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Rousseau - Discorso sulle scienze e sulle ari, Appunti di Filosofia Politica

Breve riassunto "Discorso sulle scienze e sulle arti" di J. J. Rousseau

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Caricato il 08/01/2017

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Scarica Rousseau - Discorso sulle scienze e sulle ari e più Appunti in PDF di Filosofia Politica solo su Docsity! DISCORSO SULLE SCIENZE E SULLE ARTI Fu composto nel 1750 in risposta al bando del concorso indetto dall'Accademia di Digione sul seguente tema: «Se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi.» L'opera diede a Rousseau una fama immediata, ma provocò un raffreddamento nei suoi rapporti con il gruppo dei philosophes raccolti intorno al progetto editoriale dell'Encyclopédie, che sul tema del progresso condividevano un orientamento opposto. Rousseau irruppe nel contesto dell'Illuminismo francese affermando che le arti e le scienze corrompono i costumi e sono uno strumento con cui i tiranni esercitano il potere. Egli metteva a confronto le figure idealizzate di Plutarco e Socrate con la dissolutezza della Roma imperiale e della Parigi contemporanea, senza risparmiare, nella sua critica, coloro che in vario modo avevano partecipato idealmente lo spirito dei lumi, da Cartesio a Hobbes, da Leibniz allo stesso Voltaire. Quest'ultimo replicò alle accuse di Rousseau con sottili ma non meno feroci sarcasmi. ---- Il 10 luglio 1750 l’Accademia di Digione aggiudicò il premio di morale alla migliore risposta riguardo al quesito «se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia contribuito alla purificazione dei costumi». Il premio andò a Jean Jacques Rousseau, cittadino di Ginevra, che a sorpresa di tutti dichiarava (come solo un altro dei quindici concorrenti totali) con tanta eloquenza che arti e scienze non avessero migliorato i costumi, bensì che li avessero degenerati, ben conscio di esprimere una posizione del tutto contraria all’opinione delle poca, sa di muoversi controcorrente, tanto da scrivere nel frontespizio “Barbarus hic ego sum quia non intellegor illis” dichiarando di non essere interessato a piacere né ai begli spiriti né alla gente alla moda, aspettandosi il biasimo, nella totale estraneazione all’ambiente circostante. Per lunghi anni cercò di integrarsi nell’ambiente della politesse francese, ma fu dura ambientarsi in un luogo diverso dalla sua Ginevra repubblicana. Con Discorso Rousseau riafferma le sue origini e i suoi ideali ginevrini ( al tempo non poteva considerarsi cittadini) dichiarando la sua estraneazione nei confronti di un mondo raffinato e artificiale. Il successo del Discorso segna l’inizio di una brillante carriera letteraria, l’autore si sente impegnato vivere in modo coerente con il suo libro e rompe così con le convenzioni mondane. Fra il 1751 e il 1753 compie un0’attività intensa e varia. Sarà il bando per il secondo premio di morale dell’Accademia di Digione pubblicato nel novembre del 1753 a indirizzare in modo definitivo la sua carriera: «Qual è l’origine della diseguaglianza tra gli uomini ed essa è autorizzata dalla legge naturale?». La pubblicazione del suo scritto fu curata dal suo amico filosofo Diderot che lo aveva al suo tempo incitato a rispondere al bando dell’Accademia (illuminazione di Vincennes e scrittura della prosopopea di Fabrizio). Rousseau all’edizione originaria allegò anche delle aggiunte (forse terzo capoverso della Prima parte e la frase “disuguaglianza funesta introdotta fra gli uomini dalla distinzione degli ingegni e l’avvilimento delle virtù” che gli ispirerà il Secondo Discorso). A partire dalla riflessione sui bisogni, Rousseau affronta il nodo del rapporto tra cultura e potere politico. Sotto una rassicurante apparenza ideologica si cela una realtà oppressiva delle scienze, lettere e arti (meno dispotiche ma forse più potenti in quanto operano sulla consapevolezza degli uomini) corresponsabili e complici della cattiva politica e delle sue leggi. Occultano e consolidano l’oppressione, soffocano negli uomini quella libertà originaria, facendogli amare la schiavitù: “il bisognò innalzò i troni, le scienze e le arti li hanno consolidati”. Un esplicito attacco politico questo, ai due miti della società colta francese dell’epoca: la politesse e il lusso capi d’accusa della società a lui contemporanea. Politesse e buone maniere rendono gli uomini più socievoli ma in realtà li assoggettano ad un conformismo attraverso cui essi vengono alienati da loro stessi (non si osa più apparire come realmente si è, scissione tra etre e paraitre) nella sua contemporaneità, Rousseau mira a mettere in luce come vi sia un nesso tra lo sviluppo delle scienze, arti e lusso ad esso accompagnato e dissoluzione dei costumi e corrompimento del gusto. L’argomentazione si avvale di riferimenti ad autori antichi e moderni, nella polemica contro i costumi del XVIII secolo. Il progredire delle scienze e delle arti provoca una scissione sempre maggiore tra cultura e virtù, ne risulta una cultura meschina, distorta e di scarsa utilità pratica. Rousseau mostra due tipi di rimedio: il primo consiste nel valorizzare le accademie, l’altra prospettiva consiste invece nel coinvolgere nel governo i “grandi geni” facendo sì che virtù e scienza cooperino con l’autorità politica “per la felicità del genere umano”, per sottrarsi al degrado morale e culturale della società del tempo. La conclusione del Discorso si attesta dunque su proposte pratiche moderate. Chiedono la valorizzazione delle grandi accademie e dei grandi pensatori illuminati, fiducia nell’alleanza tra monarchia francese e illuminati che Rousseau non mostrerà mai più altrove. Nella risposta al re di Polonia Stanislao, Rousseau afferma l’irreversibilità del degrado morale e civile del tempo, al massimo si può trovare una qualche forma di “palliativo”, per un male che comunque resterà inguaribile. Rousseau compie una genealogia dei mali, per ricercare le loro cause profonde nella società contemporanea: “La prima forma di male è la diseguaglianza, da essa derivano le ricchezze, da queste il lusso e l’ozio; dal lusso sono venute le belle arti, dall’ozio le scienze” (dove gli uomini sono e rimangono uguali non ci saranno mai né arti né scienze). Nella risposta a Bordes appare per la prima volta la convinzione che l’uomo sia buono naturalmente, poi nella prefazione del Narcisse i “vizi non appartengono tanto all’uomo, quanto all’uomo mal governato” gli accademici di Digione non apprezzano il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza e nel giugno 1754. Rousseau cerca di fondare le proprie convinzioni su un fondo il più rigoroso e scientifico nel ragionamento intorno allo stato di natura, allontanandosi così da coloro che avevano trattato prima di lui l’argomento che avevano attribuito all’uomo di natura delle caratteristiche (bisogni, passioni, idee) che a detta di Rousseau erano proprie dell’uomo civile (cercando così di giustificare lo stato di cose esistente). Non avendo basi certe egli dirà di aver trattato di “ragionamenti ipotetici e condizionali” a proposito della storia della specie umana e dei suoi progressi. L’uomo allo stato naturale, come ogni animale, si preoccupa solo di se stesso, non prova altri bisogni che quelli derivati dall’istinto miranti all’autoconservazione (inteso come sentimento dell’amore di sé) e della compassione per gli altri uomini e animali). Le qualità che lo caratterizzano sono libertà e perfettibilità, non è un animale socievole, può provvedere da solo a soddisfare i suoi bisogni elementari. Queste considerazioni nel Secondo Discorso si pongono in conflitto con quelle di altri pensatori interessati allo stesso tema tra cui gli scienziati Condillac e Buffon che presupponevano l’esistenza, nello stato naturale dell’uomo, di forme elementari di unione tra individui come l’unione uomo donna o famigliare. Ma al contrario di Hobbes all’uomo nello stato di natura non vanno attribuite affatto caratteristiche tipiche di uno stato di guerra hobbesiano (conflitto, rivalità, aggressività, sete di dominio, ecc) anzi, la regola di comportamento umano sembra essere “fai il tuo bene con il minore male possibile per gli altri”. Un individuo solitario e autosufficiente, ben adattato nel suo ambiente e soggetto a pochi bisogni con conoscenze e passioni ridotte al minimo. Sarà solo con l’avvento della socializzazione che verranno moltiplicate le diseguaglianze naturali. In questo stato pacifico sembra dunque impensabile che gli uomini volessero produrre cambiamenti. Sarà solo attraverso un fortuito concorso di parecchie cause esterne (contingenti) faranno uscire l’uomo da questo stato originario, pre- umano e pre-morale, un vero e proprio grado zero dell’umanità (Starobinski) verso le prime forme di socializzazione dell’uomo che lo porteranno ad essere l’uomo malvagio che ora è (assoluzione della natura e di Dio dall’imputabilità del degrado e soluzione del problema della teodicea), sembra così essere stato un processo di auto creazione di cui è stata protagonista solo l’umanità. Il momento cruciale dell’evoluzione dallo stato di natura all’attuale stato civile è indicato all’inizio della Seconda parte con l’istituzione della proprietà privata. 1) la consapevolezza della superiorità della specie umana sugli altri animali viene vista come un anticipo del dominio di alcuni uomini su altri uomini 2) il possesso delle capanne in cui si insediano le famiglie umane viene indicato come un probabile motivo di conflitto 3) maggiore rilievo possiede la conflittualità della fase successiva della “società cominciata” in cui g li uomini iniziano a provare il sentimento dell’amore e con esso gelosia, con un primo germe di amor proprio e pretesa di considerazione e riconoscimento altrui. Ne scaturiscono contese che in mancanza di arbitri sono destinate a perdurare e rendono gli uomini crudeli e sanguinari. Ma questa situazione è stabile, nel senso che non è soggetta a mutazioni e dura per molto tempo. Solo un caso straordinario poteva togliere l’uomo da questa condizione e assegnagli un destino di miseria e oppressione. La scoperta della metallurgia consentirà lo sviluppo dell’agricoltura, con essa la divisione del lavoro, la nascita della proprietà privata e la rottura definitiva dell’eguaglianza naturale. Una interdipendenza tra uomini segnata da una scissione tra essere e apparire, dalla propensione a strumentalizzare il prossimo per ottenerne benefici tendenza a nuocersi vicendevolmente sotto la maschera delle benevolenza. L’uomo si trova così in uno stato di guerra di tipo hobbesiano, al limite dello stato di natura, in cui tutti rischiano la vita. per uscirne gli uomini stipulano un contratto di tipo iniquo perché non fa altro che consolidare lo stato di cose esistenza, il dominio dei ricchi sui poveri. Da questo tipo di patto scaturiscono disordini tali che ben presto però si rese necessaria un’autorità che facesse rispettare le decisioni comuni. Su questa discussione politica si fecero sentire i diversi pensatori del tempo. Rousseau elogia la democrazia moderata di Ginevra in cui popolo e sovrano sono la stessa persona, in cui i cittadini sono i legislatori e il dare esecuzione alle leggi spetta al governo. la battaglia è contro un potere arbitrario dei re. All’uguaglianza e alla libertà di cui godono i cittadini delle democrazie che obbediscono solo alle leggi si contrappongono diseguaglianza e oppressione si cui soffrono i sudditi delle monarchie sottoposti a padroni. Solo nel Contratto Sociale e nell’Emilio Rousseau delineerà la società giusta e l’educazione per i suoi cittadini, nella Nuova Eloisa delineerà in particolare le caratteristiche dello stato (comunità chiusa in se stessa). A chiusura del Discorso Rousseau sintetizza l’opposizione natura/artificio e delinea la risposta alla questione posta dall’Accademia di Digione: lungi dall’essere autorizzata dalla legge naturale, la diseguaglianza che regna presso i popoli civili costituisce un vero e proprio capovolgimento dell’ordine naturale. Su questi due temi si focalizza la critica alla società contemporanea del Discorso, la cui originalità sta nella sua eloquenza appassionata, nel suo rigore teorico e nella finezza di analisi. ----- Composto tra il 1749-1750 vinse il premio dell’Accademia di Digione il 10 luglio 1750. “Il desiderio di essere utile agli altri mi a fatto prendere la penna e ho quasi sempre scritto contro il mio interesse. Vitam impendere vero: ecco il moto che ho scelto e del quale mi sento degno (verso di Giovenale che cita “per amore della verità rischiare la vita”) […] lettori, potete anche criticare i miei errori ma non la mia buona fede” (Lettera a D’Alambert sugli spettacoli) “Dopo aver passato i quarant’anni, sempre più scontento di me stesso e degli altri, cercavo inutilmente di rompere i legami che mi tenevano unito a quella società che stimavo così poco e che incatenavano a preoccupazioni minimamente di mio gusto per soddisfare dei bisogni che ritenevo fossero naturali ma che in realtà non venivano che dell’opinione” (Lettera a Malesherbes, 1762) Rousseau parla di una folgorazione avvenuta sulla strada di Vincennes da cui avrà l’urgenza di chiarire 1) le contraddizione insite nel sistema sociale 2) abusi ed ingiustizie delle istituzioni politiche (l’uomo è buono per natura, sono le istituzioni che lo rendono malvagio) Dall’illuminazione dopo la lettura del bando di Digione sul Mercure de France, Rousseau partorirà le sue opere più significative (Primo Discorso, Secondo Discorso, Emilio, allora non aveva ancora scritto il Contratto sociale, preoccupandosi di mettere in evidenza la sistematicità dell’insieme delle opere). Un forte sentimento di libertà, verità e virtù lo accompagnerà nella sua vita e nei suoi scritti. DISCORSO Premiato nell’anno 1750 dall’Accademia di Digione sulla questione proposta dalla stessa accademia: “il rinascimento delle scienze e delle arti ha contribuito alla purificazione dei costumi?” Di un cittadino di Ginevra Barbarus hic ego sum non intelligor illis (Ovidio) Cittadino di Ginevra Contratto Sociale, libro 1 capitolo 6: Rousseau tende a sottolineare che il termine cittadino si è quasi smarrito tra i moderni, la maggior parte confondono il semplice agglomerato urbano (ville) con una Città (cité) un borghese con un cittadino. Non si tratta di una semplice collocazione geografica (come già veniva espresso da Platone e Aristotele) è un termine di antica data, di tipo filosofico politico e riguarda tutti scoloro che prendono parte attivamente alla loro città e partecipano alla città stessa con le loro virtù civili e politiche. Allora Rousseau non poteva considerarsi cittadino, convertendosi al cattolicesimo aveva perso la cittadinanza a Ginevra nel 1728 che recupererà solo nel 1758 con la riconversione al calvinismo. D’Alambert aveva composto nell’Enciclopedia la voce “Génevé” libera repubblica fondata nel 1536 alla rottura con il protettorato di Savoia cattolico alleandosi a Berna, composta di 24mila persone, una delle città più fiorenti dell’Europa moderna; in essa ogni cittadino è soldato (come nell’antica Roma). I cittadini propriamente detti sono figli o di cittadini o di borghesi nati a Ginevra (possono partecipare ai consigli e essere eletti nelle alte
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