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Rifare la filosofia John Dewey, Sintesi del corso di Filosofia della Scienza

Introduzione di Armando Massarenti. Gli argomenti principalmente trattati nell'elaborato è una sintesi della struttura del libro in tutte le sue parti.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 13/04/2021

J.T
J.T 🇮🇹

4.5

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9 documenti

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Scarica Rifare la filosofia John Dewey e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia della Scienza solo su Docsity! Prefazione Dewey ha cercato di fornirci una giustificazione epistemologica della democrazia che è un punto di riferimento fondamentale per chi voglia impegnarsi in un processo di rinnovamento della filosofia. La ricostruzione, per Dewey, una volta ammesso il collegamento con i problemi sociali, doveva passare per la sua democratizzazione, spazzando via i residui di un modo autoritario, ereditario del passato di intendere la cultura. Uno dei compiti di una società democratica è la formazione attraverso l’educazione di individui autonomi e dotati di senso critico. Ciò che conta per Dewey è il processo della ricerca che non raggiunge mai risultati certi e definitivi, ma che mette continuamente in discussione le conoscenze acquisite. Si rifà a Darwin perché il principio vitale per eccellenza è quello che spinge gli organismi a un incessante cambiamento senza il quale non sarebbe possibile adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali. La scienza per egli è ricerca e non un impossessarsi dell’immutabile. Non ha un immagine puramente descrittiva della scienza ma un’immagine normativa. Secondo Dewey una filosofia impegnata nella propria ricostruzione deve fare, per indagine della condizione umana e quindi della morale, ciò che i filosofi dei secoli scorsi hanno fatto per promuovere l’indagine scientifica sugli aspetti fisici e fisiologici della vita umana. Dewey sente la necessità di ricostruire una sfera per la discussione democratica, in cui non ci sia una separazione artificiale tra filosofi esperti da una parte e cittadini dall’altra. Una società che accetta questa separazione escludendo di fatto i cittadini comuni dalla discussione dei problemi pubblici che li riguarda non solo non è una società democratica, ma tenderà a produrre un sapere filosofico scadente e inadeguato. È grazie a Dewey che possiamo trovare una posizione intermedia tra due famiglie che si oppongono al liberalismo: da una parte quelle che propugnano un ritorno alle virtù repubblicane e dall’altro quelle che propongono una visione procedurale della democrazia. I repubblicani si orientano sul modello antico di un corpo di cittadini che condividono una serie di virtù civiche e per i quali la decisione degli affari comuni è uno scopo essenziale della loro vita. I proceduralisti ritengono che per riattivare il processo di una formazione democratica della volontà, non c’è bisogno di far ricorso a tali virtù, ma a procedure moralmente giustificate. Dewey osserva che nella scienza l’intelligenza e la qualità delle soluzioni dei problemi emergenti sono direttamente collegate alla democraticità della ricerca, cioè alla possibilità da parte di tutte le persone coinvolte di scambiarsi informazioni e avanzare critiche in modo libero. Da qui egli prende la parte procedurale della sua visione della democrazia: riconosce la dimensione politica della libertà comunicativa stesa a tutti gli individui impegnanti nella soluzione cooperativa dei problemi di carattere pubblico. Nel Dewey giovane vi è un passaggio troppo diretto dall’autorealizzazione cooperativa all’autogoverno collettivo. In questo modo viene eliminato ogni spazio all’esercizio discorsivo e procedurale della libertà individuale nella formazione collettiva della volontà e nella soluzione dei problemi. Il Dewey maturo ha una visione più articolata della democrazia la quale garantisce l’esistenza di un tale spazio pubblico; tale sfera è il medium cognitivo mediante il quale la società tenta di determinare, elaborare e risolvere i problemi insorgenti nella coordinazione dell’agire sociale. Dewey è un individualista convinto: i politici e gli esperti non devono proporre soluzioni preconfezionate ai problemi sociali, ma fare di tutto perché i cittadini sappiano pensare con la propria testa. Quello che Putman chiama Realismo Metafisico è la concezione secondo cui la scienza e solo essa descrive il mondo così com’è, indipendentemente dalla prospettiva da cui lo si guarda che Dewey definisce spettatore di conoscenza. Al polo opposto vi sono le concezioni relativistiche secondo le quali non vi è mediazione o discussione possibile tra i nostri molteplici punti di vista sul mondo e sui valori. Le due opposte concezioni commettono lo stesso errore: parlano non dal punto di vista di esseri umani immersi con i loro schemi concettuali nella realtà che intendono descrivere, comprendere, trasformare ma dal punto di vista dell’occhio di Dio; bloccano il cammino della ricerca. La filosofia deve presentarsi come una riflessione su come gli esseri umani possono risolvere i vari tipi di situazioni problematiche che essi incontrano nella scienza, etica, politica, educazione e in qualunque altro campo. Il rinnovamento che Putman propone passa per l’abolizione di una serie di dicotomie tra cui fatti/valori. Il realismo metafisico prende le mosse dalla distinzione cartesiana che oppone il soggetto conoscente all’oggetto da conoscere e finisce con il postulare che il mondo, che esisterebbe indipendentemente da noi, possa essere conosciuto dall’esterno, dal punto di vista dell’occhio di Dio. Secondo Putman questa è un’illusione pericolosa che ci fa vedere le cose in modo distorto. Il realismo interno proposto da Putman (realismo pragmatico) è un modo per riavvicinare il realismo dell’uomo comune e il realismo della scienza che nella sua visione metafisica finisce per ammettere l’esistenza reale solo degli oggetti scientifici. Putman presuppone l’idea del fallibilismo, cioè la possibilità di cambiare o modificare le proprie idee, credenze e valori nel momento in cui questi fossero sottoposti a critiche convincenti. Ciò che ci guida veramente è vero e la capacità dimostrata di guidarci è appunto ciò che si intende con verità. un’idea o una concezione sono una rivendicazione, un’ingiunzione o un piano per agire in modo da arrivare a chiarire una certa situazione. Ciò che impedisce a questa nozione di verità di cadere nel soggettivismo è il fatto che il processo comprende le condizioni pubbliche e oggettive che fanno si che la verità non possa essere manipolata dal capriccio personale. La morale è aperta all’indagine e incentrata sullo stesso presupposto fallibilista che non implica però che non si possa avere un’immagine realistica di come stanno le cose e decidere di conseguenza. L’indagine, la scoperta occupano nella morale lo stesso posto che già occupano nelle scienza della natura. Le scelte morali riguardano situazioni in cui più linee d’azione, più valori entrano in conflitto tra loro e devono confrontarsi con le caratteristiche personali di chi è impegnato in prima persona a prendere una specifica decisione. L’invito di Dewey è a non precipitare il giudizio morale affidandosi a principi astratti ed estranei alla situazione. Ciò che vale per l’indagine in generale vale anche per l’indagine etica in particolare. Se questo è esatto per Putman, connettendo l’argomento morale con quello democratico, una comunità etica che vuole sapere che cosa è giusto e buono, deve organizzarsi secondo criteri e ideali democratici non solo perché questi criteri e ideali sono buoni in sé, ma anche perché sono i prerequisiti dell’applicazione dell’intelligenza all’indagine. Qualsiasi società che limiti la democrazia e si organizzi gerarchicamente limita la razionalità di coloro che si trovano ai due estremi della gerarchia. La gerarchia blocca la crescita intellettuale degli oppressi e costringe i privilegiati a costruire delle razionalizzazioni che giustifichino la loro posizione; ma ciò equivale a dire che le società gerarchiche non producono soluzioni razionalmente accettabili delle dispute sui valori. Dewey ammette che accanto alle conoscenze certe che in realtà sono ben poche, esiste una gran quantità di conoscenze incerte, le quali, quando si tratta di ragionare e di agire, sono le più utili e pertinenti. Introduzione L’intelligenza designa un insieme crescente di notevoli metodi di osservazione, di esperimento e di riflessione che in poco tempo hanno rivoluzionato la fisica e la nostra vita fisiologica, ma che non sono stati ancora elaborati per venire applicati a ciò che è distintamente umano. La ricostruzione da intraprendere non consiste nell’applicare l’intelligenza come qualcosa di pronto all’uso ma nel trasferire all’indagine di argomenti umani e morali il tipo di metodo attraverso il quale la comprensione della natura fisica ha raggiunto il suo culmine attuale. La nuova teoria deve cambiare oggetto e occuparsi di come avviene il processo di conoscenza invece di presumere che esso si debba svolgere in conformità a opinioni preesistenti, formatesi autonomamente sulle facoltà degli organi. La filosofia nasce dalle vicende umane e vi è collegata nel suo intento. Significa qualcosa di più del fatto che in futuro la filosofia dovrà essere collegata alle crisi e alle tensioni della condizione umana. Gli uomini che hanno dato inizio alla rivoluzione nelle scienze naturali ritenevano che lo spazio e il tempo fossero indipendenti l’uno dall’altro, dalle cose che vi esistono e dagli eventi che vi svolgono. Le dottrine filosofiche concordavano nell’assumere che la filosofia in quanto tale si distinguesse per il compito di cercare l’immutabile e il definitivo senza badare al tempo e allo spazio. La scienza e la morale tradizionale erano sempre in disaccordo su quali tipi di cose siano immutabili. L’universalità delle teoria scientifiche non sta in un contenuto intrinseco fissato da Dio o dalla natura, ma in una gamma di applicabilità, nella capacità di prelevare alcuni eventi apparentemente isolati e di ordinarli in sistemi che dimostrano di essere vivi perché cambiano e cioè crescono. La routine tende a ottundere perfino l’indagine scientifica: sbarra la strada alla scoperta e al lavoro scientifico attivo. La scienza è ricerca e non un impossessarsi dell’immutabile; il punto si vista offerto da nuove teorie è più apprezzato delle scoperte che accrescono quantitativamente le conoscenze fin qui accumulate. Rientra nella scienza se e quando il campo di applicazione è specifico e limitato; rientra nella filosofia quando il campo di applicazione è talmente esteso che non può tradursi direttamente in formulazioni utilizzabili per forma e contenuto in una determinata ricerca. I fattori storici dimostrano che le discussioni, anche se troppo estese e approfondite per scendere nei particolari tipici della scienza, hanno comunque fatto un’opera senza la quale la scienza non sarebbe quella che ora è. Il primo requisito di una ricostruzione è di arrivare a un’ipotesi su come si sia prodotto questo cambiamento così ampio, profondo e rapido. Lo sviluppo dell’indagine scientifica è immaturo: non è ancora andato oltre gli aspetti fisici e fisiologici delle vicende, degli interessi e degli argomenti umani. Perciò ha effetti parziali; le condizioni istituzionali in cui interviene, e che ne determinano le conseguenze per l’umanità, ancora non sono state assoggettate a un’indagine seria, sistematica e degna di essere chiamata scientifica. Qualunque indagine su ciò che è profondamente umano si addentra per forza nel campo specifico della morale. Nelle attività specialistiche e relativamente tecniche delle scienze naturali, questo lavoro di scoperta, di svelamento del nuovo e di superamento del vecchio è dato per scontato. Il correlato pratico della scoperta scientifica e teorica è l’invenzione. Nelle vicende e nei rapporti umani l’invenzione si produce raramente e soltanto sotto la pressione di un’emergenza; la sola idea di invenzione fa paura e orrore, è considerata pericolosa e distruttiva. L’occasione di universalizzare il metodo della scienza in quanto indagine, la quale è per forza scoperta in cui i vecchi atteggiamenti e le vecchie conclusioni intellettuali cedono continuamente al diverso e al nuovo, si ha precisamente quando scopre come dare ai fattori di tale secolarizzazione la forma, i contenuti e l’autorità nominalmente assegnati alla morale ma oggi non praticati dalla morale tramandataci dall’epoca prescientifica. Tre elementi: 1) l’attacco contro le scienze naturali; 2) la dottrina per cui l’uomo è così intrinsecamente corrotto che è impossibile creare una morale intesa alla stabilità, all’equità e alla libertà senza ricorrere ad autorità extra umane; 3) l’affermazione da parte dei esterno come la formica ma intacca e modifica la materia raccolta per farne uscire il tesoro che vi è celato. Bacone proponeva che il senso del progresso fosse lo scopo e la verifica della conoscenza autentica. La logica della scoperta guarda al futuro. Considera la verità ricevuta come qualcosa da verificare attraverso nuove esperienze invece che da riceverle passivamente. Il compito della nuova logica sarebbe stato di proteggere la mente da se stessa, dalla griglia costruita e imposta dagli uomini che guardavano l’opera della propria mente e credevano di vedere la realtà della natura. L’interazione in tutti i campi fra scoperta scientifica e applicazione produttiva durante la rivoluzione industriale ha dato i suoi frutti sia alla conoscenza che all’industria e ha fatto capire che il perno della conoscenza scientifica è il controllo delle energie naturali. Le scienze naturali, la sperimentazione, il controllo e il progresso sono strettamente legati. Mentre abbiamo avuto successo nel comandare la natura con i mezzi della scienza, essa non è ancora capace di far applicare tale comando al miglioramento della condizione umana (vi sono applicazioni ma sporadiche e casuali). Gli stati moderni non sono più considerati opere divine, ma come ordinamenti escogitati da uomini e donne per realizzare i propri interessi. La teoria di Aristotele per cui lo Stato esiste per natura non riusciva a soddisfare il pensiero seicentesco perché faceva dello stato un prodotto della natura e sembrava mettere la sua costituzione fuori dalla portata delle scelte umane. Sono stati gli individui attraverso decisioni personali ad aver fatto esistere lo Stato. Quando l’individuo è stato considerato capace di avere rapporti diretti con Dio senza l’intermediazione di un’organizzazione come la chiesa ci siamo distaccati dalle dottrine che insegnavano la subordinazione della personalità. L’interesse si è mosso dall’eterno e universale al mutevole, allo specifico e concreto, dal sovrannaturalismo del medioevo al piacere delle scienze e dei rapporti con la natura. I principi e le presunte verità vennero giudicati sempre in funzione della loro origine nell’esperienza e delle loro conseguenze e sempre meno in funzione di un’origine sublime al di là dell’esperienza quotidiana. Questo è il significato moderno del rifarsi all’esperienza quale criterio supremo di valore e di validità. Nell’allontanarsi dal pensiero antico e medievale il primo pensiero moderno ha proseguito la precedente tradizione di una Ragione che crea e costituisce il mondo, ma l’ha combinata con un’altra secondo la quale tale Ragione opera attraverso la mente umana, individuale o collettiva. La vecchia tradizione era ancora abbastanza forte da proiettarsi inconsciamente nei modi di pensare, da ostacolare e da compromettere l’espressione di forze e di scopi davvero moderni. Il fattore scientifico nella ricostruzione della filosofia Per Aristotele lo sviluppo si da soltanto nel corso di cambiamenti che avvengono entro un particolare membro della specie, è soltanto un nome per il movimento predeterminato che dalla ghianda diventa quercia. Sviluppo, evoluzione non significano mai come nella scienza moderna l’origine di nuove forme, una mutazione in una vecchia specie, ma solo l’attraversamento monotono di un ciclo di cambiamenti già tracciato. Quindi potenzialità non significa mai una possibile novità, invenzione o svolta radicale. Il mondo si divide essenzialmente in tipi: è preorganizzato in classi distinte. Tutte le cose sono sistemate come lo sono in natura le piante e gli animali dal più basso al più alto di ranghi. Le specie e la classi non si mischiano ne si sovrappongono, vi è un posto fisso nella gerarchia dell’Essere. Le cosiddette cause ultime e formali regnano sovrane e le cause efficienti sono relegate e un posto inferiore. La cosiddetta causa ultima non è che un nome per l’esistenza di una forma stabilita, caratteristica di una classe o di un tipo, che governa i cambiamenti in corso perché hanno il fine o lo scopo di tendere ad essa, al compimento della propria vera natura. La causa efficiente che produce e suscita il moto non è che un cambiamento esterno mentre spinge casualmente un essere immaturo e imperfetto verso la sua forma perfetta e compiuta. La causa ultima è la forma perfezionata considerata come la spiegazione o la ragione dei cambiamenti precedenti. Quando è considerata in sé è la causa formale: il carattere o la natura intrinseca che fa o costituisce di una cosa quella che è nella misura in cui è veramente, cioè quella che è in quanto non varia. Lo scienziato moderno parla di legge dove gli antichi parlavano di tipo e di essenza perché vuole una correlazione tra i cambiamenti, cerca di rilevare un cambiamento in corrispondenza con un altro. Non cerca di definire o di delimitare quanto rimane costante nel cambiamento, ma di descrivere un ordine costante del cambiamento. Anche se in entrambi viene utilizzata la parola costante non ha lo stesso significato: nel primo caso connota qualcosa di costante nella sua esistenza fisica o metafisica, e nel secondo qualcosa di costante nella sua funzione e nel suo operato. La prima è la forma di un essere indipendente; la seconda la formula di una descrizione e di un calcolo di cambiamenti interdipendenti. La legge oggi designa una relazione costante tra cambiamenti; viene assimilata al comando: l’idea di legge rimane intrisa del senso di un’influenza che guida o governa, esercitata dall’alto su ciò che le è naturalmente inferiore. Un evento importante per la nuova scienza è stata la decostruzione dell’idea che la terra stia al centro dell’universo. Insieme a questa è scomparsa l’idea di un universo chiuso nelle sue frontiere celesti. L’infinito significa qualcosa che il pensiero non riuscirà mai ad attraversare e non sarà mai conoscibile, non importa quanta conoscenza si possa raggiungere. ma questo mai conoscibile non raggelava né faceva più inorridire: invitava all’indagine sempre rinnovata, garantiva inesauribili possibilità di progresso. Una volta che la natura venne considerata come un insieme di interazioni meccaniche, sembrò perdere significato la sua stessa gloria. Alcuni filosofi pensarono di riconciliare l’esistenza di quel mondo meramente meccanico con la credenza nella razionalità e nel fine oggettivi, di salvare la vita da un materialismo degradante. Perciò molti tentarono di ritrovare attraverso un’analisi del processo di conoscenza la credenza nella superiorità di un Essere ideale che si reggeva sulla cosmologia antica. Se riconosciamo il punto di vista meccanicista è determinato dai requisiti di un controllo sperimentale delle energie naturali, il problema della riconciliazione smette di tormentarci. Se confondiamo i mezzi con i fini cadiamo nel materialismo morale, se invece ci diamo dei fini senza prendere in considerazione i mezzi cadiamo nel sentimentalismo. È difficile liberarsi delle vecchie consuetudini di pensiero e in particolare di tutte quante insieme. Nello sviluppare, insegnare e ricevere nuove idee, siamo costretti a usare un po’ di quelle vecchie per capire e farci capire. (600= applicazione in astronomia e cosmologia; 700= fisica e chimica; 800= geologia e scienze biologiche). Finché il dogma delle specie e dei tipi fissi e immutabili, della sistemazione delle classi in superiori e inferiori, della subordinazione dell’individuo transitorio all’universale o al genere fa presa sulla scienza della vita, è impossibile che le idee e il metodo nuovi siano di casa nella vita sociale e morale. Concezioni mutate di esperienza e di ragione L’esperienza non si eleva mai al di sopra del livello del particolare, del contingente e del probabile. Soltanto un potere che trascende per origine e contenuto ogni esperienza concepibile può avere un’autorità e una direzione universali, necessarie e certe. È possibile rivendicare l’esperienza come una guida nella scienza e nella vita morale. Il singolo caso non è trattato come un particolare isolato ma come appartenente a un tipo, e quindi richiede un tipo di azione. Dalla molteplicità delle malattie incontrate, il medico impara a classificarne alcune come indigestione e altre a trattare i casi di tale classe in un modo comune o generale. Tutto ciò forma l’esperienza. L’empirismo filosofico iniziato da Locke aveva un intento distruttivo. Dava per scontato che una volta rimosso il peso della consuetudine, dell’autorità imposta e delle associazioni casuali, il progresso della scienza e dell’organizzazione sociale si sarebbe prodotto spontaneamente. Riteneva suo compito liberare gli uomini da quel fardello e che il mezzo migliore per riuscirci fosse una storia naturale dell’origine e dello sviluppo nella mente di idee collegate a consuetudini e a credenze riprovevoli. I razionalisti hanno utilizzato la logica dell’empirismo sensista per dimostrare che l’esperienza, provvista soltanto di un cumulo di particolari caotici e isolati, era altrettanto fatale per la scienza, per le leggi e per gli obblighi morali, e ne hanno concluso che bisognava ricorrere alla ragione per fornire i principi in grado di collegare le esperienze. Una nuova concezione dell’esperienza e del rapporto tra ragione ed esperienza è stata resa possibile da due fattori: il principale è stato il cambiamento avvenuto nella natura concreta, nei contenuti e nei metodi dell’esperienza vissuta. L’altro è stato lo sviluppo di una psicologia basata sulla biologia che ha permesso una formulazione scientifica della natura dell’esperienza. Nella psicologia del 700/800 la vita mentale aveva origine in sensazioni ricevute separatamente e passivamente che attraverso le leggi della memoria e dell’associazione, formavano un mosaico di immagini, percezioni e concezioni. I sensi erano ritenuti le porte della conoscenza: la mente conosceva in modo totalmente passivo, salvo nel momento in cui associava delle sensazioni atomizzate. Non esiste creatura viva che si limiti a conformarsi alle circostanze. Per preservarsi, la vita deve trasformare alcuni elementi dell’ambienta la cui ricostruzione è la forma più alta e più importante della vita. L’esperienza diventa un fare: l’organismo non aspetta passivo e inerte che qualcosa salti fuori e dall’esterno venga a imprimersi su di lui, ma agisce nei limiti della propria struttura, semplice o complessa, su ciò che lo circonda. Di conseguenza i cambiamenti prodotti nell’ambiente reagiscono con l’organismo e con le sue attività. L’interazione tra organismo e ambiente risulta un adattamento dell’organismo. Le sensazioni sono relative nel senso che segnano delle transizioni nelle abitudini di comportamento fra un modo e un altro di comportarsi. La sensazione è l’inizio della conoscenza, ovvero il segnale di cambiamento sperimentato è lo stimolo necessario all’indagine e al paragone, i quali alla fine produrranno conoscenza. L’esperienza porta dentro di se i principi di connessione e di organizzazione, e un certo livello di organizzazione è indispensabile perché l’attività degli organismi devono avere una continuità nel tempo e adattarsi al proprio ambiente. Per Platone esperienza significava schiavitù nei confronti del passato, della consuetudine. Da Bacone in poi la ragione e le idee generali rendono schiava la mente; invece l’esperienza è il potere liberatorio: significa il nuovo che ci chiama ad abbandonare l’adesione al passato che rivela fatti e verità nuove. La fiducia nell’esperienza spinge al progresso. L’effetto della scienza sperimentale è stato di consentire all’uomo di controllare a volontà il proprio ambiente. L’esperienza serve per suggerire scopi e metodi per sviluppare un’esperienza nuova e migliore. Di conseguenza l’esperienza diventa un mezzo di auto regolazione costruttiva. L’intelligenza non si possiede una volta per sempre. È un processo di formazione costante e per conservarla occorre stare sempre all’erta, osservare le conseguenze, avere la volontà spregiudicata di imparare e il coraggio di correggere.al contrario dell’intelligenza sperimentale la ragione usata dal razionalismo storico ha portato all’assolutismo. Kant ha cominciato con il tentativo di limitare le pretese stravaganti della Ragione separata dall’esperienza. Ha chiamato la sua una filosofia critica ma siccome insegnava che la comprensione utilizza dei concetti stabili a priori per collegare l’esperienza e rendere possibili degli oggetti conosciuti, ha favorito nel pensiero tedesco un disprezzo per la varietà viva dell’esperienza. La filosofia di Kant ha fornito una giustificazione intellettuale per la subordinazione degli individui a universali, a principi, a leggi fisse. La ragione e la legge erano ritenute sinonimi. Così come la ragione giungeva all’esperienza dall’alto e dal di fuori, la legge doveva arrivare alla vita da qualche autorità superiore ed esterna. Kant quando ha parlato di principi a priori ha incoraggiato l’assolutismo anche se tecnicamente ha negato la possibilità di assoluti. L’empirismo inglese scopriva associazioni casuali trasformate in consuetudini sotto l’influenza di interessi si classe o individuali, laddove il razionalismo tedesco scopriva significati profondi dovuti all’evoluzione necessaria della ragione assoluta. Se gli uomini vengono rimandati al buon senso quando chiedono alla filosofia una qualche guida generale, tendono ad affidarsi alla routine, a un governo autoritario. Una ricostruzione filosofica che evitasse di dover scegliere tra l’esperienza impoverita da un lato e una ragione artificiale e impotente dall’altro solleverebbe gli uomini da un pesante fardello. Permetterebbe la cooperazione tra chi rispetta il passato e quanto stabilito istituzionalmente e chi è interessato a creare un futuro più libero e più felice. Determinerebbe le condizioni in cui la fondata esperienza del passato e l’intelligenza che guarda al futuro possono interagire efficacemente. Concezioni mutate di ideale e di reale Alcuni psicologi sostengono che c’è una tendenza naturale alla rimozione, a dimenticare i dispiaceri, a evitare il ricordo e il pensiero così come si evitano le azioni sgradevoli. La suggestione tende spontaneamente a idealizzare l’esperienza, ad attribuirle nella coscienza delle qualità che non ha nella realtà. Platone aveva del cambiamento una visione pessimistica e Aristotele una visione compiaciuta, come una tendenza alla realizzazione, ma nemmeno lui metteva in dubbio che la realtà realizzata, divina e suprema fosse immutabile. Anche se veniva chiamata Attività o Energia, l’attività non conosceva mutamento e l’energia non faceva nulla. Dove c’è cambiamento c’è per necessità pluralità, molteplicità e dalla varietà sorgono i contrasti e i conflitti. Il cambiamento è modificazione, alterazione e ciò significa diversità. Diversità a sua volta significa divisione in parti tra loro in conflitto. Non riconoscendo il dominio dell’unità si affermano autonomamente e fanno della vita una scena di divergenze e di discordia. Il sapere dell’artigiano è vile, porta cambiamento nelle cose, è carente di Essere. Ciò che condanna ulteriormente la sua conoscenza è il fatto di non essere disinteressata, ma di riferirsi a risultati da raggiungere. Dove ci sono bisogni e desideri, come nel caso di ogni conoscenza e attività pratiche, ci sono incompiutezza e insufficienza. Mentre la conoscenza civica o politica o morale occupa un rango superiore alle concezioni dell’artigiano è comunque considerata intrinsecamente vile e poco veritiera. L’azione morale e politica è pratica: implica cioè dei bisogni e lo sforzo di soddisfarli. Il valore della conoscenza stando ad Aristotele si misura con la conoscenza dell’Essere Ideale supremo, pura mente. È l’Ideale, la Forma delle Forme perché non ha mancanze, né bisogni, né esperienza del cambiamento o della verità. Non ha desideri perché in esso ogni desiderio si consuma. Il tipo di conoscenza che si occupa di questa Realtà Suprema è la filosofia, la quale è il termine più elevato della contemplazione pura. Esiste lo studio filosofico non altrettanto perfetto; dove c’è apprendimento c’è cambiamento e divenire. Ma la funzione dello studio e dell’apprendimento della filosofia è di distogliere l’occhio dell’anima dall’indugiare soddisfatto sulle immagini delle cose, sulle realtà inferiori che nascono e decadono, e portarlo all’intuizione dell’Essere sovrannaturale ed eterno. Oggi se una persona, fisico o chimico, vuole conoscere, la contemplazione è l’ultima cosa che fa. Non sta a guardare un oggetto, per quanto a lungo e in modo intenso, sperando così di scoprirne la forma stabile e caratteristica. Procede con il fare qualcosa, imprimere una qualche energia all’oggetto per vedere come reagisce; lo pone in condizioni insolite per indurvi un cambiamento. Il cambiamento non è più considerato la perdita dello stato di grazia, un errore della realtà o un segno dell’imperfezione dell’Essere. La scienza moderna non cerca più una forma o un’assenza stabile dietro ogni processo di cambiamento. Il metodo sperimentale cerca di rompere le fissità apparenti e di indurre cambiamenti. L’uomo scientifico assume che il cambiamento è continuo, siccome il processo è celato alla percezione, per conoscerlo occorre mettere l’oggetto in circostanze diverse finché il processo diventa manifesto. La cosa da accettare e di cui tenere conto non è il dato originario ma quello che emerge dopo che l’oggetto è stato messo in condizioni diverse per vedere come si comporta. Il mondo così come si presenta in un determinato momento, è accettato soltanto come materia di cambiamento. Le cose sono ciò che possono fare e che si può fare con esse, cioè quello che si scopre provando deliberatamente. La dottrina della conoscenza, dell’intelligenza di tipo operativo o pratico ha una portata oggettiva. Quando gli uomini cominciano a credere che la conoscenza è attiva e operativa, il regno ideale non è più distaccato e distinto: diventa quella raccolta di possibilità immaginate che stimolano a nuovi sforzi e realizzazioni. L’idea diventa il punto dal quale esaminare le circostanze e vedere se indicano come potrebbe rende futili tutti gli sforzi per scoprire le cause rimediabili di mali specifici e quindi distrugge alla radice il tentativo di rendere il mondo migliore. Il migliorismo crede che le condizioni specifiche esistenti siano esse buone o cattive, si possono comunque migliorare. Incoraggia l’intelligenza a studiare i mezzi positivi che conducono al bene, da fiducia a una speranza ragionevole. L’ottimista no: quando afferma che il bene è già realizzato nella realtà suprema, tende a dissimularci dia mali che esistono in concreto. Distoglie gli uomini dal mondo della relatività e del cambiamento per invitarli nella calma dell’assoluto e dell’eterno. L’utilitarismo si è dimostrato la filosofia migliore: voleva che si abbandonassero le generalizzazioni vaghe per arrivare allo specifico e al concreto; subordinava la legge ai conseguimenti umani invece di subordinare l’umanità a una legge esterna; insegnava che le istituzioni sono fatte per gli uomini e non gli uomini per le istituzioni; promuoveva attivamente tutte le riforme; rendeva il bene morale una cosa naturale e in contatto con i beni naturali della vita. Non ha però mai messo in discussione l’idea di un fine prestabilito, ultimo e supremo, ma solo nozioni correnti sulla natura di tale fine, e poi ha collocato il piacere e la somma massima di piaceri al posto del fine prestabilito. L’utilitarismo ha incoraggiato un nuovo interesse di classe, quello dei proprietari capitalistici purché la proprietà fosse ottenuta attraverso la libera concorrenza e non attraverso favori del governo. L’idea di un unico fine prestabilito, sottostante alla diversità dei bisogni e delle azioni umane ha impedito all’utilitarismo di diventare un rappresentante adeguato dello spirito moderno che va ricostruito attraverso l’emancipazione da questi suoi elementi ereditari. L’educazione è stata tradizionalmente concepita come una preparazione. L’infanzia è solo una preparazione alla vita, e la vita adulta a un’altra vita. L’acquisizione di competenze e di conoscenze mirava a un uso e a un godimento successivo, alla formazione di abitudini poi richieste per il lavoro, per essere un buon cittadino, per occuparsi di scienza. Nasciamo ignoranti, incompetenti, incapaci, in uno stato d dipendenza sociale. L’istruzione, la formazione e la disciplina morale sono processi attraverso i quali gli adulti ci guidano ad una realizzazione e ad una propria indipendenza. L’educazione termina quando i giovani si sono emancipati dalla dipendenza sociale. A qualsiasi età una persona sta ancora crescendo, quindi l’educazione è trarre dal presente il grado e il genere di crescita che esso contiene, una funzione costante che prescinde dall’età. L’acquisizione di competenze, il possesso di conoscenze, di cultura non sono dei fini, sono segni di crescita e dei mezzi perché continui. Se l’attività morale, nell’adulto come nel bambino, consiste nel crescere e fare esperienza, allora l’istruzione impartita dalle dipendenze e dalle interdipendenze sociali è altrettanto importante per gli adulti che per i bambini. Tutte le istituzioni sociali hanno un significato, uno scopo che è quello di liberare e di sviluppare le capacità degli individui a prescindere da razza e classe, bisogna educare l’individuo a raggiugere il massimo delle sue potenzialità. La ricostruzione e il suo effetto sulla filosofia sociale Come può un cambiamento filosofico influenzare la filosofia sociale? La società è composta da individui, perciò gli individui e i rapporti che li legano dovrebbero avere pari importanza. Le istituzioni e organizzazioni sono necessarie perché gli individui possano crescere e trovare le proprie capacità e funzioni specifiche. La teoria organica nel trasferire la questione dalle situazioni concrete alle definizioni e alle deduzioni concettuali, ha finito per fornire il dispositivo per una giustificazione intellettuale dell’ordine stabilito. Aristotele poteva applicare la logica dei concetti universali superiori agli individui per dimostrare che l’istituzione della schiavitù era nell’interesse dello Stato e della classe schiavizzata. Il filosofo sociale, che abita nel regno dei concetti, risolve i problemi mostrando il rapporto tra idee, invece di aiutare gli uomini a risolvere problemi concreti fornendo loro ipotesi da usare e da verificare in progetti di riforma. Nella teoria i casi singoli vengono eliminati: fatti rientrare sotto la voce o sotto la categoria appropriata sono etichettati e collocati nella casella di uno scafale sistematico, chiamato scienze politiche o sociologia. La scuola individualista inglese e francese del 7007800 basava l’individualismo sulla convinzione che soltanto gli individui fossero reali, e le classi e le organizzazioni fossero secondarie e derivate. Erano artificiali, mentre gli uomini erano naturali. La difficoltà è, oltre al fatto di non considerare i legami con gli altri, considerare l’individuo come dato. Di conseguenza può essere soltanto qualcosa a ciò provvedere, esaltandone i piaceri e moltiplicandone le proprietà. Gli ordinamenti, le leggi e le istituzioni sociali sono fatte per l’uomo e non l’uomo per essi, sono i mezzi per il progresso. Quando il sé è considerato come conchiuso, è facile sostenere che solo i cambiamenti morali interiori importano per una riforma generale. Si dice allora che i cambiamenti istituzionali sono puramente esteriori, che possono aggiungere comodità e agio alla vita, ma non produrre dei miglioramenti morali. Gli individui sono spinti a concentrarsi con l’introspezione morale sui propri vizi e virtù e a trascurare il carattere dell’ambiente. La morale si guarda bene dall’occuparsi attivamente delle condizioni economiche e politiche in particolari. Perfezioniamo il nostro io interiore e con il tempo i cambiamenti sociali verranno da sé. Ma se il sé è percepito come un processo attivo, anche i cambiamenti sociali sono visti come gli unici mezzi per modificare la personalità. Le istituzioni sono considerate per i loro effetti educativi. L’interesse per il miglioramento morale del singolo e l’interesse sociale per una riforma obiettiva delle condizioni economiche e politiche coincidono. La vecchia separazione tra politica e morale viene abolita alla radice e di conseguenza non possiamo accontentarci dell’affermazione generica che la società e lo stato sono organici all’individuo. Come l’utilitarismo, la teoria sottopone ogni forma di organizzazione a un esame e a una critica incessanti. Ma invece di portarci a chiedere come faccia a causare dolori o piaceri a individui già esistenti, ci chiediamo cosa venga fatto per liberare particolari capacità e per coordinarle in poteri operativi. Società comprende tutti i modi in cui associandosi gli uomini condividono le proprie esperienze e costruiscono interessi e scopi comuni. Il nuovo metodo è efficace perché alla manipolazione solenne di idee generali, preferisce l’indagine di questi fatti specifici, mutevoli e relativi. Mentre lo Stato si faceva più ampio, gli individui si emancipavano dagli obblighi e dalle servitù imposte e si univano ad altri individui per formare nuove associazioni e organizzazioni. Le associazioni forzate sono state sostituite da quelle volontarie. Ciò che sembra un movimento verso l’individualismo, risulta in realtà essere un movimento verso una molteplicità di associazioni. Lo Stato rimane molto importante nel potere di incoraggiare e di coordinare le attività di raggruppamenti volontari. Ogni combinazione di forze umane che aggiunga un suo contributo al valore della vita ha per ciò stesso un proprio valore unico e supremo e non può venir ridotta a mezzo per glorificare lo Stato. Società significa associazione, riunirsi per imprese e azioni comuni e per meglio realizzare ogni forma di esperienza che viene accresciuta e confermata dal fatto di essere condivisa. Perciò le associazioni sono tante quanti sono i beni che aumentano quando si comunicano ad altri e vi si partecipa collettivamente. Comunicare, condividere, partecipare sono gli unici veri modi per universalizzare la legge e il fine morale. Universalizzazione significa socializzazione, l’allargamento della sfera di coloro che condividono un bene. L’organizzazione non è mai un fine in sé, ma il mezzo per promuovere l’associazione, per moltiplicare i punti di contatto tra le persone, indirizzandone i rapporti verso le modalità più feconde. La tendenza a trattare l’organizzazione come fine in sé è responsabile di tutte le teorie estremiste in cui gli individui sono subordinati a una qualche istituzione alla quale viene dato il nome di società. La società è il processo con il quale ci si associa di modo che le esperienze, le idee, le emozioni, i valori siano trasmessi e resi comuni. La libertà per un individuo significa crescita e cambiamento. Significa un processo attivo quello della liberazione delle capacità da qualsiasi cosa le imprigioni. Siccome però la società si può sviluppare soltanto se nuove risorse sono messe a sua disposizione, è assurdo supporre che la libertà abbia una rilevanza positiva per l’individualità e negativa per gli interessi sociali. La personalità deve essere educata, non la si può educare confinandola in operazioni tecniche e specializzate o nelle relazioni meno importanti della vita. Un’educazione piena si ha soltanto quando ogni persona ha, in proposizione alle sue capacità una apri responsabilità nel formare gli scopi e le politiche dei gruppi sociali a cui appartiene. Quando la filosofia avrà collaborato con il corso degli eventi e reso chiaro e coerente il significato dei particolari quotidiani, la scienza e le emozioni si compenetreranno. Arrivare a questa articolazione del significato dell’attuale corso degli eventi è il compito e il problema della filosofia in un’epoca di transizione.
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