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Vittorio Alfieri: La Libertà e la Concezione della Vita, Slide di Italiano

La vita e le idee di vittorio alfieri, un letterato e drammaturgo italiano del settecento. Alfieri, che proveniva da una famiglia agiata, scelse la tragedia come forma artistica per esprimere la sua concezione della vita basata sullo scontro tra uomini eroici e tiranni. Della sua vita, delle sue idee sulla scienza e l'illuminismo, il suo rifiuto del progresso economico e della tirannide, e le sue opere politiche. Alfieri è descritto come un individuo isolato, in cerca della totale libertà, che si opponeva a qualsiasi forma di potere e tirannide.

Tipologia: Slide

2022/2023

Caricato il 07/01/2024

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Scarica Vittorio Alfieri: La Libertà e la Concezione della Vita e più Slide in PDF di Italiano solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI PRESENTAZIONE Oggi parleremo di Vittorio Alfieri. Vittorio Alfieri fu un lettore il quale rivolse sempre il suo discorso a pochi individui tutti appartenenti alla classe agiata. Egli è considerato il maggiore poeta tragico del Settecento italiano; come vedremo ebbe una vita avventurosa, dovuta al suo carattere tormentato, che lo rese, in qualche modo, precursore delle inquietudine romantiche. VITA Vittorio Alfieri nacque ad Asti il 16 Gennaio 1749 e morì a Firenze l’8 ottobre 1803. La sua famiglia natale era della ricca nobiltà terriera e grazie a tale nobiltà ebbe sempre un’indipendenza economica che gli permise di potersi mantenere libero da ogni forma di servitù. Nonostante la sua volontà forte, fin da piccolo, in lui c’è sempre stata una tendenza alla malinconia e alla solitudine. Egli frequentò la Reale Accademia di Torino, classica della nobiltà piemontese; al suo interno vi si trovavano tradizioni militari, le quali lo portarono a giudicare aspramente la formazione ricevuta, che lo rese intollerante verso l'assolutismo monarchico. Successivamente decise di cominciare una lunga serie di viaggi: passando da un paese all’altro, e da un amore all’altro; in tali viaggi fu sempre spinto da una irrequietezza continua, la quale non gli permetteva di fermarsi, accompagnata da un senso di malinconia. Egli ripercorse il suo cammino formativo in un’autobiografia “Vita” che cominciò a scrivere nel 1790 e in essa riconobbe questo suo impulso di fuga, il quale forse nasceva dalla paura di percepire il vuoto dentro di sé. Ma questo suo animo tormentato lo identificò con la vocazione poetica. L’ESPERIENZA DELL'ASSOLUTISMO Grazie ai viaggi praticati egli accumulò l’esperienza delle condizioni politiche dell’Europa contemporanea e ciò aumentò solo la sua intolleranza verso la tirannia monarchica, tant'è che a Pietroburgo non volle conoscere nemmeno Caterina II. A TORINO: VITA OZIOSA E INIZIO DELL’ATTIVITA’ LETTERARIA Quando ritornò a Torino egli condusse una vita oziosa e la sua depressione aumentò a causa di una relazione con la marchesa Gabriella Turinetti di Priè, per lui fu causa di angoscia e dolore; e così trovò riparo nella letteratura. Nel 1772, con alcuni amici, fondò una sorta di società letteraria, dove utilizzò il francese per scrivere le sue prime opere, tra cui il “Diario” (diario che poi proseguì in italiano, dove mostrò l’apice della sua crisi). LA CONVERSIONE LETTERARIA Questo suo vagabondare finì nel 1775, l’anno, definito da alcuni, della conversione alla letteratura. Egli scrisse una tragedia “Antonio e Cleopatra”, nella quale riprese in molti aspetti la relazione con la Turinetti. Tale opera fu fondamentale per la sua vocazione di poeta tragico e finalmente il vuoto della sua vita fu colmato. Questi anni furono fondamentali per la sua scelta letteraria e per l'elaborazione del suo pensiero politico: nel 1777 scrisse il trattato “Della tirannide”, con la quale decise di liberarsi della lingua francese. Il successo della rappresentazione di Cleopatra lo spinse a dedicarsi a uno studio serrato dei classici italiani e latini, voleva impadronirsi di un linguaggio più elevato. Egli scelse come forma artistica la tragedia, perché la più adatta a rappresentare la sua concezione della vita basata sullo scontro tra uomini eroici e tiranni, i quali rappresentano tutti quei limiti che impediscono la piena realizzazione dell'individualità umana. La libertà, che è il motivo trainante delle tragedie dell'Alfieri, è una libertà esistenziale. Successivamente egli si trasferì a Firenze, dove si legò alla contessa d'Albany, che insieme alla poesia andò a dare equilibrio alla sua vita. In questo periodo lavorò ad alcune tragedie tra cui: “Filippo”, una delle maggiori. Fu presente durante le prime fasi della Rivoluzione francese e decise di scrivere delle lodi, ma successivamente, rimanendo deluso dagli sviluppi che essa aveva preso, scrisse il “Misogallo”, opera dai toni antifrancesi; ma lo vedremo successivamente. Negli ultimi anni della sua vita soggiornò a Firenze, dove visse in solitudine e con un odio sempre più forte contro i francesi che si erano impadroniti dell’Italia. I RAPPORTI CON L’ILLUMINISMO L’INSOFFERENZA VERSO IL RAZIONALISMO SCIENTIFICO Nella letteratura europea del XVIII secolo l’attività di Vittorio Alfieri rappresenta una luminosa eccezione. Anche se ebbe una formazione illuminista, Montesquieu è una delle fonti primarie della sua formazione, non può essere definito illuminista né tanto meno un poeta romantico. Egli però si distaccò, pur sempre riconoscendole, da queste sue basi e approdò in una diversa prospettiva ideologica che gli fece soffrire, nei confronti della cultura del secolo, una vera insofferenza. Tra gli aspetti che lo dividono dalla cultura illuministica troviamo il culto della scienza; infatti questo impersonale razionalismo annullava, quel forte sentire che Alfieri collocava al centro dell’esperienza umana, e frenava l’immaginazione, che costituisce il necessario nutrimento per la poesia, considerata suprema manifestazione dell’umana essenza. Inoltre l’Illuminismo, nella forma della filosofia sensistica, aveva rivalutato l’importanza degli impulsi spontanei; mirava a un equilibrio tra la vita passionale e la ragione, la quale aveva il compito di guidare gli impulsi profondi. Ma Alfieri si ribellò a questo controllo razionale e lo dimostrò esaltando la passionalità, la quale riesce a innalzare l’uomo al di sopra della sua stessa natura. L’Illuminismo, sulla base della razionalità scientifica, andò sempre contro la religione, ma Alfieri, pur non possedendo una fede tradizionale, non fu mai d’accordo e fu mosso da uno spirito religioso, che si manifestò in un’oscura tensione verso l’infinito. Di conseguenza tutto l’orgoglio illuministico per le scoperte scientifiche gli fu del tutto estraneo: egli ebbe il senso del mistero, che avvolge le ragioni dell’essere e davanti alle quali l’uomo può rimanere solo che scontento; infatti egli insisteva sulla impotenza umana, mentre l’Illuminismo era pervaso da un grande ottimismo. IL RIFIUTO DEL PROGRESSO ECONOMICO E DEI “LUMI” Egli fu scettico sul progresso economico dell'epoca su cui insistevano gli scrittori contemporanei; per Alfieri non era altro che un’agevolazione al proliferarsi di una massa mediocre e vuota, rappresentata dall’alta borghesia, che era interessata solo al guadagno. Così fu sempre freddo verso l’idea di una diffusione dei lumi, perché l’unico modo per trasformare gli schiavi in uomini liberi era grazie all’entusiasmo, riesce a scuotere le coscienze; e di conseguenza andò contro ad altri temi centrali dell’Illuminismo come il cosmopolitismo, al quale contrappose un fiero isolamento, o anche al filantropismo, al quale antepose una vera e propria adorazione nei confronti di una ristretta umanità eroica, si opponeva al gregge schiavo che rappresentava la maggioranza del genere umano. La sua contrapposizione al cosmopolitismo riprese l’odio che egli provava contro la tirannide e il potere; da questo punto, possiamo comprendere perché Alfieri non era un illuminista, ma neanche un romantico. Infatti egli non fu in grado di accettare neppure la nuova borghesia, che stava lentamente prevalendo sulla vecchia monarchia. Quindi possiamo comprendere come le idee di Alfieri fossero basate sulle emozioni interne all'io dell’autore. Infatti Alfieri rifiutava il potere in generale, in quanto l’esistenza stessa del potere era limitante alla libertà dell’uomo. Ciò venne descritto come Titanismo Alfieriano, e consisteva nello scontro tra un io in cerca della totale libertà e tutte le forze che tentavano di fermarlo. Difatti, Alfieri era completamente isolato, ma pur essendo immerso in una realtà politica a lui estranea, era sempre in cerca del suo ideale di grandezza eroica. Ma era proprio il titanismo a produrre quei sentimenti pessimistici provocati dall'impossibilità di raggiungere i suoi obiettivi; perciò capiamo come in realtà il titanismo ed il pessimismo facessero parte della stessa sostanza, poiché l’esistenza di uno provoca l’altro.
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