Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Ruth St. Denis: La Danza Orientalista e la Pedagogia della Danza Moderna, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

La vita e la carriera di ruth st. Denis, una pioniera della danza moderna statunitense che inventò il concetto di 'oriente coreografico' per creare un modello alternativo di danza occidentale. Il testo tratta della sua visione del oriente, la sua pedagogia della danza, la fondazione della compagnia denishawn e le controversie con ted shawn. Anche una riflessione sulla qualità del movimento negli assoli orientali di ruth st. Denis.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 04/02/2024

federica-ioannucci
federica-ioannucci 🇮🇹

4.5

(6)

5 documenti

1 / 71

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Ruth St. Denis: La Danza Orientalista e la Pedagogia della Danza Moderna e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! RUTH ST. DENIS UNA PROSPETTIVA FUORVIANTE RUTH ST. DENIS "DANZATRICE ORIENTALE" Ruth St. Denis appartiene a quel vasto movimento artistico che all'inizio del secolo scorso aspirava ad una «fuga dall'Occidente». È però riduttivo presentare Ruth St. Denis soltanto come l'esponente piú importante dell'orientalismo coreutico di quegli anni. La danzatrice è stata l'artista che piú di tutti ha posto in maniera solida le basi della danza moderna americana. Basti pensare che ha formato coreografi come Martha Graham, Doris Humphrey e Charles Weidman. Le danze orientali furono soltanto una tappa della sua ricerca intorno alla sacralità della danza. Occorre far riferimento ad un tipo molto particolare di orientalismo, che si colloca paradossalmente all'origine sia della modern dance, fenomeno artistico laico, sia di una danza come fulcro della liturgia cristiana. In questa prospettiva l'orientalismo di Ruth St. Denis diventa un qualcosa che, invece di indicare un desiderio di "fuga dall'Occidente", ci segnala, il tentativo di radicare una nuova danza nella realtà americana. Tutto il vastissimo bagaglio orientalista della danzatrice fu utilizzato per esplorare nuovi territori coreografici. Lo stesso era avvenuto qualche anno prima con Isadora Duncan e la Grecia classica. L'Oriente coreografico fu inventato da Ruth St. Denis così come era allora uso comune inventare le "tradizioni orientali" per costruire un modello di danza occidentale alternativo a quello esistente sui palcoscenici americani. Questo processo di esplorazione, di interpretazione e di riscrittura scenica coinvolse anche l'Europa. Fin dai suoi esordi teatrali la danzatrice ci appare cosciente di appartenere ad un'altra cultura del corpo e dello spirito, che riconosce casomai in Delsarte e Swedenborg i propri legami con l'Europa. Fu invece piú vicina allo spettacolo di intrattenimento popolare che aveva nel vaudeville, cioè nel varietà, la sua espressione artistica. Il vaudeville era anche il luogo dello "spettacolo nuovo", era un genere teatrale poco definito, contaminato da differenti stili, un genere che mutava con il mutare della società americana. Il varietà in quanto teatro della novità accolse le pioniere della danza moderna che cercavano di costruire la propria identità opponendosi allo stereotipo femminile veicolato dall'immagine della ballerina classica. Ciò fu possibile perché l'intrattenimento commerciale e la danza americana delle origini avevano importanti caratteristiche in comune. Si trattava in entrambi i casi di forme di spettacolo che si fondavano non su modelli tradizionali ma su categorie provvisorie che resistevano ad una rigorosa codificazione scenica. Questa iniziale sovrapposizione di cultura teatrale alta e bassa può spiegare il carattere popolare che ebbe la Denishawn, la compagnia di danza moderna fondata da Ruth St. Denis e Ted Shawn nel 1915. La danzatrice ebbe comunque fino alla fine degli anni Venti un atteggiamento ambivalente verso lo spettacolo commerciale. Fonte di necessario guadagno esso era anche, per la danzatrice, causa di decadimento dell'arte, di cedimenti e di spreco di tempo e di energie creative. E in polemica con il marito Ted Shawn, che sosteneva la necessità di lavorare anche nel vaudeville per finanziare la trasformazione della Denishawn in una grande e salda istituzione di danza, Ruth St. Denis mostrava tutto il suo scetticismo e la sua impazienza. Questo segnò l'inizio di quella crisi che condurrà Ruth St. Denis a ciò che lei stessa definirà una «morte teatrale». Da questa crisi sarebbe uscita dedicandosi totalmente alla danza sacra. Fu una scelta che l'allontanò per molti anni dalle scene e che l'aiutò a risolvere in maniera radicale il conflitto tra arte e spettacolo commerciale. 1 ORIENTALISMO COME SCUOLA DELLA DIVERSITÀ Una delle caratteristiche piú depistanti dell'orientalismo di Ruth St. Denis è che, nel contribuire a rompere il fronte del balletto classico americano, non propose nulla di altrettanto preciso e codificato. Questo è apparso a molti studiosi una prova dell'approssimazione tecnica della danzatrice, spesso giustificata da un'oggettiva mancanza di fonti e conoscenze dirette. Ai suoi esordi l'orientalismo coreutico era alimentato piú dalla letteratura e dalle arti figurative che non dalla conoscenza reale degli spettacoli asiatici. Nonostante questo Ruth St. Denis elaborò, a partire dalla sua idea di Oriente, una vera e propria pedagogia della danza che fu il suo contributo piú originale alle attività didattiche e formative della Denishawn. L'insegnamento della danzatrice americana era finalizzato alla scoperta delle qualità umane ed espressive del singolo allievo. La sua pedagogia si fondava sulla certezza dell'esistenza in ogni individuo di un'entità spirituale invisibile che le diverse religioni avevano chiamato con nomi differenti. La scuola Denishawn era d'altra parte nata con l'intento di rispondere al bisogno di un metodo di insegnamento più libero e flessibile. Il metodo della Denishawn consisteva nel «non avere un metodo». Il primo livello dell'apprendimento della danza è definito da Ruth St. Denis «diagnostico». Le lezioni diagnostiche servivano per osservare e studiare una nuova allieva. In questa fase era permesso danzare «qualsiasi danza». Dopo la fase diagnostica veniva «prescritto» un corso particolare di esercizi tecnici che preparava l'apprendimento di alcune danze che «piú si adattavano alla personalità dell'allieva». Infine nella fase conclusiva Ruth St. Denis creava un assolo esclusivamente concepito per l'allieva che portava a termine i suoi studi. Per Ruth St. Denis questo metodo «piú libero e flessibile», questo non-metodo, rispecchiava lo «spirito americano» piú di ogni altro «sistema imposto dall'esterno». È questo il punto di contatto tra l'orientalismo e la modern dance americana. RUTH ST. DENIS E LA DANZA INDIANA: UNA PRIMA RIFLESSIONE Ruth St. Denis cominciò ad elaborare all'inizio del XX secolo un proprio punto di vista, una sua idea della danza grazie al rovesciamento di valori che ai suoi occhi l'Oriente le prospettava. Negli Stati Uniti il mondo della danza artistica era diviso tra i sostenitori del balletto classico, e quelli della "danza interpretativa", un movimento che aveva avuto origine in America. La pratica delle danze interpretative si era diffusa nella cultura femminile e progressista della media e alta borghesia americana durante il primo decennio del XX secolo influenzata dalla danza libera e a piedi nudi della Duncan. Ruth St. Denis sentiva di appartenere a quest'ultima tendenza. In questo contesto guardare all'Oriente significava individuare dei modelli artistici che potessero risolvere l'opposizione tra la teatralità esteriore e codificata del balletto classico e l'espressività poco teatrale e spesso improvvisata della nascente danza americana. La chiave di questa sintesi stava secondo Ruth St. Denis nell'idea di rituale. Questo connubio possibile tra opposti, tra il grande spettacolo teatrale e la dimensione privata, intima, spirituale dell'atto del danzare, rappresentò una delle grandi sfide di Ruth St. Denis. Ruth St. Denis coreografò Radha, la sua prima danza indiana, nel 1906, molto prima che Anna Pavlova e Uday Shankar danzassero in Krishna and Radha, uno spettacolo che nel 1923 segnò una delle tappe piú significative dell'orientalismo coreutico del XX secolo. Radha precedette anche di molti anni il viaggio in India della stessa Ruth St. Denis, in cui sarebbero state prodotte due altre memorabili coreografie orientali: White Jade, l'assolo cinese di St. Denis, e The Dance of Shiva di Ted Shawn. In Radha troviamo pochissimi punti di contatto con la tecnica classica della danza 2 Nel 1893, in occasione di uno spettacolo amatoriale organizzato dalla madre, Ruth St. Denis per la prima volta si esibí in un teatro, a Somerville, in un assolo chiamato Lessons from Delsarte. L'iniziazione a "Delsarte" era avvenuta in realtà un anno prima al Madison Square Theatre di New York, dove Ruth St. Denis insieme alla madre si era recata per assistere ad uno spettacolo di Genevieve Stebbins, una grande protagonista del delsartismo americano. Questa trasformazione degli esercizi e delle pose espressive statuarie tipiche del training delsartiano in un affascinante spettacolo teatrale costituisce il contributo fondamentale di Genevieve Stebbins alla nascita della danza americana. Stebbins partendo da Delsarte pose le basi di un nuovo linguaggio coreutico ispirato all'estetica del gesto interiore, il gesto dell'anima, qualcosa che il balletto classico e la pantomima ottocentesca avevano ormai occultato dietro la codificazione della forma. Stebbins non solo fu un modello per Ruth St. Denis ma creò uno stile che anticipò quello di Isadora Duncan. È probabile che Stebbins stessa non avesse un'idea chiara dei confini che separavano la sua attività didattica dal suo fare spettacolo. Questo ben testimonia la difficoltà di molti delsartiani di definire ambiti di pertinenza rigorosamente separati tra la pedagogia creativa e l'esibizione in pubblico del lavoro fatto nelle scuole. Intorno agli anni Novanta Stebbins creò un repertorio di drammi danzati in cui si esibiva da sola in scena interpretando anche piú personaggi alla volta. Le storie erano tratte dalla letteratura biblica e dai miti delle antiche civiltà della Grecia, dell'Egitto e della Mesopotamia. Pantomima, danza, recitazione, ricchezza di costumi e musiche eseguite da una piccola orchestra, riuscivano a creare un effetto teatrale totale. Questa figu- ra di danzatrice-attrice-narratrice era assolutamente sconosciuta al pubblico teatrale di allora che concepiva quello che noi oggi chiamiamo l'assolo di danza soltanto come l'exploit virtuosistico della ballerina classica o come il numero della ballerina di vaudeville. Lo spettacolo a cui assistette Ruth St. Denis comprendeva oltre a un dramma danzato, The Myth of Isis, Dance of Day, un breve assolo in cui la danza era svincolata dall'illustrazione di un soggetto drammatico. Ruth St. Denis nelle sue memorie dichiarava apertamente il proprio debito verso Genevieve Stebbins e quindi verso Delsarte. Altrove, in uno scritto intitolato Delsarte's Law of Correspondence, la danzatrice ribadiva ancora una volta la centralità nella creazione coreutica dei valori fondamentali del del delsartismo. Tutti i dettagli tecnici e compositivi di Dance of Day coincidono con molti tratti dello stile coreografico della Stebbins: la naturalezza del gesto iniziale con cui Stebbins si alzava da terra, un gesto basato sull'uso controllato delle articolazioni delle ginocchia; la camminata ritmica; i movimenti fluidi di transizione da una situazione espressiva del corpo all'altra; la creazione di un'atmosfera fortemente simbolica ed allusiva; la forma ciclica della danza che finisce con la lenta e rilassata discesa che riconduce alla posizione iniziale. Si tratta di elementi strutturali che ritroviamo in Radha, dove inizio e fine coincidevano e dove i movimenti si dispiegavano in lunghe camminate e in transizioni di pose espressive. Gli spettacoli di Genevieve Stebbins erano un repertorio straordinario di tecniche delsartiane applicate alle dinamiche spazio-temporali della danza. Si prenda ad esempio la codificazione dei movimenti serpentini delle braccia e la codificazione dei diversi tipi di cadute, oppure la classificazione di differenti camminate o ancora la creazione di "pose armoniche" in cui il peso era distribuito per opposizioni curvilinee tra le varie parti del corpo. Alla base del movimento corporeo vi era sempre il lavoro sulla qualità dell'energia. Stebbins approfondì lo studio delle tecniche di rilassamento psicofisico, della respirazione dinamica e dell'energizing. Con gli esercizi di energizing le diverse parti del corpo in maniera separata venivano prima gradualmente 5 contratte, trattenute in tensione e poi rilassate. Altri esercizi consistevano nell'estendere il corpo verso l'alto o proiettarlo in avanti al massimo della tensione per poi trattenere l'energia e infine rilasciarla. Queste tecniche di energizing ci fanno subito pensare alla contraction-release di Martha Graham ma i riferimenti alle tecniche della modern dance, che di lì a qualche decennio si sarebbe affermata, potrebbero essere numerosissimi. Oltre all'esempio di una tecnica del corpo finalizzata alla creazione artistica, lo spettacolo di Stebbins fornì a Ruth St. Denis una chiave drammaturgica e teatrale straordinaria: l'uso di simboli, icone e figure legate alla rievocazione di antiche civiltà. Per entrambe le artiste americane questo immaginario teatrale fu legato al loro credo spiritualista e alla convinzione che le antiche tradizioni religiose possedessero un messaggio di vitale importanza in un'epoca minacciata dal materialismo e dalla civiltà delle macchine. spettacolo al Madison Square Theatre fu chiuso da The Myth of Isis, una danza di ambientazione egiziana divisa in tre parti che rappresentava «il ciclo della vita che comincia con il Caos o la Nascita della Natura, continua con la Vita e la Morte che termina con la Resurrezione e l'Immortalità». In realtà per Ruth St. Denis l'Egitto era stato un motivo di grande fascinazione teatrale ancor prima della visione di The Myth of Isis. Nel 1892 aveva assistito ad un pageant ballet che aveva per soggetto la storia dell'Egitto attraverso i secoli: Egypt Through the Ages che ebbe una grande influenza sulla sua vocazione teatrale Quando assistette allo spettacolo di Stebbins vide concretizzarsi sulla scena la sintesi perfetta dei propri ideali artistici in formazione. Da quel momento in poi, come scrive Shelton, «la miscela di spiritualità e spettacolo divenne il programma della sua carriera». L'idea di uno spettacolo sull'Egitto, incentrato sulla figura della dea Iside cominciò a prendere forma dopo il 1904 e si poté realizzare soltanto nel 1910, quando Ruth St. Denis creò Egypta. Nel 1904 la danzatrice si trovava ad un bivio. Dopo gli esordi amatoriali con la compagnia teatrale della madre, aveva tentato a New York la carriera artistica come ballerina di vaudeville cercando di sfruttare la conoscenza della ginnastica delsartiana per creare effetti acrobatici. In quel periodo aveva preso anche alcune lezioni di danza classica da Ernestina Bossi e da Maria Bonfanti allo scopo di ampliare il proprio bagaglio tecnico. La lunga gavetta nel vaudeville si era conclusa nel 1900 quando era entrata nella prestigiosa compagnia teatrale di David Belasco dove sarebbe rimasta sino al 1905. In una compagnia di attori, comunque, non fu facile per Ruth St. Denis far valere il proprio talento coreutico e in quei cinque anni recitò per lo più in ruoli secondari dove la danza era presente, quando lo era, soltanto in maniera accessoria. Il teatro di parola risultò essere uno stimolo importante per interrogarsi a fondo sulla natura del suo essere danzatrice. Nella recitazione Ruth St. Denis trovava qualcosa che l'attraeva e al tempo stesso la confondeva. Nell'arte dell'attore infatti riconosceva quelle qualità drammatiche che avrebbe voluto inserire nella danza. Oltre che da Genevieve Stebbins era rimasta profondamente colpita dall'artista giapponese Sada Yacco, di cui aveva visto nel 1900 uno spettacolo a Parigi durante la tournée europea di Zaza, la commedia che aveva segnato il suo debutto nella compagnia di Belasco. Lo stile di Sada Yacco poneva alla danzatrice una domanda cruciale e ancora attuale: dove finisce la danza e comincia il teatro? Sada Yacco, infatti era insieme «attrice e danzatrice». Scrive St. Denis: «La sua danza era l'antitesi delle nostre acrobazie americane, sgargianti ed eccessive». Nel 1904 Ruth St. Denis si trovava in tournée a Buffalo con Madame Dubarry, uno spettacolo di David Belasco ambientato nella Parigi aristocratica ai tempi di Luigi XV. Non riusciva a scegliere tra le possibilità che le offriva la carriera di attrice teatrale in una compagnia di prestigio e l'avventura in un terreno rischioso e accidentato come era quello della danza americana di inizio 6 secolo. La sua era una crisi artistica ma che s'intrecciava con una crisi di natura mistica. Alla consapevolezza di una certa esteriorità del teatro di Belasco si accompagnava la percezione opposta e sempre piú intensa di un mondo interiore di visioni e di illuminazioni. Sempre piú insoddisfatta della sua carriera teatrale, era arrivata perfino a rifiutare l'offerta fattale da Belasco di recitare il ruolo di protagonista in una commedia scritta appositamente per lei. Fu durante questo periodo di confusa ricerca di qualcosa che non aveva ancora un nome che un'immagine pubblicitaria, vista in un drugstore di Buffalo, si rivelò la scintilla da cui sarebbe nata l'idea di Egypta. Si trattava di un manifesto che reclamizzava una famosa marca di sigarette utilizzando l'immagine della dea Iside seduta su un trono. L'episodio del manifesto pubblicitario racchiude alcuni concetti chiave dell'estetica teatrale di Ruth St. Denis. Per esempio viene espressa in maniera chiara l'idea dell'immobilità nella danza, come quiete, vuoto, riposo che contiene ogni movimento possibile, un'idea che è alla base di alcune delle sue piú importanti coreografie: Radha, The Yogi, Kwan Yin, White Jade. Ritroviamo espressa in questo racconto anche la convinzione che il corpo umano possa a pieno titolo esprimere significati complessi, legati alla storia e alla cultura di un intero popolo. Si tratta di un altro tema caro alla danzatrice, quello che la porterà a teorizzare e sperimentare una danza tipicamente americana, in grado di rappresentare una forte identità nazionale e di razza. Da un punto di vista della struttura dello spettacolo, Egypta segnò un momento importante, quello del passaggio dall'assolo alla coreografia d'assieme. Nell'assolo era ancora riconoscibile l'eredità del numero di vaudeville, mentre la complessità scenica di Egypta rinviava casomai al balletto classico o all'opera lirica. Costituí la prefigurazione della nascita di lí a qualche anno di una compagnia professionista di danza moderna, la Denishawn. Egypta fu inizialmente concepito da Ruth St. Denis come un assolo ispirato a quello di Stebbins, ma il produttore caldeggiò la creazione di uno spettacolo piú lungo. St. Denis pensò ad un'ampia scena tutta vuota e sullo sfondo un grande fondale semicircolare illuminato; chiese di avere comparse per rappresentare i cortigiani, i soldati e i contadini egiziani. Fece reclutare dei danzatori professionisti e li allenò nei movimenti piatti e a due dimensioni tipici dell'antica iconografia egiziana. La musica fu affidata a Walter Meyrowitz che scrisse una partitura che si accordava ai movimenti "geroglifici" dei danzatori. Il balletto fu diviso in atti e ogni atto ebbe la sua specifica scenografia, i suoi specifici oggetti di scena. Buzz, il fratello di Ruth fu incaricato di disegnare un sistema elaborato di luci. Scrive la danzatrice: “La prima danza era "Il velo di Iside", una danza templare in cui io ancora una volta impersonavo una dea. In contrasto con questa scena vi era poi la scena del "Palazzo", piena di colori e di movimento. Rappresentava un'antica festa in cui il Re e la Regina intrattenevano la nobiltà con spettacoli e festeggiamenti cui la danzatrice principale conferiva un ritmo vivace. La scena successiva era quella più vicina all'idea centrale del mio vecchio Egypta. La chiamai "La Danza del Giorno". Appena alzato il sipario il pubblico si trovava di fronte una donna vestita con rozzi abiti di contadino, addormentata su una lastra di pietra. Questa figura possedeva la stessa qualità astratta che aveva la figura femminile del piccolo manifesto pubblicitario visto tanti anni prima e con i suoi movimenti narrava la storia dell'ascesa e della caduta dell'Egitto. L'ultima scena trattava delle idee egiziane sull'immortalità”. Stupire l'occhio dello spettatore, ricreando sulla scena l'atmosfera di una civiltà passata o geograficamente lontana: Egypta in una dimensione piú ampia di Radha fu il frutto di un'operazione registica che teneva in massimo conto la lezione di Belasco. Egypta infatti rappresentò il tentativo di portare in un palcoscenico di danza quell'attenzione per i dettagli visivi che fu una delle caratteristiche delle regie di 7 valore artistico. La presenza di questa atmosfera negli spettacoli di Sada Yacco le sembrò infatti in assoluta antitesi con le «esuberanti acrobazie» delle ballerine del vaudeville che gli americani scambiavano per danza. All'inizio del Novecento non esistevano ancora compagnie di balletto o di altro tipo che giravano l'America, presentando serate interamente dedicate alla danza. La danza occupava un posto piccolo e ininfluente in altre forme di teatro come la commedia musicale, il vaudeville e l'opera. Nel lessico di Ruth St. Denis "danzare con un'atmosfera" equivaleva a danzare un doppio che si iscriveva nel corpo danzante e lo trasformava. Il corpo femminile non si presentava più in scena come monstrum sensazionale, ma come progetto immaginifico, qualcosa che si spingeva oltre e trascendere il dato meramente fisico. Il passaggio dall'esibizione di una fisicità femminile acrobatico-sensuale all'evocazione in scena di un corpo-astratto operò un profondo mutamento nella percezione del pubblico. Questo fenomeno è alla base della danza moderna americana. In America, le pioniere della danza moderna, rifiutando di identificarsi sia con l'immagine della silfide romantica sia con quella degradata della danzatrice acrobatica, inventarono un corpo scenico nuovo, un corpo poetico diverso. Questo rimodellamento fu un'operazione creativa e culturale indipendente dal potere maschile e segnò la nascita di una nuova figura artistica e professionale, quella della danzatrice-coreografa. Duncan incarnò il ritmo infinito, variabile e incessante della natura, ispirandosi all'armonia e alla semplicità dell'arte degli antichi Greci; St. Denis creò un'immagine di danzatrice-sacerdotessa immersa nel compimento di esoteriche e complicate operazioni rituali. Fu quest'ultima che determinò in maniera profonda e irreversibile la trasformazione del pubblico di danza americano. Questo fu possibile perché Ruth St. Denis visse interamente la sua carriera viaggiando e spostandosi dentro i confini degli Stati Uniti. La creazione di Radha fu per la danzatrice lo spartiacque decisivo tra il prima e il dopo, tra il vaudeville e la nascita di ciò che lei aveva prefigurato come «una nuova forma d'arte». Da un punto di vista sociologico ed economico il successo di questa coreografia fu la conferma dell'esistenza nel mondo culturale americano di una potente rete organizzativa e di relazioni controllata da figure femminili. Abbandonato Belasco, Ruth dovette rientrare nel vaudeville, che allora era il principale mercato professionistico della danza. La sfida era far funzionare in quel contesto uno spettacolo come Radha, costruito con ritmi di esecuzione differenti da quelli del numero di varietà. Non era tanto il soggetto orientale ad essere straniante per il pubblico del vaudeville, ma piuttosto la presenza di un'atmosfera allusiva, simbolica. Radha non era un numero ma una vera e propria coreografia, concepita ispirandosi alla letteratura religiosa indiana e costruita su un'idea registica forte. Una prima versione di Radha fu data con un certo successo nella casa di una ricca signora. Era stato Edmund Russel, eccentrico personaggio dell'élite culturale newyorkese ad incoraggiare Ruth St. Denis a portare a compimento il progetto dello spettacolo e a presentarlo ad un pubblico scelto. Ma quando la danzatrice propose Radha a Broadway riuscí a mala pena a trovare un piccolo teatro disposto ad accettare quello che per gli agenti teatrali era un numero privo di interesse. Alla prima rappresentazione assistette un unico spettatore. Soltanto quando un giovane produttore, Henry Harris, si convinse che lo spettacolo era «una cosa bella che doveva essere vista» arrivarono i primi ingaggi in alcuni importanti teatri di vaudeville. Questi spettacoli si rivelarono comunque un buon trampolino di lancio. Fra il pubblico che aveva visto diverse volte Radha vi era Minnie Rouland, moglie di un noto pittore newyorkese, che propose a Ruth St. Denis di organizzare una matinée teatrale sponsorizzata da un comitato di donne. Fu questa la svolta tanto attesa dalla giovane danzatrice: nel 1906 si 10 tenne quella che può essere definita la prima ufficiale dello spettacolo. Ruth St. Denis come prologo a Radha, presentò due brevi assoli anch'essi di ispirazione indiana, Incense e The Cobras. La dea Radha apparve seduta in meditazione su un trono templare, immersa tra i tra i fumi di incenso delle offerte. Probabilmente, come nota Shelton, Radha sarebbe caduta nel dimenticatoio del varietà «se non fosse intervenuta la buona società newyorchese». Scrive: «Radha fu la loro preda naturale. Non solo era una danza con un messaggio morale, ma in piú alimentava il fascino che le signore provavano per le cose orientali». È vero, la svolta dell'Hudson Theatre e l'affermazione di Ruth St. Denis come danzatrice e coreografa furono possibili per l'intervento di alcune facoltose "matrone" della buona società. Ma, cercando di andare piú a fondo, Linda Tomko pone una questione fondamentale: «Il sostegno delle donne altolocate portò ad un riconoscimento del valore della danza di Ruth St. Denis che Harris, ospitando nel suo teatro alcuni mesi prima uno spettacolo promozionale di Radha, non era riuscito ad ottenere tra i produttori e gli agenti teatrali, tutti uomini». Ciò dipese dai differenti punti di vista: il pubblico maschile, che ancora guidava saldamente i gusti del vaudeville, era interessato soltanto all'aspetto sensuale di Radha, alla «seminudità della donna». Da questa prospettiva unicamente sessista Ruth St. Denis non aveva nulla di originale ed era anzi un "oggetto" interscambiabile con altre centinaia di danzatrici-oggetto che si esibivano quotidianamente nel vaudeville. Il pubblico femminile che andava a teatro, e che costituiva allora un'élite minoritaria, una sorta di avanguardia, colse invece in Radha un'assoluta originalità nel suo alludere ad un universo immaginario nuovo, ma trovò anche nello spettacolo un elemento autoriflessivo sulla condizione della donna. Tra il pubblico maschile di vaudeville e quello femminile che cominciava a sponsorizzare la "danza artistica" della Duncan e di Ruth St. Denis, c'era una profonda differenza di classe: il primo apparteneva ancora nella sua maggioranza alla classe operaia mentre il secondo alla media e all'alta società. Differenze, quindi, non solo di genere ma anche di classe crearono un'opposizione tra due modi diversi di intendere la danza. Il vaudeville restava un territorio dove dominava uno sguardo maschile sulla danza. In questo contesto era impossibile che emergesse a pieno un'immagine di donna che fosse il risultato di un'autonoma elaborazione femminile. Si dimostrò dunque cruciale l'alleanza tra le prime danzatrici coreografe americane e il movimento di donne progressiste. Queste donne, organizzate in club, crearono una fitta rete di opportunità per la danza femminile. Dopo la matinée seguirono numerose altre iniziative organizzate da donne anche per incoraggiare il diffondersi di una cultura dell'autoemancipazione delle donne. È piú che legittima una lettura politica femminista del successo di Ruth St. Denis e delle altre esponenti della nuova danza artistica americana. Desta comunque una certa perplessità il fatto che Radha abbia convogliato su di sé contemporaneamente sia l'attenzione sessista del pubblico maschile del vaudeville sia quella di segno opposto delle donne impegnate nelle prime lotte per l'emancipazione femminile. Alcune studiose americane considerano l’estetica di Ruth St. Denis legata ad un'immagine tradizionale e patriarcale della donna. Desmond sostiene che, benché l'affermarsi di una danzatrice solista nei teatri borghesi costituisca un segno del cambiamento dei tempi, «l'opera di Ruth St. Denis rimane conservatrice nella sua concezione della spiritualità come regno del femminile ed anche nella sua presentazione del corpo della donna come oggetto sessualizzato». In effetti la comparsa di Radha nel vaudeville e nei teatri borghesi fu accolta da quasi tutta la stampa come un esempio americano della miscela di orientalismo ed erotismo. La Shelton scrive: «L’eroina di Radha era il genere di femme fatale fin-de-siècle. Radha aveva i 11 suoi antecedenti in dipinti come la Grande Odalisque di Ingres. Analizzando questo quadro e la tradizione erotica, John L. Connally jr. ha identificato l'immagine erotica nell'immagine "che è riconoscibile e desiderabile, ma che si riconosce come irraggiungibile e perciò tanto piú desiderabile": un messaggio questo che è al centro della Radha di Ruth St. Denis e aiuta a comprendere la sua duratura popolarità». L'immagine di Radha come femme fatale evidentemente non può trovare una conferma nell'autobiografia di Ruth St. Denis. In quelle pagine Radha viene delineata come una figura di donna-divinità che vince il conflitto tra il piacere dei sensi e la serenità spirituale grazie ad una sintesi di opposti che nel 1906 per la giovane danzatrice era soltanto un ideale utopico. Sally Banes propone un'interpretazione di Radha molto diversa da quelle di Shelton e di Desmond. Banes focalizza la sua analisi soprattutto sugli aspetti innovativi della coreografia, contestando la tesi che questa riproduca una visione patriarcale della sessualità femminile. Banes non è d'accordo con Shelton che liquida Radha come una danza di seduzione ispirata all'estetica maschilista di David Belasco. È proprio con questa idea di Radha come spettacolo voyeristico per eccellenza, idea ancor piú radicalizzata in Desmond, che polemizza Banes: «Il pubblico a cui Ruth St. Denis si rivolgeva principalmente era quello delle donne dell'alta società e non quello del vaudeville. Nel 1906 per una donna mostrare ad altre donne il proprio corpo che prova piacere era un coup femminista, non ha importanza il modo in cui questo piacere era confezionato». In effetti la "danza dei cinque sensi", che costituiva la parte centrale della coreografia, mostrava Radha immersa nel piacere illusorio provocato dalla totalità dell'esperienza sensoriale. Nella "danza della vista" la divinità si trastullava con i suoi ricchi e luccicanti gioielli; nella "danza dell'udito" giocava a far tintinnare i campanellini dei crotali; nella "danza dell'olfatto" odorava le ghirlande di fiori che indossava; nella "danza del gusto" beveva da una coppa di argilla e si abbandonava in un ebbro vorticare; nella "danza del tatto" si accarezzava il viso, il petto, il busto e le anche. La successiva sezione della coreografia mostrava "il delirio dei sensi". Lo spettacolo si concludeva con il ritorno della dea nella pace della contemplazione o samadhi. Secondo Banes il fatto inusuale e nuovo era che la sensualità in Radha, a differenza di quanto pensano Shelton e Desmond, non andava a beneficio dello sguardo maschile. In realtà la dea danza per un gruppo di sacerdoti che hanno portato offerte al suo altare ma ancora una volta Banes trova anomala la modalità di rapportarsi al maschile. Ruth St. Denis rompe i canoni del balletto classico perché mostra una figura femminile che non soltanto non danza con un partner maschile ma che anche compare in scena da sola tra un ensemble di uomini. Il gruppo di sacerdoti non danza e «benché si potrebbe argomentare che, danzando per i suoi sacerdoti, Radha danzi per il loro piacere, non sembra che questo accada. Piuttosto, la danza conferma ciò che Ruth St. Denis sostiene, e cioè che si tratta di una lezione morale che la dea dà ai sacerdoti. Radha è superiore ai sacerdoti per diversi motivi: lei è la dea e la sovrana, lei è anche la loro maestra». Ciò che sembra piú convincente nell'interpretazione di Banes è il fatto che la studiosa incentra il suo discorso in difesa dell'artista americana sulla costruzione da parte di quest'ultima di un'immagine di donna indipendente, una donna che per esistere e pia- cersi non ha necessariamente bisogno di relazionarsi ad uno sguardo maschile. Questa indipendenza, infatti, è un dato biografico di Ruth St. Denis. Banes non trova in Radha alcuna contraddizione nell'essere al tempo stesso «sensuale e spirituale», né tanto meno vede in ciò l'espressione di un conflitto tra santità e peccato tipico della tradizione cristiana soprattutto in relazione alla donna. Radha invece rappresenterebbe «un messaggio nuovo per gli occhi occidentali: 12 anche a sinistra. La danzatrice poi prosegue la sua lenta camminata girando attorno al centro della scena, circoscrivendo un'area molto limitata con un movimento sul terreno a spirale, che si staglia con forza nello spazio grazie alla posizione delle braccia sempre in opposizione e piegate all'altezza dei gomiti, come nella danza classica indiana. Quando la danzatrice accende l'incenso posto su due bracieri situati ai lati della scena, la sua mano destra compie un movimento rotatorio delicato ad imitazione delle volute di fumo che salgono verso l'alto. Dopo aver posato il vassoio per terra al centro della scena, la danzatrice vi si pone dietro, in posizione eretta, immobile. Dopo una brevissima pausa di silenzio l'immobilità della danzatrice è spezzata da un movimento ad onda. Questo movimento parte da un forte impulso che ha origine nel tronco. Subito le braccia, strette vicino al tronco, si aprono verso l'esterno, muovendosi lentamente, e ondulano verso l'alto, fermandosi all'altezza delle spalle, dove inizia un altro movimento ondulatorio ripetuto piú volte e che coinvolge in successione le spalle, i gomiti, i polsi e le mani. Il corpo della danzatrice, pur senza muoversi dal centro della scena, è animato dall'interno ed attraversato da due forti onde, due movimenti successivi che si fondono insieme: uno di natura verticale e l'altro orizzontale. Questo punto è il centro della coreografia. Il movimento serpentino delle braccia è indicato dalla stessa Ruth St. Denis come il punto di partenza dell'intero assolo. Si tratta di un movimento morbido, di abbandono estatico: la donna che fa l'offerta sembra trasformarsi nel fumo che sale verso la divinità e diventare leggera; una leggerezza che appare il risultato di un impiego energetico sottile. Dopo questa sezione centrale, sul mutare della frase musicale, viene ripresa la prima sezione, e viene ripetuto il doppio movimento ondulatorio delle braccia e delle anche. Incense si conclude con una camminata all'indietro e una lenta uscita di scena preceduta da un'ultima offerta d'incenso fumante, questa volta non rivolta verso l'alto ma in avanti, verso il pubblico a cui la danzatrice indirizza l'ultimo sguardo prima di scomparire dietro la tenda del fondale. The Cobras era un breve assolo. L'atmosfera di The Cobras era l'opposto di quella di Incense. Gli spettatori si trovarono di fronte ad una scena di piazza, confusa, esotica. Anche teatralmente il pezzo era concepito con criteri totalmente diversi e presentava tutte le caratteristiche di un numero di vaudeville. The Cobras fu un prodotto della scuola di Belasco, della sua capacità di ricostruire ambienti esotici o di epoche passate. In The Cobras poche comparse si trasformavano in una folla di giocolieri, mercanti e venditori ambulanti. Stoffe, costumi, parrucche, oggetti, riempivano il piccolo spazio scenico di macchie di colore. Ruth St. Denis si ispirò ai bazar indiani newyorchesi e agli incantatori di serpenti e alle danzatrici che si esibivano a Coney Island in uno spettacolo chiamato The Streets of Delhi. Attinse anche ad una personale vena comica che Belasco aveva individuato come la sua vera vocazione teatrale. In The Cobras troviamo utilizzata la stessa tecnica gestuale di Incense, quella del movimento ondulatorio delle braccia. Ma in questo caso l'intento era squisitamente descrittivo, come nella pantomima ottocentesca: le braccia e le mani della danzatrice rappresentavano i due cobra che l'incantatore di serpenti teneva attorcigliati attorno al proprio corpo. In Incense, invece, il "movimento successivo" comunicava innanzitutto lo stato emotivo del personaggio. The Cobras iniziava con il vociare in hindi della folla del mercato. Tutte le comparse erano già in scena quando entrava l'incantatore di serpenti sull'attacco della musica suonata da un pianoforte e un flauto. La danzatrice indossava un sudicio turbante, una vecchia parrucca scura che le cadeva scompostamente sugli occhi, una giacchetta con maniche strette e un doshi opaco e consunto. Le sue braccia erano incrociate, avvolte attorno al petto e al collo, in una posizione che nascondeva le mani 15 impreziosite da quattro anelli. L'incantatore attraversava velocemente la scena e si sedeva svogliatamente a gambe incrociate su una piattaforma coperta da una stuoia posta al centro del palcoscenico. Improvvisamente, con un piccolo coup de théâtre, l'incantatore scioglieva le braccia incrociate che si rivelavano essere dei serpenti. Iniziava a questo punto la vera e propria pantomima: i due serpenti venivano disposti in basso. Le mani chiuse con le dita stese in avanti indicavano la testa dei serpenti. Le braccia-serpenti cominciavano ad ondeggiare come se i serpenti guardassero intensamente dei passanti. I due serpenti danzavano a ritmo della musica. Poi, ad un certo punto, con un sibilo le due mani si univano e - in corrispondenza del climax musicale segnato da forti colpi di gong-i serpenti sferravano insieme un attacco frontale, rivolto verso la platea. Riprendeva quindi il vocio del mercato sul calare del sipario. Il terzo assolo dello spettacolo, Radha, inaugurò la «tradizione di Ruth St. Denis». E anche questa fu segnata a lungo dalla reiterazione del mito di origine. La danzatrice presentava il soggetto di Radha. Danza templare dei cinque sensi. Un immaginario rituale in un tempio indú. La scena si apre con Radha, una dea indú, seduta sul suo trono. Entrano dei sacerdoti per venerare la divinità (puja). Essi invocano un messaggio dalla dea e durante la loro meditazione la dea scende dal trono. Il suo messaggio è questo: soltanto attraverso la rinuncia ai cinque sensi, che lei danza, otterranno la suprema illuminazione che è lo scopo della loro disciplina. I gioielli rappresentano il senso della vista, piccoli sonagli l'udito, ghirlande di fiori l'odorato, il vino il gusto, e la gonna della danzatrice nautch il tatto. La composizione di un loto simboleggia l'illuminazione della mente. Dopo aver dato il suo messaggio, la dea ritorna sul suo altare. Nella sua autobiografia Ruth St. Denis divide la danza di Radha in tre sezioni contraddistinte dalle figure geometriche che la danzatrice formava spostandosi orizzontalmente sul palcoscenico. Benché l'ambientazione rituale della danza sia induista, la danzatrice fa riferimento nell'interpretazione di queste figure geometriche ad una simbologia tipicamente buddhista. La prima figura era composta da cinque cerchi concentrici. Ognuno di essi rappresentava uno dei cinque sensi e conteneva una danza. La seconda figura era quella del quadrato, simbolo, secondo la religione buddhista, delle quattro principali cause della sofferenza umana. In questa sezione Radha, danzando dentro un quadrato immaginario, eseguiva movimenti circolari veloci, in avvitamento, che indicavano la disperazione prodotta dall'impossibilità dell'appagamento del desiderio. Questa sezione si concludeva con una violenta caduta per terra. L'ultima figura era un fiore di loto aperto che rappresentava la gioia della liberazione dalla sofferenza e l'estasi finale. Qui la danzatrice si muoveva dal centro verso i petali del fiore. La scena è immersa, come in Incense, nel fumo delle offerte dei sacerdoti. Dopo che i sacerdoti hanno compiuto i loro rituali preparatori caratterizzati da movimenti angolari, simmetrici, l'incenso si dirada, le porticine vengono aperte e la dea appare pienamente visibile al pubblico. Gli occhi di Radha sono chiusi, il corpo è immobile. È seduta sul suo trono nella posizione del loto, in meditazione. Una luce direzionale illumina chiaramente la figura statuaria della dea, utilizzando un colore alla volta. L'effetto di luce risulta delicato senza alterare l'ambientazione buia, un po' claustrofobica del tempio. Anche la musica contribuisce a creare in questa fase iniziale una situazione di sospensione, di attesa. Essa alterna momenti languidi a climax pieni di oscuri presentimenti. Sul tema della melodia d'amore di Lakmé la dea, respirando profondamente, apre gli occhi e muove soltanto le mani, formando con le dita due mudra che indicano un loto che sboccia. Scesa dal suo trono, Radha si dirige lentamente verso il centro del palcoscenico e si prepara a dare ai fedeli il suo messaggio danzato. Le cinque danze dei sensi sono un chiaro esempio della 16 contaminazione di generi che è all'origine della danza indiana creata da Ruth St. Denis. Nella sua autobiografia la danzatrice, a proposito dell'uso di queste pose sceniche che la resero famosa, cita come fonte di ispirazione l'attrice Sarah Bernhardt, conosciuta indirettamente attraverso lo stile recitativo delle protagoniste di Belasco ma anche attraverso la sua esperienza di spettatrice. Certamente, un'altra importante origine del suo tipico danzare per pose sceniche era da ricollegare a Delsarte. e quindi a Genevieve Stebbins, all'idea cioè che ogni posa potesse veicolare, cosí come i gesti, un intenso contenuto interiore. La "danza della vista" inaugura la serie delle cinque danze dei sensi. Prima dell'inizio della danza un sacerdote offre a Radha una collana di perle che va ad impreziosire il suo elegante costume. Le sequenze della "danza della vista" sono contraddistinte da bourrées che si alternano a pose asimmetriche, estese in orizzontale, e a pose piú centrate sull'asse verticale, simili a quelle che si trovano nei templi del Sud dell'India che illustrano le varie karana, le unità di movimento della danza indiana. Alcune delle pose di Radha sono citazioni di famose immagini dell'iconografia classica, come ad esempio quella di Krishna che suona il flauto. La "danza dell'udito" è caratterizzata dal suono di due cerchi di campanellini che vengono offerti alla dea. I campanellini vengono fatti tintinnare portandoli in alto con movimenti circolari delle braccia, mentre il corpo, fermo nello spazio, è animato da un movimento ritmico dell'anca che crea una linea sinuosa ad onda lungo l'asse verticale. Nella "danza dell'olfatto" Radha indossa una ghirlanda di fiori come se fosse un teatralissimo velo; mima quindi l'atto dell'odorare. La musica inizialmente è lenta; poi una seconda melodia introduce un elemento di maggiore vivacità nella danza che si conclude con un'intensa posa finale: Radha stringe un capo della corona di fiori sul suo volto e s'inarca con il busto e la testa drammaticamente proiettati all'indietro. La "danza del gusto" mostra gli effetti inebrianti del vino. La ghirlanda è sostituita con una ciotola. Radha beve e l'effetto è immediato: inizia un vorticare ebbro che si conclude ancora una volta con un intenso arco all'indietro, bloccato in una posa scenica. La quinta e ultima danza è quella del tatto. Qui la gonna assume un ruolo fondamentale. La danzatrice indicava la gonna delle danzatrici nautch come l'elemento che più caratterizzava la "danza del tatto". Il termine nautch è molto generico e ha sempre indicato ogni tipo di danzatrice professionista indiana. Nel nord dell'India lo stile piú diffuso in epoca coloniale era legato alla danza kathak. Probabilmente Ruth St. Denis assistette a delle danze che si ispiravano al kathak o ad un genere popolare ad esso legato, dato che questa forma di danza indiana è di fatto l'unica, tra tutte le danze tradizionali dell'India, ad aver sviluppato un uso molto teatrale della gonna. Nell'uso vorticoso della gonna in Radha sembrano quindi confluire due influssi differenti: da un lato quello del vaudeville e della skirt dance, e dall'altro quello della danza indiana, il kathak. Quando inizia la "danza del tatto", Radha si inginocchia e sistema attorno a sé la voluminosa gonna, che viene dispiegata a forma di grande cerchio. Poi la dea comincia ad accarezzarsi le braccia e il viso. Avvicina quindi le mani unite ad un orecchio come se volesse indicare il gesto del dormire e quasi cullandosi, con uno sguardo trasognante, fa scivolare le mani lungo il corpo, sfiorandolo e disegnandone il profilo curvilineo fino alle anche. Poi piega il busto in avanti sino a poggiarsi con i due gomiti per terra, sostenendo la testa con una mano. Al cambio di musica, Radha si alza ed inizia a danzare "il delirio dei sensi", che si può considerare come uno sviluppo della sezione precedente. Con un movimento che parte dalle anche, l'ampia gonna comincia a girare insieme al corpo, con una velocità che aumenta in maniera esponenziale. Poi improvvisamente la danzatrice inverte il senso di rotazione. Il frenetico piroettare si conclude con una caduta per terra repentina. Il corpo 17 loro salda base ritmica. In fondo Radha conteneva dal punto di vista della tecnica soltanto una minima parte di ciò che Ruth St. Denis aveva imparato guardando danzare le nautch. Per questo la danzatrice volle creare un nuovo assolo. Risulta poi alquanto paradossale il fatto che, abbandonata la chiave filosofico-religiosa, Ruth St. Denis con Nautch si accostano, per via profana, a quella dimensione gioiosa e ludica che è una componente essenziale della danza sacra indiana. Secondo Shelton la prima versione di Nautch fu probabilmente la piú lirica mentre quelle che seguirono furono sempre piú caratterizzate da trovate teatrali e ammiccamenti al pubblico piú adatti ad un numero di vaudeville. Secondo la studiosa americana fu questa qualità astratta e rarefatta del primo Nautch che colpì profondamente il pubblico colto tedesco che vi vide una perfezione di movimento e un senso del ritmo paragonabili a quelli espressi dai capolavori dell'arte classica greca. In Germania infatti il modello greco e lo stile coreutico di Isadora Duncan, che a quello si ispirava, furono il metro di giudizio con cui spesso dovette misurarsi il lavoro di Ruth St. Denis. Per Nautch la danzatrice utilizzò per la prima volta una musica tradizionale indiana. Ruth St. Denis tentò di creare un'unità formale tra suono e movimento. La coreografia si poggiava su una struttura elementare ma solida: la sincronia tra gli accenti ritmici del tamburo e il ritmo dei passi scandito dal suono dei campanellini legati alle caviglie della danzatrice. Nei precedenti assoli la musica aveva creato delle intense atmosfere teatrali, ma mai vi era stato un legame cosí stretto tra schemi musicali e coreutici. Questo rapporto piú organico tra danza e musica rendeva Nautch un pezzo tecnicamente difficile. Le piú importanti versioni di Nautch sono: Bakawali Nautch, Green Nautch e The Red and Gold Sari. Per queste tre nuove versioni, teatralmente piú elaborate, Ruth St. Denis fece ricorso per la musica a compositori occidentali. Da un punto di vista coreografico Nautch però non alterò la sua salda base ritmica giocata sul battito dei piedi. Nautch non fu mai danzata due volte nella stessa maniera. Accanto all'elemento ritmico del battito dei piedi troviamo altri importanti elementi strutturali: la manipolazione dell'intero costume, utilizzato come una vera scenografia in movimento; la composizione della linea verticale del corpo a s; i movimenti laterali del collo e della testa lungo l'asse delle spalle; i gesti di saluto a mani unite; la serie di chassés per spostarsi strisciando nello spazio; i movimenti ondulatori della testa, delle braccia e delle anche; le mani nella posizione del fiore di loto e in quella che indica Krishna che suona il flauto; i movimenti veloci degli occhi e delle sopracciglia; le posizioni angolari delle braccia; le piroette eseguite ruotando con le piante dei piedi per terra; la lunga posa scenica finale dopo l'ultima serie di piroette. In The Red and Gold Sari l'uso teatrale di una stoffa colorata diventa il fulcro della coreografia. Sono qui evidenti, oltre ai già ricordati influssi indiani, quelli della skirt dance. All'inizio di The Red and Gold Sari la danzatrice avanza con un passo veloce. Porta con sé, sopra le braccia distese in avanti, un lungo sari piegato. Quando arriva al centro della scena, lo stende per terra, lo srotola e lo indossa, come se avesse un velo che ricopre il capo. Inizia quindi a danzare. Si tratta di una breve sezione ritmica dove l'attenzione viene portata soprattutto sul battito dei piedi e sul suono dei campanellini. Poi la leggera stoffa viene fatta passare attraverso le gambe a formare un lunghissimo strascico di quasi quattro metri. Questa strana coda trasforma la figura della danzatrice in una sorta di uccello maestoso che si muove soltanto attraverso la parte superiore del corpo. I movimenti delle braccia sono ampi e flessuosi. Lo strascico poi viene raccolto e dopo un giro di passi veloci intorno al palcoscenico, la danzatrice stende la leggera stoffa sopra la testa. Un altro effetto teatrale: il sari sopra la testa crea una specie di cornice che inquadra 20 per intero la figura della danzatrice, la quale si pone al centro della scena in posizione frontale. Dentro questa cornice-teatrino costruita con il sari, il corpo comincia ad animarsi al ritmo veloce della musica: la testa scorre come disarticolata lungo l'asse delle spalle da destra a sinistra e viceversa, mentre al centro le anche ondeggiano morbidamente e in basso i piedi battono il tempo facendo risuonare i campanellini. Dal centro della scena la danzatrice si sposta verso sinistra con piccoli passi laterali, mantenendosi sempre vis à vis con il pubblico; poi abbassando le braccia porta i due estremi del sari all'altezza della vita, distendendolo come a formare un'ampia gonna, e comincia a piroettare. L'assolo si avvia alla fine con una serie di figure veloci che sintetizzano le principali fasi della danza con il sari, e si conclude con una piroetta che porta stavolta la danzatrice in posizione seduta, spalle al pubblico, completamente avvolta e nascosta dentro la lunga stoffa. Il crescente successo dei suoi spettacoli indusse gli impresari tedeschi a tentare una nuova collocazione teatrale per gli assoli di Ruth St. Denis. A Monaco, per la prima volta, gli assoli indiani (Radha, Incense, ecc.) furono presentati al grande pubblico europeo all'interno di un programma colto, che comprendeva due atti di un'opera. Ruth St. Denis cercò anche di unire gli assoli secondo un'idea drammaturgica coerente, montando le cinque danze indiane in una sequenza che in seguito avrebbe chiamato The East Indian Series. Le danze costituivano le singole tappe di un unico percorso teatrale attraverso cinque luoghi significativi dell'India tradizionale, un percorso che sviluppava un tema filosofico-religioso il cui manifesto finale era Radha. Lo spettacolo iniziava, ancora una volta con Incense, nel tempio domestico riservato alla preghiera femminile, poi ci si spostava sulla strada (The Cobras), all'interno di un ricco palazzo (Nautch), nella foresta selvaggia (The Yogi), e infine si entrava in un tempio pubblico (Radha). Si trattò, secondo Schlundt, di un programma ispirato allo stile maestoso tipico dell'opera lirica. Scrive la studiosa americana: «Il suo spettacolo guardava indietro rifacendosi alle produzioni esotiche e romantiche di David Belasco, ma si proiettava anche in maniera decisa in avanti verso i brillanti e intensi balletti di Djagilev». Dopo Monaco, lo spettacolo fu presentato a Breslau e nel 1908 approdò alla Komische Oper di Berlino dove fu abbinato ad opere liriche di breve durata. DANZATRICE E ATTRICE IN O-MIKA Con il suo rientro sulle scene americane la danzatrice aspirava a crearsi un proprio pubblico ampio. Rifiutate le allettanti offerte della Germania, dove le era stato proposto di dirigere un teatro progettato appositamente per lei a Weimar. Fu la volta delle tournée. Accanto al suo programma di danze indiane, la danzatrice cominciava a progettare uno spettacolo concepito come un balletto e non piú come un montaggio di singole coreografie. Dopo molti rinvii, alla fine Harris si decise a finanziare quello che era un vecchio sogno di Ruth St. Denis, cioè Egypta. Uscire dalla forma danzata dell'assolo non fu facile e lo spettacolo molto ambizioso ebbe un'accoglienza timida. Dal punto di vista coreografico lo spettacolo si reggeva soltanto sugli assoli di Ruth St. Denis i cui movimenti si ispiravano allo stile delsartiano di The Myth of Isis di Stebbins, alle attitudini di profilo dei bassorilievi egizi, alle linee serpentine della danza indiana. Meno efficaci si rivelarono però gli altri interpreti. Egypta non decollò non tanto per il pesante simbolismo della storia e per l'eccessiva solennità dell'impianto scenico, ma soprattutto per la mancanza di una vera e propria compagnia di danza. Tutt'altra accoglienza ebbe infatti Egypta anni dopo, quando fu ripreso con il nome di Egyptian Ballet dalla Denishawn. Poco dopo il debutto del 1910, Ruth St. Denis fu costretta ad abbandonare lo spettacolo, da cui si preoccupò 21 di estrapolare i suoi assoli piú riusciti che andarono ad ampliare il suo repertorio fin qui esclusivamente indiano. Da un punto di vista artistico, però, si trattò di un compromesso che l'allontanava di nuovo da quell'idea di spettacolo di danza che lei cominciava a prefigurare. Il suo modello di riferimento era sempre piú lo spettacolo di regia. All'esempio di Belasco si era aggiunto quello di Max Reinhardt. Una nuova occasione per uscire dalla forma dell'assolo e tentare uno spettacolo piú dialogico, fu offerta dalla lettura di una novella orientale di Lafcadio Hearn. A Legend of Fugen-Bosatsu era la storia di una geisha di nome O-Mika che si rivela poi essere un'incarnazione di Fugen-Bosatsu, la dea buddhista della misericordia. Dalla novella Ruth St. Denis trasse un vero e proprio libretto teatrale. A Legend of Fugen-Bosatsu fu divisa in tre scene e lo spettacolo fu chiamato O-Mika. Ruth St. Denis definí O-Mika «un piccolo dramma con interludi danzati». Ted Shawn lo descrisse come un dance-play, mentre in anni piú recenti si è preferito parlare a proposito di O-Mika di dance-drama. Mentre le due ultime definizioni sottolineano l'importanza dell'unione di coreografia e drammaturgia, quella della danzatrice sembra voler evidenziare soprattutto l'elemento drammaturgico che costituiva la vera novità di O-Mika. Nello spettacolo erano stati infatti introdotti dei dialoghi e la stessa Ruth St. Denis recitava delle battute in giapponese interagendo con attori di madrelingua. Quello della relazione tra la danza e la recitazione era stato un tema che l'artista americana aveva piú volte affrontato sin dai tempi del suo esordio con Belasco e della sua infatuazione per Sada Yacco. O-Mika nasce proprio ad imitazione dello stile dell'attrice-danzatrice giapponese che si rifaceva a sua volta al teatro tradizionale kabuki. Sada Yacco probabilmente ricordava a Ruth St. Denis la lezione dei suoi maestri di regia (Belasco e Reinhardt): creare una forma di teatro totale che fosse la sintesi delle varie arti sceniche. L'opportunità di riavvicinarsi alla cultura giapponese fu offerta a Ruth St. Denis da una lunga tournée organizzata in California, terra di immigrazione dall'Estremo Oriente e aperta agli influssi asiatici. Il suo primo contatto con questo mondo era stato mediato dalla Madame Butterfly di Belasco. A Los Angeles la danzatrice frequentò per alcuni mesi una ex geisha che le impartì lezioni di danza buyo. Per la prima volta la danzatrice si trovò di fronte al rigore di una tecnica che a differenza di quella delsartiana, piú che liberare il corpo da costrizioni, tensioni, atteggiamenti antinaturali, imponeva una calligrafica stilizzazione del movimento secondo dei principî opposti a quelli del balletto accademico. Si pensi, ad esempio, all'uso del plié come posizione di base della danza e non come preparazione al salto o anche all'uso dell'en dedans invece che l'en dehors. Inoltre, contrariamente a quello che era avvenuto con la danza indiana, interpretata in maniera soggettiva e senza uno studio approfondito della tecnica, in questo caso Ruth St. Denis aveva potuto sperimentare in maniera diretta e piú artigianale un'altra cultura del corpo. Queste lezioni influenzarono profondamente il lavoro coreografico di O-Mika. In O-Mika, scrive Kendall, «La personalità di Ruth che era venuta fuori brillantemente in Radha ed Egypta, fu in parte sommersa dai lenti e precisi movimenti giapponesi». Questa nuova oggettività del suo danzare ebbe un immediato riflesso sul suo modo stesso di intendere lo spettacolo teatrale, tant'è che O-Mika può essere considerata un'opera la cui unità e coerenza stilistica riuscirono a rompere quella forma mista composta di pezzi di spettacolo leggero, di teatro di regia e teatro del grande attore, di "Delsarte" e di orientalismo, che fin qui aveva contraddistinto le sue coreografie. Questa unità a cui arrivò la danzatrice non fu soltanto il risultato dell'accettazione di uno stile per la prima volta non riconducibile direttamente alla sua capacità di manipolazione dei generi ma fu anche e soprattutto il frutto di un tentativo riuscito di ancorarsi ad una struttura drammaturgica forte. In 22 mistica, ha anche fornito una chiave importante di accesso alle religioni orientali. L'idea di Mary Baker Eddy che la Mente divina «riempie tutto lo spazio», che «Dio è Tutto in tutto» e che «tutto è Spirito e spirituale» ha indubbie analogie con la filosofia monista del Vedanta che, quando Ruth St. Denis cominciò a coreografare Radha, era la dottrina indiana piú nota in America insieme al Buddhismo. La Mente Unica era nella sua religiosità sincretica al tempo stesso sia la Mente divina di Mary Baker Eddy sia il brahman, l'Essere, il principio di unità cosmica presente in ogni cosa, di cui parla il Vedanta. L'Oriente sognato, che la danzatrice contrappone all'Oriente dei problemi sociali e dei trattati, è un'esperienza interiore, un'illuminazione. Scrive: L'Oriente di cui parla Ruth St. Denis è certamente un Oriente senza storia, senza grandi differenziazioni interne, è, come lei stessa lo definisce, «un'anima». Questa immagine romantica di un Oriente-entità non è molto dissimile da quella «immagine dell'Oriente» che secondo Edward Said la cultura europea ha cominciato a costruire sin dall'epoca coloniale. Ruth St. Denis, presentandosi al suo pubblico come interlocutrice visionaria di un Oriente che custodisce i segreti spirituali di una «coscienza cosmica eterna», legittima l'immagine di sé della danzatrice-coreografa ispirata da un contatto diretto, mistico, con la Mente divina. L'Oriente con le sue danze sacre, con il suo culto della bellezza mistica le fornisce un modello prestigioso per quella nuova religione sincretica e danzata di cui lei si professa sacerdotessa in Occidente. The Orient è un saggio sulla creatività, contiene una serie di riflessioni con cui Ruth St. Denis sembra voler mettere a nudo alcuni degli aspetti piú intimi del proprio lavoro artistico. Per la danzatrice le opere d'arte del suo Oriente agiscono su di lei generando uno stato di meraviglia, uno stato sognante, visionario. Creare per Ruth St. Denis significa prolungare nella realtà delle forme artistiche lo stato di gioia e meraviglia procurato dall'esperienza mistica. L'Oriente sognato è ispirazione, illuminazione, modello perfetto di arte visionaria, ma secondo la danzatrice non può essere imitato: Nei miei studi come Radha, The Yogi, Kuan Yin, Incense non mi sono per nulla interessata ai metodi tradizionali di danza orientale. Come occidentale avrei potuto al massimo imitare la tecnica e la maniera di quelle tradizioni. Il mio patrimonio genetico e il mio ambiente non mi avrebbero mai consentito di andare oltre la superficie di tali forme artistiche, cosa che non ho mai tentato di fare per due motivi. Il primo è che non sono mai stata in Oriente e le mie informazioni e i materiali che posseggo si limitano a pochi libri e all'incontro con alcuni indiani. Il secondo motivo è che la mia arte è essenzialmente creativa e non interpretativa. Io sono piú interessata a rivelare certe visioni ed idee che scaturiscono dalla mia evoluzione spirituale piuttosto che eseguire le forme belle ma fisse di un'antica tradizione. La danzatrice pone una sua convinzione profonda: non esiste una tecnica che sia in grado in maniera aprioristica di veicolare la propria esperienza interiore. Questa libertà creativa a cui la danzatrice fa riferimento in The Orient è un'esperienza che può legittimamente essere ricondotta dentro l'ambito delle poetiche che all'inizio del secolo portarono alla nascita della danza moderna in Europa e negli Stati Uniti. Il postulato della libertà creativa dell'artista dalle convenzioni linguistiche accomuna la nuova danza americana, l'opera di Vaslav Nijinskij e la "danza espressiva" tedesca. La danza moderna nacque infatti dal tentativo di risolvere in una nuova sintesi quel conflitto drammatico tra "sentimento" e "forma". All'impossibilità di interpretare la tradizione coreutica del balletto, si aggiunge per la danzatrice l'impossibilità di interpretare le tradizioni coreutiche di altre civiltà. Ciò che accomuna le avanguardie della danza è la necessità di una messa in crisi dei linguaggi esistenti per creare una nuova ed utopica danza del futuro. Lo scarto tra il sogno e la realtà dell'Oriente a cui allude il titolo dell'articolo di 25 Ruth St. Denis, nasconde forse un'altra e ben piú profonda frattura, quella che l'artista sente tra il teatro mentale della sua coscienza, che troviamo riflesso anche nelle sue numerosissime poesie, e il teatro reale delle sue coreografie. Se l'Oriente sognato, mistico e spirituale, è stato fin qui, prima del viaggio in Asia, innanzitutto una grandiosa visione della mente, difficilmente traducibile nel linguaggio della danza e del teatro, è anche vero che uno spettacolo come O- Mika aveva indicato una possibile via di uscita dal conflitto tra ideale e reale. Stranamente in The Orient non si fa mai riferimento ad O-Mika. Forse questa omissione è dovuta al fatto che lo spettacolo, a causa del suo raffinato astrattismo, si era rivelato un clamoroso insuccesso. Forse lo spettacolo fu totalmente rimosso da Ruth St. Denis. Da O-Mika la danzatrice estrapolò i suoi assoli piú belli che si andarono ad aggiungere al repertorio solista di brevi coreografie da usare nei suoi spettacoli-collage. La carriera artistica di Ruth St. Denis sembrava condannata all'impressionismo orientaleggiante prima dell'incontro con Ted Shawn. DENISHAWN: GLI ANNI CHE HANNO CREATO LA DANZA AMERICANA L'INCONTRO CON TED SHAWN Intorno agli anni Dieci l'esplosione del ragtime, del tango e di altri balli di sala come il maxixe e l'one-step produsse negli Stati Uniti un fenomeno di vera e propria "danzamania". Anche nel vaudeville e nel teatro leggero la richiesta di numeri che si ispiravano ai nuovi balli di coppia divenne sempre piú pressante. La danza sembra veicolare il bisogno di allentare i freni della morale puritana. Ruth St. Denis criticò a piú riprese quest'invasione di ritmi e di balli per lo piú di matrice afroamericana, vedendovi una sorta di imbarbarimento, un pericoloso allontanamento della danza da quei principî spirituali e artistici che faticosamente aveva tentato di introdurre attraverso l'evocazione di un Oriente colto e filosofico. Non molto diversa era la posizione di Isadora Duncan che, ispirandosi alla Grecia classica, era andata alla ricerca delle radici della cultura bianca ed occidentale. La difesa rigorosa di una danza d'arte americana, indipendente per tecnica e stile dal balletto europeo ma simile ad esso nell'aspirazione al sublime, creava in Ruth St. Denis un conflitto profondo. Innalzare barricate contro la moda dei nuovi balli, considerati dal grande pubblico piú attraenti dei suoi numeri orientali, significava alienarsi l'unico vero mercato della danza, quello dell'intrattenimento. Significava anche rompere il delicato equilibrio che fin qui le aveva consentito di conciliare la ricerca artistica con la remunerativa popolarità del vaudeville. La solitudine scenica di Ruth St. Denis cominciava a penalizzare la danzatrice. La sua immagine piú conosciuta e di maggior richiamo, quella di mistica sacerdotessa della danza rischiava di relegarla tra le ultime rappresentanti della femme fatale di fine secolo. A questa crisi di pubblico e agli insuccessi dei suoi tentativi di creare una danza teatrale con Egypta, O-Mika e Bawakali si univa una profonda crisi esistenziale. La solitudine scenica trovava infatti un riflesso nella sua prolungata solitudine sentimentale. La crisi sentimentale e professionale era aggravata anche da una paradossale e stridente contraddizione: sulla scena infatti Ruth St. Denis aveva fin qui interpretato ruoli femminili che proiettavano sul pubblico un'immagine di donna forte e indipendente, ma nel suo privato la danzatrice era ancora totalmente dipendente dalla madre e dal fratello. Fu durante questo difficile momento che Ruth St. Denis concepì il libretto di una coreografia densa di immagini simboliche che rappresenta un tentativo di superamento di una crisi personale. In The Veil of Maya il tema della solitudine e del bisogno di amore è centrale. Esso però non è affrontato dalla danzatrice analizzando nel concreto il proprio vissuto ma, andando alla ricerca di motivazioni 26 che affondano le radici nella mitologia, in un tempo delle origini. Ancora una volta, la dimensione religiosa e universale veniva utilizzata per dare una risposta ai conflitti interiori dell'individuo. In The Veil of Maya la danzatrice attingeva a differenti tradizioni spirituali per creare una propria originale mitologia. Nella prima scena di The Veil of Maya su uno sfondo blu si staglia una figura composta da una parte femminile e una maschile. L'essere totale si divide in due parti che, scendendo su una scala invisibile, arrivano sulla terra ed entrano nella dimensione della materia, del tempo e dello spazio. Subito li avvolge una nebbia. È il Velo di Maya che oscura la loro origine divina. Nella seconda scena l'uomo e la donna vivono una condizione degradata, immersi nell'ignoranza della loro origine. Una confusa passione genera dispute; conflitti violenti sorgono fra di loro e l'uomo arriva al punto di tentare di assassinare la donna. Svincolandosi disperatamente dal suo abbraccio fatale, la donna per la prima volta, oltre la nebbia, vede splendere una stella. Nella terza scena la visione della stella accende nella coppia una nuova consapevolezza: essi appartengono ad un Essere unico ed eterno da cui sono stati divisi. Comincia a questo punto il cammino di risalita spirituale che si realizza in maniera completa attraverso l'esperienza del loro amore. La danzatrice era stata costretta a rinunciare alla realizzazione della sua ambiziosa coreografia per iniziare una nuova stagione per il circuito commerciale. Fu a questo punto che decise, seppur a malincuore, di aprire i suoi spettacoli a dei numeri che concedevano al pubblico ciò che esso desiderava di piú, cioè la celebrazione teatrale dell'era dei nuovi balli di sala. L'incontro con Ted Shawn nel 1914 si situa all'incrocio di tutti questi conflitti personali e professionali. Ted Shawn costituisce uno dei pilastri della storia della danza americana del XX secolo. Per quanto riguarda lo studio e la trasmissione delle tecniche di danza egli esercitò sulle nuove generazioni un'influenza di gran lunga maggiore di quella di Ruth St. Denis. La Denishawn School fu infatti una creazione soprattutto sua, almeno dal punto di vista dell'organizzazione della didattica e della sperimentazione pedagogica. Altro contributo fondamentale fu quello dato alla nascita della danza maschile americana. Ted Shawn si avvicinò a Ruth St. Denis con l'ammirazione con cui un giovane danzatore poteva accostarsi ad un'artista già matura e affermata. Per Shawn Ruth St. Denis era anche l'esempio vivente di come una danza artistica, ricca di tensione spirituale potesse affermarsi negli Stati Uniti dove mancava una vera tradizione coreutica e dove non esisteva un pubblico specializzato. Dopo il primo incontro con Shawn Ruth St. Denis invitò il giovane danzatore a ritornare nel suo studio la mattina dopo per un'audizione. Ted Shawn mostrò alla danzatrice tre suoi assoli: una danza ispirata all'antica Grecia, una vivace danza alla maniera slava, e, infine, il pezzo che piú colpì Ruth St. Denis, The Dagger Dance, "La danza del pugnale", in cui un giovane azteco preferiva uccidersi pur di sfuggire al suo destino di vittima di un sacrificio umano. La danzatrice aveva immediatamente colto le grandi potenzialità di Ted Shawn. In effetti il suo background tecnico comprendeva già allora quasi l'intero panorama della danza teatrale americana dell'epoca: dal balletto accademico al repertorio dei balli da sala moderni, dalle danze romantiche e "classiche" nello stile di Isadora Duncan alle danze genericamente orientali ed esotiche. Questo eclettismo stilistico praticato con la seriosità che contraddistingueva il giovane Shawn appariva a Ruth St. Denis stimolante; era un invito ad allargare i propri confini e ritentare un progetto piú ampio, legato alla formazione di una vera compagnia di danza con un repertorio a diverse sfaccettature. Dal punto di vista di Shawn Ruth St. Denis era già una pioniera, un'artista che aveva rotto gli argini convenzionali della danza, aprendo ad altre culture coreutiche, al mito e alla religione. Un principio questo che sarà alla 27 fianchi come ali chiuse. Procedeva da posa a posa ma in maniera sicura, con lo sguardo altezzoso, trascinandosi la sontuosa coda, a tratti aprendo e chiudendo le ali. Ri- corda Sherman: «L'intera danza non prevedeva altro che quest'impettita camminata, queste pose, lo sfoggio dell'abilità tecnica con cui Ruth St. Denis sapeva rendere credibili i movimenti dell'uccello e trasformare lo strascico scintillante in una coda di pavone. Ma riusciva anche in qualche modo ad alludere alla frustrazione dell'essere imprigionati in una vanità ingioiellata». The Legend of the Peacock conobbe presto una grande popolarità. Entrando in scena non piú come donna-divinità ma come donna-animale Ruth St. Denis non aveva però abbandonato il suo idealismo per creare un numero ad effetto, da vaudeville. L'estrema teatralità del ruolo, infatti, si legava con il tema morale della vanità. Non si può comunque negare che uno sguardo maschile piú superficiale poteva vedere nella donna-pavone un oggetto di desiderio senza cogliere il senso tragico che scaturiva dall'interpretazione della danzatrice. Questo pubblico poteva godere in teatro dello spettacolo del corpo femminile perché la protagonista della novella orientale aveva perduto il suo corpo. La trasformazione della donna in animale messa in opera dalla finzione teatrale legittimava infatti lo sguardo desiderante maschile dispensando lo spettatore dal conflitto con i valori puritani. L'immagine della donna-pavone conteneva però una potente ambiguità: il suo corpo bello era animale ma la sua coscienza infelice era umana. Probabilmente la visione di Peacock procurava tristezza nel pubblico piú sensibile perché il tronfio e splendido uccello appariva come la prigione dorata di una coscienza incapace ormai di liberarsi dal suo terribile destino. PIÙ DI UNA SCUOLA, UN MODO DI VIVERE La Denishawn popolarissima nelle grandi città così come nella provincia degli Stati Uniti, riscosse anche grandi successi in alcune importanti tournée estere. La scuola nacque nel 1915. L'idea di una scuola e la determinazione nel fondarla furono soprattutto di Ted Shawn. La scelta di Los Angeles fu determinata da diverse ragioni. La tournée del 1914-1915 si era conclusa in California e lí per la prima volta i due artisti avevano cominciato a pensare alla possibilità di aprire una scuola. Los Angeles era la città dove Shawn aveva mosso i suoi primi passi come coreografo e dove poteva contare su un discreto numero di ex allievi con cui costituire il nucleo iniziale della scuola. Il rapporto tra Denishawn e Hollywood sarà un elemento importante nell'affermazione della scuola. L'idea di una comunità di artisti faceva parte della formazione di Ruth St. Denis e Ted Shawn, era un patrimonio dei movimenti spiritualisti ed utopisti americani del XIX secolo. Ricerca artistica, spiritualismo, utopia sociale e una nuova pedagogia finalizzata all'unione tra cor- po e mente erano anche alla base di numerosi movimenti europei che all'inizio del XX secolo si opponevano allo sviluppo tecnologico della società occidentale. Ricordiamo soltanto Rudolf Laban. St. Denis e Laban attingevano a un background comune: il delsartismo, il pensiero naturista e antiborghese di molti movimenti spiritualisti di inizio secolo, e, per quanto riguarda la danza, l'esempio rivoluzionario che aveva dato Isadora Duncan. All'interno dell'attività pedagogica della Denishawn i ruoli di Ruth St. Denis e Ted Shawn erano ben delineati. Scrive St. Denis: Dall'inizio alla fine le linee fondamentali e l'organizzazione della Denishawn School furono di Ted. Il mio ruolo fu quello di fornire nel corso degli anni il colore dell'Oriente, certi concetti di visualizzazione musicale ispirati e derivati dalle idee di Isadora Duncan, e l'ispirazione e l'insegnamento spirituali. Il sistema di insegnamento fu per lo piú sviluppato da Ted. Vi erano delle tecniche fondamentali che noi ritenevamo assolutamente 30 necessarie, ma, sulla base di queste tecniche, si incoraggiavano le allieve a sperimentare l'intera gamma di lezioni teoriche e pratiche che la scuola offriva. Il lavoro di Ted era molto piú tecnico del mio. Le mie lezioni erano inizialmente limitate all'Oriente. Ma nell'edificio principale si tenevano conferenze di ospiti esterni alla scuola; si impartivano lezioni di musica. Vi furono grandi aperture verso tutte le arti connesse alla danza. Nessun'altra scuola considerava tutte le arti come parte essenziale della formazione della danzatrice. Le lezioni dell'anno di inaugurazione della scuola si articolavano in sedute di meditazione yoga e danza orientale tenute da Ruth St. Denis e in corsi di balletto classico e ballo moderno diretti da Ted Shawn. A questo programma l'anno successivo furono aggiunte delle letture guidate in cui la danzatrice commentava testi religiosi e filosofici. La formazione intellettuale costituiva uno dei pilastri fondamentali della scuola. Già a partire dal secondo anno della scuola Shawn si impegnò a rendere piú sistematiche le lezioni di danza. Il suo insegnamento assunse una cadenza giornaliera e cominciò a strutturarsi secondo quel metodo che sarebbe poi stato definito come la "tecnica Denishawn". Una delle questioni storiografiche piú controverse che hanno riguardato la Denishawn è quella relativa alla qualità della preparazione tecnica fornita dalla scuola e, persino, del livello tecnico dei membri della compagnia. Questione per certi versi paradossale se si pensa che proprio Martha Graham ha sottolineato come il suo apprendimento alla Denishawn sia stato rigido e indirizzato non soltanto allo studio delle tecniche orientali ma anche del balletto classico. La presenza della tecnica classica dentro il programma della scuola è un dato importante anche perché ci indica come sin dai suoi esordi, grazie al contributo di Shawn, la danza moderna americana debba qualcosa al balletto. Quella di Shawn era, comunque, un'interpretazione molto particolare della tecnica accademica perché si basava su un'idea di danza radicalmente diversa. I passi eseguiti a piedi nudi introducevano nel movimento una fluidità tipica dell'estetica delsartiana. Inoltre lo studio della tecnica classica, che avrebbe dovuto dare al corpo forza e resistenza fisica, non doveva mai entrare in contrasto con la ricerca di quella dimensione creativa individuale che era uno degli scopi principali della scuola. Una lezione tipo alla Denishawn iniziava alla sbarra. Venivano studiati tutti i fondamentali della tecnica classica. Dopo gli esercizi alla sbarra seguivano quelli al centro. Questa sezione si concludeva con un esercizio chiamato Arms and Body, eseguito su un valzer della Bella addormentata nel bosco di Čajkovskij. L'esercizio che aveva una struttura libera e aperta a varie soluzioni individuali, cominciava tenendo i piedi pressati sul pavimento a circa mezzo metro di distanza l'uno dall'altro. Seguiva quindi un lento ondeggiare del corpo con movimenti circolari sempre piú grandi che coinvolgono prima la testa, poi le spalle, poi il torso che si piegava avanti e indietro, in maniera ampia, a volte repentina. Le braccia durante i movimenti circolari ondeggiavano anch'esse estendendosi dal basso del pavimento verso il soffitto. Sfruttando questa spinta sempre piú intensa e coinvolgente le danzatrici e i danzatori iniziavano a muoversi liberamente nello spazio. Questo esercizio era seguito di solito da una corsa rilassata attorno alla sala che si concludeva con una caduta all'indietro. A conclusione di Arms and Body, dopo una breve pausa, il gruppo intero si riuniva in un angolo della sala e uno dopo l'altro gli allievi e le allieve attraversavano in diagonale tutto lo spazio eseguendo salti e rotazioni. Seguiva poi il lavoro allo specchio per perfezionare i pas de chat e i pas de bourrée, le attitudes e le arabesques. Altre volte, dopo Arms and Body la lezione poteva prendere un'altra direzione e allora, da seduti, si cominciavano ad eseguire dei movimenti delle braccia nello stile della danza giavanese. Si aggiungevano anche alcuni esercizi di flessibilità delle dita e, 31 ispirandosi alle nautch, i movimenti orizzontali del collo che doveva scivolare sulle spalle tenute immobili ad imitazione dei guizzi della testa di un cobra. La lezione si concludeva sempre con l'apprendimento di un ulteriore segmento di una danza che era oggetto di studio di quel particolare corso. Si trattava per lo piú di danze didattiche che non facevano parte del repertorio della compagnia. Significativo è il caso di Spring, Beautiful Spring, una danza didattica creata da Ted Shawn nel 1920 che durante una tournée del 1931 in Germania il danzatore presentò come assolo. Il pezzo ebbe un grande successo, il che sorprese lo stesso danzatore che mai avrebbe potuto immaginare che un esercizio di balletto accademico potesse entusiasmare un pubblico di danza in quella Germania «che si era autoacclamata leader della danza moderna».32 La ricerca della fluidità di movimento del pezzo, tipica dell'approccio di Shawn alla tecnica classica, era uno dei terreni di incontro tra la danza moderna americana ed europea. Un contributo fondamentale alle attività della scuola fu dato da una serie di maestri chiamati in diversi momenti ad insegnare alla Denishawn. Sin dall'inizio furono ospitati insegnanti formatisi alla scuola di Dalcroze, e piú tardi danzatrici di scuola tedesca. Furono anche invitati due artisti giapponesi, un maestro di danze marziali e il famoso danzatore Michio Ito. Ma forse la presenza più influente e autorevole fu quella di Henrietta Hovey, che a piú riprese tenne lezioni e conferenze alla Denishawn fino alla sua morte. Da giovane aveva studiato in Francia con il figlio di François Delsarte, ed era diventata una delle maggiori esponenti del delsartismo americano. Anche Ruth St. Denis le attribuisce una grande importanza. Dopo l'incontro con Hovey la loro conoscenza del metodo divenne molto piú precisa e puntuale. Da quel momento la Denishawn incominciò in maniera consapevole ad utilizzare i principî di Delsarte come basi solide su cui costruire la danza moderna americana. St. Denis e Shawn durante i quindici anni di vita della scuola continuarono ad allargare il campo delle loro conoscenze, avvicinandosi a nuovi stili di danza. Mostrarono cosí in maniera concreta ai loro allievi la validità di quanto avevano sempre teorizzato: «Il nostro sforzo è quello di riconoscere ed usare tutti i contributi alla danza che provengono dal passato e di includere tutti i nuovi contributi futuri». Shawn, che sviluppò un interesse molto forte per le tradizioni coreutiche del suo paese, studiò sul campo le danze degli indiani d'America e le contraddanze del New England portate dai primi coloni europei. Nel 1923 si recò in Spagna dove imparò il flamenco e in Algeria dove studiò le danze rituali maschili e femminili. Durante il viaggio in Asia, i due artisti presero lezioni da alcuni fra i piú grandi maestri asiatici. DENISHAWN, IL VAUDEVILLE E HOLLYWOOD Se da un lato è giusto sottolineare il carattere utopico della Denishawn, e quindi accostare questa esperienza americana a quella europea di Laban, dall'altro non si può dimenticare lo spirito commerciale che guidava le sue attività. Alle spalle di St. Denis e Shawn non c'era il mecenatismo europeo. Già nella seconda metà dell'Ottocento la danza classica, per conquistare una certa popolarità e con essa il diritto alla sopravvivenza, si era mescolata con il grande spettacolo di intrattenimento, l'extravaganza. Il balletto era riuscito a diventare un ingrediente fondamentale del successo di questo genere teatrale. L'insegnamento della danza classica ebbe un riconoscimento nei teatri lirici soltanto nel 1909 quando fu fondata al Metropolitan di New York la prima scuola di balletto. Sull'ondata poi dei successi delle tournée di Anna Pavlova e dei Ballets Russes, coreografi e danzatori russi avevano fondato in America delle compagnie di danza. In un contesto dove il balletto, pur rafforzando le sue posizioni, non 32 veli che si increspavano come se fossero onde. Si trattava di un movimento nella versione del 1923 avrebbe sedotto un giovane pescatore (Ted Shawn) seduto su una roccia, causandone l'annegamento. L'avere fatto della Denishawn una struttura itinerante contribuì notevolmente ad accrescere la popolarità della compagnia. Ma St. Denis e Shawn mostrarono anche una grande abilità nell'organizzare spettacoli di massa. Nel 1916 fu proposto alla danzatrice di creare uno spettacolo da tenere all'aperto nel Greek Theatre della California University. La danzatrice scelse come soggetto quello delle credenze sull'al di là di tre grandi antiche civiltà: l'Egitto, l'India e la Grecia. Altrove, in Germania e Unione Sovietica, i grandi spettacoli di danza all'aperto avrebbero assunto nei primi decenni del Novecento ben altro significato politico e culturale. Si pensi, ad esempio, all'esperienza dei "cori di movimento" di Laban; oppure alla festa socialista dell’Unione Sovietica. Gli spettacoli di massa della Denishawn traevano invece spunto dalla tradizione consolidata in area anglo-americana del pageant moderno, un genere grandioso di intrattenimento popolare che si rivolgeva a migliaia di spettatori riuniti in uno spazio all'aperto. Sfarzosi effetti teatrali, grandi movimenti coreografici venivano utilizzati per celebrare pubblicamente il ricordo di importanti eventi della storia nazionale e locale. A volte i pageants potevano avere anche un carattere allegorico e si ispiravano alla storia delle antiche civiltà del passato. Lo spettacolo A Dance Pageant of Egypt, Greece and India debuttò nel 1916. Il pageant utilizzava, riadattandoli e amplificandoli, materiali che facevano già parte del repertorio della compagnia, come ad esempio Egypta, le coreografie ispirate alla Grecia classica di Shawn, gli assoli e i drammi danzati indiani. Furono presentate anche delle sezioni assolutamente originali create per l'occasione, alcune di grande valore, come Tillers of the Soil, danzato da St. Denis e Shawn, che ritraeva il duro lavoro di due contadini egiziani. A Dance Pageant of Egypt, Greece and India si apriva con cinquanta danzatrici che, interamente coperte da lunghi veli verdi (le acque del Nilo), si riversavano sul pendio che divideva l'orchestra dalla scena rialzata del teatro. Con i loro ampi movimenti ondulatori mimavano un'inondazione. Poi si spargevano verso tutti i lati del palcoscenico «come fa il Nilo con le calde sabbie dell'Egitto». Lo spettacolo comprendeva diversi momenti di altisonante teatralità. Una scena della sezione indiana rappresentava il rituale del sacrificio delle vedove: al centro del palcoscenico era stata costruita un'alta pira funeraria che dava l'illusione di bruciare. Sulla cima di questa pira veniva portata a spalla la bara su cui giaceva il corpo del marito defunto (Shawn); seguiva il piccolo corteo con la moglie (St. Denis), il cui lento avanzare verso il rogo era accompagnato dalle lamentazioni di un coro di danzatrici e dai suoni stridenti e drammatici prodotti dall'orchestra. Giunta in alto, Ruth St. Denis recitava la sua «morte plastica», come la definí la stessa danzatrice. La sezione greca comprendeva oltre a diversi pezzi una Pyrrhic Dance, una coreografia per sedici danzatori. Si trattava della prima creazione di Ted Shawn per un insieme composto solo da danzatori e s'ispirava alle antiche danze guerriere greche. Essa conteneva già molti degli elementi che avrebbero caratterizzato piú tardi gli spettacoli della Ted Shawn Men Dancers: poderosi salti orizzontali e verticali, e una virile esibizione di forza muscolare. La struttura monumentale di A Dance Pageant of Egypt, Greece and India risentiva dell'importante esperienza cinematografica che la scuola aveva avuto nel 1916, quando fu ingaggiata dal regista D.W. Griffith per le grandiose scene danzanti dell'episodio babilonese di Intolerance. A Dance Pageant of Egypt, Greece and India fu in parte un prodotto della circuitazione intensa di esperienze cinematografiche e coreutiche. Se sulla sua creazione influí la partecipazione della Denishawn al kolossal di Griffith, non bisogna dimenticare che il film a sua volta si era modellato 35 sull'impianto narrativo e scenico dei grandiosi spettacoli dal vivo americani. Nelle memorie di Ruth St. Denis comunque non rimane traccia della partecipazione ad Intolerance, come se quell'esperienza con il grande regista non meritasse una riflessione piú approfondita. Viene invece sottolineato con forza il debito che Hollywood contrasse nei confronti della Denishawn dove si perfezionarono o si forma- rono alcune brillanti attrici cinematografiche. MUSIC VISUALIZATION: LA DANZA COME LABORATORIO A Dance Pageant of Egypt, Greece and India fu replicato con successo a San Diego, Los Angeles e Santa Barbara. Esso costituiva un'enorme risorsa di piccole coreografie che la compagnia staccò dal pageant con diverse soluzioni di assemblaggio riutilizzò per nuove tournée di vaudeville e concerti di danza per l'intero biennio 1916-1917. Tillers of the Soil, la breve coreografia danzata da St. Denis e Shawn ci dimostra che A Dance Pageant possedeva al suo interno dei momenti che costringevano il pubblico a focalizzare l'attenzione su piccole azioni e gesti di intenso valore espressivo. Tillers of the Soil fu concepito come un duo da inserire dopo la grande e spettacolare scena di apertura del pageant in cui le cinquanta danzatrici-onda si riversavano sul palcoscenico all'aperto del Greek Theatre di Berkeley. Un rumore improvviso spaventa i due contadini; essi alzano le braccia al cielo in un gesto di preghiera; poi le braccia vengono lasciate cadere in maniera rassegnata e la coppia si prepara per iniziare a lavorare. Le azioni dell'arare e del seminare vengono rappresentate in maniera essenziale. Vi è una stilizzazione che ricorda la scrittura pittografica dell'antico Egitto, con uno sviluppo delle azioni in senso orizzontale e una ricerca della bidimensionalità. Questa particolare formalizzazione non tende all'astratto ma all'espressione di una condizione fisica e psicologica. Innanzitutto è rappresentata in maniera concreta la fatica del lavoro attraverso un uso dell'energia muscolare. All'espressione della fatica si aggiungeva l'espressione dello stato d'animo dei due contadini che veniva comunicato non soltanto attraverso lo sguardo rassegnato dell'uomo e della donna ma anche attraverso il movimento dell'intero corpo che appariva, nello sforzo, come un corpo addomesticato ed espropriato. Il pezzo si concludeva con i due contadini che, dopo aver arato, seminato, pescato, portato al pascolo un gregge, uscivano di scena abbracciati avanzando verso un lato della scena con una camminata lenta, dignitosa, quasi solenne, come a voler indicare la grandezza morale di questi umili schiavi. Tillers of the Soil divenne uno dei pezzi piú famosi del repertorio della Denishawn e dal 1922 fu incorporato in Egyptian Ballet, un ulteriore assemblaggio coreografico sul tema dell'antico Egitto. Gli anni compresi tra il 1919 e il 1921 segnarono una prima crisi tra Ruth St. Denis e Ted Shawn. Mentre quest'ultimo si dedicava alla scuola e ad una serie di tournée con una parte della compagnia, la danzatrice annunciava il proprio ritiro dal vaudeville e con l'altra metà della compagnia iniziava un lavoro su ciò che lei definì per prima music visualization. Accanto a lei rimase Doris Humphrey, secondo molti la vera ispiratrice di questo nuovo esperimento. Shawn continuò a portare avanti sino al 1921 una danza a forti tinte espressive, con intrecci esotici e mitologici, ispirandosi ancora una volta all'Oriente e all'America precolombiana; Ruth St. Denis, che di quella danza era stata pioniera, riprendeva invece il discorso sull'astrattismo interrotto dopo O-Mika e si dedicava totalmente allo studio della relazione tra danza e musica. Questo importante momento di passaggio è testimoniato anche nelle memorie di Humphrey: Mr. Shawn voleva continuare con il vaudeville. Le forze si divisero. Il programma era composto dalle visualizzazioni musicali di Miss Ruth, danze su partiture che spaziavano da Bach a diversi 36 compositori romantici. Il pubblico che assistette ai concerti di danza della nuova compagnia, la Ruth St. Denis Concert Dancers, si trovò di fronte ad una sorta di rivoluzione copernicana. Dall'eclettismo multicolore e di carattere prevalentemente visivo-pittorico della Denishawn dove trucco e travestimenti erano un'arte; si passava improvvisamente ad una danza sobria, impersonale ma piena di qualità dinamiche e ritmiche che per essere apprezzata richiedeva l'ascolto attento della musica. Andare ad uno spettacolo della Ruth St. Denis Concert Dancers fu anche per molti americani un'inaspettata iniziazione alla musica classica. Horst contribuì maggiormente allo sviluppo della music visualization. Nei primi anni della scuola St. Denis, Shawn e Horst lavorarono insieme per rendere piú organici i rapporti tra danza e musica. A livello tecnico l'intesa fu sicuramente maggiore tra Shawn, danzatore di formazione classica, e il compositore americano. In seguito, collaborò anche Humphrey, che con le sue ispiratissime music visualizations esordí come coreografa accanto a Ruth St. Denis e ne incoraggiò la scelta formalista. Scrive Stephanie Jordan: «Sebbene sia generalmente accettato che St. Denis concepì l'idea e il nome di music visualization, va ricordato che Shawn coreografò per le allieve della scuola le sue prime visualizzazioni musicali: Inventions e Fugues». Secondo Janet M. Soares fu invece Horst che cominciò a suggerire degli esperimenti che in seguito avrebbero preso il nome di visualizzazioni musicali. Ma al di là del problema dell'attribuzione e della distribuzione dei meriti, ciò che è importante ricordare è lo scatto artistico, tecnico e culturale che la music visualization fece fare alla danza moderna americana. In un suo intervento teorico sulla rivista «The Denishawn Magazine» della primavera del 1925 Ruth St. Denis tenta di definire con esattezza cosa si debba intendere per music visualization. Nella sua forma piú pura la music visualization è la traduzione scientifica delle strutture ritmiche, melodiche ed armoniche in azione corporea, senza alcuna intenzione di "interpretare" o rivelare un significato nascosto sentito dal danzatore. Nel dare una definizione molto restrittiva di music visualization la danzatrice sembra voler stigmatizzare le tante imitatrici della Duncan che usavano il repertorio musicale romantico per danzare a piedi nudi, vestite con un peplo, improvvisando sull'onda delle emozioni suscitate dall'ascolto musicale. Collegate alla riforma dell'abbigliamento femminile e ai primi movimenti di emancipazione della donna, esibite nei salotti alla moda cosí come nel vaudeville, queste danze si erano diffuse sin dall'inizio del secolo e avevano contribuito all'affermazione negli Stati Uniti di una nuova idea di danza. La music visualization era però per Ruth St. Denis un'altra cosa: lontana dal dilettantismo cosí come dal teatro commerciale, essa rientrava in un coerente progetto artistico. Con la music visualization la danzatrice infatti si proponeva di perfezionare quell'opera di oggettivazione della danza che fin qui aveva cercato di realizzare con le sue coreografie rituali. Un riferimento importante in questo periodo fu Isadora Duncan. Ruth St. Denis ricorda come una delle strade sotterranee che la condussero all'idea della music visualization fu la riflessione sull'opera della danzatrice. La Duncan aveva rivalutato al massimo il ruolo della musica, andando a ricercare nel grande repertorio romantico le sorgenti del ritmo naturale e del gesto spontaneo. Se da un lato stigmatizzava le sue epigone, dall'altro Ruth St. Denis aveva verso la Duncan un atteggiamento che rasentava l'idolatria. Di lei l'affascinava soprattutto la qualità ritmica del movimento. Vedeva in lei la realizzazione perfetta dell'ideale dionisiaco e quindi l'opposto complementare della propria danza, visionaria ed apollinea. La forza e la grandezza della Duncan nascondevano però, secondo Ruth St. Denis, una debolezza: ispirata dalla musica, la sua danza ne dava un'interpretazione di superba intensità espressiva senza però riuscire a visualizzarne la 37 di trenta visualizzazioni musicali. La musica classica offriva alla danza uno stimolo straordinario ma era anche una sfida non indifferente. Studiare l'architettura sonora di un capolavoro musicale e cercare di tradurla in un equivalente architettura di gesti e movimenti, costituiva un enorme aiuto allo sviluppo delle possibilità coreografiche. Ma se da una parte la musica funzionava da stimolo, dall'altra creava a volte delle difficoltà insormontabili. Scriveva ancora St. Denis: «La maggior parte della musica classica non è stata concepita affatto per il movimento corporeo oppure si riferisce a forme di danza molto devitalizzate e stereotipate. La musica è fissa, indipendente e segue le sue regole; progettata per essere ascoltata e non guardata». Ecco allora che la sperimentazione serviva a Ruth St. Denis per chiarire un punto cruciale: comprendere sino a che punto la musica potesse essere davvero un aiuto e non un ostacolo per le «forme piú alte di danza». È all'interno di questa problematica difficile e complessa che la danzatrice comincia a ipotizzare la possibilità di una «danza indipendente». È un momento fondamentale per la Denishawn, un'acquisizione teorica che corrisponde a ciò che in Europa Mary Wigman proponeva come absoluter Tanz, "danza assoluta". Fin qui il modello creativo forte era stato per Ruth St. Denis quello della regia teatrale di Belasco e di Max Reinhardt. Si trattava di passare dalla regia e dalla messa in scena di un testo drammatico o letterario alla coreografia intesa come pura partitura di movimenti. Assimilato al suono il movimento si liberava di ogni sovrastruttura drammaturgica e pittorica, e assumeva qualità e significato soltanto in relazione ad altri movimenti. Con la consapevolezza di una possibile autonomia del linguaggio coreutico cambiò anche il tipo di attesa verso la musica. In Music Visualization Ruth St. Denis prefigurò la nascita di un tipo di musica differente, una «musica del futuro», «composta appositamente per i danzatori da musicisti che comprendono i fondamenti della danza». Nell'attesa di una «musica ideale» reclamava nel frattempo il diritto di «utilizzare la musica migliore, piú elevata e piú nobile». Come si può facilmente vedere, si trattava di un paradossale capovolgimento dialettico: il danzatore doveva attingere alla grande musica non piú per imparare a danzare e a comporre ma nell'attesa che i grandi musicisti imparassero a guardare la danza e comporre per essa. OLTRE IL VAUDEVILLE Ted Shawn ha definito il periodo che va dal 1922 al 1926 come «i grandi anni della storia della Denishawn». In effetti quelli furono gli anni della nascita di un vero e proprio impero economico e culturale nel mondo dello spettacolo americano. La svolta avvenne all'inizio del 1922, quando St. Denis e Shawn tornarono a fare compagnia assieme. La Denishawn si legò contrattualmente al prestigioso impresario musicale Daniel Mayer. Non si trattò soltanto di un fortunato matrimonio economico ma anche di una vera e propria investitura culturale. Entrare nel grande circuito musicale americano significò poter abbandonare del tutto il vaudeville per danzare nei teatri d'opera, negli auditorium, negli anfiteatri, tutti luoghi frequentati da un pubblico educato all'ascolto musicale. Dentro quel circuito la Denishawn si trovò anche a competere con il mito dei Ballets Russes. Tra il 1922 e il 1926 la Denishawn si rafforzò notevolmente anche come istituzione pedagogica della danza, espandendosi sul territorio. Da Los Angeles Ruth St. Denis riuscí a strappare delle concessioni che attenuarono i suoi dubbi. Avrebbe deciso lei il nome della compagnia e avrebbe avuto facoltà di indicare i nomi di alcune danzatrici a cui non si sentiva di rinunciare. Le premeva molto anche poter inaugurare il nuovo corso rispettando un'antica abitudine, quella di iniziare ogni spettacolo con una danza di 40 carattere religioso. Per la nuova tournée pensava al suo ultimo assolo orientale, Kuan Yin, dedicato alla dea buddhista della misericordia. Shawn, con cui i rapporti erano sempre piú difficili, avrebbe invece voluto aprire lo spettacolo in maniera meno rituale ma «teatralmente piú efficace», facendo iniziare a danzare gli altri membri della compagnia, lasciando Ruth St. Denis «come una meta suprema a cui arrivare dopo». La danzatrice, ottenuto ciò che chiedeva, presa la sua decisione, entrò però ben presto in una nuova crisi spirituale e creativa. Sentiva che soltanto identificandosi con l'Oriente riusciva a far rivivere gli elementi piú misteriosi e fecondi della sua personalità. Questo ritorno al misticismo l'allontanava e isolava dalla scuola e dalla compagnia. Negli anni della sua sperimentazione sulla music visualization l'interesse per la religione non era mai venuto meno. Nelle creazioni di movimenti geometrici e armonici aveva visto l'espressione di una dimensione sacra. Kuan Yin era un breve assolo che non convinceva del tutto Ruth St. Denis perché, a suo avviso, non riusciva a toccare gli strati piú profondi della sua «identificazione psichica con l'Oriente». Soddisfaceva però il bisogno di ritornare, dopo le visualizzazioni musicali, su un terreno a lei piú familiare, quello dello studio delle divinità femminili e dei loro influssi sulla psicologia umana. Il personaggio della dea cinese Kuan Yin le appariva diverso da ciò che lei stessa adesso chiamava «la Giapponese, l'Egiziana, e il Pavone». Questi erano ormai dei personaggi del passato, degli stereotipi, figure svuotate di significato dalla lunga esposizione agli spettatori del vaudeville. Kuan Yin aveva invece una qualità femminile nuova, ancora inesplorata e che adesso la interessava particolarmente. Con Kuan Yin, la dea della misericordia, la danzatrice cominciava a tracciare il suo cammino dalle religioni orientali verso il Cristianesimo. Kuan Yin inaugurò la nuova gestione aprendo lo spettacolo presentato nel 1922. Ma quando la compagnia iniziò la sua prima vera lunga tournée organizzata da Mayer, il programma subì una sostanziale modifica e si configurò secondo una formula che sarebbe rimasta invariata sino al 1926. Si trattava in effetti di un montaggio di coreografie ben equilibrato che spaziava attraverso i vari generi praticati dalla Denishawn. Il programma, diviso in quattro sezioni, si apriva con un gruppo di visualizzazioni musicali. I primi pezzi erano sempre danzati dall'intera compagnia o da una parte di essa. Questa sezione aveva una propria coerenza interna e ben dimostrava quanto il lavoro della Denishawn si distaccasse dallo stile improvvisato e amatoriale delle danze interpretative. Alle visualizzazioni musicali seguiva una sezione chiamata divertissements che raggruppava coreografie di stile eterogeneo che si ispiravano spesso a differenti tradizioni coreutiche. La terza sezione era spesso costituita da una coreografia piú lunga, un vero e proprio dramma danzato. La quarta e conclusiva sezione era chiamata Orientalia e comportava diverse coreografie riprese dal repertorio della Denishawn riconducibile all'influenza diretta del lavoro creativo e pedagogico di Ruth St. Denis. I pezzi erano presentati divisi per aree: Cina, India, Siam, Giappone, Giava ed Egitto e venivano montati secondo un ordine modificabile al momento a seconda delle esigenze nate durante lo svolgimento delle tournée. L'attività coreografica di Ruth St. Denis in quegli anni non fu intensa. Creò un dramma danzato di ispirazione babilonese (Ishtar of the Seven Gates), che costituì forse il progetto piú ambizioso dell'intero periodo della gestione Mayer. Tra le visualizzazioni musicali, Waltz and Liebestraum (Valzer e sogno d'amore), del 1922, fu quella che riscosse piú consensi di critica e di pubblico, divenendo uno dei suoi assoli piú famosi. Si trattava di una coreografia per certi versi anomala perché il vissuto della danzatrice vi giocava un ruolo fondamentale. Con Waltz and Liebestraum Ruth St. Denis proponeva un'interpretazione molto personale dello spartito musicale. La danzatrice sembrava vivere 41 emotivamente la musica come se questa evocasse in lei la memoria di esperienze vissute in cui il pubblico veniva coinvolto sino alla commozione. Waltz and Liebestraum nacque per caso. Su un'improvvisazione Ruth St. Denis costruí in seguito la sua visualizzazione musicale la cui genesi, secondo Shelton, «fu l'idealizzazione di una storia d'amore con un giovane compositore che faceva parte della sua cerchia californiana e da cui lei si separò con difficoltà quando si riuní alla Denishawn». Nostalgia e tristezza erano gli stati d'animo che dominavano l'assolo diviso in due sezioni, eseguite senza soluzione di continuità. Ruth St. Denis sulle note iniziali del Valzer in la bemolle di Brahms entrava in scena camminando lentamente, a piccoli passi, illuminata da una luce rosa chiaro. Le braccia si sollevavano morbide sopra la testa per poi abbassarsi fino all'altezza del volto ed estendersi fluidamente in avanti come attratte dalla melodia sempre piú invitante. Raggiungeva così il centro del palcoscenico con movimenti eseguiti sulle mezze punte. Il cambiamento della musica veniva adesso visualizzato con una serie di rapidi passi laterali, appena saltati, che poi, seguendo la cadenza finale della frase melodica, rallentavano e confluivano in una breve posa scenica che esprimeva amore e abbandono. Le braccia erano aperte, rivolte verso il basso, lungo i fianchi, il corpo proteso in avanti, il collo all'indietro, la testa e lo sguardo verso l'alto. Sul ripetersi del motivo melodico, Ruth St. Denis si muoveva di nuovo occupando lo spazio con linee ondulatorie, allungandosi verso l'alto. Le mani delicatamente tamburellavano l'aria. Waltz si concludeva con Ruth St. Denis al centro del palcoscenico, ferma in una breve posa scenica, mentre la musica di Brahms si dissolveva in quella di Liszt e la luce s'incupiva, passando dal rosa al violetto. Iniziava il Sogno d'amore. Era il dialogo con un partner invisibile. La danzatrice dapprima tentava di entrare in contatto con questa presenza onirica, cercandola nello spazio attorno a sé. Proiettava lo sguardo, il gesto, lontani oltre le quinte del palcoscenico oppure oltre il pubblico posto di fronte a lei. Poi iniziava un movimento opposto, di rifiuto, indietreggiando dolorosamente, la mano sul volto e poi sul petto, ad indicare sofferenza ma anche dignità. Insieme a questa mimica fatta di piccoli gesti espressivi, allusivi e intensi, c'erano le ampie figurazioni della visualizzazione musicale. La geometria della danza si mescolava al gesto intimo ed espressivo. Liebestraum si concludeva in maniera estremamente teatrale, con un gesto forte da attrice: rassegnata, la donna innamorata rivolgeva un ultimo triste sguardo verso la sua destra, verso l'invisibile partner, accennava un gesto d'invito con la mano aperta, poi girandosi con un fulmineo scatto drammatico, subito sopito, si lasciava come risucchiare verso la parte opposta del palcoscenico da una forza irresistibile. Usciva di scena di profilo, dirigendosi lentamente verso le quinte alla sua sinistra, avanzando con le spalle ricurve, la testa nascosta sotto le braccia protese in avanti. Questa irruzione in scena di un vissuto personale costituiva una deviazione non da poco nella poetica teatrale di Ruth St. Denis che si era ormai consolidata sulla costruzione di un ruolo-maschera, quello della divinità femminile, dietro cui la sua persona scompariva. Aveva sempre teorizzato un approccio alla danza non psicologico ma metafisico. La visualizzazione musicale si inseriva in questa poetica dell'astrazione. Nel mondo dello spettacolo americano Ruth St. Denis aveva conquistato una notevole popolarità grazie ad un'immagine pubblica di sé accattivante ma impenetrabile. All'immagine della fanciulla casta e sensuale che in lei aveva visto Hofmannsthal si era sostituita, dopo il matrimonio con Shawn, quella della moglie innamorata e fedele. Il tema dell'amore è invece presentato secondo il canone saint-denisiano in Ishtar of the Seven Gates. La figura di Ishtar, la dea babilonese dell'amore e della fertilità, era per Ruth St. Denis «il principio della creatività». Qui la passione e 42 impegni quei momenti di solitudine e di quiete spirituale che l'India letteraria le aveva ispirato. Grazie al suo talento teatrale, riuscí a conquistarsi la stima di alcuni grandi maestri della scena asiatica con cui instaurò brevi ma proficui rapporti artistici. La tournée della Denishawn si rivelò un viaggio di ricerca e di importanti scoperte culturali anche per Ted Shawn e il resto della compagnia. Shawn era interessato allo studio della funzione della danza all'interno di differenti culture e gruppi etnici, all'analisi delle diverse tecniche del corpo e si poneva domande importanti sulle prospettive di uno sviluppo delle esperienze interculturali. La Denishawn, che ormai era un'importante istituzione culturale americana condusse cosí in maniera informale una vera e propria campagna di ricerca parallelamente agli impegni della tournée. Ciò significò sfruttare al massimo gli spazi lasciati liberi dall'impresario Strok. Uno dei sintomi di quanto la loro idea della relazione Oriente-Occidente non si allontanasse troppo dal modello unilaterale dell'ideologia coloniale è dato dal fatto che i due artisti raramente si posero il problema di come i loro spettacoli venissero percepiti dagli asiatici. Essi scrivevano dei successi di botteghino e raccoglievano le testimonianze di apprezzamento che provenivano dagli articoli pubblicati nei giornali locali, tutti in lingua inglese. Non facevano però commenti, né fornivano notizie sull'identità di chi scriveva quegli articoli né su chi li leggeva, dimostrando uno strano disinteresse per una tematica come quella della legittimità e dell'autorevolezza della critica che invece li vedeva impegnati in prima fila negli Stati Uniti. I due artisti conducevano infatti una dura battaglia contro la stampa americana, colpevole a loro avviso di dare un'informazione inadeguata e distorta sugli spettacoli di danza. L'impressione è che la rinuncia ad esercitare in Asia quella "critica della critica" che praticavano con tenacia in America, fosse il riflesso di un'accettazione passiva del contesto performativo dentro cui i loro spettacoli venivano collocati. Un esempio emblematico di quanto il loro punto di vista fosse a volte condizionato da un'ottica etnocentrica è quello che riguarda il Giappone, un paese che, a differenza degli altri che visitarono, era politicamente indipendente dall'Occidente. Il rapporto con il Giappone passò attraverso diverse fasi. Innanzitutto vi fu la sorpresa di ricevere sin dal debutto al Teatro Imperiale di Tokyo un apprezzamento da parte della stampa giapponese. St. Denis e Shawn dimostrarono un interesse straordinario per la danza tradizionale giapponese. Entrambi d'altra parte avevano già creato in America delle coreografie che si ispiravano all'eleganza raffinata ed essenziale delle danze delle geishe e allo stile marziale di quelle maschili. Avevano appreso i rudimenti della tecnica performativa giapponese da artisti emigrati in America. In Giappone essi cercarono un contatto diretto con i maestri di kabuki. Della forza e della bellezza della danza giapponese aveva avuto già una prova assistendo molti anni prima agli spettacoli di Sada Yacco a Parigi e ad una rappresentazione di kabuki a Los Angeles. Ma al Teatro Imperiale di Tokyo ciò che la stupí di piú fu la ricchezza della macchina teatrale costruita per esaltare al massimo la centralità dell'azione dei performer. La scenografia, i costumi, i travestimenti del kabuki affascinarono la Denishawn. Ruth St. Denis si dimostrò particolarmente interessata al trucco dell'attore kabuki. La metamorfosi teatrale era da molti anni un tratto distintivo del suo stile performativo ma rappresentava anche l'applicazione di un principio filosofico-religioso in cui credeva profondamente. Nascondere la propria persona per fare apparire il personaggio, era nei suoi spettacoli un altro modo di dar forma alle sue visioni interiori. Era anche il risultato di una precisa tecnica teatrale che aveva appreso da Belasco e che usava per creare stupore e meraviglia nel pubblico. La danzatrice aveva l'abilità di dipingersi il volto e di trasformarlo in una vera e propria maschera. «Teatro semiclassico e semipopolare»: cosí la danzatrice definì il 45 kabuki, di cui ammirava il carattere didattico e la sua capacità di veicolare dei valori nazionali, qualcosa che la danza e il teatro americani di allora non riuscivano a fare perché erano sotto il controllo dei signori di Hollywood e di Broadway. Forse fu per questa sua immediatezza comunicativa che St. Denis e Shawn preferirono studiare il kabuki piuttosto che il nô. Presero lezioni di danza sotto la guida di Koshiro Matsumoto, l'attore principale della compagnia del Teatro Imperiale. Koshiro Matsumoto insegnò a Shawn un ruolo di onnagata e un ruolo di demone per Momiji-Gari, un dramma kabuki che il coreografo americano aveva deciso di inserire nella tournée della Denishawn programmata negli Stati Uniti per la stagione 1926-1927. Secondo Sherman Momiji-Gari fu uno spettacolo importante perché riuscì a dare al grande pubblico americano una prima idea di cosa potesse essere un autentico dramma danzato giapponese. Shawn si impegnò anche per rimanere fedele all'originale e fornirne una versione piú "letterale" possibile. Ruth St. Denis, che aveva già sperimentato ai tempi di O-Mika il duro training della danza delle geishe, era convinta che quel metodo rigoroso di allenamento corporeo costituisse di per sé un'esperienza fondamentale. Il caso di Momiji-Gari è indicativo di come i due artisti americani si posero davanti ai capolavori dell'arte teatrale asiatica. Quando St. Denis e Shawn ritornarono a Tokyo, poco prima del rientro negli Stati Uniti, trovarono disdicevole che alcune compagnie locali cercassero di «copiare la Denishawn». La Denishawn lasciò il Giappone alla fine del 1925 alla volta di Pechino. Il soggiorno nella capitale cinese fu intenso. La compagnia danzò al Pavilion Theatre davanti a un pubblico di élite. La prima sera fu presente anche Mei Lanfang, il grande attore dell'Opera di Pechino, che per l'occasione offrí una sintesi di circa un'ora di un dramma che aveva per protagonisti il generale Wu e sua moglie. Mei Lanfang danzava, recitava e cantava nel ruolo di una giovane donna che tenta di impedire al marito - il generale Wu - sconfitto in un'importante battaglia, di ritornare sul campo di combattimento per cercarvi la morte. Dalla collaborazione con Mei Lanfang nacque General Wu Says Farewell to His Wife una coreografia di una decina di minuti. Secondo Sherman, anche in questo caso, come per Momiji-Gari, le convenzioni teatrali dell'opera originale furono rispettate. Sicuramente nel caso di General Wu il lavoro di "traduzione" avvenne utilizzando una conoscenza poco piú che superficiale dello spettacolo di Mei Lanfang. Il contributo di Mei Lanfang si limitò ad un'unica lezione durante la quale St. Denis e Shawn, che non facevano parte del cast dello spettacolo, lavorarono per prendere appunti scritti che sarebbero serviti successivamente per le prove. General Wu fu provato durante il proseguimento della tournée. Debuttò prima della fine del viaggio del 1926 a Singapore. È chiaro che in un contesto del genere, ancor più provvisorio di quello di Momiji-Gari, è difficile pensare a General Wu come ad un lavoro approfondito sulle tecniche e le convenzioni del teatro ci- nese. St. Denis e Shawn si basarono sui loro ricordi dello spettacolo di Mei Lanfang e su quanto i danzatori e le danzatrici della compagnia avevano appreso direttamente dalla lezione del maestro cinese. Come per l'esempio giapponese, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio tentativo di alfabetizzazione teatrale, di assimilazione di una serie di segni sconosciuti. Forse sarebbe piú corretto considerare General Wu e Momiji-Gari dal punto di vista piú propriamente pedagogico. Le due coreografie furono degli studi sull'Opera di Pechino e sul kabuki. Fu questa la loro qualità principale: si trattava di appunti coreografici trascritti e fissati sulla scena teatrale e sul corpo dei danzatori. Questo modo di procedere pragmatico era tipico dello stile della Denishawn ma era anche il suo limite perché in fin dei conti prevaleva sempre l'idea che il risultato fosse piú importante del processo di apprendimento. E il risultato era commisurato alla risposta del 46 pubblico americano. In effetti Momiji-Gari e General Wu si rivelarono sì dei successi ma di natura effimera. Durarono invece molto di piú come contenitori di esperienze teatrali e coreografiche che avrebbero influenzato l'attività pedagogica degli ultimi anni della Denishawn. Nella convenzione dell'Opera di Pechino i servi di scena lavorano a vista mentre l'azione del dramma è in pieno svolgimento. Il loro compito è quello di porgere degli oggetti agli attori- danzatori, di introdurre, spostare e togliere dal palcoscenico elementi ed accessori scenici. La loro presenza è neutrale, priva di significati drammatici e la loro visibilità non distrae l'attenzione del pubblico che si concentra soltanto sulle azioni degli attori-danzatori. Il servo di scena della Denishawn interpretò però una sorta di clown le cui azioni di servizio riuscivano a far ridere il pubblico e a strappare l'applauso. Fu l'unica deviazione sostanziale dalla caratterizzazione dei ruoli-tipo dell'Opera di Pechino. St. Denis e Shawn si mostrarono anche molto attenti ad usare la pantomima secondo le regole del teatro cinese che le attribuisce il compito fondamentale di far intuire al pubblico l'ambiente in cui agisce il personaggio. Nella scena iniziale di General Wu, l'attrice si confrontava con una delle pantomime piú famose dell'Opera di Pechino, quella dell'attraversamento del fiume su una barca, un vero e proprio banco di prova per gli attori cinesi. L'ingresso del generale-eroe Wu con i suoi passi ampi, le ginocchia piegate, i movimenti a scatto della testa spezzava l'atmosfera delicata della scena del giardino. Con una pantomima ricca di pose improvvise (liangxiang) il generale raccontava alla moglie la propria disfatta in battaglia. La scena conclusiva era molto drammatica: non essendo riuscita a distrarlo dai suoi pensieri funesti, né a dissuaderlo dal tornare sul campo di battaglia a cercarvi la morte, la donna si suicidava con la spada del marito. In questo finale la danzatrice si esibiva eseguendo, prima con una, poi con due spade, una breve danza guerriera. L'assolo si concludeva con una posa scenica: una spada veniva poggiata sulla testa, l'altra sul petto; poi la donna si colpiva e cadeva per terra mentre il sipario si chiudeva. LE ACROBAZIE DEL TEATRO POPOLARE BIRMANO: LO YEIN PWE Nella capitale birmana dove la compagnia arrivò nel 1925 St. Denis e Shawn assistettero a numerosi spettacoli tradizionali chiamati nella lingua locale con il nome generico di pwe. Con pwe in Birmania si può indicare uno spettacolo di ombre (yokthe pwe), un dramma danzato su temi buddhisti o storici (zar pwe), una danza femminile di corte (yein pwe), uno spettacolo di clown (anyein pwe) e una cerimonia animista di possessione (nat pwe). St. Denis e Shawn non si lasciarono sfuggire nessuna occasione per assistere a diversi tipi di pwe e riuscirono anche ad en- trare in contatto con il danzatore Po Sein che allora era la massima autorità nel campo delle arti performative birmane. Po Sein fu il riformatore del teatro tradizionale, colui che traghettò il pwe verso la modernità. Fu infatti il primo attore-danzatore birmano a rappresentare lo zat pwe, il dramma danzato, su un palcoscenico e il primo ad introdurre la scenografia dipinta e gli effetti di luce. Il suo successo incoraggiò la rinascita del professionismo teatrale in Birmania. Po Sein provò vivo interesse per la Denishawn di cui vide due spettacoli all'Excelsior Theatre. Diede lezioni di danza a Shawn e seguí il lavoro iniziale di preparazione di A Burmese Yein Pwe, la nuova coreografia della Denishawn. Un episodio emblematico che ci ricorda come in epoca coloniale forme e generi teatrali occidentali e asiatici si mescolassero ormai sempre di piú. La protagonista di A Burmese Yein Pwe era Doris Humphrey. Il gruppo delle cinque danzatrici "birmane" interagiva come in molti spettacoli di pwe-con due clown che le incitavano a compiere difficili passi di danza e figurazioni acrobatiche. Cosí come era avvenuto con il 47 rappresentante piú autorevole e famosa della isai vellala, l'antica casta delle danzatrici professioniste. La riscoperta in tutta l'India del valore culturale della danza portò a quello che venne chiamato il Rinascimento della danza indiana. Ma in effetti non si trattò tanto di un rinascimento artistico quanto piuttosto della rinascita dell'interesse della borghesia indiana per le proprie tradizioni coreutiche. Quella che è stata anche chiamata "l'invenzione della tradizione" della danza indiana fu piú che altro la ricodificazione in chiave moderna e urbana di una tradizione ancora vivente. La tradizione fu "inventata" modificando alcuni aspetti sostanziali che riguardavano non solo la forma e lo stile ma anche le modalità di produzione degli spettacoli. Fondamentale fu il passaggio della danza dal contesto festivo-religioso a quello borghese dello spettacolo offerto a pagamento su un palcoscenico teatrale. Ciò significò la nascita di un nuovo professionismo teatrale urbano aperto a chiunque volesse intraprendere una carriera artistica. Evidentemente, con la creazione delle prime accademie cambiarono anche i modi di apprendimento della danza. Ruth St. Denis potrebbe avere giocato un ruolo nella riscoperta dei valori coreutici da parte della borghesia indiana. Il suo successo fu cosí forte ed evidente che Tagore la pregò di rimanere in India per insegnare danza nella Visva Bharati, l'università che aveva fondato nei pressi di Calcutta. Ruth St. Denis ottenne successo tra la stampa e il pubblico indiano. Secondo Coorlawala, che ha intervistato alcuni spettatori della Denishawn: «Nautch di St. Denis dimostrava che un rituale socialmente indesiderabile poteva essere presentato in una forma artistica su un palcoscenico pubblico. Ma essa non ispirò in maniera diretta nessun allievo indiano che potesse perpetuare o glorificare il suo contributo alla danza indiana». Molti anni dopo il suo viaggio, diversi artisti e studiosi indiani le hanno invece riconosciuto il merito di avere introdotto il pubblico teatrale americano ed europeo alla danza indiana. Coreografie come Incense o Radha creazioni non mostrate in India, forse perché poco indiane nella forma danzante - avevano colto in pieno il carattere ritualistico e metafisico della danza induista. All'immagine melodrammatica della bayadera, Ruth St. Denis aveva sostituito l'immagine composta e controllata di una danzatrice-icona la cui danza solitaria e indipendente rifletteva la ricerca di un'armonia superiore. Nel 1926, Ruth St. Denis partí dall'India gratificata dal successo della tournée ma intimamente delusa dalle esperienze che aveva vissuto. Durante quei quattro mesi aveva cercato di ritrovare nell'India reale l'India sognata in America attraverso i libri e le opere d'arte. Aveva cercato un'ulteriore illuminazione, un'altra e piú forte iniziazione religiosa. Aveva vissuto con l'attitudine di chi si attende una rivelazione, ma si era ritrovata invece nella condizione di essere lei a dover dare qualcosa, un messaggio di bellezza che proveniva dall'Occidente. L'India reale l'aveva delusa, infatti, perché uccideva quell'ideale bello con cui lei aveva identificato l'Oriente. La realtà si era mostrata molto piú complessa, contrad- dittoria, spesso scandalosamente brutta. Aveva reagito pensando di coreografare un assolo, The Spirit of India, in cui avrebbe danzato la riconciliazione tra la sua visione dell'India spirituale e l'India reale: all'inizio sarebbe apparsa in scena ricoperta di stracci, poi, con l'aiuto di uno yogin, gli stracci sarebbero stati strappati via e allora sarebbe apparsa l'India spirituale e vitale, colorata di rosso e di oro, danzante. Durante il viaggio St. Denis imparò a compensare il brutto con il bello, ma questa visione dualista non l'aiutò ad entrare in sintonia con la realtà indiana. Il viaggio in Oriente aveva rafforzato la sua fede spiritualista, la certezza dell'esistenza di una religione universale del Bello, di una tradizione che accomunava i popoli al di là delle differenze culturali ed antropologiche. L'Oriente sognato poteva anche non esistere piú nell'Oriente reale e continuare ad esistere nella sua danza, una danza americana nutritasi dell'eredità spirituale 50 indiana e che adesso, fattasi adulta, doveva assumersi la responsabilità di trasmetterne, sotto altre forme, il messaggio. Questa nuova e inaspettata consapevolezza che la delusione indiana le aveva provocato apriva all'artista un'altra prospettiva, quella di una danza sacra non piú esotica, non piú straniata da simboli oscuri e misteriosi, ma fondata sui valori di base della sua cultura. Dall'Oriente era tornata anche con la conferma del potere straordinario che la danza esercitava su di lei. IL RITORNO ALLA VISIONE INTERIORE: WHITE JADE Gleanings from Buddha Fields fu il titolo accattivante con cui la Denishawn presentò al pubblico americano la sezione orientale del programma che inaugurava, al ritorno in patria, la tournée del 1926-1927, il Judson Tour. Era la prima volta nella storia dello spettacolo occidentale che una compagnia di danza o di teatro tornava da un viaggio in Asia portando con sé una documentazione così ricca sulle culture teatrali di quel continente. Gleanings from Buddha Fields conteneva Momiji-Gari, General Wu Says Farewell to His Wife, White Jade, A Burmese Yein Pwe, oltre ad altre coreografie ispirate all'India e a Giava. Sul valore etnocoreutico di queste produzioni oggi giustamente non si può che essere perplessi. In realtà, si trattava di tentativi piú o meno approfonditi di imitazione e di adattamento, e in alcuni casi erano semplici «impressioni teatrali». Altre volte ancora, come in White Jade, il pubblico americano si trovò di fronte delle creazioni del tutto originali. Se da un punto di vista teatrale ed antropologico Gleanings from Buddha Fields ci fornisce poche informazioni sul kabuki, il kathak o il wayang giavanese, da quello storiografico ci offre invece una serie di importanti indicazioni sul modo in cui la Denishawn costruiva la sua tecnica e il suo stile attingendo all'Asia cosí come precedentemente aveva fatto con la danza colta europea e con quella folklorica e popolare americana. Ciò nonostante, Gleanings from Buddha Fields ebbe per il pubblico americano della seconda metà degli anni Venti il valore di una vera e propria scoperta: per la prima volta gli spettatori poterono farsi un'idea seria della complessità e della ricchezza estetica, religiosa e filosofica di alcuni dei generi di spettacolo piú antichi dell'Asia. Dal suo viaggio in Oriente la Denishawn portò con sé costumi, accessori di scena, strumenti musicali, tessuti, oggetti di uso comune e d'antiquariato, perfino degli uccelli esotici. In realtà ogni pezzo di Gleanings from Buddha Fields rifletteva esperienze ed atteggiamenti diversi e nel suo insieme era il riflesso di quell'unione di teatralità giocosa e di ritualismo serioso e didascalico che aveva caratterizzato Ruth St. Denis sin dal tempo del suo debutto come danzatrice solista. In Gleanings from Buddha Fields la danzatrice aveva due assoli molto impegnativi ed intensi: A Javanese Court Dancer e quello che sarebbe diventato il suo maggior successo dentro il repertorio della Denishawn, White Jade. Si trattava di due assoli molto differenti perché ispirati a due diversi principî compositivi, quello che si fondava sull'imitazione-adattamento di un genere tradizionale e quello creativo in cui la danzatrice era libera da ogni modello stilistico preesistente. A Javanese Court Dancer era una versione del serimpi, la danza femminile delle corti delle antiche capitali giavanesi. Ruth St. Denis era rimasta affascinata dalla lentezza delle danze giavanesi a cui aveva assistito nel 1926 durante una solenne cerimonia religiosa tenuta all'interno del palazzo del sultano. Quella lentezza le ricordava i movimenti ieratici del nô giapponese e le dava l'opportunità di ritornare a lavorare sulla qualità fluida e statuaria che la danzatrice associava sin dai tempi di The Yogi alle tecniche di meditazione. Alcuni elementi tecnici di base della danza femminile giavanese sono: partenza dalla posizione seduta e lento 51 passaggio a quella in piedi; camminata in avanti con passi lenti, appena strisciati sul pavimento; serie di piccoli e veloci calci con cui spostare il lungo sarong durante la camminata; posizione di base con le ginocchia sempre in plié; movimenti di oscillazione della parte superiore del corpo. In A Javanese Court Dancer una grande attenzione era posta al movimento circolare delle mani che spesso disegnavano dei piccoli otto nello spazio, ai gomiti piegati verso l'esterno, al gioco con le due lunghissime sciarpe legate alla vita che, mosse dalla danzatrice, formavano figure leggere nello spazio. I movimenti erano sempre fluidi e in una fase centrale della danza Ruth St. Denis riproduceva il tipico procedere da posa a posa della danza giavanese, arrestando la fluidità della sequenza gestuale con brevi stop, in perfetta sincronia con il suono di un gong. Anche in questo caso appaiono però evidenti i limiti di un'operazione che seppur pionieristica, si fermava ad un approccio iniziale con le culture performative asiatiche. L'imitazione e lo studio delle tecniche furono troppo condizionati dai tempi commerciali della tournée e forse un maggiore approfondimento non rientrava neppure nei piani dei due fondatori della Denishawn. Avvenne cosí che molti pezzi orientali della Denishawn interessarono il pubblico ma mancarono di quell'intensità che le prime coreografie filologicamente meno attendibili (Incense e Radha) raggiunsero grazie ad un uso potente di simboli vagamente esotici in cui però la danzatrice riusciva a trasfigurare e comunicare la propria tensione spirituale. Sulla linea creativa di Incense e Radha si pose White Jade, uno dei capolavori di Ruth St. Denis. Nel 1925 la danzatrice si recò a visitare il Tempio del Cielo di Pechino. Ruth St. Denis racconta di «aver ricevuto» la sua visione di White Jade all'interno dell'Altare del Cielo. Secondo Sherman, che seguí da vicino la creazione di White Jade, la «visione della giada bianca» fece scaturire nella danzatrice un'associazione con la statua di alabastro di Kuan Yin, la divinità femminile buddhista della Misericordia a cui alcuni anni prima Ruth St. Denis aveva dedicato un assolo. La creazione di White Jade non fu però immediata. La danzatrice cominciò a lavorare concretamente alla coreografia molto dopo la visita al tempio cinese a Tokyo. Il debutto avvenne poi a Los Angeles nel 1926. L'armonia, l'equilibrio, la calma contemplativa sono il nucleo di White Jade. Con questo assolo Ruth St. Denis cercò di trasferire nel movimento del corpo la "geometria divina" che aveva percepito nelle forme dell'Altare del Cielo e di costruire una danza che come il tempio cinese creasse un ponte tra il mondo visibile e il mondo invisibile. Voleva fare del suo corpo un «tempio vivente». Secondo Shelton, danzare White Jade era per Ruth St. Denis un modo di entrare in uno stato contemplativo che rinnovava il suo spirito. La danzatrice chiamava questa condizione speciale la «quarta dimensione», riprendendo la terminologia utilizzata da Petyr D. Ouspenskij, filosofo mistico russo. White Jade non era però soltanto uno strumento che la danzatrice utilizzava per accedere ad un'intensa esperienza contemplativa, era anche uno spettacolo. Insieme ai geometrici, lenti e rarefatti movimenti della danzatrice si articolava infatti, nel suo stile sempre un po' retorico, tutto un intreccio di significati legati al simbolismo tradizionale di Kuan Yin. In questo modo la dea cinese della Misericordia divenne un oggetto di devozione per la danzatrice e un personaggio teatrale per il pubblico. Ruth St. Denis aveva già danzato Kuan Yin in un assolo creato nel 1919 ma soltanto con White Jade il simbolismo legato a questa divinità entrò con forza nella sua ricerca spirituale. Esso segnò il passaggio verso la devozione mariana che avrebbe contraddistinto l'ultima fase della sua vita e della sua carriera artistica. Kuan Yin è infatti la Madre Divina del Buddhismo cinese. Dea della saggezza, Kuan Yin «desidera che gli uomini esplorino la vita in tutti i suoi aspetti, dalla fase elementare sino alla trasformazione spirituale». Da sempre Ruth St. Denis era avversa ad un'interpretazione 52 difficile, sullo sfondo di questo complesso e fatale intreccio di situazioni, si affacciava una nuova realtà della danza americana che, nata dentro la Denishawn, si presentava come una vera e propria rivolta generazionale. Era la generazione di Martha Graham e degli stessi Humphrey e Weidman. Questa nuova generazione di coreografi aveva riconosciuto nella danza espressiva tedesca una verità artistica piú vicina al proprio bisogno di confrontarsi con la modernità e con i conflitti che essa produceva nell'individuo e nella collettività. La visione spiritualista di St. Denis e Shawn sembrava infatti inadeguata a rappresentare e indagare queste nuove tensioni perché, pur riconoscendone la realtà, le trasferiva su un piano in cui ogni conflitto veniva ricomposto nelle forme del simbolismo religioso tradizionale. John Martin, il critico che a partire dall'inizio degli anni Trenta avrebbe elaborato i fondamenti teorici di quel nuovo genere da lui per primo chiamato modern dance, vedeva ormai prevalere nelle coreografie della danzatrice una tendenza estetizzante e decadente. Secondo Martin, Ruth St. Denis era «sorpassata» perché la sua danza era diventata inefficace e artificiale in contrasto con ciò che è nato nei nostri cuori e nelle nostre menti dopo la Prima Guerra Mondiale. La danzatrice accusò il colpo e in maniera risentita scrisse alcuni anni dopo di essere stata ingiustamente attaccata e poi dimenticata per anni dall'intellighenzia della danza. Alla fine degli anni Trenta Ruth St. Denis tentò di chiarire la sua posizione nei riguardi della danza tedesca, una delle cause del contrasto con i due allievi. La danzatrice ammetteva di aver prestato poca attenzione alle richieste di introdurre la tecnica della danza espressiva all'interno della Denishawn ma negava l'esistenza di una pregiudiziale chiusura verso le ricerche di Rudolf Laban e di Mary Wigman. A conferma di ciò ricordava che due anni dopo la fuoriuscita di Humphrey e Weidman, la scuola aveva accolto un'insegnante allieva di Wigman. Ai concetti di forza fisica, di qualità terrena e di tristezza, che Ruth St Denis attribuiva a Mary Wigman, essa contrapponeva la sua filosofia della danza che, a suo giudizio, si ispirava a una visione meno negativa dell'esistenza umana. Se lo spettacolo di Wigman da un lato le aveva chiarito alcuni «importanti aspetti psicologici» della danza tedesca che lei non condivideva, dall'altro le aveva confermato che, da un punto di vista piú strettamente coreografico, non vi erano poi delle differenze cosí sostanziali tra le due esperienze. Ruth St. Denis aveva potuto constatare con i propri occhi che la "danza assoluta" di Wigman non impediva alla danzatrice tedesca di far uso di luci, costumi, maschere e ritmi musicali. La scena certo era molto semplice ed essenziale, lasciava che il movimento della danzatrice fosse il punto focale dello spettacolo, ma Ruth St. Denis non vedeva in questo una negazione della sua idea di danza. La ricerca di una "danza assoluta" le ricordava i suoi esperimenti con la music visualization che si erano spinti sino a concepire delle coreografie prive di tutto, anche della musica. Riteneva però che questa fase piú radicale della ricerca non fosse piú necessaria. Alla fine degli anni Trenta, il processo di indipendenza della danza dalle altre arti era ormai ben avviato e quindi la discussione intorno alla "danza assoluta", a suo avviso, doveva essere ridimensionata. La danza moderna, secondo Ruth St. Denis, doveva tener conto dell'esistenza di queste due opposte possibilità coreografiche, a patto che essa non abdicasse mai ad un'estetica del bello e dell'armonioso. Proprio a questo tema si legava la sua polemica piú aspra verso Mary Wigman. Criticava la danza tedesca per il suo carattere prevalentemente maschile, i suoi movimenti duri e virili che cancellavano dal corpo delle danzatrici la loro femminilità. Secondo Ruth St. Denis l'identità del corpo della donna non poteva prescindere dal principio spirituale femminile. C'è da chiedersi però se Ruth St. Denis effettivamente non si rendesse conto dell'enorme potenziale creativo che la danza moderna tedesca aveva sviluppato proprio 55 tra le danzatrici. La tecnica di Wigman piú che snaturare la femminilità aveva casomai dato un contributo fondamentale alla ricerca di un'identità della donna piú profonda, e non riconducibile del tutto ai comportamenti acquisiti all'interno di culture patriarcali. La tristezza e la pesantezza che Ruth St. Denis leggeva in Mary Wigman, unite alla sua potenza fisica, non erano, come lei le aveva intese, i segni di una «negatività psicologica», distruttiva e disperata. Indicavano piuttosto la presenza nella danzatrice tedesca di una consapevolezza del tragico e dell'epico della condizione umana di cui la donna si assumeva da sola tutta la responsabilità. Queste stesse qualità etiche e questa stessa autonomia dal principio maschile le ritroviamo in Martha Graham. Al tema della necessità biologica e spirituale del bilanciamento degli opposti Ruth St. Denis dedicò nel 1930 una coreografia, Angkor Wat, di ispirazione cambogiana. Il tragico è assente, ogni conflitto si ricompone nelle nozze mistiche tra il principio maschile e quello femminile. In Angkor Wat Ruth St. Denis utilizzò per l'ultima volta il grande scenario orientale per riaffermare la sua fiducia in un'arte bella e in un mondo ispirato dalla presenza del divino. La scenografia riproduceva una delle porte del grande tempio indú-buddhista di Angkor. Piú di quaranta danzatori facevano parte del corpo di ballo. I costumi erano in stile antico cambogiano. Ruth St. Denis definí Angkor Wat la sua coreografia piú bella e importante dai tempi di Ishtar of the Seven Gates. Fu l'ultimo grande spettacolo che produsse per la Denishawn e fu anche l'ultima volta che creò un personaggio di divinità orientale. Accanto a lei, nel ruolo di protagonista maschile, non c'era però Shawn ma Lester Shafer, uno dei piú esperti danzatori della compagnia. Angkor Wat metteva in scena l'antico mito di fondazione della cultura khmer in cui la divinità serpente, il Naga, si unisce in nozze con il primo sovrano cambogiano, Preah Thong. Ruth St. Denis era la Regina dei Naga. Indossava un abito lussuoso che la trasformava in un ibrido, metà donna e metà serpente. Un diadema tempestato di gemme faceva da base ad un altissimo copricapo a forma di ventaglio ornato con sette figure di teste di cobra. Questo costume non era altro che un'ardita trasposizione scenica di uno dei motivi scultorei piú suggestivi di Angkor. Lo stile della coreografia si ispirava piú ai motivi plastici dei bassorilievi e delle statue cambogiane che alle autentiche danze di corte khmer. In Angkor Wat le principali figure coreografiche alludevano al tema dell'unione dei due principi opposti del maschile e del femminile. Ruth St. Denis aveva iscritto questa bipolarità bilanciata nei movimenti del suo personaggio che durante l'assolo eseguiva una medesima sequenza di gesti utilizzando in successione le due modalità energetiche che caratterizzano i ruoli dell'eroe e della principessa nella danza tradizionale cambogiana. Angkor Wat si concludeva con la scena notturna d'amore tra la Regina dei Naga e il Re dei Khmer che si univano in un'armoniosa danza di accoppiamento. La posa finale, con i corpi intrecciati e le braccia tese rivolte verso il cielo, simboleggiava la loro relazione simbiotica. In Angkor Wat il tema della natura androgina della Regina dei Naga non è secondario rispetto a quello dell'unione che si realizza nelle "nozze mistiche" con il re. Quindi lo stesso principio del bilanciamento di maschile e femminile si trova espresso a due livelli. Per Ruth St. Denis il simbolismo dell'androginia divina si estendeva anche al campo dell'esperienza psicologica dell'artista: il processo creativo nasceva dalla ricerca del completamento della propria natura, composta da potenzialità maschili e femminili. Il processo creativo aspirava a quell'unità della psiche umana che l'androginia divina simboleggiava. Questo impersonificare sulla scena teatrale l'«Essere completo» non era soltanto la reiterazione di un tema religioso ma aveva un legame con la vicenda biografica della danzatrice. La separazione definitiva con Shawn. La fine di questo binomio rompeva un 56 equilibrio che aveva garantito, fra le altre cose, una straordinaria attività creativa. Nel 1931 danzarono insieme per l'ultima volta nel quinto concerto di danza organizzato dalla Denishawn al Lewisohn Stadium. Dopo quella data Shawn si dedicò interamente al suo nuovo progetto di costituzione di una compagnia maschile, la Ted Shawn and His Dancers. A Ruth St. Denis restò la gestione di ciò che restava della Denishawn House. Si accorse ben presto di essere ormai «teatralmente morta». Sicuramente Angkor Wat segnava una transizione, un passaggio verso una nuova fase della vita della danzatrice. Dietro la sua superficie esotizzante e metafisica, Angkor Wat nascondeva un discorso sull'identità, identità di donna e di artista. C'è chi ha visto nel tema dell'androginia il tentativo di Ruth St. Denis di ridefinire la propria persona in risposta all'omosessualità di Shawn. Ma forse nella figura dell'androgino c'era qualcosa che andava al di là della relazione con Shawn. Ruth St. Denis aveva cominciato a delineare ed elaborare quella nuova identità autonoma, saldamente indipendente dalla figura maschile, che avrebbe caratterizzato la sua terza vita di artista. LA CATTEDRALE DELLA DANZA DEL FUTURO VITA NOVA Prima del 1934, l'anno di chiusura della Denishawn House e del trasferimento in una piccola abitazione-studio chiamata Vita nova, Ruth St. Denis concepì due ambiziosi progetti molto diversi tra loro. La danzatrice sentiva il bisogno di interrompere quell'isolamento artistico in cui si era venuta a trovare dopo la fine del sodalizio con Ted Shawn. Il primo progetto, quello della creazione di un Ballet of the States, fu elaborato nel 1932 quando ebbe l'incarico di dance director della Fiera Mondiale di Chicago. Questo impegno assopí momentaneamente quella tensione verso il sacro che l'avrebbe condotta di lì a poco a radicalizzare la sua ricerca di una danza esoterica e mistica. Il Ballet of the States prevedeva la costituzione di una nuova compagnia che avrebbe dovuto mettere in scena un kolossal sulla storia nazionale americana. Ruth St. Denis aveva pensato ad un grande evento, una sorta di pageant allegorico da rappresentare nell'arco di sette giorni. Lo spettacolo si propone di riaffermare l'importanza dell'«unità della coscienza americana». Il progetto di Ballet of the States riportò temporaneamente Ruth St. Denis nel clima delle battaglie culturali per il riconoscimento della danza come elemento fondamentale della cultura americana. Questo nuovo progetto riproponeva quella stessa idea in un'America profondamente mutata, drammaticamente segnata dalla grande depressione economica e attraversata da una crisi di identità politica. Ballet of the States offriva un messaggio positivo e rassicurante. Nel documento programmatico del- lo spettacolo Ruth St. Denis sosteneva la necessità che la danza desse il suo contributo alla creazione di un'arte nazionale e dichiarava che lo scopo della sua nuova produzione era quello di «focalizzare l'attenzione dei danzatori e del pubblico sulla gloria e la potenza dell'America». L'organizzazione del Ballet of the States presupponeva una vera e propria mobilitazione delle energie artistiche dei singoli Stati della Federazione. Ogni Stato avrebbe dovuto selezionare nel corso di gare pubbliche i danzatori che sarebbero poi andati a formare una compagnia nazionale. Questa sarebbe stata addestrata secondo i principi della visualizzazione musicale per costituire una Synchoric Orchestra. Ruth St. Denis nel suo progetto si soffermò sulle modalità di formazione dei danzatori. Il progetto non andò mai in porto. Fu rifiutato «perché troppo costoso». L'ambizioso progetto della danzatrice aveva però colto un dato storico oggettivo: la danza moderna americana, dopo piú di trent'anni di 57 l'espressione era raffreddata dal gesto calmo, stilizzato, ieratico della testa, delle braccia e delle mani, che non ad alcune sue visualizzazioni musicali dove il gioco ritmico del movimento delle gambe esprimeva vitalità, slancio, abbandono alla musica. La danza del futuro sarebbe dovuta nascere non dalla musica ma dal silenzio. La conoscenza delle teorie e degli esercizi di Delsarte aveva portato nel mondo della danza la consapevolezza che il corpo era uno strumento di espressione delle emozioni e non soltanto fisicità e ritmo, ma adesso, secondo Ruth St. Denis, bisognava allargare l'interpretazione del corpo, scoprirne la vera natura e vedervi il riflesso di Dio. Per agevolare questa ricerca di essenzialità bisognava limitare l'importanza della musica nella danza. Bisognava andare verso l'astratto, bisognava partire dal silenzio. In una conferenza del 1944, The Silent Dance, la danzatrice affronta ancora una volta il difficile compito di illustrare il processo creativo basato su di uno stato di intensa concentrazione interiore. Con danza silenziosa intendiamo l'uso di tutte le articolazioni del corpo per esprimere il pensiero senza l'uso di suoni o stimoli esterni. Intendiamo dire che il corpo e tutte le sue parti e possibilità di movimento possiedono un linguaggio proprio e che questo linguaggio è più che sufficiente per rivelare ed esprimere certi stati interiori di pensiero o emozione. Più studiamo la danza risalendo verso la sua sorgente più scopriamo che potrebbero aprirsi davanti a noi inaspettate ricchezze di gioia e movimento se per un attimo rinunciassimo al piacere sensuale con cui normalmente rispondiamo alla musica, per iniziare a sperimentare una motivazione molto differente, vale a dire il pensiero. In The Divine Dance la danzatrice fa riferimento ad una vera e propria purificazione del corpo attraverso la disciplina dell'isolamento e del silenzio. Nel silenzio diventa possibile aprire l'ascolto interiore allo spazio esterno e creare una relazione con esso. Inizia cosí la danza silenziosa, una forma di identificazione ritmica, dinamica, corporea con il mondo: Nel nostro desiderio di realizzare le potenzialità della danza silenziosa inizieremo proprio con la respirazione percependola come l'espressione del flusso dinamico della vita che attraversa il corpo. La luce porta gioia e piacere sensuale, sottile ma assoluto. Dopo la luce, Ruth St. Denis passa ai «ritmi naturali visibili»: gli alberi che oscillano al vento, le onde del mare, le nuvole che si dissolvono nel cielo; poi gli animali. Tutto ciò nella danza silenziosa può trovare una risposta nel corpo del danzatore perché «tutto ciò è in noi. Tutti questi movimenti belli sono una parte della nostra eredità divina». Non diversamente dalla natura, anche l'arte può fungere da modello della danza silenziosa: Lo scopo più alto della danza è quello di espandere i poteri nascosti del nostro io. È in questa identificazione con un oggetto bello che l'attore e il danzatore si incontrano. I processi espressivi sono differenti. L'attore parla e il danzatore si muove ma il processo interiore del "diventare" è lo stesso. Per Ruth St. Denis l'idea della danza come ampliamento della coscienza si fonda sul processo del diventare altro da sé. L'imitazione gestuale è in effetti un processo di conoscenza molto particolare perché si attua attraverso un'incorporazione del reale. Pensare con il corpo è anche un pensare concreto, singolare, individuale. Ancora una volta la danzatrice riafferma il valore dell'espressione individuale. La danzatrice è convinta che «il misterioso processo di identificazione che inizia con l'infanzia» si possa estendere a forme sempre piú alte di imitazione, oltre il bello della natura e delle opere d'arte, ed arrivare a quell'imitazione del Cristo operata dai santi. Questa convinzione la porta ad accentuare la glorificazione del corpo umano sul modello ideale di un Cristo irradiante bellezza e forza. L'immagine della danza sacra come gioia, potenza, emanazione luminosa è a sua volta il riflesso della presenza vivente di Cristo nel danzatore divino. «Nella danza silenziosa», scrive St. Denis, «lavoriamo all'estensione del nostro vocabolario gestuale, 60 all'ampliamento della nostra identificazione cosciente con l'ideale e a migliorare il controllo del nostro microcosmo in relazione all'universo». Il danzatore che crea nel silenzio sarebbe diventato «padrone di sé», avrebbe potuto esplorare territori molto piú vasti di quelli consentiti dall'ascolto musicale. Natura, arte e divinità sono i tre mondi analoghi con cui deve interagire il corpo-pensiero del danzatore divino. La danza del pensiero di Ruth St. Denis esclude infatti ogni contatto con il negativo che in The Silent Dance viene identificato con il mondo delle macchine. La danza spirituale deve essere espressione di gioia e di luminosità. INIZIAZIONE E CORI RITMICI Però questo elogio del silenzio non ha condotto Ruth St. Denis alla creazione di vere e proprie danze silenziose. All'interno delle attività della Society of Spiritual Arts continuò a danzare e creare coreografie facendo ampio uso della musica. La danza silenziosa piú che essere un vero e proprio genere di danza, era una tecnica personale, una disciplina interiore che favoriva il processo di identificazione immediata tra il sé e il mondo. In quell'intima unità spirituale che Ruth St. Denis chiamava anche «comunione con Cristo», stava la sorgente del processo creativo che si dispiegava come una manifestazione esteriore e danzata della pienezza interiore. La danza silenziosa riaffermava cosí l'indipendenza del processo creativo da qualsiasi sostegno esterno. «Dopo quando "ritorneremo" alla musica avremo acquisito una gamma piú ampia di espressioni e quindi una grande gioia nel movimento». Per queste danze divine che non dovevano avere uno scopo commerciale, Ruth St. Denis all'inizio degli anni Trenta ipotizzava la costruzione di un tempio, «un posto che aveva le motivazioni di una chiesa e la strumentazione di un palcoscenico». Tra il 1931 e il 1934, all'interno dei locali della Denishawn House Ruth St. Denis aveva cominciato ad offrire un servizio religioso ai partecipanti delle riunioni esoteriche. Era una situazione che la danzatrice definiva «sperimentale» e che conteneva un certo grado di ambiguità. Si indagò sul come i diversi livelli della preghiera si riflettessero nel corpo in azione; si crearono dei cori ritmici che proponevano temi religiosi. In uno di essi, Unin, venivano espresse attraverso il movimento corporeo di gruppo la confusione interiore e la solitudine cieca dell'individuo; ad un certo punto uno dei celebranti «apriva gli occhi», e, «svegliandosi dal sonno dell'ignoranza», si accorgeva di non essere solo. Illuminato da questa scoperta, «chiamava gli altri a formare con lui un cerchio consapevole di armoniosa unità». Le sezioni cristiane di questo nuovo culto cominciarono ad essere introdotte anche in alcune chiese newyorchesi. In una di esse, Gold Madonna, il coro liturgico cantò pure una canzone utilizzando come testo una poesia della danzatrice. L'idea di Ruth St. Denis era quella di non limitarsi a dei semplici spettacoli dentro le chiese, ma di proporre che la danza entrasse a far parte della liturgia cristiana. In quegli anni fu vicina anche ad ambienti religiosi ebrei e fu attratta dalla loro musica sacra su cui avrebbe voluto danzare riprendendo l'antica tradizione della danza di Davide descritta nel Vecchio Testamento. Klarna Pinska, una sua allieva ebrea, aveva esercitato durante gli ultimi anni della Denishawn una notevole influenza sulla danzatrice. L'aveva aiutata a definire in maniera piú chiara le sue tecniche di danza orientale e, come insegnante, aveva preparato una Synchoric Orchestra che danzò l'Incompiuta di Schubert. Fu un evento importante perché Ruth St. Denis poté mostrare per la prima volta in maniera completa una visualizzazione musicale danzata sulla musica eseguita dal vivo da una grande orchestra sinfonica. Dopo il 1934 le occasioni per presentare spettacoli sacri nelle chiese si moltiplicarono. Ruth St. Denis fu ospitata, per esempio, dall'Episcopal Calvary Church e dalla 61 Presbyterian Church. Le reazioni dei fedeli al "servizio religioso" offerto dalla danzatrice durante la liturgia furono abbastanza discordi. Le sue apparizioni nelle chiese attraevano una notevole massa di fedeli e i reverendi protestanti erano entusiasti della qualità spirituale del suo lavoro. Ma non mancava chi, fra i fedeli, trovasse sacrilega la presenza di danze durante la liturgia e protestava anche attraverso duri interventi sulla stampa. La danzatrice replicava sui quotidiani. Ruth St. Denis in queste battaglie ebbe molto vicino l'influente critico di danza Walter Terry. Una delle ricerche piú importanti che Ruth St. Denis condusse all'interno della Society of Spiritual Arts fu quella sui cori ritmici che a volte prevedevano la partecipazione di tutti i membri della Società presenti agli incontri religiosi. Questi si univano ai cerchi che i celebranti formavano attorno ai movimenti di Ruth St. Denis e interagivano con la danzatrice secondo diverse modalità. Si poteva creare per esempio un grande «cerchio della paura» che veniva poi rotto dall'azione salvifica della danzatrice; oppure si potevano «orchestrare le emozioni», replicando in gruppo e amplificando un gesto espressivo che Ruth St. Denis eseguiva. Ai rituali collettivi seguivano delle discussioni di carattere teologico ed estetico a cui partecipavano anche ospiti d'eccezione. Nella preparazione dei cori ritmici l'improvvisazione giocò soprattutto all'inizio un ruolo importante. L'improvvisazione faceva parte anche del percorso ideale di iniziazione alla danza sacra. Questo percorso comportava una prima fase in cui l'allievo si doveva arrendere alla disciplina del maestro, «offrendo il suo cuore» all'Altare della Mente Cosmica per entrare infine in uno stato di piena recettività. Nella seconda fase dell'iniziazione l'allievo veniva condotto dal silenzio, attraverso diverse tappe, ad uno stato di Unità con la Visione. Doveva apprendere la disciplina ritmica con cui acquisire un controllo cosciente del corpo ed una perfetta coordinazione dei movimenti nello spazio. Era previsto lo studio di camminate, corse, piroette, salti, compiuti con un percorso circolare sino ad eseguire fraseggi di danza completi. Soltanto a questo punto era consentito all'allievo di improvvisare, liberando la sua spontaneità. Egli doveva dare delle risposte immediate alle proprie visioni interiori e alla musica articolandole in movimenti coordinati. Questa seconda fase dell'iniziazione si concludeva con l'Unione Mistica in cui l'«essere spirituale» si realizzava attraverso la «sovranità sul proprio corpo». La terza fase dell'iniziazione era quella dell'Illuminazione. Con il crescere del numero dei membri della Società i rituali danzati furono divisi in tre tipologie a cui corrispondevano tre sezioni diverse del culto: il coro dell'altare, il coro ritmico e il coro danzante. Al primo gruppo partecipavano i membri piú anziani e chi non aveva alcuna esperienza di danza. Il loro compito era quello di allestire l'altare ed eseguire dei movimenti semplici connessi con certe fasi del rituale. I cori ritmici erano formati dai partecipanti che avevano una discreta dimestichezza con la danza e che potevano muoversi plasticamente soprattutto durante i canti religiosi. Infine i cori danzanti erano riservati alle allieve e agli allievi di Ruth St. Denis che dovevano danzare le coreografie dei "balletti sacri". I cori ritmici divennero sempre piú legati all'illustrazione gestuale degli inni e dei salmi cantati e costituirono il ponte tra il nuovo culto praticato all'interno della Society of Spiritual Arts e il servizio liturgico delle chiese cristiane. La ricerca sulla relazione tra gesto e parola prevalse cosí su quella piú astratta delle geometrie divine. Nei cori ritmici il testo cantato giocava un ruolo centrale, esso forniva la base di significato su cui Ruth St. Denis costruiva i suoi movimenti e la partitura gestuale a cui gli altri partecipanti rispondevano plasticamente. La struttura antifonale dei salmi veniva rappresentata anche nello spazio attraverso la creazione di un centro (St. Denis) e di cerchi concentrici, oppure per mezzo di un'opposizione tra una zona alta, un altare, e una zona bassa, a livello del terreno. L'uso del linguaggio delle mani assunse 62 lateralmente. Ruth St. Denis realizzò in quegli anni diverse versioni di Masque of Mary e Color Study of Madonna. Estrapolò ed estese anche dei singoli pezzi che presentò con il nome di White Madonna, Blue Madonna, Gold Madonna. Danzò sempre il "personaggio" in maniera sobria e piena di grazia. Come in White Jade, il movimento era lento, ampio ma interiorizzato. La danzatrice si spostava nelle varie direzioni in maniera fluida, tracciando semplici geometrie nello spazio. Il corpo esprimeva una qualità leggera senza bisogno di accennare a salti; i movimenti delle braccia delsartianamente partivano dal centro del corpo, si aprivano nello spazio per poi raccogliersi di nuovo attorno ad esso in atteggiamenti di dignitosa umiltà; le mani, sempre molto presenti, venivano usate per creare dei segni stilizzati che potevano avere anche una funzione mimica precisa. Sebbene in alcune scene come la Natività o l'Adorazione dei pastori e dei Re Magi si facesse un uso ampio della pantomima, ispirandosi al racconto evangelico, Masque of Mary e Color Study of Madonna non seguivano uno sviluppo narrativo. La loro struttura era celebrativa e circolare, si fondava sul potere evocativo del simbolismo cromatico che accompagnava le trasformazioni della Madonna. Queste sacre rappresentazioni attingevano le loro atmosfere dalla tradizione pittorica cristiana e da quella dei mistici moderni. Ancora una volta la danzatrice si affidava soprattutto al potere visionario dell'immagine, cosí come alla forza della sua presenza scenica, alla fascinazione prodotta dai movimenti lenti, dalla rarefatta manipolazione dei veli, dalle pose, dall'intensa concentrazione interiore, insomma da tutta quella non-danza che a molti, fin dai tempi di Radha, aveva fatto pensare al teatro. In Masque of Mary e Color Study of Madonna il colore era usato come un elemento fondamentale della costruzione della visione. Ad ogni velo corrispondeva una qualità profonda, essenziale della Madonna. In The Color Dancer Ruth St. Denis aveva criticato l'uso superficiale e approssimativo del colore negli spettacoli di danza. Il colore e quindi la luce avevano invece enormi potenzialità come le avevano dimostrato Belasco e Loie Fuller. Questa danzatrice tanto l'aveva ispirata nell'uso plastico e immaginifico dei veli e delle stoffe. In quegli stessi anni l'incontro con Thomas Wilfred, inventore del clavilux, aveva convinto Ruth St. Denis che il colore potesse diventare un elemento strutturale dell'opera del coreografo. In The Color Dancer sosteneva la necessità di indagare i rapporti tra l'arte della danza e l'arte del colore. In The Color Dancer Ruth St. Denis sosteneva che l'effetto prodotto sulla psiche umana dalla vibrazione del colore non è meno potente di quello del suono e invitava i danzatori a ricercare il tipo di reazione che provocavano in loro i diversi colori ma anche ad indagarne le qualità astratte. Non solo Ruth St. Denis aveva sin dall'inizio della sua carriera concepito il costume di scena come scenografia in movimento ma aveva successivamente attribuito al colore un'«influenza esoterica sul movimento del corpo». Dopo la fine della Denishawn le ricerche sulla relazione tra il colore e il movimento avevano comunque subito una battuta d'arresto. A metà degli anni Trenta le incerte vicende economiche ed organizzative della Society of Spiritual Arts e il radicalizzarsi della sua fede cristiana che la spingeva a limitare la sua attività artistica dentro le chiese, avevano ridotto le possibilità di utilizzare strumentazioni illuminotecniche di una certa complessità. Non si deve cosí credere che Masque of Mary e Color Study of Madonna fossero il risultato finale di un'accurata sperimentazione di quei principi formali a cui alludeva in The Color Dancer. Di ciò la danzatrice sembrava consapevole quando precisava che lo studio del colore rispondeva ad un simbolismo che non pretendeva di essere scientifico, né dottrinale, essendo piuttosto il risultato di alcune idee e impressioni personali. Dal punto di vista scenico però il colore era regolato da una precisa regia teatrale. Ogni cambio di velo era 65 un piccolo coup de thèâtre. Il colore costituiva l'elemento piú dinamico di uno spettacolo per altri versi molto statico. Nei masques, comunque, l'evidente teatralizzazione del movimento dei differenti veli era sempre ricondotta ad una cifra stilistica essenziale e consona alla sobria solennità del personaggio della Madonna. La differenza con un passato anche non lontanissimo si coglie immediatamente se si analizza la danza dei sette veli della sua Salome del 1931. Già nel 1907 l'elemento superficiale e alla moda dell'esotismo sensuale della danza dei sette veli era stato sostituito da un impianto fortemente poetico in cui il personaggio della giovane figlia di Erodiade mostrava di possedere motivazioni piú profonde e soprattutto una consapevolezza del proprio destino. Questo elemento narcisistico, autoreferenziale, la rendeva drammatica e avrebbe dato spessore psicologico alla sua danza. «L'essenza della danza era la trasformazione». La metamorfosi del personaggio, il disvelamento della sua natura tragica, era mostrato attraverso un uso molto sofisticato e teatrale dei sette veli utilizzati per compiacere Erode. L'assolo fu il canto del cigno della carriera teatrale di Ruth St. Denis, l'ultima occasione per mostrare in un contesto specificamente spettacolare le sue indiscusse capacità di danzatrice visiva, sapiente manipolatrice di stoffe, gonne e veli, abile creatrice di originali forme di colore in movimento. Danza di metamorfosi, la danza dei sette veli era tutta incentrata sulla trasformazione che ciascuno dei veli colorati apportava al movimento scenico della danzatrice. Gioco formale ma anche allusione al processo di denudamento psicologico del personaggio, la danza dei sette veli era composta da sette sezioni differenti. L'uso di un'ampia gonna, di mantelli e di lunghi veli che coprivano il corpo e perfino la testa cancellava ogni riferimento diretto a quella sensualità peccaminosa che la danza di Salomè portava inscritta dentro di sé. A quella sensualità Ruth St. Denis faceva riferimento soltanto a tratti, scoprendo maggiormente il corpo, marcando alcune camminate con un incedere ondeggiante, facendo sdraiare Salome ai piedi del trono di Erode. Il primo velo era di colore nero ed oro e Salomè lo indossava per il suo ingresso in scena, caratterizzato da «quattordici passi in stile nautch». Quest'ingresso culminava con il saluto ad Erode, seduto su un trono posto sul lato destro della scena. Ritornata sul fondo della scena, la danzatrice si disfaceva del primo velo per indossare, dando le spalle ad Erode, il secondo, una lunghissima gonna color blu pavone. La gonna, stretta alla vita, veniva utilizzata per creare l'immagine di una lunga coda a strascico oppure, nei momenti piú statici della danza, per creare l'immagine di una "fontana" di tessuto. Il momento culminante di questa sezione dell'assolo era un'intensa posa scenica caratterizzata da una torsione all'indietro del busto e della testa. Il terzo velo era nero, trasparente. Veniva indossato sulle spalle e copriva anche la testa. Puntando il piede in avanti con la gamba stesa orizzontalmente, Salomè si dirigeva in maniera decisa verso Erode, poi stendeva il velo per terra, vicino al trono, e vi si sedeva. In questa posizione cominciava a danzare sensualmente, muovendo soprattutto la parte superiore del corpo e disegnando con le braccia e con le mani delle linee spezzate secondo lo stile "egiziano". La danza assumeva sfumature sensuali piú forti quando per tre volte Salomè si stendeva lentamente all'indietro. Infine si rialzava, raccoglieva il velo nero, lo indossava nuovamente e si allontanava dal trono. La quarta sezione della danza si chiamava il "Velo della Luna". Avvolto mollemente attorno alle braccia, il leggero tessuto copriva abbondantemente le mani della danzatrice. Quando la danzatrice cominciava a girare velocemente su se stessa con le braccia distese lateralmente a mezz'aria, il velo ruotava come un'elica. Il quinto velo, una sciarpa multicolore sfrangiata, serviva per creare l'immagine del volo di una farfalla. Il sesto era una fascia di tessuto color oro; veniva agitato in aria mentre il corpo 66 si esibiva in acrobatici movimenti di gambe. Le fasce erano due ed erano scosse con un movimento energico di polsi e di braccia, a frusta. Il settimo velo, color rosso, veniva usato ancora una volta per creare un lungo strascico che partiva dalla testa. Salomè attraversava la scena guardando intensamente nella direzione di Erode. Infine, arrivata sotto il trono, stendeva nuovamente il velo per terra e vi giaceva supina mentre il sipario si chiudeva. Un'analoga collocazione bassa sulla scena aveva un'altra peccatrice, la prostituta Babilonia. Babilonia (St. Denis), simbolo della «corruzione e della crudeltà», sedeva su un «trono di vanità e di lussuria», collocato su una bassa piattaforma decorata con dieci teste demoniache di cartapesta. Attorno, su piattaforme piú elevate, sedevano i re della terra, totalmente affascinati dallo spettacolo della donna che languidamente beveva da una coppa dorata. Babylon fu nel 1937 a New York e fu dedicata all'Oxford Group, un movimento evangelico protestante a cui Ruth St. Denis si era accostata. Il manicheismo dell'Oxford Group si rifletteva in pieno in Babylon, una sacra rappresentazione costruita per contrasti e secondo una drammaturgia della redenzione ricca di momenti conflittuali e colpi di scena. Qui Ruth St. Denis aveva sostituito l'atmosfera terrifica ed esaltata dell' Apocalisse di san Giovanni a cui si era ispirata. Ruth St. Denis definí Babylon «un'opera danzata di carattere simbolico ed interpretativo»; considerò anche la rappresentazione come «la piú dinamica» delle sue coreografie sacre. Babylon era divisa in sette movimenti, ciascuno dei quali era introdotto dalla voce di un narratore che leggeva brani tratti dal testo profetico di san Giovanni. Nel primo movimento dominava l'immagine abominevole della prostituta Babilonia, la cui lussuria simboleggiava nell'Apocalisse la corruzione della grande città pagana. In quest'atmosfera caratterizzata dalle tonalità intense e cupe del rosso, dominava la figura di Babilonia. La donna è seduta, al centro della scena, sulla bestia di colore scarlatto, una piattaforma bassa, sufficientemente ampia per danzarvi sopra. La vediamo all'inizio immobile, delicata, seducente, con le labbra che poggiano sulla coppa dorata dell'abominio; poi oscilla appena e assume lentamente varie posizioni con la coppa, invitando le nazioni della terra a bere dai suoi peccati; infine con un gesto imperioso si porta la coppa sopra la testa come se fosse una corona. Il movimento termina con un climax netto ed imperioso, come se la donna comandasse alle nazioni di obbedirle. Per il personaggio di Babilonia l’abito era «orientaleggiante, ricco di gioielli e che lasciava ampie porzioni di i corpo scoperte». Evidentemente per la rappresentazione alla Calvary Church la danzatrice dovette rinunciare a quest'idea come dovette ridimensionare l'ambiziosa scenografia. Questa, oltre ad un sofisticato impianto illuminotecnico, prevedeva alle spalle del trono di Babilonia una scala che conduceva ad una grande porta trasparente dove si sarebbe dovuto intravedere nel finale della rappresentazione un angelo illuminato dalla luce del sole. La scena di Babylon era divisa in due aree, una bassa e l'altra alta, collegate da una serie di gradini; rientrava pienamente nel topos piú importante del teatro di Ruth St. Denis: discesa ed ascensione facevano parte della sua dialettica mistica, ma mai come in Babylon questa dinamica aveva assunto tinte così forti e drammatiche, mai aveva previsto la morte della protagonista. Soltanto in The Veil of Maya il processo di risalita mistica era stato immaginato con altrettanta tensione e perfino violenza. Ma anche in quel caso, come in quello della prostituta Babilonia, i protagonisti erano degli esseri umani e non delle figure divine. Nel secondo movimento della sacra rappresentazione, Babilonia si alzava dal suo trono. Il testo dell'Apocalisse che veniva recitato. Prima di danzare Babilonia si muoveva in maniera sfrontata, imperiosa, allegra, e assumeva posizioni piene di allusioni provocanti». La danza era «pesante, sensuale, ritmica». Il crescendo si interrompeva 67 uomini vestiti in abiti da monaco. Il pezzo era molto lento ed era ispirato alle atmosfere di un monastero. Il pubblico raffinato e colto della Carnegie Hall lo accolse trionfalmente. Quello di Gregorian Chant fu comunque un caso isolato. Ruth St. Denis riuscì a presentare in quegli anni dei cori ritmici e dei masques religiosi in altri teatri ma la sua vocazione per lo spettacolo sacro non trovò neanche questa volta nel mondo della danza americana una risposta adeguata alle sue attese. Grazie anche al suo contributo pionieristico, nel secondo dopoguerra la danza americana si era ormai affermata nel mondo come una realtà artistica forte. Essa comprendeva una pluralità di personalità diverse, e il discorso coreutico si articolava secondo percorsi raffinati contraddistinti da quel continuo e originale mescolamento delle diverse culture di danza che era iniziato all'interno della Denishawn. Di fronte a questa realtà vitale l'atteggiamento di Ruth St. Denis rifletteva un idealismo che a molti appariva sopra le righe e in fondo anche sopra la danza stessa. Mai come in questa ultima fase della sua attività artistica le idee prevalsero sulla concreta ricerca coreografica. I suoi ultimi anni furono un laboratorio di pensieri e di progetti mai realizzati o rimasti incompiuti. L'attività pedagogica fu discontinua e dislocata in varie sedi. La cerchia degli adepti implicati nell'attività dei suoi gruppi esoterici rifondati negli anni piú volte si assottigliò sempre di piú. Anche il suo impegno di diffusione della danza sacra nelle chiese si affievolì, scontrandosi con la sostanziale indifferenza e piú spesso con la contrarietà del mondo cristiano. Una contrarietà di segno opposto fu poi quella di chi sul versante laico e artistico non vedeva di buon grado un'operazione culturale che riconduceva il discorso della danza occidentale dentro ambiti strettamente religiosi. Importante fu senz'altro l'attività ricollegabile ad un'area non direttamente teatrale, cioè quella di conferenziera. Attraverso queste occasioni Ruth St. Denis perpetuava il suo impegno per l'affermazione della danza come strumento di miglioramento spirituale e civile della vita americana. Religione, amore e danza erano i tre punti attorno a cui disegnava improbabili scenari collettivi di una «nuova era», di un rinascimento artistico e spirituale di cui continuava a sentirsi pioniera. Molte conferenze furono dedicate al tema della formazione del danzatore che, seguendo i principî sperimentati durante la Denishawn, veniva presentata come una formazione artistica completa fondata sulla conoscenza dei molteplici linguaggi della scena. Nel campo della pedagogia della danza moderna Ruth St. Denis poteva vantare insieme a Shawn delle competenze straordinarie. La maggior parte dei componenti della nuova generazione di danzatori-pedagoghi si era formata alla Denishawn. Il metodo Denishawn, basato sull'idea di una danza teatrale moderna, sintetica, sperimentale, era ovviamente diventato il modello della scuola di Shawn nel Massachusetts. Parti importanti di quel metodo erano anche presenti nell'insegnamento di Martha Graham, Doris Humphrey, Charles Weidman, Louis Horst. In un progetto pedagogico del 1946, Ruth St. Denis delineava i punti principali del suo insegnamento rivolto a giovani danzatrici. Accanto allo studio delle tecniche di danza del vicino e lontano Oriente, figuravano lo studio della recitazione ritmica, l'insegnamento di alcuni fondamenti della musica, lo studio di strumenti a percussione, la guida all'ascolto musicale. Una parte non certo secondaria dell'insegnamento era rivolta a tre elementi su cui la danzatrice aveva costruito il suo successo: i costumi, l'uso dei gioielli, il trucco. Vi era poi una sezione tecnologica: illuminotecnica, fotografia e film. E sulla fotografia scriveva: «È il piú grande elemento di pubblicità per il danzatore». Per quanto riguarda il cinema, Ruth St. Denis si proponeva di insegnare alle sue giovani allieve come adattare una coreografia agli spazi di uno studio cinematografico. Una sezione dell'insegnamento era poi rivolta alle questioni economiche. Alle allieve sarebbe stata fornita una lista completa di agenti 70 teatrali, di compagnie, di teatri e locali dove poter danzare. Infine per chi avesse optato per una carriera di coreografo, critico o studioso di danza era prevista un'attività extracurricolare che comprendeva ricerche bibliografiche, contatti con i principali critici e studiosi cosí come continui aggiornamenti sulle scuole americane e sui centri di creazione di ogni tipo di danza. Nell'attività didattica e di divulgazione culturale di Ruth St. Denis un posto molto importante ebbero in questi ultimi anni le conferenze-spettacolo. Sostanzialmente si trattava di presentare un revival di assoli famosi legati tra di loro da tante introduzioni in cui venivano date informazioni di carattere storico, filosofico e tecnico sui singoli pezzi. Era un modo per la danzatrice di continuare a fare spettacolo riducendo al minimo l'impegno fisico, lo stress e i costi. Una conferenza-spettacolo poteva iniziare trattando dell'India per poi passare a trattare dell'Egitto, spesso presentato in chiave autobiografica come «l'origine del mio amore per l'Oriente». A queste introduzioni parlate seguivano gli assoli indiani ed egiziani. Ruth St. Denis introduceva poi altre sezioni dedicate alla Cina, al Giappone, alla Birmania, a Bali e Giava, al Siam, al Nord Africa e alla Spagna delle danze gitane. Il finale era dedicato interamente alle danze religiose cristiane e prevedeva una delle coreografie dedicate alla Madonna. Altre volte la danzatrice affrontava dei veri e propri concerti di danza. Per esempio nel 1945 all'Opera House di San Francisco danzò in un Program of Biographical Dances che comprendeva una lunga serie di assoli famosi fra cui Incense, The Cobras, Nautch, The Yogi, Radha, White Jade, The Peacock, A Figure from Angkor Wat, Liebestraum. A conclusione della serata Ruth St. Denis interpretò Gold Madonna accompagnata da un coro ritmico composto da alcune sue allieve. Nel 1952 Ruth St. Denis organizzò a Hollywood un'importante mostra fotografica retrospectiva, Historic Photographs of Ruth St. Denis, Ted Shawn, and The Denishawn Company. Nel 1951 aveva cominciato a donare alla Dance Division della New York Public Library un cospicuo numero di documenti. Ruth St. Denis partecipò quindi in prima persona al processo di storicizzazione della sua opera. Riuscì anche a teatralizzare questo processo e a renderlo economicamente proficuo attraverso l'organizzazione di eventi sulla sua biografia artistica. Un'eredità da tramandare. In questa operazione trovò nel critico di danza Walter Terry un alleato influente e fedele e ritrovò in Ted Shawn, ancora formalmente suo marito, un compagno disposto ad offrirle sempre delle nuove opportunità. Shawn negli anni Cinquanta era ancora un protagonista dello spettacolo internazionale. La sua scuola-teatro nel Massachusetts si era ormai affermata come uno dei principali centri di studio, creazione e diffusione della danza negli Stati Uniti. In questi stessi anni Ruth St. Denis fu invitata annualmente al Jacob's Pillow dove danzò spesso in coppia con Shawn in revival. Nel 1955 creò per il festival estivo anche una nuova coreografia, Freedom, e nel 1964, insieme a Shawn, un duo, Siddhas of the Upper Air che celebrava teatralmente il cinquantenario del loro matrimonio. Ancora una volta, per l'ultima volta, in una creazione di Ruth St. Denis la scena teatrale era segnata da una verticalizzazione dello spazio, da una divisione tra alto e basso. La presenza di una scala metteva in comunicazione il mondo visibile con quello invisibile; la scala era il simbolo perfetto dello scambio tra il mondo spirituale e quello materiale. Nel 1963 danzò per l'ultima volta a New York. Nel 1966, a ottantasette anni, si congedò definitivamente dalle scene ancora una volta con Incense, che danzò all'Orange Coast College in California. Morì due anni dopo a Hollywood. Nel 1961 Ruth St. Denis aveva ottenuto il Capezio Dance Award, il prestigioso premio che gli Stati Uniti riservano ai protagonisti della danza americana. 71
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved