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Riassunto1 economia aziendale, Appunti di Economia Aziendale

riassunto - riassunto

Tipologia: Appunti

2014/2015

Caricato il 24/11/2015

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ludovica_di_geronimo 🇮🇹

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Scarica Riassunto1 economia aziendale e più Appunti in PDF di Economia Aziendale solo su Docsity! L’AZIENDA Introduzione all’Economia Aziendale I rami del sapere sogliono distinguersi in “rami del sapere storico” e “rami del sapere comune o permanente”. I primi, detti anche individualizzanti, quali ad esempio la Storia, individuano ciò che è particolare ed unico degli eventi, ponendone in luce le conseguenze ed analizzandone le cause. I secondi, definiti rami del sapere generalizzanti, pongono in luce ciò che, negli eventi osservati, può essere considerato generale, comune e permanente: questi ultimi soltanto possono essere considerati scienze. Le scienze possono essere distinte in scienze formali (quali la Logica, la Matematica ecc.) ed in scienze empiriche che si sono sviluppate con lo scopo di descrivere, spiegare e, quindi, prevedere le relazioni tra fenomeni reali. Le scienze empiriche si distinguono in positive e normative, le scienze empiriche positive individuano e formulano leggi ed uniformità, sono dette “scienze di ciò che è”. L’Economia Aziendale è quindi una scienza generalizzante empirica positiva, rientra fra le scienze sociali in quanto ha per oggetto l’uomo osservato quale unità elementare di un sistema o gruppo di appartenenza. La concezione istituzionale dell’azienda Al fine di individuare il concetto di azienda e di descriverne i tratti peculiari è opportuno premettere alcune nozioni fondamentali. Per bisogno si intende la necessità o il desiderio dell’uomo di uscire da uno stato di insoddisfazione mediante l’utilizzo di mezzi ritenuti adeguati ed a tal fine destinati; questi ultimi sono detti genericamente beni e quando sono in quantità limitata rispetto ai bisogni prendono la qualifica di beni economici. Il complesso dei beni economici costituisce la ricchezza. Si definisce sistema economico il complesso degli operatori economici agenti in un dato Paese, i quali vengono generalmente raggruppati nelle seguenti classi: • Operatore famiglie; • Operatore imprese; • Operatore Pubblica Amministrazione; • Operatore “Resto del Mondo”. A differenza dell’Economia Politica, l’Economia Aziendale studia le operazioni economiche in relazione agli istituti sociali - intesi come organizzazioni di persone e di mezzi – costituiti per il perseguimento di particolari fini e regolati da stabili norme. Nel 1494 Fra’ Luca Pacioli – detto il Paciolo – pubblicava il suo “Tractatus de Computis et Scripturis” in cui delineava, per la prima volta in modo formale, il metodo della partita doppia indispensabile per “incatenare” le partite di credito e di debito. La classificazione delle aziende Come si è detto, si giunge al concetto di istituto economico-aziendale o azienda quando l’attività economica espletata dall’istituto sociale si considera sotto l’aspetto economico così da accertare se e come tale istituto riesca a raggiungere i fini prefissati. PAGE 1 Pertanto, l’Economia Aziendale ha per oggetto di studio il sistema di operazioni economiche espletate da un istituto sociale, ovvero l’azienda, intesa come “coordinazione economica in atto istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani” (Gino Zappa). Il concetto di azienda implica il compimento di un’astrazione, nel senso che occorre prescindere da tutte quelle operazioni che, non essendo classificabili tra quelle strettamente economiche, vengono ignorate. La concezione istituzionale dell’azienda quale “istituto economico destinato a perdurare nel tempo” (Gino Zappa), consente di superare la nozione meramente giuridica definita dall’art. 2555 c.c. (“L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”) e richiama alcuni fondamentali caratteri: l’unità, l’autonomia e la durabilità. Il soggetto giuridico nell’azienda Il soggetto giuridico è dato dalla persona fisica, dal gruppo di persone fisiche o dalla persona giuridica che acquista i diritti ed assume le obbligazioni derivanti dalle operazioni economiche costituenti l’azienda. Il soggetto giuridico può essere rappresentato da una persona fisica singola; altre volte , invece, due o più persone fisiche si riuniscono in un istituto sociale che in alcuni casi dà origine giuridicamente ad un autonomo soggetto di diritti ed obblighi che viene denominato persona giuridica. Secondo il vigente codice si ha società quando “due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 c.c.). A questo proposito, si osservi che esistono vari tipi di società: • Società semplice: quando l’attività, pur essendo economica, non è commerciale (es. società agricole); • Società commerciale: quando l’attività dell’azienda è commerciale; • Società cooperative: che possono essere a responsabilità limitata o illimitata. In particolare, le società commerciali danno origine alle seguenti tipologie: • Società in nome collettivo (S.n.c.); • Società in accomandita semplice (S.a.s.); • Società per azioni (S.p.A.); • Società in accomandita per azioni (S.a.p.A.); • Società a responsabilità limitata (S.r.l.). Il soggetto economico dell’azienda Il soggetto economico risulta essere costituito dalla persona fisica o dal gruppo di persone fisiche che, di fatto, ha ed esercita nell’azienda il supremo potere di controllo e di comando, indirizzandone le operazioni aziendali verso obiettivi collimanti con i propri interessi. L’identificazione del soggetto economico è la premessa indispensabile per esplicitare il fine istituzionale perseguito dall’istituto economico destinato a perdurare nel PAGE 1 operativo. La fase istituzionale dell’azienda giunge a termine quando sono raggiunte le previste condizioni minime di sopravvivenza (condizioni atte ad assicurarle un equilibrio economico durevole, capace cioè di consentire un’adeguata rimunerazione a tutti i fattori impiegati); a quel punto l’impresa deve tendere al perseguimento dei suoi fini istituzionali. La fase di funzionamento operativo si estende senza soluzione di continuità per tutta la vita dell’azienda, esaurendosi solamente al sorgere della fase terminale. Le cause che conducono alla fase terminale si possono riassumere nella mancanza o deficienza di adattamento sia delle forze aziendali all’evoluzione dei processi della gestione futura sia del sistema azienda al sistema economico nel quale essa opera; tale mancato o deficiente adeguamento è il risultato tanto di errori di prospettiva in ordine ai fenomeni futuri quanto dalla scarsa elasticità della struttura aziendale. La capacità di adattamento della struttura aziendale all’incessante variabilità dell’ambiente economico circostante è il problema vitale per l’economia delle aziende. L’unitarietà del ciclo della gestione L’amministrazione – ovvero la complessa attività che viene svolta per risolvere i problemi di scelta e di convenienza economica per il governo delle aziende – può essere analizzata in tre distinti ma correlati momenti, che sono: a) Il momento oggettivo, rappresentato dalla gestione; b) Il momento soggettivo, che conduce allo studio dell’organizzazione; c) Il momento ricognitivo, che riguarda la rilevazione. Lo studio della gestione riguarda il sistema di operazioni poste in essere in vista del perseguimento dei fini istituzionali delle aziende. Le operazioni di gestione vengono generalmente strutturate in quello che viene definito il ciclo di vita o ciclo di gestione delle aziende; esso si articola in una serie di classi di operazioni che si susseguono non tanto in ordine temporale ma in ordine al raggiungimento dei fini istituzionali delle aziende. In particolare, tali classi di operazioni sono individuabili: • Nei finanziamenti (politiche del settore finanziario); • Negli investimenti (politiche del settore economico); • Nei disinvestimenti (politiche del settore economico); • Nelle rimunerazioni (politiche del settore finanziario); • Nei rimborsi (politiche del settore finanziario). La gestione si configura propriamente come un sistema di cicli che si estendono, tanto nello spazio quanto nel tempo, al fine di perseguire il fine istituzionale assegnato alle aziende. Osservazioni sulla unitarietà della gestione: la gestione è unitaria nello spazio in quanto le operazioni che si svolgono simultaneamente o in uno stesso esercizio non sono autonome ma tra loro strettamente collegate; la gestione non appare come un succedersi di operazioni distinte ed indipendenti, ma come un sistema di operazioni unite da vincoli di complementarità in cui l’economicità di talune operazioni non va considerata in sé stessa ma va ricercata anche nelle altre operazioni, passate o future. PAGE 1 La consapevolezza dell’intima connessione che lega le operazioni aziendali nello spazio e nel tempo risulta di fondamentale importanza al fine di comprendere compiutamente l’evoluzione della gestione delle aziende, in quanto la considerazione delle operazioni aziendali potrebbe condurre ad interpretazioni distorte degli eventi che caratterizzano continuamente la vita delle aziende di ogni tipo. Il ciclo di gestione nelle imprese Gli scambi che continuamente avvengono fra l’impresa ed i soggetti appartenenti a terze economie conducono non soltanto a movimenti – in entrata o in uscita – di mezzi monetari, ma anche a movimenti di crediti e debiti numerari. I crediti ed i debiti numerari non sono soggetti di stima o valutazione e possono essere considerati come movimenti di mezzi monetari differiti nel tempo. Per quanto riguarda i finanziamenti è opportuno distinguere quelli assunti con vincolo di capitale proprio (o di rischio) o con vincolo di prestito. I mezzi monetari ottenuti mediante i finanziamenti confluiscono successivamente a terze economie al fine di acquisire i fattori della produzione, in tal modo hanno origine gli investimenti. I fattori della produzione possono essere a veloce ciclo di utilizzo (materie prime e, in generale, tutti quei fattori che una volta impiegati nel ciclo produttivo necessitano di essere riacquistati) o a lento ciclo di utilizzo (impianti, macchinari e tutti gli altri beni strumentali). La cessione dei beni o servizi ottenuti caratterizza quelli che vengono denominati disinvestimenti che comportano di norma un’entrata di mezzi monetari. Questi mezzi monetari devono essere tali da garantire la copertura dei costi sostenuti cosicché l’impresa sia in grado di mantenere in futuro l’autosufficienza economica. Facendo esclusivo riferimento alle imprese, per autosufficienza economica si intende la stabilizzata attitudine della gestione a rimunerare con i ricavi, alle condizioni richieste dal mercato, tutti i fattori produttivi, capitale compreso; è importante sottolineare che quando si parla di autosufficienza economica non si deve far riferimento al passato, ma, al contrario, è necessario volgere lo sguardo al futuro, in quanto è nel futuro che l’impresa deve soddisfare le condizioni per raggiungere e mantenere le condizioni prospettiche del suo equilibrio economico. I finanziamenti, le rimunerazioni ed i rimborsi danno luogo a scelte configurabili in politiche di stretta competenza del settore finanziario della gestione, mentre, diversamente, gli investimenti ed i disinvestimenti in alcuni casi danno origine a scelte relative al settore finanziario della gestione, mentre altre volte riguardano il settore economico della gestione medesima. L’aspetto patrimoniale della gestione La complessa attività posta in essere per raggiungere i fini istituzionali dell’impresa può essere utilmente studiata sotto diversi aspetti, ciascuno dei quali pone in rilievo determinante modalità qualitative e quantitative del ciclo di vita dell’istituto. Tale ciclo viene studiato sotto l’aspetto patrimoniale, sotto quello finanziario e sotto quello economico. Con l’aspetto patrimoniale vengono poste in rilievo le caratteristiche quantitative, qualitative e temporali dei flussi di mezzi monetari o assimilati che contraddistinguono le varie fasi in cui si articola l’unità elementare della gestione. In PAGE 1 particolare, con l’aspetto in esame si studiano le quantità di mezzi monetari che entrano nell’impresa con i finanziamenti ed i disinvestimenti o che escono da essa con gli investimenti, le rimunerazioni ed i rimborsi. I flussi sopra citati possono essere configurati in: a) Flussi monetari, che comprendono le disponibilità liquide; b) Flussi numerari, che comprendono, oltre alle disponibilità liquide, i crediti ed i debiti numerari; c) Flussi numerari allargati, che comprendono, oltre ai precedenti, i crediti e debiti non numerari; d) Flussi di capitale circolante, che si ottengono aggiungendo ai precedenti tutto quello che si trasforma in moneta in un periodo inferiore alla durata del ciclo; e) Flussi patrimoniali tout court, che comprendono ogni elemento destinato a trasformarsi in mezzi monetari o assimilati. I flussi monetari risultano indispensabili al fine di indagare l’aspetto finanziario del ciclo di vita dell’azienda in quanto a questo scopo non risulta utile considerare i flussi numerari (i crediti numerari costituiscono degli impieghi di capitale mentre i debiti numerari rappresentano delle fonti di finanziamento). La conoscenza dei flussi numerari invece risulta indispensabile per l’analisi dell’aspetto economico del ciclo di gestione. La gestione studiata sotto l’aspetto finanziario L’analisi del ciclo di gestione sotto l’aspetto finanziario tende a correlare i flussi monetari per cercare le soluzioni idonee al raggiungimento ed al mantenimento delle condizioni prospettiche di equilibrio. L’indagine della gestione sotto l’aspetto finanziario consente di apprezzare l’evoluzione dell’autosufficienza finanziaria delle imprese; tale studio conduce, tra l’altro, all’analisi della variabilità temporale del grado di dipendenza dell’impresa nei confronti delle terze economie. L’autosufficienza finanziaria di una azienda è la sua capacità di assicurare in ogni momento la conveniente correlazione tra fabbisogno di capitale e copertura finanziaria. Il fabbisogno di capitale è una quantità che deriva dalla correlazione dei flussi monetari scaturenti dal settore economico della gestione. La copertura finanziaria è una quantità che si origina dalla correlazione dei flussi monetari afferenti il settore finanziario della gestione. Dalla contrapposizione della copertura finanziaria con il fabbisogno di capitale emerge un’altra quantità di azienda denominata riserve attuali di liquidità. La copertura finanziaria equivale alla somma algebrica dei debiti numerari e non numerari, delle quote di capitale di apporto e delle quote di utili rilevati ma non distribuiti. Dalle considerazioni di cui sopra si può desumere che tutte le operazioni che compongono la gestione possono e debbano essere analizzate sotto l’aspetto finanziario, in quanto tutte influiscono in via diretta o mediata sul fabbisogno di capitale o sulla copertura finanziaria; si deve osservare anche che l’aspetto finanziario ha carattere tipicamente temporale. La differenza tra copertura finanziaria e fabbisogno di capitale nelle loro misure assolute esprime l’entità delle riserve attuali di liquidità, le quali sono costituite da tutti quei mezzi di varia natura che possono essere facilmente alienati in breve tempo PAGE 1 La rilevanza di quest’ultima configurazione deriva dal fatto che essa esprime il risultato economico pertinente alla gestione tipica o caratteristica; di conseguenza, sono esclusi dalla sua determinazione i componenti positivi e negativi di reddito riferibili alla gestione finanziaria, alla gestione straordinaria ed a quella fiscale. Giova notare come la determinazione del margine operativo netto possa anche essere effettuata con “metodo diretto”, ovvero partendo dal reddito netto di esercizio e depurandolo successivamente di tutti i componenti di reddito estranei alla gestione tipica o caratteristica. = reddito netto di esercizio + oneri finanziari • proventi finanziari + componenti negativi straordinari • componenti positivi straordinari + imposte = margine operativo netto o reddito operativo L’ultima configurazione che si incontra prima di giungere al reddito netto dell’esercizio è il reddito ante imposte, la cui determinazione, come illustrato di seguito può essere diretta o indiretta. Procedimento diretto: = margine operativo netto o reddito operativo • oneri finanziari + proventi finanziari • componenti negativi straordinari + componenti positivi straordinari = reddito ante imposte Procedimento indiretto: = reddito netto di esercizio + imposte = reddito ante imposte Accanto alle configurazioni di risultato economico evidenziate ne esiste un’altra estremamente importante: il margine operativo lordo o reddito corrente; questo esprime la differenza tra componenti positivi e negativi di reddito pertinenti esclusivamente ai fattori a veloce ciclo di utilizzo. La determinazione del margine operativo lordo può essere effettuata seguendo due distinti procedimenti di calcolo. Primo procedimento: + valore aggiunto lordo PAGE 1 • costo del personale = margine operativo lordo o reddito corrente Secondo procedimento: + margine operativo netto o reddito operativo + ammortamenti = margine operativo lordo o reddito corrente La determinazione del margine operativo lordo o reddito corrente è alternativa a quella del valore aggiunto netto; infatti sebbene entrambe le configurazioni di risultato economico di esercizio siano estremamente significative non è possibile procedere ad una loro distinta indicazione in una stessa struttura di conto economico. I COSTI DI PRODUZIONE Il processo di formazione dei costi La produzione della ricchezza può essere opportunamente analizzata rapportando i fattori impiegati al risultato od ai risultati ottenuti. Sorge, quindi, la necessità di determinare il valore dei fattori di produzione impiegati per l’ottenimento dei suddetti risultati. Tali determinazioni danno vita ad un sistema di rilevazioni che si pongono come obiettivo quello di calcolare i costi di produzione nelle imprese, il sistema di queste rilevazioni si chiama contabilità analitica. Per costo di produzione si intende di norma il complesso delle spese o degli oneri, diretti ed indiretti, che esprimono i fattori produttivi impiegati per ottenere un prodotto; il costo di produzione è una quantità complessa di azienda, che tende a sintetizzare l’utilizzo, espresso in forma monetaria, dei fattori impiegati nei processi tecnici di trasformazione. Tale quantità di azienda presenta anche una natura astratta, in quanto la sua determinazione implica il compimento di un’astrazione tesa a recidere i molteplici legami che collegano le operazioni aziendali, le cui profonde ed intime relazioni rendono la gestione unitaria tanto nel tempo quanto nello spazio. Lo studio della nozione di costo di produzione richiede l’individuazione dei seguenti elementi essenziali: 1) l’oggetto; 2) gli elementi; 3) il principio; 4) i criteri. L’oggetto identifica l’entità di cui si vuole conoscere il costo. Gli elementi sono i componenti elementari che vengono fatti concorrere all’ottenimento del predetto risultato utile. Il principio costituisce la fondamentale linea-guida che informa l’imputazione dei componenti elementari di costo; solitamente tale principio è funzionale, nel senso che riflette il contributo dei corrispondenti fattori di produzione all’ottenimento del risultato utile. I criteri, derivano logicamente dal principio, e rappresentano le regole seguite per la concreta determinazione dei valori attribuiti ai fattori impiegati. PAGE 1 Le fasi o i momenti attraverso i quali occorre logicamente passare per arrivare al concetto di costo di produzione sono sostanzialmente quattro. La prima fase prende l’avvio dalla considerazione delle uscite monetarie o numerarie collegate ai regolamenti degli scambi nati per acquisire i fatto di produzione. Con la seconda fase è necessario procedere al raggruppamento dei componenti originari di costo in classi omogenee in relazione al fattore di produzione acquistato. Si determinano in tal modo i componenti derivati di costo che possono venire classificati nel modo seguente: a) costi per materie prime; b) costi per il personale dipendente; c) costi per energia e forza motrice; d) costi per immobilizzazioni tecniche; e) costi per immobilizzazioni economiche; f) costi diversi di esercizio. Nella terza fase del processo di formazione dei costi di produzione è necessario procedere all’imputazione dei componenti derivati di costo alle varie unità elementari in cui può essere suddiviso il complessivo processo produttivo. La quarta fase del processo di formazione dei costi di produzione è assai semplice, riassumendosi nella somma degli elementi di costo: è così possibile pervenire a diverse configurazioni di costo di produzione. Le varie configurazioni di costo di produzione Una configurazione di costo di produzione deriva dal graduale addensamento di elementi di costo diretti o speciali e indiretti o comuni riferibili ad un determinato oggetto di costo. Le diverse configurazioni di costo di produzione di distinguono in relazione ai seguenti elementi: 1) la funzione di riferimento; 2) le condizioni aziendali; 3) gli elementi componenti; 4) i criteri di valutazione di tali elementi; 5) il ruolo della variabile tempo. Secondo la funzione di riferimento, i costi di produzione si distinguono in relazione ai diversi settori nei quali si suddivide la gestione aziendale: si hanno così i costi di produzione, i costi di distribuzione ed i costi di amministrazione. I costi di produzione sono riferiti alla funzione produttiva. I costi di distribuzione possono distinguersi in costi di vendita e in costi di distribuzione veri e propri. I costi di amministrazione si possono classificare in costi di amministrazione veri e propri, in oneri finanziari ed in oneri tributari. In ordine alle condizioni aziendali, i costi di produzione si distinguono in effettivi e in ipotetici. I costi effettivi vengono determinati con riferimento a condizioni di impresa e a specifici volumi di produzione già realizzati nel passato. I costi ipotetici o standard rappresentano i costi che l’impresa sosterrebbe se operasse nelle condizioni ipotizzate. PAGE 1 • i vantaggi diretti ed indiretti di cui beneficerà il soggetto economico; • la politica del gruppo al quale eventualmente l’impresa fosse legata. Se la rimunerazione viene ritenuta adeguata, il capitale proprio rimarrà vincolato all’impresa, e più precisamente non si sposterà verso investimenti alternativi più appetibili. Le finalità (giustificazioni logiche che stanno alla base del calcolo del reddito di esercizio) del calcolo del reddito di esercizio sono molteplici e mutano in relazione ai diversi soggetti che, direttamente o indirettamente, sono interessati alla determinazione del reddito di esercizio; in generale, però, è possibile individuare tre categorie di soggetti e, conseguentemente, tre principali configurazioni di reddito di esercizio. 1) Soggetto economico: reddito di esercizio determinato per avere una base per attuare la politica di rimunerazione del capitale proprio o di ripristino delle condizioni idonee alla sopravvivenza dell’impresa; 2) Legislatore civilistico: tende alla tutela dei terzi e, quindi, al mantenimento della solidità patrimoniale dell’impresa, si configura come reddito legale ed è aderente agli art. 2423 e 2435 c.c.; 3) Legislatore fiscale: richiede una riclassificazione che conduce alla redazione di un bilancio “fiscale”, esso tende a rendere possibile il massimo prelievo tributario compatibilmente con l’osservanza della normativa fiscale. A questo punto dobbiamo ricordare che se dall’entità del reddito di esercizio vengono portati in aumento o in diminuzione i componenti reddituali di origine stimata, rispettivamente, negativi e positivi, è possibile ricavare il cosiddetto cash flow o flusso di cassa collegato al reddito di esercizio. Alla luce di questa considerazione è possibile pervenire alla coclusione che la contrapposizione dei componenti di reddito di origine numeraria con quelli di natura stimata, da un lato, e la determinazione del cash-flow, dall’altro, forniscono indispensabili informazioni necessarie al fine di apprezzare il grado di affidabilità del reddito di esercizio in modo da affrontare e risolvere razionalmente il problema della sua destinazione. I procedimenti per la determinazione del reddito di esercizio La determinazione del reddito di esercizio può essere condotta mediante diversi procedimenti, ciascuno dei quali si caratterizza per una differente attitudine ad evidenziare il gradi di affidabilità del reddito stesso. Il reddito di esercizio prelevabile o apportabile, come quantità astratta, necessita di essere interpretato per porre in rilievo le condizioni di impresa ed ambiente nel quale è stato calcolato; risulta necessario, infatti, tenere distinti i componenti reddituali frutto di stime, ipotesi e congetture da tutti gli altri che sono direttamente conseguiti agli scambi dell’impresa con terze economie misurati da variazioni monetarie e assimilate. Per quanto riguarda i procedimenti, si è soliti distinguere quelli analitici dall’unico procedimento sintetico che consiste nel calcolare il capitale netto esistente alla fine del periodo amministrativo e quello esistente all’inizio del periodo stesso. Il procedimento sintetico è quello che rispecchia, meglio degli altri, la definizione di reddito di esercizio concepito come l’incremento o il decremento, espresso in forma monetaria, subito dal capitale netto iniziale per effetto della gestione durante un PAGE 1 periodo amministrativo. Il procedimento in oggetto consente di pervenire correttamente alla misurazione del reddito di esercizio qualora non siano intervenute variazioni dirette nel capitale proprio o di rischio, nonché nei correlativi rimborsi o rimunerazioni. Il procedimento sintetico è stato e viene sempre applicato come procedimento sussidiario di controllo nello stato patrimoniale, presentando il pregio di una grande semplicità di applicazione. Procedimenti analitici: 1) Il primo procedimento analitico è strettamente legato al procedimento sintetico, in quanto ne costituisce il suo sviluppo naturale teso all’individuazione delle cause elementari sottostanti alla variazione subita dal capitale netto iniziale. Tale procedimento giunge alla determinazione del reddito di esercizio attraverso la somma algebrica delle variazioni, subite nel periodo, dai singoli elementi di capitale. Non è un caso che questo procedimento conduca logicamente alla rappresentazione del reddito di esercizio in un prospetto denominato “profitti e perdite”. È comunque doveroso osservare che non esiste un solo valore dei singoli elementi patrimoniali, bensì esistono tanti valori quante sono le finalità conoscitive che ispirano il processo di attribuzione dei valori. 2) Un altro procedimento analitico (applicato nei paesi anglo-americani), che deriva dalla stessa base teorica, analizza il contributo dell’attività tipica o caratteristica dell’impresa. Questo procedimento viene comunemente denominato a costi e ricavi correlati oppure a costo del venduto e ricavi. Anche in questo caso è utile osservare che non esiste il costo di prodotto, ma tante configurazioni di costo con riferimento alle varie finalità che ne presiedono la determinazione; ne consegue che adottando criteri diversi di valutazioni si giunge a diverse configurazioni di costo e di ricavo della produzione venduta e, quindi, ad altrettanto vari e diversi risultati lordi, pur nell’invarianza del risultato netto complessivo. E poi c’è anche da considerare che la contemporanea determinazione del reddito di esercizio e del costo della produzione venduta risultano finalità difficilmente conciliabili tra loro. Il processo di formazione del costo del venduto brevemente spiegato evidenzia un’inevitabile confusione tra componenti di natura stimata e componenti di derivazione numeraria, la quale preclude la possibilità di conoscere il grado di affidabilità del reddito di esercizio. 3) Il terzo procedimento, denominato a valore della produzione e costi(dottrina tedesca), consiste nel contrapporre il valore della produzione ottenuta nel periodo al costo della stessa. Il valore globale della produzione ottenuta scaturisce dalla somma dei beni e servizi “allestiti” nel periodo considerato, indipendentemente che essi siano destinati alla vendita o al deposito temporaneo in giacenza. Risulta semplice comprendere come anche questo procedimento non offra un valido contributo al fine di apprezzare il grado di affidabilità del reddito di esercizio. 4) Consideriamo ora un procedimento, che riassume le diverse impostazioni teoriche poc’anzi illustrate, attraverso il quale si cerca di evidenziare, in prima approssimazione, i singolo componenti reddituali dai quali scaturisce il reddito di esercizio; questo procedimento è noto come a costi, ricavi e rimanenze. Questo procedimento trova il suo fondamento su un sistema contabile che, durante il periodo amministrativo, precede alla rilevazione soltanto delle operazioni che PAGE 1 danno origine a scambi tra l’impresa e terze economie e che si estrinsecano in movimenti di mezzi monetari ed assimilati. Durante il periodo amministrativo, quindi, non vanno rilevati i componenti di reddito di origine stimata, i quali vengono considerati distintamente alla fine del periodo amministrativo, in sede di determinazione del reddito di esercizio. Con tale procedimento costi, ricavi e rimanenze compaiono distintamente nel conto economico consentendo di percepire il processi di formazione di tale quantità di azienda. Il giudizio in merito al grado di affidabilità del reddito di esercizio può, tuttavia, essere completo solo se tutti i componenti reddituali di derivazione numeraria sono tenuti nettamente distinti da quelli di matrice stimata, senza operare alcuna commistione di valori. I tipici componenti del reddito di esercizio Il reddito di esercizio risulterebbe formato, in prima approssimazione, dalla contrapposizione dei ricavi di prodotto e risultati differenziali positivi con i costi dei fattori di produzione a veloce ciclo di utilizzo e risultati differenziali negativi che hanno avuto la loro manifestazione numeraria durante il periodo amministrativo. Tali tipici componenti sono costituiti dai costi dei fattori di produzione a veloce ciclo di utilizzo e dai risultati differenziali negativi rilevati in diretta correlazione con variazioni numerarie passive e dai ricavi di prodotto e risultati differenziali positivi rilevati in diretta correlazione con variazioni numerarie attive. Tuttavia, si deve osservare che la differenza tra i suddetti componenti reddituali, positivi e negativi, non fornisce la misura del reddito che deve essere imputato al periodo amministrativo considerato. Al fine di determinare correttamente il reddito di esercizio, infatti, è necessario porre a confronto i componenti reddituali positivi e negativi, non già rilevati numerariamente nel periodo amministrativo considerato, bensì di competenza del medesimo esercizio. A fine esercizio si rende necessario espletare un complesso processo di assestamento dei componenti reddituali rilevato nel periodo in modo da discriminare i ricavi ed costi da imputare all’esercizio in oggetto da quelli da rinviare al futuro. Introduciamo quindi a questo scopo due nuove categorie di tipici componenti reddituali: i costi ed i ricavi sospesi finali. Possono essere definiti costi sospesi finali quei costi che, pur essendosi manifestati numerariamente nel periodo amministrativo in esame, non hanno trovato nello stesso il rispettivo ricavo e devono essere rinviati al futuro. I costi sospesi possono essere distinti in due gruppi: i risconti attivi finali e le rimanenze attive finali. I risconti attivi finali sono relativi a costi rilevati numerariamente nel periodo considerato, ma imputabili alla gestione futura in modo distinto ed in base al fattore tempo. Le rimanenze attive finali rappresentano componenti negativi di reddito che vengono stornati dall’esercizio in chiusura e rinviati alla gestione futura in modo indistinto. Un tipico componente reddituale, proprio delle imprese industriali, analogo alle rimanenze attive finali è rappresentato dalle cosiddette costruzioni interne o in economia, si tratta di costi rilevati numerariamente durante il periodo che vengono aggregati con riferimento ad un fattore a lento ciclo di utilizzo (possono considerarsi rimanenze attive pluriennali). Analogamente ai costi sospesi finali devono essere considerati i ricavi sospesi finali che sono dei componenti negativi di reddito che rettificano i ricavi rilevati PAGE 1 limite inferiori si riferiscono all’attribuzione di valore ai costi presunti ed ai ricavi sospesi. Per quanto attiene i fattori a lento ciclo di utilizzo, i valori-limite superiori si riferiscono alla quantificazione del valore assegnabile alle costruzioni interne, mentre quelli inferiori riguardano la determinazione delle quote di ammortamento e delle minusvalenze da valutazione. Come prima osservazione da valutare vi è quella che i componenti positivi o negativi al termine di un esercizio diventeranno, rispettivamente, componenti negativi o positivi all’inizio dell’esercizio successivo, ossia si ripercuoteranno con segno opposto nell’esercizio seguente. Ora dobbiamo distinguere le operazioni in corso di svolgimento, per facilità di comprensione, in quattro gruppi: 1) costi sospesi e ricavi presunti; 2) costi presunti e ricavi sospesi; 3) ammortamento; 4) costruzioni interne o in economia. 1) Si tratta di operazioni che hanno dato luogo, nel periodo amministrativo considerato, a uno o più costi correlabili distintamente ad uno o più ricavi che avranno manifestazione nel periodo o nei periodi successivi. Si tratta quindi di stabilire se è più opportuno optare tecnicamente per la sospensione del costo o dei costi sostenuti in questo esercizio o per l’anticipazione del ricavo o dei ricavi futuri. Per quanto riguarda la valorizzazione si dovrà scegliere tra: il valore presunto di realizzo diretto (che è una particolare configurazione di ricavo futuro opportunamente rettificato dai costi ancora da sostenere, da una quota di costi indiretti e da una quota-parte di oneri figurativi), il costo storico ed il costo attuale di riacquisto o di riproduzione (sono prudenziali limiti superiori). Il valore che andrà attribuito deve essere il minore tra il ricavo presunto di realizzo, il costo storico ed il costo attuale di riacquisto o di riproduzione. 2) Per quanto riguarda le operazioni del secondo gruppo, ossia quelle che vengono riflesse nei costi presunti e nei ricavi sospesi, le considerazioni effettuate in precedenza possono essere lette in modo speculare. Al fine di individuare il prudenziale limite inferiore, il primo parametro da ricercare è il futuro valore di presunta estinzione (che è il costo futuro integrato dai costi diretti, una quota-parte dei costi indiretti ed una quota-parte di oneri figurativi), poi andrà ricercato il ricavo attuale. Il valore che andrà attribuito dovrà essere non inferiore al maggiore tra il futuro valore di presunta estinzione ed il ricavo attuale. 3) Le operazioni del terzo gruppo riguardano i fattori a lento ciclo di utilizzo. Il costo di acquisto o di produzione di questi beni deve essere ripartito nei periodi in cui presumibilmente essi manifesteranno la loro utilità. Usando una approssimazione i costi di questi fattori possono essere determinati ricorrendo ad un dato tecnico che consenta di stabilire il grado di utilizzo in funzione dell’impiego avvenuto. L’opportuna considerazione del parametro tecnico in funzione del costo da ammortizzare consente di arrivare alla quota di ammortamento minima, che è il valore minimo che deve essere imputato all’esercizio in relazione all’utilizzo dei fattori. Da ricordare c’è il fatto che qualora il costo attuale di riacquisto o di PAGE 1 riproduzione del fattore a fecondità ripetuta risultasse inferiore al valore di presunto realizzo indiretto, la determinazione della quota di ammortamento dovrà avvenire sul primo di questi parametri. IL CAPITALE D’IMPRESA Il capitale di funzionamento Il capitale di funzionamento o capitale di esercizio o capitale di bilancio rappresenta la configurazione di capitale che viene determinata al termine del periodo amministrativo, simultaneamente al reddito di esercizio; esso è lo strumento che consente di rappresentare l’insieme di tutte quelle condizioni che avranno ripercussioni negative o positive nella determinazione dei redditi degli esercizi futuri. In particolare, escludendo la zona numeraria, gli elementi attivi del capitale di funzionamento esprimono tutte quelle condizioni che eserciteranno una influenza negativa nella determinazione dei redditi degli esercizi a venire, mentre gli elementi passivi esprimono tutte quelle condizioni che eserciteranno un’influenza positiva nella determinazione dei redditi futuri. In effetti, basti pensare che gli elementi attivi non numerari del capitale di funzionamento sono costituiti tutti da costi sospesi e da ricavi presunti che diverranno componenti negativi di reddito del successivo o dei successivi esercizi, in qualità di costi sospesi iniziali, di ricavi presunti iniziali e di quote di ammortamento. Analogamente, gli elementi passivi non numerari del capitale di funzionamento sono costituiti tutti da costi presunti o da ricavi sospesi che diverranno componenti positivi di reddito del successivo o dei successivi esercizi, in qualità di costi presunti iniziali e di ricavo sospesi iniziali. Il capitale di funzionamento può essere determinato, nella sua misura netta, adottando due diversi procedimenti: 1) Il primo procedimento analitico parte da una ricognizione di tutti i singoli elementi attivi e passivi del capitale, giungendo all’individuazione di un complesso omogeneo di condizioni attive, esprimente il capitale lordo, e di un complesso omogeneo di condizioni passive, rappresentato in genere da debiti e PAGE 1 poste rettificative, dalla cui contrapposizione si ottiene il capitale netto. Il procedimento analitico in esame consente di passare da una visione qualitativa dei vari elementi del capitale ad una visione prettamente quantitativa attraverso l’attribuzione di un valore a ciascuno di essi. 2) Il secondo procedimento sintetico si espleta effettuando la somma delle quote ideali di tale quantità. In particolare, nel primo esercizio di vita dell’impresa il capitale netto di funzionamento ricercato coincide con la somma algebrica del capitale d’apporto e del reddito, positivo o negativo, rilevato al termine del medesimo periodo amministrativo: + CAPITALE D’APPORTO +/-REDDITO DEL PRIMO ESERCIZIO = CAPITALE NETTO DI FUNZIONAMENTO ALLA FINE DEL PRIMO ESERCIZIO Negli esercizi successivi il suddetto capitale scaturisce dalla somma algebrica tra il capitale netto iniziale, gli eventuali ulteriori conferimenti – o gli eventuali rimborsi – avvenuti nel periodo considerato, le rimunerazioni assegnate nel periodo ai conferenti il capitale proprio mediante la distribuzione degli utili rilevati nel precedente periodo e, infine, il reddito, positivo o negativo dell’esercizio considerato: + CAPITALE NETTO DI FUNZIONAMENTO INIZIALE + NUOVI CONFERIMENTI DI CAPITALE PROPRIO - RIMBORSI DI CAPITALE PROPRIO - RIMUNERAZIONI AI CONFERENTI IL CAPITALE PROPRIO +/-REDDITO DELL’ESERCIZIO = CAPITALE NETTO DI FUNZIONAMENTO FINALE In sintesi, i tipici elementi attivi del capitale di funzionamento sono: + VALORI NUMERARI • Certi • Assimilati • Presunti + CREDITI NON NUMERARI + RIMANENZE: • Merci • Materie prime e sussidiarie • Semilavorati e prodotti in lavorazione • Prodotti finiti + RIMANENZE DI UNITA’ ECONOMICHE PARTICOLARI + RISCONTI + RATEI PAGE 1 redditi degli esercizi futuri o, più precisamente, sulle condizioni prospettiche di equilibrio economico. Il capitale d’apporto viene determinato al fine di perseguire due fondamentali scopi: anzitutto, per pervenire alla determinazione del reddito del primo esercizio di vita dell’impresa considerata e, in secondo luogo, per consentire la ripartizione dei redditi rilevati nei diversi esercizi tra i finanziatori con vincolo di capitale proprio. La determinazione del capitale netto d’apporto può essere condotta adottando tanto un procedimento analitico – che si attua contrapponendo il valore assegnato agli elementi attivi e passivi di tale capitale iniziale sulla base di un opportuno processo di ricognizione fisica degli elementi stessi – quanto attraverso un procedimento sintetico che si estrinseca nella somma algebrica di tutte le parti ideali positive e negative del capitale in oggetto. Da ricordare c’è che tra le attività del capitale d’apporto trova collocamento l’avviamento, che non avrebbe ragione di esistere nel capitale di funzionamento dell’impresa conferita. L’avviamento, infatti, è originato dalla differenza tra il valore globale attribuito al conferimento mediante una valutazione economica di sintesi e l’importo netto dei valori attribuiti alle altre attività e passività in sede di determinazione del reddito dell’ultimo esercizio, cioè del connesso ultimo capitale di funzionamento. La valutazione del capitale d’apporto deve essere sempre opportunamente confrontata con la configurazione del capitale economico in oggetto, al fine di evitare la sopravvalutazione degli apporti e per conseguenza l’annacquamento del capitale medesimo che, con riferimento alla tutela dei terzi creditori, produce effetti analoghi alla sopravvalutazione economica della quale si è detto prima. In definitiva, la valutazione dei conferimenti in esame tende alla quantificazione dei valori monetari netti realizzabili dai beni o dalle condizioni produttive apportate, ossia tende ad esprimere i correlativi valori di liquidazione sulla base del valore presunto di realizzo diretto. Il capitale di liquidazione Il capitale di liquidazione è una particolare configurazione di capitale d’impresa che viene riferita alla fase terminale della sua vita, allorché si accerti che il normale funzionamento operativo non possa più proseguire. Con la liquidazione l’impresa viene disgregata e il suo capitale è convertito in denaro, mediante la vendita disgiunta degli elementi attivi e l’estinzione di quelli passivi. L’avvio della procedura di liquidazione dell’impresa può derivare dia dall’autonoma volontà del soggetto economico (liquidazione volontaria), sia per imposizione di legge (fallimento o liquidazione coatta amministrativa). Nel caso di liquidazione volontaria il soggetto giuridico pone, di norma, in liquidazione l’impresa quando non risulti possibile o conveniente la sua cessione in blocco, ossia quale complesso economico funzionante. In sintesi, la determinazione del capitale di liquidazione si rende necessaria quando vengono meno le condizioni che consentono all’istituto impresa di perdurare nel tempo in condizioni di equilibrio economico e finanziario. La determinazione del capitale iniziale di liquidazione si estrinseca nell’identificazione e valutazione di tutti quei mezzi e quelle condizioni che hanno un PAGE 1 diretto e sicuro valore di scambio, o più precisamente, di tutti quei mezzi e quelle condizioni che si trasformeranno in entrate o uscite monetarie in un tempo più o meno breve. La determinazione de capitale d’impresa alla data della liquidazione presuppone come primo atto la stesura di un inventario, attraverso tale inventario si dimostra la nuova composizione con cui si rappresenta il sistema dei valori di azienda alla vigilia del suo dissolvimento. Si passa poi alla determinazione del capitale di liquidazione, esso si configura come l’insieme dei valori monetari attivi esistenti nel momento al quale tale grandezza è riferita e delle previsioni delle entrate o delle uscite monetarie che saranno cagionate dalla gestione di liquidazione, ossia dalla cessione dei beni realizzabili, dalla riscossione dei crediti, dalla estinzione dei debiti e dall’adempimento degli impegni di ogni altra specie. Il conto economico dei bilanci di liquidazione rileva le differenze tra quanto riscosso dal realizzo delle attività ed i corrispondenti valori di presunto realizzo, nonché le differenze tra quanto pagato per l’estinzione delle passività ed i corrispondenti valori di presunta estinzione. In conclusione, il capitale di liquidazione appare come una particolare configurazione quantitativa del capitale d’impresa; esso deriva dall’aggregato di valori che trova la sua connaturale espressione nella presumibile relazione quantitativa tra i valori distintamente attribuiti, in rapporto alla cessazione dell’azienda stessa, agli investimenti realizzabili, da un lato, ed agli impegni finanziari da estinguere, dall’altro. I procedimenti che consentono di determinare il capitale netto di liquidazione coincidono sostanzialmente con quelli precedentemente illustrati in merito al capitale di funzionamento. Il primo procedimento analitico si basa sulla ricognizione concreta delle attività e delle passività e permette di passare da un coacervo eterogeneo ad un complesso omogeneo di elementi patrimoniali, dalla cui somma algebrica scaturisce il capitale netto. Il secondo procedimento sintetico perviene al calcolo del capitale di liquidazione mediante la sommatoria delle parti ideali positive e negative. Nella fase di liquidazione, l’impresa, a differenza di quanto avviene durante la fase di funzionamento operativo, si presenta come un sistema “disintegrato”, dove il valore di ciascun elemento del capitale non è più determinato in funzione dell’attitudine strumentale alla futura produzione del reddito, ma è connesso all’idoneità più o meno immediata allo scambio, ossia ad essere prontamente alienato. Pertanto, il criterio fondamentale da seguire correttamente nelle attribuzioni dei valori del capitale di liquidazione è quello del valore presunto di realizzo diretto per le attività e del valore di presunta estinzione per le passività. Inoltre è opportuno sottolineare che nella fase di liquidazione non è necessario salvaguardare la rimunerazione adeguata del capitale proprio, vista l’impossibilità di una gestione futura. Per quanto riguarda la valutazione dei crediti è necessario sottolineare che risulta spesso necessario stralciare tutti quelli per i quali non vi è nessuna possibilità di riscossone; per gli altri crediti si deve procedere a parziali svalutazioni qualora sia PAGE 1 fondato assumere che la loro riscossione richiederà la concessione di abbuoni, ribassi o sconti. Il principio che informa la valutazione degli elementi attivi del capitale di liquidazione si fonda, dunque, sul concetto che, scomponendo il sistema aziendale, le attività hanno valore in quanto idonee ad essere vendute separatamente. Per la valutazione dei debiti il dato base è costituito dal valore nominale di ciascun debito, eventualmente accresciuto in relazione ad eventuali interessi moratori, nonché in ordine alle spese giudiziali afferenti alle pratiche iniziate da più impazienti creditori. L’INTEGRITA’ ECONOMICA DEL CAPITALE Le oscillazioni del valore economico della moneta La determinazione del reddito di esercizio e del connesso capitale presuppone l’impiego di uno strumento idoneo ad esprimere in termini omogenei quantità per lo più eterogenee. Tale strumento è notoriamente la moneta di conto, la quale consente di ridurre una pluralità disomogenea di grandezze in una quantità omogenea di valori. Tuttavia, non va trascurato che la moneta di conto, pur conservandosi nominalmente immutata, può presentare variazioni più o meno sensibili nel suo valore economico. Giova ricordare che il valore economico di una moneta è il valore che ad essa viene attribuito allorché un altro bene – opportunamente prescelto – funge da unità di misura. In presenza di sensibili oscillazioni del valore economico della moneta di conto è agevole osservare come i valori iscritti nei conti in tempi diversi, benché riferiti alla stessa moneta, non possono dirsi omogenei. In effetti nei periodi di oscillazione del valore economico della moneta la compilazione del bilancio di esercizio delle imprese diventa un compito irto di difficoltà: quando le valutazioni di fine esercizio non tengono nel dovuto conto le ripercussioni causate da tali perturbazioni, i bilanci presentano risultati illogici, incomprensibili o inattendibili. Le metodologie di assestamento suggeriti dalla dottrina economico-aziendale I risultati delle numerose ricerche promosse in questo campo hanno condotto ad individuare differenti metodologie, nessuna delle quali ha tuttavia polarizzato la generalità dei consensi. Queste metodologie consistono in procedure di assestamento intese a separare il cosiddetto reddito apparente (determinato applicando criteri di valutazione che non contemplano le variazioni del potere d’acquisto della moneta di conto) dal reddito reale (che tiene invece conto delle oscillazioni del potere d’acquisto della moneta di conto). Esistono qui cinque metodologie: 1) Alla luce di una prima metodologia – che si deve soprattutto a Zappa – la rettifica necessaria ad eliminare l’influenza della variabilità del modulo monetario potrebbe essere operata sui costi al fini di renderli omogenei ai ricavi – o, viceversa, sui ricavi al fine di renderli omogenei ai costi – oppure, in alternativa, direttamente sull’utile complessivo. La metodologia in oggetto propone che la PAGE 1
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