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Risorgimento italiano, Unificazione italiana e Regno d'Italia, Sintesi del corso di Storia

Riassunti su 3 capitoli:. - Risorgimento italiano: ideale di nazione, Democratici e moderati (1831-47) --> Mazzini, Gioberti e Balbo. - Unificazione d'Italia: Il Regno di Sardegna dal 1850 al 1859; l’unificazione italiana (1859-60); la società italiana al momento dell’unità. - Regno d'Italia: la vita politica nei primi anni postunitari; difficoltà e contrasti (Destra Storica al potere); la Sinistra al potere e Francesco Crispi

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Risorgimento italiano, Unificazione italiana e Regno d'Italia e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! RISORGIMENTO ITALIANO Immaginare una nazione Nei due cicli rivoluzionari che scuotono l’Europa tra 1820 e 1831 la Penisola italiana è sempre coinvolta. Sono segni chiari di un’ampia diffusione del movimento politico che si ispira alle nuove idee di nazione. I tentativi rivoluzionari sono eventi che hanno luogo nelle città; a esse le campagne guardano con apatia. Nondimeno sono inquiete le campagne. Ma le regioni hanno a che fare con il disagio sociale che per motivi vari scuote le varie comunità contadine; niente di immediatamente connesso con le aspirazioni all’indipendenza o alla Costituzione. Inoltre tra gli stessi rivoluzionari ve ne sono altri che antepongono interessi regionali o municipali agli obiettivi nazionali. E poi ci sono contrasti sulle gerarchie territoriali e sulle relative forme da dare a un possibile nuovo Stato (federale o unitario?), sugli assetti costituzionali (monarchia o repubblica? rappresentanza democratica o censitaria?)→ diverse prospettive incompatibili. A rilanciarlo, a dargli animo, ad ampliare i confini interviene un fenomeno tipico di tutta l’Europa romantica. Vengono prodotte raccolte poetiche, tragedie, romanzi, saggi storici, melodrammi, pitture che rielaborano in vari modi il moto della nazione italiana, della sua storia passata e delle sue vicende recenti. Tutti i testi tendono a disegnare un quadro coerente di che cosa sia la nazione italiana. Chi legge è invitato a riconoscere la comunità nazionale italiana come una realtà legata da fattori bio-culturali. Immaginando la nazione come una comunità di parentela, le cui reti di relazione collegano intimamente la generazione presente alle passate e alle future. La metafora viene impiegata in ogni contesto: la patria è la madre, tutti i suoi figli sono fratelli e i capi politici sono i padri. Il sangue è uno dei legami forti che tiene insieme la comunità. L’altro è la cultura, la cui coesione è garantita da una comune confessione religiosa, da una lingua comune e da un comune passato. Si tratta di un passato triste, di decadenza e di oppressione straniera e di interna divisione, che ora è necessario riscattare con uno sforzo di volontà. Questo nucleo concettuale profondo viene fatto giocare in vivaci narrazioni poetiche, romanzesche o drammaturgiche; al loro interno si possono individuare almeno tre figure principali: • : si tratta di un uomo, di un soldato valoroso quasi sempre destinato a una morte drammatica; • : provocato da ambizione, desiderio di potere, ed è la causa della morte o della sventura dell’eroe e della disfatta politico-militare della comunità nazionale; • : virtuosa, madre o sposa, sensibile, casta, irreprensibile e il suo onore è minacciato dal traditore o dai nemici stranieri. Democratici e moderati (1831-47) In Italia il movimento nazionale è diviso in due correnti, quella democratica e quella liberal- moderata. Mazzini e la Giovine Italia: all’interno dell'universo democratico sin dal 1831 Giuseppe Mazzini si impone per la forza della sua predicazione politica e per l’impatto della sua rete organizzativa, la Giovine Italia. Nato a Genova da Giacomo, medico e professore universitario e da Maria Drago. Nel 1827 Mazzini si affilia a una vendita carbonara genovese. Tuttavia la delazione di un infiltrato conduce al suo arresto nel novembre 1830. Nel febbraio 1831 va in esilio, stabilendosi in Francia, a Marsiglia. Lì, nel luglio del 1831, Mazzini fonda la Giovine Italia, un’associazione politica che egli vuole diversa nello spirito e nelle strutture dal modello carbonaro. Il limite principale dell’esperienza carbonara gli sembra sia l’inefficacia propagandistica e operativa, causata in larga misura dall’organizzazione per cellule autonome, fortemente gerarchizzate al loro interno, ma prive di coordinamento generale e dalla mancanza di un’aperta illustrazione degli obiettivi ideali e programmatici da perseguire. Tale opera di propaganda dev’essere compiuta dagli affiliati attraverso la diffusione di opuscoli, o di fogli volanti, che spieghino i punti fondamentali del programma dell’associazione. Il coordinamento dell’azione resta nelle mani della direzione centrale (=Mazzini). Essa poi affronta le spese necessarie per la sua sopravvivenza autofinanziandosi con le quote pagate dagli affiliati o dei sostenitori. • , contiene il programma generale e la formula del giuramento: La Giovine Italia è la fratellanza degli Italiani credenti in una legge di progresso e di dovere. L’Italia in nazione di liberi ed eguali una, indipendente, sovrana. La Giovine Italia è repubblicana e unitaria. Tutti gli uomini d’una azione sono chiamati liberi, eguali e fratelli. Credente nella missione e nel dovere. Convinto che Dio ha voluto fosse nazione. COnvinto che la virtù sta nell’azione e nel sagrificio. Do il mio nome alla Giovine Italia, associazione d’uomini credenti nella stessa fede, e giuro: Di consecrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l’Italia in nazione una, indipendente, libera, repubblicana. Di promuovere con tutti i mezzi, di parola, di scritto, d’azione, l’educazione de’ miei fratelli italiani nell’intento della Giovine Italia. Ora e sempre. Così giuro, invocando sulla mia testa l’ira di Dio, l’abominio degli uomini e l’infamia dello spergiuro, s’io tradissi in tutto o in parte il mio giuramento. L’obiettivo fondamentale di Mazzini è quello di costituire una repubblica unitaria e democratica. Ogni altra ipotesi gli sembra debba essere respinta, in particolare quella dello Stato federale che non farebbe altro che alimentare i localismi e le divisioni. Egli pensa che la sua associazione debba preparare le condizioni per un’insurrezione militare contro gli Stati esistenti in Italia, cui deve seguire una lotta per bande contro gli eserciti regolari. Nel periodo della guerra la direzione politica dovrebbe essere affidata a un’autorità dittatoriale, che a guerra conclusa deve cedere il potere a un’assemblea costituente eletta dal popolo, detentore della sovranità. Il nazionalismo mazziniano ha fin dalle origini una fortissima componente religiosa: la militanza politica è apostolato, in quanto diretta al proselitismo tanto attraverso la diffusione del verbo quanto attraverso la testimonianza dei martiri, caduti in una guerra santa, che condurrà alla resurrezione della nazione; un’opinione democratica che non abbia radici in una fede profonda è destinata a non avere successo→Dio e popolo. Non è da pensare, tuttavia, che Mazzini immagini di attirare le masse popolari solo con un messaggio densamente spiritualistico “noi abbiamo bisogno delle masse” e per conquistarle è necessario che si trasmetta a esse l’idea secondo la quale la rivoluzione nazionale avrà effetti benefici anche sulle loro più immediate condizioni di vita. Immagina che il compito dello Stato sia quello di avviare una politica economica che regoli: le successioni ereditarie (per impedire l'accumulo eccessivo di ricchezze in poche mani), una tassazione progressiva (tasse in base al reddito) e lavori pubblici (per garantire un'occupazione a tutti). Nella monarchia costituzionale le fonti della sovranità sono due: una parte molto ristretta della popolazione, e il re che il preambolo dello Statuto descrive come tale “per grazia di Dio”. Lo Statuto prevede un Parlamento bicamerale: la Camera dei Deputati è eletta dal corpo elettorale ristretto; il Senato è di nomina regia. Il governo è nominato dal re. Tuttavia, è bene osservare che nello svolgimento successivo della storia del Regno di Sardegna e del Regno d’Italia questa norma viene disattesa in senso progressivo, poiché se formalmente il governo continua a essere nominato dal re, esso diventa tuttavia responsabile non tanto nei confronti del sovrano, quanto nei confronti del Parlamento. Le Costituzioni affermano: l’eguaglianza di tutti davanti alla legge, il diritto a un processo equo, la libertà di pensiero e di associazione, la tutela della proprietà. Nel 1848 estende anche agli ebrei del Regno i diritti civili e politici. La politica dopo il 1861 sarà improntata a un rigoroso laicismo, volto a ridimensionare i privilegi in precedenza riconosciuti alla Chiesa cattolica. Camillo Benso conte di Cavour fu un uomo politico di grande intelligenza, buon conoscitore del sistema politico britannico, liberale convinto ma animato da una inflessibile diffidenza nei confronti delle iniziative mazziniani. Dal 1850 copre il ruoli di ministro di Agricoltura, industria e commercio, quello delle FInanze nei governi guidati da Massimo d’Azeglio. Incoraggia la costruzione di linee ferroviarie, di vie di comunicazione, di canali di irrigazione e accordi doganali di impianto liberista. Nel 1852 diventa capo del governo, sotto al sua guida prosegue l’azione di ridimensionamento dei privilegi ecclesiastici già avviata con la Legge Siccardi. Nel 1855 abolisce le congregazioni religiose contemplative; i beni degli enti ecclesiastici aboliti vengono espropriati e assegnati a una Cassa ecclesiastica, un’istituzione statale che con le rendite derivanti dai beni espropriati paga la “congrua” (cioè lo stipendio) ai parroci del regno. Ciò provoca un duro scontro tra Cavour, desideroso di affermare la laicità dello Stato, e Vittorio Emanuele II. Cavour riesce a far prevalere la sua linea, sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare che lo appoggia. Conseguenze costituzionali: i governi debbono essere scelti sulla base della maggioranze politica, non solo ed esclusivamente sulla base della volontà del re→interpretazione progressiva dello Statuto (riesce a dare centralità al Parlamento senza modificare lo Statuto). Politica estera: il regno partecipa alla guerra di Crimea al fianco della Francia e del Regno Unito (1854-55). Questo intervento non è militarmente determinante; tuttavia gli assicura un prestigio e una visibilità internazionali molto superiori alla sua forza effettiva; Cavour può personalmente prendere parte alla conferenza di pace che si tiene a Parigi nel 1856, in una seduta nella quale viene pure esaminata la situazione complessiva della Penisola italiana, che i ministri degli Esteri francese e inglese giudicano pericolosamente instabile. La mossa successiva è la stipulazione di un’alleanza politico-militare con Napoleone III in funzione antiaustriaca. Paradossalmente l’accordo è favorito da un attacco che Napoleone III e la moglie subiscono il 14 gennaio 1858 a opera di un gruppo di patrioti italiani che ritengono l'imperatore francese responsabile della caduta della Repubblica romana e lo considerano un grave ostacolo alla costruzione di un possibile stato italiano. Contribuisce a spingere Napoleone III a riconsiderare con grande attenzione l’opportunità di guidare una radicale trasformazione geopolitica della penisola. è così che nel 1858 nella stazione termale di Plombières, Napoleone III si dice disposto ad aiutare militarmente il Regno di Sardegna in una guerra contro l’Austria, da concretizzarsi con la formazione di una Confederazione italiana composta da quattro regni autonomi (Alta Italia, Centro Italia, Napoli e Roma papale); il Regno dell’Alta Italia dovrebbe nascere dall’inclusione della Lombardia e del Veneto nel Regno di Sardegna; la presidenza della nuova confederazione sarebbe affidata al papa; viene prevista la stipula di un trattato di pace tra francia e regno di Sardegna. Nel trattato si parla della formazione di un Regno dell’Alta Italia, la cui Corona spetta a Vittorio Emanuele II; si prevede la cessione di Savoia e Nizza alla Francia; e si stabiliscono le condizioni dell’aiuto militare francese; le spese di guerra sono a carico del Piemonte, che però deve essere attaccato dall’Austria; infine non si dice nulla di esplicito sul destino del resto della penisola. L’unificazione italiana (1859-60) La situazione di tensione tra il regno di Sardegna e l’Impero d’Austria ha come esito un ultimatum militare che i diplomatici austriaci notificano il 24 aprile 1859. É l’inizio della seconda guerra di Indipendenza. Secondo gli accordi presi, nella primavera del 1859 Napoleone III unisce le sue truppe a quelle del Regno di Sardegna per “difenderlo” dall’aggressione austriaca. La guerra ha successo e porta all’occupazione della Lombardia; quando la conquista del Veneto è a portata di mano, Napoleone III decide di interrompere la guerra e di stipulare un armistizio con gli austriaci (Villafranca, 11 luglio 1859). Quali sono le ragioni della decisione presa da Napoleone II? L’alto numero delle vittime di guerra; il timore che movimenti di truppe prussiane possano essere il preludio di un attacco sul fronte del Reno; l’evoluzione della situazione politica nel Ducato di Modena, in quello di Parma, in Emilia-Romagna e nel Granducato di Toscana, che sta sconvolgendo i piani previsti a Plombières. Tra la fine di aprile e il giugno 1859 scoppiano delle sollevazioni che portano alla cacciata del granduca di Toscana, della duchessa di Toscana, del duca di Modena e delle autorità pontificie di Bologna e di Romagna e una loro sostituzione con governi favorevoli all’unione di queste aree con il nuovo Stato. L’ipotesi della fondazione di un nuovo Stato dell’Italia centrale, con un sovrano francese -o comunque controllato dalla francia- sta dunque svanendo. La formazione dei governi provvisori in Emilia-Romagna e in Toscana è la premessa alla convocazione di plebisciti di annessione. Nel marzo 1860 si tengono le elezioni per il Parlamento di Torino; il risultato è la formazione di una Camera dei Deputati dominata da una solida maggioranza liberale che sostiene la politica avviata da Cavour. Un mese più tardi si celebrano i plebisciti di annessione di Nizza e Savoia alla Francia. Giuseppe Garibaldi raccoglie a Genova un migliaio di volontari con i quali nel 1860 si imbarca verso la Sicilia, dove da qualche tempo sono in atto agitazioni antiborboniche. Si tratta di un’impresa militare autonoma, il governo non è coinvolto ma ne tollera i preparativi e la realizzazione. L’11 maggio i garibaldini riescono a sbarcare a Marsala. L’esercito di Garibaldi si ingrossa raggiungendo le 40-50000 unità, riesce a sbaragliare l’esercito borbonico, entra a Napoli il 7 settembre 1860. Garibaldi e i suoi hanno dovuto constatare la gravità delle tensioni sociali che attraversano il Mezzogiorno. In Sicilia, in particolare, l’arrivo delle camicie rosse e del loro generale spinge diverse comunità contadine a ritenere che sia giunto il tempo della giustizia, della redistribuzione delle terre demaniali. Scoppiano qua e là rivolte e occupazioni di terre, che in alcuni casi, come a Bronte. Garibaldi non intende ascoltare le ragioni dei contadini e si fa garante dell’ordine; la sua non è una rivoluzione sociale, ma politica; a Bronte, inviato con un reparto di garibaldini, Nino Bixio -uno dei principali collaboratori di Garibaldi- reprime la rivolta. Nonostante questi primi gravi segni di inquietudine Garibaldi riesce a mantenere il controllo delle terre liberate. In Sicilia quanto nel Mezzogiorno continentale si tengono plebisciti di annessione. Nel settembre 1860 un esercito inviato da Cavour entra nelle Marche e poi in Abruzzo; il 26 ottobre Vittorio Emanuele II, alla testa del suo esercito, incontra Garibaldi a Teano, Garibaldi gli cede la sovranità sulle terre conquistate; il 7 novembre Vittorio Emanuele II fa il suo ingresso a Napoli come re del nuovo Stato unitario. Dall’aprile del 1859 al novembre del 1860 è accaduto l’impensabile: la formazione di uno Stato- nazione italiano (ci sono terre che italiane che non fanno parte del nuovo stato, il Lazio e il Veneto). Il risultato è stato raggiunto certamente grazie all’abilità politica e diplomatica di Cavour. Fu militarmente decisivo l’intervento dei soldati francesi comandati da Napoleone III; difficilmente le sollevazioni nell’Italia centrale e la stessa “impresa dei Mille” di Garibaldi sarebbero andate a buon fine. Tuttavia bisogna tener presente quell ampio settore di opinione pubblica decisamente favorevole all’unificazione. Ne sono testimonianza il gran numero di volontari che vanno a Torino e si arruolano nell’esercito del Regno di Sardegna; ne sono testimonianza i volontari che si uniscono a Garibaldi. Non si devono trascurare le descrizioni del clima festoso che circonda le insurrezioni, né la massiccia partecipazione ai plebisciti di annessione. Tutto ciò dice che il processo di unificazione nasce dalla combinazione dell’abilità del personale politico-diplomatico di un singolo Stato con la forza e col radicamento di un vasto movimento nazional-patriottico. La società italiana al momento dell’unità La retorica nazional-patriottica presuppone che quella italiana sia una comunità “naturalmente” compatta; “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor” (A. Manzoni). ma non c’è nulla di più lontano dal vero. Si scopre che l’Italia è tutto meno che “una di lingua”: meno del 10% della popolazione del Regno d’Italia usa la lingua italiana , appena il 20% sa leggere e scrivere in italiano. L’Italia nuova scopre di non essere una nemmeno quanto a strutture economiche e sociali. Esistono tre distinte regioni economiche: Valle Padana, Italia centrale, Italia meridionale e isole. È la conclusione alla quale arrivano i commissari nominati dal Parlamento italiano nel 1877 con l’incarico di compiere una Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola. Ci si può già rendere conto di quanto accentuate siano le differenze. L’agricoltura della Valle Padana è organizzata intorno ad aziende capitalistiche con forza-lavoro salariata, tecniche produttive (canali irrigatori, rotazioni pluriennali, allevamento del bestiame, fertilizzanti artificiali, macchinari agricoli). Inoltre è molto diffuso l’allevamento dei bachi da seta e la produzione manifatturiera di filati e tessuti di seta, comincia a diffondersi la produzione di filati e tessuti di cotone e di lana. Le fabbriche si avvalgono soprattutto dell’energia idrica. Hanno cominciati a importare le macchine a vapore da collegare a filatoi e telai meccanici. L’Italia centrale è caratterizzata dalla divisione delle terre in miriadi di unità produttive relativamente piccole, i poderi, lavorate da famiglie contadine alle quali la terra è stata concessa dal proprietario in mezzadria (i prodotti dell’unità terriera devono essere divisi a metà tra proprietario e contadino). Le famiglie mezzadrili sono povere, è difficile che nei poderi si adottino macchine agricole sofisticate; piuttosto si coltivano insieme più prodotti (vite, ulivo, alberi da frutta, cereali) adatti a soddisfare le esigenze delle famiglie di produttori e le richieste che vengono dai mercati urbani. costituzione di uno Stato unitario, ma sono necessari correttivi che elevino il livello della vita pubblica e rimargino la frattura che gli sembra si stia creando tra classe politica e opinione pubblica. A tal fine ha due proposte: formazione di partiti, e l’introduzione del suffragio universale maschile e l’istituzione delle regioni come articolazioni amministrative che restituiscano autonomia decisionale alle diverse parti del Regno. Difficoltà e contrasti Nel 1866 l’Italia si allea alla Prussia, allora in guerra con l’Austria. L’esercito italiano viene sconfitto il 24 giugno 1866 a Custoza, mentre la flotta è battuta il 20 luglio a Lissa. Solo Garibaldi riesce a battere gli austriaci a Bezzecca, il 21 luglio, aprendosi la strada verso Trento. Gli austriaci hanno perso la guerra con i prussiani. Il 9 agosto Garibaldi riceve l’ordine di ritirarsi dal Trentino, poiché le forze austriache si stanno muovendo in quella direzione e l’Austria vuole cedere solo Mantova e il Veneto (poi plebiscito di annessione). Problema dello stato pontificio e di Roma: Garibaldi è insoddisfatto della cautela della Destra (che non vuole compiere azioni di forza che possano provocare reazioni delle grandi potenze, correndo con ciò il rischio di mettere in pericolo la stessa esistenza del nuovo stato). Nel 1862 Garibaldi organizza una spedizione che, partendo dalla Sicilia, intende marciare su Roma. La sua iniziativa è del tutto illegale. Il 29 agosto del 1862 i militari italiani fronteggiano i garibaldini all’Aspromonte, in Calabria, e nello scontro a fuoco che ne segue Garibaldi viene ferito a un piede, successivamente viene rinchiuso in carcere. Nel 1867 il secondo tentativo garibaldino viene bloccato a Mentana, nei pressi di Roma, da un corpo di spedizione francese, stanziato a protezione di ciò che resta dello stato pontificio. L’iniziativa garibaldina è totalmente illegale e inoltre rischia di compromettere i rapporti diplomatici tra il Regno d’Italia e la Francia; è una situazione delicata: Garibaldi gode di un prestigio interno e internazionale. La formazione del Regno non ha attraversato una fase costituente e l’unificazione si è compiuta nella forma di una pura e semplice annessione, quindi i repubblicani e Mazzini negano la legittimità alle istituzioni del nuovo Stato. Nell’agosto del 1870 (anno della sconfitta di Napoleone III) Mazzini ha 65 anni; la situazione internazionale apre, a suo parere, nuove possibilità per un’insurrezione repubblicana; sollecitato da repubblicani siciliani, il 14 agosto si reca a Palermo, dove è arrestato. Torna in esilio volontario in Svizzera e poi a Londra. Nel 1871 torna diverse volte in Italia, segretamente e sotto falso nome. Muore il 10 marzo 1872. Migliaia di persone gli rendono omaggio in varie città italiane; il Parlamento approva un voto di cordoglio; il presidente della Camera vieta qualunque discorso di commemorazione e il presidente del Consiglio, Lanza, non pronuncia neanche una parola. I motivi di attrito tra papa Pio IX e i governi del Piemonte costituzionale erano stati numerosi (dalle Leggi Siccardi all’abolizione degli enti ecclesiastici). Tra il 1859 e il 1860 gran parte dei territori dello Stato pontificio gli viene sottratta. Il 26 marzo 1860 il papa lancia una Scomunica Maggiore nei confronti di tutti coloro che hanno concorso a quella che lui ritiene sia l’usurpazione delle terre che appartenevano allo stato pontificio. Questo è solo il primo degli atti di aperta conflittualità che il pontefice pronuncia nei confronti dello Stato liberale, cui seguono l’enciclica Quanta cura, del 1864, che contiene il Sillabo degli errori del nostro tempo, e il Concilio Vaticano proclama l’infallibilità del pontefice. Il 20 settembre 1870 l’esercito italiano entra nello Stato pontificio e occupa Roma. La frattura non potrebbe essere più netta; nemmeno la legge delle Guarentigie (13 maggio 1871), approvata unilateralmente dal Parlamento italiano dopo la presa di Roma, è sufficiente a riconciliare il papa con il nuovo Stato. L’opinione pubblica si spacca: una parte segue l’idea secondo la quale il rispetto del magistero spirituale del papa non deve necessariamente comportare fedeltà assoluta alle sue direttive politiche; un’altra parte (detta “cattolico- intransigente”) segue fedelmente l’indirizzo papale, e perciò decide di non riconoscere la legittimità delle nuove istituzioni. Al tempo stesso opta per la partecipazione alle elezioni amministrative. La conquista di Roma e lo spostamento della capitale nella “città eterna” sono salutati come grandi successi. Gli analfabeti sono il 69%; in molte aree la condizione di povertà è talmente straziante che alcune famiglie considerano l’idea di andarsene→migrazione. Tuttavia, a dieci anni dalla fondazione, lo Stato unitario mostra di aver superato la fase più critica e difficile.Il brigantaggio meridionale non ha suscitato solidarietà in altre regioni; la maggior parte dell’opinione pubblica non mostra interesse per i vecchi sovrani; il movimento cattolico-intransigente non sembra essere una minaccia; e i mazziniani non sembrano voler mettere in discussione il Regno. É necessario dotarsi di strumenti che consentano di “insegnare la nazione” alle masse: buone scuole primarie, un esercito e un ampliamento del corpo politico. “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani” è il programma soprattutto della Sinistra liberale che cerca di realizzare dal 1876. La Sinistra al potere Nel 1876 si forma un governo presieduto da Agostino Depretis, uno dei leader della Sinistra liberale. Il programma della Sinistra prevede riforme che vanno nella direzione di una cauta democratizzazione del sistema politico. La prima viene approvata nel 1877 e riguarda l’istruzione elementare: porta l’obbligo della frequenza scolastica a nove anni e determina le punizioni per i genitori che si rifiutano di mandare i figli a scuola; compito che continua a essere attribuito ai comuni. Un’altra riforma che prevede l’allargamento del suffragio elettorale, approvata nel 1882, abbassa il limite d’età, abbassa il livello di credito richiesto, e introduce come requisito alternativo l’alfabetismo➝ampliamento del corpo elettorale (dal 2% all’8%). Un simile ampliamento del corpo elettorale voluto da Depretis e dagli uomini della Sinistra, desta comunque qualche preoccupazione: è necessario fare in modo che le ali “estreme antisistema” (repubblicani e socialisti) non possano sfruttare l’ampliamento per far eleggere i loro rappresentanti. Invece di procedere con il rafforzamento del bipolarismo, la riforma cancella la distinzione tra Destra e Sinistra e crea un grande Centro liberale. L’operazione è diretta da Depretis, che lancia lo slogan della “trasformazione dei partiti”: l’obiettivo è quello di formare accordi elettorali tra Destra e Sinistra per costruire una grande maggioranza liberale. Le minuscole opposizioni prendono il nome di radicali. Viene criticata dagli oppositori, i quali cominciano a condannare quello che viene chiamato il “trasformismo” (opportunismo, cinismo, abbandonare le proprie convinzioni pur di restare all’interno della maggioranza); si critica l’assenza di bipolarismo e la mancata formazione di partiti politici moderni; si critica il ricorso a pratiche clientelari. Scandalo della Banca Romana: istituto privato di credito abilitato all’emissione di cartamoneta per conto dello Stato, ha emesso illegalmente una enorme quantità di moneta, in parte duplicando biglietti bancari, in parte stampando cartamoneta non coperta dalle riserve, concedendo regolarmente a diversi politici (Crispi e Giolitti) finanziamenti in cambio di sostegni. Nel 1878 i governi della Sinistra si fanno promotori di una prima tariffa protezionistica, favorevole agli interessi delle industrie tessili e metallurgiche. La scelta è dettata dal mutamento delle condizioni economiche generali (crisi) ma ha anche finalità strategiche: si vogliono difendere le imprese nazionali, si vogliono porre le premesse per la formazione di un’industria pesante (siderurgica e metallurgica) che produca le attrezzature per l’esercito. Nascita di un’acciaieria a Terni, primo nucleo dell’industria siderurgica. Nel 1887 viene introdotta una robusta tariffa protezionistica che difende l’agricoltura italiana colpita dalla crisi agraria e le principali industrie nazionali. Francesco Crispi Depretis muore, al suo posto subentra Francesco Crispi (1887-1896). Si impegna in un’intensa azione di diffusione dei simboli e dei valori che devono servire a insegnare la nazione alle masse. Nel 1894 i nuovi programmi di studio per la scuola elementare. Sorgono i monumenti a Mazzini, a Vittorio Emanuele II e a Garibaldi. Legge comunale e provinciale (1888) rende elettiva la carica di sindaco; nuovo Codice penale che abolisce la pena di morte e riconosce la legittimità degli scioperi; legge di pubblica sicurezza che lascia alla polizia ampi poteri di intervento nei confronti delle persone ritenute politicamnete pericolose. Tra il 1891 e il 1893 si formano associazioni politiche che prendono il nome di Fasci dei lavoratori, guidati da borghesi di idee democratiche o socialiste (composti da minatori, contadini, lavoratori urbani). Chiedono la riforma dei contratti agrari; protestano contro le tasse e contro le amministrazioni locali. Crispi proclama lo stato d’assedio. Circa 2000 persone vengono arrestate. Nel luglio del 1894 Crispi presenta in Parlamento tre “leggi antianarchiche”, una delle quali autorizza il governo a sciogliere associazioni considerate sovversive. Serve per attaccare il Partito socialista dei lavoratori italiani, costituitosi a genova nel 1892. Non basta a distruggere il partito socialista. Politica coloniale attraverso la quale Crispi vorrebbe trasformare l’Italia in una delle grandi potenze mondiali. Nel 1882 viene acquistata la Baia di Assab dalla compagnia marittima Rubattino. Nel 1885 la presenza coloniale italiana nell’area si rafforza con l’invio di una spedizione militare che occupa il porto di Massaua. Sconfitta a Dogali, nel gennaio del 1887. Crispi, che assume la presidenza del Consiglio qualche mese più tardi del disastro di Dogali, decide di non abbandonare il tentativo, prima intavolando trattative diplomatiche con l’imperatore etiope, Menelik, e poi inviando un nuovo corpo di spedizione, sconfitto ad Adua. Crispi il 9 marzo 1896 dà le dimissioni.
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