveva dedicato al generale George Washington la tragedia Bruto primo. Nell’occasione scrisse anche l’ode Parigi sbastigliato, cioè privata della Bastiglia. Purtroppo i successivi avvenimenti della rivoluzione versi un governo del popolo e non verso una monarchia costituzionale sul modello di quella inglese, suscitarono in lui un mutamento di opinione che poco alla volta si trasformò in un vero e proprio odio contro i francesi. Ne solo le prove i vari componimenti nel Misogallo tra il 1793 e il 1798. Alfieri e la Stolberg riuscirono a scappare da Parigi nel 1792 dopo l’assalto alle Tuileries e prima dell’imprigionamento e del massacro di gran parte dei nobili. Di nuovo a Firenze, una vita solitaria e operosa Alfieri e la Stolberg si stabilirono definitivamente a Firenze. L’autore si dedicò al lavoro letterario che consisteva nello studio del greco e dell’ebraico in un’intensa attività di traduzione, nella produzione di epigrammi e di rime, nella stesura di sei commedie, nella revisione della prima parte della Vita e nella stesura della seconda parte. Continuò a scrivere Sezione 2 » Il Settecento I GRANDI TEMI La forte personalità e il perenne conflitto VIVA x La vicenda di Vittorio Alfieri si costruisce attorno a una novità (novità non a; s'intende, ma mai presentata con tale nettezza e con tale energia): il forte intrecci vita e letteratura, tra biografia e poesia. Da un lato, la scoperta della vocazione raria fornisce all'esistenza la propria ragion d'essere, la propria giustificazione (( si vede in particolare nella Vita); dall'altro, la fortissima personalità dell'io poeti proietta in ogni tipo di scrittura. Non è certo un caso che la situazione di s interiore in cui l'io poetico descrive se stesso nelle terzine del sonetto autori (» p. 548) si ripresenti pressoché identica nel monologo di Saul (vv. 38-41). » TI La «perplessità» di Saul, p. 563; b T7 I primi passi della vocazione letteraria, p. 605 L'INTRECCIO TRA VITA E LETTERATURA ) All’interno di questa novità, si colloca una(costante di tipo tematico e form , ne costituisce in un certo senso la conseguenza: le opere di Alfieri, quantomeno .! significative, quelle che tuttora consideriamo canoniche, mettono sovente ins conflitto, un idio, una lacerazione. Può essere il conflitto tra il tiranno e l'i libero; il dissidio tra la ragione e il sentimento; la lacerazione interiore, sperin per esempio da Mirra, tra la vi e —— » T3 La gelosia di Mirra: «una incognita forza», p. 578 UNA SERIE DI ‘ CONFLITTI IRRISOLTI Tra i conflitti elencati, uno dei i più frequenti nelle opere di Alfieri è quello tra 1° to perlo più dalla critica, specialmente da quella “patriottica” del secondo Ott ma anche dagli ‘oppositori al regime fascista, int ini politici Ma 1 ‘indubbio a zioni sociali, politiche, ambientali pongono ‘alla piena realizzazione dell'io, a mendo quindi un significato più ampio e un valore più universale, che sarà unm l'ormai rossimo, Romanticismo. i, insomma, è molto spesso una poesia agonistica, conflittuale, di vista dei contenuti, ma vgnohe dal punto « di vista delle forme: dag Scanned with CamScanner N LE OPERE je tragedie Ì iti: Tradizione e novità La produzione tragica di. Alfieri è ici anni, trail 1775 eil 1787: e priameni nenti È comprende diciannove tragedie, scritte nell'arco di 117 sse alcuni aggiungono l'Alceste seconda, che è più pro- a te sn rifacimento dell'Alcesti di Euripide. L'autore stesso le | ae dizioni la Prima a Siena, nel 1783, comprendeva dieci tragedie; la n | ’arigi, 7 e il 1789, dopo un ulteriore lavoro di lima. È questa Tedizione definiti | va, a cui tutte quelle moderne fanno riferimento, [unumtiione 0 i menti sono tratti dalla mitologia e dalla storia greco-romana (Poliniice, An argomenti tigone, Agamennone, Oreste, Virginia, Ottavia, Timoleone, Merope, Agide, Mirra, Sofoni- sba, Bruto primo, Bruto secondo), dalla Bibbia (Saul), toria medievale (Rosmunda), 5 dallastoria del pesiodo umanistico Fioriere e Carati La congiura de’ base Pazzi), în Spagna (Filippo), in Gran Bretagna (Maria Stuarda). Molti di questi i erano già stati sfruttati a fini tragici dal teatro greco, da d fran- sea cese del Seicento e dagli stessi tray raliani del Seicento e del Settecento, scrittori ca Alfieri conosceva bene. autore, impegnato a dare un senso alla propria vita, a - catartica la scelta del teatro tragico — genere riservato a chi sa dominare gli espressivi e dimostrare profondità di sentimenti —, in quanto gli permette di rappresen tare personaggi eccezionali ed esprimere il suo titanismo. Puressendo la tragedia alfieriana saldamente radicata nella tradizione, l'autore duce elementi di novità tali da far compiere una vera e propria svolta al teatro pr: liano. Facciamoci guidare dalle parole con cui egli stesso, nella Risposta a Calzabigi, de- ima scrive i caratteri essenziali della propria tragedia: «Cinque atti, pieni, per quanto il soggetto dà, del solo soggetto; dialogizzata dai soli personaggi attori, e non consultori [confidenti] o spettatori; la tragedia di un solo filo ordita; rapida per quanto si può serven- do alle passioni, che tutte più o meno vogliono pur dilungarsi; semplice per quanto uso d'arte il comporti; tetra e feroce, per quanto la natura lo soffra; calda quanto era in me». Alfieri propone, in sostanza, una strettissima coerenza tra i contenuti e le forme: la tragedia dovrà imperniarsi attorno a una sola vicenda («un solo filo») senza divagazioni accessorie («pienla]... del solo soggetto»), con interventi dei soli personaggi princi; pa i — senza, perciò, i vari confidenti e messaggeri allora tanto in uso — e svolgersi quindi con e rapidità possibile. Tutto questo per servire alle passioni che in es- te: perché le passioni non tollerano discorsi lunghi, né indugi, né P | divagazioni, né interventi di personaggi che non siano indispensabili alla vicenda. Ven- “ eliminati il prologo, l'epilogo, i confidenti, il coro; vengono invece |- le unità di tempo e di luogo, non in ossequio al Classicismo ma per favorire la concentrazione e l'incisività della vicenda. 2 i, che dopo l'eliminazione dei confidenti diventano indispensabili per far ; issimi; nelle tragedie di Alfieri a dominare è il dii i o addirittura brevissime; e di ide, dando spesso vita a veri e propri | CLASSICI VITTORIO ALFIERI di Scanned with CamScanner Sezione 2 * Il Settecento L'attenzione alla resa scenica Lotta al tiranno 0 conflitto interiore L'eliminazione del sacro INVENZIONI frequente ricorso ai segni di intonazione: punto esclamativo, punto interto8z Hi untini di sospensione. . “ori è «uomo di teatro dal È Infatti, come gli studi recenti hanno messo in ni e delle proprie DI testa ai piedi» (Raimondi) ed è quindi O = elementi che costituiscono dida- fe: ecco allora che dentro il suo Gicae testo niro ca Jecasillabo drammatico” è dune scalie implicite per la recitazione. Perfino il suo end leca 3 nenti di acciai que costruito in modo da stabilire «le pause, la relazione fra n are e N I0- ne, le gocce di vita coste De minuscole esitazioni nel parta ‘agire, î i di direzi » (Taviani). mutamenti di done. di Alfieri — l'essenzialità e la concentrazione della vicenda, l'asprezza del verso — sono dunque funzionali alla messa in risalto dei niclei tematici della tragedia alfieriana: essa è una tragedia di conflitti e una tragedia di passioni. Il conflitto si presenta con grande frequenza nella forma della lotta tra il tiranno el'e- roe, che è un uomo libero, lotta che si conclude sempre con la vittoria del tiranno, ec- Gezion fatta per la(Virginfa: anche in essa l'eroe soccombe, ma Ja tragedia si chiude preannunciando unta-ribellione popolare; nel Saul e nella Mirra} invece, si manife- sterà nella sua forma più pura, come un conflitto interiore, che lacera l'eroe stesso. Le \passioni]sono le consuete passioni tragiche, portate all'estremo: ira, furore, gelosia, li- bertà, vendetta, amore, ovviamente tragico, gloria. Rispetto alla tragedia classica e a quella seicentesca, Alfieri elimina dai propri testi l'orizzonte del sacro, sia esso rappresentato dal fato classico o dal Dio cristiano. Come ha segnalato la studiosa Annamaria Cascetta, Alfieri accolse dalla tradizione tragica «i luoghi del limite, della passione radicale, della necessità del conflitto, della colpa, della — ‘morte espiatoria, della catarsi», ma diede loro un carattere nuovo, moderno rispetto a quello classico: «L'azione soggettivamente riflessa, la caduta dell'eroe completamente sui propri atti, il dominio del carattere e della situazione, rispetto all'arcaica fatalità, il rilievo del dolore rispetto alla pena, l’interiorizzazione della collisione, il passaggio dal piano oggettivo al piano soggettivo. La tragedia alfieriana approda infatti alla lacera- zione interna del personaggio, alla rottura della compattezza monolitica dell'eroe». LETTERARIE fa e cose andarono così: nel 1774, mentre assisteva l'a- mante inferma, Alfieri cominciò a stendere una tra- gedia, Cleopatra. Rivista nel 1775, essa fu messa in sce- ma con successo nello stesso anno a Torino. Ma il fa- vore conseguito, anziché inorgoglire Alfieri, lo riempì di vergogna, in quanto egli si rendeva ben conto dello scarso valore reale della Cleopatra e della distanza che separava la sua opere dalle migliori tragedie francesi. D ecise allora che avrebbe cercato di diventare un ‘buon poeta tragico. «Da quel giorno in poi (che fu in giugno del ‘75)», scrive nella Lettera responsiva (1783) all'amico e critico teatrale Ranieri de’ Calza- bigi, «volli, e volli sempre, e fortissimamente volli». E per costringersi a mantener fede all'impegno pre- so con il Pubblico e con se stesso e restare al tavolo a studiare, si faceva legare alla sedia dal servo Elia: 1 Eiioo i miei legami nascosti sotto il mantellone mi avviluppava, ed avendo libere le mani per cene. O scrivere, o picchiarmi la testa, chiunque ve- dizioni ja parcarzeva punto ch'io fossi at- CAT persona alla seggiola. E così ci passava poche» (Vita, Epoca terza, capitolo xvi] Scanned with CamScanner Ì | , RR | € turbato: il | CLASSICI VITTORIO ALFIERI a Senso de] E egli dà allimi €l Sacro è agi so a accettare, allo __2 Vecchiaia, la det Usai e Digg sglodinone ce roris O stesso modo, il David 28 la paura della morte - che non riesce ad n Pettoso € affettuoso es contro cui egli combatte non è quello reale, gene- te, Per proiettare suuni "to fedele, ma un David immaginario, che egli si crea Stato detto che con Saune tO nemico esterno il proprio conflitto interiore. Personaggi tragici alfieriani. entra în crisi l'individualismo eroico e superumano dei la Passione a cui egli can In realtà, Saul porta all'estremo questo individualismo, zione illimitata di Sé, della sù tutto Se stesso non è solo il potere politico, ma l'afferma- pari a Dive per sa n Propria potenza incondizionata. Saul;insomma, vuole essere x ni e ambisce a MR) campeggia ormai totalmente solo, senza più avversari terre : miti ontologici, cara ttecitici qUiDRIE con lui. E invece è costretto a fare i conti coni li- vittoria e sconfitta Il suicidio diventa così l'umano, che egli non vuole né riconoscere né accettare. insieme solvibile: tra i i così l'unica possibile soluzione di un conflitto interiore irri- n quello decisivo, Saul imposti all'uomo, la morte è certamente il più significativo, e la benché si illud a vuole accettarla in quanto tale, ma non può certo sconfigger- ha paura di == nn ET di perpetuare la propria gloria e il proprio regno; ge e che non si lasci uole riconoscerlo, Posto di fronte a un nemico che non fug- Ei ia sconfiggere, decide di affermare la propria volontà di potenza ll gesto estremo del suicidio. In tal modo, il conflitto interiore non viene risolto, ma è definitivamente fissato, grazie a un gesto, il suicidio, che è insieme vittoria, per- ché estrema affermazione della propria volontà, e sconfitta, perché sancisce la natura limitata dell ‘uomo, Saul compreso. La scissione interiore di Saul si ripercuote sull'intera tragedia di cui egli è il pro- tagonista, segnandone la struttura, a tutti i livelli: a peo si alternano sce- ne concitate a scene pacate e tranquille; a livello le, go vicino della scena (il ca i Saul)ei luoghi lontani (quelli in cui simuove so a livel- ione Lillindividualismo lo lidb, è evidente l’antitesi tra il giorno e la notte; a livello ), frequente è il ricorso alle figure di opposizione. fuggito da Saul perché da lui persegui- si scatena anche contro i sacerdoti, rei di avergliela con- tornare al campo ebreo, per aiutare il segnata. A fatica David, aiutato da Gionata e Micol, rie- battaglia decisiva contro i Filistei, che è sce a calmarlo, suonando l’arpa e cantando. Il re sembra a Gionata, figlio di Saul e suo gran- placarsi, ma quando David, nel suo canto, ‘accenna alle moglie Micol pure figlia di Saul, che cer- «due spade» — quella di Saul e la sua — che vinceranno i o, inutilmente, a nascondersi, per- Filistei, l'invidia, la rabbia, l'odio, la mania di persecuzione e lo odia, istigato in ciò anche dal del re si riaccendono. David è costretto a fuggire. 12: IV atto Saul cerca di convincere Gionata a odiare TT in Abner, David, dicendo che gli toglierà il trono. Ma Gionata re- i <tr oa luce sta fedele alla sua amicizia e riconosce le qualità supe- ; Micol L difendono. Inaspetta- riori di David, scatenando di nuovo l'ira del re che si 20 aechiara al re di essere pron- | sente tradito anche dal figlio. Quando poi giunge al pechae dice anche di es- campo il sacerdote Achimelech che aveva consegnato ta MT gli dimostra a David la spada di Golia, lo fa uccidere, insieme a tut- o A L. ce avrebbe potuto talasua stirpe. Infine, condanna a morte David. ira David, in cui ve- V atto Avvisato da Gionata e da Micol, David, che pure vorrebbe aiutare Saul in battaglia, fugge dal cam- po. Saul, perseguitato dall’ombra del profeta Samuele, cade in delirio e non riconosce Micol, che invano cerca di a Ipo la battaglia ha inizio: arriva notizia della sconfitta e della în sé, Saul rifiuta la fuga ia la figlia e si uccide, i campo degli Ebrei. 559 Scanned with CamScanner Sezione 2 « Il Settecento Il modello di Ovidio Un conflitto tutto interiore Lo scontro di due mondi e” della tragedia, ovvero la riduzione ssenzializzazioni ice con la Mirra. La* Il processo di progressiva “essen2 BEIONI a 90;p della scena tragica alla scena dell'uomo interiore, raggiunge V'api tragedia fu ideata nel 1784, stesa nel 1785 e verseggiata nel 1786. L'idea della tragedia nacque in Alfieri alla lettura del libro X delle Metamo di Ovidio, che descrive l'amore incestuoso di Mirra per il padre Ciniro. Ma Al Ù introduce una sostanziale modifica al racconto ovidiano: mentre il poeta latino sot- eava la ferma volontà di Mirra di arrivare all'incesto e descriveva gli stratagem= mi da essa attuati per raggiungere il proprio scopo, la protagonista della tragedia di. Alfieri resiste fino allo stremo alla passione che la sovrasta, rifiutandosi non solo di cederlé, ma perfino di nominarla a se stessa, prima ancora che agli altri. Oltre che dalle Metamorfosi, Alfieri trae elementi di ispirazione dalle tragedie di Sofocle (Edi- po re) ed Euripide (Ippolito), nonché dalla Fedra, titolo di un dramma di Seneca ma anche di Racine. s a nteriore di quello che agita Saul: sei Il conflitto che travaglia Mirra è ancora più i I ) 4 infatti Saul riesce a “inventarsi” dei nemici in Dio e in David, Mirra è circondata da personaggi che, pur non riuscendo a comprenderne il dramma interiore, vogliono soltanto il suo bene, come ella stessa riconosce. Il padre, Ciniro, è re, ma non è certo il re tiranno cui ci hanno abituati le tragedie alfieriane; egli, anzi, rifiuta apertamen- te la ragion di stato e, quando è costretto a scegliere tra i due ruoli incompatibili, al- meno secondo Alfieri, di padre e di re, sceglie senza esitazioni il primo. Anche la ma- dre Cecri ha come unico scopo la felicità della figlia; e Pereo, il suo promesso sposo, profondamente innamorato di lei, è tuttavia disposto a non sposarla, purché questo la renda felice Mirra vive dunque un conflitto tutto interiore, poiché è senza nemici esterni: in tolin chiunque la protagonista” incontra non ostacoli, ma appoggi. Eppure, proprio il desi- derio dei suoi cari di conoscere la ragione del dolore che la travaglia, fino al punto da portarla alla consunzione fisica, impedisce qualunque vera comunicazione. Si scon- trano infatti due mondi. Da un lato il mondo della parola, che vuole portare alla luce, razionalizzare, spiegare. È quello — razionalista e illuminista, potremmo dire — di Ci- niro soprattutto, di Cecri, di Pereo, di Euriclea che parlano, interrogano, cercano di capire. Dall'altro c'è il mondo del silenzio: è quello di Mirra, che non vuole parlare, perché dire ciò che le accade non è possibile. Le sue parole spesso invitano i suoi in- terlocutori al silenzio e cercano di nascondere, anziché rivelare; per questo sono carat- terizzate da allusioni, da frasi interrotte, da puntini di sospensione. STRUMENTI * I modelli La Mirra delle Metamorfosi di Ovidio Alfieri si ispirò alla vicenda di Mirra narrata da Ovidio nel libro X delle Metamorfosi. Tuttavia esistono sostan- ziali differenze che riguardano soprattutto i comporta- menti e ta psicologia della protagonista. Nelle Meta- morfosi di Ovidio Mirra è segretamente innamorata del padre Ciniro e cerca di trovare argomenti per giustifica- re il proprio amore di fronte a se stessa. Invitata dal pa- dre a scegliersi uno sposo tra i molti pretendenti alla sua mano, decide di uccidersi la notte stessa. Il suici- dio è impedito dalla nutrice, alla quale Mirra finisce per rivelare il motivo della propria disperazione. La nutrice promette di aiutarla, approfittando della prossima festa di Cerere, nella quale per nove notti alle mogli è vietato unirsi ai mariti. La nutrice racconta a Ciniro che una fanciulla si è innamorata di lui, tacendo ovviamente il nome, e accompagna Mirra al letto di suo padre, per più notti di seguito. Tutto avviene nel buio, finché Cini ro, una notte, desideroso di vedere la fanciulla, accen- de una lampada e scopre che si tratta della figlia. La scaccia immediatamente; Mirra fugge per nove mesi. Ormai prossima al parto, chiede agli dei di essere pU- nita in modo tale che le sia negata tanto la vita quanto la morte e viene trasformata nella pianta della mirra, che non è viva ma non è nemmeno del tutto morta, perché da lei trasudano gocce. Dal tronco in cui Mirra si è trasformata nascerà il bellissimo giovinetto Adone. 560 Scanned with CamScanner \ S i 3° vi di essere, se non vinta, to. Mirra non vuole dare parole alla sua one i la sarebbe già come farla esistere e conferie quindi n irre: non è nominata, invece, può rimanere celata nelle pieghe della coscienza e ail almeno soffocata. é Ma le insistenze del padre e della madre e il suicidio di costretta, Mirra svela — sia pure in maniera allusiva pressoché contemporaneamente si uccide, gettandosi sulla del suicidio ha un chiaro valore simbolico, di vittoria finale Sicché Mirra, innocente per tutta la tragedia, alla fine muore colp: che i genitori sì ritraggono inorriditi da lei (» T4 La parola che uccide, p. Nel terzo atto, Alfieri si premura di fornire una spiegazione razi fondata sulla mitologia classica, dell'origine dell'amore incesi stituirebbe una vendetta di Venere, adirata con la madre di lei, tato la superiore bellezza della figlia rispetto alla dea. Ma la religiosità — | CLASSICI VITTORIO i ncestuosa: nominar gistibile; finché es52 può quin tUttav asd to meglio 21 ria passione padre Ù late di lui. La modalità del desiderio incestuoso: levole, tanto è Vero, tuoso di Mirra: esso CO” Cecri, che aveva van” pagana o cri- stiana che sia - è assente dall'orizzonte di senso di Alfieri; questa spiegazione, che Alfieri ricava dalle Fabulae, trattato di mitologia dello scrittore latino Igino controllabili. La Mirra è una delle ultimissime tragedie scritte da A vori, insieme al Saul; può quindi servirci a misurare tutta quando aveva intrapreso la sua carriera di autore tragico. (I secolo alla vicenda d.C), è un tentativo di razionalizzazione che resta del tutto esterno k ; Y ca, la cui forza consiste invece proprio nella totale irrazionalità e inspiegabilità di quel che accade a Mirra: con questa tragedia Alfieri passa illuminista di causa-effetto all'indagine sulla complessità sulla sconfitta che la ragione e la volontà subiscono dallo schema razionalista e della psicologia muaga, di fronte a pulsioni isti ape Ifieri e uno dei suoi capola- Ja strada da lui percorsa da | amllattolcolloquitra la nutrice Euriclea, il padre Ciniro | e la madre Cecrì informano lo spettatore che Mirra è | promessa sposa al degnissimo Pereo, da lei stessa | scelto; ma che, man mano che le nozze si avvicinano — e dovranno celebrarsi il giorno stesso —, un’angoscia mortale la sovrasta sempre più. Ciniro decide di prova- rea capime il motivo. che Mirra non voglia più caso rinuncereb- o colloquio, gli conferma invece che e ‘ma in modi tali da renderlo certo che i richiedere ai geni- colloquio con i genitori, Mirra li non ami Pereo, tuttavia lo stima ‘Ora è solo turbata dal matrimo- che esso compor- ‘compiano le nozze chiede il per l'Epiro, patria di Pereo, 6 addolorati, padre e madre Partita Mirra, Cecri svela a Ciniro di aver offeso Ve- nere, anteponendo la bellezza di Mirra a quella della dea. Arriva Pereo, pronto a rinunciare a Mirra; ma Cini- ro gli riferisce l’esito del colloquio e il giovane corre a preparare le nozze. 2: IV atto Dopo un ulteriore colloquio tra Mirra e Pe- reo, dall'esito rasserenante, si celebrano le nozze. Ma durante la cerimonia Mirra cade in preda a un crescente turbamento, che sfocia infine in una sorta di delirio, nel quale respinge il promesso sposo. Ciniro ordina di in- terrompere il rito e, mentre Pereo fugge disperato, rim- provera acerbamente la figlia che, per tutta risposta, lo invita a ucciderla. La stessa richiesta Mirra rivolge alla madre Cecri, lasciando anche trapelare a tratti — e subi- to negandola — la gelosia che prova nei suoi confronti. V atto Ciniro porta la notizia del suicidio di Pereo e convoca la figlia, determinato a scoprime il segreto. Le rivela che ha capito che la sua angoscia è provocata dall'amore; Mirra prima nega, poi ammette. Ciniro in- calza, rassicurando la figlia: chiunque sia l'oggetto del suo amore, egli lo approverà. La resistenza di Mirra è sempre più debole, finché si lascia sfuggire il nome tanto desiderato dal padre, dichiarando subito dopo la gelosia per sua madre. Nel momento stesso in cui Ci- niro capisce, Mirra si getta sulla sua spada e si uccide, tra l'esecrazione dei genitori. È 561 Scanned with CamScanner sure MB altare l'eccezionalità del protagonista. x dm, in ciò, come è stato notato, alle tragedie alfieriane, in cui l'eroe ca ene n sce- na. L'autore non si abbandona quindi, re ROMAE FEsS o È a gl 2 = al Si ia, né i re, come Goldoni, all'aneddoto godi p per Se stesso; ess sei o finalmente degni e lieti come quello perla Stolberg, sono visti da lui solo in funzione della vocazione letteraria, come ostacoli (i primi) o come incentivi alla realizzazione di essa (l'ultimo e finalmente «degno»). o L’io narrato assume, dunque, caratteri che lo rendono simile a tanti eroi tragici: una personalità eccezionale, intollerante e superba, ma anche generosa e magnani- ma, inquieta, in lotta con il mondo e con se stessa, che una volta che ha riconosciuto la meta corre diritta verso di essa, in mezzo a mille ostacoli, grazie a una forza di vo. solo in quanto servono a far ris lontà straordinaria. cd È Un ironico io Ma nella Vita accanto all’io narrato si accampa sempre l'io narrante: a volte, esso narrante si identifica con l'io narrato, di cui approva in toto comportamenti e sentimenti; ma, più spesso, introducendo una nota di distacco, di ironia, di giudizio straniante, ne incrina la monoliticità tragica. Così, se l'io narrato rimpiange, di fronte ai paesaggi maestosi del Nord Europa, di non aver potuto poetare perché ancora privo dei neces- sari strumenti linguistico-retorici, l'io narrante se ne rallegra, a nome del lettore; se l'io narrato dichiara la propria fierezza per le sue quattordici tragedie e per i quattor- dici magnifici cavalli comprati in Inghilterra e portati, tra notevoli difficoltà, fino in Italia, l'io narrante, sulla base del numero, stabilisce un paragone tra cavalli e tragedie che mette in ridicolo gli uni e le altre, collocando passione per i cavalli e vocazione letteraria nel novero delle risibili smanie. Stile incalzante e n ironico che percorre la Vita trova realizzazione stilistica nella lingua invenzioni lessicali e,nello stile. Nella breve mtroduzione, Alfieri dichiara che, data la scarsa importanza dell'argomento, ha scelto una «triviale [bassa] e spontanea naturalezza». In effetti, an- che se nella Vita non mancano stilemi classicheggianti, come certe scelte lessicali 0 le versioni £ sintattiche, essi vengono assorbiti da uno stile che si modella su quello della conversazione a i idaei i i settecentesca. La narrazione è sempre rapida e incalzante: innanzitutto, La Vita è divisa in quattro partite 7 3 de Da seta, a EE ripartite passe all’altro, il supplizio dello stare fermo in un luogo capitoli, ispondono a quattro cinque si sollievo provato nel viaggiare. Comune a queste tre oche è l'insistenza sulla totale ignoranza della tradi- ne letteraria e della lingua italiana e gli ostacoli posti stesso, dalla sua classe sociale e da tutto un ente alla realizzazione di una vocazione letteraria € ogni tanto fa capolino. (quarta. Virilità Comprende trenta e più anni di i e studi diversi. Articolata in tren- faticoso apprendistato di scrittore, della lingua italiana e allo studio dei ‘ ‘fasi della stesura delle proprie opere. Scanned with CamScanner perché gli Svveni ] dal punti 0 di vi son : sta se lo Ici Preferisce la co dell'io name. PI O LASSICI VITTORIO ALFIERI ici Ordinazion Nte, Tvati d precisione e da esser ONE al + TAI Uomne I PUNTO darti tafore. Tipj Senzia SUOLA) Mab Trivo della - Tipica di Zialità: ni Ordinazi UO; POI, STAZIONE O, (accrescitivi, qi ella Vita è yi i di Petifragi ci € a scelte TERA una sintassi che sazioni. («o Minutivi, VENZONE Jaggi Me, né divag icali caratterizzate da Mes di (gallicume,, e BBiorativi lessicale: Alfieri pro ioni e scarsità di me Arsi», «spe ” “«Serventj * «omiccj ricorre 4 È nsare ismo», «di Spesso a derivazioni «tramelogedia») "a accostamenti e son ° Inconsueti Ueti e a fusioni di niscenz . È e dell'infanzia , Epoca prima, capitolo Il a leggiamo fa parte dell'«E : È i: poca pri- di vita, i n erizia, quella che abbraccia, a 1 vita, in realtà, sembra anticipare moderne intui- tore, «nove anni di vegetazione». rr del periodo e delle esperienze fe sval i tiri ° ili per la costituzi , e svalutazione dei primi nove anni rattere dell'adulto vnione dA O dunque a Parlare della mia primissima età, dico che di quella stupida' vegeta- * e, pen mi è rimasta altra memoria se non quella d'uno zio paterno, il quale tre anni in quattr'anni?, mi facea por ritto? su un antico cassettone, e quivi molto omi mi dava degli ottimi confetti*. Io non mi ricordava quasi punto? di lui, né n'era rimasto fuorch'egli portava certi scarponi riquadrati in punta. Molti anni do- volta che mi vennero agli occhi certi stivali a tromba®, che portano pure la scar- ‘a quel modo stesso dello zio morto già da gran tempo, né mai più veduto da me eva uso di ragione, la subitanea vista” di quella forma di scarpe del tutto oramal richiamava ad un tra tto tutte quelle sensazioni primitive chio aveva provate le carezze e i confetti dello zio, di cui i moti edi modi?, ed il sPee Pare i i ivissi inte ed in un subito! nella fantasia. MI sono la- isi ‘acciavano vivissimame! 1 n i pref sta puerilità come non inutile affatto a chi specula sul meccanismo ue: , come pensier! colle sensazioni. i dal mal de' pondi"! fui ridotto in fine ; patimenti; e che senza aver ii fine di dolore; perché quando i joletto. ‘soli era diventato un ang! i pe: idee primitive, 0 sial queste due. La ssati!5 dalla casa pater 12: e mi pare di av er idea nessuna di era morto le sensa” j: «dissenteria con it I de’ pondi: i init mal de” PonTT Scena). versoilgi ohio” vocsboer, dn flusso sanguigno Do È sno retto da Duri visione. 42, infine: nind i gua italiana. vista provvisa e 13, tuttavia: t!!0"8. |, iseppe Min sta dall uso, P' 44, fratello minore era Sr morto ea n A Tm. » cadu! “riti dagli sata: sostituiti o quando il P È e rponi erano stati so© È neolta Oi eravamo andati ja punta di imovim 15. ramo passa" scarpini moti edi MO 23 Scanned with CamScanner I CLASSICI VITTORIO ALFIERI cente ed efficace nelle tragedie ch ) I testi migliori sono dunque Fitrae dei paesaggi nuovi perla ‘e non nelle Rime. Quelli in cui l’autore descrive se stesso e letteratura italiana, paesaggi i itari nei am 3 ) 5 , \ggi selvaggi e solitari quali si riflettono 1 sentimenti, le passioni e l'animo dell'autore. SE rien È i pe in cui l'autore parla con i grandi italiani e ne esalta l'opera e la personalità: Oltre ai quattro poeti che facevano parte del canone letterario nel Settecento (Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso), Alfieri celebra anche Machiavelli, Michelangelo e Galilei. quelli in cui rror di solitaria selva ma parte, CLXXIII to, come ci informa lo stes- 16, in occasione di una pas- e Castelli». Il tema sem- e petrarchesca: l'amante passeggiata solitaria in un ambiente naturale. Ma se lo spunto — e anche gran parte del lessico — è tipicamente petrarchesco, lo svolgimento è invece alfieriano, sia per la prero- mantica consonanza tra sentimenti dell'io e paesag- gio, sia per la presenza del motivo polemico e politico. ce (è lo struggimento della malinconia, ti- pico sentimento preromantico, ben noto ‘ad Alfieri, che ne parla spesso nella Vita e nelle Rime; si veda almenoil sonetto delle Rime: Malinconia dolcissima, che ogno- ra l fida vieni e invisibile al mio fianco). 3-4. che in... belva: ordina: che tra' i suoi figli (figli della selva, gli animali fe- roci) nessuna orrida (spaventosa) belva ‘non si ricrea (ristora, rinvigorisce) in essa {nella selva) al par di me (come me). 609 Scanned with CamScanner Il trattato è diviso in tre libri: -nel primo libro, l’autore esamina i danni arrecati dal mecenatismo ed afferma la naturalità del conflitto tra il tiranno e le lettere. -nel secondo libro, l’autore esorta gli uomini a liberarsi da ogni legame con il potere. -nel terzo libro, Alfieri si appella all’orgoglio degli italiani, spronandoli alla virtù. Secondo la critica, l’opera è ispirata al trattato di D’Alembert, il quale dichiara che la dignità e l’indipendenza dell'uomo sono stabilite dalla stima che ottiene dai suoi pari. Il letterato di Alfieri è un nobile che, non dovendosi occupare delle questioni economiche, può dedicarsi all’esercizio delle lettere. LE OPERE POLITICHE MINORI Nelle opere politiche minori Alfieri conferma i caratteri stilistici e l’impostazione delle opere maggiori. Poiché molte di esse sono composte su sollecitazione di alcuni avvenimenti “rivoluzionari” pare che l’Alfieri affianchi le classi popolari nella conquista del potere. Tuttavia il vero avversario dell’autore è in realtà la nuova tirannia popolare. Panegirico di Plinio e Traiano l’opera venne stampata nel 1787 ed è dedicata a Luigi XVI. Plinio, oltre a lodare l’imperatore Traiano, lo invita a mostrare la sua virtù rinunciando al potere, consentendo il ripristino della repubblica. Della virtù sconosciuta si tratta di un dialogo in prosa realizzato nel 1786 e pubblicato due anni più tardi. Avviene il confronto fra due scelte di vita degnissime: quella di Alfieri dedito alla poesia e alla ribellione aperta e quella dell’amico, basata dissimulazione onesta. L’Etruria vendicata scritto nel 1778 e pubblicato nel 1789, si tratta di un poemetto in ottave che narra l’uccisione del duca di Firenze Alessandro de’ Medici da parte di Lorenzo de’ Medici. America libera si tratta di cinque odi, terminate nel 1789, in cui vengono celebrate le lotte d’indipendenza americane. Parigi sbastigliato ode composta nel 1789 che narra la presa della Bastiglia. Analisi del testo “Tacito orror di solitaria selva” Il sonetto che reca il titolo “Tacito orror di solitaria selva” è stato scritto da Vittorio Alfieri il 26 agosto del 1786. In occasione di una passeggiata solitaria in un ambiente naturale (“tra gli alberi ai Tre Castelli”) il poeta dà sfogo ai suoi sentimenti. Lo spunto è di origine petrarchesca, ma il verso è tipicamente alfieriano. Qui di seguito ne è proposta la parafrasi: Un orrore silenzioso di una selva solitaria mi rallegra il cuore infondendomi una tristezza così dolce che nessun orribile animale selvaggio, ritrovandosi con i suoi cuccioli non trova la stessa pace con cui mi rassereno io. E quanto più mi addentro all’interno della selva, tanto più calma e gioia si riproducono in me; per cui ricordando come io nella selva provavo gioia, spesso poi la mia mente ritorna nella selva. Non è che io detesti gli uomini, e che non veda in me stesso dei difetti anzi, ne vedo più che in altri uomini; né che io mi creda di essere più vicino degli altri alla verità: ma il mio vile secolo non mi è mai piaciuto: e oppresso dal pesante giogo della tirannide. è soltanto nei luoghi deserti che terminano le mie sofferenze. Il tema principale del sonetto è il rifugio del poeta nella natura. I primi due versi di questo sonetto ricordano i vv. 12-13 del Canzoniere: “…solitario orrore / … tanto mi piacque”. Nelle prime due quartine il poeta manifesta il suo stato d’animo attraverso un contrasto con il paesaggio naturale. Il carattere selvaggio e deserto del luogo non incute al poeta timore, anzi sembra quasi calmarlo e rinnovarlo interiormente. Dunque, la solitudine è lo stato più consono all’io poetico, che diventa parte integrante della scena: quanto più egli si addentra nell’oscurità della selva, tanto più egli raggiunge la calma. Nelle due terzine il poeta inserisce un momento discorsivo per giustificare il proprio comportamento psicologico, cioè la capacità di trovare una dolce tristezza soltanto nella solitudine selvaggia. Ciò non avviene per misantropia, per disprezzo o per orgoglio, bensì perché l’autore rifiuta il vil mio secol (v. 12), il suo tempo caratterizzato dalla vigliaccheria, e del regal giogo (v. 13) imposto dai tiranni. In questo sonetto Alfieri predilige la costruzione ipotattica, utilizza di rado gli enjambements e costruisce una struttura semantica basata sulle antitesi. In primis vi è quello tra paesaggio e stato d’animo: esso si sintetizza tra i due gruppi di rime (schema ABBA ABBA CDC DCD) in -ea che si oppongono al significato di quelle in -elva e investe anche a livello fonico poiché in -ea sono assenti le consonanti, mentre in -elva ve ne sono due. L’io poetico vive anche di altre due opposizioni: quella al suo vil...secol e quella al pesante regal giogo. Le antitesi sono così presenti da segnare lo stesso ragionamento dell’io poetico, il quale inizialmente dichiara che ama le selve non perché disprezzi gli altri uomini ma perché non gli è mai piaciuto il suo vil…secol. Tutto ciò è una contraddizione poiché vil significa disprezzare gli uomini che in quell’epoca vivono. Tuttavia, la contraddizione non rappresenta un motivo di debolezza in Alfieri, bensì dona a tutto il sonetto un’impronta caratteristica di sé, ovvero una costante opposizione. Ciò non sorprende poiché la perplessità di Alfieri si riflette su tutto ciò che lo circonda, facendo leggere il mondo intero come un universo di contrasti e antitesi.
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