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La Chiesa e lo Stato: Da la Teocracia alla Riforma (Sec. XIII-XVI), Appunti di Storia

Questo testo traccia la complessa evoluzione relazionale tra Chiesa e Stato dal Medioevo alla Riforma protestante. Dal primato teocratico della Chiesa ai conflitti con gli Imperatori, dalla 'cattività avignonese' alla nascita dei Stati Nazionali, dai movimenti di riforma religiosa agli scontri politici, il testo offre una panoramica dettagliata di un periodo cruciale nella storia europea. Vengono analizzate le idee di Wycliff, la 'cattività avignonese', la Riforma protestante, la supremazia conciliare e la politica dei Concordati.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 11/03/2018

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federico-amico-1 🇮🇹

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Scarica La Chiesa e lo Stato: Da la Teocracia alla Riforma (Sec. XIII-XVI) e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Dopo il crollo dell’Impero Romano, il cristianesimo divenne l’istituzione fondamentale della società, cioè, nella visione della cristianità medievale, l’umanità doveva essere unificata in una società nella quale la volontà divina fosse l’unica legge cui dovevano far riferimento tanto il potere spirituale quanto quello temporale. Da ciò si sviluppò la teoria teocratica, secondo cui la Chiesa, in quanto istituzione divina, era superiore a qualsiasi organizzazione umana. Il Papa era il rappresentante di Dio sulla Terra e il clero divenne un ceto privilegiato, nella figura di custode dei principi cristiani che dovevano regolare ogni forma di vita civile ed elargiva i sacramenti necessari al cristiano per ottenere la salvezza dell’anima. Il ruolo sempre più politico del papato favorì la corruzione dei costumi ecclesiastici, tra i quali si diffusero comportamenti immorali come la compravendita delle cariche, la simonia, e il concubinato, o nicolaismo, e la nascita di numerosi movimenti religiosi, come quello cluniacense, o ancora i Lollardi, i Catari e i Valdesi, che cercavano il ritorno ad una vita evangelica. La chiesa dovette scontrarsi con le pretese degli Imperatori, a partire dal Privilegium Ottonis del 962, ma se nella dualità con l’Impero si poteva giungere alla teoria dei due Soli, secondo cui con pari dignità l’Impero era il garante della corporeità umana e la Chiesa il garante della spiritualità, il punto di rottura si ebbe con la nascita degli Stati Nazionali, momento nel quale i Re pretesero assoluta fedeltà dalle istituzioni religiose. Dal 1309 al 1377 si verificò la cosiddetta “cattività avignonese”, cioè la sede papale si trasferì da Roma ad Avignone per via della pretesa di una Chiesa nazionale da parte dei sovrani francesi. In questi anni la Curia assunse la forma di un grande centro amministrativo e burocratico in cui si gestivano le rendite della Santa Sede. L’eccessivo peso delle tasse ecclesiastiche fece crescere l’ostilità delle popolazioni, già indignate per la condotta immorale della corte papale che viveva nel lusso e nello spreco. Gregorio XI decise di riportare la sede papale a Roma sia perché la Chiesa stava perdendo la propria autorità su Roma, essendo il papa considerato cappellano del re di Francia, sia perché la Francia risultò impegnata ed indebolita nella Guerra dei Cent’anni, situazione che rendeva insicura la stabilità amministrativa ed economica della Chiesa. Nel 1378 Gregorio XI morì e il popolo romano spinse con tumulti e violenze il collegio cardinalizio ad eleggere il papa italiano Urbano VI. Alcuni cardinali denunciarono le intimidazioni subite ed elessero un antipapa, Clemente VII, che si stabilì ad Avignone. Dal 1378 al 1418 si ebbero due papi e due curie in seguito al Grande Scisma d’Occidente. In questa situazione si diffusero nuove dottrine eretiche che contestavano duramente il papato. In Inghilterra, nella seconda metà del XIV secolo, si diffusero le idee di John Wycliff, teologo dell’università di Oxford, che sosteneva che la vera Chiesa era una società invisibile, composta da tutti i fedeli predestinati alla salvezza. Il clero, che costituita la cosiddetta “Chiesa visibile” era falso e corrotto e doveva essere privato dei suoi beni materiali, non permessi dal Cristianesimo. Egli tradusse in Inglese la Bibbia, punto di riferimento della religiosità, affinchè i fedeli potessero direttamente interpretarla, rivolgendosi a Dio senza la mediazione del clero. Wycliff inizialmente trovò il consenso della classe dirigente inglese che intravedeva la possibilità di intaccare i privilegi economici della Chiesa, ma quando le classi contadine, spinte da vari predicatori che ampliavano le tesi di Wycliff con rivendicazioni politico-sociali, si ribellarono dando vita al movimento dei Lollardi e ad una lotta sociale e contro i privilegi e le proprietà nobiliari, le quali erano proibite dalle Scritture, i nobili inglesi nel 1382 bollarono come radicali ed eretiche le tesi del teologo e si schierarono dalla parte della Chiesa per sedare le rivolte. Le tesi di Wycliff furono diffuse in Boemia all’inizio del XV secolo da Gerolamo da Praga, il quale le fece conoscere a Jan Hus, maestro e rettore dell’Università di Praga. Come Wycliff, Hus individuava nelle Sacre Scritture l’unica base della fede e criticava la corruzione della Chiesa. Hus trovò sostegno presso tutti i ceti non facendo leva su motivazioni socio-economiche, bensì nazionalistiche, come il sentimento antiecclesiastico e antigermanico del popolo boemo. Infatti, nell’epoca di Carlo IV, che fu contemporaneamente re di Boemia e imperatore, la Chiesa boema fu un mero strumento di potere dei reggenti d’Asburgo. Nel 1415 si recò, con un salvacondotto imperiale, al Concilio di Costanza per sostenere le sue tesi. Qui venne processato, condannato e arso sul rogo. Dopo la morte del riformatore si formò il movimento hussita che fu domato dopo ben sei crociate. La necessità di ricomporre lo scisma e di porre un freno agli eccessi del potere papale spinse la convocazione di concilii, formati dai chierici che provvedevano alla nomina del Papa e che a loro volta erano eletti dai sovrani degli stati nazionali. Un primo concilio tenuto a Pisa nel 1409 però portò all’elezione di un terzo papa. Dal 1414 al 1418 a Costanza, per iniziativa dell’imperatore Sigismondo, si radunò un secondo concilio. Da una parte il Sacro Romano Impero voleva una Chiesa forte per legittimare la propria esistenza, essendo “Sacro Romano” per definizione, dall’altra gli Stati Nazionali non volevano una Chiesa indipendente a Roma, bensì al loro servizio. Il concilio ricompose lo scisma e portò all’elezione del cardinale Ottone Colonna, che prese il nome di Martino V e stabilì la sede papale definitivamente a Roma. Per giustificare l’intervento sul potere papale, il Concilio di Costanza adottò la dottrina della supremazia conciliare, secondo cui il concilio è la massima autorità della Chiesa, superiore anche a quella del papa. Inoltre, il Papa era tenuto a convocare periodicamente il concilio. Nel 1431 Martino V convocò un concilio a Basilea, ma il pontefice morì prima dell’inizio dell’assemblea. Il nuovo papa Eugenio IV tentò di riaffermare il primato papale, ma il concilio elesse un antipapa francese, Felice V, dando vita ad una nuova frattura, il Piccolo Scisma. Lo divisione si ricompose dopo 11 anni con l’abdicazione di Felice V e con una rivincita del papa sul conciliarismo. Il papato, però, per riaffermare il proprio primato, dovette scendere a compromessi con gli Stati nazionali attraverso una politica di concordati: i sovrani ebbero garanzia di autonomia del clero nazionale nei confronti di Roma. In termini istituzionali, il clero era chiamato ad obbedire prima al Re e poi al papato; in termini economici, le ricchezze nazionali, in passato dirette alla Chiesa di Roma, restavano proprietà dello Stato. Alla fine del XV secolo, indipendentemente dalla sede papale, agli occhi dei fedeli i segni più evidenti dello stato in cui versava la Chiesa erano gli abusi ecclesiastici, cioè i comportamenti immorali diffusi a tutti i livelli delle gerarchie ecclesiastiche. Invece di impegnarsi nei doveri pastorali, il clero era preoccupato soprattutto dei propri interessi economici. Molti aristocratici intraprendevano la carriera sacerdotale non per vocazione, ma per il prestigio e i privilegi (addirittura Giovanni de’Medici divenne cardinale a 13 anni) e non avevano alcuna intenzione di dedicarsi al ministero ottenuto, infatti solitamente assegnavano l’esercizio delle funzioni ecclesiastiche a un’altra persona, cui versavano una parte dei compensi che l’incarico garantiva. Inoltre, il fatto che l’ecclesiastico non fosse obbligato a risiedere nel luogo in cui doveva esercitare il ministero consentiva di cumulare più incarichi, e quindi più rendite: i cardinali, ad esempio, erano spesso vescovi di più diocesi. Il basso clero aggiungeva l’ignoranza all’immoralità, infatti erano in pochi a conoscere il latino, mentre molti amministravano i sacramenti solo per pretendere le elemosine. Molti fedeli consideravano la chiesa come un’associazione rapace, interessata solo ad appropriarsi del loro denaro. Non tutto il clero accettava questa situazione e, fin dalla fine del Quattrocento, ci furono tentativi di riforme interne. Ad esempio le Congregazioni “riformate” o “osservanti” ripristinarono le regole primitive degli ordini religiose e riportarono le attività monastiche all’attività di preghiera, predicazione e pratica ascetica, volte a perseguire la salvezza interiore e la cura dell’anima. Per iniziativa di Paolo IV si costituirono le Congregazioni di chierici regolari dei teatini, dei somaschi e dei barnabiti. Nacque dell’ordine francescano, da cui inoltre ebbero origine i cappuccini, il quale, richiamandosi alla vita del santo, si dedicò a un’attività di predicazione rivolta in particolare agli umili. Questi tentativi costituirono l’avvio della Riforma Cattolica, cioè di un moto di riforma interno alla Chiesa. Alla fine del Quattrocento una componente importante del riformismo cattolico fu rappresentata dall’Umanesimo cristiano. Con i nuovi strumenti della filologia, molti intellettuali cercarono un’interpretazione più autentica delle Sacre Scritture e del messaggio cristiano, su tutti Erasmo da Rotterdam. Nato a Rotterdam nel 1466, figlio di un prete, Erasmo fu spinto dalla volontà di razionalizzare il Cristianesimo e promuovere una radicale riforma della Chiesa, attraverso un indottrinamento non pedissequo del fedele. Il punto fondamentale delle convinzioni di Erasmo fu che il credente deve comprendere ciò a cui crede, tramite una vasta diffusione delle Sacre Scritture nella loro versione più aderente possibile all’originale. Sin dal 1500 Erasmo si dedicò allo studio del greco e nel 1516 pubblicò la prima delle proprie quattro edizioni in greco del Nuovo Testamento, con cui si proponeva di epurare la Vulgata di San Gerolamo, cioè la tradizionale versione in latino del Vangelo, dagli errori di trascrizione commessi dai monaci amanuensi nell’atto di ricopiatura (i testi erano privi di spazi tra le parole) e dalle conseguenti false interpretazioni causate dall’alterazione dell’opera. Lutero nel 1517 espose le proprie Tesi e, anche se alcuni principi erano propri di Erasmo, questo non aderì alla Riforma poiché non condivideva la durezza di alcune affermazioni e gli attacchi indiscriminati alla Chiesa. Egli cercò di svolgere un ruolo di mediazione, di ragionare, senza appoggiare alcun schieramento. La mancata critica a Lutero suonò per la Chiesa come un consenso alla Riforma da parte di Erasmo, mentre per l’assenza di una presa di posizione precisa fu accusato di viltà dai Luterani. Alla fine, nel 1524 pubblicò il De Libero Arbitrio, in cui contestava le concezioni di Lutero. Morì a Basilea nella notte tra l’11 e il 12 Luglio 1536. All’inizio del Cinquecento l’infuriare delle malattie epidemiche, le devastazioni provocate dalla guerre e l’instabilità sociale suscitarono negli uomini profonde angosce. I fedeli erano ossessionati dalla paura della morte e dal desiderio di salvezza, si riteneva di dover placare la collera divina, considerata l’origine di tutti i mali, arrivando a manifestazioni di fede distorte e spesso superstiziose. Era opinione comune, anche tra i dotti e gli ecclesiastici come Lutero, che la fine del mondo, il giudizio universale e l’avvento dell’”Anticristo”, come voluto dalle profezie dell’Apocalisse di San Giovanni, fossero prossimi. La grandiosa rappresentazione del Giudizio Universale, realizzata da Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina e richiesta da Papa Clemente VII, evidenzia chiaramente la mentalità degli uomini del Cinquecento e la loro crisi religiosa. Al centro dell’affresco vi è il Cristo, giudice terribile ed implacabile dei peccati e delle debolezze degli uomini, con alla destra le anime che ascendono al cielo e alla sinistra i dannati che precipitano nell’Inferno. Il Giudizio le indulgenze, descrivendo e narrando spesso con forte trascinamento interiore i piaceri del paradiso, l’oblio del purgatorio e le pene dell’Inferno, attraverso le rappresentazioni sacre presenti nelle Chiese, cioè le uniche spiegazioni concepibili delle Cristianità per la massa di fedeli analfabeti. Teztel faceva quindi leva sulla diffusa ignoranza e fu in grado di instaurare, durante e successivamente le sue orazioni, una vera e propria isteria collettiva guidata dal timore per il destino della propria anima e di quello dei familiari, defunti o meno. Martin Lutero nacque nel 1483 a Eisleben, un piccolo centro minerario della Sassonia. Suo padre fu quindi un minatore, giunse, esclusivamente contando sulle proprie forze, a divenire proprietario di una piccola miniera, e la sua intransigente e patriarcale educazione rese assai problematica l’infanzia del figlio. Nel 1507 Lutero divenne sacerdote per mantenere una promessa fatta a sé stesso dopo esser sopravvissuto in un bosco durante una tempesta. La sua esperienza religiosa fu particolare, ossessiva e maniacale, tormentosa per i monaci cui affidava le sue interminabili confessioni poiché era marchiato dai sensi di colpa dettati dall’incapacità di comprendere il perché dei propri tormenti durante l’infanzia e la giovinezza. Temeva il giudizio di Dio ed era terrorizzato di non potersi liberare dal male, in quanto arrivò a sostenere la non perseguibilità dei comandamenti, dogmi impossibili da attuare per un uomo. Cercava le proprie risposte esistenziali nelle Sacre Scritture, di cui divenne uno straordinario conoscitore, e trovò l’illuminazione in un passo della Lettera ai Romani di San Paolo. Lutero comprese che l’uomo non era costretto a compiere opere per salvarsi poiché le opere in sé non avevano alcun valore, essendo l’uomo per natura incapace di compiere il bene, ma era la motivazione dietro alle azioni ciò che realmente contava poiché era determinata dalla fede, un dono esclusivo che Dio concedeva a dei prescelti. Lutero quindi rinnega in toto la pratica delle indulgenze, essendo opere non motivate dalla fede, ma dal solo ed egoistico desiderio di salvezza. La tradizione vuole che il 31 Ottobre 1517 Lutero abbia affisso alla porta del castello della sua città 95 tesi con cui contestava gli abusi presenti nella predicazione delle indulgenze. Seguendo un rituale accademico consueto all’epoca, in questo modo si sarebbe reso disponibile a una disputa pubblica contro chiunque intendesse confutare i suoi argomenti. Egli non aveva alcuna intenzione di rompere i legami con la Chiesa Romana, da cui comunque era rimasto scandalizzato durante una viaggio a Roma, ma era solo guidato da convinzioni teologiche che riuscirono a riappacificare i suoi problemi psicologici. Le sue parole però si diffusero in tutta la Germania e scoprirono la forte ostilità anticlericale di tutta la nazione: i principi mal tolleravano la fuga di finanza imposta dalla tassazione romana; la piccola nobiltà puntava ai feudi ecclesiastici; i contadini, che vivevano nella miseria, provavano un profondo odio nei confronti di un clero ricco e corrotto. La polemica infuriava e il 7 agosto 1518 fu inviata a Lutero l’ingiunzione di presentarsi a Roma entro 60 giorni. Egli si rivolse quindi al suo principe, Federico di Sassonia, affinchè la discussione delle tesi avvenisse in Germania. Nel frattempo, erano in corso le trattative per l’elezione dell’imperatore e il processo si arenò. Il ballottaggio fu proprio tra Federico di Sassonia e Carlo V d’Asburgo, che con l’elezione a reggente della Germania avrebbe ottenuto un potere quasi sconfinato, essendo già divenuto sovrano, attraverso un’oculata politica matrimoniale, della Spagna, e conseguentemente delle colonie Sud americane, e della ricca regione delle Fiandre. La Chiesa fu inevitabilmente costretta ad appoggiare Federico, ma invano: venne eletto Carlo V, che poi sarà un fautore del protestantesimo nei 2 anni successivi che segneranno il distacco con la Chiesa romana. Il processo a Luterò potè riprendere e il 15 giugno 1520 Leone X emanò la bolla Exsurge Domine con la quale dava nuovamente a Lutero 60 giorni per ritrattare, pena la scomunica. Per tutta risposta, Lutero il 10 Dicembre dello stesso anno a Wittenberg diede pubblicamene fuoco ad alcuni volumi di diritto canonico, nonché alla stessa bolla papale. Secondo Lutero, poiché la Chiesa di Roma aveva tradito il Vangelo, il cristianesimo andava riformato essenzialmente sulla base di tre principi: • Il libero esame, secondo cui la Chiesa era svincolata dal compito, da lei stessa affidatosi, di medium con la popolazione. I cristiani infatti avevano il diritto e il dovere di esaminare liberamente la Bibbia senza la mediazione del clero. Il papato era un’istituzione esclusivamente umana, alla pari di una qualsiasi altra monarchia terrena, perché l’unico vero capo della Chiesa è Cristo. Poiché tutte le verità religiose sono contenute nelle Sacre Scritture, Lutero riconobbe dei sette sacramenti solo il battesimo e la comunione, cioè gli unici di cui parlava la Bibbia. Secondo la dottrina cattolica, l’eucarestia si realizza attraverso la transustanziazione: durante la messa il pane e il vino si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo. Lutero oppose la dottrina della consustanziazione, secondo cui Cristo si rende semplicemente testimone e il pane e il vino sono prettamente simbolici. Inoltre, erano da considerarsi forme di superstizione il culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre. • La giustificazione e la salvezza per la sola fede, secondo cui l’uomo non era libero, ma irrimediabilmente macchiato dal male ed incapace di compiere il bene a causa del peccato originale. Solo la fede che spinge le azioni salva l’uomo dall’inferno, non le opere viziate dal peccato (essendo i comandamenti ineseguibili) ed essa è un dono, una grazia di Dio. Dunque la salvezza dell’uomo dipende interamente da Dio ed è frutto di predestinazione. • Il sacerdozio universale, secondo cui tutti i credenti sono sacerdoti di sé stessi e per diventare tali non serve alcun sacramento dell’ordine, e alcuni potevano essere scelti dalla comunità come pastori, chiamati a organizzare i riti religiosi. Attraverso l’eliminazione dei conventi e del celibato, essi potevano sposarsi ed avere una famiglia. (Attualmente, la gerarchia ecclesiastica protestante è democratica e consta di limitati poteri. I pastori sono tenuti a conseguire una laurea in teologia. La confessione è sostituita dalla cosiddetta “conversazione privata”, un dialogo durante il quale il pastore non assolve e il fedele ha un contatto diretto con Dio, unico in grado di perdonare e condannare). Dopo l’elezione di Carlo V, i principi, oramai autonomi in quanto il titolo imperiale era poco più che onorifico, videro concretizzarsi il timore di un ridimensionamento di propri poteri in seguito ad una politica accentratrice dell’imperatore, la Chiesa temette un nuovo scontro con l’imperatore e la corona Francese si ritrovò circondata dai possedimenti imperiali, senza alcuno sbocco e senza alcuna possibilità di espansione. Perché si potesse riportare l’Impero ai fasti di Carlo Magno, però, serviva un’unità religiosa e Lutero la ostacolava. Con la diffusione del Protestantesimo, i principi tedeschi puntarono su Lutero, oltre che per sganciarsi da Roma seguendo le dottrine del Libero esame e nazionalizzare la Chiesa tedesca, anche come strumento contro l’acquisizione di un potere assoluto da parte di Carlo V. Carlo V quindi convocò Lutero, il quale giunse a Worms il 16 aprile 1521 e il giorno successivo comparve di fronte alla dieta e all’imperatore; gli venne chiesto se fosse disposto a ritrattare ed egli inaspettatamente chiese un giorno di tempo per riflettere. Il giorno seguente, meno inaspettatamente, affermò di esser risposto a ritrattare solo nel caso gli fossero mostrati, attraverso le Sacre Scritture, i suoi errori di interpretazione. Carlo V concesse a Lutero di allontanarsi e, nonostante la volontà di affrontare il problema, risultò occupato in altre questioni internazionali e nessun nobile tedesco si mosse per arrestare Lutero. Anzi, Federico di Sassonia organizzò un falso rapimento per sottrarre dalla giustizia imperiale Lutero, il quale venne posto in salvo nel castello di Wartburg, dove rimase nascosto per quasi un anno. A Wartburg Lutero intraprese la traduzione in tedesco della Bibbia, rendendo popolare la lingua tedesca e svolgendo un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità tedesca. Durante il soggiorno, però, Lutero si sentì sopraffare dal peso della responsabilità che si era assunto, scegliendo la strada della frattura con la Chiesa: le sue notti erano popolate da incubi e da allucinazioni che si sommavano ai tormenti causati da vari disturbi fisici. Intanto le agitazioni sociali si facevano sempre più minacciose e i contadini, aizzati da numerosi predicatori, utilizzarono il movimento protestante come strumento di ribellione contro il potere nobiliare. Se le rivolte non fossero cessate, Lutero avrebbe perso l’appoggio dei principi tedeschi, quindi egli decise di abbandonare il suo rifugio e di schierarsi contro gli esaltati, come definì i predicatori più radicali, che compromettevano la Riforma. In quest’occasione Lutero espose la teoria dei due regni: Chiesa e Stato sono separati; la prima si occupa esclusivamente dell’ambito spirituale del cristiano, il quale è tenuto ad ubbidire all’autorità politica e statale, anch’essa voluta da Dio per garantire l’ordine nel mondo. Un ordine che deve essere imposto all’uomo che altrimenti sarebbe vittima della violenza generata dal peccato. In conclusione, le rivendicazioni dovevano essere dirette solo alla Chiesa. Con queste concezioni conservatrici dell’ordine sociale vigente, Lutero si scontrò con quanti speravano in una propria riscossa sociale. I cavalieri, o la piccola nobiltà, videro nella contestazione luterana l’occasione per impadronirsi dei principati ecclesiastici, dando vita al fenomeno della secolarizzazione, cioè di laicizzazione dei territori tedeschi. La rivolta si sviluppò tra il 1522 e il 1523 e fu repressa da una lega di principi. Anche i contadini interpretarono la libertà cristiana proclamata da Lutero in una prospettiva terrena. Le condizioni socio-economiche della classe contadina non migliorarono neanche con la Riforma, infatti nelle regioni laicizzate i tributi, prima diretti alla Chiesa, venivano versate ai nobili. Molti contadini, spinti dai predicatori radicali, aderirono ai movimenti riformatori più estremisti. Tra i predicatori si distinse Thomas Muntzer, il quale rifiutava la teoria dei due regni e spingeva ogni cristiano a lottare per una società giusta, secondo il volere di Dio, imponendo l’ordine divino sulla Terra, abolendo ogni ingiustizia così da rendere tutti gli uomini uguali. L’odio contadino esplose in una serie di scorrerie tra il 1524 e il 1525, giungendo a coinvolgere fino a 300.000 uomini in armi. In molte zone fu però la fascia più benestante della piccola borghesia a ribellarsi, la quale mirava a un riconoscimento politico, trasformando lo scontro in una guerra tra coloro che godevano di privilegi sociali ed economici e coloro che non avevano alcun privilegio. Le rivendicazioni della rivoluzioni si risolsero in 12 articoli o richieste: la libera elezione del parroco da parte dei villaggi; l’eliminazione delle decime ecclesiastiche, ora destinate ai padroni laici, e i cui proventi avrebbero mantenuto il parroco e le cui eccedenze sarebbero state destinate ai poveri; l’abolizione della servitù contadina; il diritto di caccia e di pesca per tutti, e non esclusivo dei signori; il ristabilimento delle terre comuni; la moderazione delle tasse e delle corvée in base a criteri di equità. Un ultimo articolo stabiliva che, se qualcuna delle richiesta fosse stata contraria alla parola di Dio, sarebbe stata annullata. Lutero si schierò con spaventosa durezza contro le rivolte, invitando ad uccidere quanti più rivoltosi possibili per perseguire il volere di Dio. La nobiltà accolse volentieri questo invito e a Frankenhausen, il 15 Maggio 1525, gli eserciti di una lega di principi massacrarono 5000 contadini, dando inizio ad una repressione che avrebbe fatto circa 100.000 vittime, tra cui Muntzer, torturato e poi decapitato. La sconfitta dei contadini sanciva la piena affermazione dei principi tedeschi, nelle cui mani era rimasto il destino della Riforma. Soltanto nel 1529 Carlo poté riprendere a interessarsi delle questioni tedesche. Egli convocò una dieta a Spira, in cui acconsentì al mantenimento del culto luterano laddove s’era radicato, ma ne vietò ogni ulteriore diffusione in altri principati e in ogni regione protestante doveva essere garantita piena libertà ai riti cattolici. Inoltre, i beni sottratti alla Chiesa dovevano essere restituiti (secondo i dettami di Worms). Fu proprio quest’ordine a non andare giù ai principi, che esposero la propria opposizione con un documento di protesta: da qui deriva il nome di “protestanti”. In una successiva dieta tenutasi ad Augusta nel 1530, si cercò di giungere ad un compromesso. Per Lutero, che rischiava l’arresto, non fu prudente recarsi ad Augusta e il suo amico e collaboratore Filippo Melantone prese il suo posto, ma la dieta si risolse in un nulla di fatto. Carlo V prese atto di questo fallimento e ribadì l’obbligo di restituire alla Chiesa i territori secolarizzati. I principi protestanti e 11 città imperiali diedero quindi vita nel 1531 alla Lega di Smalcalda, che ottenne appoggio da Francia, Inghilterra e Danimarca. Il protestantesimo si estese ben presto anche ai Paesi Baltici e alla Prussia, dove i beni dell’Ordine dei cavalieri teutonici vennero secolarizzati e costituirono il ducato di Prussia, sotto la signoria ereditaria dei Hohenzollern. La Riforma in Svizzera si diffuse a partire da Zurigo con la predicazione di Ulrich Zwingli. Egli conosceva perfettamente le Scritture a livello filologico e delle tesi di Lutero non condivideva quella riguardante il sacramento dell’eucarestia. Secondo Zwingli, la comunione era una semplice rito che ricalcava l’ultima cena, senza la presenza reale di Cristo, e durante la quale non erano concepibili alcuna forma di transustanziazione né di consustanziazione. Zwingli giunse a tale opinione negando che Cristo, durante l’ultima cena, avesse affermato che il pane e il vino fossero rispettivamente il suo corpo e il suo sangue: nell’aramaico, la lingua parlata da Cristo, non esisteva la copula, che fu un’aggiunta della traduzione dall’ebraico, quindi le parole di Cristo sottolineavano una simbolica rappresentazione corporea del pane e del vino. Nel 1522 Zwingli abbandonò la carica di parroco e la città di Zurigo gli affidò il compito di riformare la Chiesa locale. La posizione di Zwingli fu fortemente patriottica, infatti si schierò contro i mercenari lanzichenecchi al soldo di altri eserciti, affermando che il sangue svizzero doveva essere versato per la Svizzera. I cantoni montanari si opposero alle città che spalleggiavano la motivazione di Zwingli, in quanto i redditizi salari dei mercenari permettevano la sussistenza di molte famiglie povere a causa della conformazione e dell’esilio territoriale. Scoppiò così una guerra civile, nella quale i protestanti vennero sconfitti e lo stesso Zwingli morì durante la battaglia di Kappel, l’11 ottobre 1531. Dopo pochi anni, la Chiesa riformata di Zurigo confluì nel calvinismo. A Zurigo, Zwingli fu fronteggiato dal movimento degli anabattisti. Per gli anabattisti la Chiesa doveva essere ristretta alla limitata cerchia dei veri credenti, di coloro che vivono la propria fede come autentici santi. In particolare, rifiutavano il battesimo infantile, in quanto il sacramento avrebbe avuto valore solo se ricevuto da adulti, come espressione di fede sincera e non imposta dall’esterno. Per questo motivo vennero chiamati in modo dispregiativo anabattisti, cioè “ribattezzatori”. Essi affermavano la necessità di un’abolizione delle proprietà e di una divisione equa del lavoro, erano favorevoli alla poligamia e, dovendo perseguire uno stile di vita puro e spiritualmente ineccepibile, non potevano “inquinarsi” con attività che non riguardavano la dimensione interiore, come la politica o la guerra. Con la loro concezione spirituale di distacco dal mondo terreno che attirò una moltitudine di esclusi sociali, come schiavi ed eremiti, i quali, abbracciando le teorie del movimento, rifiutavano la loro condizione di inferiorità umana, gli anabattisti mettevano in pericolo la società gerarchica vigente. Il Consiglio cittadino di Zurigo cominciò presto a perseguitarli e a condannarli a morte per annegamento. L’anabattismo riuscì comunque a sopravvivere grazie alle posizioni molto più moderate di Memmo Simons, da cui deriva il nome “mennoniti” dei suoi seguaci. Jean Cauvin, il cui nome italianizzato fu Italo Calvino, nacque nel 1509 a Nyon, nella regione francese della Piccardia. Fu di famiglia cattolica, in quanto il padre era un notaio al servizio dell’amministrazione vescovile locale, e intraprese studi di filosofia in ambienti in cui dominava l’influenza dell’Umanesimo cristiano, ma, per motivi ignoti, si convertì al protestantesimo. Costretto a spostarsi frequentemente per sfuggire alle persecuzioni, si recò prima a Basilea e poi a Ginevra. Alla teoria luterana, Calvino contestò principalmente 2 tesi: • Se per Lutero la divisione tra potere spirituale e temporale era netta, secondo la teoria dei due regni, per Calvino le leggi statali dovevano ispirarsi ed adeguarsi a quelle divine, dando vita ad una teocrazia. Il potere politico doveva quindi fondarsi su quello religioso e i peccati dovevano essere puniti in qualità di reati. • Lutero considerava l’umanità una massa dannata, di cui alcuni individui venivano salvati da Dio ricevendo in dono la fede e la predestinazione esclusivamente verso la salvezza dell’anima. Secondo Calvino, invece, la predestinazione ad opera di Dio era doppia, sia verso la salvezza che verso la dannazione: Dio affidava la salvezza a pochi eletti e predestinava la dannazione ad altri, prevedendo l’eterno destino di ciascuno. Inoltre, secondo Calvino, la predestinazione non si configurava nella fede, ma si evinceva nel successo negli
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