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La Tirannide e il Bene Comune: Forme di Governo e Gerarchie Sociali nel Basso Medioevo, Dispense di Storia Del Diritto Medievale E Moderno

Questo documento raccoglie testi di autori come Bartolo da Sassoferrato, Pasquini e Ascheri che discutono della tirannide e del bene comune nel Basso Medioevo. la fenomenologia delle forme di eversione del potere, distingue la tirannide palese e occulta, e indica i rimedi giuridici contro le patologie del potere politico. Inoltre, analizza l'influenza di queste idee sulla storia universitaria italiana.

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 05/01/2022

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Scarica La Tirannide e il Bene Comune: Forme di Governo e Gerarchie Sociali nel Basso Medioevo e più Dispense in PDF di Storia Del Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! ANNO XCI 2018 VOL. XCI - Fasc. 2 RIVISTA DI STORIA DEL DIRITTO ITALIANO r. 3a s FONDAZIONE f sergio MM ‘af 9, DEL DIRITTO MOCHI ONORY Mpa a ITALIANO - ROMA PERLA STORIA AMMINISTRAZIONE DELLA RivistA DI STORIA DEL DIRITTO ITALIANO Torino Edizione: Amministrazione della Rivista di Storia del diritto italiano c.L.E. - Lungo Dora Siena, 100 - Torino (cp. 10153) amministrazione. rivista@storiadiritto.it Direzione: direzione. rivista@storiadiritto.it; giansavino.penevidari@unito.it Consiglio d'indirizzo e finanziario: Consiglio della Fondazione Sergio Mochi Onory per la Storia del diritto italiano (proprietaria della testata). Direttore responsabile: Gian Savino Pene Vidari Vice-direttori: E. Genta Ternavasio; E. Mongiano; L. Moscati, G. Pace Gravina. Comitato di direzione: R. Ferrante; E. Genta Ternavasio; F. Migliorino; E. Mongiano; L. Moscati, G. Pace Gravina; G.S. Pene Vidari; N. Sarti; L. Sinisi. Consiglio scientifico: O. Abbamonte; R. Ajello; P. Alvazzi del Frate; M. Ascheri; M. Bellomo; L. Berlinguer; L Birocchi; A. Campitelli; P. Cappellini; M. Caravale; A.A. Cassi; M. Cavina; G. Cazzetta; A. Cernigliaro; G. Chiodi; G. Cianferotti; F. Colao; E. Conte; E. Cortese; P. Costa; L Del Bagno; A. De Martino; E. Dezza; MG. di Renzo Villata; M.R. Di Simone; A. Errera; M. Fioravanti; P. Fiorelli; L. Garlati; C. Ghisalberti; P. Grossi; L. Lacchè; C. Latini; L. Loschiavo; F. Liotta; D. Luongo, D. Marrara; L. Martone; G. Massetto; F. Mastroberti; M. Meccarelli; M.N. Miletti; G. Minnucci; M. Montorzi; C.M. Moschetti; P. Nardi; A. Padoa Schioppa; A. Padovani; B. Pasciuta; U. Petronio; V. Piergiovanni; D. Quaglioni; A. Romano; G. Rossi; U. Santarelli; R. Savelli; A. Sciumè; L Soffietti; Solimano; B. Sordi; E. Spagnesi; G. Speciale; C. Storti; E. Tavilla; F. Treggiari; C. Valsecchi; G. Zordan. Segretari di redazione e d’amministrazione: V. Gigliotti; C. Bonzo. Condizioni di pubblicazione I collaboratori sono pregati di far pervenire i loro testi, perfettamente rifiniti, secondo le regole e modalità editoriali della rivista, în formato alla sede della direzione (e-mail: storiadiritto.it), previo accordo col direttore responsabile. Si procederà all’edizione del contributo se considerato di contenuto e livello scientifico adeguato alla tradizione edalle caratteristiche della rivista, sentitoil parere di almeno due componenti il consiglio scientifico o di affermati studiosi italiani 0 stranieri del settore secondo il sistema del doppio cieco. Di ogni articolo pubblicato la rivista offre in dono agli autori, oltre al PDE, un numero della rivista cazioni inviate alla rivista (possibilmente in doppio esemplare) saranno ricordate sere adeguatamente segnalate nel “Bollettino bibliografico”. I i dovranno essere concordati con la direzione. Condizioni amministrative L’abbonamento è annuale. Il prezzo per l'annata 86 (2013) è di € 50 per l'Italia e di € 75 per l'estero; quello per le annate dal 2014 (LXXXVII) in poi è di € 50 per l'Italia e di € 80 per l'estero a causa dell'aumento delle spese postali per l'estero. I1 conto corrente bancario dell’Amministrazione della Rivista di storia del diritto italiano è — Banca Prossima: IBAN: IT04W0335901600100000117108; BIC: BCITTTMX Rivista associata alla «Unione Stampa Periodica Italiana» ISSN. 0390.6744 DEMOCRAZIA E TIRANNIDE: IL LABORATORIO MEDIEVALE 217 soluta; da un lato il bene comune, dall’altro l’interesse personale; da un lato la legalità, dall’altro l’abuso e la corruzione; da un lato la repubblica, dall’altro la tirannide. L'antitesi era già talmente incisa nella coscienza e nella lucida imma- ginazione degli uomini medievali, da fruttare le potenti rappresentazioni iconografiche che tutti conosciamo. La più emblematica delle quali è il ciclo pittorico profano del Buon e del Cattivo Governo (1338-39) appron- tato da Ambrogio Lorenzetti nella Sala della Pace del palazzo pubblico di Siena, dove si riuniva il collegio governativo dei Nove. Nella gigantesca, impressionante simbologia affrescata dal pittore senese sulle tre pareti di quel palazzo, l’allegoria negativa del malgoverno è incarnata dal Diavolo in trono contornato dai vizi del potere pubblico — Crudeltà, Discordia, Guerra, Frode, Ira, Avarizia — e contrapposta al suo controvalore politico: il Commune civitatis/bonum commune (l'identità di sostantivo e aggettivo rende bene l’identificazione tra l’istanza comunitaria e l'interesse generale che il potere pubblico deve perseguire, tra «bon commune» e «bonun» del Comune), rappresentato da Sapienza divina, Giustizia (alla cui corda il Comune è legato), Pace, Concordia, Generosità, Virtù cardinali e teologali. La drastica antitesi semantica dice chiaro che i modi di governo pos- sibili sono due: uno indirizzato al bene comune, l’altro alla tirannide. La traduzione di questa alternativa nel linguaggio del diritto è altret- tanto netta: la virtù politica s’identifica con la legalità; il vizio politico con l’arbitrio del potere pubblico. La virtù politica è tutta assorbita da una 7aiestas nuova, che non è più quella del Principe, ma della Legge: della legge, beninteso, in quanto espressione della volontà collegiale, as- sembleare, ‘generale’; della legge, che postula una sovranità diffusa e partecipata. Il vizio politico è tutto nel suo opposto: nell’ingiustizia che deriva dall’illegalità dei contegni abusivi del potere pubblico. La funzione didascalica di queste rappresentazioni iconografiche era diretta, parlava dalle pareti del palazzo, perché voleva ispirare e guidare ? La letteratura in tema è ricca: si vedano almeno i saggi di RM. Dessì, Il bene comu- ne nella comunicazione verbale e visiva. Indagine sugli affreschi del “Buon Governo” e di L. Pasquini, La rappresentazione del bene comune nell’iconografia medievale, entrambi nel vo- lume Il bene comune: forme di governo e gerarchie sociali nel Basso Medioevo, Spoleto 2012, rispettivamente pp. 89-130 e 489-515; per altra bibliografia cfr. P. Cosra, Bonum commune e partialitates: il problema del conflitto nella cultura politico-giuridica medievale, ivi, p. 2085. 50 e 51; e ora M. Ascueri, Tirannia/Libertà/Giustizia con una nota su pace e vendetta: un il nerario da Simone Martini ad Ambrogio Lorenzetti, in «Progressus», IV (2017), pp. 159-166. 218 FERDINANDO TREGGIARI verso il giusto la condotta dei governanti nello spazio stesso entro il qua- le essi assumevano decisioni per la comunità. Una funzione didascalica analoga a quella che nei secoli dell’età moderna svolgeranno i dipinti affissi nelle aule delle corti giudiziari delle Fiandre, lì esposti per ammo- nire il pubblico dei processi dalle conseguenze dei reati e i giudici dalle conseguenze della loro perniciosissima corruzione: per tutti valga il ter- rificante Giudizio di Cambise di Gérard David (1498), oggi conservato nel Groeningemuseum di Brugge e di recente al centro dell’affascinante mostra intitolata «L'Arte del Diritto». La tradizione dottrinale che sosteneva la pratica del borwuzz commu- ne si manteneva nella scia di un pensiero risalente e già più che solido rispetto alla sua rielaborazione e al suo adattamento all’universo politico del Medioevo italiano. Dalla Politica di Aristotele e attraverso il filtro di Gregorio Magno, per il quale era già chiaro che tiranno è colui che non governa secondo il diritto («qui in communi re publica non iure principa- tur»), Tommaso d’Aquino, nella seconda metà del Duecento, aveva deri- vato la nozione di tirannia come potere esercitato non per il bene comune, ma per l’interesse proprio del tiranno; e da questa nozione, ora estesa ad ogni forma di governo, non solo monarchica, aveva tratto il corollario della legittimità del diritto di resistenza, sempre che non andasse a danno della maggioranza. L'abuso del potere, il governo ingiusto e corrotto erano stati dunque additati già da filosofi e teologi a causa della perdita di quelle preziose e condivise virtù civiche, che prendevano forma nel laboratorio del Comune e che le assemblee popolari scolpivano negli Statuti, plastica agenda annuale della vita cittadina’. Di quelle virtù, nel pieno sviluppo dei governi di Popolo, sono ora i giuristi a farsi tutori. È Bartolo da Sassoferrato (1313/14-1357/58), apostolo della civilis sapientia, da quindici anni professore di diritto civile a Perugia, sua ® The Art of Law: Three Centuries of Justice Depicted, Tielt, Lannoo Publishers, 2016. Questa mostra ha raccolto in più di cento dipinti di artisti fiamminghi tre secoli (1450-1750) di immagini della giustizia. Il suo séguito è stato la mostra Call for Justice. Art and Law in the Burgundian Low Countries, allestita da marzo a giugno 2018 nel Museum Hof van Busleyden di Mechelen. EntrambelE iniziative si devono al prof. Georges Martyn dell’Università di Gent. ? S. CaprioLI, Una città nello specchio delle sue norme. Perugia milleduecentosettantano- ve, in Società e istituzioni dell'Italia comunale: l'esempio di Perugia (secoli XILXIV), Perugia 1988, pp. 367-445 (pp. 402, 408, 421). !°D. QuagLIONI, Civilis sapientia. Dottrine giuridiche e dottrine politiche fra medioevo ed età moderna, Rimini, Maggioli, 1989; E Trecciari, La laurea del giurista. Le orazioni dottorali DEMOCRAZIA E TIRANNIDE: IL LABORATORIO MEDIEVALE 219 seconda patria, a focalizzare nel ciclo dei trattati politici pubblicati negli ultimi anni di vita — in particolare nel trittico composto dai trattati sui partiti politici (de Guelphis et Gebellinis), sulle forme di governo (de regimine civitatis) e sulla tirannide (de tyranno): tre testi rimessi ottima- ‘mente in luce nel 1983 dalle edizioni di Diego Quaglioni!! — il tema della legalità/illegalità del potere. Nel trattato sulla tirannide, apice della sua riflessione gius-politica, Bartolo traduce la tradizione filosofico-teologica anti-tirannica in analisi ed immagini giuridiche ben scolpite. Descrive e classifica la fenomenolo- gia delle forme di eversione del potere distinguendo la tirannide palese, che può derivare o dalla mancanza o dall’abuso di un legittimo tito- lo giuridico di esercizio del potere, dalla tirannide occulta, tale perché esercizio o di un potere di fatto, non correlato ad alcuna carica, o di un potere ‘velato’ da una carica a cui nessun potere è congiunto. Il tiranno velato («qui sub quodam velamine non iure principatur in civitate») è un originale e suggestivo conio bartoliano, che non tarderà ad essere meta- bolizzato dal pensiero successivo!2. Ma Bartolo non si limita a descrivere e classificare: indica anche i rimedi giuridici contro le patologie del potere politico. La sua reazione legalitaria contro i nuovi modi di esercizio del potere dei regimi signo- rili riecheggia le invettive anti-tiranniche di Dante Alighieri! e confes- sa l'inclinazione per le forme ‘democratiche’ di governo realizzate dai regimi di Popolo, a Perugia come in altre città italiane oramai sulla via del tramonto. L’amara riflessione conclusiva sulla naturale tendenza del potere all’arbitrio e all’abuso (il potere, per Bartolo, è sempre esposto alle tentazioni dell’interesse privato, alla corruzione e dunque all’ingiu- stizia; e l'ingiustizia è negazione dello is, che è disciplina del buono di Bartolo da Sassoferrato, in Lauree. Università e gradi accademici in Italia nel medioevo e nella prima età moderna, a cura di A. Esposito, U. Longo, Bologna 2013, pp. 97-111. !! D. QuacLioni, Politica e diritto nel Trecento italiano. Il “De tyranno” di Bartolo da Sassoferrato (1314-1357). Con l'edizione critica dei trattati “De guelphis et gebellinis”, “De regimine civitatis” e "De tyranno”, Firenze 1983. ! Non già però dal De tyranno (1400) di Coluccio Salutati: cfr. B. Pio, Il tiranno velato fra teoria politica e realtà storica, in Tiranni e tirannide, cit., pp. 95-118 (p. 114); v. pure In., «In superbos reges»: il tirannicidio in Boccaccio e nel pensiero politico del Trecento, in «Studi Storici», 58 (2017), pp. 693-718. ! D. QuagLIONI, «Quant tyranie sormonte, la justice est perdue». Alle origini del paradig- ma giuridico del tiranno, in Tiranni e tirannide, cit., pp. 37-57 (pp. 48-50). 222 FERDINANDO TREGGIARI mata a farlo, ma a due condizioni: che il «recursus ad superiorem» sia insufficiente allo scopo e che l’azione sia compiuta «propter utilitatem publicam, ut status civitatis restauretur»!9. Perché sia legittima, dunque, l’azione antigovernativa non deve mirare a sostituire a tirannide nuova tirannide, ma a restaurare il buono stato della civitas. Nella concezione bartoliana il forum commune viene così a coincidere con il bonuz pu- blicum, giacché l'esigenza di tutelare la comziunitas contro ogni appro- priazione particolaristica fa leva sulla forza unificante delle istituzioni, che potrà essere alimentata ora dall’una ora dall’altra parte politica in conflitto. Al cospetto del bor publicum da perseguire, la contrappo- sizione tra fazioni non è vista come un’antitesi dell’ordine, come una degenerazione dello status della civitas, ma come una «dinamica inte- rattiva, che, pur svolgentesi sotto il segno dell’inimicizia, tuttavia finisce per produrre effetti ‘stabilizzanti’»?9, indirizzati a garantire la tenuta costituzionale dell'ordinamento politico?! e ad assicurare la legalità del potere pubblico. L'idea che i cittadini si dividano e combattendo tra loro concorrano al bene comune sarà, per la dottrina successiva a Bartolo? che opera nella montante temperie signorile, un pernicioso paradosso, l’anacronistico retaggio di una cultura politica superata, che avrebbe ri- servato ad altri e migliori tempi il suo prezioso lascito. La citazione a due lingue dei passi bartoliani sopra richiamati vuole segnalare che del de tyranno, del de regimine civitatis e del de Guelphis et Gebellinis circolano oggi opportune e commendevoli versioni italiane con testo latino a fronte, opera a sei mani di un appassionato magistrato di patria sassoferratese, Dario Razzi (curatore), di uno storico del diritto e delle dottrine politiche, nonché ammirevole e rigoroso studioso dell’o- pera bartoliana, Diego Quaglioni (già editore critico dei tre testi e oggi 1° BarroLo Da SassoFERRATO, Trattato sulle costituzioni politiche. Trattato sui partiti, cit., pp. 100-105 (= Traztao sui partiti). Cfr. D. QuaGLIONI, La tirannide nei «tractatus», in TD., Politica e diritto nel Trecento italiano, cit., pp. 29-32. 2°P. Costa, Bonum commune e partialitates, cit., p. 194. 2! A. Zorzi, I conflitti nell'Italia comunale. Riflessioni sullo stato degli studi e sulle pro- spettive di ricerca, in Conflitti, paci e vendette nell'Italia comunale, a cura di A. Zorzi, Firenze 2009, pp. 7-41, pp. 38-40. 2 Cfr. M. GENTILE, Bartolo in pratica: appunti su identità politica e procedura giudiziaria nel ducato di Milano alla fine del Quattrocento, in «Rivista internazionale di diritto comune», 18 (2007), pp. 231-251, spec. 247-251. DEMOCRAZIA E TIRANNIDE: IL LABORATORIO MEDIEVALE 223 prefatore delle nuove edizioni) e del latinista Attilio Turrioni (traduttore), già cimentatosi in passato con successo con la lingua dei testi statutari. La versione italiana dei trattati bartoliani segue di un trentennio la traduzione inglese del de tyranzzo curata a Chicago da Julius Kirshner® e giunge quando ormai può dirsi quasi vinta anche da noi la resistenza a tradurre i testi giuridici latini. Non è più un tabù la traducibilità dei testi normativi (sono stati di recente ritradotti in italiano i Digesta di Giusti- niano); non lo è a maggior ragione la traducibilità dei testi dottrinali. Del resto, la volgarizzazione s'impone: i leggenti-latino in Italia sono sempre meno e l’alfabetizzazione scolastica alla lingua di Cicerone non è più da tempo un fenomeno di massa. La traduzione in italiano di trattati scritti a metà Trecento in medio-latino — e magari ‘pensati’ dal suo autore in volga- re — non costituisce insomma un reato di così tanto lesa maestà. Nessuna ragione impediva in maniera perentoria di compierlo (ovviamente man- tenendo a fronte, come è stato ben fatto, il testo delle edizioni Quaglioni del 1983), mentre non pochi motivi lo giustificano e, alla luce del risultato, lo lasciano apprezzare. Tanto più se, come in questo caso, i testi da ren- dere disponibili ad un pubblico auspicabilmente più esteso contengono riflessioni lucidissime ed appassionate sul vivere organizzato, marcate da un messaggio per nostra fortuna non ancora estinto: quello che invita a sostituire alla volontà di dominio l’ardore per il bene comune. » Il de tyranno in traduzione inglese apre i Readings în Western Civilization, 5. The Re- naîssaince, a cura di E. Cocuane e]. Kigstiner Chicago 1986. Cfr. poi J. KirsHNER, Bartolo da Sassoferrato's de tyranno and Sallustio Buonguglielmi* consilium on Niccolò Fortebraccis tyranny în Città di Castello, in «Mediaeval Studies», 68 (2006), pp. 303-331.
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