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Ricerca sulla figura della donna nell’arte, Guide, Progetti e Ricerche di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche

questa ricerca è stata svolta nel 2021 e tratta della figura della donna nell’arte

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2020/2021

Caricato il 20/03/2022

emanuela-catanzaro
emanuela-catanzaro 🇮🇹

4.8

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Scarica Ricerca sulla figura della donna nell’arte e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche solo su Docsity! La donna nell’arte ARTE PREISTORICA: La donna è sempre stata oggetto per le raffigurazioni nell’arte, ricoprendo diversi ruoli con diversi significati simbolici. A partire dalle rappresentazioni e sculture della preistoria, la donna è stata rappresentata nelle sue molteplici sfaccettature: donna come madre, come santa, come diavolo, come amante ecc. Il modo di rappresentarla è cambiato non solo per via dell’avanzamento delle tecniche pittoriche o scultoree, del cambiamento del gusto estetico e del variare delle correnti artistiche, ma anche per il modo di concepire il ruolo della donna nella società. Nell’iconografia antica la donna era sempre associata alla fecondità e alla natura, era veicolo del principio della vita, simbolo di maternità e di procreazione. L’era preistorica si suddivide in due grandi epoche: il paleolitico ed il neolitico. Durante il primo le comunità umane si nutrivano della frutta, delle radici raccolte e degli animali cacciati. In questo periodo gli uomini erano addetti alla caccia, mentre alle donne spettavano mansioni meno importanti. Essendo la donna, la misteriosa fonte di vita e la profonda conoscitrice della natura, si riteneva, che avesse un legame speciale con il mondo della magia e delle divinità; per questo motivo le donne erano direttamente coinvolte nella direzione delle cerimonie religiose, una sorta di stregone del gruppo. Le donne, inoltre, erano addette alla trasmissione delle storie degli avi e delle leggende, che mantenevano saldo il legame con il passato e conferivano un’identità al gruppo. La comunità riconosceva il valore della donna all’interno del gruppo e le riservava un posto di rilievo. Nel neolitico il ruolo della donna viene ridotto all’occuparsi esclusivamente della prole e alla casa. L’estromissione dalle attività produttive generò anche l’estromissione dalla gestione della comunità, e più in là dalla gestione del potere pubblico. Dunque, nella preistoria la donna era vista come la misteriosa fonte di vita e come profonda conoscitrice della natura; pertanto nell’arte preistorica era prevalente l’immagine femminile legata alla fertilità. La scultura è il prototipo tipico delle Veneri preistoriche. Il corpo femminile, con le sue importantissime connotazioni simboliche legate alla procreazione e dunque al perpetuarsi della vita, fu il primo e più diffuso soggetto della piccola statuaria del Paleolitico. Venere di Fels: La cosiddetta Venere di Fels, rinvenuta nel 2008, nelle omonime grotte della Germania sud-occidentale, risale al 35.000 a.C. (ma potrebbe essere ancora più antica) ed è considerata la prima rappresentazione di un corpo umano giunta fino a noi, oltre che la scultura più antica del mondo. È ricavata da una zanna di mammut e rappresenta una figura femminile priva di testa (al cui posto, al di sopra delle spalle, è ricavato un piccolo anello), con fianchi, seni, pancia e genitali molto pronunciati. Le braccia sono corte e le mani appoggiate al ventre. Linee orizzontali tracciate su tutto il corpo potrebbero richiamare un vestito o un drappeggio. Venere di Lespugne: La Venere di Lespugne, ritrovata nell’omonima località francese, è invece completamente nuda. Molto più stilizzata della precedente, risulta come una singolare composizione di masse arrotondate, di forme sferoidi che alludono al ventre, alle cosce, ai glutei, alla testa. Proprio a causa delle sue caratteristiche natiche sporgenti, questa tipologia di “Venere” è detta anche steatopigia (dal greco stèatos, ‘grasso’, e pygè, ‘natica’). Venere di Willendorf : La Venere di Willendorf (battezzata così per la località austriaca sulle rive del Danubio in cui venne ritrovata) risale al 25000 a.C. circa. Si tratta di una statuetta calcarea alta appena 11cm e raffigurante una donna pingue, vasi greci gli uomini sono mostrati con la pelle scura e le donne con la pelle chiara. Malgrado ciò esageri le differenze fra i due sessi, le donne della vita reale erano molto più pallide degli uomini, questo perché la loro pelle prendeva molto meno sole di quella degli uomini. Come detta pocanzi, la donna venne rappresentata in diverse sfaccettature come possiamo vedere nell’ “Amazzone ferita” e nella “Nike”. L’Amazzone ferita: L'Amazzone ferita è una scultura di Fidia della seconda metà del V secolo a.C., nota solo da copie romane, tra cui la migliore si trova ai Musei Capitolini di Roma. La statua fu creata in occasione di una gara presso il Santuario di Artemide di Efeso, in competizione con Policleto e altri artisti. Il soggetto da realizzare era appunto una scultura di amazzone ferita. A vincere fu Policleto, seguito da Fidia. È rappresentata con il braccio destro sollevato oltre il capo e con la mano afferra l’estremità superiore di un arco. Il braccio sinistro invece è disteso lungo il fianco e stringe un portafrecce. Indossa poi un chitone corto stretto in vita e un paio di calzari. Il seno sinistro è scoperto. Il corpo inoltre poggia sulla gamba destra mentre la sinistra è leggermente sollevata e flessa. In origine la figura poggiava le mani sull’asta che arrivava fino a terra. La struttura della scultura è quindi condizionata da tale elemento. Gli archeologi ritrovarono una copia dell’Amazzone ferita di Fidia. Questa copia rivelava una ferita sanguinante sulla gamba destra. Da questo particolare gli studiosi ipotizzarono che l’asta fungesse da sostegno per la guerriera. Fidia fu uno scultore di rilievo del periodo classico. Le sue opere decoravano il Partenone di Atene ed evidenziano una grande abilità tecnica nel rendere l’anatomia ed i panneggi. La Nike di Samotracia: La Nike di Samotracia è una scultura in marmo attribuita a Pitocrito, databile intorno al 200-180 a.C. e oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi. Venne scolpita a Rodi in epoca ellenistica per commemorare la vittoria nella battaglia dell'Eurimedonte, in cui la flotta del re siriano Antioco III (guidata da Annibale) combatté contro una piccola flotta di navi di Rodi, che da poco si era schierata dalla parte di Roma nell'ambito della Guerra romano-siriaca. L'isola di Samotracia volle commemorare il buon esito del conflitto realizzando un grande tempio votivo in onore dei Grandi Dei Cabiri che si sviluppava su più livelli, dei quali quello alla sommità era occupato proprio dalla Nike. L'autore è sconosciuto, ma con tutta probabilità si tratta dello scultore ellenistico Pitocrito, come suggerito dal nome rinvenuto sul basamento. La statua, rinvenuta acefala e senza braccia, raffigura Nike, la giovane dea alata figlia del titano Pallante e della ninfa Stige, adorata dai Greci come personificazione della vittoria sportiva e bellica. La dea, vestita con un leggero chitone, è raffigurata nell'atto di posarsi sulla prua di una nave da battaglia. Un vento impetuoso investe la figura protesa in avanti, muovendo il panneggio che aderisce strettamente al corpo, e crea un gioco chiaroscurale di pieghette, in grado di valorizzare le sinuosità della dea. La Nike posa con leggerezza il piede destro sulla nave, mentre, per il fitto battere delle ali, che frenano l'impeto del volo, il petto si protende in avanti e la gamba sinistra rimane indietro. Le braccia sono perdute, ma alcuni frammenti delle mani e dell'attaccatura delle spalle mostrano che il braccio destro era abbassato, mentre il sinistro era sollevato, con la mano aperta a compiere un gesto di saluto, ARTE ETRUSCA: La donna etrusca era la più libera nelle società antiche: raffinata, elegante, indipendente, bellissima... Attraverso l’arte etrusca si affronta un affascinante viaggio nell’universo femminile etrusco. Quando si pensa in generale allo stato della donna nelle civiltà antiche, nel nostro immaginario si presenta la figura di una donna subalterna rispetto all’uomo, e il cui compito è soprattutto quello di curare le attività domestiche, o comunque di attendere a occupazioni tipicamente femminili. Non era così, invece, per la donna etrusca: nessun’altra donna come quella etrusca godette di un grado tanto alto di emancipazione, libertà e autonomia. “Le donne etrusche”, ha scritto lo studioso Jean-Paul Thuillier, “sapevano essere custodi del focolare”, ma allo stesso tempo erano in grado di tenere a bada la folla di servi e domestici e dunque pensare alle questioni domestiche. Semplicemente, possiamo dire che a differenza di Penelope e Andromaca, esse non si accontentavano assolutamente di attendere pazientemente a casa il ritorno degli sposi, ma prendevano legittimamente parte a tutti i grandi piaceri della vita. L’alto livello di benessere economico della società etrusca fece sì che, già in età arcaica (6° secolo a.C.), il ruolo della donna avesse iniziato a subire delle modifiche: se prima le donne erano essenzialmente madri dedite alla cura della famiglia, a partire da quest’epoca cominciarono a uscire dalle mura domestiche per partecipare in maniera sempre più attiva alla vita pubblica. Ciò vale soprattutto per l’area dell’Etruria come per esempio la Toscana, l’Umbria e l’alto Lazio, mentre nelle altre zone d’Italia occupate dagli etruschi questo processo di emancipazione assunse modalità di tempo decisamente più lente. Ciò che riesce ad aiutarci a capire come viveva una donna tipo nell’era etrusca sono proprio delle iscrizioni rinvenute su degli oggetti. Sappiamo dunque che le donne possedevano oggetti, sappiamo che erano in grado di leggere (su alcuni strumenti di uso quotidiano compaiono infatti indicazioni esplicative, magari per illustrare una scena decorativa, oppure dediche), e probabilmente in certi casi potevano anche essere titolari di attività commerciali. Un paio esempi: al Museo Gregoriano Etrusco, nei Musei Vaticani, è conservata un’olletta in bucchero (ovvero un piccolo recipiente che serviva per contenere alimenti) dove si legge la scritta “mi ramuthas kansinaia”, ovvero “io sono di Ramutha Kansinai”, dove il proprietario del vaso, una donna, è identificata con nome e cognome e per esempio al Louvre, Museo celebre di Parigi, si trova invece una pisside, databile al 630 avanti Cristo circa, sulla quale si trova l’iscrizione “Kusnailise”, che potrebbe essere tradotta con “nella bottega di Kusnai”, dove Kusnai (un nome da donna) è presumibilmente la proprietaria dell’attività commerciale. Dunque si può immaginare una donna molto particolare per l’epoca in cui viveva... Nobiltà e gentilezza del vestire, che si accompagnano alla nobiltà e alla gentilezza dell’atteggiarsi, alla intensa e affettuosa partecipazione agli eventi pubblici. Le immagini e i reperti che ci sono giunti ci hanno tramandato l’immagine di una donna orgogliosa, raffinata, gentile, che gradiva i piaceri mondani, amava vestirsi bene e indossare gioielli preziosi e di buona fattura, dedicava molto tempo alla cura del corpo e del proprio aspetto, sperimentava acconciature elaborate, e ricopriva un ruolo importante sia a livello familiare sia a livello sociale, data anche “la quantità e la ricchezza, talora eccezionale, dei suoi ornamenti e degli oggetti deposti in suo onore (e in suo uso)” nelle sepolture. Parlando proprio di sepolture c’è da dire che proprio dell’era etrusca abbiamo vasti esempi, vari sarcofagi, di donne vissute proprio in quel periodo... Innanzitutto cosa troviamo nelle tombe? Tra i vari corredi funerari delle donne etrusche vi troviamo diversi oggetti che ci raccontano molto delle loro attività: sono stati ritrovati strumenti per la tessitura e la filatura (hobby che venivano praticati anche dalle donne dell’alta società, supportate dalle loro ancelle), e poi specchi, gioielli, ornamenti di vario tipo e unguentari, segno che le donne etrusche dovevano passare molto tempo a farsi belle, e addirittura morsi di cavallo che potrebbero suggerire il fatto che, nell’antica Etruria, le donne si muovessero e viaggiassero in autonomia, senza un padre o un marito che le accompagnasse. rimpianto insostenibile. Gli occhi invece guardano lontano e sembrano già aver trovato nei misteri della morte i motivi per accettare senza dolore tutti i distacchi. Come un’ombra paurosa sta dietro di lei una creatura dalle ali gigantesche. Ha i capelli pieni di serpi, le orecchie di animale e lo sguardo che lampeggia rosso sull’orribile naso a becco d’avvoltoio. È Charun, il traghettatore delle anime nel loro ultimo oscuro viaggio nell’Ade, che brandisce il pesante martello con il quale spegneva la vita dei mortali. Ma questa volta il Demone Etrusco ha perduto, perché la fanciulla dei Velcha ancora oggi, nonostante i millenni, continua ad incantare e a sedurre, sospesa tra la vita che non vuole andarsene e la morte che ancora non vince. ARTE ROMANICA: Il Manierismo è una corrente artistica che si afferma in Italia e poi in Europa nel XVI secolo; è un fenomeno soprattutto pittorico ma influenza anche la scultura e l’architettura. Nasce contemporaneamente alla fase più matura del Rinascimento, in un periodo che vede la crisi dei valori della chiesa romana, la diffusione della religione protestante e lunghi conflitti in Europa. Il termine Manierismo indica un’arte che non cerca più di riprodurre la natura, come nel Rinascimento, ma che vuole invece rifarsi alla maniera, cioè allo stile, dei grandi maestri. Si imitano Michelangelo, Raffaello e Leonardo, esasperandone alcune caratteristiche; si realizzano così opere dove all’interno di complesse composizioni si affollano numerosi personaggi, dipinti con inusuali e poco realistici accostamenti cromatici. In queste opere si abbandona lo spazio prospettico e la proporzionalità delle figure tipiche del Rinascimento; nei colori non si cerca la verosimiglianza ma l’effetto drammatico. Nel XVI secolo i termini “manierista” e “manierismo” non esistevano. Il termine “maniera”, invece, lo troviamo in Vasari (Le Vite), il quale lo utilizza indicando come “bella maniera” le qualità di grazia, armonia, immaginazione, fantasia e virtuosismo. Caratteristiche abbastanza ricorrenti nelle opere pittoriche manieriste furono: • Una costruzione della composizione complessa, molto studiata, talvolta con eccentricità nella disposizione dei soggetti, tipica è la figura serpentinata, cioè realizzata come la fiamma di un fuoco o una s; • Un uso importante della luce, finalizzato a sottolineare espressioni e movimenti, a costo di essere a volte irrealistico; • Grande varietà di sguardi ed espressioni, normalmente legate al soggetto e alla situazione rappresentata: talora intense, dolorose, a volte assenti, metafisiche, a volte maestose, soprannaturali; • Grande varietà nelle pose, che intendono suggerire movimenti, stati d'animo, e, quando richiesto, la soprannaturalità del soggetto; • L’artista afferma la propria libertà espressiva; per questo la prospettiva e le proporzioni classiche sono abbandonate o interpretate in modo personale. • Non si vuole imitare la realtà, ma rappresentarla in forme ricercate e artificiose, quindi irreali. I pittori trasformano allora i paesaggi e le figure con prospettive audaci e colori innaturali, spesso sgargianti. • Le opere figurative rappresentano spesso temi allegorici e narrazioni a soggetto mitologico, che rafforzano il distacco dal mondo reale. Minerva in atto di abbigliarsi: Minerva in atto di abbigliarsi è un olio su tela, ha una grandezza di 260 cm x 190 cm e lo possiamo trovare alla Galleria Borghese di Roma. L’opera, databile con certezza al 1613 per la ritrovata iscrizione vicino al piede del putto, è presente nella collezione di Scipione Borghese dal momento della sua esecuzione; venne eseguita certamente a Roma, città alla quale la pittrice rende omaggio attraverso la cupola di San Pietro visibile nello sfondo. Il dipinto raffigura Minerva, che ha appena dismesso le armi per indossare un abito femminile, per lei poco usuale. Sullo sfondo, in fuga prospettica l’asta, l’ulivo e la civetta appollaiata sul balcone, attributi consueti della dea guerriera. La divinità viene ritratta completamente nuda mentre si accinge ad indossare un mantello. La figura è intera, in posizione laterale e proporzionata nelle forme, mentre il volto della dea è inclinato e volutamente diretto verso lo spettatore, lo sguardo è intrigante e ammaliante. Alle cromie più scure della stanza si contrappone un fascio di luce che si abbatte sulla parte posteriore del corpo della dea, accentuandone la figura. La postura del corpo nudo e le tonalità cromatiche conferiscono all’opera, nel suo complesso, una forte sensazione di fascino e seduzione. La vestaglia che la dea tiene in mano appare preziosa e raffinata; (simbolo che indica che la dea era la protettrice della tessitura) l’indumento tipicamente femminile si contrappone ad altri elementi che emergono dalla scena come l’elmo, la lancia e lo scudo unitamente ad alcuni simboli come la civetta (il suo animale sacro) e che identificano Minerva come divinità vergine della guerra giusta, della saggezza, dell’ingegno e delle arti. Sullo sfondo del dipinto è collocato un piccolo putto, intento a giocare con il suo elmo. ARTE GOTICA: L’arte gotica è nata nella Francia Settentrionale all’incirca intorno alla metà del secolo XII, essa si diffuse ben presto in tutta Europa e divenne la corrente artistica predominante fino all’ incirca del XV secolo. Il termine gotico venne applicato all'arte di questo periodo per designare le manifestazioni artistiche avvenute dopo la fine dell'arte antica e aveva il significato di barbarico. L’arte gotica fu, in ogni caso, una corrente artistica di grandissima diffusione: così denominata dagli artisti del Rinascimento, questa tendenza interessò tutti i settori della produzione artistica e, in particolar modo, l’architettura. A livello di caratteristiche, si distaccò in maniera decisa dall’arte romanica: utilizzando per esempio tecniche già note, come quella dell’arco a sesto acuto e della volta a crociera. L’arte gotica, in quanto arte esclusivamente religiosa, ha dato un peso tangibile alla crescente potenza della Chiesa di Roma. Questo non solo ispirò il pubblico, ma anche i suoi dirigenti laici, e stabilì saldamente il legame tra religione e arte, che fu uno dei fondamenti del Rinascimento italiano (1400-1530). Perciò, in questo periodo, la donna veniva spesso rappresentata sotto le vesti della Vergine. Madonna di Ognissanti: Fu realizzata da Giotto e si trova nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Essa è una pala che riprende un tema, quello della Maestà, molto caro alla cultura Gotica. L’opera è una tavola cuspidata di grandi dimensioni e appaiono significative le massicce figure della Vergine e del Bambino che tiene in braccio. Il corpo della donna viene raffigurato in maniera compatta e ben definita, inoltre, essa ha una dimensione maggiore rispetto a quella dei personaggi minori. Raffinati sono i colori, come il bianco della veste, il blu del manto e il rosso intenso della fodera. Maria è una matrona che, in maniera del tutto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo appena le labbra e mostrando da uno spiraglio i denti bianchi. Lo sguardo della Vergine non è più dritto e immobile ma leggermente rivolto verso sinistra. La gravità dei volti è addolcita da un uso nuovo del colore: Giotto infatti abbandona l’illuminazione diffusa e irreale e sceglie variazioni di tono più naturali. La luce ambientale contribuisce alla costruzione dei volumi e delinea il corpo della Vergine sotto le vesti, esaltandone la femminilità. Inoltre si apprezza il modellato volumetrico nel grembo della vergine, infatti le ginocchia coperte dal panneggio hanno un forte senso di solidità. Tutti gli sguardi degli angeli presenti nel dipinto, convergono verso il centro e hanno in mano doni per la madonna: una corona, un cofanetto prezioso e vasi con gigli, simboli di purezza. con la sua Sant'Anna. In questa però il senso del volume è molto meno accentuato e la convenzionalità dei panneggi nasconde le difficoltà di una prospettiva ancora incerta. La mano sinistra infatti tesa in avanti a protezione del bambino risulta quasi priva di un braccio al quale congiungersi realisticamente e l'imbarazzo é evidenziato anche dalla mancata rappresentazione della gamba sinistra, della quale non si riesce a percepire l'esatta collocazione. MACCHIAIOLI: I Macchiaioli sono stati un gruppo di artisti attivi soprattutto in Toscana nella seconda metà dell'800. Rifiutarono i soggetti mitologici, Neoclassici e Romantici per porre l'attenzione al Realismo francese. Questo periodo durò dal 1855 al 1867 Il termine macchiaiolo compare per la prima volta nel 1862 sulla Gazzetta del Popolo. Il movimento in esame è uno dei pochi nel panorama ottocentesco e l’unico degli ultimi decenni del secolo che possa definirsi come una vera scuola, sia per i grandi risultati raggiunti, sia per la comunità di intenti che lo tiene unito. Nonostante le diverse culture e tradizioni dei componenti, provenienti da ogni parte d’Italia, il gruppo rimane ben saldo ed omogeneo sotto ogni punto di vista. I temi scelti sono quelli della realtà e della quotidianità, cioè i soggetti diventato i semplici paesaggi di campagna e il duro lavoro nei campi, ma anche la vita cittadina e quella militare. La cugina Argia: La cugina Argia è un olio su cartone eseguito da Giovanni Fattori databile nel 1861, possiamo trovarlo alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze. Questa è una delle prime esperienze pittoriche significative del Fattori che pur risentendo ancora dell'insegnamento accademico si mostra già sensibile alla nuova poetica macchiaiola. Argia, seduta, quasi di profilo, stagliandosi contro la quinta monocroma di una parete intonacata: la postura della donna è stata coscienziosamente studiata dall'artista e risente della nascente moda del ritratto fotografico. Le gamme calde e dorate del muro conferiscono peso e verosimiglianza alla figura, già dotata di una propria corporeità grazie all'efficacia accostamento di macchie di tonalità diversa e ai variati chiaroscuri. Argia, colta mentre colloca le mani sul grembo, gentilmente riunite a reggere un gracile fiorellino, veste un elaborato abito color grigio ed una sotto camicetta bianca. Notevole è la forza di carattere e penetrazione psicologica del dipinto: Fattori, infatti, dona allo sguardo della consanguinea un guizzo di grande vitalità con l'apposizione di un tocco di bianco all'interno della pupilla, così da simulare la riflessione luminosa corneale. Con questo espediente il pittore riesce a conferire all’effigiata un atteggiamento penetrante e autoritario, stemperato esclusivamente dalla dolcezza dei suoi lineamenti e dal lievissimo accenno di sorriso che rivolge all'osservatore. ARTE ODIERNA: Durante tutti gli anni non si è mai sentita una donna nel mondo dell’arte che avesse la stessa importanza di artisti come Michelangelo o Leonardo Da Vinci. Alla fine degli anni Ottanta è iniziato un processo di revisione storica e di valorizzazione del contributo femminile. Nel frattempo il mondo dell’arte ha iniziato ad accogliere, tra gli esordienti, le donne in misura identica a quella degli uomini. Per gli anni Novanta si può anzi parlare di una ‘moda femminile’: nessun curatore che si rispetti avrebbe allestito una mostra senza dare alla partecipazione femminile un grande rilievo. Un eclatante esempio di rivalsa delle donne nell’arte è Judy Chicago che è rimasta celebre per l’installazione “The Dinner Party”. The dinner party: Realizzata nel 1979 al San Francisco Museum of Modern Art. Essa mimava la più monumentale celebrazione del contributo storico della donna in diversi ambiti culturali: un grande tavolo a forma di triangolo equilatero reggeva trentanove piatti disegnati dall’artista, ciascuno dei quali celebrava una donna famosa; il pavimento in marmo recava incisi i nomi di 999 donne meritevoli di ricordo.
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