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Risposte Aperte Paniere Diritto Penale - Ecampus -(Prof. Bozheku Ersi), Panieri di Diritto Penale

Risposte APERTE del Paniere Risposte Aperte Diritto Penale - Università Telematica Ecampus - Prof. Bozheku Ersi

Tipologia: Panieri

2020/2021

In vendita dal 15/11/2021

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Scarica Risposte Aperte Paniere Diritto Penale - Ecampus -(Prof. Bozheku Ersi) e più Panieri in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! RISPOSTE APERTE PANIERE DIRITTO PENALE UNIVERSITA' TELEMATICA ECAMPUS DOCENTE: Bozheku Ersi RISERVA DI LEGGE Il principio di riserva di legge penale è un tipo di riserva di legge tendenzialmente assoluta ed esprime il divieto di punire una determinata condotta in assenza di una legge preesistente che la configuri come reato (art. 25 Cost.). La funzione della riserva di legge è essenzialmente garantistica, in quanto si vuole garantire che in materia penale le norme vengano emanate dall'organo maggiormente rappresentativo (parlamento). La riserva di legge deve essere intesa come riserva di legge assoluta anche se in alcuni casi l'apporto da parte di una fonte normativa secondaria è ammessa; ecco perché si preferisce classificarla come riserva di legge tendenzialmente assoluta. È ammessa quando si limita a specificare dal punto di vista tecnico elementi già contemplati dalla legge; non è ammesso, invece, che la legge consenta alla fonte secondaria di scegliere i comportamenti punibili tra quelli disciplinati dalla legge stessa. TASSATIVITÀ E DETERMINATEZZA NEL DIRITTO PENALE Il principio di determinatezza della fattispecie penale si rivolge al legislatore. Quest’ultimo deve formulare la norma penale in modo chiaro e preciso in modo tale da rendere possibile la sua comprensione da pate dei cittadini (art. 1 c.p.). Per orientare le proprie scelte di comportamento, costoro devono poter conoscere con sufficiente precisione ciò che è penalmente lecito o vietato. La tassatività riguarda il procedimento di applicazione della norma al caso concreto. La fattispecie penale si applica nei soli casi previsti e non in altri: deve esserci una piena corrispondenza tra il fatto descritto dalla norma al fatto in concreto sottoposto al giudizio dell’interprete (giudice). Ad esempio: se la norma sull’omicidio punisce chi cagiona la morte di un uomo, vi sarebbe una violazione dl principio di tassatività se ‘un giudice applicasse la stessa norma nel caso di uccisione di un animale. ANALOGIA IN MATERIA PENALE Il divieto di analogia è rivolto al giudice e all'interprete del diritto penale. Al giudice penale è fatto divieto di applicare pene a fatti non previsti dalla legge come reato e di applicare pene più severe rispetto a quelle previste. Al giudice è vietato il ricorso alle norme che disciplinano un caso simile: la legge penale deve essere applicata solo alla fattispecie concreta che rientra nel precetto della norma incriminante. Le norme eccezionali, che fanno eccezione alle regole generali o ad altre leggi, debbono rimanere tali e il Giudice non può applicarle in via analogica. Nella applicazione della norma il giudice non può spingersi al di là dell'interpretazione letterale del testo normativo. Il giudice che riconduce ad una norma un significato differente dal significato letterale, incorre nel divieto di analogia poiché con tale comportamento estende la norma al caso simile. Questo comportamento è vietato infatti il codice penale prevede che nessuno possa essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto dalla legge come reato. L'IRRETROATTIVITÀ DELLE NORME PENALI L’articolo 25 Cost. Nella sua prima proposizione afferma che “...nessuno puo’ essere punito se non in forza di una legge...”: la seconda parte della norma richiede che ai fini della applicazione della legge penale occorre che la stessa sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Se il legislatore in un determinato momento storico decide di cambiare il proprio giudizio su di un fatto (es. Prima illecito, poi lo depenalizza rendendolo lecito), non vi sono ragioni ostative affinché la legge più favorevole si possa applicare retroattivamente a soggetti che per lo stesso fatto (non più punibile) sono stati puniti nel passato. IL PRINCIPIO DI MATERIALITÀ Perché ci sia reato occorre che vi sia una condotta percepibile dai sensi. In questa prospettiva, la materialità assume il significato che essa ha nel linguaggio comune, ossia di qualcosa che sia suscettibile di verificazione empirica. Non si può, quindi, essere puniti per aver pensato o elaborato mentalmente un reato ma, invece, è necessaria l'estrinsecazione di tale "pensieri" o "elaborazione" in un reale comportamento fattuale. IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ Nel diritto penale italiano, il principio di offensività afferma che non vi può essere reato senza un'offesa a un bene giuridico, cioè a una situazione di fatto o giuridica, protetta dall'ordinamento, modificabile oppure offendibile per effetto di un comportamento umano. E’ offensiva solo quella condotta in grado di ledere o mettere effettivamente in pericolo il bene protetto. Dunque, in forza al principio di offensività, il reato deve sostanziarsi nell’offesa di un bene giuridico e non può consistere in una mera disobbedienza alla legge. IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA Tale principio non è esplicitamente consacrato dalla Costituzione, ma ormai è pacifico in dottrina che esso sia desumibile da essa. Se il soggetto infatti deve essere rieducato, non ha senso infliggere pene a chi non ha commesso il fatto con dolo o colpa, non essendoci in questo caso alcunché da rieducare. In tal modo emergerebbe quindi il principio per cui l’entità della pena non può superare la colpevolezza del reo. IL PRINCIPIO DI UMANIZZAZIONE Il divieto di infliggere trattamenti contrari al senso di umanità è sancito all’articolo 27. Tale regola, che si salda con quella di cui all'articolo 2 della Costituzione (la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo), vieta implicitamente tutti i trattamenti penali corporali, la pena di morte o le sanzioni infamanti come la gogna. Per la verità imporrebbe anche di adeguare lo stato delle carceri alla dignità che dovrebbe avere ogni essere umano a prescindere da ciò che ha commesso, vietando di affollare i detenuti in celle sottodimensionate e proteggendoli dagli abusi che talvolta alcuni di loro subiscono dai compagni di prigionia. LA LEGGE PENALE PIÙ FAVOREVOLE L'art. 2 co. 2-3 c.p. prevedono il principio della retroattività favorevole: - I1 2 stabilisce l'efficacia retroattiva della c.d. abolitio criminis: qualora sopravvenga l'abrogazione di una precedente norma incriminante sotto la cui vigenza è stato commesso il fatto, il suo autore non potrà più essere condannato e, se è già intervenuta la condanna, ne cessano l'esecuzione e tutti gli effetti penali. - Il 3 dispone che, nel caso di successione semplicemente modificativa, la legge sopravvenuta si applica retroattivamente se più favorevole rispetto a quella sotto il cui vigore è stato commesso il fatto, con il limite che non sia ancora intervenuta condanna irrevocabile. LA SUCCESSIONE DELLE NORME PROCESSUALI PENALI La norma penale processuale è retroattiva, perché gli atti processuali sono sempre disciplinati dalla normativa processuale vigente nel momento in cui devono essere compiuti, indipendentemente dal fatto che essa sia magari entrata in vigore dopo la consumazione del reato per cui si procede (tempus regit actum). IL PRINCIPIO DI TERRITORIALITÀ NEL DIRITTO PENALE Il principio di territorialità (art.6 comma 1) stabilisce l'applicabilità del diritto penale italiano entro i limiti del territorio dello Stato; perciò ai fini della sua applicazione è necessario definire il luogo in cui è avvenuto il reato. Non è sempre semplice individuarlo quando l'autore del reato si serve di mezzi informatici e telematici per realizzare il crimine. Il luogo in cui si consumano i reati informatici, infatti, raramente coincide con un luogo o un territorio fisicamente identificabile. IMPUTABILITÀ E MINORE ETÀ AI minore imputabile è irrogata la pena in misura ridotta e, a discrezione del giudice, possono applicarsi, una volta scontata la pena, le misure del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata. È stato, inoltre, consentito ai minori rei il beneficio del perdono giudiziale, della sospensione condizionale della pena, della liberazione condizionale e della riabilitazione, in misura certamente più ampia rispetto alla normalità; è prevista, poi, la possibilità che il giudice sospenda il processo e affidi in prova il soggetto minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per un periodo di osservazione, ed al termine di quest’ultimo, se la prova ha avuto esito positivo, potrà dichiararsi estinto il reato. L'INFERMITÀ MENTALE L’infermità di mente può essere totale o parziale (semi-infermità); l’infermità totale di mente (alt. 88 c. vizio totale di mente ricorre quando il soggetto “nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere”) comporta il proscioglimento dell’imputato, può essere anche presente la possibilità di applicare una misura di sicurezza, come il ricovero in ospedale giudiziario (art. 222). Insieme al vizio totale di mente viene trattata una tematica singolare, ovvero quella delle monomanie; il monomaniaco è quel soggetto che, normale per tutti gli altri aspetti della sua vita, ha una mania particolare (es. cleptomania). Nonostante le varie teorie contraddittorie, in linea di principio, il monomaniaco è da considera incapace di intende e di volere solo se ha commesso un fatto collegato alla sua patologia. Per ciò che conceme lo status di infermità parziale è definito dal nostro Legislatore come quello di “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere”; il soggetto attivo, in questo caso, risponde del reato commesso in misura più lieve, il passaggio successivo sarà l'applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di cura o di custodia (art. 219), a questa misura può precedere l'esecuzione della pena. IMPUTABILITÀ E STATI EMOTIVI E PASSIONALI L’art. 90 c.p. tratta degli stati emotivi e passionali (ira, gelosia, paura, sorpresa, ecc... ), questi non escludono né diminuiscono l’imputabilità, e possono dar luogo, eventualmente, alle singole attenuanti elencate all'art. 62 n. 1, 2 e 3; è da tenere presente come nell’ipotesi in cui lo stato passionale sia di particolare intensità potrebbe sfociare nella malattia mentale, esso può coincidere con il vizio totale o parziale di mente, e dunque il soggetto attivo sarebbe da considerare inimputabile. IMPUTABILITÀ E UBRIACHEZZA Unicamente nel caso di ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore (art. 91 c.p.), che procura in un soggetto l’incapacità, al momento della commissione del fatto, di intendere o di volere, il Legislatore nega l’imputabilità del reato; dovrà trattarsi di una situazione imprevedibile o inevitabile, opposta all’ipotesi in cui l’ubriachezza sia volontaria o colposa (art. 92 c.p.), per la quale l’imputabilità non è né ridotta, né esclusa. Si distingue l’ubriachezza vera e propria dalla cronica intossicazione da alcool; la prima delle due categorie si distingue, poi, in quattro tipologie: ubriachezza accidentale, volontaria, abituale o cronica intossicazione da alcool. PERICOLOSITÀ SOCIALE E CAPACITÀ A DELINQUERE Se in seguito all’accertamento del fatto si esclude la configurazione del reato, non si può procedere alla verificazione della pericolosità del non imputabile e dunque l’applicazione delle misure di sicurezza nei suoi confronti sarà preclusa; e ciò a prescindere se concretamente il soggetto è pericoloso. L’art. 133 c.p. dispone che nel commisurare la gravità del fatto, il giudice deve tener conto della capacità a delinquere del colpevole. Egli può desumerla: dai motivi a delinquere e il carattere del reo; dai precedenti giudiziari e, in generale, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, famigliare e sociale del reo. LA STRUTTURA DEL REATO In relazione alla struttura, il reato è quel fatto umano attribuibile al soggetto (principio di materialità) offensivo di un bene giuridicamente tutelato (da una lesione o, in alcuni casi, anche da una intimidazione) sanzionato con una pena ritenuta proporzionale alla rilevanza del bene tutelato, in cui la sanzione svolge la funzione di rieducazione del condannato. Il reato, previsto, disciplinato e sanzionato dall’ordinamento giuridico si distingue dall’illecito amministrativo e dall’illecito civile per la diversa natura della sanzione prevista. Gli elementi essenziali del reato sono: * Il fatto tipico (condotta umana, evento e nesso di causalità che lega la condotta all’evento); * Lacolpevolezza (imputazione soggettiva del fatto che si risolve in un giudizio di colpevolezza); * L’antigiuridicità (contrasto tra la norma e il fatto). LA TEORIA TRIPARTITA Per la teoria della tripaitizione, il reato si compone di tre elementi che rappresentano i tre grandi capitoli della teoria generale del reato: > Fatto tipico (fatto materiale), comprensivo dei requisiti oggettivi (condotta, evento, causalità); > Antigiuridicità, con la quale si indica la contrarietà del fatto materiale all'ordinamento giuridico; > Colpevolezza, cioè la volontà riprovevole nelle sue due forme del dolo e della colpa, nonché di quella intermedia della preterintenzione per coloro i quali la intendono come un misto di dolo e colpa. Altra dottrina, pur aderendo alla teoria tripartita, include il dolo e la colpa nel fatto tipico, che diventa così comprensivo dei requisiti oggettivi e soggettivi attinenti alla descrizione del tipo. LA TEORIA BIPARTITA Nella teoria bipaitita l’antigiwidicità è intesa in senso globale, in quanto il reato è un fatto penalmente antigiuridico e l’antigiuridicità, quindi, è una qualificazione che investe l’intero fatto in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi. Essa, perciò, non è un elemento autonomo del reato da porre sullo stesso piano del fatto e della colpevolezza, ma è l’essenza stessa del reato. Per la teoria della bipartizione il reato si compone di due elementi: n Oggettivo, cioè il fatto materiale in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, nesso causale, evento); n Soggettivo, cioè il diverso atteggiarsi della volontà nelle forme del dolo e della colpa. L'illecito oggettivo I REATI OMISSIVI L'omissione, in diritto, indica il mancato svolgimento di un determinato compito o il mancato adempimento di un obbligo giuridico. I reati omissivi si dividono in: * Proprio, che si configura al mancato compimento di un'azione imposta dalla norma penale, configurandosi come una disobbedienza. * Improprio, che si configura con il mancato impedimento di un evento dannoso. Gli elementi costitutivi del reato omissivo improprio sono: situazione tipica (insieme dei presupposti che fanno nascere l'obbligo di attivarsi), condotta omissiva e possibilità materiale per il soggetto di attivarsi ed impedire l'evento. REATI A FORMA LIBERA E A FORMA VINCOLATA Il legislatore differenzia i reati anche dal punto di vista dei mezzi utilizzati, si distinguono quindi: . I reati a forma vincolata sono quei reati per i quali la norma penale descrive un'azione connotata da specifiche modalità. In questo caso il bene protetto dalla norma penale è tutelato penalmente solo contro determinate modalità di azione e non altre. (esempio ad esempio: la truffa per essere tale, richiede artifici o raggiri per essere puniti). . I reati a forma libera sono i reati in cui la fattispecie è descritta facendo riferimento all'evento, potendo essere le più varie le modalità dell'azione (ad es. la norma penale che punisce l'omicidio tutela il bene della vita indipendentemente dalle modalità di aggressione). IL NESSO CAUSALE NEL NOSTRO ORDINAMENTO Il nesso causale è il passaggio logico che rende l'evento una conseguenza della condotta del reo e, quindi, imputabile a quest'ultimo, in quanto nessuno può essere considerato autore di un reato se l'evento non è a lui imputabile. Si può pertanto affermare che il "nesso causale", anche detto "nesso di causalità" è il rapporto che deve intercorrere tra azione ed evento, dal quale deve risultare che quest'ultimo è la diretta conseguenza del fare (l'azione) o non fare (l'omissione) in esame. L'esigenza del rapporto di causalità è espressa dall'art. 40 c.p dal quale si ricava che nessuno può essere considerato autore del reato se l'evento dannoso o pericoloso che lo caratterizza non è in relazione causale con il suo comportamento. Il principio è affermato anche dall'art. 27 Cost., il quale statuendo che " la responsabilità penale è personale", consente di configurare la responsabilità penale esclusivamente per fatto proprio. LE TEORIE SULLA CAUSALITÀ * Lateoria della causalità naturale o teoria della condicio sine qua non, secondo la quale basta per la causalità nel reato una qualsiasi azione che abbia posto in essere un antecedente indispensabile per la realizzazione dell'evento. Questa teoria è stata considerata eccessivamente severa e aberrante in alcune applicazioni pratiche da molti giuristi. * Teoria della causalità adeguata: tale teoria è nata in Germania e afferma che la causalità nasce con un evento adeguato, ovvero con un'azione idonea a generarlo, escludendo gli effetti improbabili. La critica offerta a questa teoria è l'inidoneità dell'accertamento caso per caso della straordinarietà o meno dell'azione che ha causato l'evento. * Teoria della causalità umana: proposta da Francesco Antolisei, il quale afferma che l’uomo è un essere dotato di coscienza e volontà, pertanto esistono avvenimenti che rientrano nella sfera della signoria dell'uomo, ossia che sono voluti dall'uomo stesso il quale pur avendone coscienza non fa nulla per evitarne l'accadimento. * Lateoria della imputazione oggettiva dell'evento, di derivazione oltralpina. * La teoria della causalità scientifica, definita quale causalità "vera", fondata sullo studio scientifico del fenomeno, cioè il nesso di causa va indagato secondo un'"analisi controfattuale" che riveli se in mancanza della condotta l'evento non si sarebbe verificato. COSA SONO LE SCRIMINANTI La locuzione causa di giustificazione (identificata anche come scriminante, o esimente) identifica paiticolari situazioni il cui verificarsi rende lecito un fatto che integra una fattispecie di reato. Le cause di giustificazione sono previste dal codice penale italiano agli artt. 50 e seguenti. Va precisato che il codice Rocco non utilizza mai l'espressione “cause di giustificazione”, ma preferisce parlare più genericamente di circostanze che escludono la pena, ampia categoria che ha finito per ricomprendere tutte le situazioni in presenza delle quali il codice qualifica un determinato soggetto non punibile: cause di giustificazione, cause di esclusione della colpevolezza, cause di non punibilità in senso stretto. IL NESSO PSICOLOGICO Per la sussistenza del reato occorre inoltre la sussistenza del nesso psichico intercorrente tra il soggetto attivo e l'evento lesivo. Il verificarsi di un singolo atto deve quindi necessariamente imputarsi alla volontà del soggetto agente. L’elemento soggettivo (richiamato anche dall’art. 27 della Costituzione) può assumere la forma del dolo o della colpa ed è considerato criterio principale per la commisurazione della pena. LA STRUTTURA DEL DOLO Nella struttura del dolo si distinguono due componenti psicologiche: la rappresentazione, cioè la visione anticipata del fatto che costituisce reato (momento conoscitivo); la risoluzione, seguita da uno sforzo del volere diretto alla realizzazione del fatto rappresentato (momento volitivo). Mentre nei reati di mera condotta il momento volitivo riguarda la sola realizzazione dell'azione o dell'omissione, nei reati di evento esso riguarda anche il risultato della condotta. Deve ritenersi voluto non solo l'evento che costituisce il fine in vista del quale il soggetto abbia tenuto una determinata condotta, ma anche quell'evento che l'agente si sia rappresentato come conseguenza necessaria o comunque possibile della propria condotta, pur avendo agito per uno scopo diverso. L'ERRORE SUL FATTO È determinato da una falsa rappresentazione della realtà di fatto. Per fare un esempio, se un cacciatore vede agitarsi un cespuglio e ritiene che dietro vi sia una lepre, mentre vi è un uomo accovacciato (errore di fatto determinato da una falsa percezione della realtà), e sparando uccide l’uomo, non risponderà di omicidio doloso (il dolo è escluso dall’errore), ma, eventualmente, per omicidio colposo (per la negligenza del suo comportamento). L'errore escludente la punibilità (a titolo di dolo) è quello essenziale, cioè che cade su uno degli elementi essenziali per la sussistenza del reato. Di regola sono, invece, irrilevanti l’errore sull’oggetto (es.: credo che la bicicletta che rubo sia di Tizio, invece è di Caio); l'errore sulla persona (es.: infliggo un pugno alle spalle di una persona che credo sia il mio nemico, invece è un’altra persona); l’errore sul nesso causale (es.: credo di uccidere Caio facendolo precipitare da una scogliera ed, invece, muore annegando). L'ERRORE INDOTTO La norma in oggetto equipara la disciplina l'errore determinato dall'altrui inganno a quella prevista per l'errore sul fatto (art. 47) cui pertanto si rimanda. In questo caso l'errore sul fatto che costituisce il reato è causato da un soggetto terzo, il quale dolosamente approfitta della buona fede dell'esecutore materiale. Lo strumento tramite il quale si attua l'inganno può esser sia una menzogna, sia il mero silenzio, ma solo quando in capo all'ingannatore sussista un obbligo di informazione. La seconda parte della norma sancisce la responsabi del soggetto che trae in inganno per il fatto commesso dall'ingannato, salva l'ipotesi in cui l'errore in cui è incorso l'autore materiale sia dipeso da colpa ed il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo. In quest'ultimo caso l'autore risponderà per colpa, mentre l'ingannatore per dolo. L'ERRORE SU DI UN ELEMENTO SPECIALIZZANTE L’errore sul fatto esclude sempre il dolo del fatto cui si riferisce; può però verificarsi che l’errore verta su un elemento specializzante, e cioè su un requisito che caratterizza una figura criminosa rispetto ad un’altra, di portata generale. In tale caso, come precisa l’att. 47.2 c.p., residua la responsabilità per il reato diverso, di cui sussistano sia i requisiti obiettivi sia quelli soggettivi. Es. se Tizio offende l’onore di un pubblico ufficiale presente, ignorandone la qualifica, non risponderà di oltraggio (art. 341.1 c.p.), ma risponderà di ingiuria (at. 594.1 c.p.). rispetto alla quale l'agente versa senza dubbio in dolo. L'ERRORE SULLA LEGGE EXTRAPENALE Il terzo comma dell’art. 47 stabilisce che «l’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato». La giurisprudenza ha ritenuto che legge diversa da quella penale sia solo quella destinata ab origine a disciplinare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamati né implicitamente o esplicitamente incorporati in una norma penale. Alla stregua di questa ricostruzione va considerato errore su legge penale, e quindi inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie proprio perché essi determinano il contenuto del comando penale. Pertanto, ogni norma in qualsiasi modo richiamata dalla disposizione incriminatrice finisce immancabilmente per incorporarsi in quest’ultima, assumendo natura penale. IL REATO PUTATIVO Per reato putativo si intende l'azione di un soggetto posta in essere nell'errata convinzione di commettere un reato (o un reato più grave), ma tale contegno risulta penalmente irrilevante. Esso è costituito da una condotta materiale inoffensiva e lecita, e da un elemento soggettivo caratterizzato da un errore di fatto o di diritto. Questo fenomeno è contemplato, nell'ordinamento giuridico italiano, dall'art. 49, comma I del codice penale (c.p.) e da non confondersi con l'ipotesi di reato impossibile. Può derivare innanzitutto da un errore sul precetto determinato da errore su legge penale: es. il soggetto crede di commettere reato unendosi carnalmente con un individuo dello stesso sesso in quanto erroneamente convinto che l’omosessualità costituisca reato. Può derivare da errore sul precetto determinato da errore su legge extrapenale: es. il soggetto credendosi imprenditore a causa di un errore sulla legge civile ritiene di commettere il reato di bancarotta fraudolenta. FORME DI DOLO (1) Dolo diretto di primo grado — ricorre quando l’evento realizzato è esattamente il fine ultimo che l’agente si propone di ottenere; l'agente cioè vuole proprio quel determinato evento; (2) Dolo indiretto o diretto di secondo grado — si ha quando l'agente vuole l'evento, ma non è quello il suo fine principale, bensì il mezzo per raggiungerne un altro. Ad esempio, un terrorista che vuole rapire un uomo politico e uccide la scorta; (3) Dolo alternativo — Si ha quando il reo ha previsto due possibili eventi, accettandoli entrambi; ad esempio Tizio colpisce Caio con un coltello, volendone indifferentemente la moite o il ferimento; (4) Dolo generico — quando si presenta nella sua forma più tipica, cioè quella della volontà dell'evento; (5) Dolo specifico — quando, per integrare il reato, il legislatore prevede oltre alla volontà dell'evento, ‘un fine ulteriore, anche se poi il fine per avventura non si realizza. Ad esempio nel fiuto non basta volersi appropriare della cosa d'altri, ma occorre anche il fine di trarne profitto; (6) Dolo di danno e di pericolo — Nessun particolare rilievo ha la distinzione tra dolo di danno e dolo di pericolo, che riflette la distinzione tra reati di danno e di pericolo; (7) Dolo eventuale — sussiste quando l'evento è preso in considerazione solo come eventualità, ma non come fine diretto. Il soggetto, cioè, accetta il rischio che l'evento si verifichi, e quindi agisce anche a costo di cagionarlo, pur non avendolo preso di mira. Es.: dei rapinatori si fanno scudo di un ostaggio che viene colpito a morte dalla polizia; (8) Dolo iniziale — quando l’agente all’inizio della propria condotta agiva con la rappresentazione e volizione di realizzare l'evento preso di mira. Ad esempio, Tizio si rappresenta e vuole uccidere Caio e gli da un veleno; (9) Dolo concomitante — quando la condotta dell’agente si inserisce nell’ambito di un decorso causale già avviato. Ad esempio Tizio sta accoltellando Caio. Da lontano, Sempronio, individuando in Caio un suo nemico si avvicina e continua anche lui ad accoltellarlo. (10) Dolo susseguente — quando il dolo sorge nella mente dell’agente successivamente al compimento della propria condotta tipica. Ad esempio, Tizio per errore scusabile da un veleno a Caio, ma poi accorgendosi non gli somministra l'antidoto. LA FUNZIONE SPECIALIZZANTE DEL DOLO SPECIFICO Nei reati puniti a titolo di dolo specifico nella descrizione del fatto viene indicata anche il motivo per il quale il fatto si compie. Il motivo diventa tipico, nel senso che per la configurazione del reato occorre accertare se l’agente ha agito con il fine indicato dalla norma: il fatto non costituisce reato se non è corredato da quel determinato motivo. In alcuni casi il dolo specifico ha una funzione specializzante del reato. Ad esempio, la scopo di terrorismo permette di distinguere il sequestro di persona per finalità terroristiche dal sequestro a scopo di estorsione, puniti da 2 distinti articoli del codice penale. DOLO D'IMPETO E DOLO DI PROPOSITO Il dolo è d’impeto quando la decisione di commettere il reato sorge improvvisa e viene immediatamente eseguita, senza che vi sia alcun intervallo tra la formulazione del proposito criminoso e la sua attuazione; è invece di proposito quando intercorre un consistente distacco temporale tra il sorgere dell’idea criminosa e la sua esecuzione; una species del dolo di proposito è la premeditazione, prevista come circostanza aggravante nell’omicidio e nelle lesioni personali. L'ACCERTAMENTO DEL DOLO Essendo il dolo un dato psichico (rappresentazione e volizione) il suo accertamento non può essere espletato nella psiche dell’agente. Ciò sarebbe impossibile. Il dolo infatti può accertarsi e si accerta attraverso la lettura degli elementi obbiettivi del fatto o comunque pertinenti ad esso i quali illuminano il dato volitivo della condotta. Dalla lettura della realtà si può ricavare se Tizio ha agito perché preso da uno stato di ira (dolo d’impeto), oppure se era da tanto tempo che meditava di realizzare una determinata condotta (dolo di proposito). In tema di accertamento di dolo spesso si afferma che in certi casi il dolo deve essere presunto, poiché determinati fatti se compiuti non possono che essere stati voluti. In tali casi si parla di dolo in re ipsa. Tale teoria non è accettabile. La volontà non può mai presumersi ma deve essere desunta da dati oggettivi. GLI ELEMENTI DELLA COLPA La colpa è una forma meno grave di volontà colpevole in quanto manca nel soggetto la volontà di cagionare l’evento. Essa ricorre in tutti i casi in cui il soggetto, pur potendo prevedere che la sua azione era tale da produrre conseguenze dannose o pericolose, ha agito con scarsa attenzione o con leggerezza, senza cioè adottare quelle misure e quelle precauzioni che avrebbero impedito il verificarsi dell'evento. Elementi costitutivi della colpa sono: — Elemento negativo: dato dalla mancanza di volontà del fatto; — Oggettivo: dato dall’inosservanza delle regole di condotta; — Soggettivo: dato dall’attribuibilità dell’inosservanza al volere dell’agente IL GRADO DELLA COLPA Criteri soggettivi di graduazione: — consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa; — quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari; — motivi che hanno spinto il soggetto ad agire. Criteri oggettivi: — quantum di evitabilità; — quantum di divergenza tra la condotta doverosa e quella tenuta. Nel caso di concorso di più indici, il giudice deve procedere ad un giudizio di cumulo o di equivalenza o di prevalenza della stessa. IL DOLO NEI DELITTI TENTATI Parte della dottrina ritiene che nei delitti tentati è configurabile solo il dolo diretto, laddove, viceversa, non vi è spazio per la configurabilità del dolo eventuale. Ciò in quanto la stessa struttura della norma, nella parte in cui parla di “...atti diretti a...” evidenzia la volontà del legislatore di punire solo le condotte che evidenziano una determinata direzione anche del coefficiente psicologico. Tale posizione non è tuttavia pacifica in dottrina. Altri autori osservano che il delitto tentato ha la stessa struttura del delitto consumato con il quale si coniuga. Ciò che manca è semplicemente la mancata verificazione dell’evento o la non commissione dell’azione. IL TENTATIVO NEI REATI OMISSIVI La condotta omissiva in ordine a tali reati risulta perfettamente frazionabile sicché non ci sono particolari difficoltà per l’individuazione degli atti idonei diretti in modo non equivoco alla realizzazione del reato. Si pensi, ad esempio, la madre omette di allattare il figlio fino al punto tale che solo l’intervento medico può scongiurare la sua moite. La stessa pone in essere una condotta omissiva idonea a provocare l’evento tipico previsto dall’articolo 575 c.p. Quest’ultimo viene impedito dall’intervento dei medici, ma non per questo il comportamento della madre non può consideraisi idoneo e diretto all’evento morte. GLI ATTI IDONEI ED UNIVOCI NEL TENTATIVO Dalla lettura dell’articolo 56 c.p. si evince che il delitto tentato si impernia su due elementi oggettivi: gli atti idonei ed univoci, diretti a commettere un delitto. Il requisito dell’idoneità è collegato agli atti compiuti, i quali devono avere una propria efficacia lesiva per essere ritenuti riconducibili nell’ambito del delitto tentato. L’atto diretto a commettere un delitto deve essere anche idoneo a mettere in pericolo lo specifico interesse tutelato dalla norma. L’idoneità si accerta sul piano causale, quando gli atti posti in essere, se fossero stati portati a compimento, avrebbero portato alla realizzazione di quell'evento dannoso. * Ad esempio Tizio spara a Caio mirando alla testa ma lo manca; dopo la pistola si inceppa e dunque viene disarmato. Se Tizio avesse potuto portare a termini la condotta causale avrebbe cagionato la morte di Caio. Proprio al fine di evitare eventuali problemi di natura interpretativa, accanto al requisito dell’idoneità il legislatore colloca quello dell’univocità degli atti. Questi ultimi, infatti, per come vengono posti in essere devono indirizzare ex sé verso la realizzazione di un reato. In altre parole essi devono evidenziare, in base alla comune esperienza, quale delitto erano diretti a commettere. Il loro accertamento deve essere fatto ex post, cioè attraverso una analisi della scena del crimine dal quale ricavare a quale delitto gli atti miravano. RECESSO ATTIVO Una diversa ipotesi di tentativo è quella del delitto impedito (o recesso attivo), quando l’agente ha posto in essere la condotta tipica, la quale è consumata, ma prima della verificazione dell'evento lo stesso si ravvede. * Adesempio, Tizio vuole uccidere Caio e gli somministra del veleno letale. Ad un certo punto Tizio si pente, e somministra a Caio l'antidoto, salvandogli la vita. Se la pena per il tentativo è diminuita da un terzo a due terzi in relazione alla pena prevista per il reato base, nel caso del recesso attivo, quest’ultima pena avrà una ulteriore diminuzione da un terzo ad un mezzo. La scelta del legislatore di prevedere una ulteriore diminuzione per il caso di recesso si spiega nel fatto che con la sua condotta l’agente ha evitato volontariamente il verificarsi di un evento, altrimenti certo. TENTATIVO COMPIUTO E DELITTO MANCATO Si ha delitto mancato (o tentativo compiuto) quando l’agente pone in essere la condotta causale tipica, ma l’evento non si verifica per cause indipendenti dall’agente. * Ad esempio Tizio inizia a compiere la condotta tipica del fiuto, magari intrufolandosi nell'abitazione, ma poi non finisce la condotta perché interviene la polizia. La condotta tipica è perpetrata e consumata, anche se l’evento fiuto non avviene. In tale caso si parla di delitto mancato. L’evento non si verifica, nonostante l’azione si compia. DESISTENZA VOLONTARIA L’articolo 56 comma 3 c.p. disciplina l’ipotesi della desistenza volontaria. Si ha desistenza volontaria quando il colpevole volontariamente desiste dall'azione. In questi casi il legislatore non punisce il reo per delitto tentato. Quest’ultimo infatti risponderà solo peri fatti che di per sé costituiscono reato, ma non anche a titolo di tentativo per il reato che ha deciso volontariamente di abbandonare. * Classico esempio è quello del ladro che, una volta intrufolatosi nell’abitazione altrui, non compie la condotta di sottrazione delle cose mobili altrui, ma volontariamente decide di abbandonare il proposito criminoso. Ciò che è importante è che la desistenza sia frutto di una scelta libera e personale e non il frutto del costringimento di fattori esterni. REATO IMPOSSIBILE L'articolo 49 al comma 2 prevede la figura del cosiddetto reato impossibile: "La punibilità è esclusa quando, per l'inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa è impossibile l'evento dannoso o pericoloso". Se la punibilità è esclusa, il giudice può applicare una misura di sicurezza, qualora ritenga che il soggetto sia comunque pericoloso. E' ovvio che "se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso". Quello previsto dall’articolo 49 c.p. è uno dei due casi previsti dal nostro ordinamento in cui il giudice può applicare una misura di sicurezza senza che ci sia reato, a causa della pericolosità sociale che ha dimostrato il soggetto e per questo motivo alcuni autori parlano di quasi-reato. Il reato impossibile ricorre dunque in due casi: — quando l'azione è inidonea; ad esempio: Caio vuole uccidere Tizio dandogli un pugno sulla spalla; oppure sparandogli con una pistola giocattolo; — quando l'oggetto dell'azione (cioè l'oggetto materiale del reato) è inesistente; ad esempio Caio vuole uccidere Tizio ed entra di notte nella sua casa sparando ad un fantoccio, scambiando questo per la vittima. PRINCIPIO DI SPECIALITÀ E PRINCIPIO DI CONSUNZIONE — Specialità: per risolvere il conflitto tra norme il legislatore ha dettato l’articolo 15: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. Talvolta però può accadere che due o più norme regolino la stessa materia e non sia individuabile una norma speciale rispetto all’altra. — Principio di consunzione o sussidiarietà: Il principio di sussidiarietà implica che quando vi siano due norme di cui una ha un maggior disvalore giuridico rispetto all’altra, si applica quella che ha il maggior disvalore; cioè tra due norme che tutelano lo stesso bene giuridico si applica quella che prevede l'offesa maggiore. Anche qui uno stesso fatto è astrattamente posto sotto due norme, solo che una delle due norme include necessariamente l'altra di minor valore. Ad es. il rappoito di sussidiarietà sussiste tra il reato di atti osceni (articolo 527, peraltro oggi parzialmente depenalizzato) e la contravvenzione dell'articolo 726 (atti contrari alla pubblica decenza). IL REATO COMPLESSO Il reato complesso si caratterizza per il fatto di essere composto da più elementi che, di per sé, corrispondono ad altre autonome fattispecie di reato. Le singole figure di reato possono entrare nella composizione del reato complesso quali elementi costitutivi o come circostanze aggravanti. L'esempio di scuola è rappresentato dal reato di rapina (att. 628 c.p.), nel quale confluiscono gli autonomi reati di fusto (art. 624 c.p.) e di violenza privata (art. 610 c.p.). La disciplina in materia, contenuta nell'art. 84 c.p. prevede che, in presenza di reato complesso, non si configuri il concorso formale o materiale tra i reati che lo costituiscono. In altre parole, l'unico reato che andrà punito sarà quello complesso, e non i singoli reati che rientrano nella sua composizione. REATO CONTINUATO Il reato continuato è previsto dal secondo comma dell'articolo 81 c.p., ai sensi del quale è soggetto alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino al triplo, "chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge." * Ad esempio per sequestrare Caio, Tizio picchia la guardia del corpo, ruba un’auto e trattiene Caio per diversi giorni; in tal caso commette il delitto di lesioni, sequestro di persona e fiuto. Si tratta di tre reati, ma realizzati con l'unico scopo di sequestrare Caio. Il motivo per cui il legislatore ha scelto di applicare il sistema del cosiddetto cumulo giuridico risiede ancora una volta nel fatto - assolutamente contestabile in verità - che chi commette più reati con uno scopo unico dimostra minore inclinazione criminale di colui che realizza più reati con più scopi diversi CONCORSO DI REATI Si ha concorso di reati quando un soggetto commette più reati. Il concorso di reati può essere: — Concorso materiale. Se un soggetto, con più azioni, commette più reati abbiamo il cosiddetto concorso materiale. In caso di concorso materiale si applicano tante pene quanti sono i reati commessi (anche se poi il legislatore ha previsto alcuni temperamenti). Può essere omogeneo o eterogeneo. Il concorso omogeneo si ha quando il soggetto viola più volte la stessa norma. Il concorso eterogeneo si ha quando le violazioni concemono norme diverse. — Concorso formale. Se un soggetto con una sola azione commette più reati abbiamo il cosiddetto concorso formale di reati. In tal caso si applica la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo. Ad esempio Tizio, violentando la figlia, commette il reato di incesto, violenza camale e lesioni personali. IL CONCORSO ANOMALO DI PERSONE NEL REATO L’art. 110 c.p. prevede che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. Ai fini della configurabilità del concorso è necessario che almeno due persone pongano in essere comportamenti volti alla realizzazione del fatto delittuoso. Per la sussistenza del concorso anomalo previsto dall’art. 116 c.p., secondo cui “qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza delle sua azione od omissione”, è invece necessario che ricorrano 3 requisiti: a) l'adesione psichica dell’agente ad un reato concorsuale diverso; b) la commissione da pate di altro concorrente di un reato diverso; c) un nesso psicologico in termini di prevedibilità tra la condotta dell’agente compartecipe e l'evento diverso in concreto verificatosi. L’agente risponde, dunque, del diverso reato solo nel caso che egli, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti nuovi, sia stato in grado di prevedere in concreto l’evento come logico sviluppo della sua condotta sulla base delle norme di comune esperienza. IL MUTAMENTO DEL TITOLO DEL REATO PER TALUNO DEI CONCORRENTI L'art. 117 c.p prevede che se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rappoiti fra il colpevole e l'offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena. LE MISURE DI SICUREZZA Le misure di sicurezza sono previste e disciplinate dagli articoli 199 e seguenti del codice penale, nonché dall’articolo 25 della Costituzione, che estende espressamente alle misure di sicurezza il principio della riserva di legge. Le misure di sicurezza sono un’innovazione del codice Rocco e rappresentano la forma con la quale il codice penale ha concretizzato la teoria del doppio binario secondo la quale mentre la pena doveva assolvere alla funzione di retribuire il reo per il reato commesso e di reintegrare l'ordinamento giuridico, la misura di sicurezza aveva la funzione di prevenire il pericolo di un’altra condotta criminale da parte dell’autore di un fatto di reato o di un quasi reato, attraverso la sua emenda o risocializzazione. Le misure di sicurezza non possono essere applicate se non in forza di una disposizione di legge. Sotto il profilo temporale, si deve sottolineare come, al contrario delle pene, esse sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione e non da quella vigente al momento della commissione del fatto di reato. Es.: colonia agricola o casa di lavoro, casa di cura e di custodia, ospedale psichiatrico giudiziario, libertà vigilata, divieto di soggiorno, confisca, cauzione di buona condotta, divieto di frequentare osterie e pub. LA PARTE CIVILE La parte civile nel processo penale è il soggetto danneggiato dal reato che intende far valere innanzi al giudice penale la propria domanda di risarcimento o di restituzione. Soggetto legittimato a costituirsi parte civile è qualsiasi persona fisica e giuridica, nonché enti senza personalità giuridica. Per le persone fisiche, possono agire anche i successori universali. Il soggetto che intende costituirsi paste civile deve predisporre la dichiarazione con la quale intende esercitare l'azione civile nel processo penale, depositandola nella cancelleria del giudice innanzi al quale si procede, oppure deve essere presentata in udienza e deve avere un contenuto minimo che la legge processuale penale regolamenta molto dettagliatamente: * Generalità della parte civile e del legale rappresentante * Generalità dell'imputato, del difensore e indicazione della procura * Esposizione delle ragioni * Sottoscrizione del difensore IL DANNEGGIATO DAL REATO È la persona che ha subito un danno quale conseguenza del reato ed ha il diritto di richiedere all'autore del fatto il risarcimento del danno. Può far valere il proprio diritto o esercitando l'azione in un autonomo giudizio civile o nel processo penale costituendosi pate civile. Il danneggiato dal reato spesso coincide con la persona offesa dal reato (il titolare del bene protetto dalla norma), tale coincidenza però può anche mancare: ad es. nell'omicidio la persona offesa è il defunto, mentre i danneggiati dal reato sono i congiunti. L'AZIONE CIVILE NEL PROCESSO PENALE L'esercizio dell'azione civile e dei suoi rapporti con il processo penale è vincolato al rispetto di alcune regole. In primo luogo rileva il momento in cui si decide di esercitare l'azione civile: a) si può decidere di esercitarla per la prima volta nel processo penale purché il dibattimento non sia ancora stato aperto, altrimenti scaduti i termini, o se si decide di non trasferirla nel proc. penale, va in sede civile; b) l'azione civile, già esercitata in sede civile, può essere anche trasferita nel procedimento penale purché nel processo civile non sia ancora stata emessa sentenza di merito; il processo rimarrà sospeso fino l'emissione della sentenza penale e in caso di assoluzione dell'imputato, produrrà effetti anche per la parte civile; c) se l'azione civile in sede civile viene esercitata dopo o la costituzione di parte civile nel processo penale, o dopo la sentenza penale di primo grado, il procedimento civile rimane sospeso sino all'imevocabilità della sentenza penale. LE OBBLIGAZIONI CIVILI NASCENTI DA REATO Le obbligazioni civili derivanti dal reato sono quelle indicate negli artt. 185 ss. c.p.: l'obbligo del risarcimento del danno e delle restituzioni, ma anche la pubblicazione della sentenza come forma di riparazione del danno e quello di rifondere allo Stato le spese processuali (cd. spese di giustizia). L’obbligo di adempiere alle obbligazioni civili derivanti da reato rileva anche qualora esse non siano richieste o siano state dichiarate né dalla sentenza penale di condanna né da alcun’altra sentenza. Ciò perché è una condizione prevista dalla legge e discendente dal fatto stesso del reato, sicché non occorre che essa risulti dalla sentenza di condanna. La Suprema Corte addossa quindi al condannato, nel caso che la persona danneggiata non abbia avanzato richieste risarcitorie, l'onere di assumere l’iniziativa della consultazione con quest’ultima per l'individuazione di un’adeguata offerta riparatoria, eventualmente in via equitativa per il ristoro degli interessi della collettività. LA FUNZIONE DELLE SANZIONI CIVILI La sanzione civile consegue alla violazione di una norma posta a tutela di un interesse privato e ha natura risarcitoria, in quanto finalizzata a reintegrare il danno subito dal soggetto portatore dell'interesse tutelato. Essa si sostanzia nel risarcimento del danno, che può essere in forma specifica, quando il responsabile deve riprodurre la situazione di fatto corrispondente a quella che sarebbe sussistita se non fosse intervenuto il fatto illecito, o per equivalente, quando il responsabile deve pagare al danneggiato una somma di denaro corrispondente alla perdita subita (danno emergente) e al mancato guadagno (lucro cessante). L'OBBLAZIONE L'oblazione è un rito alternativo al giudizio penale mediante il quale, con il pagamento allo Stato di una somma di denaro prestabilita, si estingue un “particolare” reato contravvenzionale, id est una sorta di depenalizzazione negoziata. Secondo il codice penale, nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la sola pena dell’ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato. LA PRESCRIZIONE La prescrizione è un istituto giuridico che concerne gli effetti giuridici del trascomere del tempo su un certo procedimento giudiziario, con valenza sia in campo civile che penale. In diritto penale determina l'estinzione di un reato a seguito del trascorrere di un determinato periodo di tempo (ad esempio, non viene più punito un furto o un atto di violenza). Sotto il profilo sostanziale, l'istituto riflette sia lo scemare dell'interesse dello Stato a punire la relativa condotta, sia la necessità di un processo di reinserimento sociale del reo, a seguito del decorso del tempo. Sotto il profilo processuale, l'istituto è volto a tutelare la parte dalla difficoltà, via via crescente nel tempo, a reperire le prove a supporto della propria tesi difensiva. L'AMNISTIA Provvedimento generale di clemenza con cui lo Stato, in presenza di situazioni oggettivamente eccezionali, rinuncia alla punizione di un determinato numero di reati commessi nel periodo precedente la concessione del beneficio. Le sue radici risalgono alla clemenza sovrana. La Costituzione disciplina l’istituto dell’amnistia all’art. 79, che originariamente ne disponeva la concessione con decreto del presidente della Repubblica emanato in base alla legge di delegazione delle Camere. L’amnistia è definita propria se interviene prima della sentenza di condanna ed estingue il reato e tutti i suoi effetti; impropria se viene concessa dopo la sentenza definitiva di condanna e produce l’effetto di far cessare l’esecuzione delle pene principali, delle pene accessorie e delle misure di sicurezza diverse dalla confisca. L'INDULTO Causa generale di estinzione della pena, che condona in tutto o in parte la sanzione inflitta con la sentenza di condanna, ovvero la commuta in pena di specie diversa. A nonma dell’att. 174 c.p., l’indulto limita i suoi effetti alla pena principale, non estinguendo le pene accessorie, né gli altri effetti penali della condanna, salvo che il decreto disponga diversamente. Si distingue l’indulto proprio da quello improprio, a seconda che intervenga nella fase esecutiva di una sentenza imevocabile di condanna o al momento della sentenza di cognizione. Viene concesso con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale, e si riferisce ai reati commessi nel periodo precedente la presentazione del disegno di legge. I CONCETTI DI INTERESSE E VANTAGGIO NELLA RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI L’art. 5 co. 1 dlgs. 231 del 2001, collegando la responsabilità degli enti ai «reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio», mira a coniugare l’efficacia preventiva della sanzione con il rispetto del divieto di responsabilità per fatto altrui. Secondo la relazione al decreto, il criterio dell'interesse caratterizzerebbe la condotta in senso marcatamente soggettivo, quello del vantaggio esprimerebbe invece un aspetto obiettivo, che "richiede sempre una verifica ex post". Secondo alcuni autori sarebbe preferibile interpretare i due termini come un'unione che addita un criterio unitario, riducibile ad un "interesse" dell'ente inteso in senso obiettivo. GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEL DELITTO DI CALUNNIA Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà di incolpare di un reato una persona che si sa essere innocente. Trattasi, più esattamente, di dolo diretto. Ciò si evince dalla dizione utilizzata dalla norma: “...si incolpa taluno che si sa innocente...”. La precisazione è importante poiché esclude che il delitto possa configurarsi in relazione ai casi in cui il soggetto attivo coltiva un dubbio in merito all’innocenza o meno della persona oggetto di denuncia. * Ad esempio, Tizio che vede una sagoma simile a Caio che sta perpetrando un fiuto e denuncia il fatto all’autorità. Anche se Tizio non è certo che sia effettivamente Caio il colpevole ne fa il nome di quest’ultimo. Il delitto di calunnia è da escludersi. Per il 2° e 3° comma dell’art. 368, il delitto è aggravato: * Se siincolpa taluno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 10 anni, o a pena maggiore; * Se dal fato deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; * Se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo. Alla calunnia non si applica la scriminante di cui all’art. 384 c.p. LA STRUTTURA DEI DELITTI DI AUTOCALUNNIA E FALSO GIURAMENTO L’art. 369 punisce chiunque, mediante dichiarazione ad alcuna delle Autorità indicate nell’art. 368, anche se fatta con scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione dinanzi all’autorità giudiziaria, incolpa se stesso di un reato che egli sa non avvenuto, o di un reato commesso da altri. Nel delitto di autocalunnia lo scopo della norma è quello di tutelare il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali. Il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà dell’agente di accusare se stesso di un reato che sa di non aver COMMESSO. La norma all'art. 371 punisce, chiunque giura il falso dinanzi all'autorità giudiziaria. Va subito precisato che, nonostante l’utilizzo del pronome chiunque, si è — in verità — dinanzi ad un reato proprio di chi è chiamato dinanzi all’autorità giudiziaria a giurare. Solo costui infatti può compiere il reato in esame. La norma può trovare applicazione solo in ipotesi di giudizi civili, quando per la definizione degli stessi il giudice ha disposto il giuramento di taluna delle parte. Non va dunque confusa con la falsa testimonianza, ove il testimone giura di dire il vero e non nascondere quanto a sua conoscenza, ma l’oggetto tutelato dalla norma è la verità dei contenuti dallo stesso narrati in udienza. Il dolo richiesto è generico e consiste nella coscienza e volontà di prestare il giuramento con la consapevolezza della sua falsità. La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici. FALSA TESTIMONIANZA E FALSE INFORMAZIONI AL PUBBLICO MINISTERO L’articolo 371-bis c.p. al comma 1 punisce chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero o dal procuratore della Corte penale intemazionale di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in paite, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito. L'articolo in esame è stato introdotto per la prima volta dalla legge 306/1992, per rendere perseguibili i soggetti che rendevano false testimonianze dinanzi al pubblico ministero. Anche se la norma usa il pronome “...chiunque...”, non si tratta di reato comune, bensì di reato proprio. La norma non si applica alle informazioni rese alla polizia giudiziaria quando questa opera di sua iniziativa (cioè senza delega di indagini da parte del P.M.). LA RITRATTAZIONE L’articolo 376 c.p. afferma che “...nei casi previsti dagli anticoli 371-bis, 371-ter, 372, 373, nonché dall’articolo 378 c.p., il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento. Qualora la falsità sia intervenuta in un giudizio civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile. La norma ha la funzione di esimere da pena per uno dei reati ivi indicati se il soggetto ritratta il falso e manifesta il vero. Essa ha una duplice funzione: 1. L’eliminazione di una ostacolo costituito dalla prova falsa senza ulteriori attività processuali; 2. Di favorire l'accertamento della realtà dei fatti. LA STRUTTURA DELLA RITRATTAZIONE E IL CONCORSO DI PERSONE NELLA STESSA Tra gli aspetti più dibattuti della ritrattazione vi è quello dell’applicabilità dell’istituto nell’ambito del concorso di persone nel reato. Ad esempio si applica la ritrattazione anche all’istigatore alla falsa testimonianza quando costui spinge poi il teste a ritrattare e dire il vero. In questo caso la ritrattazione gioverà ad entrambi. Ne beneficerà anche l’istigatore atteso che anche grazie al suo contributo causale sono stati neutralizzati gli effetti lesivi della falsità precedente. Fuori da questo caso, si discute molto se la ritrattazione possa giovare anche all’istigatore, nell’ipotesi in cui il teste ritratta sua sponte senza che l’istigatore lo abbia spinto in tal senso. Più in particolare, si ritiene che la ritrattazione riguarda una situazione psicologica del soggetto agente il quale si ravvede ed elimina le conseguenze della sua condotta. Ne consegue che la ritrattazione non può estendersi anche all’istigatore che non ha dato alcun contributo ai fini della ritrattazione. FAVOREGGIAMENTO PERSONALE: STRUTTURA DELLA NORMA E CASI L’articolo 378 punisce “... Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce [la pena di morte 0] l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale intemazionale, o a sottrarsi alle ricerche di questa Il bene giuridico tutelato è il regolare svolgimento del procedimento penale nella fase delle investigazioni e degli accertamenti. La giurisprudenza riconosce la punibilità a titolo di favoreggiamento personale del mendacio alla polizia giudiziaria. La norma tutela dunque le attività di investigazione e ricerca dei colpevoli di reati. In particolare la norma mira ad evitare compoitamenti volti ad eludere le investigazioni e dunque a favorire che persone che hanno commesso dei fatti penalmente rilevanti possano sfuggire alla giustizia penale. Va chiarito fin da subito che il reato per cui si svolgono le investigazioni e si chiede la collaborazione dei cittadini deve essere effettivamente compiuto e non solo ipotizzato. * Trattasi di un reato di pericolo, con la conseguenza che ai fini della sua integrazione non occore che le investigazioni da parte dell’autorità giudiziaria siano state effettivamente fuorviate. IL DELITTO DI FAVOREGGIAMENTO PERSONALE Secondo un certo orientamento, il favoreggiamento si configura se il reato presupposto è stato realizzato in tutti i suoi elementi (obbiettivi e subbiettivi). * Per altri invece è sufficiente che si tratti di un favoreggiamento di un fatto tipico a prescindere dall’esistenza o meno di cause di giustificazione o dell’elemento psicologico. Per la giurisprudenza il reato di favoreggiamento è escluso solo se il reato presupposto è escluso in virtù di cause obbiettive (es. scriminanti), ma non anche da cause subbiettive (es. elemento psicologico) o da condizioni di procedibilità (es. querela). Il reato è punito a titolo di dolo genetico: il soggetto deve avere la coscienza e volontà di portare un aiuto ad una persona nei confronti della quale si stiano svolgendo delle investigazioni o ricerche, in quanto ha commesso un reato. PATRICINIO INFEDELE E ALTRE INFEDELTÀ DEL PATROCINATORE Il reato di patrocinio infedele è previsto dall'art. 380 c.p. il quale afferma che “il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria o alla Coste penale intemazionale, è punito con la reclusione da uno atre anni e con la multa non inferiore a cinquecentosedici euro”. Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a 1'032 euro se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina l'ergastolo oppure a reclusione superiore a 5 anni. La norma incriminatrice si propone di tutelare un bene complesso: da un lato l'interesse, di carattere pubblico, al regolare funzionamento dell'attività giudiziaria, che trarrebbe pregiudizio da comportamenti del patrocinatore contrari ai propri doveri professionali, quali fedeltà, lealtà e correttezza. Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinanzi all’ Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa non inferiore a euro 103. La pena è della reclusione fino a un 1 e della multa da euro 51 a euro 516, se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria. Non sussiste il reato di cui all'art. 381 comma 1 c.p. qualora le parti apparentemente contrapposte, in favore delle quali l'esercente la professione legale presti contemporaneamente la propria opera, perseguano in realtà un unico e lecito fine ad esse comune, facendo difetto, in tal caso, l'evento tipico del suddetto reato, identificabile o nel nocumento arrecato al patrocinato o nel perseguimento di un fine illecito. RICOSTRUISCA IL CANDIDATO LE FONDAMENTA DOGMATICO GIURIDICHE DELLA DISCIPLINA DI CUI ALL'ARTICOLO 384 C.P L'esimente in questione rappresenta una causa soggettiva di esclusione della punibilità, in quanto il legislatore ha ritenuto non esigibile una condotta diversa da quella scusata tramite la presente disposizione. La condotta, astrattamente configurabile i delitti di falsità di cui agli articolo indicati, è imposta dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un danno grave e inevitabile alla libertà e all'onore. L'elencazione dei reato oggetto di esimente è tassativa, e la norma non può dunque trovare applicazione per il reato di falso giuramento (art. 371) o per il reato di calunnia (art. 368). Il fatto può essere commesso a vantaggio proprio e di un prossimo congiunto e si richiede l'inevitabilità del nocumento, che esso sia futuro, ovvero non ancora verificatosi. Non è sufficiente un pericolo genericamente temuto, essendo necessaria la prova di un pericolo attuale e concreto. EVASIONE E PROCURATA EVASIONE Chiunque procura o agevola l'evasione di una persona legalmente arrestata o detenuta per un reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Si applica la reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso a favore di un condannato alla pena di morte o all'ergastolo. La pena è aumentata se il colpevole, per commettere il fatto, adopera alcuno dei mezzi indicati nel primo capoverso dell'articolo precedente. La pena è diminuita: 1. Seil colpevole è un prossimo congiunto; 2. Se il colpevole, nel termine di tre mesi dall'evasione, procura la cattura della persona evasa o la presentazione di lei all'autorità. La condanna importa in ogni caso l'interdizione dai pubblici uffici.
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