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La società dei consumi: definizione, storia e caratteristiche, Dispense di Sociologia Dei Media

Cultura ContemporaneaSociologia del ConsumoSociologiaAntropologia culturaleMarketing

Una panoramica sulla società dei consumi, dalle sue origini storiche alla sua diffusione nella società moderna. Viene definito ciò che non è il consumo e vengono distinte le diverse nature che si trovano all'interno dei consumi. Vengono inoltre analizzate le caratteristiche della società dei consumi avanzata e la relazione tra consumo e vita quotidiana.

Cosa imparerai

  • Quali sono le caratteristiche della società dei consumi avanzata?
  • Come si relaziona la società dei consumi con la globalizzazione e il localismo?
  • Come il desiderio e la comunicazione sono importanti nella sfera del consumo?
  • Che cosa si intende per società dei consumi?
  • Come si differenziano i consumi culturali da quelli alimentari?
  • Come si distinguono le diverse nature dei consumi?

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 27/01/2020

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anna-baratella-1 🇮🇹

4.3

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Scarica La società dei consumi: definizione, storia e caratteristiche e più Dispense in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! Sociologia dei consumi e del marketing È una branca della sociologia piuttosto recente, quindi non ha una sistematizzazione teorica così definitiva come la sociologia > non si può parlare di concetti generali alla base dei consumi, si parla di teorie e degli autori che le hanno espresse. Non possono essere identificati grandi temi, ci sono alcuni tentativi ma rimangono sempre tentativi > teorie che dobbiamo vedere separatamente le une dalle altre > riflessione per blocchi. 1. I CONSUMI Che cos’è il consumo? Cosa non è il consumo? Definire che “cosa non è il consumo” non è semplice perché quando parliamo di consumo non parliamo solo di ciò che ci serve per vivere (soddisfare i nostri bisogni primari), ma intendiamo anche la fruizione di beni e di merci che hanno un costo, ma che non si consumano con la loro fruizione (cinema = consumo culturale > ha la particolarità di non essere deteriorato, rimanere intatto ed è fruibile di volta in volta da diverse persone). Sono tipicamente bisogni che contraddistinguono le società avanzate nelle quali a fianco del soddisfacimento dei bisogni primari che sono dati per scontati ci sono una serie di altri consumi che vi si affiancano e che molto spesso hanno la caratteristica di non consumarsi effettivamente (anche tutto quello che ha a che fare con i servizi). Nei consumi culturali mettiamo quindi quei beni e merci che hanno una locazione nel mercato capitalistico ma non si esauriscono con la fruizione da parte di un singolo: musica, cinema, letteratura, videogiochi etc. La differenza con i consumi di tipo alimentare è che non è detto che tutti ne abbiano bisogno, bensì sono bisogni che contraddistinguono le società avanzate, nelle quali questi altri consumi si affiancano a quelli primari. “Si parla sempre di consumo per cose così diverse fra loro?” Non c’è una spiegazione univoca ed è quello che ha reso così complesso lo studio della società dei consumi proprio perché all’intero dei consumi ci sono tante nature diverse e quindi riflettere in modo univoco molte volte risulta complesso. Oggi viviamo in una società dei consumi che ha una serie di caratteristiche che la contraddistingue dalle società precedenti/tradizionali (nelle società precedenti il consumo c’era, non solo primario, come le tombe dei faraoni piene di gioielli ad esempio): il consumo c‘è sempre stato e differenziava le persone, serviva per dire “io ho più di te”. La stratificazione sociale c’è sempre stata, i consumi hanno sempre differenziato le persone, oggi dobbiamo capire in che modo i consumi hanno sempre differenziato le persone: ciò che conosciamo degli etruschi lo sappiamo grazie a quello che ci rimane di quegli oggetti. Le società tradizionali si basavano su un’economia di sussistenza, le classi più alte potevano concedersi consumi maggiori: si imparava quindi cosa si poteva consumare e cosa fosse giusto consumare. Prima Produzione di sussistenza: tutto ciò che viene prodotto viene consumato e prodotti come cibo e abbigliamento hanno valore solo per la loro utilità. La ridistribuzione dei beni in eccesso è oggetto di conflitto nelle società classiste (Marx, Weber). Marx e Weber insegnano che il vertice della piramide delle società tradizionali definisce la giustezza dei consumi. Il plebeo che utilizza un bene di consumo della classe maggiore non può utilizzare un bene in quanto non ne è in grado. Esempio: il gioco d’azzardo nel 700 era ritenuto un’attività dell’alta società a cui si dedicavano con leggerezza per socializzare, se un popolano giocava d’azzardo era immorale perché non possedeva le risorse che gli permettevano di fare questo tipo d’azzardo, quindi per lui diventava un vizio immorale. Oggi Oggi viviamo in una società dei consumi in cui la soddisfazione dei bisogni quotidiani avviene per via capitalistica, vale a dire mediante l’acquisto e l’utilizzo di merci di mercato. La sussistenza viene data per scontata, perciò non c’è più differenziazione dei consumi, si parla di parità dei consumi. Prima della seconda guerra mondiale in Italia si viveva di sussistenza: ogni famiglia produceva per sé, non c’era un mercato capitalistico alla base del sostentamento della maggioranza delle famiglie prima della seconda guerra mondiale (le grandi città avevano delle loro particolarità), oggi l’autoproduzione è un’attività di pochi e quelli che hanno qualcosa di autoprodotto nei loro consumi alimentari non copre l’intera gamma di consumi quotidiani, per il resto si rivolgono al mercato (mercato in cui si acquista ciò che serve per la vita quotidiana: consumi alimentari, abbigliamento, trasporti ecc ecc). Pagina di 1 46 È mediante il consumo di oggetti -culturali- che una data cultura può circolare ben oltre i confini del gruppo ce ne è originariamente depositario. Se nelle società tradizionali è possibile imparare cosa sia “giusto” consumare, nelle società moderne si acquisisce un generale orientamento ai consumi. Tutto questo produce un’altra differenza rispetto alle società tradizionali: la netta separazione tra la sfera di produzione e la sfera di consumo. Prima la sfera del consumo e quella della produzione erano le stesse, oggi queste due sfere sono separate. Quando lavoriamo veniamo pagati per il tempo in cui lavoriamo e non possiamo sprecare quel tempo per altre attività (sfera molto controllata e rigida). Quando finiamo di lavorare si apre un’altra sfera che riguarda i consumi (mangiare, cura di se, cultura, divertimento ecc). In questa sfera siamo altrettanto impegnati a fare attività di consumo che abbiano un senso e che non siano fine a se stesse. La società dei consumi è una sfera di azione a sé stante. Marx la vede coma la sfera in cui noi cerchiamo i significati (di ciò che siamo), in questa società gli individui sono sempre meno realizzati per il loro lavoro e sempre più realizzati nella sfera dei consumi. Se prima un individuo era definito in primis attraverso la sua professione, oggi un individuo tende sempre di più a definirsi attraverso ciò che consuma non solo in termini di beni alimentari ma attraverso le sue scelte di abbigliamento e di cultura. Ci sono persone che lavorano per mantenere le loro attività extra lavoro, il quale è la parte meno significativa della loro vita quotidiana perché il senso lo trovano oltre il lavoro. Il consumo Comprende tutti quei processi che riguardano la selezione, l’acquisto, l’impiego o l’eliminazione di prodotti, servizi, idee o esperienze da parte degli individui. Oggi consumare è agire da consumatori, nel senso che gli individui consumano tutti, non è possibile in questa società che un individuo non sia all’interno della società dei consumi in qualche modo. Oggi ciascuno di noi è coinvolto individualmente nel consumo e quello che noi cerchiamo di analizzare è questo agire da consumatori, proprio perché la sfera del consumo si è talmente dilatata che è necessario cercare di comprendere quanti più significati possibili possano attivare le persone quando agiscono da consumatori. Ciclicamente emergono delle tendenze oppositore rispetto alla società dei consumi che nella maggior parte dei casi non avvengono nella sfera della produzione, ma nella sfera del consumo: boicottando attività o prodotti e proponendo stili di vita critici rispetto ad alcune caratteristiche della società. Comunichiamo attraverso le cose che consumiamo, non è detto che dobbiamo sempre metterci un’etichetta negativa o moralistica a questo, dobbiamo rifletterci in maniera complessa. I nostri consumi in questa “società dei consumi avanzata” molto spesso hanno una funzione di comunicazione, le persone trovano nella sfera dedicata al consumo i significati più pregni di ciò che sono e non nella sfera del lavoro, su questo si basa la riflessione. Le scelte che facciamo nell’ambito dei consumi comunicano qualcosa di noi. Mark Zuckerberg nelle apparizioni pubbliche ha sempre la stessa maglietta grigia: è una cosa che ha fatto anche Steve Jobs (lupetto nero di uno stilista giapponese, per comunicare la sua essenzialità), ha fatto la stessa cosa dicendo che aveva sempre la stessa maglietta su consiglio del suo psicoterapeuta, gli aveva detto di eliminare dalla sua vita tutte quelle scelte che non gli erano indispensabili, avendo una vita così stressante. Una scelta minimalista di questo tipo può essere fatta da queste personalità in quanto comunica non l’incapacità di scegliere o la mancanza di gusto nell’abbigliamento, nel loro caso comunica la loro posizione sociale in termine di impegno e di gerarchia delle attività, diventa una sorta di elemento distintivo attraverso la non-distinzione. Sergio Marchionne era famoso per il fatto di non portare mai giacca e cravatta, ma sempre un maglioncino blu. Sono scelte che comunicano nella loro esclusività: potersi permettere di indossare sempre e solo una maglietta grigia è cosa da poche persone e comunica l’esclusività della persona che la fa. Tendenza moralistica: consumare è qualcosa di negativo, lettura del consumo deviata e fuorviante. La società del consumo è talmente complicata che non ci sono più leggi univoche, non c’è più concordanza tra esposizione del lusso e posizione sociale. Le dinamiche sono sempre più complesse. Il consumo è una scelta dell’individuo che ha margini di libertà: non siamo completamente liberi, ma neanche completamente dipendenti dai desideri di coloro che compiono strategie di marketing. Il consumo rispetta sostanzialmente il primo assioma della comunicazione: non si può non consumare. Quando parliamo di consumo parliamo di comunicazione, entrambi sono estremamente complessi e paradossali. Pagina di 2 46 Consumare È una pratica sociale e culturale complessa, interconnessa a tutti i fenomeni più importanti che hanno contribuito a definire la società occidentali contemporanee assolutamente consentito > c’era anche una dimensione molto moralistica del consumo, le classi inferiori non potevano consumare in eccesso perché: 1. Non se lo potevano permettere 2. Non avevano la tempra morale per consumare giustamente in eccesso Merci: bene frutto di un meccanismo di domanda e offerta in cui gli scambi avvengono attraverso l’utilizzo del denaro. “Quando è nata la società dei consumi?” > Domanda che ha molteplici risposte a seconda della dimensione a cui si fa riferimento. Le teorie vengono presentate in Ordine cronologico in base alla collocazione dell’origine. Dal commercio: Chandra Mukerji Chandra Mukerrji pone la società dei consumi più indietro nel tempo, dal commercio. Questa storica sociologa americana fa un ragionamento molto storico: le origini delle società del consumo si ritrovano nella società europea tra ‘400 e ‘500 che iniziava a spendere i commerci nelle colonie, e in Europa cominciavano ad arrivare merci prima sconosciute > enorme spinta ai consumi e alla CULTURA DEL CONSUMO. Tra ‘400 e ‘500 in Europa iniziano ad arrivare nuovi prodotti che acquistano un valore enorme, alle volte gli scambi si facevano con le spezie e secondo alcuni storici quelli che intrapresero i viaggi verso nuove terre lo fecero per cercare nuove vie per coltivare le spezie, scambiare i libri e le tele di cotone stampate indiane, le porcellane cinesi e le tinture per i tessuti. Questi beni arrivano prima di tutto nelle corti che si possono permettere il consumo di questi, che sono beni molto costosi anche perché implicano un’impresa commerciale rischiosa, a lungo termine. A fronte di questo riflette sul fatto che questi beni creano una cultura del consumo, nel senso che prodotti nuovi e sconosciuti quando arrivano nella disponibilità di questi ceti devono essere classificati: devono acquistare un significato culturale, ci deve essere qualcuno che dice come vanno usati questi beni nuovi o sapori diversi > processo di classificazione e significazione di questi beni che creano una cultura del consumo. Murkerji sostiene che in questo periodo la cultura europea è concentrata nello sviluppare nuove forme di classificazione intorno a questi prodotti che devono avere nuovi significati. Esempio: Il cacao (Sud America) all’inizio non era gradito, poi con la commercializzazione dello zucchero, nel ‘500 (che gli si abbina) nasce la cioccolata che diventa una bevanda molto utilizzata nelle corti spagnole, un alimento molto utilizzato durante i digiuni. Si accompagna a tanti altri significati sociali (alle cineserie ad esempio, la cioccolata va bevuta nella tazzina di porcellana cinese), diventa un rituale di socialità che scandisce la vita di corte. Questo prodotto ad un certo punto diventa significativo ed entra nelle abitudini di consumo prima delle corti Spagnole e poi si allarga soprattutto nei paesi latini (collegamento col digiuno), e alle classi sottostanti come elemento energetico per i lavoratori. Montesquieu (‘700): I popoli d’Europa avendo sterminato i popoli d’America hanno dovuto mettere in schiavitù quelli dell’Africa per dissodare tutte queste terre. Lo zucchero sarebbe troppo caro se la pianta che lo produce non fosse coltivata da schiavi. Ad un certo punto il fabbisogno europeo di zucchero diventa ingente e gli europei cominciano a trasferire intere popolazioni dell’Africa in queste terre vastissime dul Sud America e dell’America settentrionale per coltivare zucchero, cacao, caffè e cotone. Se queste persone invece di essere schiavizzate fossero state pagate vivremmo in un mondo molto diverso > i consumi sarebbero stati diversi e l’evoluzione di questa società anche. Il caffè: è stata considerata per molto tempo la bevanda puritana per eccellenza che cambia le abitudini alimentari degli inglesi. Il caffè con le sue qualità psicoattive diventa la bevanda ideale per i puritani che devono lavorare molto, essere efficienti e cambia le abitudini alimentari degli inglesi ( fino al ‘600 facevano colazione con la birra, poi viene sostituita dal caffè) > anche qui lo zucchero fa differenza. Pagina di 5 46 Rivoluzione commerciale: XV e XVI secolo. “Le Americhe sono state scoperte come effetto non previsto della ricerca del pepe” Sostiene che dietro allo sviluppo dell’industrializzazione nel XVIII secolo non c’era soltanto quell’etica protestante che Weber considerava la sorgente dello “spirito del capitalismo” ma anche quei modelli capitalistici di consumo che sono stati prodotti dalla rivoluzione commerciale del XV e XVI secolo. Questo avviene prima nelle fasce superiori della popolazione e poi pian piano si allarga a tutte le altre fasce di lavoratori che trovano nel caffè una bevanda energetica per lavoro e fatiche quotidiano, soprattutto se abbinato allo zucchero (che diventa ben presto alimento di massa). Altro elemento tipico inglese è ad esempio la marmellata, che si può fare se c’è lo zucchero. Lo zucchero diventa quindi l’alimento che accomuna tutte le classi sociali. Mukerji ragiona su tutti questi elementi proprio perché l’idea è quella di riflettere su una formazione di una cultura del consumo. Quando arrivano merci e nuovi alimenti bisogna prima di tutto definirli e classificarli , questo significato viene spesso dato da esperti, si ricorre a qualcuno che dica come utilizzare i nuovi gusti e i nuovi alimenti. Esempio: Nel 600 iniziano a venire pubblicati e distribuiti libri di cucina in cui si danno significati a tutti questi nuovi alimenti che arrivano in termine di pratica alimentare. Ci sono una serie di meccanismi che vengono messi in atto per creare significati attorno a questi beni e questi significati creano un valore economico. Secondo lei questa è una cultura edonista : le merci acquistano nuovi significati che danno loro valore economico. Il possesso di oggetti di consumo è una delle forme principali di piacere e d’identità sociale. Per forza di cose prima tutto questo avviene nelle classi elevate e poi arriva in tutti gli altri ceti. Nasce il “caffè”, cioè il luogo in cui si consumava la bevanda, e diventa un luogo frequentato soprattutto dall’alta borghesia che discute e crea la società civile che porterà poi a tutte le rivoluzioni politiche. Habermas:in un saggio sulla storia dell’opinione pubblica pone i caffè come luoghi che hanno formato la società civile perché intorno a questa bevanda le persone cominciavano a discutere di democrazia, politica e di destini dei popoli > luogo di discussione. Mukerji si preoccupa anche di rispondere alla critica su come si fa a conciliare questa cultura del consumo edonista con l’etica protestante che pone le basi, secondo Weber, della nascita del capitalismo > nell’etica protestante (puritana) troviamo lo spirito del capitalismo. I calvinisti creavano successo e benessere, e in questo trovavano un segno di salvezza, di predestinazione. Al calvinista allo stesso tempo però era chiesto anche di condurre una vita ascetica, lontana dai lussi e dalle passioni. I protocapitalisti protestanti e edonisti condividono l’obiettivo dell’accumulazione materiale: Mukerji dice che l’ascetismo protestante è perfettamente conciliabile con l’accumulazione edonistica perché un protestante anche se non deve ostentare comunque può accumulare, e trova altre vie per farlo. Esempio: in Olanda nel ‘600 c’è un enorme mercato dell’arte di nature morte (i protestanti non potevano avere raffigurazioni) e quindi c’è un’enorme fioritura del marcato delle nature morte perché il protocapitalista protestante doveva reinvestire i suoi capitali e le sue ricchezze. In Olanda non si poteva farlo nell’acquisto di nuove terre perché scarseggiavano. Cominciano ad abbellire le loro case protestanti con dipinti che hanno la funzione di investimenti finanziari > Ascetismo protestante e cultura edonista non sono in contrapposizione perché entrambi hanno come obiettivo il capitalismo industriale. Dalla politica: Grant McCracken Pagina di 6 46 Prodotti nuovi e sconosciuti sollecitano gli individui a sviluppare nuove capacità di classificazione culturale. Modelli culturali di tipo materialistico per l’utilizzo di nuovi beni -esotico, dietetico, tecnologico, gastronomico.. Cultura edonistica Entrambe le epoche sono cioè caratterizzate da un consumo di tipo edonistico e ostentativo, indispensabile per lo sviluppo delle industrie perché assicura certezza e continuità nel collocamento della produzione attraverso la stimolazione di una sempre crescente domanda di beni. “La società dei consumi nasce dalla politica”: teoria formulata da Grant McCracken, antropologo che riflette anche sui rituali del consumo quotidiano. Secondo lui la società dei consumi nasce in Inghilterra alla corte di Elisabetta I nel 1558. La regina Elisabetta I costrinse i nobili a frequentare la sua corte quotidianamente perché in questo modo stimolava lo sfarzo del suo regno: in precedenza i nobili acquistarono i beni di lusso per affermare allo stesso tempo sia il prestigio e la reputazione dei loro familiari, che quello dei discendenti futuri; ma da un certo punto in poi incominciarono a sentire la necessità di spendere soprattutto per se stessi, anziché per le generazioni future, spinti dal bisogno di affermare nella società la propria personalità > così il singolo individuo sostituì il nucleo familiare come unità di consumo di base. La sovrana pensò di costringere i nobili a trasferirsi dalle loro residenze di campagna presso la corte, in questo modo ottenne il risultato di far pagare ai nobili parte delle spese che erano necessarie per finanziare le spese necessarie. I nobili organizzano feste e banchetti per attirare l’attenzione della regina ed entrare nei suoi favori, per essere maggiormente desiderabili e visibili. Per farsi notare dalla regina i nobili entrano in un’orgia di consumo > teatralità della corte. L’obbiettivo della Regina era dimostrare a tutto il mondo che la corte era sfarzosa. Conseguenze: se prima quando non erano costretti a corte i nobili investivano nell’accrescere la ricchezza della famiglia, ora lo sfarzo di corte li costringe a spendere per loro stessi nello sfarzo di corte > consumo personale temporaneo. Se prima i beni venivano accumulati dai nobili ora lo sfarzo impone la ricerca del nuovo, dell’abito, del tessuto che possa colpire la regina in questa competizione > nasce la moda intesa come la ricerca del nuovo. Se il nobile comincia a spendere per se stesso a corte non spende più per la comunità che ha locale, si amplia la distanza sociale, si creano diversi universi di significati di consumo. Patina: segno del tempo che si appoggia sugli oggetti, testimonianza che quel valore è antico. La patina ha una funzione sociale importantissima perché testimonia la nobiltà di una famiglia. In epoca Elisabbettiana una famiglia per essere considerata gentilizia doveva esserlo almeno da 5 generazioni. Questi nobili potevano dirsi tali perché gli oggetti garantivano per loro. La ricchezza nuova può essere frutto di un caso, non sicura, non dà garanzie di solidità e prestigio > sistema più efficace per dare questa garanzia della ricchezza. Leggi suntuarie: definivano quali indumenti o colori le varie professioni potevano indossare. Le pellicce potevano essere indossate solo dai cavalieri. Queste leggi suntuarie però erano difficili da verificare e far rispettare > funzionavano poco. Inchiostro invisibile: in certi ceti vengono utilizzati solo alcuni gusti propri di quel ceto e che solo gli appartenenti a quel ceto possono conoscere. Gli stemmi e le onorificenze non funzionano bene come la patina perché si possono perdere, ma molto spesso anche se un cavaliere viene declassato è difficile che perda l’onorificenza. La patina è un sistema molto efficiente di garanzia di legittimità. Le famiglie che perdono status possono essere costrette a vendere le loro patine e la mancanza di patina denota la caduta di status. A loro volta i nuovi ricchi possono anche comprarli ma questo è difficilissimo perché gli oggetti dotati di patina devono avere un’educazione che li rende credibili nell’ostentazione/esibizione dei beni dotati di patina. McCracken sostiene che la patina resta valida solo nei ceti più alti, cioè nei ceti a cui la maggior parte delle persone non ha accesso e in cui c’è ancora questa attenzione alla testimonianza dell’antica ricchezza attraverso oggetti consunti dal tempo. Se lo facciamo noi facciamo la figura dei “barboni”. Dall’economia: McKendrick Pagina di 7 46 La Noblesse Oblige costringeva il nobile a redistribuire parte delle sue ricchezze alla comunità locale che da lui dipendeva. La distanza sociale si amplia, si creano diversi universi di significati di consumo. Secondo lui la patina è stata progressivamente sopravanzata dalla moda: l’imitazione fa parte delle classi inferiori ha portato quelle superiori a cercare di differenziarsi sempre più, ma per essere poi nuovamente imitate e quindi costrette ancora a differenziarsi in un processo competitivo senza fine. Patina: sistema più efficace per distinguere le persone in base al loro status. Indicatore di status molto efficiente Meccanismo di imitazione presente in tantissime altre teorie, alcuni ne parleranno in modo più strutturato. Idea che la moda si formi nelle classi più alte e poi venga imitata. di altri e quindi offre ai fruitori di provare emozioni, sentimenti, esperienze. La fruizione è lasciata libera perché le emozioni sono l’obiettivo principale dell’opera artistica > volontà di lasciare libero il genio artistico di esprimersi > matrice e innesco del modo in cui gli individui moderni si atteggiano nei confronti del consumo e nel desiderio di desiderare, sentire e fare esperienze. Il consumatore romantico quindi è un consumatore che rivive le esperienze e i sentimenti del genio ma nella sua libertà. Il Romanticismo fornisce alle masse modi nuovi di espressione e sentimento, di libertà di sentire e questo lo pone come elemento centrale. Solo attraverso le emozioni possiamo essere ciò che siamo e completarci come individui. Secondo Campbell ancor più che l’arte pittorica poté la letteratura: nel ‘700 i romanzi diventano un consumo diffuso anche nelle classi lavorartici > consumo ludico dei giovani ragazzi, veicolo di diffusione di questo nuovo atteggiamento, di questa importanza di sentire, fare esperienze ed esperire. La lettura diventa quindi un’esperienza ludica, si comincia a leggere per il piacere di farlo. I romanzi diffondevano le idee romantiche sull’amore e non erano finalizzati alla diffusione di capitali bensì a questa espressione di sentimenti interni che prima nessuno considerava nell’idea di matrimonio > pericolo sociali. Molto spesso venivano considerati soddisfazione dei propri bisogni: non più quelli di sussistenza ma bisogni nuovi. Come è possibile che l’etica protestante (così rigida) possa aver vissuto con l’etica Romantica? Campbell fa un ragionamento molto complesso e intuitivo per certi versi: secondo lui l’etica romantica e quella protestante sono perfettamente conciliabili attraverso il controllo autonomo, il protestantesimo ha addestrato le persone a controllare i propri impulsi e a “esprimerli in un altro modo”. Questa capacità di controllo si ritrova nell’etica romantica perché quello che fanno gli individui romantici e quello che facciamo noi è avere una soddisfazione di questi bisogni controllata, cognitiva, che si alimenta attraverso la procrastinazione della soddisfazione del desiderio e del bisogno, frutto della capacità di controllo delle pulsioni. Secondo lui il lusso genera più piacere del semplice stare bene, quando consumiamo qualcosa di più lussuoso il piacere che ne traiamo è maggiore del semplice stare bene. Però, dice, il piacere è legato alla capacità di valutare gli stimoli, il che riguarda sapere cosa si sta facendo in quel momento (essere presenti cognitivamente all’attività che porta piacere) se siamo troppo coinvolti alle volte rischiamo di perderci il piacere delle cose. In questo senso quando faccio delle esperienze piacevoli dobbiamo essere estremamente controllati. Secondo Campbell questa capacità di controllare gli stimoli è cognitiva e la possiamo mettere in atto anche quando non stiamo consumando un bene. Edonismo tradizionale: del corpo, legato alla mera soddisfazione di stimoli, connesso alle sensazioni. Edonismo mentale: della mente, capace di trarre piacere da tutti gli stimoli > il piacere non è semplicemente legato al corpo e questo è profondamente romantico. connesso alle emozioni (stimolo prolungato che noi controlliamo) . Le emozioni sono controllate, se siamo sopraffatti da quello che sentiamo in quel momento non possiamo goderci fino in fondo quello che ci accade intorno. Il controllo puritano e la capacità di poter dissimulare le passioni e gli impulsi si ritrovano nel romanticismo e ci permettono di continuare a desiderare di desiderare. Pagina di 10 46 Il consumatore romantico Ricrea le esperienze e i sentimenti del genio. Consumare prodotti culturali era un modo di adempiere al dovere di cercare esperienze diversificate e profonde, come parte essenziale dell’educazione del sé. Libertà del consumatore Secondo Campbell la religione protestante e la concezione romantica del consumo si sono nettamente spartite i compiti: una si è occupata della produzione, l’altra del consumo. “I lussi generano più piacere del semplice stare bene” Beni necessari: soddisfazioni Beni di lusso: piaceri Soddisfare i bisogni e cercare i piaceri non sono la stessa cosa. Il piacere è collegato alla nostra capacità di valutare gli stimoli: per provare piacere non dobbiamo necessariamente per esempio mangiare. Capacità di contemplare gli oggetti e di manipolare i significati, in modo da avviare gli individui all’autodeterminazione dell’esperienza emotiva. L’edonista moderno può trarre piacere da tutto. L’edonista moderno ha la capacità di manipolare il significato degli oggetti, in modo tale da procurare il piacere che serve per sentire un’emozione o provare una sensazione. L’emblema di tutto questo è Dandy e colui che con distacco trae godimento dalle esperienze vita, questo distacco ha origine puritana, idea di essere distaccati e di non essere controllato dalle proprie pulsioni. Dal Lusso: Werner Sombart Il capitalismo nasce da fattori legati alla produzione e al consumo, già dal ‘300. Colonie, fabbisogno degli eserciti, commercio internazionale hanno fatto crescere il numero di merci e di scambi, soprattutto di merci NUOVE. Siamo in Germania a cavallo degli anni ’10, scrive una serie di saggi che hanno tutti più o meno lo stesso titolo, in cui riflette sulla nascita della società dei consumi a partire dal lusso, considerati una delle letture più complete su questo argomento. Era un socialista proveniente dall’alta società tedesca, aveva collaborato con Weber e poi erano andati in contrasto per idee divergenti sulla guerra mondiale. Prima scrisse il saggio “Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?” Voleva dire che la società americana funzionava in maniera abbastanza ordinata attraverso il sistema di utilizzo dei consumi che si compensavano abbastanza bene; di fronte a un soddisfacimento dei bisogni primari e la proposta di consumi ulteriori la società americana non aveva bisogno del socialismo. Poi Sombart abbracciò il nazionalismo socialismo. Parla di lusso e generi voluttuari (merci non necessarie che svolgono in modo nuovo e raffinato funzioni che prima venivano portate a termine da beni più semplici). Sono principalmente spezie, droghe, profumi, seta, lino, zucchero, caffè, the e cacao. Le spezie erano estremamente pregiate, erano in alcuni casi utilizzate anche al posto del denaro. Le Americhe furono il risultato della ricerca di vie alternative per il commercio, quindi le spezie e i generi voluttuari nella prima fase del capitalismo diventarono fondamentali per capire l’evoluzione del capitalismo e anche della società dei consumi, questo perché queste merci vengono importate in Europa dalle colonie, acquistano dei significati e vengono acquistate, le colonie vengono sfruttate per aumentare la produzione di queste merci > promuovono una nuova organizzazione capitalistica di commercio, agricoltura e industria. Secondo Sombar i beni di lusso promuovono una nuova organizzazione capitalistica che riguarda la produzione, la distribuzione, l’approdigionamento, l’organizzazione logistica dello stoccaggio di queste merci. Per armare una flotta in grado di attraversare l’Atlantico ci vogliono capitali, perché questi sono frutto di investimento e alimentano un sistema di investimento che prima non c’era. Secondo Sombart il consumo di questi generi voluttuari innesca un meccanismo che sviluppa il capitalismo moderno. Il lusso crea mercati Nuova configurazione di bisogni che si diffonde dall’aristocrazia all’alta borghesia > la diffusione dei beni di lusso crea la cultura del consumo (ragionamento di tipo culturale). Secondo lui il lusso arriva per prima nelle corti (ragioni economiche), ma se non ci fosse stata intorno alla corte una classe sociale pronta a recepire i consumi che arrivavano dalla corte non saremmo dove siamo > espansione alla classe sottostante dei ceti più elevati e da lì a tutto il popolo. Edonismo in cui le persone ritrovavano il piacere del consumo di questi generi voluttuari. Con l’arrivo di tutti questi generi voluttuari si sviluppa l’esigenza di trarre piacere anche dal consumo di bene, piacere fine a se Edonismo tradizionale Edonismo moderno Ricerca del piacere legata ad attività specifiche - mangiare, bere ecc,. - Edonismo del corpo Ricerca del piacere in ogni/ tutte le esperienze. La vita stessa è fonte di piacere. Edonismo della mente Piacere connesso alle sensazioni Piacer connesso alle emozioni. La capacità di provare emozioni fornisce uno stimolo prolungato assoggettato al controllo autonomo Emozioni non controllate Emozioni controllate dal soggetto. Abilità di decidere la forza e la natura dei propri sentimenti. Dobbiamo essere in grado di prendere le distanze dalle nostre emozioni per poterle apprezzare. Piacere derivante dal controllo di oggetti ed eventi Piacere derivante dal controllo del significato di oggetti ed eventi. Puritanesimo: la capacità di sopprimere le emozioni può essere usata per esprimerle in modo controllato. Pagina di 11 46 stesso, piacere per il piacere > aumenta la propensione verso la ricerca del piacere attraverso questi beni, edonismo. • Accumulazione del capitale • Orientamento edonistico- estetico dalla corte all’alta borghesia È soprattutto l’alta borghesia che vuole mescolarsi alla nobiltà che ha disponibilità di capitali, a sostenere i nuovi consumi di lusso. Richiede capitalizzazione, economizzazione razionale, meccanismi di credito e una nuova configurazione dei bisogni che si diffonde dall’aristocrazia all’alta borghesia. Secondo Sombart i generi voluttuari sostengono il capitalismo materialmente e anche culturalmente, legando il consumo di questi generi voluttuari allo stile di vita e alle abitudini delle classi superiori che vengono imitate da quelle inferiori. È soprattutto l’alta borghesia, che vuole mescolarsi alla nobiltà e che ha disponibilità capitali, a sostenere i nuovi consumi di lusso. Crede che i generi voluttuari sviluppino l’edonismo perché appunto sono generei non necessari che secondo lui gratificano l’individuo, mitigano la sua incertezza, l’angoscia moderna della morte nella gratificazione attraverso il consumo di questi bene. L’edonismo moderno da un lato ha questa matrice materiale, dall’altra ha una matrice culturale per cui ad un certo punto i generi voluttuari rendono più felici gli individui attraverso il consumo piacevole di nuove merci e nuovi beni. Anche per lui c’è questo meccanismo di imitazione dall’alto verso il basso perché le classi elevate sono quelle che possono permettersi economicamente il consumo di questi genere voluttuari. Lo zucchero soprattutto diventerà un consumo di massa, e così anche cioccolata, caffè e in parte anche the. Il capitalismo si assesta e inizia una seconda fase del capitalismo che corrisponde all’industrializzazione, secondo lui europea, e ha a che vedere con la rivoluzione industriale e con la produzione europea di manufatti/ merci che acquistano significati. Si caratterizza con la nascita del design, cioè la produzione di merci a basso costo che rincorrono gusti più elevati. Sombart ha sostenuto che storicamente secondo lui il capitalismo ha attraversato due distinte fasi. Nella prima (1200-1750) il consumo dei costosi beni di lusso ha svolto una funzione molto importante, perché ha permesso alla produzione industriale di avere alti margini di profitto e dunque ha favorito la formazione di ingenti ricchezze, successivamente trasformate in capitali d’impresa. Nella prima fase del capitalismo le tendenze geniali di sviluppo del mercato dei beni di lusso sono state le seguenti: • La privatizzazione (progressiva penetrazione all’interno delle mure domestiche) • L’oggettivazione (la spersonalizzazione e la concretizzazione dell’individuo nei beni materiali) • Il raffinamento (l’incremento della quantità di lavoro necessario al perfezionamento del bene) • La concentrazione nel tempo (un consumo più regolare e più rapido dei beni). • La tendenza al mutamento (che si manifesta attraverso il crescente dominio esercitato dalla moda). Secondo Sombart questi processi sono diventati importanti soprattutto nella seconda fase del capitalismo, quella del “capitalismo maturo”, sviluppatasi a partire dalla metà del Settecento. Questa fase è caratterizzata soprattutto dall’impoverimento del gusto, che si esprime sostanzialmente attraverso una crescente povertà stilistica: l’arrivo al potere della borghesia nella società ha portato con sé un allargamento della base di consumo del lusso che inevitabilmente ha abbassato il livello di raffinatezza estetica dei beni consumati, ciò corrisponde la nascita ottocentesca del design. La produzione ha quindi iniziato ad industrializzarsi e produrre beni in serie che potessero soddisfare il desiderio di beni che avvicinava l’alta borghesia ai consumi aristocratici > questa seconda fase del capitalismo vede la razionalizzazione del consumo (di tutti i processi che erano stati visti in precedenza). L’alta borghesia prende dalla corte e razionalizza. Pagina di 12 46 Seconda fase del capitalismo Impoverimento del gusto Crescente povertà stilistica Nasce il design Generi Voluttuari: Merci non necessarie che svolgono in modo nuovo e raffinato funzioni che prima venivano portate a termine da beni più semplici. Richiedono un impegno perché esigono una commercializzazione particolare, questo secondo Sombart aveva scatenato tutto quello che descrive della prima fase del capitalismo. Beni di Lusso: Spezie, droghe, profumi, coloranti, seta, lino, pietre preziose, zucchero, caffè, tè, cacao. 3. LE TEORIE CLASSICHE Codeluppi è un professore, colonna portante dello IULM di Milano, è un sociologo che poi è diventato semiologia e si è dato ai nuovi media. Karl Marx Il capitale, 1867 Marx fu influenzato dalle riflessioni sviluppate dal grande filosofo tedesco sul denaro, pertanto nel suo saggio “La questione ebraica” pubblicato nel 1844 scrisse che “il denaro è l’essenza fatta estranea all’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l’adora”. Il consumo è visto da Marx come una forma autentica di godimento, che si contrappone allo spirito del capitalismo; però in altre opere il consumo è interpretato principalmente come una forma di alienazione, e dunque come una dimensione funzionale alle necessità del capitalismo. È cioè la modalità principale attraverso cui le persone vengono private della loro umanità. Questa è l’idea che ha portato Marx a sviluppare la sua teoria del feticismo A lui non interessava molto il consumo ma di più altri ambiti, come l’alienazione del lavoro, però affronta la questione del lavoro parlando del valore degli oggetti che vengono prodotti dai lavoratori fino ad arrivare a sviluppare il concetto che poi è stato ripreso in continuazione ogni qual volta si parli di marxismo e consumismo, cioè degli aspetti più negativi e deleteri del consumismo: feticismo delle merci. Secondo lui gli oggetti hanno un valore d’uso, cioè valgono per l’uso per cui vengono prodotti (una padella viene prodotta per cucinare cibo; un computer serve per tante cose e per scrivere una tesi, dal punto di vista dell’uso gli oggetti sono incompatibili), ma nella società capitalistica che si basa su un mercato di scambi mediati dal denaro, gli oggetti hanno un valore di scambio. In questo senso gli oggetti dal punto di vista del valore di scambio sono scambiabili tra loro. Marx ci dice che gli oggetti nel mercato capitalistico, con il denaro, hanno un valore di scambio in cui la mediazione è rappresentata dal denaro (Il computer vale TOT numero di pentole). Il valore di scambio deriva dalla forza lavoro impiegata per produrre quel determinato bene. Questa forza lavoro viene quantificata in una cifra di denaro che rappresenta il lavoro contenuto in un oggetto. Lo scambio avviene tra quantità di lavoro contenute dentro l’oggetto. Secondo Marx questa mediazione di scambio è il valore importante nell’economia capitalistica, questo valore di scambio occulta la forza lavoro. In questo modo le merci si separano dagli individui perché essi non vedono più la merce come frutto di un lavoro di un altro individuo ma lo vedono in termini di denaro. In questo senso le merci sono dei feticci, vivono di vita propria. Secondo Marx le merci sul mercato mediate dal denaro si staccano però dalle persone che le hanno prodotte, arrivano sul mercato perché hanno un valore di scambio e le persone non sono più in grado di riconoscere il valore del lavoro all’interno di quelle merci. In questo senso le merci sono dei feticci, separate dai soggetti, nel senso che le persone non sono più in grado di riconoscere i rapporti sociali che hanno realizzato quella cosa. Le cose esistono per essere vendute e comprate. Il valore d’uso si perde nel mercato delle merci che sono diventate dei feticci. Se le merci sono dei feticci la società è MERCIFICATA: i consumatori non sanno più cosa è utile e finiscono per consumare merci per far funzionare il capitalismo. I lavoratori continuano la loro alienazione anche quando consumano, sono loro che non riescono a riconoscere il valore vero del lavoro nelle merci e non fanno altro che alimentare il capitalismo delle merci. Il mercato capitalistico che fa diventare centrale il mercato di scambio mercifica tutto, tutto può avere un prezzo, anche quello che prima non era considerato mercificabile, tutto diventa merce, anche l’arte quando viene scambiata su un mercato e le viene attribuito un prezzo. Anche le relazioni sociali prima basate su fiducia e solidarietà (badanti, baby sitter, cura, ecc ecc). Emile Zola scrive “Les Repoussoirs” e racconta la storia di questa agenzia che vendeva un tipo particolare di servizi: la compagnia di ragazze brutte, che venivano acquistate da ragazze di alta società per sembrare più belle e trovare marito > tutto è merce, anche quello che si pensava non potesse avere un prezzo. La teoria dello scambio delle merci è una parte controversa della teoria di Marx: tutto può diventare una merce quindi la mercificazione della società crea anche nuovi lavori. George Simmel Pagina di 15 46 Le merci possono essere considerate in base al loro valore d’uso e in base a questo non possono essere intercambiabili, invece il valore di scambio le rende intercambiabili perché esso è mediato dal denaro. Da dove deriva il valore di scambio? Il valore di scambio deriva dalla forza lavoro: una merce vale nel mercato in base al lavoro necessario per produrla. 1895, “La moda” In questo saggio sostiene che la causa della variabilità che caratterizza la moda è da rintracciare nel continuo confronto che si manifesta tra due spinte contrapposte presenti nell’animo umano: quella che ricerca l’imitazione (o uguaglianza) e quella che si muove invece verso la differenziazione (o mutamento). Afferma che la moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di un appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del singolo un puro esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi […]. Così la moda non è altro che una delle forme di vita con le quali la tendenza all’eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si congiungono in un fare unitario. Utilizza il fenomeno della moda per dare contro alle dinamiche di base di qualsiasi fenomeno sociale. Tensioni che si trovano alla base di qualsiasi dinamica sociale: generalizzazione e specializzazione e tra imitazione e individualismo. La generalizzazione e l’imitazione sono a livello macroscopico, cioè attengono a dinamiche sociali più ampie, gli individui riportano queste due dinamiche a livello di interazione quotidiana in termini di imitazione e individuazione. L’individuo ha in se questa tensione per cui tende all’imitazione ma tede anche all’individuazione. L’individuo tende all’imitazione quando cerca la formazione di un senso del noi. Il “noi” ci definisce come persone, quindi l’individuo è imitativo quando si riferisce in termini di gruppo sociale (che ha tanti significati per un individuo). Quando diciamo “noi” ci adeguiamo alle scelte che il gruppo sociale ha già fatto, tuttavia abbiamo anche bisogno di sviluppare il senso dell’io e della nostra individualità, e quindi andiamo alla ricerca di elementi che ci possano distinguere dagli altri, anche all’interno del nostro gruppo. Andiamo alla ricerca di qualcosa di particolare, che ci distingua, anche qualcosa di anche mai sperimentato che ci aiuti a sperimentare il senso dell’io, della nostra unicità e individualità. Questo è alla base del meccanismo della moda: accogliamo lo stile di un gruppo di riferimento e quindi utilizziamo abiti, accessori ed elementi che ci permettano di riconoscerci simili ad un gruppo sociale (possono essere più o meno ampi). Quando facciamo le nostre scelte di moda da un lato assecondiamo questo principio imitativo per cui tendiamo ad attingere agli stessi elementi che vediamo che altri hanno già scelto, dall’altro lato comunque utilizziamo degli elementi per distinguerci e affermare la nostra individualità e la nostra unicità. L’importanza dei dettagli è fondamentale perché è quella che ci contraddistingue da tutti gli altri. Metropoli Nelle metropoli, dove le persone non si conoscono e la densità sociale è bassa, la gente utilizza le vesti per segnalare la loro appartenenza ad un gruppo. Secondo Simmel le mode sono sempre mode di classe, elementi che scegliamo per distinguere il nostro noi. Di solito le persone vogliono esprime l’appartenenza alla loro classe sociale. A un gruppo di riferimento più elevato (si imita quelli che stanno sopra, non quelli che stanno sotto). Molto spesso il nostro gruppo sociale usa la moda imitando i gruppi sociali più elevati (sono le classi superiori che sanno cosa è giusto consumare). La moda è un meccanismo di riconoscimento delle classi inferiori rispetto alle classi più elevate all’interno di questo meccanismo ciascun individuo esprime la propria unicità attraverso il dettaglio, che lo rappresenta come individuo singolo e unico, e così le mode si alimentano > meccanismo incessante che è stato chiamato da Lloyd Fallers: TRICKLE DOWN EFFECT, effetto di sgocciolamento. Avviene che la classe inferiore si impossessa di un elemento della classe superiore, quindi questo elemento non rappresenta più la classe superiore, la classe superiore lo abbandona e ricerca qualcos’altro, e così via > meccanismo imitativo incessante della moda. La moda (metropoli) La moda come metafora del fascino che il nuovo esercita sulla borghesia (che non ha patina). La moda assolutizza il cambiamento e le persone esprimono la loro originalità. Lo sviluppo delle mode rappresenta per Simmel una conseguenza dell’articolarsi della società in una struttura gerarchica che comprende le diverse fasi. Una struttura in cui ciascuna classe tende a chiudersi al suo interno e Pagina di 16 46 Le vesti segnalano l’identità, sia come appartenenza a un gruppo, sia come individualità “Le mode sono sempre meno di classe” In una società gerarchica le mode esistono perché alcuni gruppi voglio assomigliare a quelli di sopra di loro nella piramide sociale Trickle Down Effect Quando un bene di prestigio viene fatto proprio dalle classi inferiori, questo si banalizza, viene abbandonato in una continua ricerca del nuovo da parte delle classi superiori e dell’imitazione da parte di quelle inferiori. a differenziarsi nel contempo rispetto alle classi inferiori. Perciò ogni individuo consuma beni di prestigio soprattutto per apparire superiore agli appartenenti alle classi inferiori. La moda diventa un meccanismo di riconoscimento tra gli individui delle metropoli. Nella metropoli l’individuo blasé (distacco nei confronti degli stimoli) affida alle sue vesti una funzione importantissima, che è quella di comunicare chi è, come si posiziona e dove si trova. In tutto questo la moda è un elemento di segnalazione sociale fondamentale e alle volte diventa pericolosa quando diventa solo una maschera (elemento fittizio di rappresentazione del sé, quando dietro alla moda non c’è più nulla). Le critiche all’idea della moda di Simmel sono state diverse, la critica principale riguarda l’idea gerarchia che Simmel aveva della società, cioè il fatto che la società fosse stratificata in modo piramidale e quindi che le mode scendessero dall’alto verso il basso, questo funziona in una società integrata in cui il sistema piramidale della stratificazione è accettato, riconosciuto e legittimato. Invece noi oggi viviamo ancora in una società in cui la stratificazione è ancora piramidale ma questa stratificazione spesso viene rifiutata per cui le classi inferiori non hanno nessun desiderio di imitare le classi superiori di conseguenza si interrompe questo effetto di sgocciolamento. Anzi oggi accade sempre più spesso che siano le classi più elevate ad attingere stili dalle classi inferiori, patina e novità convivono. Il pessimismo di Simmel Simmel ha tratto ispirazione da Marx anche per formulare il concetto di “reificazione” (o feticismo), secondo cui i rapporti tra gli uomini non sono più diretti, ma mediati dalle cose (prodotte dagli uomini, ma resi indipendenti da essi) e dunque reificati. Ne deriva una svalutazione della persona umana. A differenza di Marx però, la visione del mondo di Simmel è decisamente più pessimistica: il denaro fa mettere da parte i gusti dell’individuo, insieme all’originalità e ai sentimenti, e dà vita ad un insieme di relazioni oggettive, che grazie ad esso possono essere perfettamente misurate e calcolate e che non lasciano pertanto spazio alla spiritualità e all’emotività. Il denaro quindi trasforma in puri mezzi molte cose che dovrebbero essere fini a sé stesse. Il dramma della civiltà è da considerare insuperabile ed eterno. Tom Wolf discuteva riguardo la categoria dei Radical Chic perché lui era stato ad un concerto organizzato dalla moglie di un famosissimo compositore e direttore di orchestra. A questa festa partecipava gente molto ricca di Manhattan, ed era una serata in beneficenza per un gruppo sociale che per definizione osteggiava questa gente qua, quindi lui riflette sull’assoluta incoerenza di questa cosa > donne ricche che fanno una raccolta fondi su un gruppo di persone che le contrastava. Thorstein Veblen Fu il primo ad individuare come, alla fine dell’Ottocento, con la comparsa sulla scena sociale dei nuovi ceti industriali e borghesi, la principale caratteristica del consumo fosse diventata la sua natura “vistosa” e “ostentativa”. Per Veblen gli individui sarebbero mossi nei loro comportamenti di consumo da una volontà di spreco determinata dalla necessità di ostentare socialmente le quantità di prestigio e di onore insita nella propria posizione, la quale è a sua volta dipendente dalla ricchezza monetaria posseduta. Sarebbero cioè motivati dalla necessità di dimostrare socialmente di essere ricchi. Veblen pubblica la teoria della classe agita, era americano e descrive la società americana di fine ‘800. Si chiede cosa ci sia alla base dello status sociale. Secondo lui alla base del prestigio sociale c’è la ricchezza, base secondo cui le persone vengono distinte, riconosciute, trattate ecc ecc > moneta sociale utilizzata dalle persone per conferire prestigio sociale, onore e status le une alle altre. Però se uno è ricco deve dimostrare di esserlo. Per confronto Veblen utilizza la figura dell’avaro: figura negativa perché non investe la sua ricchezza (etica puritana) e non consuma, e quindi non partecipa all’aumento del benessere di tutti (non consuma e non produce ricchezza) È ignobile perché non dimostra la sua ricchezza, non è riconoscibile, non usa la sua ricchezza per trarne onore presidio e status. Lui comincia a pensare a quali siano i modi per dimostrare la ricchezza per trarne prestigio status e onore. Secondo Veblen al vertice della piramide sociale si troverebbe “la classe agiata”, la quale può dimostrare la propria superiore ricchezza e il proprio status sociale prestigioso attraverso due differenti strategie: 1. Agiatezza vistosa (conspicuous leisure): dimostrazione di ricchezza tipico delle società premoderne. Oggi può essere esibita da poche persone (super ricchi), è uno spreco di tempo che consente di dimostrare di essere così ricchi da non dover lavorare. 2. Consumo vistoso (conspicuous consumption): tipico delle società industrializzate, è uno spreco di beni di lusso, praticato attraverso l’acquisto e l’ostentazione di nuovi abiti. Agiatezza vistosa Pagina di 17 46 Utilizza l’espressione “beni di cittadinanza”, che indica i nuovi beni immessi sul mercato dalle industrie, i quali consentivano a chi proveniva da una cultura rurale e arcaica di comunicare l’appartenenza alla società urbana e moderna. Erano perciò “quel patrimonio elementare di beni che costituiscono il segno distintivo dell’appartenenza a pieno diritto alla comunità e la cui mancanza o rifiuto è un segno di esclusione o marginalità”. Infatti l’Italia viveva all’epoca una situazione di forte spaccatura sul piano sociale “un nord sviluppato in pieno boom economico ed un sud arretrato da cui partivano milioni di emigranti. E il desiderio di questi beni indicava una fortissima volontà di integrazione”. Alberoni ha ammesso recentemente che, per quanto riguarda la relazione tra le due espressioni standard package e beni di cittadinanza: “Oggi la situazione è notevolmente mutata ed entrambe le espressioni vengono usate per indicare dei transiti da un ambiente sociale o da un ciclo di vita a un altro”. Gli italiani iniziano ad abituarsi alla “cittadinanza” del Carosello: beni e marchi diventano patrimonio dell’italiano medio e si posizionano come beni di cittadinanza. Il Carosello non poteva pubblicizzare beni che non potessero essere acquistati dalla maggioranza degli italiani, non doveva quindi creare odio di classe. Oggi i nostri beni di cittadinanza sono molto spesso tecnologici (cellulare, computer ecc ecc), hanno delle dimensioni generazionali (da adulti bisogno avere alcune cose e da giovani altre). Riesman ha sottolineato, infine, come nell’ambito dei comportamenti di consumo possano anche verificarsi casi di “sottoconsumo ostentativo”, intendendo indicare con tale concetto delle forme di “trickel effect alla rovescia” che consentono di ricercare la distinzione sociale attraverso la scelta snobistica effettuata da parte di individui dotati di un’elevata capacità di spesa di acquistare prodotti modesti e poco costosi, ma in grado ugualmente di differenziare segnalando il possesso di un gusto personale. In tal modo, la classe superiore cerca di imporre i suoi limiti a coloro che vorrebbero elevarsi allo stesso livello socioeconomico. Secondo Alberoni la strategia del sottoconsumo ostentativo delle classi superiori è una strategia per limitare i consumi delle classi inferiori. Gli anni ’60 in Italia vivono il boom economico, dato dal piano Marshall (prevedeva una ricostruzione sia economica che ideologica). Arrivano film che presentano la classe media americana con consumi voluttuari che negli anni ’60 nel nostro paese iniziano a diventare desiderati. Se prima i consumi dovevano bastare per 5/6 persone, con il matrimonio si passa a 2, e le persone vedono un impennarsi delle possibilità di consumo e iniziano a permettersi più cose. Esempio: la lavatrice è l’elettrodomestico principale cha cambia le abitudini degli italiani. Esempio 2: con la cucina economica iniziano a cambiare le abitudini alimentari. Esempio 3: il frigorifero permette lo stoccaggio degli alimenti, si va a fare la spesa con meno frequenza e vengono usati anche prodotti di difficile conservazione. Anche la televisione arriva molto spesso con il matrimonio (era il secondo regalo tipico dopo la lavatrice), la saturazione delle televisioni in Italia si avrà negli anni ’70. Jean Baudrillard Tutto questo viene raccontato anche da Jean Baudrillard, un sociologo/filosofo che riflette sulla dimensione del consumo negli anni ’60 in Francia all’interno di una prospettiva post moderna. È profondamente pessimista e a matrice marxista. Lui parte da una critica marxista pessimista post moderna, si chiede quali siano le nuove disuguaglianze sociali e come si mantengono, secondo lui si producono e si mantengono nella sfera del consumo. Comincia a interrogarsi su come funzioni il consumo nelle società post moderne. Solitamente i consumi si basano su una spiegazione di tipo economico (ho un bisogno e consumo per soddisfarlo); nella società degli anni ’60 i bisogni primari sono stati soddisfatti: a quali bisogni quindi bisogna far fronte? Sembrano innati, non si capisce da dove derivino ma se questi bisogni funzionano semplicemente Pagina di 20 46 Anche la nozione di “socializzazione anticipatoria” deriva de Riesman, che l’ha ripresa a sua volta dagli psicologi sociali e voleva indicare con essa l’azione di recitare una parte nella fantasia, di immaginarsi i un ruolo che non è il proprio. Il che implica di adottare comportamenti e consumi relativi a status superiori e non ancora raggiunti. attraverso questo meccanismo non dovrebbero riprodursi, ma Baudrillard sostiene che soddisfatti i bisogni primari facciamo fronte a una serie di altri bisogni che sono inesauribili, continua ad espandersi e non si capisce da dove arrivino, dice quindi che essi sono al di fuori dell’individuo e si trovano nel marketing e nella pubblicità. Si crea così un sistema dei bisogni: prodotto dal sistema di produzione che ne ha bisogno e lo mantiene per continuare a produrre. Marketing e pubblicità provengono dal sistema di produzione perché sono quei meccanismi che servono ad alimentare il sistema che permette di produrre. Il consumo stabilizza il capitalismo perché gli consente di rimanere sempre in moto. Baudrillard dice che il sistema dei bisogni va inteso non pensando solo a singole merci e singole cose ma è il bisogno di aver bisogno. La tristezza e il pessimismo generale derivano da questo bisogno che non viene mai soddisfatto e che si orienta sempre verso qualcos’altro. Il sistema dei bisogni costituisce anche un sistema degli oggetti. Comincia a prestare attenzione a cosa fanno gli individui quando consumano e propone una visione che lui prende dalla antropologia strutturalista e dalla teoria di Veblen dove parla del consumo come elemento di distinzione e differenziazione. Dice che in questo sistema capitalistico dove i sistemi sono generici, gli individui non consumano più il valore d’uso delle cose ma consumano il segno e il significato, perché le persone attraverso il consumo comunicano. Gli oggetti costituiscono un sistema come se fosse una lingua, perché li riconosciamo e usiamo insieme. Paradossalmente secondo lui le cose sono intercambiabili tra di loro. Se un oggetto d’oro ha un valore intrinseco, una marca non è preziosa per ciò che contiene ma per ciò che rappresenta. Non c’è consapevolezza quando acquistiamo e quindi viviamo in una società che ci porta a consumare utilizzando codici/un linguaggio che non fa altro che ribadire le disuguaglianze sociali. I codici li stabilisce chi ha la possibilità di farlo, cioè le classi meglio agiate che per prime possono permetterselo > società di consumo che non fa altro che ribadire e calcare le disuguaglianze sociali, che vengono mantenute pacificamente senza conflitto sociale. In questo la visione di Baudrillard era pessimista, perché avevano vinto le classi dominanti e il capitalismo, erano riusciti ad imporre un sistema pacificato in cui le persone rimanevano volontariamente senza consapevolezza e senza problemi. Pagina di 21 46 Il sistema degli oggetti Non esiste valore d’uso puro, naturale e materiale. Esiste il valore/segno delle merci Indica lo status del consumatore, lo differenzia dagli altri status. Non c’è consapevolezza. Secondo Baudrillard i bisogni non possono essere innati, perché se lo fossero non si spiegherebbe come mai nella società si moltiplicano e diventano sempre più ricchi e articolati. La loro origine deve risiedere pertanto al di fuori dell’individuo e non può che trovarsi nelle attività pubblicitarie e di marketing delle imprese. Ovvero nelle strategie di queste ultime tese a condizionare i comportamenti dei consumatori. Per Baudrillard quello che è realmente importante sul piano sociale è che l’intero “sistema di produzione” crea il “sistema dei bisogni”, cioè una disponibilità generale a consumare, un desiderio di desiderare. Dunque, un desiderio che può essere applicato a qualsiasi tipo di prodotto, ma non è legato a uno in particolare. L’influenza esercitata sul pensiero di Baudrillard dalle ricerche antropologiche di matrice strutturalista ha portato il sociologo francese a considerare l’insieme delle merci come un sistema comunicativo coerente e perfettamente strutturato. Ma dagli studi strutturalisti Baudrillard ha ricevuto anche lo stimolo a rintracciare all’interno delle ricerche svolte dagli antropologi sul dono nelle civiltà primitive l’esistenza di una possibile via di uscita dalla condizione di consumatori viventi nelle società capitalistiche. Nello scambio di doni, infatti, gli oggetti assumono un altro tipo di valore: il “valore di scambio simbolico” che deriva dalla loro capacità di comunicare il rapporto che lega ricevente e donatore di scambio. L’oggetto donato, cioè, non possiede alcun senso se considerato indipendente dalla relazione che rappresenta. Il dono non può essere considerato come segno perché per esso ciò che è fondamentale è la creazione e il mantenimento di un vincolo tra persone. Il donatore si priva di una parte di sé che deve essergli restituita. Ne deriva che le società primitive sono le vere società dell’abbondanza, in quanto i pochi beni posseduti sono continuamente fatti circolare dalle persone per alimentare i loro rapporti. La merce era dunque per Baudrillard un oggetto nel quale sono stati cristallizzati dei significati che circolano liberamente, senza subire evoluzioni, né trasformazioni di senso. Ciò però non può essere condiviso in quanto la significazione della merce non è da rintracciare dentro la merce stessa e si produce soltanto all’interno di una specifica situazione sociale, cioè all’interno delle relazioni intersoggettive e delle concrete pratiche d’uso. Il ruolo ostentativo e vistoso del consumo è reso possibile dall’esistenza di un “valore/segno” contenuto nelle merci, che va ad aggiungersi al valore d’uso e al valore di scambio marxiani. Tale valore segnalerebbe sia l’appartenenza del consumatore ad un determinato status sociale, che il suo grado di differenziazione rispetto agli altri status. Iperrealtà Sostiene che non viviamo più un mondo reale ma simulacrale (parchi a tema ad esempio). L’iperrealtà si basa su questa forma di esperienza per cui noi non viviamo nel reale ma in un simulato del reale, dimensione di esperienza preponderante nella vita. I mezzi di comunicazione di massa non fanno altro che proporre simulacri che noi utilizziamo per divertirci. Noi consumiamo segni e perdiamo il contatto con la realtà. Pierre Bourdieu 1979 La distinzione È un sociologo francese che ha un’impostazione completamente diversa rispetto a quella di Baudrillard. Le sue dichiarazioni si basano su ricerche empiriche, la sua matrice teorica di base è marxista (conflitto sociale e disuguaglianze) e ha l’interesse è andare a capire queste disuguaglianze. “La distinzione” è un testo in cui lui analizza una enorme ricerca svolta in Francia nella metà degli anni ’70. Parlava della società Francese, una società molto più separata rispetto alla nostra a livello di classificazione sociale. Ci dirà come funzionano le classi sociali e cose che noi intuitivamente sappiamo già, ma la potenza del suo pensiero sono le teorizzazioni provenienti dalle sue ricerche, ha dato una base scientifica a quello che noi già sappiamo intuitivamente. Il concetto da cui muove il pensiero di Bourdieu è quello che ognuno di noi ha un capitale individuale, esso si divide in: 1. Capitale economico (ricchezza) 2. Capitale culturale (istruzione e educazione) 3. Capitale sociale (formato dalle reti di relazioni in cui sono inseriti gli individui) Questi capitali sono strettamente intrecciati tra loro. Il capitale colturale può essere distinto in alto e basso e ciò corrisponde alla tradizionale distinzione tra cultura alta e cultura bassa. Secondo Bourdieu, questa distinzione dipende dall’esistenza di due tipi di estetica che sono in continua lotta simbolica tra loro: • Kantiana: un’estetica élitaria, che corrisponde alle idee del filosofo Kant e prevede la rinuncia al piacere immediato per favorire la distanza delle cose e un atteggiamento contemplativo che consente la valutazione e la comprensione; pertanto, quest’estetica comporta, ad esempio, che i dipinti debbano essere astratti e la musica priva di melodia e ritmo. • Anti-kantiana: un’estetica popolare che, al contrario, predilige il divertimento immediato, le sensazioni istintive e il piacere fisico e sensuale, perciò comporta che la pittura rappresenti cose piacevoli e persone attraenti e la musica sia melodiosa. L’estetica kantiana e quella anti-kantiana corrispondo nella società a due gruppi sociali precisi: l’élite sociale e le classi popolari. Ciascuno di tali gruppi rifiuta l’estetica dell’altro. Contrariamente dunque alla concezione di Simmel e Veblen, che consideravano una necessità l’emulazione delle classi superiori da parte di quelle inferiori, secondo Bourdieu ciò che rifiutiamo è altrettanto importante di ciò che scegliamo. Il gusto quindi implica automaticamente il disgusto. L’altro concetto su cui si basa la sua riflessione è l’habitus (somma di capitale culturale ed economico che non è qualcosa di agito consapevolmente ma è incorporato, lo consideriamo come una parte naturale della nostra Pagina di 22 46 Riassunto: Il consumatore è sfruttato, consumare non significa esprimere la propria individualità ma significa dipendere da questo sistema di oggetti deciso da chi ha il potere. Gli individui sono schemi di consumo predeterminai nel senso che usando gli oggetti per comunicare le persone in modo inconscio tendono ad imitare questi codici/linguaggi e i consumi per loro previsti. La dimensione teorica che Baudrillard utilizza è una dimensione astratta in cui pensa a come funziona la società della sua epoca. Pensa al consumo come un ambito di disuguaglianza = anche il consumatore continua a fare il gioco dei produttori, noi come consumatori accettiamo ciò che ci viene proposto e le classi di consumi a cui si pensa che noi dobbiamo aderire per comunicare chi siamo. Chi siamo è però stato deciso al di fuori di noi. Comunichiamo attraverso il consumo, ma non comunichiamo ciò che siamo, ma ciò che c’è stato detto di consumare. Ci fa riflettere e ci insegna quella che oggi è la lezione principale del consumo: i bisogni sono limitati e i desideri sono infiniti, sono al di fuori di noi e vengono continuamente alimentati. Studies il testo viene considerato come una proposta per un destinatario che è il solo in grado di poterne definire il senso finale. Il contributo di Hebdige Gli anni ’70 cominciano a interessarsi in maniera sempre più massiccia alle sottoculture giovanili. I cultural studies cominciano ad occuparsene in Gran Bretagna per opera di Dick Hebdige, che studia molteplici stili. Le sottoculture sono molto evidenti in Inghilterra in quegli anni, sono omogenee al loro interno e si differenziano dagli altri. La sua ricerca sulla subcultura punk ha mostrato come le subculture giovanili vadano interpretate non come testi isolati e definiti una volta per tutte, ma come pratiche significanti, come complessi processi di significazione di senso. Il problema che si pone agli studiosi è quindi quello cercare di decodificare le forme culturali prodotte dalle subculture giovanili nell’ambito di tali pratiche. Secondo lui soltanto un approccio di questo tipo consente di mettere in luce come le subculture siano unificate dalla capacità di produrre ciascuna un proprio personale “stile”(= insieme molteplice ma assolutamente coerente di elementi espressivi). Effetto di amplificazione: le persone venivano riconosciute e incasellate all’interno di alcuni giudizi sui gruppi giovanili. Usavano sistemi di segni per dimostrare la loro contrapposizione al sistema. Habdige scrive un saggio sulle sottoculture che diventa un punto di partenza per riflettere su come i gruppi sociali utilizzino i consumi per comunicare il loro stile, e come poi quello stile amplifichi il “chi sono”. Le sue teorie vengono utilizzate ancora moltissimo per spiegare tutti i fenomeni che riguardano queste tendenze dei giovani ad acquisire dei simboli e a stravolgerli dandogli un significato. Michel de Certeau Francia, anni ’80. Il suo lavoro rappresenta un’altra modalità di portare avanti l’impostazione sviluppata dalla scuola di Birmigham. Ha pubblicato il testo “L’invenzione del quotidiano” che ha dato avvio a un orientamento di ricerca teso ad attribuire al consumatore una specifica capacità che è stata definita “consumo produttivo”. È stato un pensatore molto isolato, il suo testo è arrivato nel nostro paese un po’ più tardi ed è tornato alla ribalta. È un testo molto metaforico per parlare della vita quotidiana, e cioè l’omologia del consumo > per parlare della società, degli individui e delle cose parla del consumo. Secondo lui i consumatori utilizzano qualsiasi cosa venga proposta sul mercato secondo modalità proprie e nel farlo svolgono un incessante lavoro di “fabbricazione”. I risultati di questa fabbricazione non sono oggetti concretamente visibili, né tantomeno prodotti che possano essere venduti sul mercato, ma si tratta di rielaborazioni che rimangono generalmente nascoste e silenziose. Conflitto tra strategie egemoniche e tattiche di resistenza Herni Lefebvre aveva già impegnato il concetto di strategia, derivante dall’ambito militare, per indicare i rapporti conflittuali che nel sistema capitalistico si sviluppano all’interno della vita quotidiana tra le diverse componenti sociali. Michel de Certeau utilizza e crea degli strumenti teorici che sono diventati diffusissimi, sono le riflessioni che fa sulle strategie egemoniche e le tattiche di resistenza. Così come per il cultural studies le persone erano attive nel ridefinire i consumi e comunicare ciò che erano attraverso l’agire di consumo e lo stile, anche de Certeau parte dal presupposto e dimostra che il consumatore è attivo e resistente, in opposizione alle logiche dei produttori. La sua è una visione politica del consumo: non importa che la maggior parte delle persone lo facciano in maniera inconsapevole, comunque consumare è un agire politico attraverso il quale le persone nella maggior parte dei casi oppongono resistenza attraverso tattiche di consumo inaspettate rispetto alle strategie dei consumatori. Secondo lui il consumatore è una sfinge. Ha ripreso il concetto di Lefebvre distinguendo però con precisione le pratiche del quotidiano in: - Strategie: comportano l’occupazione di un territorio, la cui conservazione dipende dalla capacità dell’occupante di gestirlo. - Tattiche: si basano sull’impiego di un luogo altrui, sull’abile utilizzazione delle situazioni, sulla capacità di sfruttare tutti i possibili vantaggi che possono capitare di momento in momento. Si può pertanto dire che le strategie sono azioni che privilegiano i rapporti spaziali, mentre le tattiche sono procedure che tendono ad intervenire soprattutto sul piano della dimensione temporale. Pertanto le strategie sono giochi che vengono praticati dai soggetti potenti, che occupano luoghi immateriali e materiali, mentre le tattiche sono le attività che vengono praticate dai soggetti deboli nel quotidiano. Pagina di 25 46 Consumatore sfinge • Gli atti di consumo sono invisibili • Gli atti di consumo sono indeterminati • Glia atti di consumo sono in potenza agenti di trasformazione Consumo e vita quotidiana coincidono. Il consumo è dinamico, creativo. Consumare usare leggere guardare: nessuna di queste attività lascia il soggetto, l’oggetto e il sistema intatto. Secondo lui il consumatore è una sfinge perché è inconoscibile, gli atti di consumo sono inconoscibili, indeterminati, però il consumo non lascia intatte le cose, le sue azioni producono dei cambiamenti. In questo senso secondo lui il consumatore cambia, è interattivo, dinamico e creativo. Secondo lui consumo e vita quotidiana coincidono e nella vita quotidiana l’individuo consumatore è costantemente attanagliato da questa contraddizione tra la minaccia del caos (i cambiamenti producono caos) e allo stesso tempo è egli stesso che cambia se stesso, gli oggetti e il sistema, in modo creativo, resistente e anche aggressivo. La vita è un campo di battaglia in cui ci misuriamo e cambiamo le cose ed è impossibile pensare che il consumatore semplicemente subisca le decisioni dei produttori. Da un lato ci sono le strategie: i potenti definiscono tempo e spazio e pretendono che questi modi e tempi vengono rispettati così come sono da chi vive il quotidiano. Dall’altro i consumatori non si adattano ma reagiscono in modo tattico, cioè utilizzano le cose, i beni e i servizi in modo loro proprio, in un modo che riguarda la loro quotidianità e non lo spazio e il tempo che i produttori hanno stabilito strategicamente. Gli individui piegano le strategie dei produttori alle loro modalità e in questo modo resistono. Quello che noi facciamo sovvertendo più o meno palesemente/consciamente ciò che ci propongono i consumatori è perché utilizziamo delle tattiche di resistenza alle logiche e ai giochi dei potenti che vorrebbero piegarci. Noi sfuggiamo in modo opportunista nel senso che queste tattiche rispecchiano le nostre esigenze e le nostre abitudini, e in questo modo modifichiamo le logiche previste dai produttori per il consumo delle loro cose e delle loro merci. Queste tattiche difficilmente sono insegnabili, perché sono transitorie, non sono immaginabili perché molto spesso sono estemporanee, frutto di un momento specifico di consumo. Esempio: quando leggiamo un libro possiamo adottare la strategia del produttore (leggere dall’inizio alla fine) oppure leggere in modo casuale (saltando parti o leggendo subito la fine ad esempio), impossessandosi dell’oggetto. Il concetto di tattica di resistenza è diventato molto utilizzato e molto famoso, lo si usa anche senza nominare De Certeau, nonostante la sua formulazione sia un po’ fumosa. Ha l’idea del consumatore attivo e resistente che oppone le sue tattiche di resistenza rispetto alle strategie dei potenti, costantemente, in continuazione, in modi microscopici o in modi più evidenti, che sia inconsapevole o consapevole, è comunque una tattica di resistenza che diventa un’azione politica. Noi utilizziamo tattiche di resistenza anche in modi microscopici, alcune per quanto inconsapevoli invece sono più resistenti. De Certeau attribuisce alle pratiche di lettura delle masse un valore eccessivo e probabilmente influenzato dalle ideologie marxiste e antagoniste dominanti in quegli anni settanta in cui ha lavorato. Tali pratiche però sono marginali e poco significative, e inoltre consistono in piccole scelte effettuate già all’interno di possibilità già rigidamente definite. Oggi Tra i vari autori che hanno seguito l’impostazione di de Certeau , alcuni hanno esplicitamente attribuito alla cultura popolare delle potenzialità antagonistiche. Tra questi vi è John Fiske, il quale si è richiamato a de Certeau, ma allo stesso tempo se ne è differenziato ritenendo che la cultura di massa debba essere considerata come il risultato di una produzione attiva della “gente” e non come il frutto dell’operato dell’industria culturale. Secondo lui la produzione di beni è al di là del controllo dei produttori: giace nella creatività popolare degli utilizzatori di quel determinato bene in quella economia culturale. John Fiske è un ricercatore della scuola di Birmingham, ha scritto dei testi che riprendono le teorie di Stuart Hall e ha mescolato de Certeau e Stuart Hall > l’idea è quella del consumatore attivo e quello che aggiunge di De Cetreau a questa attività del consumatore politica è la dimensione alternativa rispetto alla strategia del comunicatore. Riteneva che la cultura di massa dovesse essere considerata come il risultato di una produzione attivata dalla “gente”. Secondo lui la produzione di beni è al di là del controllo dei produttori: giace nella creatività popolare degli utilizzatori di quel determinato bene in quella economia culturale. Pagina di 26 46 Strategie e tattiche Le strategie sono i giochi dei potenti che occupano posti teorici e materiali. I potenti trasformano il tempo e lo spazio in luogo. La tattica cattura il tempo in una logica opportunista, impiego del luogo altrui. È transitoria, non cumulabile, non immagazzinabile. Modifica la logica di consumo. Esperienza della TV Quando noi la guardiamo dal punto di vista del produttore abbiamo il primo medium, il testo e un processo di produzione di senso che viene in qualche modo previsto dal medium. Spiega le logiche virali e di diffusione tipiche dei media digitali. Parla dell’esperienza delle televisione e sostiene che guardare la tv come esperienza pratica mette in campo tutti gli elementi che aveva ricostruito Stuart Hall più uno che non aveva individuato e che lui pone come un elemento fondamentale di produzione di senso e di successo di questi prodotti televisivi che è il piacere. È uno dei pochi che dice che la televisione viene guarda perché produce una qualche forma di piacere, assolutamente inconoscibile da parte dei medium (non lo può prevedere, a volte ci azzecca, altre no) perché è tipica della fruizione televisiva quella di sfuggire alle strategie dei medium, per cui il medium può essere abilissimo nel prevedere alcuni successi e alcune produzioni di significati, ma molto spesso quando si parla di piacere legato alla fruizione della televisione che il medium non riesce a prevedere ciò che fa. I testi sono polisemici, pieni di significato, sono potenzialmente aperti a tutte le persone che guardano questi testi. Allo stesso modo l’economia finanziaria ha le sue logiche/strategie e quella culturale ha le sue tattiche, che vanno a creare il capitale culturale popolare in modo imprevedibile da parte dell’economia finanziaria. Imprevedibile proprio perché le tattiche sono estemporanee. Jenkins nasce come uno studioso delle fun cultures, nasce come studioso del fun ?dome? e nello specifico come uno studioso della cultura dei fan di Star Wars. In un sistema mass mediatico come il nostro si assiste ad un processo per cui non è più il produttore che distribuisce il suo prodotto colturale (processo dall’alto verso il basso) oggi assistiamo sempre più frequentemente a processi in cui il produttore dà il suo prodotto alle masse, esse li modificano, li ridefiniscono e li rimettono in circolo. I fans sono diventati sempre più importanti perché in alcuni casi hanno modificato le storie (processo dal basso verso l’alto). George Ritzer La mcdonaldizzazione della società George Ritzer era un sociologo americano di impostazione neo weberiana che ha adottato una prospettiva di analisi che è in larga parte influenzata dal lavoro teorico sviluppato da Marx Weber. Il suo volume “The McDonaldization of Society”, pubblicato nel 1993, è bastato su un concetto di “mcdonaldizzazione della società”. Attraverso tale espressione intendeva indicare l’adozione nei paesi avanzati da parte delle più importanti istituzioni sociali di quel principio di razionalizzazione e standardizzazione nella gestione delle risorse umane ed economiche che la McDonald’s adotta quotidianamente nella sua offerta di servizi al consumatore e nella sua organizzazione del lavoro. Si tratta di un principio che Max Weber aveva ritrovato anche alla base del funzionamento della società del suo tempo. Si trattava però di un principio adeguato alla società industriale e capitalistica, Ritzer invece l’ha applicato alle contemporanee società ipermoderne, sostenendo che il funzionamento di queste ultime è simile a quello della McDonald’s. Intende dire che il principio di razionalizzazione, di standardizzazione che si ritrova in sistemi come quelli dei fast food ha pervaso l’intera società in tutti i suoi aspetti. Il principio di razionalizzazione alla base di quel principio economico è diventato così di successo da permeare dei principi della vita sociale. Ritzer dice che questa macdonaldizzazione ha un effetto disumanizzante, e tutti questi principi rendono i sistemi più efficienti ma con la disumanizzazione da pagare della società e della vita quotidiana. Mcdonald’s è una realtà globalizzata che opera attraverso l’impiego sapiente di quattro variabili che vengono applicate in eguale misura ai clienti e ai dipendenti: 1. Efficenza: nella razionalità mcdonaldizzata tutto è stato fatto molto velocemente, creando economie di scala e contendendo i tempi = capacità di sviluppare un metodo ottimale per soddisfare rapidamente l’appetito dei clienti. Il lavoro viene organizzato in modo efficace, standardizzato per soddisfare l’appetito dei clienti molto efficacemente facendo risparmiare tempo ai clienti dentro al ristorante. 2. Calcolabilità: si esalta la quantificazione, è tutto misurato e calcolato. Le prestazioni dei lavoratori sono tutte perfettamente misurate. Questa calcolabilità delle prestazioni va a detrimento della qualità del lavoro. Si basa sulla quantificazione che va a sostituire la qualità = elevata attenzione agli aspetti quantitativi del prodotto venduto. 3. Prevedibilità: si basa anche su questo principio, la standardizzazione prima nominata la troviamo qui sotto forma di replicabile. Un’altra caratteristica del McDonald è che lo troviamo in tutto il mondo e in tutto il mondo sappiamo cosa aspettarci dal McDonald. La standardizzazione molto spinta porta a questa omologazione di gusti e aspettative per cui da un lato questo elemento è confortante per i clienti perché non hanno sorprese. Viene azzerata la forma di incertezza = garanzia per il consumatore che i prodotti e i Pagina di 27 46 2. Consumo ibrido: proposta di diverse forme di consumo che sono tutte connesse (tutti i ristoranti ad esempio) 3. Merchandising: presenza di gadget per qualsiasi cosa, prodotti su licenza. È un aspetto molto importante perché su questo si basa una parte dei consumi all’interno dei parcogiochi 4. Lavoro performativo: i parchi a tema si caratterizzano per la presenza di mascotte e figuranti, il lavoro è una performance che esprime emozioni e divertimento, con il risultato di differenziare i beni e renderli più desiderabili. Secondo Bryman la disneyzzazione va verso una libertà del consumatore e di possibilità di scelta del consumatore, quindi è meno critica della mcdonaldizzazione perché le persone non sono passive e omologate all’interno di processi di calcolabilità controllo ecc ecc, ma propone percorsi personalizzati di consumo e di esperienza perché ha un’enorme varietà di azione da parte del consumatore (Codeluppi è d’accordo). La mcdonaldizzazione di Ritzer sicuramente ha avuto più eco della disneyzzazione di Brayan, quando si parla di globalizzazione si parla di un mondo alla McDonald’s. Gilles Lipovetsky Autore francese post-moderno ottimista, secondo lui la moda è la forma principale della macro-società e non deve essere considerata negativamente come qualcosa di immorale, ma va considerata caratteristica comune delle società moderne. Il testo a cui fa riferimento si intitola “L’impero dell’effimero” (1989) e anche questo testo ebbe un enorme eco negli anni ’90. Secondo lui la società è fatta a immagine della moda, la moda rimodella la società (moda= ricerca del nuovo e abbindolamento del vecchio, idea positivista presa in termini di evoluzione), libera l’individuo dalla tradizione e lo rende libero di scegliere. Questo rinnovamento frenetico e questa diversificazione data dalla moda e imposta a tutta la società governa sia la produzione che il consumo. Questa rincorsa della moda ha vari aspetti, propone cose nuove ma fino ad un certo punto. Utilizza criteri di obsolescenza, che possono essere di diversi tipi (qualcosa che è insito nel sistema delle moda, le cose sono sempre le stesse ma vengono cambiate per farle sembrare nuove > innovazione di facciata continua e frenetica), è l’aspetto ludico che interessa al consumatore, la ricerca del piacere della cosa nuova, non la cosa in sé. Rapporto che si basa sul piacere della cosa nuova e non sulla funzione. Da un certo punto di vista ribalta alcuni elementi che erano emersi dalle teorie sulla differenziazione di Veblen, secondo lui lo status non è così importante nel consumo perché quando le persone scelgono le cose non lo fanno sulla base del loro status ma sulla base di questo piacere ludico, sull’appropriazione del piacere delle cose. La moda quindi ha una funzione estremamente importante perché abitua le persone al cambiamento in una società perennemente in cambiamento. Secondo Lipovetsky la moda è importante perché proietta le persone verso una dimensione esperenziale di continuo cambiamento che è una competenza fondamentale di questa società. Questa società cambia sempre, non ci può più permettere di essere conservatori e tradizionalisti. La moda predispone i consumatori al cambiamento. Lipovetsky sostiene che bisogna abbandonare questo atteggiamento negativo nei confronti della moda perché essa predispone le persone al cambiamento. Non si parla più di spreco ma di flessibilità e adattamento. Forma-Pubblicità Invasione della comunicazione presente in qualsiasi interstizio della vita quotidiana, anche il singolo deve impegnarsi a comunicare se stesso perché deve essere sempre presentabile, deve curarsi, essere alla moda, essere anche esteticamente al passo con i tempi perché gli individui comunicano loro stessi > forma-pubblicità > lavoro impegnavo per comunicare se stessi. Devono adattarsi alla moda ma essere distinguibili. La forma-moda La forma- moda era un elemento molto ricorrente soprattutto quando si utilizza un’impostazione post-moderna ottimista. La moda rimodella a sua immagine la società e deriva da: • Idealizzazione del nuovo, del futuro, del mito del progresso. • Libertà dell’individuo dalla tradizione e di scegliere - Minore significato dello status nel consumo - Non c’è più alienazione, perché c’è distacco - “Abitua le persone al cambiamento…in una società perennemente mutante” MA Iperindividualismo vs bene comune - La comunicazione invade l’intero sociale - Anche il singolo individuo deve adottare questa strategia comunicativa Pagina di 30 46 La forma-moda Rinnovamento frenetico e diversificazione L’effimero governa produzione e consumo Obsolescenza, variabilità continua dei prodotti Il consumo è paradossale Il postfordismo tradizionale ha delle caratteristiche, tra cui quella dell’obsolescenza, ci sono due possibilità di guardare all’obsolescenza: pianificata ed estetica Obsolescenza pianificata: la sua storia nasce con le lampadine, quando i venditori all’inizio del ‘900 si misero d’accordo e iniziarono a produrre delle lampadine che duravano solo un certo lasso di tempo, in modo da alimentare la produzione. I produttori inseriscono la mortalità all’interno delle tecnologie. Molti produttori sono stati accusati di obsolescenza pianificata, non da meno Apple. Obsolescenza estetica: è quella più diffusa, si produce qualcosa che stia nel mercato per un paio d’anni e poi la cambio, ma il cambiamento che faccio è un puro cambiamento estetico, l’oggetto in sé rimane com’era. Si presenta al mercato un prodotto che SEMBRA nuovo ma in realtà viene solo modificato leggermente. Mike Featherstone Featherstone ha parlato di intermediari culturali, ne parla soprattutto in riferimento a quelli che fanno della cultura il proprio lavoro (si occupano di cultura propriamente detta), ne parla come un elemento innovativo di questa società in cui si è persa la dicotomia tra cultura alta e cultura bassa. Ha mostrato come all’interno delle numerose teorie sociologiche relative al postmoderno sia possibile individuare cinque tratti caratteristici di tale fase evolutiva dei sistemi sociali occidentali: 1. La messa in discussione della concezione romantica dell’arte, vista come la forma più alta d’esperienza derivante dal genio creativo dell’artista, in quanto tutto è già stato visto e scritto e non è più possibile perciò produrre delle vere innovazioni artistiche: crolla il mito dell’unicità del lavoro dell’artista e vanno in crisi l’idea dell’arte come entità autonoma da celebrare in un museo e soprattutto la distinzione tra arte e vita quotidiana, a anche tra arte alta e arte di massa; ne consegue che l’arte si diffonde ovunque; 2. Lo sviluppo di un’estetica della sensazione, che cerca di stimolare il corpo sfruttando l’immediatezza dei suoi processi primari, le capacità comunicative dei suoni e delle sue immagini e le possibilità date dall’immersione all’interno dell’esperienza di uno spettatore che in precedenza era un soggetto distaccato; 3. La criticità antifondamentalistica sviluppata nei confronti di quelli che Lyotard ha chiamato “meta- racconti”, i quali presuppongono una conoscenza “locale” basata su discontinuità, apertura, casualità, ironia, riflessività e incoerenza. 4. La trasformazione dell’esperienza concreta in un’esperienza che muove dalla rappresentazione per immagini di tale realtà e la frammentazione del flusso temporale, di un sovraccarico dell’immaginario e della simulazione che conduce ad una perdita del referente o del senso della realtà. 5. Un’estetizzazione del modo di percezione e un’estetizzazione della vita quotidiana, per cui l’esperienza artistica diventa il paradigma fondamentale da impiegare nel corso del processo di conoscenza e per l’attribuzione di significati alla vita umana. Il “disordine ordinato”. Lui riconosce che questi aspetti non sono nuovi nella cultura sociale. Si possono ritrovare, ad esempio, nei momenti di eccitazione, emozione incontrollata e piacere diretto e corporale sperimentabili in quelle situazioni caotiche che erano presenti nei carnevali, nelle feste popolari e nelle fiere che si svolgevano nel Medioevo. Ma all’epoca erano circoscritti alle classi popolari e a momenti limitati, mentre in seguito sono andati sempre più diffondendosi alle classi medie della società. Sono stati soprattutto i nuovo luoghi del consumo ad offrire quell’esperienza di disordine culturale che era propria dei carnevali, delle feste popolari e delle fiere del passato. Ma non si tratta della stessa esperienza, in quanto il processo di civilizzazione impone comunque alle nuove classi medie un controllo fisico ed emozionale. Il disordine ordinato che si sperimenta è comunque sufficiente a soddisfare il desiderio nostalgico delle nuove classi medie per una situazione di disordine culturale che nel tempo è stata soppressa e proprio perciò attrae irresistibilmente. Il risultato è che gli abitanti delle città sempre più voraci di segni, materiali estetici e forme culturali, cioè di “merci simboliche”. L’arte si sposta progressivamente dentro l’industria, attraverso il design, la moda e la pubblicità, e si genera un intenso flusso di segni e immagini che muta costantemente e tende a saturare ed estetizzare la vita quotidiana —> nuova classe media composta da intellettuali, artisti e studiosi, ma soprattutto “intermediari culturali”. Featherstone: “Tali nuovi intermediari culturali promuovono attivamente e popolarizzano gli stili di vita degli intellettuali per un più vasto pubblico, così come aiutano ad abbattere le esclusività della conoscenza intellettuale e la gamma di ricerche e di settori su cui gli intellettuali possono venir spinti a produrre commenti. Questo aiuta ad abbattere alcune delle vecchie barriere e delle vecchie gerarchie simboliche che si basavano sulla distinzione cultura alta/di massa. Ciò facilita anche l’educazione e la creazione di un pubblico più ampio di fruitori di merci ed esperienze artistiche ed intellettuali, di esperienze che sono ricettive verso alcune delle sensibilità evidenti in fenomeni come il postmodernismo”. Pagina di 31 46 Intermediari culturali Professionisti che operano soprattutto nei settori dei media, del design, della moda e della pubblicità e la cui attività comporta la progettazione, la produzione, il marketing e la diffusione di beni simbolici. Devianza come prodotto commerciale: •Commercializzazione della devianza: attività o stili anticonformisti si trasformano in prodotti commerciali, che spesso creano dilemmi per gli attori del controllo sociale •Deviare per divertimento diventa una forma di turismo •Devianza giocosa: breve, entusiasmante e liberatoria, marketing •Musica indie, sport estremi... •La devianza vende in quanto rappresenta l’autenticità in una società sovraccarica di immagini prodotte in massa (Moore 2005) •Cool hunting •La devianza come svago diventa valvola di sicurezza: scaricare la pressione della conformità sociale senza minacciare le norme sociali fondamentali Martyn Lee Riserva una particolare attenzione al ruolo svolto dalla struttura economica, vede cioè il consumo come un luogo in cui pratiche economiche e pratiche culturali si combinano tra loro. Pertanto, lo sviluppo di un’era economica e produttiva di tipo “postfordista” non può che determinare delle conseguenze anche per il consumo. Quest’ultimo infatti appare sempre più caratterizzato da un processo di “fluidizzazione”. Anche i beni di consumo perdono le caratteristiche tipiche del fordismo per assumere le caratteristiche tipiche del postfordismo. Secondo Lee il consumo è attualmente contraddistinto dai seguenti aspetti: • Una liberalizzazione delle precedenti sfere spaziali e temporali, statiche o inflessibili: cresce la mobilità spaziale o temporale, ovvero la capacità di consumare e impiegare beni in luoghi e tempi molto variabili > ridurre al massimo i tempi morti della lavorazione. • Una comprensione temporale: la durata fisica del consumo e il tempo di impiego del bene vengono ridotti. • Una comprensione spaziale: la dimensione fisica dei beni viene sempre più ridotta per creare all’interno dello spazio domestico un nuovo spazio fisico che può in seguito venire occupato da altri beni. • Una diffusione delle merci composte. • Uno scambio continuo: si riferisce alla crescita di quelle merci che comportano, anziché un pagamento singolo e unico, un processo di rinnovamento continuo del processo di scambio, testimoniato, ad esempio, dall’adozione crescente di formule di abbonamento. • Un’obsolesceza estetica: si tratta di un fenomeno di rinnovamento continuo dell’estetica delle merci che consente di accelerare il tasso di consumo e di continuare a stimolare i desideri dei consumatori, producendo come conseguenza che le merci tendono sempre di più a distinguersi fra loro solamente per differenze stilistiche ed estetiche, anziché per caratteristiche materiali e funzioni di tipo utilitario. Per Lee ciò che avviene soprattutto è un processo di dematerializzazione progressiva delle merci. Tale processo comporta che l’atto di scambio tenda a diventare relativo a merci caratterizzate dal tempo della fruizione più che dalla sostanza fisica: le merci esperenziali. 5. LA CULTURA SOCIALE Fa riferimento a diverse ricerche degli antropologi culturali (particolarmente interessati ai consumi perché fanno parte della quotidianità, il modo in cui le persone usano, scelgono e valutano degli oggetti). Marcle Mauss Saggio sul dono. Antropologo culturale del filone francese tradizionalista che aveva fatto un enorme lavoro di raccolta di vari studi che erano stati raccolti dagli antropologi in diverse parti del mondo. Analizza nella sua prospettiva elementi culturali che erano emersi in altre ricerche. È stato il primo studioso a mettere in evidenza la fondamentale funzione svolta dalla cultura sociale nell’attribuire dei significati agli oggetti impiegati dagli individui. Secondo lui infatti gli oggetti sono mezzi di comunicazione del valore degli individui nella società. Lo scambio di beni, pertanto, è prima di tutto uno scambio simbolico , in quanto simboleggia gli scambi fra gli uomini, i sentimenti e le relazioni che legano tra loro questi ultimi. Il dono è un universale culturale, è presente in tutte le società conosciute, questa forma di scambio basa e fonda la società perché crea legami sociali Ha analizzato, ad esempio, il plotàc: una sorta di banchetto-festa praticato dalle tribù Tlingit e Haida del nord- ovest americano, in cui ciascuna tribù sfidava gli altri donando cibo, oggetti preziosi, danze e rituali agli invitati per dimostrare di essere il più munifico e dunque il più ricco e potente. Spesso per accrescere il valore di questo dono si arrivava a bruciare o distruggere tutte le ricchezze possedute. Attraverso il plotàc dunque gli oggetti donati o distrutti divenivano simboli del valore sociale, del prestigio e del potere di chi li possedeva e stabilivano o confermavano le gerarchie sociali esistenti. Pagina di 32 46 Questo è un gioco pericoloso perché quando l’oggetto ponte viene messo nella nostra vita quotidiana diventa quotidiano, di conseguenza ne prendiamo un altro. In questo modo McCracken risponde alla domanda: perché desideriamo sempre qualcosa di diverso? Noi non possiamo vivere senza ideali perché vivremmo una vita triste. Esempio: io posso comprare il rossetto di lusso e abbinarlo al fondotinta commerciale, ma la visione di quell’oggetto mi illuderà. Ci sarà sempre uno stile di vita più elevato a cui ambire. L’uso dei beni per recuperare significati trasposti rappresenta, nella società moderna, uno dei motori di consumo. I più ricchi si dedicano al consumo di beni senza prezzo (collezioni di opere d’arte ad esempio) I rivali richiedono lavoro, il lavoro produce nuovamente l’oggetto e lo lega alle persone. Ciò consente di coltivare utopie non realizzabili nella vita quotidiana. Gli oggetti fungono da tramite per raggiungere i significati che non possono essere conseguiti con facilità nell’immediato. I beni sono ponti verso gli altri e verso ideali a cui non vogliamo rinunciare e che normalmente ci sfuggono. Beni ponte: ponti verso degli stili di vita a cui noi puntiamo, quando lo raggiungiamo ci sarà uno stile di vita più alto da noi desiderato. Alcuni beni sono scelti perché fanno parte di un particolare stile di vita a cui aspiriamo, questi beni sono dei ponti verso lo stile di vita ideale. Gioco pericoloso: quando l’oggetto ponte diventa parte della propria realtà deve essere sostituito con un altro. McKracken in un altro lavoro sposta un po’ i termini della questione e dice che quando un bene ponte fa parte di un’unità Diderot la persona è invogliata ad acquistare l’intera unità. Diderot raccontava la storia della sua vestaglia: gli viene regalata una vestaglia molto lussuosa (vestaglia da camera), e quindi abbandona la sua vecchia vestaglia per quella nuova, e dice di quella vecchia “lei era fatta per me e io per lei. Si adattava perfettamente a tutte le curve delle mie braccia e delle mie gambe senza impedirmi in alcun modo i movimenti. Quella nuova è rigida e inamidata e mi fa sentire un manichino.. Io ero il padrone assoluto della mia vecchia vestaglia e ora sono diventato lo schiavo di quella nuova”. La vestaglia che gli è stata regalata è talmente lussuosa che lui si sente a disagio nell’indossarla all’interno della vecchia stanza, e di conseguenza si trova a dover riadattare la vecchia stanza alla nuova vestaglia. Ci vuole una certa coerenza in cui inserire gli oggetti lussuosi, se questa non c’è entrano in gioco interpretazioni diverse di persone (esempio della borsa). Successivamente si accorge di un altro fenomeno che chiamerà unità Diderot cioè si accorge che alle volte questi beni che vengono trasposti fanno parte di un gruppo di beni, e quindi se un individuo è in possesso di uno di questi beni, tenderà ad acquistare l’intera unità. Essa è fatta di cose che possono essere anche molto diverse tra di loro. I beni comunicano significati se sono sorretti da altri beni, se sono isolati restano muti. Non tutti gli oggetti fanno parte di unità Diderot, quando un bene fa da ponte allora una persona tenderà ad appropriarsi dell’intera unità. Unità Diderot: insieme di cose che hanno un senso e rendono coerente il consumo di quegli oggetti rispetto al luogo in cui ci si trova. Può cambiare lo stile di vita di una persona o ristrutturarlo, può essere un cambiamento radicale oppure conservativo. MacKracken parla dei vari aspetti che l’unità Diderot può dare, chiudere il sistema, ristrutturarlo, cambiare l’ambiente e lo stile di vita di una persona, può essere un cambiamento radicale oppure conservativo, che dà un senso alla propria identità in termini di stile, di consumo. Per cui se comincio ad affezionarmi a questo bene poi tenderò ad adeguarmi a questo stile e a cercare beni con queste caratteristiche. Le unità Diderot possono essere uno strumento di marketing e di pubblicità quando una pubblicità riesce a stabilire un’unità Diderot. Pagina di 35 46 Significato trasposto Alcuni beni sono scelti perché fanno parte di un particolare stile di vita a cui aspiriamo. Questi beni sono ponti verso lo stile di vita ideale Gioco pericoloso: quando l’oggetto ponte diventa parte della propria realtà deve essere sostituito con un altro. Quando le persone cominciano ad essere inserite in un’entità Diderot si adattano a quello stile di vita. Quanto più si riesce a costruire un’unità Diderot tanto più il consumatore sarà invogliare a completarla. Sempre in termini di appropriazione delle merci, ne parla MacKracken ma ne parla anche Miller ne parla, in termini antimarxisti, sostiene che le merci non danno alienazione ma che quando una persona acquista delle merci quelle merci divengono un bene inalienabile in quanto appartengono alla persona. Ha ricondotto il percorso sui consumi da una cornice molto critica per poi dire che le persone non solo si appropriano delle merci ma lo fanno in modo creativo. Quando si parla di Miller si parla di un’idea di consumatore creativo. I discorso di Decertò era un discorso politico e tattico, mentre Miller lo sposta su un piano maggiormente culturale. Secondo Miller il consumo è un atto culturale, creativo, tanto che secondo lui il consumo è all’avanguardia della storia. Il suo discorso viene spesso usato all’interno di un discorso sul riciclo e sull’usato, fenomeno studiato già da anni per le molte esperienze diverse e tutte che hanno a che vedere con la ricontestualizzazione di oggetti che diventano inalienabili. Teoria dello shopping: non inteso come l’idea di andare per vetrine ma come quella di fare la spesa. La casalinga non fa la spesa e basta, ma mette in atto un universo di significati perché sceglie alcuni oggetti e ne esclude altri, e in questi oggetti ci mette le relazioni sociali ed emotive. Un’attività disprezzata come fare la spesa in realtà è piena di significati (esempio: scrive sulla lista della spesa “biscotti”, ma la parola biscotti contiene un universo di significati basati sui biscotti da scegliere, non vanno bene qualsiasi tipo di biscotti, devono essere quelli che piacciono). Tutto questo ha a che fare con l’avanguardia di consumare > consumatore razionale. Igor Kopytoff Michel Foucault era un filosono francese che scrive saggi in cui spiega come la cultura e i saperi siano una macchina estremamente complessa per il potere (le tecnologie del sé, sorvegliare e punire…). È morto di AIDS ma a quel tempo non si poteva dire. Lo hanno messo in un catalogo e “mercificato”, sembrava che quelli che hanno fatto questo catalogo non fossero a conoscenza che quello era Michel Foucault. Il libro a cui fa riferimento Codeluppi è un libro in cui ci sono diversi capitoli scritti da diversi autori. Uno di questi capitoli si intitola “la biografia culturale delle cose“ ed è scritto da Kopytoff, quindi il pensiero è di Kopytoff. Kopytoff parte da una riflessione sul fatto che ci siano delle cose che siano escluse dalla sfera dello scambio (non sono merci e non possono diventarlo), se noi andiamo ad analizzare i vari momenti storici qualsiasi cosa è stata considerata merce (anche le persone, in tante culture diverse). Se anche le persone possono essere considerate delle merci allora nulla può essere escluso dalla possibilità di diventare merce, si può discutere quindi in termini di biografia. Le cose hanno una biografia quando le persone le aggregano nella loro famiglia in una dimensione culturale e sociale. All’interno di un ambiente limitato come la famiglia ci sono delle cose che diventano inestimabili. Questo discorso di cose che valgono o che non valgono si può fare a livello micro ma anche a livello macro Ci sono delle cose che ad un certo punto vengono tolte dal mercato e considerate rese inestimabili all’interno di quel sistema culturale. Ogni sistema economico è fatto come una sorta di continuo tra estrema mercificazione ed estrema demercificazione , e le società decidono cosa mettere, cosa è merce e cosa non lo è. Chi decide cosa è sacro e cosa non lo è esercita un potere. Gli esempi più chiari riguardano arte, edifici storici e luoghi considerati sacri. Rendere unico un oggetto significa esercitare potere perché quando un oggetto viene demercificato vuol dire che viene tolto dal mercato, viene reso esclusivo e viene tolto a tutte le persone che hanno deciso che quella cosa è sacra. Il potere di demercificare le cose è un potere simbolico molto elevato, che possono permettersi poche persone che hanno il potere di decidere. Esempio: considerare in termini monetari l’arte è considerato volgare, non si può pensare all’arte in termini di “quanto vale”. Venezia è continuamente percorsa da queste dinamiche di mercificazione e demercificazione. In altri paesi è normale che luoghi artistici vengano affittiti a scopi privati > problema ideologico che Kopytoff dice dipendere dal contesto culturale in cui si inseriscono queste dinamiche di potere su cui si decide cosa può essere mercificato e cosa no. Miller: noi siamo creativi, ma anche gli oggetti non sono fissi, cambiano significati. Pagina di 36 46 I consumi delle famiglie a parità di reddito variano in base a caratteristiche socio-anagrafiche 6. IL GRUPPO SOCIALE 1. Famiglia 2. Gruppi sociali 3. Opinion Leader 1. Famiglia È la dimensione sociale di riferimento per i nostri consumi. Il principale gruppo sociale è la famiglia, che può essere studiato come unità di consumo in vari modi, il modo principale è considerare la famiglia come un’unità di consumo dal punto di vista statistico e quantitativo. Le ricerche che vengono fatte in Italia sui consumi vengono fatte sulla famiglia: L’ISTAT ha un numero di indagini abbastanza elevato delle indagini che fa nella maggior parte dei casi a campione. Misura ciclicamente il modo in cui le famiglie italiane consumano attraverso i famosi panieri (sono misure statistiche che aiutano a capire l’andamento economico del nostro paese). Sulle famiglie ci sono molte riflessioni di dati quantitativi e statistici, la prima voce di spesa di consumo della famiglie italiane riguarda l’abitazione, poi il cibo e poi la benzina. Verso la fine dell’Ottocento un economista che si chiamava Hengel ha formulato la celeberrima legge principale del consumo che è ancora valida: la quota percentuale di spesa per l’alimentazione di una famiglia, rispetto alla spesa complessiva, è tanto più ridotta quanto più elevato è il reddito di quella famiglia Meno guadagna quella famiglia più si spende in alimentazione rispetto agli altri consumi. Più le famiglie diventano interessanti più perdono l’interesse per l’alimentazione. La legge principale del consumo è ancora valida. Un altro tipo di ricerche che si possono fare sulla famiglia riguardano i bilanci familiari, cioè rispetto a una sintesi in che modo vengono ridistribuiti i consumi > qui vale quello che diceva Veber, è evidente che i consumi di famiglia a parità di reddito variano in base a … (persone che hanno la stessa quantità di reddito lo consumano/distribuiscono su consumi diversi in base alle loro caratteristiche socio-anagrafiche), questi sono studi che vengono fatti in parte dall’ISTAT e per il resto all’interno dell’università. Riflessione di Halbwachs: quando gli operai (proletariato) riducono delle abitudini di consumo da quelle non si torna più indietro, nel senso che anche laddove i salari diminuiscono, non si diminuiscono i consumi che sono stati acquisiti nel corso del tempo ma si cerca un modo per ottenere un reddito che possa continuare a mantenere quei consumi. Esempio: Fino a 25 anni fa c’era un telefono per casa, adesso ce ne sono tante quante sono le persone che fanno parte di quel nucleo familiare. Una volta il telefono fisso durava per decenni, oggi invece il telefono ci porta ad un aumento dei consumi, nessuno però si immaginerebbe di tornare indietro ad avere un solo telefono fisso per 4 persone, quindi bisogno trovare un modo per mantenere questo tipo di consumo. La famiglia può essere poi studiata in relazione al modo in cui viene distribuito il denaro all’interno della famiglia, Miller è stato uno degli studiosi che ha studiato la figura della casalinga (che secondo la teoria dello shopping esprime la sua cosmologia quando va a fare la spesa). Male bread winner: il padre prende lo stipendio più elevato e mantiene la famiglia, in questa posizione di dominio può scegliere come si consuma e se la moglie può spendere più o meno liberamente una porzione di quello che lui guadagna. Bambini: stimolatori di alcuni consumi all’interno della famiglia, vanno considerati come consumatori coerenti, che preferiscono un prodotto rispetto all’altro perché sono capaci di valutarne alcune dimensioni e discutere con i grandi di riferimento. 2. I gruppi sociali Gruppo sociale come entità che può stimolare i consumi, hanno un’importanza rilevante tanto quella della famiglia. Sono un insieme di persone che interagiscono regolarmente con una certa intensità, che hanno un senso di appartenenza e un’identità di gruppo. In base a queste caratteristiche distinguiamo anche tra gruppi primari, secondari e gruppi di riferimento, e possiamo riflettere sulla relazione sociale e il consumo utilizzando diverse teorie: 1. Tribù di Maffesoli: la società contemporanea si caratterizza per un ritorno a formazioni tribali, in cui le persone si aggregano intorno a una passione o un’emozione, quindi non semplicemente intorno a un legame di sangue familiare o lavorativo, ma si costituiscono gruppi anche in base alle passioni > lui vede in questo aggregamento il ritorno a una scoperta di valori quasi arcaici. C’è una intensità emotiva, le neo-tribù sono comunque gruppi aperti in cui le persone hanno delle multi appartenenze ed esprimono il bisogno di comunità presente nelle nostre società secolarizzate (che hanno spostato sul piano trascendente l’importanza di una spiegazione religiosa) > desiderio di comunità che oggi viene espresso dall’aggregamento di queste neo-tribù che si stringono in base a quello che poi Cova chiamerà linking Pagina di 37 46 quelli che si acquisiscono con un determinato status sociale e che sono scarsi. Per cui possono avere dei beni posizionali solo alcune persone, ma questo surriscalda la domanda, causa instabilità sociale, economica e ambientale. Sono acquisibili soltanto dalle persone più ricche, sembrano acquisibili da tutti ma in realtà non lo sono e provocato instabilità sociale, economica e ambientale > i beni posizionali sono tali perché sono scarsi, sono quei beni che definiscono un certo status, sembrano raggiungibili da tutti ima in realtà non lo sono; I limiti sociali sono meno significativi rispetto a quelli fisici. La critica al consumo La critica al consumo è sempre esistita, ci sono tante versioni di critica al consumo. La scuola di Francoforte aveva criticato negativamente la società dei consumi che crea i falsi bisogni. Fromm riflette su una contraddizione del consumo che però non crea soddisfazione (consumare significa realizzarsi, ma l’angoscia non si placa perché bisogna consumare in modo alienato, senza mai alcuna soddisfazione. Avere o essere), più recente è il pensiero di Lasch che è famoso per il suo narcisismo dell’individuo moderno. Consumerismo Filone di movimenti di achilismo dei consumatori, volti alla tutela del diritto dei consumatori. Kennedy è uno dei primi che nei suoi discorsi inizia a parlare di diritti dei consumatori, del resto la sua è la società dei consumi per eccellenza e di conseguenza negli Stati Uniti il consumatore ha diritti ed esercita un potere. Nel nostro paese il consumerismo e l’associazione per i diritti della tutela dei consumatori non hanno avuto grandi seguiti o grandi successi per una serie di motivi legati alle legislazione, al nostro atteggiamento nei confronti dei consumi. Nel nostro paese la cultura della tutela dei consumatori è qualcosa di abbastanza recente di cui si parla poco spesso. Di associazioni di consumatori ce ne sono tante. Quando si parla di limiti del consumo si parla di: • globalizzazione: ha alcune caratteristiche che impattano sulla nostra esperienza di individui e sulla nostra vita quotidiana. In termini di consumo la globalizzazione la vediamo a livello delle marche globali e del fatto che è sempre più difficile trovare qualcosa che non abbia una portata globalizzata. Da un lato noi viviamo in un mondo globalizzato e questo ha delle conseguenze e ha degli effetti sulla nostra vita quotidiana. Quando parliamo di globalizzazione di marchi ci sono persone che questi marchi non possono permetterseli ma subiscono i danni della globalizzazione in termini di sfruttamento delle risorse economiche/paesaggistiche/ culturali. Allo stesso modo la globalizzazione spinge e spingono anche i movimenti localisti > la globalizzazione è fondamentalmente contraddittoria. • localizzazione: caratteristiche che impattano sulla nostra vita quotidiana Tonno Mare Aperto L’anno scorso Greenpaece ha lanciato una campagna per tonno mare aperto, catena base dell’alimentazione, che è uno di quelli che costa meno e secondo Greenpeace è una delle marche di tonno peggiori perché ammazzano di tutto e non solo tonno, perché non ha una politica di attenzione ed etica nella pesca. Per questo le vendite non sono proficue, dunque Greenpeace l’anno scorso ha dato inizio ad una campagna che proponeva di scattare una foto delle scatolette “tonno mare aperto” e di postarla su Instagram con un certo hashtag. L’idea è quindi di usare i social per veicolare i messaggi e creare una viralità di immagini. Questo è un esempio di boicottaggio che però viene usato soprattutto per veicolare la vendita di una marca. Stile dimesso-parsimonioso Stile che vuole far passare alcuni brand per migliori di altri attraverso una strategia marketing che va contro la marca leader. Es Fuji e tutte le altre cose giapponesi che comunque sono costose ma sono basiche, hanno uno stile che va contro la marca leader. Poi ci sono aziende che hanno fatto dello stile parsimonioso una strategia di marketing, es Patagonia. Patagonia: è un marchio che fa abbigliamento tecnico outdoor nato dal proprietario amante della montagna che insieme alla moglie ha dato inizio ad un abbigliamento da montagna molto colorato, contro l’abbigliamento tecnico che di solito aveva tinte molto scure e monotone e mirava solo alla tecnicità e non all’esteticità. Così col tempo è diventato un colosso per questo tipo di abbigliamento e poi è stato seguito/imitato da north face. Patagonia qualche mese fa ha iniziato una campagna promozionale in cui proponeva il riciclaggio e la riparazione dei suoi vecchi capi piuttosto di comprarne uno nuovo della stessa marca. Cosi si poteva andare negli store con i propri capi Patagonia e farseli riparare gratuitamente, avviando una campagna “reuse” e “recycle”, con il risultato di un aumento delle vendite di Patagonia. Pagina di 40 46 A questo punto l’azione è diventata il rafforzamento del marchio in termini di qualità, perché se tu compri un pile o piumino Patagonia ti dura 20 anni, e questo ha aumentato le vendite e ha rappresentato un boom per l’azienda, che sta portando avanti questa campagna di promozione. Patagonia è uno di quei marchi che non ha aderito alla campagna di Greenpeace, che era la campagna detox, cioè non ha dato accesso a Greenpeace ai suoi stabilimenti e ai suoi documenti per verificare se Patagnoia utilizzasse delle molecole che hanno creato vari problemi in giro per il mondo a livello di inquinamento. Ad ogni modo, Patagonia ha posto lo stesso attenzione ai temi di spreco, risparmio e consumo consapevole. Tutto questo movimento all’interno dei consumatori si trasferisce poi all’interno delle strategie di marketing delle aziende, e le strategie delle aziende sono tutte orientate e attente alla corporate social responsability, che è una sorta di filosofia per cui l’azienda si impegna a rispettare alcuni criteri per essere un’azienda responsabile dal punto di vista ambientale e sociale, quindi un’attenzione nei confronti dei propri lavoratori in termini di benessere all’interno dell’azienda, nei confronti del territorio su cui l’azienda ha un certo impatto (quindi cerca di restituire benefici in termini di servizi) e nei confronti dell’ambiente. Tutte queste cose stanno dentro la corporate responsability. Già una decina di anni fa è stato proposto il termine societing, che costituisce la fusione tra sociologia e marketing. In Italia è stato proposto soprattutto da Giampaolo Fabris, che ha dato vita a corsi, convegni e alla CFK, insieme al francese Bernard Cobalt. L’idea è quella che l’impresa abbia una responsabilità più ampia come attore sociale e non solamente come elemento dell’economia capitalistica, e dunque le imprese considerano il fatto che l’azienda è come se fosse un attore sociale con delle precise responsabilità e doveri, che rendono l’azienda integrata con l’ambiente che la circonda. Quindi non orientano più le aziende solamente in base al costo-beneficio, ma le orientano anche alla scelta di valori della marca, a ciò che significa per loro consumare. Secondo Fabris non si può più parlare di consumatori, ma di individui che agiscono in modo diverso a seconda del momento, dell’oggetto, del significato. Questa proposta di societing in realtà non ha avuto tutto questo successo, nel senso che Fabris ha scritto pochi libri a riguardo e poi la sua proposta è stata poi fagocitata dagli studi di marketing (marketing 2.0, marketing etico e tutte le altre proposte che si sono succedute), quindi la societing alla fine è rimasta un po’ li a livello teorico. Video di Patagonia in cui racconta la storia di alcune persone e il loro attaccamento e quello della famiglia al loro abbigliamento da anni Altro video: uno dei primi serial con diversi episodi di YouTube —> scena in cui una ragazza e un ragazzo sono a cena in un ristorante e ordinano del pollo, e lei chiede se quello che stavano per mangiare è stato un pollo felice, dove ha vissuto la sua vita ecc. Altro video: esperimento in cui un ragazzo fa vedere degli oggetti che alcune persone stanno per acquistare e chiede loro quanto possano valere tali oggetti, prima che essi sappiano il prezzo reale (tutte le persone hanno dato un valore minore rispetto al prezzo effettivo dell’oggetto). Questo esperimento vuole far riflettere sul fatto che il consumatore spesso paga una cosa più di quanto dovrebbe, senza nemmeno saperne il motivo 8. LINGUAGGI DELLA MARCA - FERRARESI Ferraresi è stato uno studente di Fabris e adesso anche lui è allo Iulm e si occupa di marketing, sociologia del marketing e temi simili. Questo libro è un’interessante ricostruzione di alcuni temi che sono alla base del pensiero di Fabris e di altri sociologi, es il post modernismo. La marca e il consumo Il consumo è il motore della nostra società. Esso si intreccia potentemente con le nostre pratiche quotidiane. La pubblicità è il carburante che permette al consumo di funzionare e la marca è componente principale di tale carburante. Tutto ciò, vale a dire la pervasività del consumo e la sua onnipresenza nelle nostre vite, ci toglie certamente una parte delle nostre libertà. Per esempio non abbiamo la libertà di non consumare. Mauro Ferraresi sostiene che esistano tre tipi di condizionamento: 1. Effetto valanga (o del saltare sul carro del vincitore): motivazione di tipo conformistico: si adotta un determinato modello di socnumo con maggiore frequenza tanto maggiore è la sua diffusione nel contesto sociale a cui appartengono gli individui che poi saranno soggetti a tale effetto. 2. Effetto snobistico o snob effect: le motivazioni sono anti-conformiste. Rendde un modello di consumo desiderabile soltanto se è poco diffuso nel gruppo sociale di riferimento Pagina di 41 46 3. Effetto Veblen: il consumo ha uno scopo essenzialmente dimostrativo, cioè finalizzato a certificare lo status socio-economico dell’individuo e la sua posizione sulla scala sociale. Capitale economico, capitale culturale e capitale sociale Il primo ha a che fare con la disponibilità finanziaria di un consumatore, il secondo riguarda invece il suo bagaglio di conoscenze e di cultura, il terzo riguarda la quantità e la qualità delle sue relazioni sociali. La combinazione dei tre costituisce una dura matrice che inquadra e incasella il profilo del gusto e quindi il profilo delle scelte di consumo entro le quali ciascuno di noi tende sistematicamente a collocarsi. Se dovessimo a questo punto tracciare un primo bilancio intorno alla nascita e allo sviluppo della marca moderna dovremmo fissare alcuni punti fermi che per comodità esponiamo sotto forma di elenco. • La marca moderna si è sviluppata di pari passo con lo sviluppo della distribuzione moderna e con lo sviluppo della moderna comunicazione pubblicitaria. • Ne deriva che pubblicità, distribuzione e marca sono tre fenomeni intrinsecamente correlati • Ne deriva inoltre che a ogni sia pur minimo mutamento di una qualsiasi di queste tre componenti provoca un mutamento anche negli altri due • Lo sviluppo della marca ha accompagnato, preceduto e contemporaneamente seguito lo sviluppo del consumatore. • Infatti il consumatore è diventato competente, attento ed esigente anche grazie e attraverso lo sviluppo e la crescita della marca. • E’ impossibile decidere se è stata l’evoluzione del consumatore a far crescere e mutare la marca o se, al contrario, è stata l’evoluzione della marca a far crescere e maturare il consumatore. Si tratta in realtà di fenomeni che si sostengono e si corroborano a vicenda. • L’uragano del mondo digitale (cfr. Lombardi, 14, 2007) inizia ad abbattersi sulla marca e sulle sue componenti, provocando uno sconquasso tremendo. E da tale sconquasso sorge la marca postmoderna. 
 La marca postmoderna è la marca-rete, la marca post spot di cui meglio si tratterà nel prossimo paragrafo. Post modernismo: ha avuto molto successo in ambito francese. In Gran Bretagna invece di post moderno si parla di tardo moderno per quanto riguarda quello che stiamo vivendo oggi. Il post moderno è pessimista, sulla scia di Boudrillard, dunque il post modernismo ricostruisce la teoria del consumatore e per ricostruire questi passaggi utilizza molta letteratura post moderna di tutti i francesi di quel periodo. Esso è caratterizzato soprattutto dalla fine delle grandi narrazioni, ovvero principalmente il marxismo, liberalismo sfrenato e le religioni. Queste grandi narrazioni (idea che si è consolidata tra gli anni 60 e 70) sostanzialmente hanno privato gli individui di pezzi fondamentali della loro identità, perché la religione oltre che avere una funzione di socializzazione forniva valori di riferimento stabili e un orientamento della vita quotidiana stabile. Il marxismo allo stesso modo forniva ideali, valori, pezzi di identità stabili e sicuri, che aiutavano a vivere quotidianamente dando un orizzonte di senso a cui fare riferimento, e così fecero tutte le grandi narrazioni/istituzioni su cui le persone basavano la loro vita. Tutto questo viene messo in crisi e superato dal processo di secolarizzazione, dalla crisi dei sistemi comunisti e dalla crisi delle istituzioni sociali in cui ci si ritrova negli anni 60 e 70. Dunque finiscono le grandi narrazioni e gli individui si vedono sottratti di questi pezzi di identità che vengono soppiantati dal consumo, ovvero qualsiasi violenza psicologica non c’è più e viene sostituita dalla marca e dal consumo, dalle cose. Poi Ferraresi parla dell’idea idea che il consumo sia molto più povero dal punto di vista dei contenuti e della capacità reale che ha di creare comunità e società, quindi c’è questa spinta verso il nulla che è mantenuta dalla la consumosfera: il nostro quotidiano secondo Ferraresi è una consumosfera che è globalizzata e ha tutte le caratteristiche della mcdonaldizzazione, quindi è efficiente e rassicurante ma allo stesso tempo è anti- socializzante e rispecchia il bisogno della gente di avere dei punti di riferimento nel momento in cui mancano le grandi narrazioni. I luoghi di consumo sono a tutti gli effetti dei non luoghi, concetto proposto da un antropologo francese ed è un concetto che si usa molto per spiegare gli scambi commerciali e i luoghi in cui c’è continuamente grande folla (es aeroporti, centri commerciali), in cui la gente passa un sacco di tempo ma dove non c’è identità, dove non si crea una storia, in cui c’è una mancanza di senso. Quindi le grandi narrazioni sono state sostituite dalle piccole narrazioni delle marche. In questa consumosfera il significato delle cose è aggrappato al nothing, al niente. Quello che propongono alle marche nella consumosfera è una narrazione possibile che viene riempita dal consumatore. Ferraresi ricostruisce per esempio la creazione della marca Marlboro, che già dall’inizio si Pagina di 42 46 mettendone in rilievo le caratteristiche quasi umane, o il dispositivo semiotico che essa è in grado di dispiegare, o gli aspetti di marketing oppure pubblicitari, si dimentica che innanzi tutto la marca è un importante dispositivo per commerciare e per vendere. 2. La sua seconda natura, la natura semiotica, indica che la marca nasce per comunicare e per farlo non si accontenta del piano verbale, ma sfrutta il piano visivo con i suoi livelli figurativo e plastico, Inoltre sfrutta, o meglio può sfruttare, il piano sonoro e quello gestuale corporeo. Insomma la marca usa tutti i piani, verbali e non verbali, per comunicare a trecentosessanta gradi. Ogni marca impiega infatti i canali di comunicazione dei mass media e si propone comunicativamente al consumatore per esempio attraverso affissioni o annunci stampa che sfruttano il piano visivo e verbale, oppure con spot radiofonici che sfruttano il piano verbale e sonoro, o con spot televisivi che mettono assieme il piano verbale con quello visivo, sonoro e con quello corporeo e gestuale dei testimonial e dei protagonisti dello spot. La marca soffre della dannazione semiotica a comunicare impone la propria volontà comunicativa mostrandosi coerente, armonica ma insistente (Cfr. Ferraresi, 2002, 100 e ss.). 3. La terza natura della marca, quella relazionale, risiede nella sua capacità di mettersi in relazione con le persone sia su un piano empatico sia su un piano più squisitamente contrattuale. La marca sostituisce la relazione che avevamo con il commerciante del negozio sotto casa che ci pubblicizzava e selezionava il prodotto: “Compri questa carne, signora. E’ quella che dò anche ai miei figli. E’ ottima, e vedrà che si troverà bene pure lei.” Questa selezione è ora operata dalle diverse marche che si incaricano di abbattere il sospetto verso il prodotto non introdotto. La marca “presenta” invece il prodotto al consumatore e glielo fa conoscere in modo tale da diminuire consistentemente i pregiudizi e i sospetti. Così come i nostri pregiudizi e i nostri sospetti diminuiscono immediatamente se nel buio di una strada poco frequentata incontriamo una persona già conosciuta (anche se in effetti la persona può risultare ugualmente pericolosa, o sgradevole). Però il processo di presentazione, di messa in relazione con il consumatore ha un costo. E l’empatia che la marca instaura non è mai elargita gratuitamente. E quel delta in più di costo che dobbiamo pagare perché la marca sia messa in relazione con noi, tranquillizzandoci 
 E’ in questo miscuglio di emozioni e costi, di esperienze e quantificazioni economiche che si sono appuntate le critiche più acute alla funzione della marca e alla sua capacità di manipolare e sedurre. Ogni emozione, ogni palpito, ogni desiderio, ogni esperienza che la marca suscita o procura sono infatti a pagamento. Questa imprescindibile vena mercenaria della marca se da un lato la pone perfettamente all’interno della società dei consumi ove ogni atto di consumo è sempre preceduto da un atto di compravendita, dall’altro presta il fianco alle accuse di adescamento e di mercificazione generalizzata che invade ogni tipo di rapporto o di relazione. La marca può esaudire desideri, realizzare sogni, procurare emozioni, far vivere esperienze memorabili purché ci sia una contropartita in denaro. Gli elementi vivi e vitali di un essere umano, ciò che costituisce la sua Lebenswelt,, sono diventati il terreno su cui la marca oggi esercita il proprio dominio. 4. La quarta natura della marca è quella evolutiva, vale a dire ciò che le permette di tenere il passo con i cambiamenti e con le mutazioni che avvengono nel tessuto sociale e nei mercati. E’ questa natura che ha permesso per esempio a Nike di cambiare il proprio pay off da “do it” a “play”; perché il tempo delle sfide, del provarci a ogni costo, del cercare di superare i propri limiti e del mettersi continuamente in gioco sembrava declinato come tendenza di fondo a favore, questa almeno è stata l’opinione di Nike e naturalmente delle ricerche di mercato da essa commissionate, di una modalità meno agonistica e più ludica di vivere il tempo libero, il jogging, e l’attività sportiva in generale. Se la marca non avesse una tale natura non sarebbe in grado di attirare presso di sé il consumatore e di proporgli continuamente un set di valori che anche se non nuovi, perché presi in prestito dai valori che in quel momento la società propugna e insegue, sono comunque sempre aggiornati e rafforzati. Ed è proprio attraverso i mezzi di comunicazione che la marca è in grado di rendere tali valori potenti e accattivanti per il consumatore. 5. Per quanto riguarda la quinta natura, quella interattiva o “cliccabile”, in realtà stiamo qui parlando di una natura ancora tutta in nuce della marca. Si tratta infatti del futuro approdo naturale della marca di cui si è già discusso al paragrafo 1.3, al quale certamente rimandiamo. Aggiungiamo solamente qui che parlare di una natura interattiva della marca significa metterla in diretta connessione con le caratteristiche e le specificità di internet, e che quindi significa imparentare strettamente entrambe. Modello di Semprini - Progetto/manifestazioni Modello dinamico Progetto: volontà, visione, intenzioni, programma e presenza sul territorio. Identità, valore, essenza della marca Manifestazioni: occorrenze concrete nelle quali la marca si manifesta al consumatore. Tre par8: 1. Valori: livello più profondo 2. Racconti: i valori diventano storie, narrazioni 3. Discorso: i valori e i racconti vengono arricchiti dalle figure del mondo Pagina di 45 46 Pipe effect Effetto di comunicazione per cui il livello del rumore comunicativo viene ridotto al minimo, o previsto e calcolato. Modello identità/immagine di Ferraresi L’identità di una marca è continuamente costruita, si mescola e si confonde con l’immagine di marca È un processo dinamico Marketing esperienziale Attenzione ai comportamenti di consumo dei clienti e analisi delle opportunità di sviluppare, rafforzare, prevedere, soddisfare tali comportamenti. 4 caratteristiche: 1. Esperienza del cliente • Stimolazione sensoriale, emotive, pratiche, cognitive, relazionali... 2. Consumo come esperienza olistica • Contesto di consumo 
 • Vettore socioculturale del consumo 3. Clienti come animali razionali ed emozionali 4. Eclecsmo dei metodi Argomenti per l’esame: - Argomenti delle lezioni - Articolo di RitzerJurgenson (prosumer) - Articolo a scelta tra gli altri due (Fashion Blogger o Creatività nelle agenzie pubblicitarie) - Tesina stampata da consegnare il giorno dell’esame Pagina di 46 46
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