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Ricerca della felicità, Schemi e mappe concettuali di Filosofia

Ricerca delle felicità: analisi e esemplificazioni del concetto

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 14/11/2021

luca-pallini-1
luca-pallini-1 🇮🇹

4.4

(57)

195 documenti

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Scarica Ricerca della felicità e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia solo su Docsity! Cos'è la felicità? È reale? È raggiungibile? Sono solo alcune delle domande che caratterizzano la vita di tutti noi: una ricerca incessante di felicità; ricerca che viene espressa in modi diversi attraverso: poesie, opere d’arte, opere tarali, romanzi... Un autore che si è interrogato sulla felicità e che l'ha cercata in ogni angolo è Giacomo Leopardi. Nella “Teoria del piacere”, riportata nello Zibaldone e formulata tra il 1819 e il 1820, Leopardi identifica la felicità con il piacere dicendo che: "L'anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere”, inoltre l’autore ci dice che la natura del desiderio umano è infinito per durata e per estensione, a fronte di questo desiderio illimitato i piaceri che si incontrano nella realtà sono limitati per durata e per estensione, siccome nessuno dei piaceri particolari goduti dall’ uomo può soddisfare quest’ esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione, un vuoto incolmabile dell'anima; da ciò si deduce che l’uomo non può raggiungere una felicità eterna, e questo comporta l’ infelicità. Nella visione iniziale di Leopardi la natura viene vista come una “madre benigna” perché ha voluto offrire un rimedio alla tristezza dell’uomo, ovvero: l'immaginazione e le illusioni nelle quali l’uomo può rifugiarsi; in particolar modo vede il mondo degli antichi come un mondo felice. Il suo pensiero continua a mutare, difronte all’arido vero, inizia il lui un meccanismo di resistenza secondo il quale l’unico attimo di felicità lo si poteva intercettare solo all’interno delle illusioni. Inizia a rendersi conto che forse neanche gli antichi erano così felici come pensava, poiché aveva intercettato in loro un pensiero pessimista; da questo punto in poi inizia a teorizzare la condizione di infelicità degli esseri umani. Ciò che mi colpisce di più di Leopardi è che difronte a una scoperta del genere continua a interrogarsi sulla natura della felicità lo fa attraverso una lettera allo Jacopssen “Che cos'è dunque la felicità, mio caro amico? e se la felicità non esiste, che cos'è dunque la vita? lo non ne so nulla; vi amo, vi amerò sempre così teneramente, così fortemente come ho altre volte amato quei dolci oggetti che la mia immaginazione si compiaceva di creare, quei sogni nei quali voi fate consistere una parte della felicità.” Non sarebbe stato più semplice per Leopardi constatare l'impossibilità di essere felici e rassegnarsi alla propria esistenza? Mi viene in mente ciò che ha detto Foscolo nell’orazione inaugurale, a Padova, “dell’ origine e dell'ufficio della letteratura”: << Il cuore domanda sempre o che i suoi piaceri sieno accresciuti, o che i suoi dolori sieno compianti; domanda di agitarsi e di agitare, perchè sente che il moto sta nella vita e la tranquillità nella morte; e trova unico aiuto nella parola, e la riscalda de'suoi desideri, e la adorna delle sue speranze, e fa che altri tremi al suo timore e pianga alle sue lacrime, affetti tutti che senza questo sfogo proromperebbero in moti ferini e in gemito disperato. E la fantasia del mortale, irrequieto e credulo alle lusinghe di una felicità ch'ei segue accostandosi di passo in passo al sepolcro, la fantasia, traendo dai segreti della memoria le larve degli oggetti, e rianimandole con le passioni del cuore, abbellisce le cose che si sono ammirate ed amate; rappresenta piaceri perduti che si sospirano; offre alla speranza, alla previdenza i beni e i mali trasparenti nell'avvenire>>. Come Foscolo, anche Leopardi ha un cuore che “domanda sempre”. Questo continuo interrogarsi sulla felicità, su come raggiungerla viene espresso in modo molto chiaro ed evidente nell’operetta morale intitolata "Malambruno e Farfarello". Malambruno, che è un mago, invoca i diavoli dell'inferno per soddisfare una sua volontà. A risponde all’invocazione è Farfarello che si presenta dinanzi al mago e inizia a fare una serie di supposizioni su quelle che possono essere le ragioni della convocazione e pone immediatamente in risalto gli aspetti che raccontano la superficialità dell'essere umano: brama di potere, di successo, di lussuria; a Malambruno non interessa nulla di tutto ciò, l’unica cosa che chiede è di essere felice anche solo per un momento, felicità che non gli sarà concessa fino a quando resterà in vita. [..] Farfarello. In fine, che mi comandi? Malambruno. Fammi felice per un momento di tempo. Farfarello. Non posso. Malambruno. Come non puoi? Farfarello. Ti giuro in coscienza che non posso. [..] Malambruno. Ma tu fa conto che io t'appicco qui per la coda a una di queste travi, se tu non mi ubbidisci subito senza più parole. Farfarello. Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi. Malambruno. Dunque ritorna tu col mal anno, e venga Belzebù in persona. Farfarello. Se anco viene Belzebù con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti felice né te né altri della tua specie, più che abbia potuto io. Malambruno. Né anche per un momento solo? Farfarello. Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per la millesima parte; quanto per tutta la vita. [..] Infine, Leopardi si rende conto che la causa dell'impossibilità del raggiungimento della felicità dell’uomo sia colpa della natura, che non è più vista come una “madre benigna” anzi, viene vista come una “matrigna” che ha generato l’uomo all’infelicità. Dunque, cos'è la felicità per noi oggi? “E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose Non è quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi ... La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l’amore sia tutto o niente ... non è quella delle emozioni forti che fanno il “botto” e che esplodono fuori con tuoni spettacolari ... la felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose ... ... e impari che il profumo del caffè al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
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