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Riforma Cartabia - nuovo rito ordinario e semplificato, Appunti di Diritto Processuale Civile

Riassunto integrato con appunti e documenti della Prof. Metafora sul nuovo rito del codice di procedura civile a seguito della Riforma Cartabia. Differenze con il vecchio rito e schemi delucidativi.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 02/05/2023

Mahapadma
Mahapadma 🇮🇹

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Scarica Riforma Cartabia - nuovo rito ordinario e semplificato e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! RIFORMA CARTABIA – nuovo rito ordinario CARATTERI GENERALI: • L’atto introduttivo resta atto di citazione «ad udienza fissa»: è sempre l’attore che decide la data d’udienza (si preserva l’idea di lite come affare strettamente privato). • Thema probandum e thema decidendum definiti alla prima udienza di comparizione (riformato art. 183): il giudice interviene solo dopo, per ammettere i mezzi di prova e poi per la fase decisoria. • Trattazione scritta anteposta all’udienza di comparizione (restano le 3 memorie ma con termini a ritroso decorrenti dalla data dell’udienza fissata in citazione o rinviata ex art. 171 bis e ter). • Giudice compie le verifiche preliminari (es. assume i provvedimenti sulla corretta instaurazione della causa - in primis garanzia del contraddittorio) con ordinanza fuori udienza senza previa comparizione delle parti. • Si assottiglia la differenza tra fase introduttiva e di trattazione (ricorda il vecchio rito formale del codice del 1865). ATTI DEL PROCESSO: REDAZIONE (art. 121): «Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico». La formula era già vigente nell’ordinamento, ma con il nuovo art. 121 c.p.c. viene codificata→ no «atti romanzo»; La ricostruzione della situazione di fatto deve essere necessaria, chiara, precisa e sintetica: individuazione di TUTTI i fatti rilevanti negli atti introduttivi. [Individuazione della causa petendi; teoria della sostanziazione→ (Cass. 10049/2022: la domanda nel suo nucleo immodificabile va identificata, esclusivamente in base al bene della vita - sia esso la res o l'utilità ritraibile come effetto della pronuncia giudiziale - ed ai fatti storici-materiali che delineano la genesi e lo svolgimento della fattispecie concreta, così come descritta dalle parti e portata a conoscenza del Giudice)] ATTO DI CITAZIONE (art. 163): Allo scopo di adeguare l’atto introduttivo alla nuova struttura del rito ordinario, il legislatore delegante ha dettagliato in modo preciso i requisiti di contenuto forma che dovrà presentare la domanda, stabilendo che nell’atto di citazione: 1. siano esposti in modo chiaro e specifico i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda; 2. sia contenuta l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione; 3. in aggiunta ai requisiti di cui all’articolo 163, n. 7, c.p.c. sia previsto: • l’ulteriore avvertimento che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria ai sensi degli artt. 82 ss. c.p.c. in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi di cui all’art. 86 del medesimo codice • e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. [entrambi i requisiti non sono motivi di nullità dell’atto→ non è prevista→ principio di tassatività] 3.1 I termini sono riformati: invito a costituirsi in almeno 70 gg. prima dell’udienza (→ 20 gg); 1 In attuazione di siffatti principi viene pertanto modificato l’art. 163 c.p.c.; il delegato, oltre alle modifiche espressamente indicate dalla legge delega, introduce nel corpo dell’articolo anche il n. 3-bis, volto ad imporre all’attore l’onere di indicare, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, l’avvenuto assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento (es. tentativo esperito e fallito di mediazione). Nessun riferimento viene invece compiuto all’onere di indicare a pena di decadenza i mezzi di prova nell’atto di citazione, né dell’avvertimento al convenuto che la contumacia equivalga a non contestazione dei fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda. LA COSTITUZIONE DELLE PARTI E I TERMINI MINIMI A COMPARIRE Al medesimo scopo di coordinamento sistematico si giustifica anche la novella dell’art. 166, il quale fissa come già detto) in almeno 70 gg prima dell’udienza di comparizione il termine di costituzione del convenuto. L’aumento del termine si giustifica per permettere lo scambio delle «memorie integrative» prima dell’udienza; per la medesima finalità è stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per tale costituzione, non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’art. 183. Simmetricamente e per la stessa ragione, è stata eliminata anche la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore (per lui i termini a comparire non cambiano: entro 10 gg dalla notificazione dell’atto introduttivo). Viene poi modificato il co. 1 dell’art. 163-bis estendendosi il termine a comparire a 120 gg prima (→ 90 gg) dell’udienza di trattazione, allo scopo di assicurare tempi congrui per l’elaborazione delle nuove «memorie integrative» e così garantire la piena fissazione del thema decidendum e probandum prima dell’udienza di trattazione. → udienza fissata in citazione: termini liberi non inferiori a 120 giorni dalla notifica dell’atto di citazione. [resta la possibilità per il convenuto di chiedere anticipazione dell’udienza ove fissata ben oltre il termine minimo] LE VERIFICHE PRELIMINARI E IL NUOVO ART. 171-BIS Il legislatore ha poi previsto l’intervento del giudice già prima dello scambio delle c.d. memorie integrative (previste dal nuovo art. 171-ter c.p.c.) affinché costui possa provvedere sulla regolarità formale della costituzione e/o sul rispetto del contraddittorio o possa definire il processo in base a questioni pregiudiziali di rito o questioni preliminari di merito avente carattere impediente. Tale intervento, però, a differenza di quanto accade attualmente, non avviene in udienza, ma prima e quindi al di fuori di questa. Stabilisce il neointrodotto art. 171-bis c.p.c. che, scaduto il termine di cui all’art. 166 per la costituzione del convenuto, il giudice istruttore deve entro i successivi 15 gg effettuare tutte le verifiche d'ufficio che, nel loro insieme, sono funzionali ad assicurare la regolarità del contraddittorio; quindi, pronunciarsi con ORDINANZA (fuori udienza). Il co.1 della norma pertanto richiama le c.d. verifiche assolutamente preliminari (ex art. 183, co.1): o ordine di integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorte necessario pretermesso ex art. 102, o chiamata del terzo per ordine del giudice ex art. 107, o sanatoria della nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 164 e della domanda riconvenzionale di cui all’art. 167, co. 2 e 3, o rilievo e sanatoria del difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione ex art. 182, o chiamata in causa del terzo ex art. 269 o declaratoria di contumacia del convenuto ex artt. 171, 291 e 292); I NUOVI ARTT. 183-TER e QUATER LE ORDINANZE PROVVISORIE DI ACCOGLIMENTO E DI RIGETTO: CARATTERI GENERALI La Riforma Cartabia introduce due nuove “creature” all'interno del sistema – ormai alquanto disarticolato – del codice di procedura civile: le ordinanze provvisorie di accoglimento (art. 183-ter) e di rigetto (183- quater) della domanda. Stando all'art. 183-ter, nelle controversie di competenza del tribunale, il giudice, su istanza di parte, può pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda quando: • i fatti costitutivi sono provati • le difese della controparte appaiono manifestamente infondate • la controversia ha ad oggetto diritti disponibili [ricorda la condanna con riserva di eccezioni] Detto provvedimento è titolo provvisoriamente esecutivo e contiene la liquidazione delle spese di lite (perché chiude il processo). Avverso di esso è proponibile il RECLAMO di cui all'art. 669-terdecies; l'ordinanza in ogni caso non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell'art. 2909 c.c., né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Il penultimo comma della norma precisa poi che l'ordinanza di accoglimento, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. In caso di accoglimento del reclamo, invece, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata (nei piccoli tribunali si pone il problema di individuare un nuovo giudice diverso dal primo→ ciò non è necessario perché abbiamo una cognizione sommaria ≠ da quella piena→ astrattamente non si violerebbe il principio di imparzialità). Analogamente, il nuovo art. 183-quater prevede la possibilità per il tribunale di pronunciare, su istanza di parte, ordinanza di rigetto della domanda già all'esito dell'udienza di prima comparizione delle parti, quando la domanda proposta dall'attore sia manifestamente infondata o sia priva dei requisiti essenziali dell'atto di citazione, previsti dall'art. 163, comma 3, nn. 3 e 4, e la nullità non sia stata sanata o se, emesso l'ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persista la mancanza dell'esposizione dei fatti di cui al n. 4 predetto. LA NATURA DEI PROVVEDIMENTI Secondo la recente Relazione della Corte Suprema di Cassazione, il nuovo strumento è assimilabile al référé provision dell'ordinamento francese o al summary judgment di quelli anglosassoni, condividendo con essi la funzione di permettere all'organo giudicante l'adozione di «provvedimenti provvisori, di accoglimento o di rigetto delle domande, non idonei al giudicato, ma dotati di efficacia esecutiva», così realizzando «una sorta di filtro nel giudizio di primo grado per le cause manifestamente fondate o infondate» [1]. Viene dunque ripreso quanto già affermato nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, secondo cui siffatti provvedimenti sono modellati sul modello della condanna con riserva delle difese del convenuto. Se così fosse, si potrebbe allora giungere alla conclusione che questa tipologia di provvedimenti, sino ad ora prevista solo in casi tassativi e tipici, viene trasformata in un istituto avente carattere generale secondo la strada già indicata dalla Commissione per l'elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile presieduta dal Prof. Luiso. In realtà, a ben vedere, il decreto legislativo di Riforma 2021 si discosta da quanto era stato proposto dalla Commissione Luiso, la quale aveva suggerito di aggiungere ai procedimenti speciali di cui al libro IV del codice di rito un nuovo modello processuale funzionale alla pronuncia anche in via autonoma di un provvedimento con i requisiti della condanna con riserva delle eccezioni. Oggi, infatti, viene introdotto – in luogo del percorso alternativo ipotizzato dalla Commissione Luiso – un'ulteriore forma di definizione del processo ordinario di cognizione: ciò è reso evidente dalla circostanza che, a differenza del meccanismo della condanna con riserva in cui il provvedimento emesso in via provvisoria dal giudice ha unicamente la funzione di dotare il creditore di un titolo esecutivo in via anticipata rispetto alla futura sentenza in cui la condanna con riserva verrà poi assorbita, le neointrodotte ordinanze, non sono destinate a confluire nella sentenza, ma sono idonee a definire il giudizio [2]. Dunque, se proprio si vuole trovare un antecedente normativo al quale rifarsi, pare a chi scrive che questo possa essere individuato, fatti i dovuti distinguo [3], nelle ordinanze sommarie di cognizione dell'abrogato rito societario di cui all'art. 19 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, il quale prevedeva che, nelle controversie aventi ad oggetto il pagamento di una somma di danaro ovvero la consegna di cosa mobile determinata, fosse possibile l'adozione di un'ordinanza provvisoriamente esecutiva ma 5 inidonea a passare in giudicato qualora il giudice avesse ritenuto sussistenti i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto. ART. 183-TER: L'ORDINANZA DI MANIFESTA FONDATEZZA L'AMBITO DI APPLICAZIONE Il co.1 dell'art. 183-ter individua il campo di applicazione dell'istituto ritenendolo applicabile alle sole controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili. Deve di conseguenza escludersi la possibilità dell'emissione dell'ordinanza nella sfera dei procedimenti di competenza del giudice di pace (essendo peraltro questi regolati dal rito semplificato di cognizione), nell'ambito dei giudizi di impugnazione (trattandosi di provvedimenti aventi la forma dell'ordinanza inidonei a passare in cosa giudicata) e in quelli aventi ad oggetto diritti indisponibili. Nel silenzio della legge vi è da chiedersi se tale ordinanza possa essere pronunciata nei procedimenti innanzi al tribunale in composizione collegiale;  al riguardo pare possibile optare per la soluzione positiva in considerazione della lettera della norma (che discorre genericamente di «controversie di competenza del tribunale») ed in considerazione della tradizionale possibilità di impugnare con reclamo le ordinanze cautelari emesse da un giudice collegiale.  deve invece escludersi la possibilità di pronunciare siffatta ordinanza nell'ambito delle controversie regolate dal rito del lavoro e locatizio, nonché in quelle iniziate seguendo le regole del rito semplificato di cognizione. Tale conclusione appare necessitata sia per la collocazione sistematica dell'istituto (che non a caso è stato regolato subito dopo l'art. 183 dedicato all'udienza di trattazione del rito ordinario), sia per il carattere concentrato e immediato del rito del lavoro e di quello semplificato, in aperta opposizione con quello ordinario, ormai prevalentemente cartolare. I PRESUPPOSTI PER LA SUA ADOZIONE Come già accennato in precedenza, il co.1 dell'art. 183-ter stabilisce quali presupposti per l'emanazione dell'ordinanza il raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e la valutazione giudiziale della manifesta infondatezza delle difese della controparte. Stando al co. 2 della norma, in caso di pluralità di domande, detti presupposti devono ricorrere per tutte. È chiaro che la genericità del dettato normativo, unitamente al carattere definitorio dell'ordinanza, devono indurre a ritenere che la norma debba riferirsi non solo all'eventualità in cui sia l'attore ad aver proposto una pluralità di domande e solo alcune di esse si prestino ad essere definite con tale modalità abbreviata, ma anche al caso in cui siano state proposte domande riconvenzionali ad opera del convenuto o domande incidentali da parte di terzi. Pertanto, in presenza di c.d. domande cumulate l'ordinanza di accoglimento può essere adottata solo laddove tutte presentino i requisiti di cui al primo comma dell'art. 183-ter c.p.c. È evidente che in tal modo le chances di una concreta adottabilità del provvedimento si riducono enormemente; è stata perciò ventilata la possibilità per il giudice di poter avvalersi del meccanismo di separazione delle cause e, all'esito, di pronunciare il provvedimento di accoglimento della domanda separata per manifesta fondatezza, allo scopo di realizzare la funzione di semplificazione della decisione che la nuova norma intende perseguire. A ben vedere, una proposta di tal genere, sebbene in teoria condivisibile, presuppone un corretto e attento uso da parte del giudice dello strumento della separazione delle cause, essendovi numerosi casi in cui lo scioglimento del cumulo delle cause proposte è sconsigliabile onde evitare giudicati contraddittori. Si potrebbe invero osservare come tale rischio non si verifichi nel caso dell'adozione dell'ordinanza ex art. 183-ter, giacché sulla decisione di manifesta fondatezza non si forma il giudicato; invero, se ciò non è dubitabile, resta fermo che le superiori esigenze di certezza e quelle non meno importanti di economia processuale (in questo caso esterna) sconsigliano l'indiscriminata utilizzazione del meccanismo della separazione delle cause, se esso è volto al solo e limitato scopo della pronuncia dei provvedimenti di accoglimento per manifesta fondatezza. Passando alla disamina dei presupposti per l'adozione del provvedimento, va in primo luogo segnalato che l'ordinanza può essere pronunciata solo se vi è l'istanza di parte. Il legislatore tuttavia non precisa il termine iniziale e finale per la presentazione di siffatta richiesta. Dal silenzio del legislatore pare potersi evincere la possibilità per la parte di chiedere al giudice l'adozione dell'ordinanza per tutto il corso del processo (sicuramente si dovrà aspettare almeno la prima udienza), anche in limine litis, qualora i presupposti del raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e di valutazione giudiziale di manifesta infondatezza delle difese della controparte siano emersi a seguito dello scambio degli atti introduttivi; tale facoltà permane poi sino al momento della rimessione della causa in decisione. L'EFFICACIA DELL'ORDINANZA PROVVISORIA DI ACCOGLIMENTO E IL SUO REGIME DI IMPUGNAZIONE Secondo il co. 3, «l'ordinanza di accoglimento è provvisoriamente esecutiva, è reclamabile ai sensi dell'articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell'art. 2909 c.c., né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite». Dunque, come si vede, l'ordinanza costituisce titolo esecutivo; va escluso che sia anche titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, mancando un'espressa previsione legislativa al riguardo. Il provvedimento così emesso è reclamabile secondo le regole dell'art. 669-terdecies; Nel caso in cui il reclamo proposto venga accolto, «il giudizio prosegue innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata» (co. 5). La previsione, che si giustifica per l'opportunità che il processo prosegua innanzi ad un magistrato diverso da coloro i quali hanno pronunciato l'ordinanza reclamata, comporta un notevole aggravio della macchina giudiziaria, in quanto coinvolge un elevato numero di magistrati, nonché un possibile allungamento dei tempi per la definizione del processo, così compromettendo gli obiettivi di semplificazione e accelerazione che la Riforma mirava invece a raggiungere. ART. 183-QUATER: L'ORDINANZA DI RIGETTO Numerosi dubbi suscita anche l'ordinanza di rigetto della domanda di cui all'art. 183- quater: sempre nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, all'esito dell'udienza di cui all'art. 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando: a) questa è manifestamente infondata (no prova dei fatti costitutivi); [MERITO/RITO] b) è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all'articolo 163, co. 3, n. 3 (petitum mancante), e la nullità non è stata sanata; [RITO] c) emesso l'ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell'esposizione dei fatti di cui al n. 4, co. 3 del predetto art. 163 (causa petendi mancante). [RITO] Anche l'ordinanza che accoglie l'istanza di rigetto è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. L'ordinanza di rigetto, al pari di quella di accoglimento, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata. Il rigetto in rito non preclude la riproposizione della domanda. Quanto ai presupposti per la sua adozione, valgono in linea di massima le stesse considerazioni svolte a proposito dell'ordinanza di manifesta fondatezza di cui all'art. 183-ter c.p.c. VI ZI D E LL ’E D IC TI O A C TI O N IS 7 procedimento è stata mutata dalla riforma: da “procedimento sommario di cognizione” a “procedimento semplificato di cognizione”. Mediante mutamento di denominazione, come è stato evidenziato, si evita qualsivoglia forma di equivoco letterale che la precedente denominazione (riferendosi al procedimento sommario) poteva ingenerare; dato che, con la nuova denominazione, si rimarca che trattasi di “procedimento di cognizione” piena, seppure “semplificato” nelle forme, in quanto strutturalmente adeguato alla semplicità delle controversie che vi sono sottoposte. Per quanto il nuovo rito semplificato rivesta un ambito applicativo maggiore rispetto al suo antecedente prossimo, le modifiche introdotte dalla riforma non possono definirsi rivoluzionarie e decisive. Le soluzioni tecniche adottate in materia si rivelano di buona qualità tecnica e, razionalizzando e migliorando il precedente articolato, hanno contribuito all'eliminazione di talune lacune. Senza soggiungere che il nuovo istituto trova genesi e si colloca secondo una linea di piena continuità rispetto al procedimento sommario di cognizione. AMBITO APPLICATIVO Conformemente alle proposte della Commissione c.d. Luiso, il procedimento semplificato è il rito obbligatorio per le cause meno complesse. Dispone il nuovo art. 281-decies: “Quando i fatti di causa non sono controversi oppure quando la domanda è fondata su prova documentale o è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato”. La riforma ha eliminato la limitazione afferente all'originario ambito applicativo, laddove si restringeva l'applicabilità del giudizio sommario ai soli giudizi di competenza del tribunale in composizione monocratica: ciò creava complessità nelle cause complesse di competenza del collegio poiché i processi si separavano. In aderenza alla legge delega, il nuovo procedimento semplificato ha invece valenza generalizzata, essendo applicabile anche alle controversie di competenza del collegio, sempre che siano istruttoriamente semplici. L'estensione del rito semplificato riguarda poi (obbligatoriamente) anche i giudizi di competenza del giudice di pace. Dispone l'art. 316, novellato: “Davanti al giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibile”. La scelta appare conseguenziale, dato che le controversie di competenza del giudice onorario sono considerate aventi di per sé “natura non complessa”. Il rito semplificato è obbligatoriamente applicabile poi, quando: “i fatti di causa non sono controversi”, oppure, dal punto di vista istruttorio, la domanda si basa su “prova documentale o di pronta soluzione o richiede istruzione non complessa” (art. 281-decies, co. 1). “DI PRONTA SOLUZIONE” → l’art. 281-decies parla di cause semplici, riferendosi non alla banalità della causa, ma alla semplicità dell’istruzione della stessa. Ci si chiede se la lettera della norma si riferisca quindi a una domanda di pronta soluzione oppure una prova di pronta soluzione: l’interpretazione più accreditata sembra essere la seconda, quale espressione che ritroviamo a proposito del decreto ingiuntivo (diventa titolo esecutivo quando l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione [= di semplice acquisizione]). Per cause meno complesse possiamo quindi intendere cause complesse o semplici purché ad istruzione semplice. Nel capoverso dell'art. 281-decies è prevista anche un'ipotesi di facoltativa introduzione della causa mediante giudizio semplificato, pur in assenza dei presupposti ex co. 1, sempreché “il tribunale giudic(hi) in composizione monocratica”. Anche in tal caso (ex art. 281-duodecies), il giudice potrebbe comunque disporre il mutamento del rito “valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria” (il mutamento del rito viene disposto qualora l’istruzione diventi complessa nel corso del processo, come per il rito sommario). FORMA DELLA DOMANDA E COSTITUZIONE DELLE PARTI L'art. 281-undecies disciplina la forma della domanda e la costituzione delle parti in modo speculare rispetto al procedimento sommario di cognizione. La forma della domanda rimane il ricorso. I presupposti del ricorso sono quelli già indicati in passato, con l'aggiunta delle innovate previsioni di cui all'art. 163, n. 3-bis (indicazione della condizione di procedibilità) e n. 7 (avvertimento che sussistendone i presupposti è possibile presentare domanda per ammissione al patrocinio a spese dello Stato). Rispetto al procedimento sommario, rimane sostanzialmente immutato l'iter di designazione del giudice, della fissazione dell'udienza, di notifica di ricorso e decreto ad opera del ricorrente. DIFFERENZA CON CITAZIONE: Il ricorrente non fissa la data di udienza ma provvede soltanto all’invito a comparire e deposita il ricorso in cancelleria (non notifica); il giudice fissa la data di udienza con decreto; decreto e ricorso vengono notificati al convenuto. Viene aumentato il termine ordinario di comparizione (non più di 30 giorni ma) di 40 giorni. Si innova chiarendo che se la notifica deve avvenire all'estero il termine è di 60 giorni. Come nell'art. 163-bis, si chiarisce, colmando una lacuna nella disciplina del procedimento sommario, che i termini di comparizione sono “liberi”. Poche novità con riguardo al contenuto della comparsa di risposta del convenuto. Innovativamente, si prevede che lo stesso debba prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, “in modo chiaro e specifico”. A pena di decadenza, egli è poi tenuto a proporre la domanda riconvenzionale e le eccezioni non rilevabili d'ufficio (salva la possibilità di meglio precisare in prima udienza o nell'appendice scritta successiva ad essa, eccezioni e domande) e a chiamare in causa il terzo. Per la chiamata del terzo, il meccanismo rimane quello già sperimentato per il rito sommario, con la precisazione (ed il miglioramento tecnico) che la chiamata non riguarda solo la chiamata “in garanzia”, ma ogni tipologia di chiamata per “comunanza di causa”. PROCEDIMENTO Con riguardo allo svolgimento del procedimento, ci si riferisce all'art. 281-duodecies. Tenuto conto della natura di rito “semplificato”, l'art. 281-duoedecies non prevede che alla prima udienza sussista un onere di comparizione personale delle parti, come pure che si svolga l'interrogatorio delle parti e che il giudice tenti la conciliazione delle parti (come è ora previsto nel processo ordinario di cognizione: art. 183, come novellato). Dovrebbe continuare ad essere obbligatoria anche per il procedimento semplificato la preventiva instaurazione della procedura di mediazione, nelle materie indicate dall'art. 5, comma 1 d.lgs. n. 28, come innovato dal d.lgs. n. 149. Nella “prima udienza” il giudice verifica preliminarmente la sussistenza dei presupposti per dar corso alla procedura semplificata di cognizione (art. 281-duoedecies, comma 1, presupposti come indicati dal comma 1 dell'art. 281-undecies). In caso negativo, egli dispone il mutamento del rito (ovvero, “la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario, fissando l'udienza di cui all'art. 183”). Come il precedente testo, la norma ribadisce che l'ordinanza di mutamento del rito “non è impugnabile”. Trattasi di precisazione conseguente all'orientamento nomofilattico che afferma che nel procedimento 11 sommario la “scelta di mutare il rito rientri nella discrezionalità del giudice”. Proprio per questo motivo, era stato chiarito che “la mancata conversione del rito sommario non si pone quale motivo di nullità del giudizio di primo grado per violazione dei diritti processuali e di difesa”. A identica conclusione potrebbe pervenirsi nel procedimento semplificato di cognizione. SVILUPPI DELLA PRIMA UDIENZA Innovativamente, la norma di nuovo conio, per considerazioni attinenti al rispetto del principio del contraddittorio e della difesa, ammette “l'attore” a richiedere “alla prima udienza” di “essere autorizzato alla chiamata in causa del terzo”, quando “l'esigenza sia sorta dalle difese del convenuto” (co. 2). Se la chiamata viene autorizzata, il giudice concede un termine per procedervi, fissando la data della nuova udienza. A sua volta, il terzo che intenda costituirsi, in quanto convenuto, si deve costituire in giudizio nelle forme di cui al co. 3 dell'art. 281-duodecies. Alla prima udienza, laddove non venga disposto il mutamento del rito, ovvero non vi sia richiesta di chiamata di terzo, si forma definitivamente il thema decidendum e il thema probandum. Dispone il co. 3: “Alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti” (equivalente delle memorie istruttorie, 3° termine, ex art. 183). La norma di nuovo conio, in attuazione ad un preciso criterio di delega, ha inteso chiarire in modo trasparente in quale momento, nel procedimento semplificato, maturano le preclusioni assertive e probatorie, “evitando che l'articolazione del procedimento sia rimesso alla discrezionalità del giudice”. A sua volta, il co. 4 dispone: “se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a 20 giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni [EMENDATIO], per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a 10 giorni per replicare e dedurre prova contraria” (post udienza). Se la causa non è ancora matura per la decisione, il giudice ammette poi i mezzi di prova e procede all’assunzione (fase istruttoria come nel vecchio rito ordinario). DECISIONE E APPELLO In modo conforme rispetto alla delega, l'art. 281-terdecies, disciplina la fase decisoria, disponendo che il procedimento semplificato si concluda con “sentenza impugnabile nei modi ordinari” (co. 2). Rispetto alla conclusione con ordinanza impugnabile (come disponeva l'art 702-quater per il procedimento sommario), per quanto essa fosse equiparabile alla sentenza, la novità introdotta dalla riforma appare significativa. Le modalità di decisione sono semplificate, dato che, in caso di controversia di competenza monocratica, la decisione avviene ai sensi dell'art. 281-sexies; mentre se la decisione è affidata al collegio, lo stesso analogamente provvederà ai sensi dell'art. 275-bis, novellato. La soluzione prescelta dal legislatore è stata approvata da chi ha evidenziato che essa permette di superare una volta per tutte le incertezze riscontrate che, nel recente passato, erano emerse nell'interpretazione dell'art. 702-quater c.p.c., in riferimento all'appellabilità dell'ordinanza di accoglimento, con recupero dei principi processuali. Si discuteva, in particolare, con riguardo alla modalità di proposizione dell'appello, in difetto di una disciplina ad hoc dettata per il procedimento sommario. La giurisprudenza era giunta alla conclusione che l'appello andasse introdotto mediante citazione e non con ricorso.
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