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Rivera la bella la bestia umano, Dispense di Antropologia Culturale

riassunto - riassunto

Tipologia: Dispense

2014/2015

Caricato il 28/12/2015

jessi1993
jessi1993 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Rivera la bella la bestia umano e più Dispense in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! Annamaria Rivera, La bella, la bestia, l'umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo, Ediesse, Roma 2010, pp. 193. Un doppio binario è quello su cui corrono la discriminazione su base razziale e quella di genere: razzismo e sessismo sono andati di pari passo nel corso della storia quali processi di attribuzione stereotipica di identità alla base di un sistema di categorizzazione, reificazione e dominio. Tanti sono, pertanto, i livelli di intersezione, scambio e prossimità su pratiche, retoriche, strumenti tra queste due aree semantiche di costruzione dell'alterità e di gerarchizzazione. Sessismoerazzismo, progetto di Lea Melandri, Isabella Peretti, Ambra Pirri e Stefania Vulterini che intende tracciare le analogie, gli intrecci e gli scostamenti che intercorrono tra sessismo e razzismo, si apre con un agile volume di orientamento sui fenomeni della discriminazione per genere e per razza dal valore introduttivo e dalla funzione ricognitiva. L'impostazione antropologica e il vissuto femminista di Annamaria Rivera contribuiscono a delineare un quadro complessivo e critico di tali fenomeni, utile a fornire gli strumenti per la figurazione di «un modello di universalità concreto, situato, sessuato» (p. 13) da cui muovere per contrastarli: grazie all'acquisizione di una postura relativista, si intende superare l'universalismo e rifuggire l'etnocentrismo. In questa prospettiva, il pensiero della Scuola di Francoforte e le riflessioni prodotte dal femminismo post-coloniale fungono da punto di riferimento stabile. Costante è, inoltre, la presenza di un paragrafo esemplificativo relativo al contesto italiano, finalizzato ad un'attualizzazione dei temi trattati ma anche a delineare le caratteristiche dell'ambito storico e socio-politico-istituzionale in cui la collana va ad intervenire, fornendo anche una serie di categorie di comprensione del presente storico e di strumenti di sua possibile trasformazione. Il primo capitolo, di puntualizzazione linguistico-concettuale, propone una definizione dei termini “razza”, “razzismo”, “genere” e “sessismo” su cui fa perno la tematizzazione della vicinanza, delle distinzioni e intersezioni tra i due fenomeni, nonché della complementarietà delle forme di dominio ed esclusione che riguardano stranieri, estranei, donne, minoranze e omosessuali. Dall'argomentazione biologista a quella naturalizzante, la “razza” si presenta come una «categoria immaginaria applicata a gruppi umani reali» (p. 16). Essa è dotata di una performatività sociale, quindi un potere semantico forte di categorizzazione, che riesce a influenzare anche gli ambiti che si occupano di contrastare il fenomeno del razzismo stesso (come quello giuridico). A partire da ciò, la messa in evidenza del carattere di convenzionalità priva di fondamento del concetto di razza si configura come la prima esigenza decostruttiva. Il disvelamento di questa categoria quale frutto di una costruzione sociale – per cui la discriminazione assume una base ideologica e cognitiva – muove dalla dimostrazione che la percezione della diversità e la categorizzazione non hanno a che vedere con le caratteristiche oggettive dei soggetti discriminati ma sono determinati socialmente (esempio paradigmatico è l'uso durante il nazismo di una stella gialla cucita sugli indumenti per l'identificazione degli ebrei, che non potevano in alcun modo essere distinti oggettivamente come una razza a sé stante). In gran parte del razzismo contemporaneo, afferma Rivera, «le tassonomie dette razziali e il determinismo biologico sono assenti, sfumati o mascherati: per lo più si essenzializzano differenze sociali, culturali, religiose di solito concepite come a-storiche, assolute, immutabili; e laddove fra i maggioritari e i minoritari non vi siano differenze rilevanti ed obiettive, esse possono essere inventate» (p .20). In maniera analoga “sessismo”, termine coniato alla fine degli anni '60 del Novecento in assonanza con “razzismo”, indica una semantica dell'alterità definita dal punto di vista del gruppo maschile, un noi maggioritario e universale (retorica incarnata dal suffragio universale) che va a definire e discriminare una “minoranza” femminile secondo un dispositivo di inferiorizzazione ideologico con conseguenze ad ampio raggio: dalla disuguaglianza sostanziale relativa all'accesso al potere, al lavoro, all'istruzione, alla ricchezza, al fenomeno della violenza di genere e dei femminicidi. Il sessismo è un sistema di svalorizzazione, discriminazione e subordinazione basato sul “genere” quale costrutto sociale identitario che ha natura del tutto arbitraria. Come nel razzismo è il dispositivo di naturalizzazione che opera ai fini della PAGE 1 legittimazione di una inferiorizzazione dell'altro, così nella categorizzazione sessista, definita alla luce di un maschile che è «sia il referente e la misura di tutte le cose, sia il neutro universale che le incorpora, le contiene, riassume, le definisce tutte» (p. 28), sono i rapporti di potere e dominio ad individuare i soggetti discriminati. Come nel razzismo «non sono le differenze fisiche, la morfologia e la fisiologia dei sessi ad aver prodotto i generi, nonché la loro gerarchizzazione e asimmetria sociale, bensì il sessismo – cioè i rapporti di potere e dominio – ad aver arbitrariamente scelto quei caratteri come segni distintivi rispettivamente del sesso dominante e di quello dominato, così non è l'obiettiva variabilità fenotipica umana ad aver reso possibile l'invenzione delle razze, le tassonomie e le gerarchie razziali; bensì il razzismo, cioè un sistema di gerarchizzazione, discriminazione, dominio, ad aver arbitrariamente scelto alcuni caratteri – obiettivamente non più significativi di altri – come segni distintivi di gruppi umani inferiorizzabili, discriminabili, dominabili» (p. 43). Questo legame tra le formule dei due tipi di discriminazione emerge anche da un'analisi dei linguaggi del sessismo e del razzismo, che diventano dispositivi di costruzione dell'altro e conseguentemente della sua esclusione e del suo dominio. Come avviene anche nei mezzi di comunicazione di massa, fa notare Rivera, il maschio bianco occidentale diviene la norma e la differenziazione e specificazione si fanno soltanto nei casi in cui si parla di una persona che non possa essere riconosciuta nella figura del soggetto dominante, il noi maschile e maggioritario (bianco, adulto, autoctono, eterosessuale) che costruisce la base delle categorizzazioni. In questo senso, l'ipotesi avanzata da Rivera, nel corso del secondo capitolo, è che il sessismo sia la matrice del razzismo e tra di essi possa riconoscersi una sorta di «continuità nel senso che probabilmente le varie forme di razzismo hanno imitato, per così dire, l'esperienza e il modello della relazione asimmetrica e/o di dominio fra i generi» (p. 62). L'originalità del testo, che raggiunge certamente l'intento di chiarire i nodi del legame tra razzismo e sessismo, è da rintracciare nell'individuazione – esplicativa essa stessa di questo legame – del loro rapporto con lo specismo. I numerosi riferimenti a Étienne Balibar aiutano Rivera a esplicitare questo parallelismo ricorrendo all'analisi dell'elemento della Natura come un universale, ovvero ad un processo di naturalizzazione non solo degli aspetti biologici ma anche di quelli culturali tramite il quale si attua la gerarchizzazione e reificazione degli esseri viventi. Tutte e tre le forme di dominio, spiega Rivera, implicano la volontà di eliminare o controllare una "natura inferiore" o mostruosamente superiore, tanto da richiedere la sua soggiogazione (cfr., p. 62). Come mostra l'uso della metafora zoologica nell'antisemitismo, nel sessismo e nel razzismo coloniale, «nella semantica occidentale dei rapporti di dominio, il ricorso alla metafora dell'animalità è una tendenza costante. Per squalificare, delegittimare, stigmatizzare e/o inferiorizzare gli altri e il genere femminile è frequente il ricorso alle figure metaforiche dell'infra-umanità, o, peggio, della sub-umanità, elaborate sulla base del riferimento all'animalità, per meglio dire della bestialità, cioè alla parte più oscura, pericolosa e negativa attribuita agli animali, a loro volta sovente bestializzati» (p. 66). Il dispositivo di costruzione dell'alterità prevede una tendenza a negare l'individualità e a riconoscere la specificità degli alterizzati . Tale alterità è concepita come “inferiorità, carenza, anomalia”, in una dinamica di reificazione che ad esempio nel sistema capitalistico ha preso la forma di una mercificazione dei corpi femminili e animali (come di una diffusione di nuove forme di ricatto e schiavitù per i migranti). Per entrambi, ma questo riguarda particolarmente i corpi delle donne, si assiste ad un frazionamento e sezionamento del corpo, che viene considerato nelle sue parti rappresentative dell'intero, procedendo in questa rappresentazione con una metafora zoologica. Rivera sottolinea, inoltre, l'esistenza di una «specularità concettuale e procedurale fra la de-animalizzazione degli animali, nel contesto della produzione industriale serializzata massificata, automatizzata e la de-umanizzazione degli umani, compiuta in modo altrettanto seriale, massificato, automatizzato, in particolare dalla macchina dello sterminio nazista» (p. 73). A questo proposito, citando Guy Debord, si procede un'audace esemplificazione attualizzante dei meccanismi fin qui descritti ricorrendo all'analisi del recente fenomeno italiano della “donna-tangente”. Mezzo di scambio sessuo-economico al tempo della “società dello spettacolo”, dove non si usano più metafore di costruzione della donna come oggetto ma si arriva PAGE 1
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