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Riassunto Volume 4 Arte una storia naturale e civile parte 1, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto fatto al computer senza immagini capitolo per capitolo del volume 4 del libro Arte una storia naturale e civile.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 08/11/2021

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Scarica Riassunto Volume 4 Arte una storia naturale e civile parte 1 e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! CHE COS'È IL BAROCCO? È un concetto, un’idea che usiamo per definire l’arte e la cultura che hanno dominato l’Europa tra 600 e 700. Nasce come etichetta negativa, sinonimo di bizzarro e diseguale, indicava anche una “perla non sferica”. Da Quatrèmere de Quincy Barocco diventa un sostantivo e indica un'architettura bizzarra. Oggi gli storici collegano a questa etichetta il linguaggio figurativo che nacque a Roma all’inizio del 600, diffondendosi poi nel resto d'Europa. Panofsky disse che il Barocco è riconducibile a un moto sfrenato, effetti teatrali di luci e ombre, commistione di materiali e tecniche. Tutto ciò si può trovare nella cattedra di San Pietro di Bernini, tutt'altra cosa dalla scultura di Sansovino e dal Rinascimento. Barocco è il secondo grande apogeo dell’epoca moderna. Ci sono due modi di intendere il Seicento figurativo: come conclusione di un ciclo iniziato nel 400 o il periodo in cui nasce l’arte che arriva fino ai nostri giorni. Vediamo il Bacco di Caravaggio, che come in quello di Michelangelo i modelli antichi si fondono con una rappresentazione realistica di uno stato di ebbrezza. Il Bacco di C però è stato accostato anche alla barista del Bar delle Folies-Bergère di Manet: due mezze figure che guardano lo spettatore e hanno senso solo in presenza di quest’ultimo. C allude a questo dialogo attraverso l’offerta del bicchiere, M lo rende esplicito rappresentando nello specchio un uomo; non a caso la rivoluzione pittorica di M partì dalla visione di Velazquez, seguace di C. nel 600 gli artisti prendono coscienza di sé e della propria modernità: alle loro spalle ci sono i maestri, da li bisogna partire per fare cose ancora più grandi. Il superamento dei confini è proprio uno dei tratti fondamentali del Barocco. Sezione I: Italia-Europa 1595 - 1620: una rivoluzione nell'arte Lineamenti storici Grazie alla Controriforma e al controllo spagnolo ci fu un periodo di quiete politica e pace militare, che permisero la fondazione di nuove chiese, oratori e confraternite. Anche l’assetto sociale muta: i ceti dominanti si strutturano in oligarchie borghesi che organizzano il potere in magistrature, nelle campagne si allargarono i latifondi. In questo clima ci fu la rivoluzione scientifica di Galileo, fiorirono accademie di artisti, letterati e intellettuali, si fondarono biblioteche pubbliche e teatri. Napoli era la principale città d’Italia, seguita da Venezia e Roma, che divenne capitale artistica d’Europa fino al 1670. Ogni squilibrio politico italiano era risolto grazie alla mediazione francese, si veda ad esempio l’interdetto di Paolo V contro Venezia. Nel 1630 ci fu una grave pestilenza nel nord, che fu investito dalla Guerra dei Trent'Anni. L'Olanda nel 600 è interessata alle carte geografiche, utilizzate come strumenti di viaggio ma anche d’arredo, come si vede in questo quadro di Vermeer. CAPITOLO 1 - LA VERA NATURA DI ANNIBALE CARRACCI E CARAVAGGIO 1. Il giorno del giudizio: Caravaggio incontra Annibale Carracci Per vedere il Seicento con gli occhi di chi lo visse, ricorreremo alle Vite dei pittori, scultori e architetti moderni di Giovan Pietro Bellori, che uscirono a Roma nel 1672. Costruito per biografie, narra una nuova storia dell’arte, che si stacca dall'arte manierista nell’ultimo decennio del 500 con Caravaggio (1571-1610) e Annibale Carracci (1560-1609), raccogliendo le testimonianze di diversi uomini. Sia C che A giungono a Roma in quel periodo. Nel 1599 nella Chiesa di Santa Caterina dei Funari a Roma (spesso chiusa, pochi la conoscono) venne collocata una pala d'altare per la prima cappella a dx: la Santa Margherita di AC, proprio accanto a due cappelle che accoglievano pale dell’ultimo Manierismo. Accanto c’era la Deposizione di Girolamo Muziano, in cui le figure sono concepite senza profondità; l’espressione del dolore è contenuta e accennata, si riprendono gesti famosi inventati dai maestri del primo 500 e i colori sono tenui ed eleganti. Lo stesso tipo di pittura è in tutta la cappella, per opera dello stesso M e in parte per Federico Zuccari, che era il più celebre dei pittori romani e fondatore dell’Accademia di San Luca. Di fianco a questa cappella ce n’è un’altra, che accoglie l’Assunzione della Vergine di Scipione Pulzone. Il suo modo di dipingere è astratto, formalizzato e mentale, le figure sono come statue coperte da stoffe preziose e cangianti; una pittura per veri esperti e intenditori. La Santa Margherita è invece sola, monumentale e vibrante, interpella lo spettatore guardandolo; è una ragazza contemporanea, immersa nella campagna romana; tutto è reale. Era una novità e molti accorsero per vederlo, anche Caravaggio. Entrambi rifiutavano la pittura manierista in favore di una che somigliasse alla realtà, alla natura. 2. Da Bologna a Roma: le origini della riforma Carracci C era giunto a Roma tra 1592-93, era uno sconosciuto in cerca di fortuna, e A nel 1595 da Bologna, artista affermato invitato a lavorare presso un cardinale illustre. A nel 1582, dopo un viaggio nell’Italia del nord, aveva fondato con il fratello Agostino e il cugino Ludovico un’accademia che voleva recuperare la pittura del primo 500 e lo studio della natura, i cui accademici presero il nome di “Incamminati” per la volontà di un continuo rinnovamento del sapere. Una pittura che è di carne viva, come scrisse Malvasia, biografo dei Carracci. Nel 1580 A aveva realizzato una Macelleria, in cui una scena quotidiana assumeva una solennità da scena sacra. Egli si autoritrae nel giovane macellaio che si piega su un montone. È una pittura che non vuole più inventare un mondo immaginario, bensì rappresenta un mondo reale. Dello stesso periodo è un disegno a matita rossa in cui ritrae un modello del suo studio che si è addormentato nudo. È una pittura che rappresenta la materialità della vita vera. Nel 1585 A ottenne, grazie alla protezione della famiglia Farnese, la commissione per la pala d’altare della chiesa dei Cappuccini a Parma. Realizzò una Pietà molto affollata, che si può definire il primo dipinto barocco per l'altissimo pathos della scena. Anche il fedele è coinvolto grazie al gesto di san Francesco e in alto gli angeli sono in un trionfo di luce che corona un paesaggio naturalissimo. La resa dei corpi è reale, le fattezze sono morbide, derivate da Correggio. Negli stessi anni Ludovico Carracci (1555- 1619) seguiva un percorso simile, dotato però di una urgenza espressiva e di un senso di umanità più forte. Vediamo la Visione di San Francesco: si ispira ai dolci notturni di Correggio, ma la natura è familiare e misteriosa, grazie a un luminismo moderno e sapiente. Un suo capolavoro è la Pala dei Bargellini, che si trovava nell’altare della Cappella Boncompagni della chiesa bolognese dei Santi Filippo e Giacomo. Adottando lo schema trasversale della Pala Pesaro di Tiziano, la M&B è in scorcio, san Domenico fa entrare lo spettatore nella scena e san Francesco introduce la donatrice. La Maddalena porge il vaso dell’unguento e ha a fianco un aspersorio e un secchiello di acqua benedetta, che ricordano che nel convento della chiesa vivevano le prostitute convertite. La scena si ambienta sotto un portico bolognese, con gli angeli che volano sul paesaggio urbano, contro un sole nascente. 3. “Un quadro buono di fiori, come di figura”: il cuore della rivoluzione di Caravaggio. Caravaggio si era formato a Milano, con una pittura basata sulla realtà. Egli cominciò a farsi conoscere con quadri da stanza realizzati per collezionisti interessati al suo stile più che ai soggetti, figure in abiti contemporanei che sono concentrate in concerti, giochi di carte o scene di strada. È questo il caso del Bacco degli Uffizi che fu donato al granduca Ferdinando | dal cardinale Francesco Maria del Monte, protettore romano di C. Il dio siede a tavola su un triclinio e coronato da tralci d’uva matura. Sul triclinio è un materasso di tutto i giorni, coperto da un lenzuolo sporco che fa anche da toga: C rappresenta la messa in scena nel suo atelier. Lo sguardo e il calice proteso in avanti mirano a far interagire il quadro con lo spettatore. Nel suo trattato sulla pittura il maggiore sostenitore di C, Vincenzo Giustiniani, dice che C sa fare bene sia un quadro con una figura, che con soli fiori. Si contesta qui il primato della figura umana, rivendicano un’autonomia inedita per l’artista. È la rivoluzione dell’arte per l’arte, che non ha altro scopo che se stessa; l’artista non ha più bisogno di legittimazioni politiche, sociali o religiose. Vediamo la Canestra di frutta e la Maddalena pentita, dipinte entrambe nel 1595: nella canestra le forme occupano lo spazio in modo solenne, la luce è netta e assoluta, il silenzio è sacro; la frutta è Nel 1610 C si convince di aver ottenuto la grazia papale e da Napoli, decide di tornare a Roma. Si imbarca su una nave, ma finisce sulla spiaggia del Monte Argentario, si ammala di febbri e muore a Porto Ercole il 18 luglio. Il suo David con la testa di Golia doveva essere stato dipinto per Scipione Borghese, nipote del papa. Davide non trionfa, è riluttante, pentito, mentre tiene in mano la testa di Golia che altro non è che un autoritratto di Caravaggio, come a esprimere il proprio pentimento e la propria colpa. VIE DI FUGA - IL PITTORE SI TAGLIA LA TESTA Nel David e Golia di C, egli si ritrae nel gigante. Questo ha un precedente nell’autoritratto di Giorgione come Davide, con la testa di Golia sul parapetto, conosciuto tramite un'incisione. Probabilmente C aveva visto un'incisione, ma egli si identifica con il vinto e non con il vincitore, perché vuole rappresentarsi come un peccatore punito, al fine di poter rientrare a Roma. Dopo di lui altri fecero lo stesso: celebre è Giuditta e Oloferne di Cristofano Allori, dove Giuditta è la cortigiana “Mazzafirra”, amante del pittore, e Oloferne è un autoritratto di quest’ultimo. Giuditta allude al potere erotico dell’amata sull’amante. Più tardi, Duchamp si fece ritrarre con la compagna Mary Reynold, ma di lui si vede solo la testa. È un esperimento di fotografia concettuale, che suggerisce una decollazione e fa scaturire quelle percezioni sensoriali che lui chiama “infra-sottili”. 2. Caravaggeschi italiani ed europei Molti artisti imitarono la maniera di C, ed erano chiamati naturalisti (by Bellori). È la prima volta che uno stile - quello naturale - viene usato per connotare un intero movimento designato con un nome collettivo. La fenomenologia del caravaggismo è variegata: investì generazioni e nazioni diverse, scaturendo dal contatto con le opere di C o dalla conoscenza di copie. Se ne imitò alcuni temi, oppure alcune soluzioni stilistiche o compositive, o anche tutto ciò insieme. Alcuni divennero caravaggeschi per sempre, altri attraversarono solo una fase, o ne percepirono la lezione morale senza imitare il suo stile: Orazio e Artemisia Gentileschi, Bartolomeo Manfredi, Velazquez, ma anche i Bamboccianti (pittori italiani e fiamminghi che ritraevano la vita delle classi subalterne) e i pittori della scuola di Utrecht. Vediamo alcuni esempi della prima ondata di Naturalismo. Cfr tra la Giuditta di C e quella di Artemisia Gentileschi (1593-1652): i nessi sono evidentissimi, ma in A manca la drammaticità, approdando in una dimensione in cui l'orrore è soltanto decorativo. Bartolomeo Manfredi (1582-1622) dipinge un Bacco in cui tutto è caravaggesco, ma non per davvero: i costumi, i colori, gli atteggiamenti, la luce e il taglio delle figure provengono da C, ma non c'è tensione, solo decoratività. C'è il corpo ma non l’anima. Egli si dilettò nel riprodurre e imitare molti quadri di C per la committenza romana. Anche le scene di genere e le mezze figure sacre di C furono imitate: cfr tra la Buona Ventura di C e la riscrittura di Simon Vouet (1590-1649) e cfr tra un San Giovanni di C e lo stesso soggetto di Valentin de Boulogne (1591-1632): entrambi i cfr mostrano che seppur è imitata l'iconografia e la qualità pittorica e della luce, manca la capacità di C di fissare nei colori la tensione di uno sguardo o la presenza di un carattere. Altri seppero interpretare fino in fondo lo spirito di C: Orazio Gentileschi, padre di Artemisia, (1563-1639) si convertì al naturalismo quando era ormai un artista maturo e raffinato. Egli adotta un paesaggio sereno e una tavolozza chiara, ma si ispira a C per la rappresentazione del carattere del protagonista, un Davide malinconico che è assorto nei suoi pensieri. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo (1581-1633) dipinse una pala per la chiesa di San Giovanni Evangelista in Abruzzo. Egli aveva lavorato per 3 anni nella bottega del Cavalier d’Arpino, poi si era recato a Napoli dove lavorò per le famiglie feudali che avevano potere in Abruzzo e in seguitò tornò a Varallo. Il quadro è un robusto concentrato della Madonna del Rosario di C: di fronte alla Vergine su una nuvola, s Francesco introduce il donatore che fissa lo spettatore. Altro grande artista fu Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino (1585-1652), che realizza una pala d’altare con l’anima e l'angelo custode. È una sorta di passo a due, un ballo tra due fratelli, di cui il più grande trattiene il più piccolo da una voragine. Il tema è che l'angelo custode protegge l’anima dalla voragine del peccato, ma questa narrazione con due corpi, qualche panno e due ali su fondo nero rappresentano le basi della rivol caravaggesca. Con il passare degli anni si moltiplicarono le opere caravaggesche, come vediamo nel Cristo di fronte a Caifa dell'olandese Gerrit van Honthorst, detto anche Gherardo delle Notti per l'ambientazione notturna del quadro. Realizzato per Vincenzo Giustiniani, il notturno esalta la drammaticità dell’interrogatorio. Il più grande tra i caravaggeschi fu il ticinese Giovanni Serodine (1594-1630): nel suo San Lorenzo distribuisce ai poveri il tesoro della Chiesa, dipinto per la basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma, egli ambienta la scena in un sotterraneo, in cui le persone sono circondate dal vuoto e dall’oscurità, uno storpio, un vecchio e un barbanera. Non c'è caricatura, solo rappresentazione reale. Possiamo definirlo un Rembrandt italiano per la sua sintonia poetica con i propri soggetti. Si dovrà aspettare fino a Bernini perché la scultura dimostri di aver compreso la novità di C. L'unica eccezione è la Santa Cecilia di Stefano Maderno (1576-1636). Nel 1599 venne ritrovato il corpo dell’antica martire Cecilia nella cassa con cui era stata sepolta da Papa Pasquale | nell’821, sotto la chiesa di Trastevere, e tutta Roma era sconvolta dalla vista del corpo della martire incorrotto, della quale si vedevano ancora i segni delle percosse; tutti, da papa Clemente VIII in poi, vollero vedere. Non sappiamo se fosse vero, ma si dice che il Papa cominciò a piangere e tutta Roma pianse. Alcun riferiscono che si fece passare per un corpo un cumulo di stoffa, ma il titolare della chiesa, il cardinale Paolo Camillo Sfondrati, chiese a Maderno di scolpire nel marmo ciò che tutti avevano visto. Egli lo fece in modo reale e naturale: rappresenta un vero corpo morto, con la faccia a terra nella polvere. 3. Il destino di Napoli A Napoli la stagione naturalista durò fino alla metà del secolo, innescata dal primo passaggio di C. Nel 1607 Giovan Battista Caracciolo, detto Battistello, (1578-1635) realizzò un’Immacolata Concezione dopo che rimase folgorato dalle sette opere di Misericordia e dalla Madonna del Rosario di C. L’Immacolata unisce gli elementi di questi due quadri. Egli comprende la nuova luce e la drammaticità del nuovo linguaggio, come vediamo nelle opere più tarde, che hanno un linguaggio scarno e essenziale: la Liberazione di San Pietro dal carcere per la chiesa del Pio Monte, che ha forza compositiva e drammatica: le figure non sono sollevate per aria, ma passano tra le guardie, come fossero dei condannati mentre evadono da un carcere. Carlo Sellitto (1580-1614) è un protocaravaggesco napoletano: egli esegue una tela spedita ad Aliano, in Lucania; il donatore a mezza figura è una delle interpretazioni + acute della ritrattistica di C, anche se il resto del quadro è ancora immerso nell’ultima maniera. Nel 1616 giunse a Napoli lo spagnolo Jusepe de Ribera (1591-1652), detto lo Spagnoletto. Egli divenne il principale pittore della città e pittore di corte dei viceré, senza mai dipingere ad affresco. Il Sant'Andrea che dipinse per gli Oratoriani di san Filippo Neri mostra la sua ossessione per il tema del vecchio a torso nudo, che mostrava il contrasto tra la decadenza fisica e il persistere di una volontà ferma. Egli fu associato alla versione più spinta del naturalismo caravaggesco, come si vede nella tela del supplizio del gigante Issione, reo di aver partecipato alla ribellione contro Zeus. Esso fa parte di 4 dipinti commissionati dal re di Spagna, che alludevano alla sorte delle province che osavano ribellarsi alla monarchia. La tela è occupata da corpi giganteschi che si contorcono in preda al dolore. Allo stesso tempo, egli dimostrò di essere capace di un elevatissimo tono lirico: nel Sogno di Giacobbe la luce è barocca, ma l’idea che dipingere significasse rinunciare al tempo e concentrarsi sullo spazio, per fermare nel colore storie senza azione è qui presente. 4. Trionfo bolognese: Domenichino, Guido Reni, Guercino Nel 1606 Annibale C cadde in una terribile depressione e in seguito in uno stato di malattia che lo portò alla morte nel 1609. Egli fu un maestro esemplare per Domenichino, che approfondì l’espressione degli affetti, Francesco Albani, che portò la mitologia a una forma di intrattenimento collezionistico e Giovanni Lanfranco, che esaltò le componenti dinamiche di Annibale. Allievi di Ludovico C furono invece Guido Reni e il Guercino. | carracceschi, a differenza dei caravaggeschi che non praticarono altro che la pittura a olio, furono grandi frescanti, dando avvio al Barocco romano e italiano. L’ultima Comunione di San Girolamo di Domenico Zampieri, detto il Domenichino (1581-1641) prende le mosse dal dipinto di analogo soggetto di Agostino C per la certosa di Bologna, ma la composizione, il colore e l'espressività sono barocche. La scena si svolge su una chiesa aperta sulla campagna romana. Il colorito deriva da Federico Barocci e Rubens (che a loro volta presero da Tiziano e Veronese). Ciò che risalta però è quella capacità di rivelare, nei moti dei corpi e nelle espressioni dei volti, gli affetti interiori delle figure. Guido Reni (1575-1642) giunse a Roma nel 1601, portando con sé la copia della Santa Cecilia di Raffaello, sensibile al maestro e all’ideale classico. Questo equilibrio tra imitazione e idealizzazione lo portò a creare uno stile e dei tipi iconografici come il San Sebastiano pronto al martirio. Egli è stato il pittore del Seicento più celebrato in assoluto e il principale artista d’Europa in quell’epoca. Nel 1614 dipinse la celeberrima Aurora per il cardinal nipote Scipione Borghese al centro di una sala del casino, una casa di villeggiatura. Reni non coinvolge lo spettatore, la pittura è come una tela attaccata al soffitto dentro una cornice di stucco. Aurora è davanti, seguita dal Carro del Sole trainato da Apollo, circondato dalla danza delle ore: Reni si è appropriato e ha rielaborato una pluralità di fonti antiche e rinascimentali, filtrate dalla realtà e dal senso del paesaggio. Durante il pontificato del bolognese Gregorio XV Ludovisi, Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino (1591-1666) porta le inquietudini pittoriche della tradizione ferrarese. L'Aurora che dipinge nel casino suburbano del cardinal nipote Ludovico Ludovisi è distante dal neoclassico di Reni; è uno sfondato illusionistico in cui un’antichità in rovina introduce a un cielo incendiato dal carro dell'Aurora, trainato da due cavalloni pezzati molto naturali. Sotto è un giardino, sono sparite le pareti: sotto un arco dorme la personificazione della Notte. L’illusionismo sensoriale e la capacità di sedurre lo spettatore saranno fondamentali per Pietro da Cortona. La visione romantica di un paesaggio capriccioso avrà seguito nella visione barocca della natura. 5. Rubens: un apostolo del futuro Rubens (1577-1640) arrivò in Italia con una triplice protezione principesca da parte degli arciduchi governatori delle Fiandre, il duca di Mantova e il cardinale Alessandro Peretti Montalto a Roma. Qui realizzò un ciclo per la cappella ipogea di Santa Croce in Gerusalemme: il Cristo deriso e l’Innalzamento della croce sembrano quadri di C, ma senza l’immobilità e il silenzio, bensì dinamizzati, affollati e immersi in un rumore di fondo. La Sant'Elena è inquieta e vibrante, una figura carraccesca. La Deposizione è realizzata invece dopo il 1604, a seguito del breve viaggio diplomatico a Madrid dove vide la Deposizione di Tiziano. Il tono cromatico, il sudario, il sarcofago e il braccio di Cristo vengono direttamente da T, ma il patetismo deriva da Annibale. Nel 1605 licenziò la pala dell’Imposizione del nome a Gesù, destinata all’altar maggiore della chiesa del Gesù a Genova: movimento, composizione e tensione la caratterizzano, insieme alla monumentalità dei personaggi, le espressioni delicate e il chiaroscuro. Egli fonde Tiziano, Correggio, Annibale e Caravaggio. Nel 1606 riceve l’incarico di dipingere la pala dell’altar maggiore della Chiesa Nuova fondata dagli Oratoriani di Filippo Neri. La prima versione era quasi illeggibile per la luce che c’era nell’abside della chiesa, così R ne fece una nuova versione, concepita come un trittico e dipinta su lastre di ardesia, per evitare i riflessi. Il cardinale Cesare Baronio aveva inoltre chiesto che vi fossero Nel 1623 il cardinale Alessandro Montalto commissionò a B un David, ma morì e SB se ne appropriò. Anche qui B rappresenta l’azione al suo culmine, nel pieno della lotta, all'acme dell’azione. Tolta l'armatura e la cetra, il piccolo pastore si carica verso Golia che gli sta venendo incontro, sta per ruotare la fionda. Era contro una parete, infatti il calcagno dx è un’aggiunta posteriore, perché in origine la statua doveva sembrare uscire dalla parete. Lo spettatore ha la sensazione di essere finito sul campo di battaglia, poi capisce di essere lui stesso Golia. Utilizza il trucco che era di solito usato in scene sacre: es Annunciazione non si dipingeva la Madonna ma solo l'angelo così ci si immedesimava. B cerca di far scattare la paura e la sorpresa nello spettatore. Egli ha il merito di aver rinnovato completamente l’arte del ritratto, con il busto di monsignor Pedro Montoya, giurista spagnolo, di destinazione funebre. Il busto ebbe così successo che P lo lasciò nello studio di B, e tutti lo riconoscevano solo perché B lo aveva ritratto. Questo tipo di somiglianza era apprezzabile solo dalla sua generazione. Il busto è inserito in una nicchia, il suo volto abbassa la testa e guarda in basso, come se si stesse affacciando da una finestra. Il suo volto non sembra di marmo: c’è l'ombra intorno agli occhi, i baffi asimmetrici e disordinati, la barba lungo le guance, le rughe. Grazie alla rifrazione della luce nel marmo scavato il marmo non risulta più solamente chiaro. 2. Tempo di poesia: pittura e scultura negli anni Venti Nel 1625 B finì l’Apollo e Dafne per SB; anche questa volta è rappresentato l’apice del mito: il Dio raggiunge Dafne e le prende il fianco ma, subito, si trasforma in un albero di alloro. Lo spettatore è coinvolto con l’empatia che prova per i due protagonisti, che sembrano di carne. Dafne urla sconvolta; sul piedistallo, dei versi latini di Barberini, in cui si dà una lettura moraleggiante. Egli compone una poesia figurata, caratterizzata da erotismo, tensione spasmodica e compassione per Dafne. Molto probabilmente aveva in mente l'Atalanta e Ippomene di Guido Reni, in cui egli aveva congelato i corpi in una danza astratta, rappresentante il desiderio e la fuga. Nel 1623 Barberini divenne papa col nome di Urbano VIII, spalancando le porte a questa poesia visiva (che come tema prediletto aveva la mitologia, es Metamorfosi di Ovidio). Egli era successore di Gregorio XV Ludovisi e in questo clima vengono riscoperte due opere di Tiziano che erano finite a Roma, il Baccanale degli Andrii e l’Offerta a Venere. A trarne ispirazione furono Nicolas Poussin (1594-1665) e lo scultore Francois Duquesnoy (1597-1643): comunione con la natura, gioia di vivere e libertà. Il primo era stato convinto a venire in Italia da Giovan Battista Marino, poeta di corte a Parigi (autore dell’Adone, puro erotismo pagano), e una sua opera fu l’Ispirazione del poeta: Apollo siede sotto un alloro, scortato da una Musa, mentre detta i versi a un poeta (come una laica ispirazione di San Matteo). Quest'ultimo è incoronato da un putto in volo. È una celebrazione della poesia figurativa. Il clima però cambiò presto: il libro di Marino venne messo all'indice da U VIII. Era il tempo di una poesia sacra. Le tensioni del periodo affiorarono nei volti ritratti dal miglior allievo di Rubens, Antoon van Dyck (1599-1641), che fu a Roma tra 1622-23. Nel ritratto di Virginio Cesarini, poeta e membro dell’Acc dei Lincei, amico di Galileo e Barberini, morì giovanissimo. Il suo sguardo è lucido e intenso, la mano dx è decisa e la bocca si muove come se stesse parlando. Egli si volge verso un interlocutore a lui vicinissimo, ma sconosciuto per noi. VD ritrasse anche il cardinale Guido Bentivoglio: qui unisce la celebrazione del potere a un ritratto vivissimo ed elegante. È rappresentato qui l’universale e il particolare: un uomo di stato che risale alla tradizione dei ritratti di Raffaello, ma lo sguardo perso, i fiori e il capo rivolto altrove ricordano il letterato che Bentivoglio era. Possiamo dire che il dipinto è una scala di rossi, nel colore e nella luce è vivissimo il ricordo di Tiziano. Tutte le sculture e i quadri affrontati finora in questo capitolo erano privati, per una piccolissima cerchia. Con U VIII però tutto questo si catapultò nell’arte sacra, pubblica. Tutto iniziò dalla ristrutturazione della piccola chiesa di Santa Bibiana: qui fu ritrovato il corpo della santa nel 1624, così U VIII volle ricostruire il sacello dedicato alla martire del IV secolo affidando a Bernini la sistemazione architettonica e la statua da porre come pala d’altare. La prima commissione sacra e pubblica lo portò ad una figura vestita, con un panneggio profondo e gonfio; il viso è intenso e individuale, trasmette la forza dell’accettazione del martirio. Egli fu preso a modello da Duquesnoy, che realizzò una Santa Susanna in Santa Maria di Loreto: non c’è qui il drammatico dinamismo di B, ha uno stile gentile e delicato derivante da Tiziano. Tornando a B, la sua santa è il personaggio di una narrazione, nell’attimo che precede il martirio, mentre sta appoggiata alla colonna su cui sarà flagellata e alza lo sguardo verso Dio, che è affrescato sulla volta. La decorazione pittorica della chiesa fu ad opera di Agostino Ciampelli e il suo collaboratore Pietro Berrettini da Cortona (1596-1669), protetto dai Barberini. In questa chiesa Bernini e Pietro a Cortona battezzarono l'avvio del Barocco e la sua poesia sacra. 3. Uno spazio infinito: Lanfranco, Pietro da Cortona (PdC) e Francesco Borromini Nel Seicento non era cambiato solo il modo di vedere la figura umana, ma anche lo spazio, la natura e il mondo. Alla vigilia della festa dei ss Pietro e Paolo nel 1627, U VIII andò a vedere la cupola progettata da Carlo Maderno per la chiesa dei Teatini, in cui era stata realizzata un’ascensione dal parmense Giovanni Lanfranco (1582-1647). Egli aveva recuperato il modello di Correggio: la decorazione annullava lo spazio e i confini fisici. AI centro c’è la Vergine che si rivolge a Gesù, un primo ordine di santi fra le nubi e teste di cherubini. L'affresco fece capire che i soffitti delle chiese e dei palazzi potevano essere usati per spalancare sulla testa degli spettatori uno spazio infinito. Il primo cielo barocco si aprì nella reggia neoimperiale che la famiglia di U VIII costruì a un passo dal Quirinale. Nel soffitto di una sala le api dorate, simbolo della fam, sono affiancate dalle virtù umane e divine rappresentate da fanciulle. È il Trionfo della divina Provvidenza nel pontificato di U VIII di Pietro da Cortona. C'è il movimento caotico e la vitalità della natura e della storia. La sala sembra coronata da un belvedere rivestito di sculture su cui si aprono 5 finestre sul cielo. Qui stanno divinità antiche, nella natura o in lotta con giganti tra nuvole di fumo e oscurità. Domina la natura: grandi nuvoloni, fulmini, stelle e vampi di fuoco, è il caos naturale primordiale. Partendo da Lanfranco, arriva grazie al paesaggio carraccesco, l’illusionismo di Veronese e Tintoretto, al Barocco. Uno spazio come quello immaginato da PdC, ma reale fu quello progettato da Francesco Castelli, detto Borromini (1599-1667) nella chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane, un architetto ticinese che si era formato nel cantiere del Duomo di Milano e aveva poi lavorato nel cantiere di San Pietro grazie al suo parente Carlo Maderno. La chiesa era dei Trinitari Scalzi, che raccoglievano soldi per i cristiani imprigionati dai turchi. Il chiostro è minuscolo e austero, ma gli angoli sono nascosti per suggerire l’idea di un movimento continuo, così da sembrare grande e maestoso. La chiesa ha pianta centrale ovaloide ed ebbe così successo che fin dall'India giunsero richieste di ottenere la pianta. Il modello era l'architettura di Michelangelo, ma la novità era il movimento continuo, circolare, suggerito dall’architrave aggettante che avvolge tutta la chiesa. Nell’intradosso della cupola l’ornato (croci greche, esagoni o ottagoni) diminuisce via via contribuendo all’effetto. Il motivo deriva da un mosaico paleocristiano che B rende tridimensionale, facendolo sembrare una sorta di alveare. B guardava alla geometria della natura, che irrompe nella decorazione: i capitelli sono ricoperti di foglie, l’ovolo è trasformato in melagrane e le cornici sono fasci di fiori. Nei fregi ci sono animaletti. La facciata fu finita dal nipote Bernardo, ma l’idea è di B: un triplice curva increspa la superficie. La stessa idea di facciata curva è nell’oratorio dell'Ordine di San Filippo Neri, progettata da B. L'uomo del Seicento non è più il principio ordinatore del mondo. 4. Il teatro delle passioni: la Basilica di San Pietro da U VIII a Alessandro VII Grazie a U VIII la Basilica di San Pietro divenne luogo fatale del Barocco e per almeno mezzo secolo tutti i pontefici si sentirono impegnati a seguire l'esempio del papa Barberini. Questi si affidò al giovanissimo Bernini, che dovette risolvere la copertura della Confessione (spazio che circonda la tomba di Pietro) e l’altare maggiore. Alcuni baldacchini effimeri erano stati realizzati nei secoli, ma ora serviva una struttura stabile e monumentale, che potesse riempire il grande vano della crociera (incrocio tra i bracci della chiesa. Fu realizzata quindi una colossale struttura architettonica in bronzo: 4 colonne di 11 m, che riproducevano le antichissime colonne tortili della Basilica vecchia, sostenevano una copertura di stoffa da cui pendono nappe che appaiono leggerissime, e nell’apice c'è una corona abitata da angeli e rami di palma. Sopra le colonne ci sono 4 angeli. Venne inaugurato nel 1633: si percepisce la leggerezza di questa struttura alta 28m, sembra mobile. 14 piloni che tenevano la cupola di M, realizzati ancora da Bramante, vennero ripresi da Bernini e U VIII. In ognuno di essi vennero realizzate due profonde nicchie sovrapposte: in quelle basse si pose una statua del personaggio sacro legato alla reliquia ospitata nella nicchia superiore, che doveva essere una sorta di loggia per l'esposizione della reliquia, ornata di bassorilievi che mostravano gli oggetti custoditi. Questi erano legate alla passione e le 4 statue erano legate agli oggetti, realizzate da diversi scultori: sant'Elena per il legno della croce by Andrea Bolgi; per l’asciugatoio in cui era impresso il volto di Cristo Francesco Monchi scolpì Santa Veronica; per il capo di Sant'Andrea, morto in croce, Duquesnoy scolpì l’apostolo con una croce obliqua; per la lancia che aprì il costato di Cristo, Bernini scolpì san Longino, che si convertì dopo aver trafitto il costato. Era il primo colosso scolpito da Bernini, a forma cruciforme per essere visibile a grande distanza, da un unico punto di vista. Anche qui è rappresentato il momento culminate, la conversione. Anche qui va in scena una narrazione, una rappresentazione, come in Santa Bibiana. Negli stessi anni, sugli altari della Basilica comparvero altre messe in scena pittoriche: Andrea Sacchi dipinge la messa di San Gregorio Magno, prima pala vaticana del nuovo “Stile Barberini”; qui si prolunga illusivamente lo spazio della basilica, rappresentando un altare: S Gregorio si rivolge ai fedeli, forando un panno che sanguina. Tutto è nuovo: pochi personaggi monumentali concitati, panneggi gonfi e chiaroscurati, colori neoveneziani e opulenza dei paramenti. Anche Poussin realizzò una pala per U VIII, il martirio di Sant'Erasmo. La luce e il colore sono smaltati e cristallini come quelli di Veronese. Il martire è gettato in faccia allo spettatore, mentre è seviziato dagli aguzzini dall’ascendenza caravaggesca. La scena ha luogo in un proscenio palladiano popolato da sacerdoti e colonne. P guarda con occhio nuovo all'antico. Anche l’arte funebre venne rinnovata, con il monumento a U VIII realizzata da Bernini in San Pietro. Riprendendo il modello della Sagrestia Nuova, il papa siede in trono sopra il sarcofago, ma qui c'è il ricorso a moltissimi materiali dai diversi colori: bronzo dorato, marmo bianco, portoro. La morte alata sorregge un libro aperto su cui sta finendo di scrivere il nome del papa. C'è una dolcezza nuova nei volti delle Allegorie (Giustizia e Carità), che deriva da Rubens e a sua volta dalla pittura veneta. Quando B scolpì la giustizia nel 1635, al papato era salito Innocenzo X Pamphilj e tutta la clientela del precedente papa dovette fare un passo indietro. L'unica pala d'altare che donò alla basilica per l’altare di Leone Magno fu un enorme rilievo in marmo realizzato da Alessandro Algardi, rappresentante l’incontro di Leone Magno e Attila: uno dei massimi capolavori dell’arte europea del Seicento. L’opera cattura la luce perché la superficie ha differenti livelli: Attila e Leone in altorilievo e poi via via fino a uno stiacciato finissimo, sottolineato da profonde incisioni per renderlo leggibile in uno spazio grande come la Basilica. Nel 1655 fu eletto papa Alessandro VII Chigi, discendente di Agostino il Magnifico. Egli affidò a Bernini la piazza di fronte la Basilica e la zona absidale, dove non si sapeva se collocare un secondo altare a Pietro o una sede liturgica per il papa. B elaborò la Cattedra di San Pietro, una monumentale pala d'altare che doveva racchiudere e allo stesso tempo rappresentare un enorme trono di Età carolingia in legno e avorio (forse realizzato per l’incoronazione di Carlo il Calvo) che si pensava fosse la sedia episcopale usata da san Pietro. scopo è produrre nello spettatore l'illusione di assistere hic et nunc a uno straordinario spettacolo. Per l’uomo del 600 ciò era immediato, essendo abituato ad assistere a spettacoli con apparati decorativi e messe in scena. Le chiese, le piazze e i cortili avevano la funzione di palcoscenici su cui allestire grandiosi apparati effimeri: la città era cangiante, coloratissima e mutevole. Per avere un’idea di tutto questo possiamo affidarci alle descrizioni scritte, alle stampe commemorative o ai rari quadri e disegni preparatori. Vediamo lo studio di Bernini per il catafalco del 1630 nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli per le esequie al fratello di U VIII: dobbiamo immaginarla cosparsa di candele accese, con statue grandi e una riedizione del Ratto di Pros con uno scheletro che afferra un corpo. PdC progettò un apparato per le Quarantore (esposizione dell’ostia x 40 h) nella chiesa di San Lorenzo in Damaso, nel Palazzo della Cancelleria: il tabernacolo eucaristico sembrava sospeso in aria al centro di un grandioso arco trionfale illuminato di luce (da qui Ber prenderà spunto x la Santa Teresa). Per la festa della Resurrezione che si tenne in Piazza Navona nel 1650 moltissimi artisti realizzarono apparati monumentali e ci fu un lancio di fuochi d'artificio. Uno dei + clamorosi esempi è il progetto per la celebrazione della nascita del primogenito del re Sole: Bernini fu incaricato di modificare il pendio che collegava la chiesa di Trinità dei Monti (appartenente alla Francia) a piazza di Spagna (ambasciata del re spagnolo, potenza rivale), nel luogo in cui + tardi sorgerà la scalinata. B fece piantare degli olmi alternati a torce che illuminavano il percorso di notte e nella parte alta costruì una scogliera da cui uscivano fuochi d'artificio che circondavano la statua del Delfino, montata sulla facciata della chiesa, che era inglobata nell’apparato. VIE DI FUGA - EFFIMERO E PROPAGANDA Per noi oggi l’arte è nei musei, ma nel barocco essa si esprimeva in apparati effimeri che avevano lo scopo di ingannare i sensi degli spettatori, per indurre meraviglia e piacere estetico, sotto cui si veicolava una propaganda religiosa o politica. Nell’estetica barocca importantissima era la meraviglia, e un artista era bravo qualora la suscitasse. La Chiesa vi vedeva uno strumento di seduzione, ma intellettuali laici esprimevano qualche dubbio. Gli artisti italiani approfittarono delle inclinazioni del potere sviluppando a dismisura le armi della meraviglia e l’attività teatrale di Bernini rappresenta uno dei vertici di questa attitudine. Questa eredità è sopravvissuta nell'arte moderna; un’opera di Ludo, un writer francese, è un cartellone pubblicitario che riproduce la grafica e i caratteri di un marchio italiano di moda. Dice che è uscito un nuovo colore, il greed, ovvero il colore dell’avidità. Si riferisce alla produzione industriale di ananas in barattolo, insostenibile. Il confine dell’opera è infranto e la vernice cola nel pavimento, il verde dell’avidità e dei dollari. 8. Il paesaggio dell’anima: Poussin, Lorrain, Rosa All’interno dei palazzi, sulle pareti di collezionisti colti, trova spazio un’arte meno chiassosa, più intima e meditativa: trova qui spazio una pittura di paesaggio che solo in apparenza è naturalistica. I grandi maestri che la praticarono studiarono la campagna romana, ma non per documentarla fedelmente, bensì per inventare paesaggi ideali che fossero verosimili. Vediamo La calma di Poussin, che è in coppia con un quadro che ha condizioni atmosferiche opposte (La tempesta). Il titolo dà però anche conto del carattere mentale psicologico e astratto di questo paesaggio. P scompone i paesaggi reali con cui costruisce altri paesaggi, inventati e assoluti, che si associano a diversi stati d'animo. Il quadro è una sorta di allegoria della Calma, in termini di filosofia naturale. Claude Gallée, detto Lorrain, (1600-82) visse nella Roma barocca. Nella sua Veduta fantastica di un porto al tramonto, donata al Re Sole dal giardiniere reale André Le Nòtre, L immagina un porto con navi e un edificio che ricorda Villa Medici a Roma, con un alto faro che ricorda la Lanterna di Genova. Il sole sta per calare nel mare, incendiando la scena con una scala di gialli e arancioni. Così L introduce nella pittura europea il t6pos del sole che tramonta nel mare. Egli non voleva costruire paesaggi ideali e assonanti agli stati d'animo, bensì fissare sulla tela le condizioni di luce di un dato momento, di un attimo. Era un altro modo per far entrare l’uomo nel quadro: solo un occhio umano, con un cuore, dà senso a simili quadri, che possono essere interpretati in modo soggettivo e poetico. Un altro modo di guardare il paesaggio era quello di Salvator Rosa (1615-73): un misto di orrido e domestico, come lo definisce in una lettera del 1662 dopo aver visitato la cascata del Velino (Marmore). La definisce orrida bellezza, ed essa caratterizza i suoi paesaggi. È Aristotele che afferma che si ricava diletto dall’imitazione di cose in sé brutte o ridicole, per cui essa è legittimata. Ciò e affermato anche dal poeta Giovan Vincenzo Imperiali, che la descrive come incertezza che pervade tutto il 600. 9. Il rovescio della medaglia: l’“orrido sociale” Non è sempre possibile tracciare una linea netta tra orrido e ameno, la loro mescolanza è uno dei tratti tipici del Barocco. In esso troviamo anche un riflesso dell’orrido sociale, cioè la rappresentazione della povertà, ingiustizia e diseguaglianza del popolo di Roma. Il biografo Giovanni Battista Passeri dice che l’arte di Pieter van Laer tiene aperta una finestra sul mondo reale. L'artista (1599-1642) olandese è soprannominato il Bamboccio per la sua deformità fisica, ed è noto per la sua rappresentazione di come erano le cose, scene che nessuno avrebbe considerato degne da ritrarre: la sosta all’osteria di un viandante così maleducato da non voler nemmeno scendere da cavallo per bere il suo bicchiere. La sua formazione olandese gli aveva permesso di cogliere il lato più anticlassico e anti-monumentale della rivoluzione caravaggesca; i suoi seguaci furono chiamati Bamboccianti. Tra di essi troviamo Johannes Lingelbach (1622-1674), formatosi in Olanda e attivo a Roma, cui dobbiamo questa veduta di Piazza Navona, in cui ci sono i poveri. Nella tela dell'olandese Karel Dujardin (1622-78) è in scena un teatro di strada, che rallegrava la misera vita degli ultimi. Anche gli artisti ne facevano parte, come dimostra la tela di Michael Sweerts (1618-64), che ritrae un artista intento a copiare il Nettuno di Bernini, dandoci un’idea di come essi lavoravano e vivevano. Per quanto noi vogliamo vederci una denuncia sociale o una condanna morale a una società divisa tra lusso e povertà estrema, niente ce lo fa capire; essi sono dipinti ridotti, quasi a rispecchiare la gerarchia che c’era tra i diversi generi. Un anticonformista come Rosa disprezzava i Bamboccianti, trovando inaccettabile l'ipocrisia con cui i collezionisti ricchissimi appendevano queste raffigurazioni della povertà nelle loro gallerie. CAPITOLO 5 - L’ITALIA PARLA BAROCCO (1630-1700 CIRCA): ESPANSIONE, ARRESTI, MUTAZIONI DI UNO STILE 1. Torino: il nuovo ordine dei Savoia e il sortilegio di Guarino Guarini I Savoia per tutto il Seicento modificarono Torino guardano da una parte a Roma e dall’altra a Parigi. La città era piccola, si articolava in un quadrilatero risalente ai tempi romani e alla città nuova edificata nel 600: le due parti erano unite da Piazza Reale (o san Carlo), che unisce la tipologia delle places royales di Parigi (edifici uniformi e dotati di portici) alla suntuosità romana espressa dalle chiese gemelle. Si comincia a dare importanza a piazze e giardini che sono la rappresentazione del potere ducale, ma sono anche luoghi di collegamento strategico e funzionali, che nascono su preesistenze e dalla progettazione unitaria delle componenti urbane, che obbligano i privati a dotarsi di una facciata che si adatti al fronte viario. Nel territorio poi si articolano moltissime residenze ducali, tra le quali quella voluta da Carlo Emanuele Il è la reggia di Venaria, in cui egli poteva dedicarsi alla caccia al cervo; essa era una sorta di espansione della capitale, come era Versailles per Parigi. Nella Torino barocca spicca la figura dell’architetto Guarino Guarini (1624-83), formatosi a Roma dove aveva preso i voti dell'ordine dei Teatini, fu conquistato da Borromini, che approfondì e radicalizzò: in un testo, dichiara di aderire ad un'architettura ecclettica, in cui fa rientrare anche il gotico. Terremoti e distruzioni hanno cancellato gran parte degli edifici da lui progettati (a Messina, Lisbona e Parigi), ma a Torino, dove lavorò per i Savoia dal 1666, ne abbiamo almeno 3 che ora vedremo e che sovvertono il controllato equilibrio che i Savoia andavano imponendo nella capitale (es vie ortogonali e monocrome). Il primo è la cappella della Sindone: il telo funebre del Signore era chiuso in un reliquiario di marmi neri, una cappella contigua all’abside della cattedrale, oggi rovinata dall'incendio del 1997. La cupola conica è formata da archi sovrapposti le cui dimensioni diminuiscono via via che si sale, e da essi entra la luce. Il modello è quello di Sant’Ivo alla Sapienza, ma se Borromini mirava a strutture omogenee, G lavorava su incongruenze e dissonanze. Il secondo è la Chiesa teatina di San Lorenzo, che si gioca su una doppia copertura a cupola. Nella cupola maggiore egli non prevede un intradosso continuo, bensì progetta delle nervature che si incrociano formando una stella a otto punte, che contiene un ottagono regolare: un’allusione alla pianta della chiesa, che al suo interno si articola in pieni e vuoti che spezzano e movimentano le pareti. Il terzo è palazzo Carignano, residenza della dinastia e futura sede del primo Parlamento italiano. In mattoni rossi, mossa da improbabili volute, la fabbrica sembra un pezzo di Roma ai piedi delle Alpi. 2. Genova: “Orizzonti miniati da capricciosissimi raggi” I banchieri genovesi erano ricchissimi grazie all'oro e l'argento che dal Nuovo Mondo arrivava ai loro correntisti spagnoli. Il fallimento della Spagna dal 1630 mise poi in ginocchio Genova, che subì i tentativi di annessione della Francia e dei Savoia. Non esiste una Genova barocca sul piano urbanistico, ma la quantità di denaro accumulata dall’aristocrazia fece si che si commissionarono moltissime opere a pittori e scultori. Antoon van Dyck dipinse un ritratto ad Anton Giulio Brignone Sale nel 1627, che si trova nel palazzo costruito dai suoi figli e oggi noto come Palazzo Rosso. AvD faceva parte di quella colonia di artisti fiamminghi che amava risiedere e lavorare a Genova. In questo ritratto egli utilizza una tipologia imperiale, quella del ritratto equestre monumentale (così ritrarrà anche Carlo | d'Inghilterra): il soggetto era un letterato e un devoto, qui si toglie il cappello e saluta con un gesto enfatico. Lui e anche sua moglie Paolina Adorno, ritratta sempre da AvD, esibiscono una profonda umanità. La donna è ritratta con il costume con cui le ricchissime dame genovesi volevano passare alla storia, ritratte sulle logge aperte sul mare. Entrambe le tele infatti hanno due aperture d’aria, costante della pittura genovese. Ciò mostra la consapevolezza del rapporto tra città e paesaggio. Nella sua raccolta di prose, Brignone Sale contrappone il mare e le gite in barca agli spazi chiusi dei palazzi genovesi. Nello stesso Palazzo Rosso, si afferma una pittura che fa dialogare l’interno e l’esterno: i soffitti vengono sfondati con un nuovo senso della natura, dipinta con colori acidi e cangianti. Nelle Stagioni di Gregorio Ferrari (1647-1726) la decorazione, il diletto e la leggerezza hanno preso il posto della storia; le forme sono spezzate, acute e allungate. Anche nella scultura è così: Filippo Parodi (1630-1702), che aveva studiato presso Bernini, esegue per il giardino di Palazzo Balbi Durazzo delle figure in cui non c’è la gravitas di Bernini, ma una grazia frizzante e nervosa. Anche nelle chiese le arti sono in movimento e suntuose: nella piccola chiesa di San Luca, l’Assunta di Parodi si unisce agli affreschi eseguiti dalla ditta Piola, ovvero dalla bottega di Domenico Piola (1627-1703), che dominò la dimensione genovese. È qui ospitata la Natività di Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto: incisore, agente di collezionisti, uomo di teatro, viaggiatore e pittore. Sua opera straordinaria è l'Adorazione dei Pastori: composizione in diagonale e verticalità che derivano da Poussin, dal quale derivano anche le figure di San Giuseppe e il pastore orante. Il pastore in primo piano che suona la dulciana deriva da Rubens, mentre la M&B derivano da AvD e spalanca su un cielo azzurrismo, da delle balconate bordate di balaustre, con fiori e rilievi bronzei, in cui abitano puttini. È il momento dell’ascensione della Vergine, accolta da angeli che stendono ghirlande vegetali. 6. Firenze e il Barocco: un amore tardivo Firenze non è una città barocca, ma possiamo trovare un trapianto del Barocco romano al suo interno: il Capellone dei principi, massimo monumento realizzato in città durante il Seicento, il pantheon della dinastia granducale medicea. È un’opera manierista, ma barocca per i preziosissimi materiali: costruita per decenni, vide l'acquisto di pietre dure raffinatissime; tutt'oggi non è conclusa. L’arte fiorentina non giocava più sull'innovazione formale, ma sulla sontuosità dei materiali e sulle abilità necessarie per lavorarli. In quel secolo, le collezioni pittoriche crescevano a dismisura. La dinastia aveva bisogno di rappresentarsi, così fu invitato a Firenze il principale pittore della Roma barocca, Pietro da Cortona, per affrescare le sale di Palazzo Pitti e innovare i pittori fiorentini Matteo Rosselli e il cavalier Curradi: essi rimasero accecati dalle sconvolgenti novità. Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano (1611-90) divenne il maggior pittore del barocco fiorentino. Don Lorenzo de’ Medici lo aveva inviato a studiare pittura nell'Italia settentrionale e forse a Roma. Il V realizzò per il Medici un affresco nella villa di Castello, sul soffitto della stanza dove di notte vegliava la guardia degli staffieri, che rappresentava la Vigilanza e il Sonno. Anche se la scena è chiusa da una cornice, non c'è traccia della diligenza fiorentina: le nuvole si rifanno a Correggio, la cromia notturna a Guercino e le figure naturali e vitali a PAC. Carlo Dolci (1616-86) seppe aderire al Barocco, pur non rinunciando alle caratteristiche manieriste: una superficie levigata racchiude immagini sacre impregnate di una retorica sentimentale e patetica, con nature morte. Si veda il Gesù bambino con una ghirlanda di fiori. Cosimo Ill capì che non bastava invitare a Firenze i grandi del Barocco: nel 1673 fu fondata un’accademia fiorentina a Roma, in cui i più promettenti scultori e pittori toscani andavano a formarsi. Uno dei primi risultati di questa stagione è la Cappella Feroni; il mercante Francesco Feroni aveva fatto fortuna ad Amsterdam e acquistò la cappella nella Santissima Annunziata affidando il progetto a Giovan Battista Foggini (1652-1725), proveniente dall’accademia a Roma. L'architettura dell’altare si fonde con la finestra retrostante (influsso Bernini), è inscenata un'azione sacra: moltissimi angeli in stucco accolgono l’anima di san Giuseppe, che sta spirando nella pala. La decorazione è realizzata da altri accademici: Massimiliano Soldani Benzi (1656-1740) e Giuseppe Piamontini (1664-1742), che ritraggono anche il committente. | dettagli sono molto curati. VIE DI FUGA - PER SALVARE MASACCIO Prima di acquistare quella cappella, Feroni aveva messo gli occhi sulla Cappella Brancacci in santa Maria del Carmine, perché la cappella Corsini (la + nuova e lussuosa) stava proprio di fronte alla prima. Questa era un tripudio di marmi e affreschi di Luca Giordano. Feroni voleva togliere gli affreschi di Masaccio e Masolino: se per i carmelitani andava bene, gli abitanti dell’Oltrarno si rifiutarono e coinvolsero l'Accademia del Disegno e perfino la granduchessa madre, Vittoria della Rovere, che diede ordine di mantenere le pitture in quel luogo e di non toccarle per nessun motivo. Questo fatto ci fa riflettere, anche oggi non manca l’arte in pericolo. 7. “Napoli è tutto il mondo” Nel Forestiero di Giulio Cesare Carpaccio si dice che Napoli è tutto il mondo: più popolosa città d’Italia del 600, supera l’eruzione del Vesuvio del 16341, la rivolta di Masaniello del 47 e la peste del 56, diventando una città barocca, sia nell’urbanistica che nell’architettura. C'era un contrasto tra il lusso e l'estrema povertà. La brevità del mandato dei viceré spagnoli (3 anni) e la densità abitativa (era divieto abitare fuori le mura) impedirono la realizzazione di grandi spazi pubblici: i palazzi crescono in verticale, affidando ai suntuosi portoni il compito della rappresentanza. La via barocca di Costantinopoli costituisce un’eccezione. Solo i grandi ordini religiosi riescono ad aprire delle piazze e si diffondono sempre più chiese, che oggi sono abbandonate. 8. La cappella del Tesoro di San Gennaro Il monumento + importante del Barocco napoletano è la cappella di san Gennaro nel Duomo. È un sacello votivo, costruito su progetto dell’architetto Francesco Grimaldi dal 1608 per custodire le reliquie del patrono, in adempimento di un voto fatto dalla città in occasione di una pestilenza nel 1527. Esso fu finanziato da una Deputazione, ovvero un collegio municipale, e ancora oggi dipende dal sindaco di Napoli. Per questo la cappella è fisicamente e giuridicamente separata dalla cattedrale, è una chiesa a sé e all’esterno è accompagnata dalla Guglia di san Gennaro, una colonna o obelisco progettato da Cosimo Fanzago (1591-1678). A lui si deve anche il cancello di ottone della cappella, in cui si staglia la mezza figura del santo, all’interno e all’esterno (un gioco barocco: Gennaro deriva da Giano, il dio con due facce e il dio delle porte). Nella cappella è il paradiso, in un turbinio di nuvole e santi, statue in bronzo e argento, storie nelle pareti, affrescate da Domenichino (pennacchi e lunette della cupola), che raggiungono un'altissima intensità lirica. Alla sua morte la cupola fu completata dal suo rivale Giovanni Lanfranco, che dipinse il Paradiso. Le sei pale per gli altari vennero commissionate su lastre di rame incorniciate da pietre dure: Domenichino ne dipinse 4, la quinta fu copiata da Massimo Stanzione e la sesta fu assegnata a Ribera, che adottò un colorito smaltato e brillante. Nel suo San Gennaro esce illeso dalla fornace, egli è pallido, senza una bruciatura, sotto di lui ci sono gli uomini stupidi e terrorizzati, mentre sopra gli angeli danzano. Le statue della cappella sono molte, al miglior allievo di Bernini, Giuliano Finelli (1602-53) si deve il San Gennaro in cattedra di bronzo. Gian Domenico Vinaccia realizzò invece un suntuoso paliotto d’argento e c’è poi un ricco corredo di suppellettili. 9. Napoli sacra La ricchissima Certosa di san Martino, costruita nel 300, ampliata nel 500, venne dal 1623 modificata da Cosimo Fanzago, che rimase architetto della fabbrica fino alla morte. Nel 1637 Lanfranco affrescò la volta gotica e nel 38 i certosini chiesero a Ribera la decorazione della navata della chiesa (non faceva affresco così realizzò 12 tele): 14 profeti e vecchioni che diventarono un trionfo di nudità senili. Se a Roma il colore e la decorazione esaltano gli elementi geometrici, il Barocco napoletano porta all'estremo la maniera, negando le forme canoniche mimandole in un caleidoscopio di colori, come si vede nella parasta invasa da un disegno floreale. Fanzago interviene anche nel Chiostro Grande, disegnando per il Cimitero dei monaci una balaustra in cui l'architettura e la scultura di natura morta si fondono; dei teschi sono infilzati sui perni. Fanzago riscrive l'architettura degli angoli, trasformando le porte in un unico partito decorativo su cui sbocciano le mezze figure dei santi certosini, vivi e umani, ma puramente ornamentali. La cappella Cacace in san Lorenzo Maggiore rappresenta il Barocco berniniano: progettata dal Fanzago, Giovanni Camillo Cacace era un avvocato che reggeva il Consiglio Collaterale, socio dell’Accademia degli Oziosi. Nel Novecento la chiesa gotica venne privata delle aggiunte barocche, ma la cappella si salvò: qui il colore si sprigiona da tutti i marmi presenti, preziosissimi. L'unità di azione della cappella e lo stile delle sculture mostrano il legame con Bernini. La pala d'altare di Massimo Stanzione tiene insieme il naturalismo di Ribera e l’eleganza di Reni. La Madonna distribuisce corone del rosario a santi, apparendo da nuvole dorate; il vento che provoca scuote le vesti delle statue dello zio e della madre del committente, che partecipano alla scena. L'autore delle sculture è allievo di B, Andrea Bolgi, che lavorò su disegni di Giuliano Finelli forse. Il busto del committente eseguito sempre da Bolgi ha matrice berniniana: l'avvocato ha aria gioviale, allegra. Poco allegre sono le pitture che sulle porte di Napoli celebrarono la fine della peste, realizzate da Mattia Preti (1613-99), un outsider calabrese che aveva assorbito la lezione di Guercino, PdC, Bernini e le fonti veneziane. Nel 1650 dipinse l'abside di Sant'Andrea della Valle a Roma, portando in affresco per la prima volta le novità di Caravaggio: quando tornò a Napoli, dove ai naturalisti toccavano le tele e ai forestieri carracceschi i soffitti, egli fuse i due filoni negli affreschi votivi delle porte di Napoli, oggi quasi del tutto perduti. Abbiamo i bozzetti superstiti: queste opere furono fondamentali mostrarono alla generazione successiva la via per vendicare l’astinenza napoletana dall’affresco. Il primo seguace di Preti fu Luca Giordano (1634-1705), il più grande artista del Barocco del Meridione. Dopo l’incontro con Preti, si recò a Roma dove subì la pittura di PAC e Bernini. 10 anni dopo andò a Venezia: la sua lingua pittorica unificò quindi l’Italia artistica, per la prima volta sotto insegne meridionali. Nel 1692 si recò in Spagna, dove lavorò alla corte reale. Detto Luca Fapresto per la sua velocità creativa, realizzò l'affresco della controfacciata della chiesa dei Girolamini a Napoli, seguendo l'invenzione di Lanfranco: sfonda la parete della chiesa, inscenando venditori, mendicanti, animali, su cui irrompe Cristo che caccia i mercanti dal Tempio. LG punta sullo spaesamento del fedele e grazie all’illusionismo, la chiesa diventa quasi il tempio di Gerusalemme e la scena sacra entra nella realtà. Nel suo stile si fondevano PdC, Caravaggio, Tiziano, Veronese, i Carracci e Preti: il Barocco era divenuto italiano. 10. Lecce, una città di latte e miele Lecce era una piccola città secondaria del Viceregno spagnolo di Napoli, dove l’opera d’arte coincide con l’intera città storica, l'artista con la comunità dei suoi abitanti. Sulle pareti di tutti gli edifici ci sono figurine intagliate in una pietra color miele: putti, cherubini, aquile, draghi, leoni, unicorni, scimmie e pirati turchi, festoni, cesti di frutta, trionfi, scritte di pietra. Tutti, che appartengono a un repertorio che va dal Medioevo al Settecento, reggono le mensole dei balconi, si inerpicano sulle pareti delle chiese e si affollano sugli edifici creando una decorazione quasi esagerata. La pietra è una roccia calcarea tenera e dorata, che veniva tuffata nel latte per renderla più resistente. Si pensa da dove possa derivare questa tendenza: dal Barocco napoletano? Dall’arte plataresca spagnola? Dal mondo normanno? Si veda la Basilica di Santa Croce, costruita dai celestini tra 1594 e 1695: ha un linguaggio gotico, ma la decorazione esuberante è barocca; tra gli artefici abbiamo Francesco Antonio e Giuseppe Zimbalo. Nella città, la decorazione si concentra principalmente nelle mensole perché, essendo una città dalle vie strette, le facciate si vedono di sotto in su e le prime cose che risaltano sono proprio le mensole. La città si trasforma in un elegante interno a cielo aperto. 11. Sicilia: la danza di Serpotta e il terremoto urbanista Il Barocco siciliano rappresenta un mondo a sé, esteso e complesso. Giacomo Serpotta (1656-1732) apparteneva a una famiglia di stuccatori e trascorse la vita a decorare interni di chiese e oratori di Palermo, dove visse x tutta la vita. Nelle sue figure ci sono riferimenti alla pittura e alla scultura del Seicento romano, che corrispondono a delle incisioni. Nell’Oratorio di San Lorenzo fu incaricato di realizzare la cornice della Natività di Caravaggio (opera trafugata da Cosa Nostra nel ’69 e mai più ritrovata, sostituita da una fedele copia). Di fronte, all’opera, realizzò una composizione bianchissima, dei quadretti con scene della vita dei due santi titolari interrotti da Virtù come l’Umiltà, che si stagliano su mensole e sono circondate da putti. Qualche anno prima, a Santa Zita, S aveva plasmato i ritratti ideali di due ragazzini di dieci anni, proprio sotto la rappresentazione della battaglia di Lepanto. C'è il naturalismo, ma c’è anche la capacità di S di nobilitare, innalzare e purificare le forme attraverso una lavorazione che fa sembrare lo stucco una porcellana. Il suo Barocco riprende il sostrato manierista, abbandonando le basi classiche e rinascimentali, aprendo le porte al Rococò. Il più spettacolare esperimento di urbanistica barocca della storia italiana è nella città di Noto. Il terremoto del 1693 rase al suolo 35 città e ne danneggiò 20. Il vicerè del gov spagnolo della Sicilia, il duca de Uzeda, affidò a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, il ruolo di commissario alla Olivares e prese le truppe. AI suo seguito c’era V, che lo ritrasse in una casa di Fraga: un falegname fu pagato per costruire un cavalletto nella casa rovinato dalla guerra e il re posò 3 vit. Il quadro si risolve in una cascata di colore e luce: le maniche luccicanti, la giubba rossa tempestata dal gallone d’argento, il giustacuore, il corpetto dorato, la piuma rossa del cappello. È quasi una pittura impressionistica e compendiaria. L'anima del re però, è messa a nudo e il dipinto non ha carattere trionfale: con il bastone in mano, ha però il cappello abbassato, in un saluto galante. Il volto è pallido, triste e stanco, rappresentante la crisi della Spagna e non l’effimera vittoria. Nel 1649 V tornò in Italia come Aiutante di camera del Re di Spagna, per comprare dipinti e statue antiche, eseguendo anche una campagna di calcatura in gesso delle antichità che non erano sul mercato e persuadendo un frescante a recarsi a Madrid (magari il meglio, PdC): F IV voleva una nuova decorazione per il palazzo reale. Dopo 2 anni di visita dell'intera penisola, V tornò in Spagna con oltre 500 casse di opere d’arte. Si ritiene che la Venere allo specchio sia stata dipinta durante il soggiorno romano di V; se la libertà e la sensualità derivano dalla tradizione veneziana, la posa tergale ha fatto pensare all'antica statua dell’Ermafrodito di Villa Borghese, che proprio V fece fondere in bronzo. Solo grazie alle ali dell'angelo capiamo che non è un semplice ritratto di donna nuda, ma è Venere col figlioletto Cupido, che le porta lo specchio. Lei però non si specchia, guarda verso lo spettatore. Una strepitosa gamma cromatica di ascendenza veneta innerva di vita una statua antica. 2. Ritorno al ritratto e pittura di paesaggio V ritrasse il suo schiavo-pittore, Juan de Pareja, che fu liberato in occasione del giubileo del 1650. Dal quadro emerge la dignità umana dell’uomo. Con quest'opera divenne il ritrattista più in voga a Roma, tanto che ritrasse Innocenzo X, in una tela e con una tecnica veneziane. Questa identità veneziana si inserì a favore di coloro che sostenevano la maniera veneziana rispetto alla toscana. Ai mesi romani risalgono gli unici paesaggi di tutta la sua carriera, le vedute di Villa Medici: sono forse i primi quadri en plein air e non costruiti in studio. Il soggetto urbano e il peso secondario del paesaggio, ci sono delle figure concentrate sulle loro azioni, non è una nobile e solenne veduta, ma quasi due ritratti di Villa Medici. 3. Las Meninas Questo è il suo capolavoro più noto. Siamo nello studio del pittore, in primo piano c’è la figlia del re, Margherita, con una damigella e molti cortigiani e nani. C'è anche V, ritratto mentre sta dipingendo una grande tela. Nello specchio invece, vediamo il re e la regina, e comprendiamo che V ha dipinto V che dipinge un ritratto dei suoi signori. La loro seduta in posa si è appena conclusa e stanno per andarsene. Lo capiamo perché un aiutante della regina apre la porta in fondo, mentre in primo piano il nano sveglia un cane, il mastino del re. Quest'ultimo, sappiamo che non amava stare in posa e farsi ritrarre, perché non voleva vedersi invecchiare. Forse la fine della posa ricorda al re la definitiva liberazione dal peso del governo. La vita e il regno come una faticosa rappresentazione teatrale cui solo la morte avrebbe messo fine. CAPITOLO 8 - IN FRANCIA: IL RE SOLE 1. La politica culturale di Luigi XIV V fu soprintendente all’arredo dei palazzi reali e nel 1660 curò la costruzione e l’arredo di un padiglione effimero sull’isola dei Fagiani, terra di nessuno nel fiume Bidassoa, al confine tra Spagna e Francia. Qui si incontrarono F IV e Luigi XIV per firmare la pace dei Pirenei e sancire il matrimonio tra Maria Teresa, figlia di F IV, e il re Sole. Nell’arazzo vediamo l’evento: alla dx la corte spagnola e a sx la corte francese, giovane e frizzante. Gli Spagnoli si stagliano su un bosco fitto, selvaggio, mentre i Francesi hanno alle spalle un padiglione dalle forme classiche. Poco dopo morì il cardinale Mazzarino e il re decise di prendere le redini del governo: ne conseguirono guerre vittoriose, una prosperità inesauribile e una politica culturale efficace. L XIV espanse in modo colossale il modello di governo assoluto di Cosimo I; creò l’Accademia di Francia a Roma, l’Accademia delle Scienze e l'Accademia di Architettura; diede impulso alle manifatture, riorganizzando la manifattura della Savonnerie, dove si producevano tappeti, e fondò la Manifattura Reale dei Mobili della Corona, che aveva il fulcro nella Manifattura reale dei Gobelins, da cui uscivano preziosissimi arazzi, come quello che rappresenta l'impegno di Luigi per le arti. L’uomo a cui il re affidò il progetto di ricostruzione dello Stato fu Jean-Baptiste Colbert, mentre come modello aveva in mente Roma. Nel 1664 C decise che bisognava ricostruire l’antico Louvre, in forme moderne. Si rivolse così a Roma, chiedendo progetti a Bernini, Borromini e PdC. Il primo disegno che il primo inviò a Parigi gioca sul contrasto tra forme concave e convesse, ma venne rifiutato; nel secondo disegno si mostrò + moderato. Dopo aver strappato B al papa, sappiamo che l’artista fu trasferito alla corte reale: ogni evento è narrato nel diario del nobile francese a cui B era stato affidato. Nonostante il meraviglioso busto di Luigi scolpito da Bernini, il viaggio si concluse in un fallimento e il suo progetto non ebbe mai luce. Il re creò allora una commissione con Louis Le Vau, Charles Le Brun e Claude Perrault, che progettarono la facciata orientale del palazzo, conosciuta oggi come Colonnade. È la traduzione francese dell’architettura romana contemporanea: colonne giganti, accoppiate o stagliate contro l'ombra, lo stilobate alto. A spese di Bernini, la Francia si emancipò dal modello italiano. 2. La reggia di Versailles L XIV scelse come sua sede il castello di Versailles, che ricostruì dal 1667 su progetto di Jules Hardouin-Mansart e Louis Le Vau: dal 1683 tutta la corte vi si trasferì. L'architettura alludeva a un'architettura classica e romana, che collegava Luigi agli antichi imperatori romani. Il parco fu progettato da André Le Nòtre: lunghissime vie, bacini navigabili, boschetti, aiuole geometriche, giochi d’acqua e moltissimi animali esotici e statue in marmo. Esso era un grande ritratto del re e per questo doveva rimanere sempre giovane, ogni 100 anni doveva essere ripiantato. Per lo stesso motivo, ogni cosa alludeva al sole, al mito del dio sole ed Apollo: per esempio, in un bacino il carro del sole, in una grotta Apollo accolto dalle Ninfe che va a coricarsi da Teti. Quest'ultimo gruppo è scolpito da Frangois Girardon, che si era formato nella Roma barocca (anche qui, come a Roma, l’arte si fonde con il paesaggio). Nel 1678 fu realizzata, all'interno del palazzo, la Galerie des Glaces, in cui si produceva uno straordinario effetto di luce grazie agli specchi. Essi erano oggetti molto preziosi, perché all’epoca non superavano i 50 cm. Era il perenne palcoscenico su cui andava in scena il sistema che ruotava intorno al re sole, ritratto in tutta la sua magnificenza, quasi una visione ultraterrena, da Hyacinte Rigaud. CAPITOLO 9 - IN OLANDA: REMBRANDT E VERMEER 1. | volti di Rembrandt Si può parlare di Barocco anche per la protestante Repubblica delle Province Unite, che affonda le radici in Caravaggio, dal quale si era sviluppata una scuola di pittura a Utrecht. | viaggi in Italia degli olandesi sono molti e prolungati: Pieter Lastman fu a Roma per 5 anni e conobbe Caravaggio, da cui fu influenzato insieme a Adam Elsheimer. Lastman è ricordato oggi per essere stato il maestro di Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669); i più lo ricordano dotato di un potere che era quello di cogliere l'essenza: continuando dalla strada intrapresa da C, egli conquistò la capacità di inchiodare sulla tela l'essenza di coloro che dipingeva. Possediamo almeno 30 incisioni e 40 dipinti in cui R si autoritrae; celebre è l’incisione in cui R studia sul proprio viso un’espressione di sorpresa, stupore e timore. Egli copia anche il ritratto di Castiglione di Raffaello, venduto all'asta ad Amsterdam. In R prevale uno spirito di introspezione, che nella vecchiaia diventò feroce, a causa della decadenza fisica e morale. Celebre è il ritratto del figlio Titus a scuola, appoggiato a un banco di legno: di fronte ha un foglio bianco, in una mano ha una penna, nell’altra l’astuccio e il calamaio. Sta pensando a cosa scrivere, dallo sguardo traspira stupore, curiosità, ingenuità e voglia di scoprire il mondo, non solo esteriore, ma anche quello interiore. R si impegnò anche nel genere del ritratto di gruppo: i collegi professionali olandesi commissionavano di consuetudine un ritratto collettivo da porre nelle sale che accoglievano il loro lavoro, per celebrare la dignità e il prestigio del loro ruolo professionale e civico nella comunità. Da qui nasce La ronda di notte, per la sala della guardia nel palazzo del Municipio di Amsterdam. Nel 1715 venne tagliato per adattarlo a un’altra sala, ma anche così sembra voler accogliere lo spettatore nello spazio illusorio del quadro. R inscena la compagnia del capitano Frans Banning Cocq in piena attività, con moltissimi ritratti. Il capitano è in primo piano, con il bastone e la fascia rossa del comando, pronto a comandare al luogotenente in giallo di preparare la compagnia alla marcia, mentre tutto intorno fervono i preparativi. Di qui l'equivoco della ronda di notte (esercizio di vigilanda notturna), interpretato così a fine 700, forse per il forte chiaroscuro e la sensazione di moto e azione che R conferisce al quadro. Nell’opera ci sono anche dei bambini in maschera, che raffigurano delle allegorie. AI 1662 appartiene in ritratto dei Sindaci dei drappieri, cioè dei campionatori dei tessuti che avevano il compito di controllare la qualità della lana blu e nera prodotta dai fabbricanti di tessuti di Amsterdam. Non era una magistratura, quindi non si riunivano, ma R li pone intorno a un tavolo, fingendoli intenti a consultare un libro contabile. Il tavolo è su un’alta pedana, R immagina che qualcuno arrivi nella sala e attiri su di sé gli sguardi delle figure. Quel qualcuno è proprio lo spettatore: R fissa per sempre un attimo fuggente che ha senso solo in funzione della presenza di qualcuno che guarda. Chi guarda pensa di aver interrotto una riunione. Gli italiani del 600 conoscevano R, ma non sappiamo se ebbero rapporti con lui. Nel 1652 il collezionista Antonio Ruffo gli commissionò un filosofo a mezza figura (tipica iconografia napoletana: filosofi a mezza figura in abiti contemporanei da mendicanti). R così licenziò Aristotele contempla il busto di Omero, in cui tutto dipende da Caravaggio: la luce, l'abbattimento di confini tra i generi (un quadro di storia o di natura morta?), l’emotività di un soggetto classico, l'assenza di azione. R deve aver conosciuto C anche attraverso le incisioni, perché il volto del filosofo riprende quello di Leonardo della Scuola di Atene, anche se lì è Platone ad avere il volto del Da Vinci: forse R ha confuso i due filosofi, o forse ha scelto liberamente il tipo che lo ispirava di più. Il filosofo qui indossa un costume di scena da cui pende una catena d’oro con il ritratto di Alessandro Magno. Questo abbigliamento lo portò a essere scambiato per un frate domenicano, tanto che fu scambiato per il filosofo medievale Sant'Alberto Magno. La scena ha comunque un tono teatrale: A contempla il busto di Omero, come se fosse Amleto che contempla il teschio. Uno spirito profondamente teatrale permea tutta l’opera di R: vediamo il ritratto del suo amico Jan Six, collezionista e conoscitore, poeta. La scena sembra spontanea e naturale: Six è nella sua casa, con il colletto della camicia slacciato, si appoggia alla finestra per leggere un libro, mentre sullo sfondo vediamo la spada su una sedia e un quadro con la tendina di protezione. In primo piano abbiamo una pila di libri e notiamo che la tenda della finestra si apre come un sipario. Le incisioni di R viaggiavano per tutta Europa. R però era anche un pittore sacro, vicino alla comunità dei Mennoniti, lontano dalla religiosità trionfale tridentina. Il ritorno del figliol prodigo rappresenta come R intendeva la storia sacra: il figlio corrotto è tornato miserabile, ma il padre lo accoglie, lo abbraccia con le sue mani enormi e lo benedice. Nessuno osa rompere quell’attimo di silenzio. È stato un artista protestante a fare il più bel ritratto di un Dio misericordioso. 2. Frammenti di realtà: Vermeer Nell'arte olandese esiste anche un filone di pittura senza un soggetto importante. Il più importante tra questi pittori fu Jan Vermeer van Delft (1632-1675), di cui abbiamo pochissime notizie e solamente 36 opere. Tutto quello che sappiamo di lui è contenuto nei suoi straordinari dipinti, dove non accade nulla, il tempo è fermo. Egli descrive frammenti di realtà domestica bagnati da una luce meridiana. Da Caravaggio derivano l'assenza di azione e l'apparente irrilevanza della scena. Celebre è la sua Ragazza con l’orecchino di perla, un tronie, cioè quel genere olandese in cui
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