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riassunto world politics, Appunti di Scienze Sociali

riassunto world politics intero

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 26/03/2020

laura435
laura435 🇮🇹

4.7

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51 documenti

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Scarica riassunto world politics e più Appunti in PDF di Scienze Sociali solo su Docsity! CAPITOLO 1 - POLITICA INTERNAZIONALE: ANALISI, SCELTA E LIMITI SGANCIO BOMBA ATOMICA Il 6 agosto 1945, gli Stati Uniti sganciarono una bomba atomica sulla città giapponese di Hiroshima e 3 giorni dopo un’altra bomba fu sganciata sulla città di Nagasaki. Con questi bombardamenti, per la prima volta, vennero utilizzate armi nucleari contro un nemico. Sganciare una bomba con una tale forza distruttiva segnò un enorme balzo in avanti nella capacità di uccidere su vasta scala. Tutto ciò diede inizio all’era della deterrenza nucleare (era del terrore), in cui la pace tra le grandi potenze veniva mantenuta solamente per la paura di un reciproco annientamento dovuto all’uso della bomba atomica. Ci furono poche discussioni all’interno del governo americano sull’usare o meno la bomba atomica in guerra: le questioni di tipo morale furono velocemente ignorate con l’argomentazione che, alla fine, usare la bomba avrebbe permesso di salvare vite americane. Infatti, l’unica alternativa per forzare la resa del Giappone sembrava essere un’invasione americana del paese, ma ciò avrebbe causato la perdita di molti americani. Wiston Churchill disse che “la decisione sull’usare o meno la bomba atomica per forzare la resa giapponese non era nemmeno in discussione; tutti erano d’accordo sul da farsi”. Allora, come può spiegarsi tutto ciò? Quali sono le motivazioni che hanno portato gli USA a prendere una tale decisione? Delle caratteristiche particolare dell’allora Presidente Harry Truman potrebbero aver fatto la differenza. Prima della morte di Roosewelt era già stato deciso che la bomba si sarebbe usata; inoltre, Truman non aveva esperienza negli affari esteri e non era informato, per cui lui si trovava in una posizione per cui non poteva cambiare le intenzioni di politica estera e militare che erano già state pianificate dai consiglieri di Roosewelt, che Truman aveva ereditato. Truman non poteva cambiare la situazione perché tutti intorno a lui ritenevano che fosse l’unica soluzione possibile, nonché la meno pericolosa (per gli americani!). Tuttavia, c’erano dei rischi, ad esempio che la bomba non spaventasse sufficientemente i giapponesi al punto da arrendersi. Ciò nonostante, c’era unanimità sul fatto di dover chiudere in fretta il conflitto con i giapponesi, principalmente per salvare vite americane, per cui non si tenne molto conto delle restrizioni morali sull’utilizzo delle armi atomiche nella guerra. Di conseguenza, i vincoli di base derivavano dalla situazione internazionale: innanzitutto, era un tempo in cui non c’erano molte restrizioni di tipo morale o legale in tempo di guerra e, in secondo luogo, l’equilibrio di forze che stava emergendo alla fine della Seconda Guerra Mondiale fece venir meno l’alleanza antinazista tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Infatti i due paesi erano in disaccordo riguardo a chi avrebbe controllato l’Europa dell’Est, per cui, gli americani, approfittarono della bomba atomica anche per dimostrare la loro superiorità militare nei confronti dell’altra superpotenza. Inoltre, l’URSS non era ancora entrata in guerra con il Giappone e se questo si fosse arreso prima che i russi potessero attaccarlo, ciò avrebbe limitato le possibilità per la Russia di controllare un paese in lontano oriente. CRISI FINANZIARIA ASIATICA Negli anni ’80, molti paesi a reddito medio intrapresero un processo di deregolamentazione finanziaria dove i governi finanziari divennero sempre meno responsabili in materie come la fissazione dei tassi di interesse o il controllo dei flussi di capitali dall’estero. Quindi, molti capitali finanziari iniziarono a “riversarsi” in questi mercati emergenti in cerca di guadagni e il mercato Asiatico divenne una destinazione popolare per i capitali esteri. Pochi sembravano preoccuparsi che questo massiccio afflusso di capitali finanziari esteri fosse eccessivo. I paesi asiatici ebbero una forte crescita economica in questo periodo. La crisi finanziaria Asiatica iniziò nel sud-est: durante gli anni ’90 molte valute asiatiche erano ancora ancorate al dollaro statunitense. Fu per prima la Thailandia a sperimentare una crescita lenta e un declino delle esportazioni nel ’96 e nel ’97. La valuta thailandese era sopravvalutata in quanto, essendo legata al dollaro, il suo valore nominale era diverso dal suo valore reale. Ciò porto molti investitori a vendere la valuta thailandese (bath) in cambio di valute più solide come il dollaro o lo yen. Nel 1997, la Thailandia fu costretta a lasciare che il valore della sua valuta fosse determinato dal mercato, facendola così crollare. Ciò si ripetè in Indonesia nello stesso anno ed eventi simili si verificarono anche in Malaysia e nelle Filippine. Da qui, la crisi finanziaria di diffuse in tutto l’est dell’Asia; l’unica eccezione fu Hong Kong, dove la valuta riuscì a mantenersi stabile. Allora, molti paesi asiatici chiesero aiuto alla Comunità Internazionale: il FMI, la Banca Mondiale e altre organizzazioni stanziarono più di 110 miliardi di dollari per questi paesi e, in cambio, chiesero loro di intraprendere delle riforme economiche e fiscali. Entro 12 mesi dall’inizio della crisi, molte valute si erano già riprese, ma il danno finanziario era irriparabile (durante il ’98 l’economia Thailandese si contrasse del 10% e quella Indonesiana del 13%). La crisi economica ebbe un impatto molto profondo anche nella politica interna dei paesi asiatici: infatti i governi asiatici dovettero assistere le economie delle regioni e aiutarle finanziariamente. Ci sono 2 spiegazioni principali per la crisi finanziaria Asiatica:  La prima riguarda dei fattori interni alla società asiatica prima della crisi, i governi asiatici erano criticati per il loro modo autoritario di fare politica. Inoltre, c’erano alti livelli di corruzione, favoritisti, poca regolamentazione ecc… Per questo il FMI ha insistito perché questi paese mettessero in atto riforme finanziarie ed econimiche come condizione per il loro salvataggio.  La seconda riguarda fattori esterni, vedendo nella crisi i classici tratti di un panico finanziario nonostante ci fossero stati degli elementi cronici e di debolezza comuni nella società asiatica, le basi dell’economia erano solide. Fu il non rendersi conto dell’eccessivo afflusso di capitali a far si che si creasse una bolla di confidenza, che scoppiò nel ’97, quando gli investitori andarono nel panico e ritirarono i loro capitali dal mercato finanziario, facendo crollare le valute dei vari paesi. Una lezione chiave di questa crisi fu l’incapacità dei governi asiatici di intervenire del mercato finanziario. A parte il governo di Hong Kong, nessuno fu in grado di prevenire la crisi. Per questo sono state richieste le riforme del mercato finanziario, per far si che nell’eventualità di una prossima crisi, i governi siano in grado di gestire la situazione. La crisi in Asia ha aumentato la possibilità per il FMI di avere un ruolo importante in politica estera. Questa crisi ha evidenziato delle caratteristiche importanti del sistema di relazioni internazionali contemporaneo, cioè la connessione tra politica interna e politica estera. 11 SETTEMBRE La mattina dell’11 Settembre due aerei si schiantarono contro le torri gemelle del World Trade Center di New York e un terzo aereo, precipitò sul Pentagono, a Washington. Quasi 3000 persone morirono e circa 2000 rimasero ferite e ci furono enormi costi per ricostruire ciò che andò perduto. Fu l’attacco terroristico più distruttivo della storia, Fu organizzato da Al Qaeda, un’organizzazione terroristica globale guidata da Osama bin Laden, dedicata alla resurrezione del Califfato che un tempo univa tutti i musulmani sotto la legge islamica. Gli Stati Uniti divennero il nemico numero uno di Al Qaeda dopo che questi instaurarono una base militare in Arabia Saudita, a causa dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, che scatenò la Guerra del Golfo. Bin Laden si scagliò contro gli USA perché sosteneva l’occupazione Israeliana della Palestina e perché sosteneva i regimi repressivi e corrotti del mondo arabo. Molti sostenevano che Al Qaeda avesse preso di mira gli USA per via delle libertà e dello stile di vita americano, ma questo non è sufficiente per giustificare un attacco di tale portata distruttiva. Russett e Star riassumono tutto questo processo di analisi con un’analogia. Le opportunità e le inclinazioni dei decisionmakers possono essere paragonate ad un menu: chi va al ristorante è limitato nella scelta del cibo, sia da ciò che si trova sul menu (non può ordinare qualcosa che non c’è sul menu) sia dai suoi gusti personali. Così agiscono anche i decisionmakers, che sono limitati nel compiere le loro scelte da tutta una serie di fattori esterni ed interni. CAPITOLO 2 - PENSANDO RIGUARDO ALLA POLITICA INTERNAZIONALE: TEORIA E REALTA’ REALISTI, LIBERALI E RADICALI Dopo la Prima Guerra mondiale, il presidente Woodrow Wilson concluse che il sistema di equilibrio di potere che si era creato era sbagliato e che fosse necessario costruire un nuovo ordine internazionale. Coloro che la pensavano in questo modo vennero chiamati IDEALISTI, in quanto avevano una visione, un ideale di come dovesse essere costruito un nuovo e pacifico ordine mondiale, specialmente tra Stati democratici. Gli idealisti crearono la Società delle Nazioni e altre istituzioni internazionali con l’obiettivo di dar vita ad una comunità internazionale regolata da leggi e istituzioni che ne promuovessero il rispetto per garantire la pace e la sicurezza internazionale. Tuttavia, la Seconda Guerra mondiale disillusionò la loro visione del mondo. Gli Stati Uniti non avevano aderito alla Società delle Nazioni e gli stati che vi avevano aderito, non riuscirono a promuovere un’azione comune per prevenire e punire gli atti di aggressione di Nazisti e Fascisti. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati si impegnarono ancora una volta per mantenere la pace e la sicurezza internazionale e, per questo motivo, venne istituita l’Organizzazione delle Nazioni Unite, alla quale gli USA, questa volta, aderirono. I membri, riuscirono finalmente a cooperare per promuovere la democrazia come forma di governo e la sua diffusione, convinti che ciò avrebbe portato relazioni pacifiche tra gli Stati. Queste persone, che presero ispirazione dai concetti idealisti, vennero chiamati LIBERALI. C’è un’prospettiva, che rimane scettica, ovvero quella dei REALISTI. Loro credono che la Seconda Guerra Mondiale si sarebbe potuta evitare se si fosse attuata una politica di deterrenza da subito con Hitler e ciò deriva da una loro considerazione più realistica di conflitto e di potere in politica internazionale. Secondo il pensiero realista, le persone sarebbero guidate, nelle loro azioni, da egoismo e interesse personale e cercano di dominare gli altri. I rapporti non si possono basare sulla cooperazione, perché l’unico caso in cui gli Stati ricorrono alla cooperazione è se devono perseguire interessi personali. I realisti considerano gli Stati-nazioni gli unici attori in politica internazionale e ritengono che gli Stati agiscano in qualità di attori razionali e unitari, che perseguono un unico interesse personale. I realisti, inoltre attribuiscono molta importanza alla natura anarchica del Sistema Internazionale, in quanto gli Stati sono sovrani e non esiste alcuna autorità sopra di loro che regoli le loro relazioni internazionali. La visione realista è conosciuta anche come realpolitik. Sia i liberali sia i realisti percepiscono degli aspetti importanti del sistema internazionale, ma nessuno dei due è perfetto e ognuno dei due può apportare correzioni all’altro. Il realismo era una reazione all’ingenuità del pensiero idealista e al fallimento nel fermare i Nazisti, mentre il liberalismo è una reazione all’idea che il sistema internazionale si basi esclusivamente sulla ricerca di un interesse. Una terza prospettiva di tipo RADICALE, mostra una visione coerente di come il mondo funziona. Questa visione deriva dal pensiero Marxista e ha in comune con i realisti la convinzione che le persone agiscono per perseguire i propri interessi personali e per dominare gli altri. Come i realisti, i radicali considerano gli Stati come gli attori principali del sistema internazionale, ciò nonostante, non lo vedono come un attore unitario, in quanto sottolineano l’importanza dei conflitti d’interesse tra classi sociali interni allo Stato. Quindi, dove i realisti vedono anarchia, i radicali vedono una gerarchia di classi sociali e di Stati-nazione, dove i più forti sottomettono i più deboli. Ciò nonostante, i radicali hanno elementi in comune anche con i liberali; infatti, come questi, i radicali non sono soddisfatti dello status quo attuale e vorrebbero un cambiamento della politica internazionale per rendere il sistema internazionale più equo e giusto. Per avere delle relazioni pacifiche, i radicali più estremisti ritengono che il capitalismo dovrebbe essere abolito. Queste 3 prospettive offrono differenti visioni e teorie esplicative riguardo il funzionamento del sistema internazionale. RAZIONALISTI, COSTRUTTIVISTI E RIFLETTIVISTI L’approccio di studio alle relazioni internazionali è, generalmente, quello di tipo RAZIONALISTA, dove gli individui studiati vengono trattati come attori razionali con i propri interessi e le proprie capacità.Gli attori interagiscono entro una struttura, interna ed esterna, e nonostante questa struttura ponga dei limiti su cosa gli attori possano o non possano fare, tutto ciò influisce anche sulla struttura stessa del sistema, che renderà possibili o limitate le future interazioni. Adottando questo tipo di approccio, comunque, si presume che questa struttura sia semplicemente l’aggregato dei prodotti degli attori che perseguono il proprio interesse in cooperazione o in conflitto con gli altri attori. Un approccio alternativo è quello COSTRUTTIVISTA, che cerca di correggere la propensione razionalista di ritenere che le azioni di Stati e attori nel sistema internazionali siano oggettive. I costruttivisti non sono d’accordo con i razionalisti sul fatto che il comportamento è dettato solamente dalla logica dell’anarchia. I costruttivisti, al contrario, ritengono che gli interessi degli Stati e degli altri attori siano delle costruzioni sociali, nel senso che le percezioni di se stessi dei singoli attori sono il risultato di continui processi sociali e, pertanto, queste percezioni non sono predeterminate da elementi geografici, militari, da capacità o altri fattori materiali che, invece, i razionalisti tendono ad enfatizzare. Il potere delle idee è centrale per l’approccio costruttivista al sistema internazionale. Alcuni ritengono che la differenza tra razionalisti e costruttivisti sia di tipo analitico; altri vedono pochi elementi in comune tra i due approcci e ritengono che le due prospettive analitiche non possano essere ricongiunte. Quest’ultimo approccio è chiamato RIFLESSIVISMO. Quindi, mentre i realisti cercano di fornire una spiegazione che sia oggettiva e supportata da fatti empiricamente osservabili (approccio scientifico-sociale) utilizzando modi di analisi tipici delle scienze naturali, i riflessivisti non credono che ciò possa essere fatto e sono sospettosi delle spiegazioni teoriche razionaliste. I riflessivisti, per questo, concludono dicendo che un approccio scientifico oggettivo nell’ambito delle relazioni internazionali sia impossibile e che la conoscenza ricavata dall’approccio scientifico sociale alle relazioni internazionali influenzi il mondo che studiamo. STUDI SCIENTIFICO SOCIALI DELLA POLITICA INTERNAZIONALE: COMPARAZIONE E GENERALIZZAZIONE Lo studio della politica internazionale vede il predominio dell’approccio razionalista; per questo c’è bisogno di esaminare in profondità l’approccio scientifico sociale alla politica internazionale associato con questa visione. Nel dibattito sulla Prima Guerra Mondiale, i realisti sottolineano l’importanza degli studi di storia diplomatica, tenendo conto delle azioni internazionali e delle politiche adottate dai governi nazionali e ciò sembra essere collegato all’importanza da loro attribuito allo Stato-nazione. Gli idealisti, invece, tendono a focalizzarsi sullo studio dell’organizzazione del sistema internazionale e delle sue leggi. Entrambi gli approcci sono molto descrittivi e forniscono dettagli su come gli Stati attualmente si comportano. Inoltre fanno spesso delle previsioni su come gli Stati dovrebbero comportarsi. In seguito al 1945, molti analisti sentirono l’esigenza di un approccio più sistematico allo studio delle relazioni internazionali, in modo da trovare delle soluzioni. I tradizionali metodi di spiegazione sembravano inadeguati per affrontare queste nuove incertezze. L’idea era quella di concentrarsi sulla comparazione invece che sull’unicità, quindi di focalizzarsi sui modelli ricorrenti di capire quali particolari eventi emergono da determinati modelli e processi. Questo nuovo approccio scientifico sociale ritiene che la conoscenza possa essere ottenuta osservando i modelli di comportamento sociale e ciò include il comportamento internazionale. Questi elementi possono essere osservati comparando una serie di stati in un determinato momento oppure comparando le condizioni in uno o più stati in differenti periodi di tempo. Alcuni critici, tuttavia, ritengono che questo approccio sia il meno promettente perché il comportamento degli Stati e i singoli eventi sono troppo particolari e complicati da spiegare. Comparando delle cose, noi ammettiamo la possibilità che ci siano delle similitudini tra gli eventi. Usare un singolo evento per spiegare dei fenomeni generali si accorda con il principio della comparazione e con la possibilità di creare modelli. Questo approccio, quindi, crede nella comparabilità degli eventi e nell’esistenza di regolarità. Tutte le scienze si basano su modelli, leggi e proposte che si realizzano solo in presenza di determinate condizioni e, se il mondo che osserviamo si approssima a tali condizioni, la probabilità che l’evento previsto da un modello si verifichi aumenta, se il modello è valido. TEORIA E PROVE Un elemento importante nella scienza è l’elaborazione di teorie. Una teoria è uno strumento che ci permette di individuare una strada per organizzare il mondo nella sua complessità e ci aiuta a vedere come i fenomeni sono tra loro collegati. Le teorie semplificano la realtà, il che permette agli analisti di separare gli elementi più importanti da quelli irrilevanti. Le teorie devono essere elaborate in modo chiaro e preciso. Una buona teoria deve poter essere supportata o smentita da prove usando informazioni o dati. Una teoria che non può essere confermata o respinta non è di nessun aiuto. Da dove vengono le teorie? Di solito iniziano con delle impressioni riguardo a come il mondo funziona. Le teorie vengono da tutti gli aspetti dell’esperienza umana. Le teorie ci dicono cosa guardare e come le cose che guardiamo si relazionano le une con le altre. La scienza ritiene che almeno alcuni dei modelli descritti da una teoria possano essere osservati e misurati in qualche modo. Per questo, possiamo raccogliere informazioni con l’intenzione di valutare la veridicità di una teoria: questa è la nostra PROVA. La procedura con cui si raccolgono le prove deve essere trasparente, altrimenti risulterebbe difficile giudicare l’attendibilità delle prove. Molto di quello che noi sappiamo riguardo ai fenomeni sociali viene dalla conoscenza o senso comune, il quale può non essere vero. Il senso comune può essere il risultato di un cambiamento di mode intellettuali. Inoltre, può essere molto contraddittorio. IPOTESI E SUPPOSIZIONI Un’ipotesi è un’affermazione teorica che collega una spiegazione ad un’eventuale osservazione del mondo reale. Testare le ipotesi è una delle attività centrali della scienza. Le ipotesi che vengono sottoposte a molti test e vengono continuamente confermate in un’ampia gamma di casi rilevanti, vengono chiamate LEGGI. Ma il fenomeno delle scienze sociali è molto complesso, il che fa si che la presenza di leggi sia molto rara. Di solito, si hanno delle PROBABILI SPIEGAZIONI, le quali confermano che, date delle precedenti condizioni, molti eventi e comportamenti di un certo tipo si verificheranno in un certo modo la maggior parte delle volte. Per questo gli scienziati sociali trovano difficile prevedere che certi risultati particolari si Il senso di appartenenza ad un gruppo è il fattore chiave. Ma, cos’è che lo produce? Sono stati identificati una serie di fattori determinanti:  In primo luogo, la condivisione di un territorio comune: vivere ed interagire nella stessa area, nonche affrontare le stesse sfide e gli stessi problemi, spesso sviluppa un senso di comune appartenenza e identità;  In secondo luogo, l’effetto di partecipare ad un sistema economico comune, avere le stesse risorse e le stesse scarsità, tutto ciò, insieme, porta le persone ad avere la stessa visione del mondo ed un senso di interesse comune  Infine, abbiamo dei fattori di tipo culturale: una lingua comune è un aspetto del nazionalismo molto importante, così come lo è avere lo stesso bagaglio etnico e una stessa religione, ma anche un insieme di esperienze passate comuni, percepite come storia comune. Il nazionalismo implica un senso di lealtà verso un grande gruppo e nelle relazioni internazionali vediamo sempre più spesso lo svilupparsi anche di un senso di identità e di appartenenza ad entità non statali le immagini di un mondo diviso semplicemente i Stati è fuorviante, in quanto ci sono molte forze in gioco che favoriscono la frammentazione sociale, ovvero la creazione di tanti gruppi all’interno dello Stato (es: i fondamentalisti religiosiISIS). La frammentazione è una delle maggiori forze in politica internazionale. LO STATO COME ATTORE GLOBALE Lo Stato, rimane comunque l’attore principale nelle relazioni internazionali e nella società globale. Il numero di Stati nel sistema internazionale è cresciuto notevolmente dalla Seconda Guerra Mondiale, ciò a dimostrazione del fatto che i vari gruppi nazionali continuano a volersi affermare come entità statali. IL SISTEMA INTERNAZIONALE MODERNO Nonostante la nascita del sistema internazionale moderno si fa coincidere con la Pace di Westphalia del 1648, gli Stati presenti a quella data erano il risultato di un processo che era in atto da più di 500 anni. Il periodo tra il 1450 e il 1650 ha segnato la transizione da un’epoca storica all’altra, quanto la combinazione e l’interazione tra fattori politici, tecnologici, economici e religiosi fu decisiva per il passaggio al moderno sistema internazionale. Prima di questa transizione, l’Europa era formata da un complesso sistema di entità feudali: nell’undicesimo secolo, il sistema si componeva di un grande numero di entità politiche locali, basate su relazioni feudali tra lord e vassalli e con piccole interazioni con altre parti del mondo. I capi di queste varie entità feudali erano invischiati in un sistema di multiple lealtà, le quali culminarono in due figure: il Sacro Romano Impero (sfera secolare) e il Papa (sfera spirituale). Il principio di autorità era di tipo gerarchico. Allo stesso tempo, però, l’autorità era diffusa, per cui l’abilità di coloro in alto nella gerarchia di esercitare effettivamente il proprio potere su vasti territori era limitata. Le politiche europee, in questo periodo, si basano principalmente sul rapporto tra re e nobili. Ma quello che caratterizza il 15esimo e 16esimo secolo è la crescita graduale dell’influenza e del potere della monarchia. La monarchia lotto contro la nobiltà feudale e per questo avevano bisogno di risorse economiche e militari. Ci furono dei fattori determinanti che fornirono le opportunità, per la monarchia, di avere la meglio contro la nobiltà feudale. Un fattore centrale era di tipo economico il commercio, le comunicazioni e la produzione contribuirono alla crescit delle città e un’economia più sviluppata si sostituì al sistema feudale. L’espansione di queste regioni economiche richiedeva ordine e sicurezza, per questo si sviluppò una struttura amministrativa in grado di mantenere l’ordine ma anche di estrarre dalla società le risorse (come le tasse) per stabilire sul territorio un’unica autorità politica. Anche i fattori tecnologici furono determinanti. Questo sviluppo della democrazia sta all’origine delle istituzioni amministrative che caratterizzano lo stato moderno. Il processo è stato riassunto con la frase :”Gli Stati fanno la guerra, e la guerra fa gli Stati. Le relazioni tra classe commerciale, burocrazia e monarchia in Europa, hanno promosso il rapido sviluppo ed utilizzo della tecnologia militare che rese anche possibile l’espansione europea in altre parti del mondo. Paul Kennedy sostiene che il “Miracolo Europeo” sia il frutto della combinazione di tutti questi fattori: le lotte continue tra monarchia e nobili ha portato le parti a cercare di avvantaggiarsi con delle armi sviluppate e ciò ha favorito una rapida innovazione scientifica e tecnologica, così come un’innovazione nei commerci, nella finanza e nell’amministrazione. Tutti questi fattori hanno favorito l’espansione Europea che ha fornito un’altra fonte di benessere per gli Stati europei. SOVRANITA’ E NATURA DELLO STATO La religione fu un altro fattore determinante nella crescita Europea: nel 1517, Martin Lutero sfidò l’autorità spirituale del papa e della Chiesa di Roma ed egli fu seguito da molti principi tedeschi. Il risultato fu un continuo aumento dei conflitti religiosi che dominarono il 16esimo secolo e che culminarono nella Guerra dei Trent’anni. La guerra iniziò nel 1618 e, in una prima fase, prevalse la Chiesa cattolica che stava cercando di reimporsi. La Guerra si concluse con la Pace di Westphalia del 1648 e a questa data noi riconduciamo la nascita dello Stato moderno e del sistema internazionale anarchico. Il principio centrale introdotto da Westphalia è “chi governa una regione decide la religione al suo interno”, il quale ha portato alla definitiva fine dei conflitti religiosi degli anni precedenti. Questo principio ha avuto conseguenze enormi: infatti, da qui in poi, l’elemento centrale del tempo, la religione, non veniva più deciso da autorità esterne come la Chiesa. Inoltre, non c’era più la pretesa di avere una religione comune tra gli Stati Europei. In ogni Stato, non si doveva più essere fedeli a varie entità oltre alla monarchia (come la Chiesa), ma solamente la monarchia era considerata come la massima autorità. Ora, erano presenti gli elementi chiave dello Stato-nazione: un insieme di persone, un territorio dove queste persone vivono stabilmente e una burocrazia che amministra gli affari del monarca, il quale esercita un’autorità attribuitagli da leggi internazionali (trattato di Westphalia) sul territorio e su tutte le persone residenti in quel territorio. Quindi, al re viene attribuita in esclusiva la SOVRANITA’ su quel territorio. Adesso possiamo rispondere alla domanda: perché gli Stati erano, e sono, gli attori principali del sistema internazionale? Perché con il venir meno di un’entità esterna dotata di autorità all’interno dello Stato (=la Chiesa), l’autorità viene ora esercitata esclusivamente dallo Stato; inoltre, le norme internazionali hanno attribuito allo Stato uno status che nessun altro ha lo Stato è un’entità legale, è stato investito di uno status legale che nessun altro possiede, agisce tramite un governo e i rappresentanti di questo governo sottoscrivono accordi internazionali per conto dello Stato. La sovranità dello stato ha un duplice significato: sovranità interna significa che lo Stato prevale su qualsiaso altro attore entro il suo territorio e detiene il monopolio dell’uso legittimo della forza; sovranità esterna significa che lo Stato non riconosce alcuna autorità sopra di se al di fuori del suo territorio. La sovranità esterna è ciò che la Pace di Westphalia ha consacrato: l’anarchia è l’essenza del sistema internazionale moderno. Lo status speciale attribuito allo Stato nell’arena internazionale è collegato con il suo territorio; infatti, il governo dello Stato rappresenta un gruppo di persone che abita su quel territorio. La base dello Stato è la sua possibilità di proteggere le persone anche se le armi di distruzione di massa e il sistema moderno hanno fatto si che il sistema di protezione dello stato diventasse più penetrabile, comunque la territorialità dello Stato è in grado di proteggere i suoi cittadini dalla maggior parte dei conflitti con gli altri Stati. La sovranità e la territorialità fornite dallo Stato hanno maggiori vantaggi rispetto agli attori non statali presenti nell’arena internazionale. STORIA DEL SISTEMA DI STATI DA WESTPHALIA Il sistema anarchico degli Stati ha subito varie trasformazioni, infatti, se inizialmente, il principio di sovranità interna implicava il concetto di successione dinastica, con la Rivoluzione Francese del 1789, tutto cambia. Da qui in poi prende vita l’idea che la sovranità appartenga al popolo e non più al re per legge dinastica. Questo principio repubblicano di sovranità popolare ha preoccupato i paesi vicini, che si sono battuti per riportare l’autorità nelle mani della monarchia. Ciò nonostante i principi della rivoluzione hanno avuto la meglio e, dalla Francia, questo principio si è espando in tutti i paesi vicini. Anche quando Napoleone Bonaparte conquistò il potere, comunque la Francia mantenne il suo principio della sovranità popolare. Allora Napoleone tentò di cambiare il concetto di sovranità esterna, tentando di rendere la Francia la potenza egemone nel sistema internazionale le guerre Napoleoniche dovevano determinare se il sistema internazionale di Westphalia sarebbe rimasto in piedi oppure no. Alla fine questo sistema prevalse, grazie ad una coalizione di tutte le altre grandi potenze. Queste potenze impararono dal fallimento del vecchio sistema e cercarono di rivisitarlo e reinstaurarlo attraverso il Congresso di Vienna del 1815, il quale puntava ad instaurare un’epoca di pace, dopo un disastroso periodo di guerre. Le potenze tentarono di ristabilire il sistema dinastico, ma in una forma meno autoritaria, più temperata dallo spirito repubblicano. Questo Congresso stabilì dei principi normativi per un corretto comportamento, ma anche il concetto per cui gli Stati hanno diritto a sicurezza e indipendenza e sono obbligati a rispettare la legittimità degli altri Stati, di osservare gli accordi internazionali e di negoziare per risolvere le controversie. Questo sistema di Westphalia restaurato funzionò per un intero secolo non ci furono più grandi guerre tra gli stati europei fino al 1914, quando tutto sembrò crollare: la tensione aumentò e le alleanze si irrigidirono. Comparirono nuove tecnologie militari che favorirono le offensive. Ciò determinò l’inizio di una guerra continentale, che si espanse a tutto il mondo (con un livello di uccisione che superò perfino le guerre Napoleoniche). Alla fine della guerra le potenze riconobbero il fallimento del Sistema internazionale, ma erano consapevoli del fatto che mantenera la sicurezza e la pace internazionale fosse una priorità. Il presidente americano Woodrow Wilson proclamò il diritto di autodeterminazione dei popoli e molti stati emersero in Europa centrale in virtù di questi principi. Le potenze vincitrici stavano cercando anche di stabilire un principio internazionale che garantisse la pace e la sicurezza internazionale la visione di Wilson era quella di una Società delle Nazioni, dove tutti i membri fossero d’accordo nell’opporsi a qualsiasi minaccia alla pace e alla sicurezza verso uno degli Stati membri. Ciò nonostante, la Germania rimase esclusa dalla Società delle Nazioni e nelle negoziazioni di pace di Versailles (1919) prevalsero gli interessi delle potenze vincitrici. Inoltre, gli Stati Uniti, alla fine, non ratificarono il trattato e quindi non entrarono a far parte di questa Società. La Germania si riprese velocemente dopo le pesanti riparazioni di guerra imposte da Versailles e ciò alimentò un sentimento di ingiustizia verso quel trattato. Quando Hitler salì al potere, le potenze europee non seppero mettere in atto un piano comune per fermarlo e ciò determinò il fallimento di quel sistema internazionale e della società delle nazioni. Quindi, ancora una volta, nel 1945, le potenze vincitrici dovettero incontrarsi e discutere su come riorganizzare il sistema internazionale dopo la guerra. La Società delle Nazioni fu sostituita dall’ONU e, questa volta, gli USA vi aderirono. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU fu incaricato di mettere in atto azioni militari collettive contro chiunque costituisse una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Le potenze vincitrici (UK, USA, URSS, Cina e Francia) diventarono membri permanenti del Consiglio e, in quanto tali, venne loro attribuito il diritto di veto su qualsiasi azione militare o di altro tipo contro uno Stato. I membri permanenti, in caso di azioni collettive, avrebbero dovuto fornire la maggior parte della forza militare; inoltre, se una grande potenza riteneva che una proposta dell’ONU violasse un suo interesse particolare, si sarebbe potuta opporre a tale azione. Il veto metteva in luce quegli Stati che effettivamente detenavano il potere ( i piccoli stati non avevano il veto). Tuttavia, la speranza di una cooperazione tra grandi potenze svanì con la Guerra Fredda. La fine di questa guerra, nel 1989, fornì un’altra occasione agli Stati europei per poter ricostruire e rinforzare il sistema di relazioni internazionali. I membri permanenti ricorsero il meno possibile al loro diritto di veto e ciò permise Una visione statocentrica del sistema internazionale si focalizza sulle interazioni tra Stati e org intergov. Una visione transnazionale sottolinea la moltiplicità di interazioni che superano i governi nazionali e si rivolgono direttamente all’ambiente interno. In quest’ultima ottica, gli attori non statali sono sempre più importanti. Insieme con gli Stati, gli attori transnazionali formano un sistema multicentrico, che cerca autonomia d’azione rispetto agli Stati. CAPITOLO 4 – POTERE ED INFLUENZA NELLA SOCIETA’ GLOBALE: RELAZIONI TRA GLI STATI IL SISTEMA GLOBALE Gli Stati-nazione e i loro policymaker, così come gli attori non statali, agiscono all’interno di un sistema globale di tipo politico, economico e sociale. Questo ambiente è uno dei fattori che contribuiscono alla formazione del menu di scelte a disposizione di ogni policymaker. Un sistema è un insieme di elementi che interagiscono tra loro; questi elementi sono interconnessi al punto che il cambiamento di uno di questi può influenzare l’intero sistema internazionale. Il sistema internazionale è costituito da un insieme di Stati e attori non statali che interagiscono e spesso si scontrano tra loro. Ogni sistema è definito dalle caratteristiche degli elementi che lo compongono, nonchè dalla natura, dai modelli e dal numero di interazioni tra di loro. Ora vediamo quali sono gli elementi che influenzano il sistema internazionale:  In primo luogo, il numero e la dimensione degli Stati, ma anche il numero e l’importanza degli attori non statali. Bisogna fare riferimento anche quei gruppi politici o geografici di stati, chiamati Blocs, che si legano insieme per perseguire interessi comuni. Questi legami sono talmente forti che, spesso, questi stati agiscono come un’unica entità e delegano il potere decisionale ad un’organizzazione internazionale o allo Stato dominante. Quando questi blocs agiscono insieme, provocano serie modifiche al sistema internazionale;  In secondo luogo, la natura del legame e le interazioni tra Stati e attori non statali questo include sia le relazioni ufficiali tra i governi di due o più paesi, ma anche le transazioni che riguardano la società (es: di tipo economico, turismo, comunicazioni, mass media). Non sono le singole azioni che contano, ma l’insieme di queste azioni. Ciò nonostante, ci sono alcuni tipi di eventi e azioni considerati speciali, che contano anche da soli, come la firma di un trattato o la mobilitazione di truppe…;  Infine. È importante anche considerare il grado di interdipendenza esistente tra Stati e attori non statali. Per interdipendenza si intende una relazione in cui i cambiamenti o gli eventi che avvengono in una singola parte del sistema, producono una reazione o hanno delle conseguenze significative sulle altre parti del sistema (la Crisi finanziaria Asiatica ne è un buon esempio). GEOPOLITICA E TECNOLOGIA Le interazioni, all’interno del sistema internazionale, sono profondamente influenzate dalla GEOPOLITICA il concetto di geopolitica include la dimensione della “spazialità”, ovvero la collocazione geografica dei vari attori, ma anche la loro dimensione, nonché il modo in cui le capacità sono distribuite tra queste entità. Ogni Stato-nazione opera all’interno di un contesto condizionato da altri Stati e attori non statali. Quindi tutto ciò significa che, in primo luogo, la posizione fisica degli Stati influisce sul loro menu di scelte. Anche le caratteristiche topografiche influenzano le scelte degli Stati (come si comportano gli Stati vicini, quanto distano, se sono grandi o piccoli, le caratteristiche del territorio…). Infatti, il menu di scelta degli Stati cambia a seconda che si tratti di un’isola o di una grande potenza il modo in cui tutte queste caratteristiche fisiche sono disposte nel sistema internazionale può limitare o favorire il movimento di beni economici e di capacità militari. Queste caratteristiche di geopolitica non cambiano nel tempo; ciò che cambia, invece, è il livello di tecnologia presente nel sistema internazionale. La tecnologia è un altro fattore che influenza la politica internazionale: serve per raggiungere gli obiettivi dei decisionmaker. Molti degli ostacoli di natura geopolitica vengono superati grazie alla tecnologia; ad esempio, grazie alla tecnologia è possibile ottenere delle risorse che, altrimenti, sarebbero irraggiungibili. La tecnologia è un fattore molto importante per capire cosa è o meno possibile all’interno del sistema internazionale. La continua innovazione tecnologica permette anche il cambiamento dell’ambiente internazionale lo sviluppo tecnologico altera il menu di scelte e i leader politici ne sono consapevoli. Per questo, i governi lungimiranti, quando devono affrontare una serie di opportunità eccessivamente limitanti, si avvalgono della ricerca e dello sviluppo tecnologico per ampliare il loro menu di scelta. POTERE NAZIONALE: INFLUENZA Il menu di scelte disponibile per gli Stati è influenzato dalle capacità dello Stato, ma anche da quelle degli altri attori che vi interagiscono. Il potere può essere interpretato sia come un insieme di capacità/ attributi nazionali, sia come un esercizio d’influenza. La capacità e l’influenza di uno stato diventano significative solo nel momento in cui vengono comparate con le capacità di altri Stati ed i loro tentativi di influenzare i risultati. POTERE COME INFLUENZA Nella visione realista, gli atttori ricercano potere e puntato a dominare gli altri. Secondo Hans Morgenthau, la politica internazionale altro non è che lotta per il potere. Questa visione di un potere concentrato nella lotta tra Stati sovrani all’interno di un sistema internazionale anarchico, è, solitamente, caratterizzata dall’utilizzo di risorse militari. Il potere è l’abilità di superare gli ostacoli e influenzare i risultati, di ottenere quello che si vuoledi raggiungere il risultato desiderato attraverso il controllo dell’ambiente fisico e sociale. Influenzare i risultati NON significa prevalere in conflitti che implicano violenza o miinacce di violenza gli Stati hanno incomprensioni con altri Stati ogni giorno su molte questioni, c’è sempre un’incompatibilità o un conflitto d’interesse e nel momento in cui sorgono dette incomprensioni tra interessi ed obiettivi, i conflitti saranno sempre dietro l’angolo. Ciò non vuol dire, comunque, che per risolvere i conflitti sia sempre necessario l’uso della forza, al contrario, molto spesso queste incomprensioni vengono risolte attraverso una capacità di INFLUENZA. Se uno Stato ottiene ciò che vuole, ciò significa che un altro Stato non l’ha ottenuto questo aspetto del potere è stato catturato dalla definizione di Robert Dahl ( l’abilità di A di far si che B tenga un certo comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto. L’influenza che viene utilizzata per cambiare il comportamento di un altro Stato è detta potere comportamentale (behavioral power); questo potere consiste nell’indurre un altro Stato ad alterare il corso delle azioni che ha già intrapreso o a tenere un determinato comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto esercizio del potere come MANIPOLAZIONE. Al contrario della manipolazione, la DETERRENZA ha l’obiettivo di convincere un altro attore a non tenere un determinato comportamento che, altrimenti, avrebbe tenuto. Non sempre la deterrenza influenza il risultato, infatti può essere che lo Stato non avrebbe tenuto comunque un determinato comportamento, quindi non c’era nemmeno bisogno di questo tipo di influenza. SOFT POWER Il potere, in politica internazionale, non influenza solamente in modo diretto il comportamento di un altro Stato le grandi potenze sono in grado di influenzare non solo le scelte degli altri Stati (direttamente), ma anche il loro menu di scelte, rimuovendo alcune opzioni prima possibili (indirettamente). Questa capacità è detta POTERE STRUTTURALE, in quanto implica l’abilità di uno Stato A di influenzare il contesto/l’ambiente in cui uno Stato B si trova a prendere decisioni (cioè la struttura in cui B si trova). Uno dei modi in cui questo potere strutturale può essere esercitato è influenzando le questioni all’ordine del giorno. I policymaker sanno bene l’importanza del tenere sotto controllo la propria agenda. La violazione dei diritti umani e le altre pratiche non democratiche, ad esempio, vengono considerate come affari interni, ma questa questione è sempre più messa in discussione dalle potenze democratiche ( questo da un’idea del potere strutturale esercitato dagli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali).  si tratta di un indiretto esercizio del potere. Un altro modo in cui il potere strutturale viene utilizzato è quello di influenzare l’insieme di valori interni ad altri Stati e, di conseguenza, anche ciò che questi Stati considerano come loro interessi e i risultati che desiderano ottenere. Joseph Nye ha chiamato questo potere SOFT POWER, ovvero l’esercizio di un’influenza attraverso l’attrazione (potere contrapposto alla coercizione, definica come hard power). Quando la cultura, l’ideologia e le istituzioni di uno Stato risultano molto attrattive (come nel caso dello stile di vita delle democrazie occidentali e del capitalismo del libero mercato) , l’uso dell’hard power non è necessario. POTERE NAZIONALE: CAPACITA’ Le capacità degli Stati influenzano notevolmente il menu di scelte a loro disposizione; quello che è possibile o probabile dipende dai mezzi a disposizione. Questo è molto importante specialmente nel valutare azioni e reazioni di specifici stati in specifiche situazioni. Le capacità includono qualsiasi oggetto fisico, talento o qualià che possono essere usati per influenzare il comportamento o i desideri degli altri. Minacce e promesse sono i tipici strumenti dell’influenza, ma questi devono essere credibili. Le capacità sono cruciali per la credibilità degli Stati sotto due differenti aspetti: in primo luogo, affinchè una minaccia o promessa sia credibile, l’altra parte deve credere che lo Stato sia effettivamente in grado di mantenere la sua promessa o di attuare la sua minaccia; in secondo luogo, uno stato perché sia credibile, deve avere un’inclinazione a compiere le sue minacce se necessario. Nel caso in cui promesseo minacce non funzionino, si passa a punizioni di tipo economico, politico o militare. Gli Stati devono essere in grado di sostenere i costi o le conseguenze derivanti dalla coercizione di un altro Stato affinchè questo si comporti come lo Stato vuole. Uno stato accresce la sua credibilità anche mostrando che con le sue minacce è in grado di ottenere ciò che vuole. Può accadere che, facendo così, uno Stato in futuro non debba più ricorrere alle minacce, perché solo il pensiero che questo stato potrebbe mettere in atto una minaccia (che si sa essere in grado di attuare), porterà l’altro stato a tenere il comportamento desiderato dall’altro senza opporre resistenza. Tutto ciò singnifica che se uno Stato ricorre all’uso della forza militare, vuol dire che non è abbastanza credibile l’uso della forza implica che uno stato ha fallito nell’influenzarne un altro e per questo è dovuto ricorrere a rimedi estremi. Comunque, l’abilità di influenzare qualcun altro a fare o non fare qualcosa, dipende anche dal soggetto che si vuole influenzare, per questo la capacità è relativa. Infatti, gli USA non possono fare in Cina ciò che fanno in Iraq. Per questo, conoscere la capacità di uno stato e nient’altro non è di nessuna utilità per la nostra analisi. Le capacità di uno stato hanno senso solo se messe in relazione con gli Stati che si vogliono influenzare e con le capacità di quest’ultimi. CAPACITA’ NATURALI Le capacità sono risorse alle quali uno stato può attingere per raggiungere un risultato desiderato. Alcune di queste risorse sono più tangibili di altre. Il potere degli Stati si basa su una serie di attributi. La popolazione e l’estensione del territorio sono attributi centrali per il potere dello Stato. Ma ci sono anche attributi più tangibili e misurabili collegati con gli Stati potenti. Anche se il territorio non è di per se un elemento Un SISTEMA UNIPOLARE è un sistema in cui abbiamo un’unica potenza dominante che domina tutti gli altri Stati. Nella storia non c’è mai stato un vero e proprio sistema unipolare (la situazione successiva al crollo URSS può essere considerata come un parziale sistema unipolare). Affinché uno Stato possa essere definito un polo, deve possedere una combinazione di potere economico, politico e militare considerando ciò, molti ritengono che il sistema attuale sia unipolare, in quanto gli USA si ritengono essere l’unica potenza che possiede poteri economici, politici, diplomatici e militari tali da renderli un attore decisivo in qualsiasi conflitto in qualsiasi parte del mondo. Invece, i SISTEMI MULTIPOLARI, cioè con una molteplicità di centri di potere, sono stati molto comuni in passato. Per la maggior parte della storia moderna, è esistito anche in Europa un sistema multipolare molto precario.  In quasi tutti i sistemi internazionali, la POLARIZZAZIONE è il fenomeno per cui un sistema multipolare si trasforma, a causa della formazione di alleanze, in un sistema bipolare, che vede due grandi coalizioni che si scontrano. Più questi Stati sono vicini e uniti, più il sistema è polarizzato. Intorno al ‘900, in Europa c’era un sistema multipolare, con molte potenze che avevano simili dimensioni e risorse. Nonostante ci fossero delle alleanze tra Stati, queste non erano così strette o permanenti da formare un sistema bipolare. Quest’ultimo tipo di sistema è venuto a formarsi già con la Prima Guerra Mondiale e, successivamente, con la Guerra Fredda. La possibilità che si formino due alleanze è comune in politica internazionale ed è una seria fonte di instabilità in un sistema multipolare. Dopo la Prima Guerra Mondiale, gli Stati vincitori hanno dominato il sistema, ma questo equilibrio di potere è venuto meno nel momento in cui sono emerse nuove potenze come USA, Giappone e, successivamente, Germania e Russia. I sistemi bipolari, che vedono la presenza di due superpotenze, non sono molto comuni nella storia. Uno dei pochi è quello che vedeva contrapporsi USA e URSS, ognuno con i propri alleati, durante il periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale. A quel tempo, le basi per un sistema multipolare erano state distrutte perché molti Stati erano troppo deboli dopo la guerra (vedi la Germania) e USA e URSS erano chiaramente le uniche superpotenze rimaste (anche se certamente gli Stati Uniti erano i più forti tra i due). La loro superiorità è stata rinforzata e drammaticizzata dal fatto che questi paesi erano gli unici a possedere le armi nucleari e dei sofisticati missili in grado di far penetrale le armi atomiche anche all’interno di Stati tecnologicamente molto avanzati dal punto di vista difensivo. ALLEANZE Le alleanze ci dicono molto riguardo la struttura politica e militare di un sistema internazionale: riguardo le relazioni geopolitiche tra Stati, la distribuzione di amicizie è rancori e riguardo la distribuzione della capacità militare. Come la tecnologia, le alleanze possono essere usate per superare gli ostacoli di distanza e quelli geografici, creare nuove opportunità, così come rischi per gli Stati coinvolti. Le alleanze possono essere centrali per la struttura di un sistema e, di conseguenza, per il menu di scelte politiche presentato dal sistema internazionale. Le alleanze combinano elementi di cooperazione e conflitto. Includono cooperazione interstatale (tra stati alleati) e, contemporaneamente, conflitti reali o potenziali con uno o più altri Stati. NON FORMALMENTE due stati sono alleati se si comportano in modo simile con un attore internazionale terzo. Le alleanze spesso significano che gli stati cooperano perché perseguono gli stessi interessi e hanno scelto di coordinare i loro comportamenti nei confronti di altri attori, ma senza firmare un trattato formale. Sostanzialmente, loro si comportano come una coalizione. Invece, le alleanze militari sono di tipo FORMALE, nel senso che vengono formalizzate in un trattato scritto e questo implica degli accordi di collaborazione su specifiche questioni di sicurezza militare indicate dal trattato stesso. L’accordo specifica i diritti e gli obblighi delle parti, di solito per periodi di tempo prestabiliti. Un’alleanza militare può prendere forme diverse:  PATTO DIFENSIVO ogni parte ha l’obbligo di intervenire in difesa di qualsiasi delle altre parti contraenti nel caso in cui questa sia stata attaccata (es: NATO);  PATTO DI NON AGGRESSIONE ogni parte ha l’obbligo di non attaccare le altre parti contraenti o di dare assistenza a qualcuno che sta attaccando una delle parti (es: Patto Molotov- Ribbentrop);  INTESA I differenti gradi di alleanze militari riflettono il diverso grado di impegno militare e, spesso, anche il grado di coesione tra gli alleati e la quantità ed estensione di interessi che hanno in comune. Le alleanze forniscono sia opportunità che limiti: permettono la combinazione delle rispettive capacità, permettono di avere una maggiore forza militare e, di conseguenza, una miglior difesa dalle minacce esterne con meno costi rispetto al dover fare tutto da soli. Tuttavia, per gli alleati, le scelte politiche diventano più limitate perchè devono rispettare i termini dell’accordo. A causa dei loro bisogni economici e politici, molti piccoli stati nel sistema contemporaneo optano per una politica estera di NON ALLEANZA. SUPREMAZIA AMERICANA E ORDINE DEL MONDO L’attuale sistema internazionale, anche se non è unipolare, è comunque caratterizzato dalla supremazia degli Stati Uniti. I realisti discutono sulla migliore strategia che gli americano possono adottare per creare un’era di supremazia Statunitense: i realisti difensivi sostengono che gli USA dovrebbere utilizzare cautamente ed in modo giudizioso i loro poteri, per non correre il rischio di provocare potenziali rivali come Cina e Russia, le quali si schiererebbero in coalizioni controbilancianti che eroderebbero la libertà d’azione degli Stati Uniti. Anche se, per il momento, non ci sono potenziali minacce militari, ci sono altri modi, che non implicano l’utilizzo della forza militare, per porre dei limiti al potere USA: si tratta di un approccio che molti definiscono SOFT BALANCING. Invece, i realisti offensivi ritengono che gli USA devono ormai rassegnarsi al fatto che nuove potenze (= nuovi sfidanti) stangno emergendo, come la Cina, e che questo è inevitabile in un sistema guidato dalla logica dell’equilibrio di potere. Questa visione implica che gli USA dovrebbero mettere in atto una sorta di politica simile a quella che applicarono all’URSS durante la Guerra Fredda cioè la strategia del CONTENIMENTO. Questa politica di confrontarsi e contenere i potenziali rivali fornisce l’ambiente migliore per il mantenimento e l’espansione del potere Americano. La visione liberale della supremazia americana è più vicina alla visione dei realisti difensivi. I liberali sottolineano l’importanza del MULTILATERALISMO per mantenere un ordine mondiale una politica estera multilaterale tratta le norme internazionali come delle catene che legano tutti gli stati in qualsiasi momento (e quindi non sono applicabili solamente quando è nell’interesse di uno stato!). I liberali vedono le azioni unilaterali come un esercizio arrogante del potere. Un’altra prospettiva riguardo alla supremazia americana è emersa in anni recenti, ma questa visione viene vista con scetticismo da realisti e liberali. Questa prospettiva condivide con i realisti offensivi la posizione per cui il potere USA può e dovrebbe essere unilateralmente distribuito. Tuttavia, i sostenitori di questa posizione si distaccano dai realisti in quanto non ritengono che gli ideali americani debbano essere diffusi. STRUMENTI DI INFLUENZA La distribuzione di potere nella società globale aiuta a condizionare il menu di scelte dei decisionmaker. Selezionare delle voci dal menu significa anche, tra le altre cose, scegliere gli strumenti con i quali influenzare gli altri stati e gli attori non statali. Ora vedremo i vari modi in cui viene esercitata l’influenza nel sistema globale. DIPLOMAZIA La diplomazia, di solito, implica contatti diretti tra i governi delle parti coinvolte, dove degli ufficiali interagiscono per comunicare desideri e ottenere risultati per conto dello Stato. La diplomazia è un mezzo di interazione pacifico. Gli elementi centrali della diplimazia sono RAPPRESENTANZA e COMUNICAZIONE. Le moderne pratiche democratiche risalgono al quinto secolo, quando dei diplimatici si insediavano permanentemente nelle corti di altri paesi in modo che i monarchi avessero dei rappresentanti permanenti, in modo da facilitare la comunicazione con gli altri sovrani. Fu in questo periodo che vennero concesse le immunità diplomatiche affinchè questi funzionari potessero continuare a svolgere il loro lavoro senza essere ostacolati. I diplomatici costituiscono un importante pilastro delle leggi internazionali. La diplomazia ha altre funzioni oltre a quella principale di rappresentanza e comunicazione tra Stati: serve, infatti, per gestire i negoziati e i conflitti, per proteggere i cittadini e altri interessi all’estero, per promuovere scambi economici, scientifici e culturali tra stati, per gestire le decisioni di politica estera di uno Stato nei confronti di un altro.  ognuna di queste attività diplimatiche implica la comunicazione della visione di un governo, ma anche venire a conoscenza della visione dell’altro governo. Nel ventesimo secolo si sviluppa un’importante discussione riguardo a quanto le comunicazioni diplomatiche dovessero essere aperte oppure svolte in segreto. Dopo la Prima Guerra Mondiale ci fu una reazione contro la vecchia diplomazia delle potenze europee (trattati segreti erano ritenuti responsabili dello scoppio della guerra). L’apertura diplomatica ha indebolito l’utilità associata alla vecchia diplomazia perche le dichiarazioni pubbliche erano spesso intrise di propaganda. Dopo la Seconda Guerra Mondiale divenne prevalente una forma ibrida di diplomazia, che combina negoziazioni private tra diplhomatici con dichiarazioni pubbliche che spiegano che cosa è stato raggiunto con tali trattative diplomatiche. Successivamente, la mole di comunicazioni che i diplomatici dovevano fare vengono inserite in regolari rapporti scritti che i diplomatici mandavano ai rispettivi ministri degli esteri. Oggi, molte di queste attività, si svolgono in forum multilaterali, come quelli dell’ONU. Questo tipo di diplomazia è detta “parlamentare” ed include sia incontri regolari tra diplomatici, sia discussioni informali. Le grandi potenze conducono sempre più i loro affari attraverso i loro vari ministri. Le negoziazioni e il bargaining sono elementi importanti in diplomazia. Questi due concetti sono usati come sinonimi ma BARGAINING è un concetto più ampio è il processo in cui due o più parti cercano di stabilirsi (mettersi d’accordo) sulle condizioni di uno scambio. Il bargaining può essere tacito (le intenzioni e la volontà di impegnarsi vengono dimostrate attraverso il comportamento e non con una comunicazione ufficiale). L’uso della forza militare può essere interpretato come una forma estrema e coercitiva di bargaining. La NEGOZIAZIONE è una forma particolare di bargaining, che di solito si realizza per fasi. Nella prima fase, le parti si impegnano ad agire in buona fede questo significa che entrambe le parti si stanno impegnando per raggiungere un accordo e, per fare ciò, devono calcolare sia i benefici sia i sacrifici che potrebbero essere necessari. Non sempre gli stati negoziano in buona fede; a volte lo fanno per carpire informazioni riguardo le capacità, i problemi e gli obiettivi dell’altra parte. Altre volte gli Stati negoziano solo per mantenere i contatti con l’altra parte. Stato può avere ripercussioni sul suo comportamento a livello internazionale e, per questo, nell’analizzare la politica internazionale, non ci si può limitare ad esaminare l’ambiente esterno. Bisogna studiare la politica estera in relazione ai vari modelli di comportamento associati ai differenti tipi di Stato, sotto differenti condizioni ed entro contesti differenti. Quindi, nel cercare di capire la politica estera, bisogna prendere in considerazioni vari fattori, influenze e caratteristiche a vari livelli. INTERESSI NAZIONALI E PRIORITA’ I leader perseguono degli obiettivi in politica estera per conto dei propri Stati; il dibattito riguarda il miglior modo per raggiungere questi obiettivi. Molto spesso non c’è un consenso unanime sui risultati da raggiungere e su come farlo: alcuni rimagono costanti, altri sono più sensibili ai cambiamenti dell’ambiente interno ed internazionale, ma anche un obiettivo di lunga data può improvvisamente cambiare se lo Stato si trova ad occupare una nuova posizione nel sistema internazionale. Alcuni obiettivi possono essere generali e, quindi, perseguiti in vari modi (es: USA hanno utilizzato diverse strade per diffondere la democrazia, con differenti gradi di successo). Alcuni obiettivi, specialmente quelli di natura geopolitica, rimangono costanti per lunghi periodi di tempo (come il desiderio Britannico di essere la superpotenza marittima); altri ancora sono transitori. Altri hanno conseguenze che influenzano l’intero Stato o solamente piccole parti di esso. I leader politici perseguini un’ampia gamma di obiettivi pubblici. Un fattore che distingue le prospettive realista, liberale e radicale consiste negli obiettivi centrali che lo Stato persegue attraverso la politica estera, che a seconda del filone di pensiero sono diversi: realistiobiettivi militari e di sicurezza dello Stato, ma anche di tipo economico liberali benessere economico e sociale all’interno dello Stato radicali anche loro mettono al centro gli obiettivi economici, ma a differenza dei realisti, ritengono che la politica estera promuove gli interessi di particolari classi sociali (e non della società per intero). MORGENTHAU enfatizza il fatto che gli interessi, definiti in termini di potere, determinano il comportamento degli Stati. Tutti i governi perseguono tali interessi in un contesto internazionale anarchico. I realisti tendono a vedere gli Stati come un soggetto unitari, guidato da un singolo complesso di valori, preferenze e obiettivi, identificabili con l’interesse nazionale. Gli obiettivi di politica internazionale puntano a massimizzare il potere dello Stato, o almeno a mantenerlo per assicurare la posizione dello Stato nella gerarchia di potere globale. Una difficoltà che può sorgere in questa competizione è lo sviluppo di tautologie, ovvero di affermazioni che sono vere per definizione e, per questo, difficili da confutare ciò fa si che un attore possa prontamente costruire degli argomenti per dimostrare che le sue azioni hanno lo scopo di accrescere o preservare il suo potere e gli interessi nazionali. Il fatto che Stati diversi abbiano differenti storie,culture e strutture politiche e socioeconomiche si traduce in politiche estere i cui obiettivi, preferenze e strategie sono influenzate dalle variabili societarie (interne ad uno Stato) e non semplicemente dalle variabili internazionali (ovvero la posizione di uno Stato nel sistema). Entro ogni Stato ci sono differenti gruppi, individui e classi sociali con interessi differenti che portano gli Stati a comportarsi in un certo modo. Per questo è molto importante chiedersi: quali interessi particolari si riflettono nelle azioni/politiche di un governo? Quali individui, gruppi, classi sociali sono più influenti nel determinare le politiche di governo? Questo può cambiare a seconda del periodo o delle condizioni dell’ambiente interno ed internazionale? Ci sono delle questioni in cui un gruppo ha più influenza degli altri e altre dove altri gruppi hanno pù influenza? I diversi individui e gruppi perseguono interessi ed obiettivi diversi, ma nel fare ciò possono intraprendere la stessa politica di base (es: invasioni Iraq nel 2003 è stata supportata da diversi gruppi e individui per diverse ragioni).  Tuttavia, non a tutte le motivazioni viene dato lo stesso peso nel prendere la decisione, ma alla fine, riprendendo l’esempio precedente, motivazioni diverse e con peso diverso hanno portato ad un’unica conclusione: rovesciare Saddam Hussein. Quindi, la visione realista per cui lo Stato sarebbe un attore unitario con un unico obiettivo, spesso oscura ciò che davvero è importante. Esamindando chi viene coinvolto nel processo decisionale in politica estera, chi è in carica, quali compromessi vengono raggiunti, come queste procedure cambiano a seconda del contesto e delle circostanze, si può capire quali siano gli interessi che diventano INTERESSI NAZIONALI e come. Per questo è molto importante conoscere la struttura di governo di uno Stato e quanto questo è influenzato dalla società. L’INTERESSE NAZIONALE indica un insieme di valori ed obiettivi che la maggiorparte dei cittadini condivide a vari livelli (ad esempio pace, prosperità e sicurezza), ma finche non lasciamo in disparte la visione di uno Stato unitario e non sappiamo come gli interessi dei vari gruppi vengono aggregati, possiamo sapere molto poco riguardo le priorità nazionali e come queste vengono perseguite in politica internazionale. CULTURA POLITICA E STRATEGICA Le esperienze comuni dei cittadini aiutano a creare quel sistema di credenze ed ideologie che influenzano il modo in cui la società vede il proprio posto nel mondo, percepisce il sistema di relazioni internazionali (cooperativo o conflittuale) e anche il ruolo e le azioni appropriate del loro governo. Per questo è importante comprendere la cultura, le differenze culturali e l’impatto della cultura nella formazione ed implementazione delle politiche estere. Gli analisti hanno esaminato l’ambiente geopolitico nel quale lo Stato si trova, le sue esperienze storiche e la cultura politica, nel tentativo di spiegare perché lo Stato si comporta in un determinato modo a livello internazionale. Tutto ciò riguarda la CULTURA STRATEGICA. Proviamo a comparare USA e URSS. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, essi hanno avuto un’esperienza di grandi opportunità e non hanno mai subito minacce importanti ai loro confini. Al contrario, i russi hanno sempre vissuto nell’insicurezza in quanto il paese veniva periodicamente invaso (Mongolia, Polonia, Svezia, Germania…). Economicamente la Russia era un paese sottosviluppato, mentre gli Stati Uniti erano sviluppati economicamente. Gli USA non sono mai stati fortemente minacciati per cui i cittadini si sentivano sicuri; al contrario i russi sono sempre stati stati insicuri per via delle numerose minacce che hanno subito. Individui, gruppi e classi dominanti all’interno della società utilizzano il loro potere per mantenere il sistema di credenze che rafforza il loro potere. In molti aspetti, le condizioni entro le quali i due Stati-nazione si sono sviluppati, non ci sono più ( USA non sono più isolati o completamente sicuri ai loro confini). La domanda da porsi è: quanta differenza hanno fatto questi limiti storici per la politica internazionale che oggi questi Stati perseguono? Ad esempio, George Kennan ha osservato come la Russia sia diventata più cauta e flessibile, in quanto condizionata dal passato. IL PARADOSSO DI CONDORCET E LA SCELTA SOCIALE Questo esempio può dimostrare l’importanza del prendere in considerazione le preferenze di politica estera dei diversi gruppi presenti nella società e la loro relativa influenza nel processo politico. Dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, nel 1990, ci fu un dibattito negli USA su quale fosse la miglior reazione. C’erano 3 possibili strade: andare in guerra, inporre sanzioni economiche o non fare nulla. Supponiamo che nella società americana ci siano solamente tre gruppi con delle forti preferenze, i militaristi, i pacifistie gli umanitari, e che loro abbiano le seguenti preferenze d’azione: Militaristi preferiscono la guerra alle sanzioni e le sanzioni al non far nulla Pacifisti preferiscono le sanzioni al non far nulla e il non far nulla alla guerra Umanitari preferiscono il non far nulla alla guerra e la guerra al non far nulla Come possono tutte queste preferenze individuali essere aggregate in un’unica scelta? Aggregare queste preferenze costituisce un paradosso, infatti risulterebbe che la società preferisce la guerra alle sanzioni, le sanzioni al non far niente e il non far niente alla guerra.  questo paradosso è detto il PARADOSSO DI CONDORCET in nome di chi per primo lo notò. Successivamente, il paradosso fu ripreso da Kenneth Arrow, il quale dimostrò che è impossibile trovare un modo per aggregare tutte le preferenze individuali per produrre un’unica preferenza che soddisfi tutta una serie di criteri che possono essere associati al concetto di giustizia. Questa revisione del paradosso è conosciuta con il nome di PARADOSSO DI ARROW. Alla fine, quale fu l’interesse nazionale che spinse gli USA ad entrare in guerra con l’Iraq nel 1991? Ci sono tante opinioni contrastanti e tante variabili da prendere in considerazione. Il punto importante è che non dobbiamo dare per scontato che la scelta di andare in guerra sia stata quella preferita dalla società solo perché fu scelto di agire in questo modo. E’ importante sapere quali gruppi sono riusciti a far prevalere la loro opinione, ma anche quali gruppi sono riusciti a cambiare l’agenda del dibattito politico. INFLUENZE SOCIALI Nel portare avanti delle politiche internazionali, i leader politici devono confrontarsi con le pressioni derovanti dall’ambiente interno e, per questo, devono creare delle coalizioni politiche domestiche i leader devono adattare le loro preferenze e strategie agli sviluppi del livello internazionale e domestico. L’abilità del governo di controllare la società e l’abilità dei vari gruppi di interesse di comunicare i loro bisogni e le loro richieste al governo sono entrambe collegate con l’apertura del governo: l’APERTURA POLITICA è l’entità con cui il governo è soggetto all’influenza della società. Questo significa che un governo deve soddisfare le richieste dei cittadini, altrimenti potrebbe essere deposto dall’incarico a seguito di regolari procedure politiche ritenute giuste dalla società. Essere aperti significa ACCETTARE LE OPPOSIZIONIi gruppi di opposizione all’interno della società possono contestare il gruppo al governo per l’occupazione del potere politico, inoltre possono anche presentare le loro posizioni al pubblico attraverso i mass media senza dover temere ritorsioni. Le persone all’interno del governo hanno i propri interessi: questi e altri interessi portano i leader politici a ricercare il supporto della società per mantenere il controllo su di essa e sul governo, rimanere in carica ed implementare le sue politiche. Per fare questo, i politici devono riconoscere e rispondere alle esigenze della società  i leader politici, quindi, sono doppiamente limitati: da una parte dalle capacità di uno Stato (variabili internazionali), dall’altra dalle pressioni della società (variabili societarie). Il supporto della società può anche accrescere la capacità di agire di un leader: infatti, avere risorse umane, economiche e militari non conta molto se non si riesce a mobilitarle attraverso i cittadini (a cosa serve possedere potenti armi se nessuno è pronto ad arruolarsi?). I governi non rispondono solo passivamente alle domande della società, al contrario, cercano di condizionarla e controllarla. Se un governo non riesce a convincere i cittadini a sostenerlo nelle sue politiche, allora le sue capacità sono inutili. POTERE DELLE ELITE O PLURALISMO? Secondo la PROSPETTIVA RADICALE, gli interessi degli individui e dei gruppi d’interesse più influenti convergono. In tal modo si crea un “potere delle elite”, nel senso che sono principalmente le elite a determinare gli obiettivi dello Stato e il volere del resto della popolazione non viene preso in considerazione. Ciò implica che le elite al potere, nella società americana, concordano con i principi fondamentali sui quali la società è organizzata e governata, nonostante magari siano in disaccordo con alcuni dettagli o alcune determinate politiche. Questi individui che hanno la stessa opinione sono tenuti insieme dalle loro comuni origini di classe superiore, dalla loro educazione… sono individui appartenenti alle elite. Invece, secondo la visione liberale della società americana non c’è una singola elite al potere, ma una pluralità di gruppi di elite, i quali tendono ad esercitare la loro influenza su differenti questioni e politiche. Nonostante ci possa essere una sovrapposizione nella membership di questi gruppi, il potere nella società in politica internazionale siano difficili da cambiare. Esempio dopo il crollo dell’URSS, i conservatori continuarono a vedere il nuovo ordine mondiale con sospetto. Sono stati svolti dei sondaggi per capire la tendenza delle elite ad appoggiare le scelte di governo in America: il primo di questi ha dimostrato una frammentazione di opinioni tra i leader, dovuta principalmente all’impatto della Guerra in Vietnam. Sono state individuate conclusioni molto differenti circa la guerra e anche preferenze diverse riguardo la politica da adottare. Quindi, nonostante queste elite formino il centro dell’opinione pubblica, esse mostrano poca unità. I dati suggeriscono che c’è poco consenso tra le elite riguardo al mezzo da utilizzare per perseguire l’obiettivo di politica estera. I cambi di opinione in politica estera spesso sono intrapresi quando un nuovo gruppo di leader politici sale al governo dopo un’elezione o quando accade un evento mondiale che cambia le cose. Questo (un evento), infatti, può far cambiare totalmente l’opinione pubblica, com’è accaduto con Bush, quando l’opinione si è unita nella guerra contro il terrorismo in seguito all’11/09. Ma questo tipo di unità viene meno non appena le nuove politiche trovano delle difficoltà o l’evento viene dimenticato. Le fluttuazioni delle attitudini degli Americani riguardo la politica estera sono illustrate in un grafico composto in seguito ad un sondaggio in cui si chiedeva ”Pensi che stiamo spendendo troppo, troppo poco o il giusto per la difesa dello stato e gli scopi militari?”. Il grafico mostra fluttuazioni notevoli per degli anni finchè le elite non trovano un consenso e si stabiliscono. Molte delle divisioni delle elite contengono anche le idee della maggiorparte della popolazione quelli con opinioni più conservative tendono a preferire una politica estera più interventista; i liberali tendono ad essere più cauti. Per riassumere: quelli che appartengono alle elite tendono ad appoggiare le decisioni del governo. IL GENDER GAP Le donne, che appartengano all’elite o meno, sono molto più “pacifiste” rispetto agli uomini in politica internazionale ciò è chiamato GENDER GAP. Se guardiamo alle opinioni riguardanti il lancio della bomba atomica, osserviamo che le donne sono molto più critiche e contrarie rispetto ai maschi. L’11/09 è stato un caso eccezionale, in quanto il livello di supporto per una reazione militare contro Al Qaeda era circa al 90% e ciò comprendeva maschi e femmine in egual modo, tant’è che molti ipotizzarono la fine del gender gap. Tuttavia questa differenza è rimasta. Infatti, appena si chiede di considerare i potenziali costi di un’azione militare, osserviamo che la percentuale favorevole diminuisce notevolmente nelle donne. Ci sono due spiegazioni differenti: la prima è la POSIZIONE FEMMINISTA essa suggerisce che le aggressioni e la violenza sono caratteristiche mascoline e che le donne siano più inclini alla pace. Tutto ciò è collegato al fatto della fertilità e che le donne allevano i bambini, per cui sono più inclini ad opporsi ad azioni che minacciano la vita umana. Le donne supportano molto di più azioni di peacekeeping e che possono migliorare le condizioni di vita. Una visione differente è quella del FEMMINISMO LIBERALEessa verte su qualsiasi inclinazione naturale delle donne che le differenzia dagli uomini nei loro comportamenti a livello internazionale. Queste inclinazioni possono basarsi su una biologica essenza della donna o essere costruite socialmente tramite il ruolo del genere donna. Questa visione suggerisce che almeno alcune differenze tra uomini e donne riguardi differenti educazione e reddito. Ciò significa che, secondo questa visione, se le donne avessere le stesse opportunità socio-economiche degli uomini, questo gender gap verrebbe meno. Le femministe liberali fanno riferimento, per spiegare questo loro pensiero, a molte donne che nella storia, hanno “rotto le regole”, come prova che le donne non si comportano poi in modo così diverso dagli uomini quando si parla di politica internazionale. Come esempio viene presa Margaret Thatcher la quale ha avviato una guerra diversiva nelle Isole Folklands (vedi qu.). CRISI, GUERRA E CONSENSO PUBBLICO Quant’è limitato un leader dall’opinione pubblica? Secondo una visione, l’opinione pubblica pone dei forti limiti al menu di scelte che un leader può prendere in sicurezza (es: l’ideologia anticomunista tra la popolazione americana durante la Guerra Fredda impose al governo alcuni limiti alla sua libertà d’azione in politica internazionale. I policymaker temono una reazione negativa e per questo si lasciano fortemente influenzare. Un punto di vista totalmente diverso, sostiene che, comunque, i leader politici mantengono sempre un ampio supporto potenziale tra la popolazione per qualsiasi azione intraprendono in politica estera. Un leader può intraprendere azioni più o meno aggressive e con l’autorià ed il rispetto che emana, essere comunque sostenuto da una parte sostanziale della popolazione. L’abilità di un leader di conquistare il supporto dei suoi cittadini quando intraprende azioni di politica internazionale, specialmente se durante periodi di crisi, è stata definita EFFETTO RALLY AROUND THE FLAG. Le fluttuazioni nell’approvazione di un leader da parte dei cittadini sono il risultato di molte influenze, incluse variabili societarie ed internazionali. I presidenti, generalmente, iniziano il loro mandato con molta popolarità e poco dopo, molti presidenti subiscono un declino nel loro supporto in quanto portano avanti politiche che non vengono apprezzate da vari gruppi interni allo Stato. Ciò che determina la popolarità è, spesso, una crisi o una minaccia internazionale si riaccende una sorta di sentimento di nazionalismo, per cui, nel momento di difficoltà, il popolo sostiene il proprio paese. Queste variazioni sono molto brevi e declinano entro due/tre mesi. Ad esempio, con la fine della Guerra Fredda e nessuna minaccia incombente, il Presidente Clinton beneficò ben poco dell’effetto rally around the flag. Non solo l’America, ma tutti i leader degli altri paesi cercano di avvalersi dei vantaggi di quest’effetto. Ad esempio, Margaret Thatcher, nel 1982, avviò una guerra diversiva con l’Argentina per il controllo delle isole Folklands, perché all’interno della Gran Bretagna c’erano dei problemi. Anche il governo argentino avviò la guerra per lo stesso motivo. Tuttavia, questo tentativo si ritorse contro al governo argentino, il quale perse la guerra e venne deposto. L’abilità di un governo di modellare l’opinione pubblica e generare supporto in tempi di crisi, di solito, funziona nel breve periodo (il supporto non dura più di 4/5 mesi) e non sempre, infatti il governo si deve sforzare per portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica. Nei primi tempi, il criticismo verso il leader è pressochè muto in quanto il leader è colui che detiene più informazioni di politca internazionale e sicurezza e si ritiene che possa prendere le decisioni migliori. Ma dopo un po’ di tempo e quando le politiche dei governi iniziano a vacillare, o le informazioni ora sono disponibili, le opposizioni iniziano ad emergere e il loro criticismo coinvolge i media e da qui il pubblico in generale. A questo punto il rally effect viene meno. Queste tendenze sono state tutte visibili con il governo di George W. Bush, il cui supporto, dopo l’11/09 era alle stelle e, successivamente, declinò. Inizialmente, la nazione si sentì vittima del terrorismo e si unì attorno al suo leader per sconfiggerlo. Meno tempo ha a disposizione un leader per prendere una scelta, minori saranno le costrizioni imposte dall’opinione pubblica (per quanto spiegato sopra). L’effetto rally around the flag, nel breve periodo, aiuta a potenziare il leader, perché le persone tendono a credere il leader abbia le migliori competenze per prendere la decisione. Tuttavia, se la crisi va per il lungo, i dissensi si fanno sentire. Quindi, le variabili societarie possono limitare il menu di scelte di un leader durante una crisi, favorendo delle forme di azione militare in quanto portano più velocemente dei risultati, piuttosto che protarre una guerra che causerebbe solo morti e feriti. Dopo un breve spirito di unità nazionale, la guerra, di solito, produce una perdita di coesione sociale, che si manifesta con scioperi, crimini e azioni di protesta violente. Quindi, la cosa meno saggia che un leader può fare è perdere una lunga guerra, perché ogni grande potenza che, in passato, ha perso un conflitto, è stata deposta dall’interno e non da nemici esterni. Ciò nonostante, anche i leader che vincono le guerre vengono poi puniti dai votanti (vedi Churchill, il cui governo perse popolarità direttamente in proporzione alla durata e ai costi della guerra). I leader, specialmente nelle democrazie, hanno una posizione molto precaria, in quanto le richieste della popolaizone, spesso, eccedono rispetto alla capacità dei leader di soddisfarle (la tassazione aiuta alcuni gruppi e ne svantaggia altri). Se i leader non riescono a controllare l’economia, possono scatenare una GUERRA DIVERSIVA a livello internazionale, in modo da accrescere il consenso interno sfruttando l’effetto rally around the flag. Uno studio, infatti, ha dimostrato che negli anni i presidenti si sono dimostrati più tendenti ad intraprendere dei conflitti nel momento in cui l’economia stava andando male o in vista delle elezioni.  l’obiettivo è di impressionare i votanti e di distrarli dai problemi economici. Il rischio è che queste azioni possono sfuggire di mano. PACE DEMOCRATICA In seguito alla fine della Guerra Fredda, Francis Fukuyama ipotizzò la fine della storia, in quanto non c’erano più potenze in grado di sfidare gli Stati Uniti, i quali avrebbero esportato la democrazia in tutto il mondo. Tuttavia la sua ipotesi non si realizzò. Infatti i conflitti ci sono ancora, ma non tra democrazie. I conflitti coinvolgono Stati che non sono ancora diventati democrazie. I conflitti sono possibili tra due stati non liberali, cosi come tra una democrazia e uno stato non liberale, ma NON TRA DUE DEMOCRAZIE!  questo fenomeno è conosciuto come PACE DEMOCRATICA. Le democrazie stabili non avviano conflitti armati tra di loro proprio perché sono democrazie. Il benessere garantito dalle democrazia le rende meno inclini a coinvolgersi in conflitti violenti le une con le altre. Tra di loro, al contrario, tendono ad instaurare rapporti di COOPERAZIONE RECIPROCA e, generalmente, risolvono i conflitti pacificamente. Sembra proprio che sia la forma di governo demcratica a garantire ciò. Woodrow Wilson espresse questa convinzione nel 1917, quando disse che la pace può essere mantenuta solamente tra Stati democratici. NORME DEMOCRATICHE E ISTITUZIONI Ci sono due spiegazioni principali alla pace democratica:  SPIEGAZIONE DELLE NORME DEMOCRATICHE: enfatizza i valori della democrazia (la percezione dei diritti individuali, l’aspettativa di un governo limitato, la tolleranza delle opposizioni…). Si concentra sulle percezioni e le pratiche che consentono la risoluzione pacifica delle controversie tra le democrazie, senza l’uso della violenza o la sua minaccia e sottolinea che queste norme superano i confini nazionali e si applicano anche nei rapporti con le altre democrazie. Le società democratiche sono aperte, autonome e si autogovernano, per questo rispettano i diritti delle altre democrazie che, anch’esse, si autogovernano. L’apertura della società ed il libero flusso di informazioni favorisce questa percezione. Queste spiegazioni non si applicano quando due paesi sono regolati da norme molto diverse e almeno uno dei due non è democratico. Questo perché i leader dei paesi non demcoratici vengono ritenute persone che guardano con sospetto e ostilità la loro stessa popolazione e, di conseguenza, anche gli altri Stati  SPIEGAZIONE DELLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE: i limiti istituzionali renderebbero difficile per i leader democratici scatenare una guerra tra di loro. Infatti, il leader dovrebbe persuadere la legislatura, la burocrazia e anche gruppi di interesse privati. Sarebbe un processo troppo complesso e richiederebbe troppo tempo che, invece, viene impiegato per negoziare delle soluzioni pacifiche. Vari fattori influenzano sia le opportunità che le inclinazioni dei decisionmaker nel scelgliere di agire in modo cooperativo o conflittuale sotto particolari circostanze. proteggere ciò che possiedono e prendere meno rischi per acquisire qualcosa che desiderano. Lo status quo, spesso, diventa il punto di riferimento per prevedere i possibili rischi. Anche se non sempre lo status quo è il punto di riferimento, conoscerlo è molto importante . IL PROCESSO DECISIONALE GOVERNATIVO I governi differiscono per il tipo e il numero di organizzazioni e istituzioni che li compongono, la distribuzione delle influenze tra di loro, il numero e il tipo di personale nelle organizzazioni e nelle istituzioni e gli interessi sociali che essi rappresentano. Come un individuo influenza una decisione di politica internazionale e la sua implementazione dipende dal RUOLO di questo individuo nel governo e dalle sue CARATTERISTICHE PERSONALI. Bisogna considerare la posizione di ogni persona all’interno del governo. La natura dell’unità decisionale è molto importante le “unità decisionali finali” sono un gruppo di attori che hanno sia la capacità di impiegare delle risorse, sia il potere e l’autorità per farlo. Ci sono tre tipi di unità decisionale: il leader predominante (Stalin, Saddam Hussein); il singolo gruppo (i politburo della Cina e dell’Unione Sovietica, il gabinetto britannico, il Consiglio di Sicurezza Nazionale USA); una molteplicità di gruppi autonomi; Le unità decisionali possono cambiare e ciò dipende dal tipo di decisione che dev’essere presa. Una tipologia standard distingue tra: decisioni di crisi, decisioni generali di politica internazionale e decisioni amministrative. Le DECISIONI DI CRISI, generalmente, coinvolgono pochi decisionmaker. La crisi consiste in una minaccia al decisionmaker e allo Stato, che obbliga a prendere una decisione in tempi limitati. Le DECISIONI GENERALI DI POLITICA INTERNAZIONALE puntano alle prossime decisoni di politica internazionale, per il presente ed il prossimo futuro. Infine, le DECISONI AMMINISTRATIVE riguardano specifiche situazioni e sono gestite da una specifica parte della burocrazia. Le crisi sono definite dalla loro posizione lungo tre dimensioni: livello di minaccia (ALTO), tempo di decisione (BREVE) e consapevolezza (SORPRESA) e queste dimensioni possono essere utilizzate per costruire un “cubo decisionale”. Gli attacchi terroristici dell’11/09 furono una sorpresa ed obbligarono l’allora decisionmaker a prendere una decisione in tempi molto stretti in modo da evitare una minaccia alla leadership del paese. Al contrario, le decisioni amministrative implicano piccole minacce e possono essere anticipate quando una decisione dev’essere presa. Le decisioni generali di politica internazionale, infine, si trovano a metà tra i due estremi della crisi e della decisione amministrativa, con la loro esatta posizione determinata dalle caratteristiche della situazione politica. Generalmente, le decisioni di crisi coinbolgono i vertici del processo decisionale, quella generali coinvolgono coloro che si trovano in un livello intermedio e le decisioni amministrative coinvolgono i rami più bassi del processo decisionale. Le decisioni possono scomporsi in una FASE PREDECISIONALE (implica la raccolta delle informazioni e l’analisi delle possibili azioni di politica internazionale per le possibili questioni e problemi), una FASE DELLA FORMULAZIONE (selezione delle alternative dopo averne valutato le possibilità) e una FASE DI IMPLEMENTAZIONE (la decisione viene trasformata in un’azione/ comportamento in politica internazionale). INFORMAZIONI: SELEZIONE E LAVORAZIONE Il governo ha bisogno di un feedback, cioò deve ricevere dall’ambiente le informazioni riguardo le conseguenze delle politiche attualmente in vigore. Un feedback positivo, amplifica o rinforza il comportamento del decisionmaker, incoraggiandolo a continuare la sua politica attuale; un feedback negativo, al contrario, indica che gli obiettivi non sono stati raggiunti ed è necessario cambiare politica. Il modo in cui le informazioni ci ritornano e come queste vengono processate/elaborate dalle organizzazioni o dagli individui, influenzano la nostra immagine del mondo e come ci dobbiamo comportare. Il modello dell’attore razionale nel prendere le decisioni, presuppone che le tutte le informazioni pertinenti per prendere una decisione siano disponibili e vengano tutte analizzate dai decisionmaker. Ma gli individui non possono acquisire e comprendere tutti i dati rilevanti, anche se sono a loro disposizione: alcune di queste info vengono scartate, altre semplicemente ignorate, altre ancora vengono reinterpretate. Sia il processo mentale individuale sia il processo collettivo organizzativo influiscono in questa selezione delle informazioni. L’ideologia del decisore pubblico o la sua visione del mondo incidono sul loro modo di vedere le cose, per cui alcune cose vengono considerate più importanti e altre meno. Anche la posizione dell’individuo all’interno del governo incide: persone diverse che occupano diverse posizioni, o persone diverse che occupano la stessa posizione ma in tempi differenti, possono non vedere le cose allo stesso modo. Molti fattori incidono sul modo in cui una persona vede un problema e dato che questi fattori possono variare molto tra gli individui, non tutte le persone affrontano un problema allo stesso modo. Anche il sovraccarico di informazioni può incidere sulla selezione, infatti questo forza il decisionmaker a scegliere quali siano le informazioni rilevanti e quali quelle da scartare. In un governo che è diviso in varie organizzazioni, ognuna di queste avrà la propria visione ed i propri interessi, per cui considererà solamente le informazioni che sono rilevanti per i suoi interessi, e non quelle che potrebbero essere rilevanti per la situazione. A causa della loro selezione personale e della selezione delle organizzazioni, i decisionmaker potrebbero ignorare il significato di importanti informazioni che loro possiedono ( le ignoraro perché non le ritengono importanti). Ad esempio, le informazioni per prevedere l’attacco di Pearl Harbour erano a disposizione del governo americano prima dell’attacco, ma dato che c’erano troppe informazioni irrilevanti, anche quelle importanti vennero perse. Il modello della scelta razionale ha un paradosso un sovraccarico di informazioni porta i decisionmaker a dover fare troppe selezioni che potrebbero fargli perdere anche le info importanti. Per poter funzionare devono essere ridotte le info. Il paradosso è che per confrontare razionalmente i problemi di politica internazionale, i decisionmaker devono distorgere la loro vera visione del mondo (cioè non considerare molte info) e questa è una deviazione rispetto al modello della scelta razionale. ORGANIZZAZIONI E BUROCRAZIA I governi sono formati da individui e organizzazioni e, per questo, le decisioni sono il prodotto delle interazioni tra persone e organizzazioni. Il processo decisionale spesso procede insieme ad un “processo quasi meccanico” per cui nel prendere decisioni si fa riferimento alle decisioni passate e alle procedure standard dell’organizzazione. Le burocrazie tendono ad essere conservative e riluttanti verso i nuovi approcci, perché vedono i nuovi approcci come fonti di incertezza. Graham Allison ha elaborato un secondo modello per analizzare il processo decisionale, ovvero il MODELLO DEL PROCESSO ORGANIZZATIVO (secondo modello del processo decisionale), il quale suggerisce che ciò che accade oggi è la miglior previsione per quello che accadrà domani. Questo modello si basa su 3 punti fondamentali: 1. Il governo è formato da una molteplicità di organizzazioni ed individui guidati da un leader politico 2. La maggior parte delle attività entro queste organizzazioni sono programmate (guidate da routine) 3. Le attività organizzative sono inflessibili e si adattano con molta difficoltà alle situazioni impreviste Questo modello sottolinea l’importanza del fattore di ruolo nel processo decisionale il ruolo all’interno dell’organizzazione è importante perché influenza il modo in cui gli individui pensano di dover agire (ovvero quegli aspetti quali l’estetica ed il comportamento derivanti dalle responsabilità all’interno dell’organizzazione, aspetti che devono caratterizzare tutte le persone che ricoprono quel determinato ruolo). Un individuo all’interno dell’organizzazione è in una situazione dove ha avuto dei predecessori i quali hanno tenuto determinati modelli di comportamento che anche lui oggi deve tenere. Una forte personalità può superare i modelli di comportamento precedenti, altri, invece, trovano più comodo adattarsi. L’individuo che ricopre un determinato ruolo deve comportarsi secondo le regole dell’organizzazione e non secondo le sue convinzioni personali. Oltre agli elementi del processo quasi meccanico, il processo decisionale è influenzato anche da un elemento sociale. In un processo sociale, i decisionmaker interagiscono tra di loro e la decisione è il risultato di questa interazione. Da qui deriva il terzo modello del processo decisionale di Graham, cioè il modello politico di governo questa visione parte dal modello precedente (quello del processo organizzativo) ma lo integra con l’elemento sociale: le decisioni di politica internazionale non sono solo il risultato del processo quasi meccanico interno alle organizzazioni, ma risultano anche da varie negoziazioni tra le burocrazie e le organizzazioni interne al governo. I membri di diverse organizzazioni vedono la stessa situazione in modo diverso e ciò dipende da quanto la situazione incida sugli interessi dell’organizzazione. Allison riassume il concetto con questa frase : “Where you stand depends on where you sit”. Le priorità e gli interessi di un individuo derivano in larga misura dagli interessi dell’organizzazione. Il processo organizzativo e le politiche governative possono essere viste come due facce della stessa medaglia: ogni organizzazione all’interno del governo ha una propria ristretta gamma di interessie priorità. Questi obiettivi richiedono delle risorse, motivo per cui l’organizzazione necessita un’influenza all’interno del governo. Una ragione per cui le organizzazioni seguono delle procedure di comportamento standard è per evitare rischi ed incertezze. PRINCIPALI E AGENTI Le organizzazioni forniscono agli individui un ruolo e le aspettative ad esso collegate: se un ruolo esiste da molto tempo, si sviluppano molte aspettative basate sulle precedenti esperienze di altri membri che hanno assunto quel ruolo. Più un’istituzione è vecchia e complessa, più risulta difficile per l’individuo svolgere il suo ruolo secondo le sue preferenze; dovrà, invece, seguire i modelli di comportamento abituali dell’organizzazione (adattarsi!). Al contrario, le nuove posizioni all’interno del governo permettono maggior libertà di manovra. Inoltre, più in alto un individuo si trova all’interno dell’istituzione, meno costrizioni e limiti avrà. L’impatto del ruolo dipende anche dalle caratteristiche personali dell’individuo, in particolar modo dalle sue capacità politiche. Il modello politico governativo considera molto importante l’impatto del potere e delle capacità di un individuo molto del potere dell’individuo deriva dalla sua posizione all’interno dell’organizzazione, ma questo potere si può anche espandere o ridurre a seconda della sua personalità e delle sue abilità. Le capacità di un individuo di superare i limiti imposti dal ruolo non si traducono necessariamente nell’abilità di controllare l’implementazione della politica. Anche i presidenti hanno dei limiti e non sempre possono fare ciò che vogliono. Ciò dipende anche dal PROBLEMA PRINCIPALE-AGENTE un principale è un individuo (o gruppo) che detiene l‘autorità, ma che deve delegare alcuni compiti a degli agenti, di solito perché i principali non dispongono delle risorse necessarie (tempo ed esperienza) necessarie per compiere quei compiti. Il problema sorge nel momento in cui gli interessi dei principali e quelli degli agenti divergono: ad esempio, l’obiettivo del presidente Kennedy e di McNamara era quello di gestire una crisi e un possibile scontro USA/URSS; invece, l’agente sembrava avere la sua propria idea sul come rispondere alla crisi. Di solito gli agenti hanno maggiori informazioni e competenze rispetto ai principali e questo gli permette di perseguire i loro interessi o quelli dell’organizzazione, alle spese degli interessi dei loro principali. INTERAZIONE TRA PICCOLI GRUPPI Essere membro di un piccolo gruppo può fortemente influenzare sia le percezioni sia il comportamento degli individui. Anche se ogni individuo ha informazioni limitate e poche alternative, quando un individuo Avere un nemico permette ai decisionmaker la soddisfazione di sentirsi moralmente superiori e di perseguire una giusta causa (divisione tra bene e male). Durante i tempi di guerra, anche con la propaganda, i nemici erano raffigurati come esseri disumani. Questo tipo di caricatura del nemico incoraggia la guerra di sterminio. SISTEMA DI CREDENZE Un sistema di credenze è un coerente insieme di immagini, concezioni e valori che danno significato alle percezioni del mondo fisico e sociale di un individuo. Queste credenze sono costruite su esperienze passate e presenti e danno aspettative per il futuro. Il sistema di credenze ha delle funzioni molto importanti: aiuta ad orientare un individuo nell’ambiente, aiuta a raggiungere una competenza cognitiva e fornisce una guida di comportamento. Il sistema di credenze è composto da una gamma piuttosto ristretta di concezioni e comprensioni, ma che forniscono una base abbastanza completa per guidare le azioni, che spesso vengono indicate come ideologie. Non tutti i sistemi di credenze sono interamente coerenti: alcuni decisionmaker, nel prendere decisioni di politica internazionale, non hanno un chiaro e ben integrato insieme di percezioni riguardo al sistema internazionale. Anche se il sistema di credenze influisce sul comportamento politico, anche il comportamento aiuta a dare forma al sistema di credenze del decisionmaker. Il sistema di credenze genera delle preferenze politiche sia nel contesto domestico sia in quello internazionale. in politica internazionale, il sistema di credenze fornisce una guida per questioni legate all’intervento militare; nell’ambiente domestico vediamo differenti sistemi di credenze al lavoro che discutono riguardo alla pena di morte e su come combattere i crimini. Per quanto riguarda le opinioni della massa e delle elite negli USA, si è riscontrato che coloro che hanno delle visioni liberali nell’ambiente domestico, prediligono politiche più pacifiste nell’ambiente internazionale; al contrario, i più conservatori all’interno, preferiscono azioni più aggressive all’esterno. Il CODICE OPERATIVO fa parte del sistema di credenze di un individuo o gruppo e guida il pensiero riguardo alle risposte appropriate alle varie situazioni e, per questo, funge da guida per l’azione politica. CARATTERE PERSONALE E FISIOLOGIA UMANA Alcuni leader sono diventati delle figure storiche perché pensiamo siano stati determinanti in eventi internazionali molto importanti e il corso della storia sarebbe stato differente se qualcun altro avesse occupato il loro posto a quel tempo. Un esempio è Otto Von Bismarck (vedi p.151). Diversamente dai fattori organizzativi e psicologici che influenzano il processo decisionale di politica internazionale, le caratteristiche personali di leader eccezionali dipendono, spesso, dai peculiari ed imprevedibili aspetti del contesto nel quale le decisioni vengono prese. La qualità della leadership è molto difficile da prevedere perché molto dipende dalle opportunità presenti nell’ambiente domestico ed internazionale. Comunque, ci sono delle condizioni che riescono con più probabilità a permettere ai leader di evitare alcune delle limitazioni che, altrimenti, reprimerebbero quelle azioni coraggiose ed innovative che spesso associamo con episodi di grande leadership nel corso della storia. Quando la struttura politica dello stato concentra la sua autorità nelle mani di un esecutivo, le caratteristiche personali del leader dello Stato potrebbero esercitare un forte impatto in politica internazionale.  i leader possono superare i limiti quando l’autorità politiva è ben diffusa. La fluidità e l’imprevedibilità degli eventi internazionali può anche dare ai leader un vantaggio rispetto agli interessi della burocrazia e della società (che possono essere più lenti a reagire). Queste condizioni si presentano spesso dei periodi di guerra (non è, infatti, sorprendente che molti leader del passato siano arrivati al potere quando i loro paesi erano in guerra. Durante i tempi di guerra gli esecutivi sono liberi da alcuni limiti dell’ambiente interno presenti nei periodi di pace. TRATTI DELLA PERSONALITA’ Ci sono molti studi relativi alle caratteristiche personali dei decisionmaker e molte analisi comparate dei profili psicologici e dei tratti della personalità dei leader. Estremi disturbi della personalità sono molto rari tra i leader  le persone che pensano e si comportano in modo troppo peculiare vengono tolti dalla loro posizione di leadership o non vengono promossi. Tuttavia, durante i periodi di grandi disorsini sociali e politici, una persona con delle caratteristiche personali molto particolari può arrivare al potere in quelle situazioni dove persone normali non sono in grado di sostenere questi problemi sociali. Ad esempio, Hitler sale al potere in un periodo di crisi per la Germania; Stalin è un altro esempio. Inoltre, il comportamento di questi leader può diventare sempre più particolare col passare del tempo. Ci sono molte variazioni che giustificano l’uso di tecniche psicoanalitiche per i decisionmaker, anche attraverso l’uso di schemi di classificazione. Il più famoso di questi è la tipologia di David Barber per capire il carattere dei presidenti americani. Egli sostiene che il carattere e lo stile di ogni presidente prendono forma nelle loro esperienze politiche precedenti. Queste esperienze aiutano a spiegare se l’individuo è attivo o passivo (LIVELLO DI ENERGIA IMPIEGATO NEL PROPRIO LAVORO) e se l’individuo è negativo o positivo (SE EFFETTIVAMENTE GLI PIACE IL SUO LAVORO). ATTIVO PASSIVO POSITIVO Prontezza ad agire, ottimismo, concezione positiva del proprio ruolo. Es ROOSEVELT, KENNEDY, CLINTON Leggero ottimismo, atteggiamento reattivo più che propositivo ES REAGAN, G. W. BUSH NEGATIV O Aggressività, rigidità, una visione generale del potere come mezzo per l’auto realizzazione ES JOHNSON, NIXON, KISSINGER Senso del dovere, avversione al compromesso e alle manovre politiche ES COOLIDGE, EISENHOWER Studi psicobiografici su Kissinger hanno tentato di legare le esperienze passate con la sua personalità e stile. Le esperienze passate di Kissinger con il nazismo sono il motivo del caos interno che lo ha portato a cercare un ordine nell’ambiente internazionale. Per questo, la figura che ne emerge è positiva-negativa. STRESS E SFORZI NEL PROCESSO DECISIONALE IN POLITICA INTERNAZIONALE Le politiche internazionali sono il prodotto del comportamento individuale: i decisionmaker sono persone fisiche, limitate dalla loro fisiologia e dalle possibilità della loro eredità genetica. Le informazioni vengono ricevute, elaborate ed interpretate a seconda delle capacità fisiche dell’individuo. Per questo, il benessere fisico e mentale dei decisionmaker può influenzare il processo decisionale. Un leader deve fare grandi sforzi e, per questo, non aiuta il fatto che molti leader politici siano vecchi e, quindi, suscettibili agli sforzi che la loro mansione richiede. Anche la fisiologia umana influisce in quanto, in determinate situazioni, provoca paura, rabbia ed ansia. Queste situazioni generano all’interno della persona uno stress. Questo stress non viene rilasciato come dovrebbe e questo può compromettere la salute del decisionmaker e anche la gestione delle informazioni durante le crisi. Una malattia o le droghe hanno molti effetti fisiologici sull’individuo che possono influenzare la loro percezione del mondo e il loro modo di prendere le decisioni. Esempio: Il Primo ministro inglese Anthony Eden era malato durante la Crisi in Suez del 1956, egli soffriva di ipertensione e nervosismo; inoltre prendeva anche delle medicine particolari, che gli davano un senso di controllo e condidenza. Il comportamento di Eden durante questa crisi fu molto differente rispetto al comportamento tenuto in altre situazioni (per via della malattia e delle medicine). Molti presidenti americani hanno sofferto di problemi fisiologici: Roosevelt, Wilson, Eisenhower, Reagan... La morte di un leader politico o la loro inabilità a funzionare può creare molta confusione, instabilità ed incertezza nel processo decisionale. CONCLUSIONE PRIMA PARTE In questa prima parte abbiamo osservato il contesto e l’ambiente entro il quale attori statali e non statali interagiscono, così come le fonti di influenza e i limiti al processo decisionale. I fattori che operano a livello internazionale (variabili internazionali) tendono a cambiare più lentamente rispetto a quelli che operano a livello di decisionmaking (variabili governative ed individuali). Questo perché, ovviamente, l’anarchia è più restia al cambiamento. Le qualità naturali di uno stato cambiano molto poco se non cambiano i confini. Anche i legami storici e la cultura politica resistono. Molti dei fattori di cui abbiamo discusso ricadono in una via di mezzo; in alcuni casi, quando avviene un cambiamento, è dovuto ad un evento momentaneo. Altri fattori possono cambiare moderatamente ed in modo graduale. Invece, i processi che operano a livello individuale di decisionmaker tendono a cambiare rapidamente. Ciò nno vuol dire che le percezioni ed il sistema di credenze cambiano rapidamente, infatti resistono al cambiamento anche quando ricevono nuove informazioni. La costante circolazione di individui al potere, insieme con la loro particolare visione del mondo e le loro caratteristiche personali, sono fonti imprevedibili nella politica internazionale. CAPITOLO 7 - PERCHE’ GLI STATI E ALTRI ATTORI RICORRONO ALL’USO DELLA FORZA SFIDE VIOLENTE NELLA SOCIETA’ GLOBALE Con l’emergere della bomba atomica si sperava che l’uso della forza sarebbe diventato obsoleto per via dei costi enormi che quest’arma comporta. Inoltre le armi nucleari non aiutano a prevenire azioni di guerriglia e atti terroristici. Quindi, il valore principale delle armi nucleari sembra essere il loro NON USO, in quanto fungono da deterrente contro un attacco nucleare nemico. Alcuni sostengono che qualsiasi tipo di uso della forza sia estremamente pericoloso per via del rischio di un’escalation, nel senso che da un piccolo attacco si può arrivare all’uso delle armi nucleari. Questi sostengono che tutte le guerre siano obsolete; tuttavia questa tesi viene smentita dal fatto che oggi viene ancora utilizzata la forza militare su larga scala. L’attuale uso o minaccia della forza contro potenze non nucleari costituisce un valore aggiunto per i decisionmaker sotto determinate circostanze, così come lo è per gli attori non statali che usano la forza per fare rivoluzioni o con obiettivi separatisti. La guerra è sempre presente nella storia e ancora oggi viene usata per perseguire gli interessi statali. Uno degli obiettivi centrali dell’uso della violenza è quello di acquisire il CONTROLLO DELLO STATO la forza è lo strumento principale degli attori non statali per sfidare i governi e cercare di prendere il controllo di uno Stato o di una regione che si spera si trasformi in uno Stato a se stante. L’uso della forza da parte di attori non statali è una delle sfide allo Stato-nazione nel sistema contemporaneo. VIOLENZA UMANA Kenneth Waltz ha individuato varie spiegazioni teoriche, che lui chiama immagini, a 3 differenti livelli teorici: mercato e nella prosperità del mercato estero favorisce la pace mondiale. Ma altri teorici, soprattutto marxisti e radicali, sostengono che i paesi capitalisti hanno delle politiche internazionali maggiormente aggressive. Infatti, il capitalismo viene spesso considerato la causa dell’imperialismo, definito come lo sforzo di esercitare un controllo politico ed economico su stati più piccoli e deboli. Queste teorie si differenziano in base a quale particolare aspetto del capitalismo scatena l’imperialismo o la guerra. Per alcuni (i radicali) la causa sono i bisogni del sistema capitalistico nella sua interezza, sottolineando che il sistema capitalistico dipende dalla spesa militare e sul continuo accesso ai mercati esteri per acquisire beni ed investire in opportunità. Altri, invece, sostengono che la causa siano gli interessi e i poteri di particolari gruppi o classi: gli investitori esteri, il complesso militare-industriale, o altri gruppi economici possono avere interessi in una politica estera aggressiva o espansionistica che potrebbe portare dei guadagni per loro. Infine, alcune teorie si focalizzano sulla struttura normativa, ovvero l’ideologia che supporta il sistema capitalista. Secondo questa teoria, le norme producono dei comportamenti eccessivamente reattivi alla crescita economica e agli incentivi di ricompense materiali, il che si traduce in una politica estera espansionistica ed ostile agli stati socialisti, che hanno differenti strutture normative. Secondo altre teorie economiste, il capitalismo provocherebbe una disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e nel benessere della popolazione, lasciando i poveri incapaci di consumare molto. Per questo, i capitalisti investono all’estero. Secondo questa teoria l’imperialismo non centra con il capitalismo. Secondo i marxisti, invece, il sottoconsumo della popolazione avrebbe creato un accumulo di surplus di capitale, il quale porta i capitalisti ad investire all’estero questo surplus, generando così una competizione tra potenze capitaliste. In quest’ottica, l’imperialismo sarebbe il punto massimo del capitalismo. Infine, i realisti offrono delle spiegazioni politiche e strategiche per l’imperialismo. GUERRA E DISTRIBUZIONE DEL POTERE  La TERZA IMMAGINE di Kenneth Waltz afferma che i bisogni degli stati e le azioni che ne derivano dipendono dalle circostanze nelle quali gli stati si trovano. In altre parole, la guerra si può spiegare facendo riferimento alle caratteristiche della società globale, soprattutto alla DISTRIBUZIONE DI POTERE. Alcuni sostengono che i sistemi bipolari favoriscano la pace in quanto tra le due superpotenze non si sa chi potrebbe vincere e, inoltre, entrambe le potenze avrebbero paura di un’escalation militare che sarebbe disastrosa. 45 anni senza guerre tra grandi potenze è qualcosa senza precedenti e probabilmente si deve ringraziare il sistema bipolare per questo. I realisti credono che la struttura del sistema internazionale influenzi molto la probabilità di uno scontro tra grandi potenze e per questo ritenevano che con la fine del sistema bipolare della Guerra Fredda saremmo andati incontro ad un periodo di grande incertezza e rischi. Anche le armi nucleari hanno influenzato la possibilità di una guerra tra superpotene, in quanto la portata dell’uso di queste armi sarebbe stata enormemente distruttiva. La guerra nasce anche dai cambiamenti nel sistema internazionale le rapide crescite economiche possono incrementare la capacità degli stati anche senza una conscia decisione del leader di incrementare l’influenza dello stato nel sistema internazionale. Un freno alla crescita del potere dello stato può derivare da un eccessivo sforzo o da una varietà di condizioni interne, politiche ed economiche (alti livelli di conflitti civili o rivoluzioni possono indebolire uno stato e causare una stagnazione economica). La minaccia alla stabilità internazionale nasce dalla differenta crescita di potere, così come dalle frequenti prove di forza che mettono alla prova le nuove relazioni tra potenze. Questo tipo di conflitti sono parte integrante dell’equilibrio di potere all’interno del sistema. Il cambiamento è una minaccia alla stabilità e alla pace internazionale, in quanto questa condizione di incertezza influisce sul calcolo del potere relativo, nel senso che, con il sorgere di una nuova potenza, non si sa chi vince e quindi si possono commettere degli errori nel pensare che noi vinceremo. I cambiamenti rendono difficili i calcoli di potere e la previsione dei risultati perché le prove sono ambigue (anche se il decisionmaker può non percepire questa ambiguità). I decisionmaker potrebbero fare degli errori di calcolo che potrebbero portare ad un’escalation di piccole guerre. Altri analisti associano i cambiamenti nel sistema con la stabilità internazionale, ma vanno oltre suggerendo che queste trasformazioni (e le guerre che ne conseguono) si verificano ad intervalli regolari. Alcuni studiosi hanno individuato lunghi cicli nel sistema globale secondo questa prospettiva il risultato di una guerra globale sarebbe l’instaurazione di un sistema con un potere predominante che detiene un’alta concentrazione di risorse politiche, economiche e militari. Questo equilibrio non può durare per sempre e quando, ad esempio, le economie crollano, ci sarà una nuova guerra ed il ciclo si ripeterà. Altri studiosi sostengono l’esistenza di brevi cicli nel sistema globale, con periodi di espansione economica che permettono alle grandi potenze di sostenere i costi della guerra. Questa terza immagine di Kenneth Waltz non ci permette di prevedere se in futuro avremo un sistema pacifico o meno a meno che non potremo anche prevedere le condizioni che rendono la guerra o la pace più probabili. Se il sistema internazionale sarà pacifico in futuro, dipende da come sarà distribuito il potere (sistema unipolare, bipolare, multipolare) ed attualmente non abbiamo alcun modo per sapere ciò. Le due teorie del ciclo nel sistema globale concordano con il fatto che la guerra mondiale è associata con il declino di una potenza egemone ed, attualmente, la potenza egemone sono gli USA. CONFLITTI ALL’INTERNO DEGLI STATI I conflitti all’interno degli Stati sono importanti per vari motivi: primo, perche possono essere enormemente distruttivi e duratuti e costano molto in termini di perdita di vite, di infrastrutture e peggiorano le condizioni di povertà e disoccupazione. Secondo, perché possono essere sia la causa sia la conseguenza del fallimento di uno Stato uno STATO FALLITO è uno Stato internazionalmente riconosciuto, ma il cui governo (se esiste) non riesce a fornire ai cittadini il livello minimo di sicurezza e di benessere che uno Stato sovrano dovrebbe garantire. I conflitti interni sono pericolosi anche perché possono portare alla nascita di un conflitto tra Stati- Ad esempio le rivoluzioni non comportano cambiamenti solamente all’interno dello Stato ma anche all’esterno, alterando il sistema internazionale e, di conseguenza, anche il menu di scelte degli altri stati. Il classico esempio di questo tipo è la Rivoluzione Francese (l’esecuzione del re francese scioccò gli altri sovrani, i quali mostrarono il loro disappunto verso il nuovo governo francese e mandarono velate minacce, causando risentimento a livello internazionale). Stephen Walt ha riassunto la connessione tra rivoluzione interna e guerra internazionale in sostanza, le rivoluzioni influenzano le opinioni degli stati riguardo alla minaccia che hanno di fronte, ed incoraggiano sia gli Stati rivoluzionari sia gli spettatori che l’uso della forza sia l’unico modo per uscirne. Ogni parte vede l’altra come una minaccia, ma nessuna delle due riesce a stimare con esattezza la reale pericolosità dell’avversario. Per tutte queste ragioni, le rivoluzioni aggravano la competizione per la sicurezza tra gli Stati ed aumentano la probabilità della guerra. ZONE DI CONFLITTO INTERNE Il programma Uppsala Conflict Data ha riportato che nel 2009 ci sono state 33 conflitti armati di separazione in 23 Stati. Quasi tutti i conflitti erano conflitti interni: conflitti sulla composizione del governo o il tipo di sistema politico (governativi) o conflitti riguardanti secessioni o autonomie territoriali (territoriali). Asia e Africa sono state per molto tempo e ancora sono le regioni con più conflitti al loro interno, ospitando al loro interno i ¾ dei conflitti del 2009. Questo perché all’interno di queste regioni ci sono le condizioni che favoriscono lo sviluppo di guerre civili. Una di queste condizioni è la POVERTÀ nei paesi sviluppati, i governi hanno le risorse per soddisfare le richieste della popolazione e dei gruppi più scontenti della società; nei paesi poveri, i governi non possono. Questi paesi, con elevati tassi di disoccupazione e analfabetizzazione, sono il luogo perfetto per la nascita di gruppi violenti che promuovono obiettivi ideologici o religiosi. Africa e Asia ospitano i paesi più poveri del mondo. Nel Nord e nel Centro Europa, solo la regione dei Balcani, essendo la più povera, ha sperimentato molte guerre civili negli ultimi 50 anni. La mancanda di democrazia è un’altra condizione che può promuovere le guerre civili: le democrazie sono in grado di riconoscere le minoranze e i diritti a loro attribuiti, per questo ci sono poche guerre civili all’interno di questi paesi (i paesi non democratici non riescono a fare ciò). I paesi a rischio guerre civili sono quelli che non hanno un governo abbastanza forte per reprimerle effettivamente e che non sono abbastanza democratici per soddisfare le richieste di tutte le minoranze interne. Molte forme di conflitti interni riescono a prevedere stati falliti, povertà, mancanza di democrazia e guerre internazionali questi fattori sono tutti raggruppati in alcune aree geografiche, come l’Africa Sub- Sahariana, creando un brutto “vicinato” di stati falliti o a rischio di fallimento. Gli effetti della povertà, il cattivo governo ed i conflitti interni possono diffondersi non solo agli stati ma anche alle regioni vicine. CONFLITTI ETNICI Molti conflitti attuali hanno origine dalla minaccia dell’identificazione e della lealtà del gruppo un problema è che, spesso, stato e nazione non coincidono nello stesso territorio. La presenza di diverse nazioni all’interno di uno Stato può far si che un altro stato intervenga per conto di questa minoranza (perché i sentimenti di nazionalità possono spingersi oltre i confini dello Stato). Ci sono molti Stati multinazionali e molte nazioni multistato. La non coincidenza tra stato e nazione è stata la causa di molti conflitti all’interno della società globale queste fratture di tipo culturale, linguistico, razziale, religioso sono sufficenti per trasformarsi in conflitti etnopolitici, anche chiamati conflitti comunali (perché i governi centrali non rispettano queste minoranze). Dopo la decolonizzazione, gli Stati che non avevano una logica geografica e il cui confine era stato tracciato su di una mappa dalle potenze colonizzatrici, si trovarono divisi al loro interno in vari gruppi etnici e dovettero lottare per creare una lealtà verso il governo centrale. Ma gli Stati postcoloniali non sono gli unici che hanno dovuto affrontare questa situazione: vediamo, infatti, che anche la Russia è composta da un mosaico di minoranze interne 1/5 della popolazione non è russa e la metà del suo territorio è composto da repubbliche etniche e regioni autonome. Gli Stati hanno combattuto intense guerre civili per raggiungere l’unità o la separazione. La paura di crisi nazionalistiche, comunque, non riguarda solamente i paesi meno sviluppati: la fedeltà si basa sull’interazione con il gruppo, quindi, se una parte del gruppo si sente sfruttato o vengono meno i benefici derivanti dall’associazione con un gruppo più grande, allora la lealtà e il senso di un “noi” si disgregano. Anche gli Stati più compatti e forti d’Europa devono continuamente lavorare per far si che le minoranze etniche (vedi i baschi in Spagna, i Bretoni in Gran Bretagna…) sentano un sentimento di appartenenza allo Stato nazione. Il tentativo di costruire una nazione include l’istituzionalizzazione del bilinguismo, speciali aggiustamenti in costituzione… Più di 280 gruppi etnici sarebbero politicamente attivi in più di 100 Stati e nella metà di questi stati i gruppi etnici costituiscono più di ¼ della popolazione totale. Nel 2003 più di 50 di questi gruppi erano impegnati in ribellioni contro il governo centrale (terrorismo, guerre civili…) e molti di questi gruppi sono anche coinvoli in conflitti intercomunali. I costi umani dei conflitti etnopolitici sono immensi e più della metà attraversano i confini nazionali forzando le risorse degli Stati vicini e incrementando il rischio che la guerra civile diventi internazionale. AVIDITA’ E PREDAZIONE La deprivazione (povertà e mancanza di diritti politici e civili) può far si che la popolazione si ribelli contro il governo centrale e quando le ricompense politiche ed economiche vengono distribuite inegualmente tra i gruppi etnici presenti nella società, le condizioni diventano perfette per scatenare un conflitto etnopolitico. Comunque ci sono anche altre condizioni che scatenano guerre civili. Una di queste è L’ASSISTENZA ESTERNAarmi e denaro forniti da USA e Pakistan ai ribelli in Afghanistan furono cruciali per la loro lotta Le informazioni di guerra ci sono sempre state, ma ora, con le nuove tecnologie sono più incisive. Ciò che differenzia queste informazioni da quelle passate è il fatto che, ora, esse sono indirizzate alla popolazione civile. Tuttavia, ci sono dei limiti al cyberterrorismo: infatti, ad ogni hacker corrisponde uno specialista in sicurezza dei computer. CAPITOLO 8 – IL DILEMMA DELLA SICUREZZA: ARMAMENTI E DISARMAMENTI FORZE ARMATE Le forze armate giocano un ruolo importante nelle politiche tra stati e all’interno degli Stati. Le forze armate sono un’istituzione antica, risalente all’antica Mesopotamia; da allora le forze armate e il modo di fare guerra hanno subito importanti trasformazioni, le più significative riguardanti l’evoluzione tecnologica, che ha incrementato le opportunità a disposizione dei decisionmaker. L’innovazione più profonda e minacciosa nel campo delle armi fu l’invenzione della bomba atomica. Lo schieramento e la circolazione di armi nucleari ha portato importanti cambiamenti alla strategia militare, ma anche un diffuso desiderio di progresso nei campi del disarmo e del controllo delle armi. ACQUISIZIONE DI ARMI Perché gli Stati acquisiscono armi? Una prima spiegazione è che gli stati acquisiscono armi in risposta all’acquisizione da parte degli altri Stati.  il motivo è la paura, che porta ogni Stato ad armarsi perché anche l’altro stato è armato. Spesso, quando entrambe le parti sono intrappolate in questo processo di azione- reazione, la conseguenza è una CORSA AGLI ARMAMENTI. Ogni parte sta reagendo all’altra. L’esempio tipico sono gli anni della Guerra Fredda. Una corsa agli armamenti non implica per forza un’escalation militare (anche se è molto probabile). Questa corsa implica, però, una competizione (però se le due parti mantengono una pace stabile, la corsa progredisce solo per l’aumento della produzione di armi di ciascuno stato), ed è proprio questo elemento che la caratterizza. Questa competizione ha caratterizzato il periodo della Guerra Fredda non si trattava solo di un processo meccanico di azione-reazione tra USA e URSS, ma derivava dal fatto che alcune decisioni sembravano provocatorie e, inoltre, la situazione era condizionata dall’ambiente domestico ed internazionale di entrambi gli Stati. Quindi, la guerra fredda dimostra che c’erano anche altre motivazioni che spinsero i due paesi al riarmo. Infatti, una seconda spiegazione sull’acquisizione di armi si concentra sulle influenze dell’ambiente interno agli Stati (pressione burocratica, inerzia entro il governo…) i leader di grandi organizzazioni si preoccupano per il benessere della loro organizzazione ed il suo potere all’interno del governo e della società dipende in larga misura dalla dimensione di questa organizzazione (più grande è, più sei incisivo). Anche quella militare è un’organizzazione che ha degli interessi che i loro leader perseguono: quando delle armi diventano obsolete, il complesso militare mette pressioni per modernizzare queste armi o rimpiazzarle con qualcosa di simile. Ciò implica che le decisioni sulla riallocazione delle risorse discusse entro il governo sono fortemente influenzate da organizzazioni, quali i militari, che puntano a non far ridurre i budget o ad eliminare programmi di loro particolare interesse. Molti soggetti all’interno della società, coloro che formano il complesso militare-industriale, hanno un ampio interesse nel mantenere un alto livello di spesa nel settore militare e, secondo la prospettiva radicale, la loro influenza è molto forte specialmente nei sistemi economici capitalisti (tuttavia hanno influenze anche nei sistemi socialisti). Le influenze domestiche sono cosi forti che alcuni analisti ritengono che il complesso militare-industriale sia un attore autistico che si nutre degli stimoli della società e risponde solamente alle proprie esigenze i governi e i leader si trovano in un sistema autistico e cercano di mantenere un livello di capacità militare esclusivamente come il risultato di pressioni interne e non come conseguenze di conflitti esterni con potenziali nemici. L’ambiente internazionale viene descritto come ostile cosicchè l’elite al potere abbia una scusa per chiedere sacrifici ai cittadini e allocare le risorse nelle spese militari. Per fare ciò, i leader fanno molta propaganda all’interno dello Stato. “GUNS VERSUS BUTTER” Portare avanti una guerra comporta degli sforzi ingenti per le risorse economiche di uno Stato, infatti, trasformare un’economia di pace in un’economia di guerra richiede una mobilitazione di risorse umane ed industriali e spesso è necessaria una pianificazione centralizzata per concentrarsi più sul complesso militare rispetto alle altre attività economiche. Una mobilitazione verso un’economia di guerra è molto utile per smuovere un periodo di depressione economica (ad esempio, con la mobilitazione della Seconda Guerra Mondiale si è posto fine alla Grande Depressione negli USA). Tuttavia, se le risorse sono scarse, la mobilitazione di guerra può causare severi sforzi e anche se le risorse economiche non sono scarse all’inizio della guerra, esse possono comunque consumarsi durante il conflitto. La relazione tra la preparazine alla guerra e il benessere economico durante un periodo di pace è molto discussa e l’espressione “guns versus butter” è un’abbreviazione che descrive questo compromesso di spese militari eccessive. Ci sono due questioni correlate a questa relazione: primo c’è una connessione tra attività di difesa in tempo di pace (specialmente in termini di spesa militare), ed il benessere economico dello Stato, o della regione?; secondola produzione del complesso militare-industriale (GUNS) assorbe risorse che, altrimenti, potrebbero essere destinate a programmi sociali (BUTTER) per migliorare le condizioni di vita della popolazione? I radicali sostengono che i politici utilizzano le spese militari in tempi di pace per stimolare l’economia nazionale durante i periodi di scarsa crescita economica come componente delle spese di governo, le spese militari dovrebbero essere usate in questo modo, come uno strumento ciclico per smuovere l’economia. Questa politica è stata chiamata KEYNESIANISMO MILITARE (per via della teoria di Keynes per cui le spese di governo potessero essere usate per risollevare l’economia) e molti la associano ad uno stato avanzato di capitalismo, dove la ricchezza è concentrata in poche mani. C’è una tendenza, in questo stadio del capitalismo, per le imprese monopolistiche a produrre più di quanto il mercato domandi. Questo surplus viene assorbito dal governo per prevenire il collasso del sistema capitalistico. La spesa militare è la soluzione preferita per affrontare questo problema della scarsa domanda nel mercato coloro che non fanno parte del complesso militare-industriale accettano tutto ciò per ragioni di nazionalismo. La difesa è un settore che rappresenta una grande componente di molte economie nazionali, sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. La spesa militare ha un impatto sulle performance economiche? Molti liberali credono che l’effetto di una ingente spesa militare sia lo sfiaccamento del benessere economico nazionale. Altri studiosi, invece ritengono che la spesa militare non abbia effetti globali, ne positivi ne negativi, sull’economia nazionale. Se e quanto la spesa militare incida sull’economia nazionale dipende, in parte dalla struttura economica dello Stato, in parte, dalle sue istituzioni e cultura politica e, infine, dagli inceviti che motivano i leader di questi Stati (anche negli USA, il paese con la spesa militare più alta del mondo, ci sono molti fattori responsabili per l’andamento economico). Ciò non vuol dire che la preparazione militare in tempo di pacec non abbia effetti sull’economia gli stabilimenti militari e le basi hanno profondi effetti sulle economie locali: a livello locale, la chiusura di un impianto militare o di una base, possono avere molte ripercussioni sulle economie locali, in quanto una parte della popolazione perderà il posto di lavoro e e coloro che hanno aziende in quella zona vedranno un calo nelle vendite. I critici della permanente economia di guerra americana sono d’accordo con questa visione, ma si concentrano sul problema strutturale della dipendenza dell’economia statunitense, che lega il destino delle economie locali ai programmi militari. I critici si soffermano anche sulla distorsione che questo tipo di spesa crea all’economia (inflazione, tassi di disoccupazione, tassi di crescita…). Questo ha a che fare con i COSTI-OPPORTUNITÀ, ovvero i benefici persi in quanto sono stati utilizzati per le spese militari e non per obiettivi economici e sociali più produttivi (la spesa militare potrebbe essere meglio impiegata in altri settori). Legato alla questione dei costi-opportunità, c’è la questione del COMPROMESSO PER LE SPESE MILITARI, per cui più ampio è il budget destinato alle spese militari, minore sarà la spesa destinata a programmi sociali, di salute e di benessere. Ci sono molte discussioni in merito alla questione se sia più produttiva la spesa militare o quella sociale le spese militari sono molto volatili, ma, comunque, le condizioni sono differenti a seconda del paese e dei leader al potere. ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA Le armi nucleari utilizzano l’energia rilasciata dai nuclei atomici quando si dividono (scissione) o si combinano (fusione). Gli studi su un possbilie scontro nucleare su vasta scala tra USA e URSS hanno dimostrato quanto ciò sarebbe devastante per entrambe le società. Ad esempio, la stima dei morti americani dopo trenta giorni dallo scoppio di una bomba atomica oscillerebbe da 1/3 a 2/3 della popolazione americana totale. Questi studi dimostrano anche la vulnerabilità delle moderne società industrializzate verrebbero distrutte le pompe di benzina e le centrali elettriche. Senza ciò il sistema di trasporti non potrebbe funzionare. Le forniture d’acqua e le fognature non funzionerebbero più e ciò porterebbe ad epidemie. Se il cibo fosse ancora disponibile sarebbe comunque contaminato perché non può essere processato. Inoltre, ci sono conseguenze ecologiche a lungo termine dovute alle sostanze radioattive. Le armi nucleari, così come le armi chimiche e biologiche, sono definite armi di distruzione di massa, in quanto sono assolutamente nocive. Queste armi sono progettate per distribuire i loro effetti su vasta scala e, per questo, non fanno distinzione tra civili e militari, sono tutti dei bersagli. Le armi nucleari sono state utilizzate solamente due volte, su Hiroshima e Nagasaki, ma la sofferenza che queste armi hanno provocato alle popolazioni colpite hanno lasciato un segno indelebile nella coscienza della comunità internazionale. L’ERA NUCLEARE STRATEGICA Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale USA e URSS si disarmarono molto rispetto ai livelli raggiunti durante la guerra. La bomba atomica era l’elemento centrale nella politica americana di deterrenza, mentre l’URSS ancora non aveva armi atomiche. L’abilità di infliggere enormi danni era profondamente sbilanciata in favore degli USA, tanto che si descrive quel periodo come il periodo del dominio strategico americano. In risposta, l’URSS ha adottato una politica estera molto cauta e non provocatoria, insieme con un riarmo. Il dominio americano sull’URSS ha iniziato a declinare negli anni ’50. Fino ad allora gli USA detenevano la capacità di attaccare per primi senza temere ritorsioni distruttive. Tuttavia, la superiorità americana viene meno con Sputnik, il satellite che l’URSS lanciò in orbita (fu il primo stato a farlo) ciò spaventò gli americani in quanto significava che se gli scienziati russi erano riusciti a sviluppare dei razzi che arrivavano nello spazio, potevano farli arrivare anche in suolo americano. Quindi gli USA temevano che ora la capacità di attaccare per primi fosse passata all’URSS. Tra gli anni ’60 e ’70 gli USA aumentarono ancora le loro spese militari a causa del loro coinvolgimento nella guerra in Vietnam. Fino a metà anni ’60 gli USA avevano mantenuto una superiorità militare sia quantitativa, sia qualitativa, ma negli anni ’70 l’URSS aveva un budget militare molto simile a quello Statunitense e, inoltre, aveva sviluppato molti missili, così tanti da sorpassare addirittura il numero di missili americani. Il risultato fu una situazione in cui nessuna delle due potenze poteva attaccare l’altra senza il rischio di una ritorsione senza precedenti. USA e URSS avevano una mutua capacità di distruzione, nel senso che ognuna delle parti aveva la capacità di un assorbire l’attacco subito dal nemico e di rispondere a questo attacco infliggendo un enorme danno al nemico.  sostanzialmente, nessuna delle due parti poteva vincere una guerra atomica. Infatti, uno Stato che ha la possibilità di attaccare per primo lo fa se non rischia una momento in cui questo farà un’azione cooperativa, perché la vedranno come un segno di debolezza che dev’essere sfruttato (vedi diffidenza USA verso la politica del new thinking di Gorbachev). Dopo numerosi scontri uno stato si crea una reputazione che è difficile da cambiare se uno stato è conflittuale gli altri stati reagiranno di conseguenza e saranno più restii a cooperare nel momento in cui questo stato ci prova. Al contrario si coopera più volentieri con uno stato che ha precedenti esperienze di cooperazione. Robert Axelrod ha chiamato questo tipo di comportamento TIT FOR TAT. CIÒ Che bisogna tenere presente nel sistema internazionale è che l’idealismo, da solo, non può far sparire tutti i conflitti, ma se si insiste con la visione realista per cui la politica tra le nazioni implica uno scontro continuo siamo condannati ad un mondo da noi costruito. Nessuna di queste due visioni va presa alla lettera. DETERRENZA USA e URSS hanno investito molti soldi nei loro armamenti, dotandosi di differenti tipi di armi in grado di colpire l’avversario tutto ciò ha creato un trio composto da USA, URSS ed armi atomiche e questo trio è riuscito ad instaurare una stabilità basata sul terrore. CRISI DI INSTABILITA’ Nella Guerra Fredda la stabilità era data dal fatto che nessuna delle parti era in grado di attaccare per prima senza essere danneggiata da una ritorsione. Una stabile deterrenza, al contrario, richiede che entrambe le parti siano in grado di subire un attacco e successivamente rispondere con una ritorsioni di tali proporzioni. Dato che entrambe sono in grado di rispondere all’attacco, nessuna delle due parti attacca per prima. Questa situazione di non crisi grazie alla deterrenza nucleare è chiamato EQUILIBRIO DEL TERRORE. Questo equilibrio è possibile finche nessuna delle due parti è in grado di attaccare per prima senza temere ritorsioni, ma può essere superato grazie ad una svolta tecnologica in una delle due parti, che la porta in vantaggio. Anche solo la percezione che l’avversario possa avere qualche arma segreta, porta l’altro stato a fare un attacco preventivo. Comunque, durante la guerra fredda l’equilibrio del terrore si mantenne stabile. POLITICA DEL RISCHIO CALCOLATO La politica del rischio calcolato ricorda il gioco del pollo, dove bisogna vedere chi cede per primo. La crisi dei missili a Cuba ne è un esempio. Il gioco del pollo è molto pericoloso: nella diplomazia nucleare implica che entrambe le parti sono in grado di controllare le proprie forze abbastanza bene da impedire che si verifichi un incidente (guerra) e che almeno una delle parti sia abbastanza coraggiosa da deviare in tempo. Ma se un giocatore è già stato precedentemente umiliato, allora sarà più riluttante a deviare in una crisi successiva. Un aspetto importante del controllo di armi nucleari è l’autorità di poter usare queste armi durante le crisi. Nel momento in cui la minaccia dell’avversario sembra credibile, qualcosa cambia bisogna trovare un modo di rendere credibile la ritorsione in caso di eventuale attacco da parte del nemico (in modo che questo non attacchi). Bisogna elaborare un piano che sia il più veritiero possibile anche se non si ha intenzione di attuarlo. Il problema con questa politica del rischio comparato è che i leader possono fallire: le loro azioni possono essere mal interpretate, specialmente sotto l’enorme pressione di una crisi nucleare. Il rischio di un escalation nucleare e di una crisi di instabilità rimangono fortemente possibili. Inoltre, la proliferazione di armi nucleari fa pensare che un’eventuale crisi nucleare futura possa coinvolgere più stati questo tipo di crisi sarebbero molto più difficili da controllare. CONTROLLO DI ARMI E DISARMO L’equilibrio del terrore nucleare e la paura di incontrollati lanci nucleare mettono in luce il bisogno, per i leader e per la società, di restringere la corsa agli armamenti tra USA e URSS e la proliferazione di armi di distruzione di massa. Comunque, il controllo delle armi non significa necessariamente disarmo il CONTROLLO DELLE ARMI è un processo che produce accordi sulla produzione, lo schieramento e l’uso delle armi ed hanno lo scopo di creare o aumentare la stabilità limitando la disponibilità di armi (e ciò non include necessariamente la riduzione del numero di armi in circolazione). Invece, il DISARMO punta proprio a ridurre il numero di armi. Generalmente, i trattati multilaterali cercano di prevenire la diffusione di armi di distruzione di massa in quelle aree dove non sono ancora state schierare (non sono presenti). Per questo ci sono trattati che riguardano l’antartico, lo spazio, il fondo marino, zone in cui non devono essere schierate testate nucleari. CONTROLLO DELLE ARMI NUCLEARI Nel gennaio 1994 il Presidente Clinton e Yeltsin dissero che gli USA e l’URSS avrebbero smesso di minacciarsi a vicenda con i missili nucleari questo evento fu il risultato di un lungo processo di controllo delle armi da parte di entrambe le superpotenze e istituzionalizzato in una serie di trattati multilaterali riguardanti vari tipi di armi di distruzione di massa. Le limitazioni al tipo, alle caratteristiche e allo schieramento delle armi possono essere classificate in varie categorie: alcuni accordi sul controllo delle armi creano delle “nuclear free zones”, ovvero zone dove è vietato l’uso di armi nucleari allo scopo di evitare lo sviluppo di corse agli armamenti (esantartico, spazio, fondali marini). Altri trattati, invece, hanno lo scopo di non far entrare armi nucleari nel proprio territorio, sia vietando l’acquisto di armi nucleari, sia vietando che altri Stati situino qui le loro forze nucleari. Questi accordi includono anche la promessa, da parte degli altri Stati, di rispettare le proibizioni. Il controllo delle armi può anche avere l’obiettivo di minimizzare il rischio di attacchi nucleari incidentali. Altri ancora pongono dei limiti alle caratteristiche delle armi, sia nucleari che non, inclusa anche la loro capacità di infliggere sofferenza umana. 1972 Convenzione sulle armi biologiche e 1993 Convenzione sulle armi chimiche hanno entrambe proibito non solo l’utilizzo di queste armi, ma anche il loro sviluppo, la loro produzione e l’accumulo di riserve. Altri accordi ancora sul controllo delle armi tra USA e URSS pongono un limite sul numero di armi nucleari che possono essere schierate nel 1987, il Trattato sull’intermediazione delle forze nucleari (INF) fu il primo trattato che riduceva effettivmente il numero di armi nucleari. Questo trattato e la sua implementazione ebbero un impatto sostanziale sulle relazioni politiche tra le superpotenze. Infine, tutti (o quasi) i trattati sul controllo delle armi puntano a costruire confidenza e fiducia tra le parti dell’accordo. L’arginamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa continuerà ad essere una questione centrale del controllo delle armi. Uno sviluppo preoccupante è dato dall’emergere di un nuovo gruppo di “stati furfanti”, che tenta di acquisire il controllo delle armi nucleari. Gli stati che più destano questo sospetto sono Corea Del Nord e Iran (Libia un tempo). Il controllo delle armi ha anche l’obiettivo di frenare i test nucleari per limitare il danno ambientale. Un primo trattato di questo tipo bandì tutti i tipi di test nucleari eccetto quelli effettuati nel sottosuolo o a scopi di pace; nel 1996 un secondo accorde vieta definitivamente tutti i tipi di test, anche quelli per scopi di pace e quelli nel sottosuolo ciò ha posto vari limiti allo sviluppo e al miglioramento qualitativo delle armi nucleari. CONTROLLARE ARMI CONVENZIONALI E TECNOLOGIA Molti accordi sul controllo delle armi riguardano le armi di distruzione di massa, ma ci sono stati degli sforzi indirizzati anche verso la proliferazione delle armi convenzionali, cosi come della tecnologia avanzata per le armi. I paesi della NATO e quelli del Patto di Warsavia hanno negoziato sulle armi convenzionali in Europa e nel 1990 è stato concluso un trattato per cui viene richiesto un taglio sostanziale armi convenzionali (come artiglieria, elicotteri da combattimento…). Molte persone (i leader, i cittadini attivisti e gli studiosi) si sono dedicati al ridurre le prospettive di guerra ed il numero, nonché la potenza distruttiva, delle armi con le quali la guerra viene combattuta. Ci sono stati molti progressi, infatti è dal 1945 che non viene usata un’arma nucleare. Ci sono stati svariati accordi internazionali per bandire le armi nucleari da alcune aree e proibire i test nucleari e la proliferazione di armi. Le armi chimiche e biologiche di distruzione di massa vengono controllate, mentre l’opinione pubblica internazionale è fortemente contraria allo schieramento/impiego di questo tipo di armi disumane, come le mine. Nonostante questi progressi, ci sono tante armi nucleari nel mondo e stati che non hanno firmato i vari trattati. CAPITOLO 11 – INTERDIPENDENZA ED ORDINE ECONOMICO APPROCCI ALL’ECONOMIA POLITICA L’economia politica si riferisce all’intreccio tra economia e politica è un concetto utilizzato per descrivere il comportamento degli individui e dello Stato, così come i risultati delle interazioni sociali, che implicano sia la politica sia l’economia. L’economia politica internazionale si focalizza sulla combinazione di comportamenti politici ed economici che si verificano tra gli Stati e con gli attori non statali. REALISMO, LIBERALISMO E RADICALISMO La PROSPETTIVA REALISTA sottolinea il ruolo dello Stato nell’economia globale nello stesso modo in cui lo Stato (sempre secondo loro) è l’attore principale del sistema internazionale e delle sue politiche. Questo approccio è spesso chiamato neorealistai realisti prendono ispirazione dal MERCANTILISMO, una dottrina economica che puntava all’autosufficenza e al potere dello stato, cercando di incrementare le esportazioni, ed usando questo surplus per promuovere lo sviluppo industriale. Il realismo, comunque è qualcosa di diverso, ma entrambi mettono l’enfasi sull’abilità e l’intenzione dello Stato di intervenire nel mercato con lo scopo di favorire l’interesse nazionale. Per questo, l’approccio realista all’economia politica internazionale è spesso chiamato NEOMERCANTILISMO.  i realisti ritengono che lo stato detenga il potere economico e, per questo, non credono che gli attori non statali possano avere un tale impatto sulle relazioni globali di economia politica. I LIBERALI, invece, non credono che lo Stato sia l’attore centrale nell’economia politica internazionale, Certamente riconoscono che gli Stati siano gli attori più importanti, ma ci sono anche altri attori importanti nell’economia globale, come le organizzazioni governative e non. Per questo i liberali tendono a focalizzarsi sui limiti del potere dello Stato e sulla tendenza degli Stati a ridefinire i loro interessi nazionali in un contesto in cui le condizioni economiche internazionali sono in costante cambiamento. Mentre i realisti ritengono che gli Stati puntino a massimizzare i loro profitti relativi, i liberali credono, invece, che perseguano profitti assoluti ciò che realmente motiva l’economia politica internazionale degli Stati, secondo i liberali, è il miglioramento del benessere della società. Inoltre i liberali sono più inclini a vedere una potenziale cooperazione tra Stati sulle materie di economia globale. Il benessere della società è possibile a livello interno ed internazionale e viene meglio raggiunto basandosi sulla “mano invisibile” del libero mercato (e non sull’intervento dello stato). Questo argomento fu per primo sviluppato da Adam Smith nel suo libro “La ricchezza delle nazioni” Smith riteneva che il benessere della nazione ed il potere dello Stato potessero essere raggiunti commerciando con altri stati, ciò nonstante accettava l’intervento dello stato per le questioni di sicurezza nazionale. I RADICALI, O MARXISTI, non accetano che il benessere della società possa essere raggiunto tra individui di classi differenti. Mentre i realisti credono che la cooperazione internazionale favorisca lo Stato, i radicali ritengono che ciò favorisca solo la classe capitalista, mentre le altre classi ci perdono. Secondo i radicali, i realisti sbagiano a considerare lo Stato come un attore unitario, perché così facendo non si tiene conto dei conflitti d’interesse nell’economia politica internazionale. E’ stato Lenin ad applicare il pensiero marxista alle relazioni internazionali. INTERDIPENDENZA termine regime si riferisce ad un insieme di regole formali ed informali e le procedure che regolamentano il comportamento in determinate aree del mondo. Tutto ciò significa che vengono creati dei modelli: l’insieme delle disposizioni che disciplinano questi modelli sono formate da REGOLE FORMALI regole nazionali ed internazionali e da regole private (come gli statuti delle organizzazioni internazionali; REGOLE INFORMALI norme e principi che si riflettono nei modelli di comportamento non ancora codificate in leggi o in qualche statuto, norme principi e costumi sono includono una componente psicologica che incide sui decisionmaker, i quali pensano di dover comportarsi in un certo modo perché tutti se lo aspettano. Le aree dove vengono applicati questi tipi di regimi possono essere ampie, ristrette oppure limitate a territori specifici; alcuni regimi hanno solo pochi partecipanti, altri includo una vasta fascia della popolazione; alcuni sono duraturi, altri hanno vita breve. EGEMONIA E REGIMI Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le potenze europee concordarono sulla visione di un’economia internazionale, basata su un sistema economico liberale senza le barriere economiche imposte negli anni ’30 per via della Grande Depressione. Per far funzionare questo sistema, gli Stati dovevano cooperare creare questo sistema era il passo principale per creare una pace ed un ordine mondiale. Il libero commercio è il movimento di capitali dipendevano dalla stabilità e dalla prevedibilità del mondo, per questo c’era una relazione tra stabilità politico-militare e stabilità economica. Quest’area (regime) doveva essere militarmente sicura da minacce esterne ed internamente pacifica. L’unico stato che poteva fornire quest’ordine militare, gli USA, erano anche l’unico stato abbastanza forte economicamente da fornire ordine nel sistema economico. In questo tipo di sistema gli USA perseguirono una politica di leadership, di egemonia in un sistema egemonico, uno stato è in grado ed ha intenzione di definire e mantenere le regole essenziali che regolani i rapporti tra gli Stati. L’egemonia può essere molto utile per aiutare un gruppo ad acquisire beni collettivi (un gruppo di uno, cioò lo stato egemonico, è in grado di fornire i beni collettivi per l’intero gruppo). Questo suggerisce che la stabilità dell’economia politica internazionale è influenzata dalla presenza o meno di una potenza egemone. La teoria della stabilità egemonica sostiene che la preponderanza di questo stato (ovvero la sproporzione tra la sua forza e quella degli altri stati) gli permette di stabilire le “regole del gioco” internazionale e, di conseguenza, un ambiente globale stabile che contribuisce agli interessi di tutti gli Stati (non solo i suoi). La predominanza USA fu molto importante per avviare il sistema di interdipendenza che seguì la Seconda Guerra Mondiale. Il vero problema dell’egemonia è quello di distinguere tra leadership e dominazione: i paesi sottosviluppati che si trovano in un sistema dov’è presente una potenza egemone tendono ad essere dominati da questa superpotenza. REGIME MONETARIO INTERNAZIONALE Dopo la Seconda G. Mond, un gruppo di stati guidato dagli USA ha posto le basi per lo sviluppo di un sistema economico internazionale di tipo liberale. Inizialmente, il commercio internazionale si basava sul GOLD STANDARD, ma in seguito alla Grande Depressione si è passato ad un sistema basato sui TASSI DI CAMBIO, tuttavia, per questo tipo di sistema era più comodo convertire tutte le monete nazionali in un unico mezzo comune (ad esempio l’oro, il dollaro…), in modo da poter comparare i prezzi (convertire la propria valuta con quella del paese con cui si sta commerciando sarebbe stato troppo scomodo). Però era necessario trovare un mezzo di scambio che non fosse soggetto a fluttuazioni eccessive, in quanto queste incidono sul valore del prodotto e, grazie a ciò, il commercio internazionale è stato stabilizzato da un sistema monetario internazionale stabile questo regime monetario internazionale è stato designato per aiutare gli stati a gestire i loro tassi di cambio, mantenere le riserve di valuta, e regolare il movimento di capitali internazionali. Nel 1944, 44 Stati si incontrano a BRETTON WOODS con lo scopo di ritornare alla stabilità finanziaria del gold standard gli Accordi di Bretton Woods stabiliscono un SISTEMA DI TASSI DI CAMBIO FISSI ed il dollaro diviene la principale riserva (la moneta nella quale le altre valute si dovevano convertire)., così come l’oro lo era nel 19esimo secolo. Il valore delle altre valute veniva fissato al dollaro e gli Stati potevano detenere riserve sia in oro che in dollari. Questo sistema dei tassi di cambio fissi venne designato per fornire la stabilità finanziaria necessaria per promuovere l’espansione del commercio internazionale. Durante le due guerre, l’inflazione era rampante; ciò nonostante, con il sistema di Bretton Woods, espandere la fornitura di moneta al punto di danneggiare la confidenza nella valuta nazionale, ha incoraggiato gli investitori locali ad incassare le loro cambiali in cambio di dollari perche il valore di questa valuta era più sicuro. Le riserve di dollari in USA vennero svuotate, rendendo difficile/impossibile mantenere il tasso di cambio fisso con il dollaro, così com’era stabilito da Bretton Woods. Comunque, anche la banca centrale americana e le Riserve federali erano soggette a dei limiti espandere la fornitura della valuta statunitense diminui la confidenza nel dollaro, portando ad un esaurimento delle riserve d’oro statunitensi. Gli accordi di Bretton Woods hanno istituito il Fondo Monetario Internazionale per aiutare i paesi a mantenere i loro tassi di cambio fissi. L’FMI, usando le sue riserve (costituite da contributi degli Stati membri), ha fatto prestiti agli Stati , permettendogli di supportare il valore delle loro valute durante i periodi di difficoltà economica. I limiti imposti agli USA non erano così limitanti come quelli subiti dagli Stati aderenti agli accordi di Bretton Woods gli USA non dovevano mantenere un tasso di cambio fisso per il dollaro, doveva solo essere in grado di fornire alle banche centrali degli altri Stati l’oro in cambio dei dollari. Negli anni ’60, il Porgramma della Grande società per ridurre la povertà, elaborata dall’amministrazione Johnson, e il coinvolgimento nella guerra in Vietnam, aumentarono notevolmente le spese di governo del paese. Il risultato fu un’inflazione dei prezzi che portò a speculazioni sulla necessità di devalutare il dollaro rispetto alle valute europee. Per gli USA la devalutazione fu molto difficoltosa perché richiese una rivalutazione coordinata e simultanea delle valute che erano agganciate al dollaro. Dato che questa rivalutazione avrebbe incrementato i prezzi di esportazione di questi paesi rispetto ai beni statunitensi, la cooperazione non fu immediata. L’amministrazione Nixon, dovendo affrontare il continuo esaurimento delle riserve d’oro e della scarsa confidenza del valore del dollaro, dichiarò che gli USA non avrebbero più dato oro in cambio di dollari e avrebbe imposto un sovrapprezzo del 10% sulle importazioni (cosiddetto “Nixon shock”). Dopo ciò, molte valute europee stavano fluttuando rispetto al dollaro e, alla fine, il Sistema di Bretton Woods crollò. In seguito, il rallentamento economico globale è stato causato da aumenti di prezzo oltre i confini, guidati da alti costi energetici. La combinazione tra alti prezzi e stagnazione della crescita economica, portò gli studiosi ad elaborare il termine STAGFLAZIONE. Il grado di stagnazione ed inflazione era diverso da paese a paese. Questo sistema di tassi di cambio fluttuanti ha operato fino al 1973. Il corrente sistema è chiamato SISTEMA DI FLUTTUAZIONE CONTROLLATA, perché le autorità monetarie, nei vari stati, spesso si consultano e coordinano le loro politiche per minimizzare le fluttuazioni eccessive nei tassi di cambio. REGIME DI LIBERO MERCATO Come nel regimen monetario, gli USA erano l’organizzatore primario del sistema liberale di commercio internazionale postbellico. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie alla partecipazione delle potenze occidentali la cooperazione fu il modus operandi di questi stati e la speranza era che il resto del mondo avrebbe fatto lo stesso. Il primo elemento del regime commerciale post bellico fu il GATT, l’accordo generale sulle tariffe e sul commercio, raggiunto nel 1947. I membri acconsentirono all’istituzione di regole volte a ridurre le barriere commerciali e a mediare le dispute commerciali. Questo accordo comprendeva anche un piano per istituire un’Organizzazione internazionaale del commercio che avrebbe aiutato i membri della GATT a rispettare i loro obblighi. La GATT fu l’elemento centrale del regime del libero commercio e lavorò duramente per far si che le barriere venissero rimosse nei paesi sviluppati. Un livello molto alto di cooperazione commerciale si raggiunse in seguito alla riduzione tariffaria. Dopo questo punto, tuttavia, i fattori che causavano restrizioni nel regime monetario, portarono problemi anche nelle relazioni commerciali l’inflazione e la sempre maggiore interdipendenza tra le economie nazionali portò uno scontento politico in certi settori economici che sono stati danneggiati dai competitori esterni. Da qui in poi aumentarono le pressioni per proteggere il commercio in USA, Europa e Giappone. Era chiaro che dovevano essere stabilite regole nuove per il regime di libero mercato. Per questo motivo, si tennero vari round (incontri tra rappresentanti di stati) con l’Uruguay Round, nel 1986, si ottennero ottimi risultati: primo, nell’area dell’accesso al mercato, i partecipanti puntano ad una riduzione di 1/3 in media delle tariffe; secondo, furoni istituiti un Accordo Generale sul commercio di Servizi e uno sui diritti della proprietà intellettuale; infine, questo Round ha istituito l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). DISORDINE ECONOMICO E RIALLINEAMENTO Gli Stati Uniti continuano ad avere un ruolo centrale nel sistema economico mondiale, ma altri Stati e attori non statali hanno ruoli molto più incisivi rispetto al passato. DECLINO EGEMONICO Il regime monetario e di commercio istituito sotto la guida della potenza egemone Statunitense si è, inevitabilmente complicato nel momento in cui le economie del Giappone e dei paesi europei occidentali si sono ripresi. Negli anni 70’, già era chiaro che gli USA non avrebbero più potuto essere la potenza egemone. Nel 1979 l’inflazione causò l’apprezzamento del dollaro, ma l’aumento dei costi delle importazioni dell’America insieme con l’aumento del prezzo del petrolio, fecero salire ulteriormente l’inflazione e ciò ha fatto si che le banche centrali degli altri Stati mettessero in atto politiche monetarie restrittive questo portò ad una recessione economica globale dal 1981 al 1983, la peggiore dopo la Grande Depressione. Le scarse performance econimiche, sommate con l’ammontare del deficit di commercio che accompagna l’apprezzamento del dollaro, si è trasformato in un surplus di commercio per i maggiori partner commerciali dell’America. Il Giappone divenne il maggior creditore degli USA. Il miracolo economico giapponese faceva parte di una crescita economica lungo tutto il margine Pacifico; negli anni ’80 i paesi del margine pacifico hanno sostituito quelli dell’europa occidentale come maggiori partner commerciali degli USA. A causa di ciò, in USA si animarono sentimenti di tipo protezionistico. ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO (vedi schema pag. 316) Il WTO ha sede a Ginevra ed è subentrato al GATT. Il GATT è comunque un trattato ancora legalmente vincolante per le parti, ma è stato modificato dalla nascita del WTO, che implica una revisione delle regole commerciali esistenti tra le parti. I membri del WTO, ad oggi, sono 153. QUest’organizzazione fornisce una serie di meccanismi tramite i quali gli Stati possono reindirizzare i malcontenti legati al commercio contro altri stati in un sistema istituzionale amministrato da parti neutre. La Conferenza Ministeriale riunisce i rappresentanti degli stati membri almeno ogni due anni. Il Doa Round del 2001 si concentra prevalentemente sui sussidi all’agricoltura, ma anche su standard ambientali e di lavoro, brevetti ed altre questioni. Il Consiglio Generale del WTO è composto da rappresentanti di medio livello degli Stati membri, i quali si incontrano regolarmente. Questo è l’organo decisionale principale per esaminare le politiche commerciali e porre fine alle dispute commerciali tra stati membri. C sono dei consigli incaricati di monitorare l’implementazione delle regole commerciali in ognuna di queste aree: commercio di beni, di servizi e di diritti di proprietà individuale. Colui che assiste in tutte questi compiti è il Segretariato. Quest’organo persegue in primo luogo i suoi interessi e poi quelli del regime commerciale. ORDINE DURATURO La leadership Statunitense è stat rivitalizzata agli inizi degli anni ’90. La “nuova economia” americana aveva un buon andamento e, nello stesso momento, stava iniziando la crisi finanziaria asiatica. Inoltre gli Stati comuni in aree delimitate (ad esempio zone economiche esclusive) l’obiettivo è quello di scoraggiare i free riders attribuendo agli stati un interesse economico esclusivo nella porzione di beni comuni a loro assegnata. Questa “privatizzazione” dei beni collettivi è volta a risolvere il problema: i conflitti di interesse sulle risorse naturali vengono meno assegnando ad ognuno un diritto di proprietà su una parte di queste risorse che, altrimenti, sarebbe di proprietà comune. Maneggiare la proprietà collettiva richiede risoluzioni per i potenziali contenziosi che protebbero sorgere. I regimi ambientali sono sorti per affrontare queste questioni ad esempio, per prevenire l’estinzione della foca, nel 1957 è stata negoziata una convenzione tra USA, URSS, Giappone e Canada che ha messo al bando le caccia di foche in mare aperto ed ha posto dei limiti alla caccia in certe isole. Tutto ciò mette in evidenza l’interazione tra regimi, leggi, organizzazioni internazionali e stati interessati al proprio interesse individuale la collaborazione e la coordinazione aiuta gli Stati ad evitare le tentazioni della diserzione del free ride. SVILUPPO SOSTENIBILI Oggi la società globale affronta problemi ecologici e ambientali molto diversi rispetto al passato. Oggi siamo consapevoli che le risorse della terra sono limitate e che questi limiti possono essere raggiunti. Le risorse che sono adeguate ad un basso livello di sfruttamento non sono adeguate per alti livelli.  questi limiti sfidano l’abilità degli uomini di perseguire uno sviluppo umano ed economico mentre si cerca di preservare il sistema ecologico all’interno del quale si dovrebbe tenere questo sviluppo. Lo SVILUPPO SOSTENIBILE è uno sviluppo che incontra le necessità del presente senza compromettere l’abilità delle future generazioni di far fronte ai propri bisogni.  le risorse della terra non sono solo limitate ma sono già state ridotte attraverso la disintegrazione dell’ecosistema naturale, che può essere stato distrutto o si sta rigenerando lentamente. Oggi, la minaccia dell’ecosistema è un problema globale se il consumo di risorse supera la loro capacità di rigenerarsi, ciò porta al collasso dell’ecosistema e il progresso e altri obiettivi di sviluppo non potranno più essere perseguiti. Le sfide dello sviluppo sostenibile sono illustrate nel caso della Costa Rica: questo paese ha avuto uno dei più alti tassi di deforestazione del mondo e ciò ha avuto importanti ripercussioni su tutto l’ecosistema. Per fronteggiare il problemaa, la Costa Rica sta cercando di puntare su un turismo sostenibile. I problemi dello sviluppo sostenibile sono:  la crescita esponenziale della popolazione e la domanda di risorse naturali;  risorse limitate;  interdipendenza tra popolazione, capitale investito e i fattori che influenzano la crescita (come cibo, risorse ed inquinamento);  il lungo ritardo tra la creazione dell’inquinamento o di un altro danno ecologico e la realizzazione che un danno è stato fatto; Gli studiosi dell’ambiente hanno creato una misura chiamata IMPRONTA ECOLOGICA, ideata per rendersi conto della quantità di terra e acqua necessaria per sostenere una data popolazione per un periodo indefinito. Secondo questo indice, l’impronta ecologica della popolazione mondiale è di 18 miliardi di ettari, ma la capacità biologica della terra è solamente di 12 miliardi!!! Ciò significa che c’è un deficit ecologico di 0.9 ettari per ogni abitante del pianeta. Lo sviluppo sostenibile può essere indirizzato in due modi: restringendo le forze della crescita o espandendo i limiti a questa crescita. Il primo approccio inizia con una premessa pessimistica, per cui l’ecosistema è fragile e, di conseguenza, difficile da controllare e maneggiare, quando cerchiamo di controllarlo, di solito, lo danneggiamo questa è una prospettiva di tipo Malthusiano: l’economista Robert Malthus, infatti, sosteneva che se non si fossero posti dei limiti alla crescita della popolazione, questa sarebber cresciuta molto più velocemente rispetto al cibo, determinando un disastro ambientale/demografico (non ci sarebbe stato abbastanza cibo per tutta la popolazione). Al contrario, una visione ottimistica, sostiene che i problemi ecologici possano essere risolti attraverso l’ingenuità umana e le innovazioni tecnologiche. I sostenitori di questa visione hanno fede nei meccanismi regolatori del mercato POPOLAZIONE E DEMOGRAFIA Molte questioni ecologiche hanno a che fare con la popolazione 3 problemi centrali emergono dalla pressione della crescita della popolazione: il PRIMO problema è stato evidenziati da Malthus e consiste nell’ESAURIMENTO DELLA FORNITURA MONDIALE DI CIBO (se la popolazione cresce più velocemente del cibo, ciò causerà denutrizione ed un peggioramento della qualità della popolazione). Il SECONDO problema è lo SCONTENTO DERIVANTE DALLA DEPRIVAZIONE. Ciò dipende dal risentimento emergente nella popolazione a causa della disuguaglianza nella distribuzione delle risorse (incluso il cibo). Il TERZO problema è di tipo ecologico: L’INCREMENTO DELLA POPOLAZIONE PORTA inevitabilmente ALL’INCREMENTO NELLA DOMANDA DI RISORSE NATURALI, dando il via ad una decomposizione ambientale. ESPLOSIONE DELLA POPOLAZIONE La rivoluzione tecnologica, così come i progressi nella medicina, sono responsabili per la crescita della popolazione, che comporta un incremento dei consumi da parte dell’uomo e, di conseguenza, l’esaurimento delle risorse e l’inquinamento. Si parla di crescita esponenzialegli analisti trovano utile pensare alla crescita esponenziale in termini di tempo di raddoppio: dal 1990 al 2000, il tasso annuale di crescita della popolazione mondiale era di 1.4%; di questo passo, la popolazione mondiale si dovrebbe raddoppiare in soli 5 anni! Fortunatamente, i demografici non si aspettano una continua crescita della popolazione. Quando si stabilizzerà la popolazione mondiale? Anche i più ottimisti non credono che si arriverà ad una stabilizzazione prima di almeno mezzo secolo. L’idea di una stabilizzazione della popolazione significa rigettare la teoria della crescita esponenziale. TRANSIZIONE DEMOGRAFICA Le società sviluppate attraversano transizione demografica: nella PRIMA FASE, i tassi di nascita e di morte sono relativamente alti, le medicine e la cura della salute non sono ancora ben sviluppati, per questo le morti per malattie, ma anche le nascite, sono comuni (esEuropa prima della Rivoluzione Industriale). Nella SECONDA FASE (metà 18esimo secolo in Europa) i tassi di mortalità sono notevolmente diminuiti grazie agli sviluppi nei settori della medicina e della sanità. I tassi di nascita comunque rimangono alti perché la famiglia allargata fornisce più braccia per l’agricoltura, che era ancora centrale nell’economia durante le prime fasi dell’industrializzazione. Questo è un periodo di rapida crescita della popolazione visto l’enorme gap tra tassi di nascita e tassi di mortalità. Nella TERZA FASE l’industrializzazione, l’urbanizzazione e l’entrata delle donne nel lavoro porta alla diminuzione degli incentivi per le famiglie allargate (non ce n’è più bisogno). I tassi di nascita, di conseguenza, diminuiscono e quelli di mortalità si appiattiscono. NELL’ULTIMA FASE della transizione i tassi di nascita e di mortalità si stabilizzano a bassi livelli. Paesi differenti si trovano in fasi diverse della transizione demografica. L’intero mondo industrializzato, ovviamente, ha raggiunto la fase finale. Ciò nonostante, in molte parti del mondo, gli alti tassi di nascita e i bassi tassi di mortalità suggeriscono che questi paesi sono ancora in fase di transizione. Al contrario dei tassi di nascita, c’è molta più variabilità nei tassi di mortalità, questo per via degli sviluppi nel settore medico. L’obiettivo dei governi, delle organizzazioni governative e non governative è quello di accelerare il declino dei tassi di natalità, reso necessario dall’accelerazione del declino dei tassi di mortalità. Per avere una vera rappresentazione della crescita della popolazione dobbiamo considerare anche la composizione della popolazione di uno Stato, ovvero il numero di persone in differenti gruppi d’età e i tassi di fertilità per ogni gruppo. Se una popolazione ha tanti bambini, siccome i tassi di mortalità in questo caso sono quasi nulli, allora anche la popolazione complessiva diventa più giovane e una maggior parte delle donne saranno in età fertile per questo, i paesi sviluppati sono nelle condizioni di aumentare ancora il tasso di crescita della popolazione in futuro. ESAURIMENTO DELLE RISORSE SICUREZZA DELL’ALIMENTAZIONE La FAO (organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura) stima che più di 900 milioni di persone soffra ancora di denutrizione cronica. Tuttavia c’è stata una netta diminuzione dei denutriti rispetto agli anni ’70 e ciò grazie ai progressi nella medicina. Ci sono anche altri trend positivi dagli anni ’60, la produzione mondiale di cibo ha superato la crescita della popolazione e ciò ha contribuito a frenare i tassi di denutrizione nei paesi in via di sviluppo. Attualmente quasi tutta la superficie coltivabile globale è utilizzata in tal senso. Tuttavia, una porzione di terreni coltivabili viene persa ogni hanno perche al posto di campi vengono costruite strade ecc… ma anche per varie forme di degradazione ambientale. Infatti la deforestazione contribuisce al problema. Anche le nuove tecnologie costituiscono un problema perché sono fonti di inquinamento. Parte del problema nello stimare la capacità di sopportazione/di carico delle risorse di cibo mondiali, è che queste siano adeguate risorse di nutrimento.  La disuguaglianza nei livelli di sicurezza alimentare ha portato alla nascita di questioni etiche. Nonostante la produzione agricola crescerà più in fretta della popolazione per ancora qualche decina di anni, la crescita per persona diminuirà significativamente. La denutrizine e la fame derivano principalmente da fattori politici e sociali che influenzano la distribuzione. In molti paesi poveri ed in via di sviluppo, i mezzi per la distribuzione del cibo sono terribilmente inadeguati. Per questo motivo le organizzazioni internazionali (come la Banca Mondiale) stanno prestando particolare attenzione alle piccole fattorie, fornendo loro assistenza tecnica e creando riforme, ciò nonostante c’è una resistenza economica e politica molto forte che si oppone al riorientamento dello sviluppo dell’agricoltura. Sono stati avviati molti programmi di sostegno e attività di cooperazione facilitate da questa e da altre organizzazioni internazionali, ma tutto ciò è solo l’inizio della sfida di nutrire tutto il pianeta. Le soluzioni durevoli richiedono la consapevolezza delle condizioni politiche locali e delle pratiche culturali e un bilanciamento dello sviluppo economico entro e tra le varie regioni del mondo. RISORSE NATURALI Alcuni studiosi indicano che l’uso delle risorse globali sta crescendo esponenzialmente e che in molte aree, e per molte risorse, questo consumo sta crescendo più velocemente dei tasssi di crescita della popolazione. Ad esempio, il consumo di energia si è raddoppiato nel mondo e tutto ciò ha a che fare con la crescita della popolazione. Questa è una buona notizia per lo sviluppo economico ma una pessima notizia per le risorse mondiali.  ogni essere umano addizionale e ogni nuovo oggetto prodotto per il consumo umano implica un aumento della richiesta di risorse naturali. Ma qual è la capacità di riserva del pianeta? Le riserve sono delle risorse pronte per l’estrazione (grazie alla tecnologia esistente). Altre risorse, invece, si sa che esistono ma non è possibile estrarle con l’attuale tecnologia. Altre risorse ancora probabilmente esistono. MA CI SONO DEI LIMITI anche con la speranza che gli sviluppi tecnologici permetteranno agli essere umani di estrarre maggiori risorse, bisogna tenere presente che la tecnologia richiede tempo per evolversi e, nel frattempo, l’aspettativa di vita di alcune risorse naturali estraibili (come i minerali) potrebbe diminuire o destare Quando adottiamo un modo di pensare cosmopolita, aiutare coloro che stanno al di là dei nostri confini non è carità, bensì un’obbligazione. Sono i paesi occidentali quelli che si trovano nella posizione ottimale per aiutare. Il nostro obbligo è verso l’umanità. Riconoscere quest’obbligazione e trasformarla in nuovi modelli di comportamento e nuove politiche è forse la sfida più grande che dobbiamo affrontare oggi. CAPITOLO 15 – QUALE FUTURO GLOBALE? TRE FUTURI Se ci sono varie interpretazioni del passato, ci possono essere anche varie previsioni per il futuro. Ora rappresentiamo 3 diverse visioni di un possibile futuro. L’OCCIDENTE HA VINTO Qui l’argomento è che le idee occidentali sulla miglior forma da adottare per le interazioni politiche ed economiche, quindi la democrazia ed il capitalismo, hanno dimostrato la loro superiorità rispetto alle altre. Questa visione si ispira alle idee della fine della storia di Fukuyama ma anche a quelle di Hegel, il quale sosteneva che il progresso umano risulta dalla competizione di idee e che questa competizione avrebbe fatto emergere la miglior forma di organizzazione. Secondo questa teoria, l’essere umano ha scoperto una forma di organizzazione superiore a tutte le altre e questo porterebbe alla fine della storia. Osserviamo che ci sono state due sfide principali al liberalismo nel 20esimo secolo, il comunismo ed il fascismo, e comunque il liberalismo ha vinto. Secondo questa teoria le potenze occidentali espanderanno il loro modello a tutto il mondo. Ovviamente, ci sono delle società “ancora nella storia”, ma queste si dovranno evolvere perché la liberalizzazione politica ed economica è l’unico modo per il progresso umano. La maggior affinità tra il pensiero di Fukuyama e quello dei liberali è che il modello occidentale porta ad una sorta di pace e stabilità (teoria della pace democratica). SCONTRO CULTURALE Questa seconda previsione si basa sul pensiero di Samuel Huntington, il quale sostiene che si arriverà ad uno scontro tra civiltà. Secondo lui, il conflitto rimarrà una caratteristica centrale nella politica internazionale, ma sarà un conglitto tra civiltà, in quanto si formeranno dei blocchi ideologici od economici. L’asse principale del conflitto politico in futuro, probabilmente, sarà “L’occidente contro il resto”. Le entità civilizzate all equali S.H. si riferisce sono l’occidente, l’America Latina, l’Africa, l’Islam, il Confucianesimo, l’Hindu, l’Ortodosso, il Buddista e il Giapponese. Queste entità civilizzate non devono necessariamente sostituirsi allo Stato-nazione come attore centrale di politica internazionale, ma queste entità civilizzate porteranno all’avvicinamento di alcuni paesi e all’allontanamento di altri. Lo scontro principale, secondo S.H. sarà quello tra civiltà occidentale ed islamica. Molti realisti sostengono questa visione, nonostante si concentri su identità culturali. Quello che ci dobbiamo aspettare nel nuovo millennio, secondo S.H. è un nuovo bilanciamento di poteri basato su legami culturali chiamati civiltà. GLOBALIZZAZIONE E FRAMMENTAZIONE Questa terza previsione contiene elementi delle due precedenti. Secondo Benjamin Barber ci sono due tendenze simultanee in politica internazionale: la globalizzazione e la frammentazione. Quindi da una parte il modo risulta sempre più unito grazie alla globalizzazione in quello che Barber chiama McWorld, ma dall’altra parte, a causa della frammentazione emergono nuove divisioni sociali. Dato che queste divisioni sociali sono definite da differenze culturali e religiose, Barber utilizza il termine Jihad per riassumere questa tendenza di politica internazionale. Il futuro, secondo Barber, sarà caratterizzato da uno scontro tra queste due tendenze: Jihad vs McWorld. La differenza da Huntington è che Barber vede questi conflitti a livello più locale e frammentato (non come S.H che vede un’unione di stati culturalmente affini che creeranno due blocchi contrapposti). La differenza da Fukuyama è che Barber non pensa che la globalizzazione porterà alla fine della storia. Barber ritiene che ne la Jihad ne il McWorld faranno bene al futuro della democrazia. Barber spera in una convivenza tra ideali democratici e tendenze antidemocratiche. CONCLUSIONE Ci sono degli eventi contemporanei che possono supportare queste 3 visioni del futuro. L’11/09 e l’inizio della guerra al terrorismo si ricollega alla visione di Huntington. La primavera araba del 2011, dimostrando che libertà e democrazia non sono giusti solo per l’occidente,si ricollegano alla visione di McWorld di Barber. Realismo, liberalismo e radicalismo motivano le politiche intraprese dai gruppi interni alla società e perseguite dai leader degli Stati. Queste politiche non solo variano tra gli Stati, ma anche nel tempo.
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