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Riforma gregoriana ;), Dispense di Storia Del Diritto Medievale E Moderno

LA CHIESA, L’età delle falsificazioni ed il d° pregrazianeo, riforma gregoriana, CHIESA E IMPERO DALL’ETA’ CAROLINGIA ALLA RIFORMA

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 03/04/2021

antonello010203
antonello010203 🇮🇹

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Scarica Riforma gregoriana ;) e più Dispense in PDF di Storia Del Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! 59 LA CHIESA. La grande trasformazione degli assetti economico sociali che si avvia nel nuovo millennio corrisponde alle ansie di rinnovamento religioso, oltre che politico, che sta alla base dei tentativi di riforma di Chiesa e Impero. Partendo dall’impero, quando l’incoronazione del Sassone Ottone I, nel 962, ebbe chiuso il periodo di vacanza succeduto alla morte dell’ultimo carolingio nell’888, un vento di germanizzazione sembrò abbattersi sull’Italia. Lo stesso Ottone preparò nuove aperture alla romanità quando decise di unire in matrimonio il figlio, Ottone II, con una principessa bizantina e di trasferirsi a Roma. In effetti a partire da lui tornarono in auge appellativi come Caesar Augustus dismesso dall’812 da Carlo Magno dopo Aquisgrana che sigillo’ la Renovatio Imperii. A Ottone si deve la Restaurazione dell’Impero ed il recupero delle regalie, ovvero i diritti sovrani esclusivi su tutti i beni della corona o demaniali, sulla nomina ed il controllo degli alti ufficiali e magistrati, conio della moneta, mercati, esazione delle imposte. Ma la politica di recupero delle regalie doveva scontrarsi con le pretese delle forze in ascesa: il papato e le città. L’età delle falsificazioni ed il d° pregrazianeo Nell’età carolingia la Chiesa aveva ricevuto un grande supporto dal regno franco anche se con grave pericolo per la sua autonomia. L’Impero era nato marchiato di sacertà e Carlo M. si era investito del compito di tutela della fede. Vecchie collezioni come la DIONYSIANA (500) furono rispolverate ed inviata a Carlo M. da Papa Adriano nel 774 da cui il nome di DIOYSIO-ADRIANA. Anche l’HISPANA di tradizione visigota fu ripresa. Ma con il IX-X sec, l’armonico svolgimento dei rapporti Chiesa /Impero si incrina da metà dell’800 abbiamo il sec. delle contraffazioni: Negli ambienti ecclesiastici si cerca di reagire all’assenza di questi capitolari che non si ottenevano più dai sovrani attraverso il ricorso a clamorosi ‘falsi’ senza che questa adulterazione venisse sentita come effettivo ‘mendacium’e quindi peccato. RIFORMA GREGORIANA L’elemento catalizzatore del nuovo riformismo fu il rinnovarsi dei conventi. Aveva preso l’avvio in Francia a Cluny nella Borgogna meridionale dove nel 910 Guglielmo d’Aquitania aveva fondato un monastero per l’abate Bernone, cluny, da cui il nome cluniancensi, e da qui partì la riforma benedettina: con potenziamento della disciplina all’interno e obbidedienza diretta al Pontefice romano. a Cluny vi furono alcune significative varianti: maggiore disciplina all’interno (l’abate è eletto dai monaci e tra i monaci), gerarchia (è l’abate di Cluny a nominare gli abati o i priori dei vari monasteri dell’ordine), obbedienza solo al pontefice e quindi indipendenza (il monastero viene sottratto ad ogni ingerenza, sia laica che vescovile). Quanto alla regola, si escludeva il lavoro manuale (ma non l’attività scrittoria) per privilegiare la liturgia e la preghiera. Un modello centralizzato, dunque, suscettibile di applicazioni anche in altre sfere. In seguito, sorsero eremi e si fondarono altri ordini religiosi, tutti appartenenti alla regola benedettina, di cui però si forniva un’interpretazione particolare: San Romualdo nel 1012 fonda l’ordine camaldolese, con sedi a Camaldoli, nei pressi di Arezzo, e Fonte Avellana; seguiranno Vallombrosa (1037) ed i cistercensi a Cîteaux (1098). Non a caso, due delle voci più significative di 60 questo periodo, Umberto di Moyenmoutier, poi cardinale di Silvacandida, e Pier Damiani, erano monaci. L’ondata poi di altri ordini religiosi dilagò. Furono anni di grande rilancio della spiritualità, in cui la severità di disciplina e l’ascetismo sollecitarono la diffusione di una rete capillare di monasteri in tutta Europa strettamente dipendenti dalla casa madre. 63 Proliferarono anche nuove collezioni canonistiche: • Collezione in 74 titoli (Diversorum patrum sententie): 1050 ca. Secondo il Fournier, il più antico manuale della riforma (1050 ca. dei tempi di Leone IX secondo Fournier). E’ la seconda collezione ufficiale dopo la Dyonisiana. Ancora piuttosto moderata. • Dictatus papae di Gregorio VII: 1075 27 proposizioni “secche e autoritarie” che si leggono nel registro di Gregorio VII (Ildebrando di Soana: 1073-1085), tra le lettere del 3 e 4 marzo 1075. Forse un promemoria per se stesso o istruzioni per i vescovi d’Oltr’Alpe o forse ancora il canovaccio di una nuova collezione canonistica. E’ “il manifesto della riforma, del mutamento della Chiesa in un organismo fortemente centralizzato, della rigorosa subordinazione dei vescovi al papa, del concilio al papa, della legislazione al papa, della giurisdizione al papa”. In sintesi, ecco i punti-chiave: 1. tutte le norme canoniche devono essere approvate dal papa; 2. il papa ha la giurisdizione nelle cause maggiori e d’appello e non può essere giudicato da nessuno; 3. il papa è al di sopra del concilio, lo convoca, ne ratifica le decisioni; 4. il papa è al di sopra dei vescovi: li nomina, li trasferisce, li depone; 5. il papa può sciogliere i sudditi dal giuramento al re e deporre i re (in effetti, Gregorio VII nel 1076 giunse a scomunicare e deporre Enrico IV). Sono pretese ierocratiche ben diverse da quelle espresse a suo tempo da Gelasio e corrispondenti al pensiero teologico di Gregorio VII: come l’anima è superiore al corpo, così l’ordine sacerdotale è superiore al potere temporale (Padoa-Schioppa). • Collectio canonum di Anselmo da Lucca: dopo 1085 E’ la collezione più legata a Gregorio VII, di cui l’autore era amico e seguace fedelissimo. I 2/3 sono tratti dalla Collezione in 74 titoli. Nei contenuti, è contraddistinta dalla grande esaltazione del primato del papa, che culmina con il potere a lui assegnato di deporre l’imperatore. Recupera testi dell’Authenticum, come la collezione del Cardinale Deusdedit (1087). • Collectio Britannica composta a Roma nel 1090 ca. ai tempi di Urbano II. Questa ulteriore collezione la si ricorda soprattutto per questa particolarità: trascrive infatti ben 93 estratti del Digesto in una versione diversa sia dalla Fiorentina sia dalla Vulgata e forse uguale al testo che possedeva Gregorio Magno nel 603 quando citò un passo del Digesto Nuovo (stesse varianti). E’ dubbio invece che Urbano II abbia citato il Digesto in una sua lettera (Conrat, Kuttner). 64 • Decretum, Panormia e Tripartita (che è presente nel maggior numero di mss.) di Ivo di Chartres, allievo di Lanfranco a Bec, poi vescovo di Chartres (1091-1115/1117). Solo la Panormia è sicuramente sua: sembra derivare dal Decretum e si presenta come una riduzione meglio sistemata. Contiene molto diritto romano, come il Polycarpus di Gregorio di S. Crisogono (1104-1113). Ha inoltre un prologo molto famoso, che circola anche da solo con il titolo De consonantia canonum ed è meno spesso collegato al Decretum. La sua importanza è data dal fatto che in esso si forniscono i criteri fondamentali d'interpretazione del diritto canonico, basati sul metodo della concordanza. Quello che qui troviamo applicato con lucidità alle fonti canoniche è in realtà un metodo più antico, che già i Padri della Chiesa avevano impiegato nell’interpretazione delle Sacre Scritture. Si trattava di concepire il diritto canonico come un complesso di fonti privo di contraddizioni. Naturalmente, i contrasti c’erano, ma il canonista doveva considerarli apparenti e non dubitare della perfezione e della verità dei testi di riferimento. Era un abito mentale ereditato dai Padri della Chiesa. • Già Orìgene (185-254) formulava questo punto di vista, con riferimento alla Bibbia: Credi forse tu che la Scrittura contenga delle contraddizioni? Non devi neanche lievemente sospettarlo (In Jesu Nave, hom. 16, n. 3 (ed. Baehrens, p. 396). • Gli faceva eco Tertulliano, agli inizi del III s.: Per quanto attiene alle parole, sembra essere contrario; ma se si ricerchi il senso, si troverà che non vi è contraddizione...è impossibile infatti che uomini illuminati da un unico Spirito discordino (Liber quaestionum ex Novo Testamento, q. X, lib. LXVI (PL 35, c. 2261). • E S. Agostino, agli inizi del V secolo, riprenderà questa tradizione, affermando che passi apparentemente ‘contrari’ (adversi) sono da considerarsi in realtà semplicemente ‘diversi’: ... non iam adversi, etsi diversi (Enarrationes in Psalmos (418), 47, n. 3 (PL 36, c. 534). Era un invito ad indagare sottilmente le ragioni della diversità tra le opinioni dei santi, affinché, pur nella diversità, risuonino concordissimi, così come i suoni sono ordinati nell’organo. Anche le differenze tra i santi allora saranno consonanti, non dissonanti, concordanti e non discordanti: come da suoni diversi, ma tra loro non opposti, nasce un canto soavissimo (Enarrationes in Psalmos (418), 150.4, n. 7: PL, 37, c. 1964). • A questa visione avrebbe aderito anche Gregorio Magno: Se si indagherà sottilmente la verità stessa, ciò che sembra suonare contraddittorio, si troverà che non è contrario (In evangelia (Omelie sui Vangeli: 591-592), l. II, hom. 24, n. 1 (PL 76, c. 1099). Ivo raccoglie dunque una tradizione secolare e, riferendosi al diritto canonico, fornisce alcune direttive concrete su come muoversi, al fine di ricomporre il grande mosaico delle fonti. Innanzitutto, non è permesso criticare i testi: Si doveva piuttosto distinguere, tenendo conto del fatto che alcuni testi sono formulati “secondo rigore”, altri “secondo moderazione”; alcuni “secondo giustizia”, altri “secondo misericordia”; alcuni sono espressione di un’ammonizione, altri di un precetto; alcuni di una proibizione, altri di una remissione. All’interno di quest’ultima categoria, valeva un principio gerarchico: i precetti e le proibizioni si dividono in derogabili e inderogabili. I precetti inderogabili sono quelli sanciti dalla legge eterna, che se osservati portano la salvezza eterna, non osservati la tolgono... Era un primo tentativo di enunciare delle regole per risolvere le contraddizioni dei testi canonistici. 65 Nel XII secolo, questo metodo verrà accolto e sviluppato da Graziano, che con il suo Decreto getterà le fondamenta del grande edificio del diritto canonico medievale. Prima di lui, però, c’è il grande filosofo e teologo Abelardo, che affronta l’argomento nel Prologo del Sic et non (1122-1127), opera dedicata proprio a mettere a confronto i detti di molti Padri della Chiesa, tra loro apparentemente contrari. Si individuano poi alcuni criteri, attraverso i quali dissipare l’incertezza derivante dalle contraddizioni: una speciale importanza assume agli occhi di Abelardo, per superare i contrasti, l’esame del significato delle parole, perché spesso il contrasto nasce dal fatto che una parola, in contesti diversi, è stata usata in significati diversi: nella maggior parte dei casi… la soluzione della contraddizione si troverà se potremo sostenere che le stesse parole furono usare dai diversi autori in diversi significati. E a conclusione di tutto il discorso, Abelardo affermava che la prima chiave della sapienza è l’indagine assidua e frequente, perché dubitando arriviamo alla ricerca, ricercando apprendiamo la verità. In base a ciò anche la stessa Verità dice: Chiedete e troverete, bussate e vi sarà aperto. Il ragionamento sulle fonti sarà la chiave di volta anche del metodo dei giuristi medievali. Chiudiamo il discorso ritornando ai problemi della Riforma, ricordando un’altra tappa cruciale: la pace di Worms (23 settembre 1122), con cui la questione delle investiture vescovili e degli abati trovò la sua definizione, dopo vicende drammatiche e ricche di colpi di scena: basti ricordare che proprio a Worms, in una dieta di vescovi tedeschi ed italiani, Gregorio VII aveva scomunicato e deposto Enrico IV nel 1076 e l’imperatore, per ottenere il ritiro della scomunica, fu costretto l’anno dopo ad umiliarsi, chiedendo perdono al papa nel castello di Matilde di Canossa. Nel 1122, l’imperatore Enrico V riconobbe che l’investitura dei vescovi con l’anello ed il pastorale, previa elezione da svolgersi in base alla regole canonistiche, spettava al pontefice; il papa, Callisto II, consentiva che l’elezione dei vescovi e degli abati del regno teutonico avvenisse alla presenza dell’imperatore, senza simonia e senza alcuna violenza, “affinché, se qualche discordia dovesse nascere tra le parti, con il consiglio o il parere del metropolìta e dei vescovi delle province, tu possa offrire alla parte più ragionevole (sanior pars) il tuo assenso e il tuo aiuto”. Il vescovo eletto avrebbe poi ricevuto direttamente dall’imperatore le eventuali regalie imperiali, tramite la consegna dello scettro.
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