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Rifare la filosofia - John Dewey, Dispense di Filosofia Teoretica

Riassunto breve del manuale “Rifare la filosofia” del sociologo John Dewey.

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 18/09/2019

laurastewood
laurastewood 🇮🇹

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64 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Rifare la filosofia - John Dewey e più Dispense in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! Rifare la filosofia INTRODUZIONE – LA RICOSTRUZIONE, VENTICINQUE ANNI DOPO Nelle pagine introduttive, Dewey espone i suoi obiettivi: la sua ricostruzione della filosofia è talmente ampia ed elaborata da costituire essa stessa una filosofia. Il fine del suo autore è “trasferire all’indagine di argomenti umani e morali il tipo di metodo (il metodo dell’osservazione, della teoria in quanto ipotesi e della prova sperimentale) attraverso il quale la comprensione della natura fisica ha raggiunto il suo culmine attuale”. Egli invita, in questa sua rivoluzione, a sostituire la nozione di “ragione” con quella di “intelligenza”: mentre infatti i filosofi precedenti si erano abituati a delle universalità fisse, immobili, statiche, ora, con la rivoluzione industriale e scientifica e democratica, si può comprendere che “davvero universale è il processo”, e che la stessa natura umana è un processo, un’attività. Dunque la filosofia “deve fare, per l’indagine della condizione umana e quindi della morale, ciò che i filosofi dei secoli scorsi hanno fatto per promuovere l’indagine scientifica sugli aspetti fisici e fisiologici della vita umana”. Il metodo che Dewey propone per la filosofia è allora “un metodo di conoscenza autocorrettivo, che impara dai fallimenti così come dai successi; il cuore del metodo consiste nel riconoscimento dell’identità tra indagine e scoperta”: la scoperta, infatti, è essa stessa un mezzo per raggiungerne un’altra e così via. Di qui il senso di “processo”. “Il correlato pratico della scoperta scientifica è” poi “l’invenzione”, la quale però nelle vicende umane si produce raramente e solo sotto la pressione di un’emergenza. Le ultime pagine dell’Introduzione si occupano infine di morale e del rapporto tra la rivoluzione scientifica e la morale. I – MUTAMENTI NELLE CONCEZIONI DELLA FILOSOFIA Dopo aver determinato, come differenza principale tra uomo ed animali, la facoltà della memoria, ossia la possibilità di trattenere le esperienze vissute e dunque di aggiungere al presente il passato, Dewey indaga l’origine della filosofia. In Grecia, nel VII secolo a.C. agli artigiani e lavoratori, portatori di una sapienza pratica, opposta alla sapienza teorica tradizionale, aristocratica, non era riconosciuto lo stesso status sociale. Quando questa sapienza è venuta in aperto contrasto con quella aristocratica, è sorta la filosofia, la cui origine “sta nel tentativo di riconciliare i due diversi tipi di prodotti mentali” e dunque “estrarre il nucleo morale essenziale dalle credenze tradizionali del passato, ormai vacillanti”. Nel fare ciò, tuttavia, la filosofia ha carattere conservatore, ossia tende a voler restaurare gli aspetti della tradizione, e ciò è per Dewey evidente in Platone ed Aristotele, che rispecchiano nelle loro opere i valori e i costumi della tradizione. Ma il più grande errore della filosofia è, secondo Dewey, la sua pretesa di conoscere le realtà ultime (la metafisica), mentre essa dovrebbe volare basso. Solo William James ha avuto il coraggio di affermare che “la filosofia è visione”, ossia serve ad ampliare la mente degli uomini e la loro prospettiva liberandola dai pregiudizi (Dewey, come James, non comprende che “ampliare” non vuol dire “riempire”, che in quanto la filosofia non è conoscenza totale (metafisica) essa resta sempre e comunque un pregiudizio). Per Dewey la filosofia deve rinunciare a “impossibili tentativi per trascendere l’esperienza” e, per come la elabora lui, deve perdere la sua scientificità, ma “a tutto vantaggio dell’umanità”. Questo, unito alle continua citazioni e riferimenti a Comte, ci porta a comprendere la formazione puramente e squisitamente positivistica ed empiristica che domina la mente dell’autore. II – ALCUNI FATTORI STORICI NELLA RICOSTRUZIONE FILOSOFICA Iniziatore della scienza moderna fu Bacone, che per Dewey “non scoprì mai la terra promessa, ma la annunciò e la descrisse da lontano, sulla fiducia”. Con il suo motto “sapere è potere”, Bacone getta le basi della nuova filosofia, quella della “logica della scoperta” come è definita da Dewey stesso: la logica della scoperta, a differenza di quella classica, aristotelica, “guarda al futuro”, essa cioè ha il compito di portare l’uomo alla conoscenza, ma per usarla al fine di scoprire nuove conoscenze. Essa ha dunque un carattere pragmatico. E lo stesso James definì il Pragmatismo come un “nome nuovo per un vecchio modo di pensare”, e Bacone può (per Dewey) esserne considerato il profeta. Con la sua rivoluzione, l’interesse umano si mosse dalla metafisica classica, tesa all’eterno e alle verità assolute, al mondo “concreto” (come se quell’altro non lo fosse), “specifico”, ossia “dall’altro mondo (quello del sovrannaturale) al nostro”. In secondo luogo, ciò portò anche ad un indebolimento delle istituzioni dominanti nel Medioevo (Chiesa), in favore di un progressivo individualismo che toccherà il suo culmine con Lutero e la riforma protestante. Di nuovo, la filosofia è sorta in un momento in cui le nuove scoperte, i viaggi, i commerci ecc. hanno portato ad uno scontro tra il vecchio sistema e quello nuovo (baconiano), interprete di questi nuovi interessi (è da notare che in precedenza Dewey ha sostenuto che la filosofia tende sempre a restaurare gli interessi primordiali, mentre qui afferma il contrario). III – IL FATTORE SCIENTIFICO NELLA RICOSTRUZIONE FILOSOFICA Con la nuova scienza, si è passati da una visione positiva del finito, ad una visione positiva dell’infinito. A ciò ha contribuito lo confutazione del geocentrismo. Inoltre, secondo Dewey, ciò che ostacolava e rendeva problematica la metafisica precedente era l’eccessivo peso della dottrina delle cause ultime o finali. In questo modo, la natura era ridotta, a suo dire, ad un insieme di forme fisse e stabilite, definite in modo che nulla potesse uscire al di fuori di esse, dei fini; la nuova scienza ha superato questa concezione della natura, come di qualcosa di fisso e statico, concependola come un insieme di “interazioni meccaniche” (probabile riferimento a Cartesio): il meccanicismo ha portato l’uomo a diventare ciò che Bergson ha definito “homo faber”, ossia l’animale in grado di fabbricare strumenti ed attrezzi. Ebbene, secondo Dewey è proprio con la rivoluzione scientifica e meccanica che l’uomo diventa capace di dominare propriamente la natura, in quanto diventa capace di maneggiare e costruire strumenti (come se prima ciò non accadesse, come se questo fosse il nucleo concettuale della rivoluzione scientifica). L’atteggiamento sperimentale, applicato alla concezione della natura, ha liberato l’uomo e la natura dalla “morsa dei fini”, cosicché ora il mondo potesse essere usato o per un fine o per un altro, a libero piacimento del soggetto. IV – CONCEZIONI MUTATE DI ESPERIENZA E DI RAGIONE Dewey definisce l’esperienza come “lo stretto legame tra fare e subire”, e la sensazione come “un’interruzione nel precedente corso d’azione”. Egli definisce la sensazione “relativa”: essa ha cioè il compito di indirizzare e riorientare la nostra azione; l’esempio proposto dall’autore è quello della matita: scrivere con una matita è un atto abitudinario, ma quando la matita si spunta l’abitudine si interrompe, e la sensazione (di questa interruzione) ci invita a guardarci attorno e cercare una nuova matita. Le sensazioni, poi, sono (non conoscenza, ma) “sfide, provocazioni, incitamenti ad un’indagine che terminerà nella conoscenza”, esse infatti suscitano in noi domande e riflessioni, ci spingono a pensare. Ora, mentre per Platone l’esperienza era la schiavitù nei confronti del passato, dell’abitudine, con Bacone essa diviene il “nuovo”, il “potere liberatorio” che ci libera dalla mente e dalla ragione conservatrici e ci rivela novità che spingono al progresso. Ma l’esperienza stessa è anche un processo, un movimento in quanto noi usiamo esperienze pregresse per fare nuove scoperte, nuove esperienze. Questa capacità di utilizzare suggestioni provenienti da sensazioni ed esperienze passate per farne di nuove è ciò che Dewey definisce “intelligenza”, mentre la ragione è da lui chiamata “l’intelligenza sperimentale, concepita secondo il modello della scienza e usata per la creazione di arti sociali” (una definizione del tutto errata e superficiale). Anche Dewey, infine, si adegua alla tesi secondo cui i successori di Kant abbiano insegnato e portato la ragione verso il totalitarismo e l’assolutismo. V – CONCEZIONI MUTATE DI IDEALE E DI REALE E’ forse il capitolo più interessante. Dewey, citando Bradley, dice: “niente che sia assolutamente vero si muove” ed esprime così la sua insufficienza logica al divenire. Egli auspica in questo modo che la filosofia, da contemplativa, diventi pratica, abbandoni cioè la dialettica in favore della sperimentazione. “Ciò implica che la filosofia, se non vuole rompere del tutto con lo spirito scientifico, deve anche cambiare natura. Deve assumere una natura pratica, diventare
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