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Ryszard Kapuscinski - L'altro (riassunto), Sintesi del corso di Semiotica

Riassunto dettagliato delle quattro conferenze tenute da Kapuscinski sul tema dell'alterità.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 26/01/2024

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gixi_ 🇮🇹

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Ryszard Kapuscinski - L'altro (riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Semiotica solo su Docsity! Ryszard Kapuscinski L’altro CONFERENZE VIENNESI I. CURIOSITÀ PER IL MONDO La definizione di “altro” può essere usata in vari contesti e con diversi significati, ad esempio per indicare una diversità di sesso, generazione, nazionalità, religione. Kapuscinski la utilizza soprattutto per distinguere gli europei occidentali bianchi dagli extraeuropei non bianchi, tenendo ben presente che per loro gli altri siamo noi. Cerca di definire il genere del reportage letterario, basandosi sull’esperienza di pluriennali viaggi per il mondo. Nonostante l’usanza di firmare con un solo nome, il reportage ha di solito molti autori, ed è il genere letterario più collettivo che esista, in quanto nasce dal contributo di decine di interlocutori. Questi estranei, a noi di solito sconosciuti, ci raccontano storie legate alla loro vita o società, e rappresentano una delle più ricche fonti di conoscenza del mondo. Ognuna di queste persone è composta da due esseri sovrapposti e intrecciati, che difficilmente si possono separare e si influenzano a vicenda: • l’uomo uguale a noi, con gioie, dolori, che teme la fame, il freddo e il dolore. • l’uomo portatore di caratteristiche razziali, culturali e religiose. Questa doppia natura non è stabilita e fissa, ma è dinamica e mutevole in base alle situazioni contingenti: per questo non sappiamo mai chi stiamo per incontrare, ogni incontro con l’altro è un salto nell’ignoto (questo vale sia per le persone conosciute che per gli sconosciuti). L’intera letteratura mondiale è dedicata all’altro, e i grandi viaggiatori medievali si recavano nei luoghi più remoti per incontrare e conoscere l’altro, secondo la convinzione che qualcosa è tanto più diverso quanto più è lontano. In realtà, la tentazione del viaggio è meno diffusa di quanto si creda: per sua natura, l’uomo è portato alla sedentarietà, e di solito abbandona il suo nido solo se è costretto. Lo spazio provoca ansia, paura dell’ignoto e della morte. Il reporter intende il viaggio non come avventura turistica, ma come sfida e sforzo, fatica e sacrificio, un progetto arduo e ambizioso da portare a termine con responsabilità. Si viaggia concentrati e pronti all’ascolto, per non perdere nessun dettaglio della strada che percorriamo, che ha come fine l’incontro con l’altro. Oltre al viaggio, anche la curiosità per il mondo è un fenomeno raro: nella storia, molte civiltà non hanno mostrato il minimo interesse per il mondo esterno (Africa, Cina), altre non volevano conoscerlo ma solo assoggettarlo (Persiani, Arabi, Mongoli). L’eccezione è costituita dall’Europa, che a partire dall’antica Grecia manifesta il desiderio di conoscere il mondo, comprenderlo, creare una comunità umana. Erodoto, nelle Storie, riconosce oltre a quella greca molte civiltà progredite e mature, e pur bollando come barbaros chiunque non parli la sua lingua, parla degli altri senza disprezzo ma con interesse, riconoscendo come per molti aspetti essi siano superiori ai greci. Erodoto vuole conoscere gli altri, desidera incontrarli: viaggia e scrive di loro; è consapevole che per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri, sono lo specchio in cui ci vediamo riflessi (la sua opera è una costruzione di specchi che fa vedere con più chiarezza soprattutto la Grecia e i greci). La xenofobia è malattia di gente spaventata, afflitta da complessi di inferiorità, che teme di vedersi riflessa nella cultura altrui. 1 L’incontro tra europei e non europei ha però assunto anche un carattere violento e sanguinoso (Grecia contro Persia, Alessandro Magno, Impero Romano, crociate, colonialismo spagnolo, ecc). Uscendo dalla visione eurocentrica, molti scontri hanno coinvolto tra loro anche civiltà extraeuropee. Il conflitto è una delle possibili forme di contatto tra civiltà. L’altro può però essere visto come nemico o come cliente/partner, a seconda delle situazioni (comportamento contraddittorio che spesso non si riesce a spiegare). Con l’inizio dell’era moderna, la conquista del mondo da parte dell’Europa ha scritto pagine di sangue la cui crudeltà sarà superata solo dall’Olocausto. Per gli europei di quest’epoca, l’altro si configura come un selvaggio, cannibale, pagano, da sottomettere e calpestare. Questa crudeltà era accentuata dal basso livello morale e culturale delle persone che venivano mandate per il mondo in avanscoperta. Da qui si getta un’ombra sinistra sui nostri rapporti con gli altri, consolidando nelle nostre menti stereotipi, preconcetti e fobie che sussistono tuttora. L’impulso che da sempre si ripete nella storia del mondo è quello di dominare e assoggettare l’altro, dovranno passare migliaia di anni prima che alla mente umana si affacci il sospetto di una possibile uguaglianza tra noi e l’altro. Nel ‘700 (Illuminismo) si verifica un parziale e graduale mutamento dei rapporti con l’altro (extraeuropeo): si riconosce che anch’esso è un uomo, un fratello degno di considerazione e rispetto (rivelazione aperta dalla letteratura di Defoe, Swift, Rousseau, Voltaire: decine di autori condannano lo sfruttamento e la crudeltà dei conquistatori, promuovendo la lotta contro lo schiavismo). La paura dell’altro è sostituita dal desiderio di conoscerlo più da vicino. Molti condividono l’idea che questo possa dissipare i pregiudizi e far vedere l’altro come individuo portatore di una diversa cultura. II. L’ACCETTAZIONE DELLA DIVERSITÀ I rapporti degli europei con l’altro si possono suddividere in 4 fasi: 1. Fase dei mercanti e degli ambasciatori (fino al XV secolo): si entra in contatto con gli altri attraverso vie commerciali o diplomatiche. 2. Fase delle grandi scoperte geografiche: secoli bui di carneficina e saccheggio. 3. Fase dell’Illuminismo: primi tentativi di capire l’altro e allacciare contatti umani, scambiando valori culturali e spirituali oltre che merci. 4. Fase tuttora in corso, a sua volta suddivisa in: • Fase degli antropologi • Fase di Lévinas • Fase multiculturale Nella fase dell’Illuminismo si apre un cambiamento culturale, con il passaggio da un rigido eurocentrismo a una visione più universale delle cose, e si apre una nuova branca delle scienze sociali, interamente dedicata all’altro: l’antropologia. Essa è incentrata sulla conoscenza e l’accettazione della diversità, in quanto costitutiva del genere umano, e si divide in due scuole: • scuola evoluzionista, secondo cui tutte le civiltà umane seguono lo stesso percorso evolutivo da uno stadio più primitivo a uno più civilizzato (omogeneità culturale); • scuola diffusionista, secondo cui esistono diverse civiltà e culture che entrano in contatto e si compenetrano a vicenda, a seconda del luogo e del momento, creando un dialogo creativo e complesso (ibridazione interculturale). Nel desiderio di conoscere gli altri allo stato il più possibile puro, una parte di questi antropologi (detti funzionalisti) si reca in territori remoti per registrare il funzionamento delle società nel loro ambiente culturale d’origine, ricavandone una serie di opere che aprono gli occhi degli europei sulla ricchezza e sulla validità di queste culture. Malinowski fa poi della ricerca sul campo la conditio si ne qua non della conoscenza degli altri (non basta andare da loro, bisogna vivere tra o con loro). Si reca alle isole Trobriand, dove bianchi e aborigeni si evitano a vicenda, vivendo sui pregiudizi: l’incontro con gli altri non è semplice e automatico, richiede una volontà e uno sforzo che non tutti sono disposti ad affrontare. 2 Relativamente alla storia dei rapporti tra l’Europa e gli altri, è necessario ricordare il tragico bilancio delle guerre e delle conquiste avvenute nel corso della storia: come un’infanzia infelice influisce sulla successiva vita dell’uomo, anche un’infelice memoria storica influenza i successivi rapporti tra le società. Riprendere e rafforzare i tentativi di dialogo con gli altri è un dovere etico e un compito urgente in questo periodo fragile e disorientato. IL MIO ALTRO Kapuscinski definisce il mio altro le persone che ha incontrato nei suoi viaggi in Asia, Africa e America Latina: vuole delineare un ritratto che sia riferito a loro, non astratto e generico. Gli interessa la loro visione del mondo e in che modo vedono gli altri (se è vero che per noi loro sono gli altri, allora per loro l’altro siamo noi). La prima cosa che salta agli occhi è la sensibilità del mio altro al colore della pelle. Il colore sta al vertice della scala usata per valutare e classificare la gente. Possiamo vivere senza fare caso al colore della nostra pelle, ma non appena usciamo dalla nostra sfera razziale si crea una tensione, ci sentiamo altri, circondati da altri altri. 
 La seconda componente della visione del mondo del mio altro è il nazionalismo: John Lukács lo ha definito il più forte tra tutti gli “ismi” noti all’uomo moderno. Il nazionalista tratta la propria nazione come valore supremo e tutti gli altri inferiori e degni di disprezzo (simile al razzismo come strumento di classificazione). Per un nazionalista l’altro possiede una sola caratteristica: l’appartenenza nazionale. Tutto il resto non conta. Il nazionalismo è inseparabilmente associato all’odio per l’altro.
 L’ultima componente è la religione. La religiosità si manifesta su due piani: da un lato una generica fede nell’esistenza di una trascendenza, dall’altro la religione come istituzione, forza sociale e politica. Laddove si verifica una rinascita di ardore religioso, essa ha sempre un carattere reazionario, conservatore e fondamentalista.
 Razza, nazionalità e religione sono quindi i tre principali elementi che il mio altro noterà. Questi tre dati hanno in comune una forte carica emotiva, difficile da controllare e che per questo può portare al conflitto. Nella prima metà nel Novecento, la mappa del mondo aveva una struttura piramidale: in cima le grandi potenze coloniali e l’uomo bianco, sotto le colonie, i domini e gli altri territori. Ora questo assetto è crollato e la mappa del mondo è profondamente cambiata, è più colorata e complessa, ed è in continua evoluzione. Gli altri del terzo mondo acquistano maggiore soggettività, e le migrazioni nei paesi sviluppati si fanno sempre più massicce. Ma l’Europa è pronta ad un simile cambiamento? Secondo Kapuscinski, no: l’altro è ancora trattato soprattutto come un estraneo, come se rappresentasse un genere separato, è considerato una minaccia. La letteratura contemporanea, inoltre, non aiuta a dissipare prevenzioni, ignoranza e indifferenza: tra i testi francesi premiati intorno al 1990, nessuno faceva riferimento al mondo contemporaneo inteso in senso lato; c’è indifferenza nei confronti degli autori che vogliono mostrare il mondo delle altre culture contemporanee, i loro pensieri e comportamenti. Drammi mondiali in atto sotto i nostri occhi vedono la completa indifferenza della letteratura occidentale; la relazione degli avvenimenti è affidata solo alle telecamere, dimostrando una crisi dei rapporti storia-letteratura. Lo studio e l’approfondimento di questi temi rimane appannaggio di un ristretto gruppo di antropologi, etnografi, viaggiatori e giornalisti, mentre l’estraneo continua ad essere trattato come un oggetto di studio, non è ancora visto come un partner corresponsabile del destino del mondo in cui viviamo. 5 L’ALTRO NEL VILLAGGIO GLOBALE Nel campo delle scienze filosofiche, la prima metà del XX secolo è dominata dall’ontologia ed epistemologia di Husserl e Heidegger. Nessuno di loro pone l’etica al primo posto, nonostante la gravità degli eventi del secolo scorso. Jòzef Tischner è l’unico pensatore polacco ad aver trattato in modo approfondito il tema dell’altro, inteso come persona con cui entriamo in contatto e allacciamo una comunicazione. Nei primi decenni del Novecento, in Europa si manifestano due nuovi fenomeni: 1. la nascita della società di massa 2. la nascita dei sistemi totalitari del fascismo e del comunismo. 
 Questi fenomeni assorbono per intero l’attenzione di pensatori e scrittori dell’epoca (José Ortega y Gasset, Erich Fromm, Hannah Arendt, Theodor Adorno, ecc). Il termine-chiave per descrivere questo mondo è l’attributo “di massa”: compaiono quindi la cultura di massa, l’isteria di massa, il gusto di massa, lo sterminio di massa. L’unico personaggio sulla scena è la folla, la cui unica caratteristica è essere anonima, impersonale, priva di identità e volto. L’individuo è stato assorbito dalla massa. Sono nate opere eccellenti che mostrano il destino umano in forma generalizzata, come esperienza della collettività e dramma condiviso. Tuttavia, si sente la mancanza dell’individuo, l’uomo concreto enucleato dalla folla, l’io e l’altro. Da questa necessità nasce la filosofia del dialogo (detta anche filosofia dell’incontro o filosofia dell’altro), tendenza filosofica desiderosa di occuparsi della problematica uomo-io, e soprattutto della sua relazione con l’altro. C’è un avvicinamento filosofico all’uomo come essere individuale, autonomo e irripetibile, in particolare nelle opere di Jòzef Tischner, Martin Buber, Franz Rosenzweig, Gabriel Marcel e soprattutto Emmanuel Lévinas. Secondo quanto affermano i filosofi del dialogo, in quanto essere definito io posso esistere solo in rapporto all’altro, quando questi appare all’orizzonte della mia esistenza conferendomi senso e stabilendo il mio ruolo. Le origini di questa filosofia (la quale afferma che nel volto dell’altro possiamo vedere il volto di dio, e che la via per arrivare a dio passa attraverso l’altro) si possono trovare nell’antica epoca antropomorfica, in cui l’immaginazione umana non aveva ancora tracciato un confine tra il mondo degli dei e degli uomini. Tischner, oltre ad avere un livello rigorosamente scientifico, interviene a viso aperto in difesa dell’altro uomo, in un mondo sempre più arreso all’egoismo e al consumismo. Il suo grande merito sta nel riconoscere il valore di ogni singolo individuo, ricordando sempre il suo diritto a esistere e articolarsi. I valori proclamati sono identità, rispetto, attenzione e considerazione per l’altro. Ne L’intero e l’infinito approfondisce alcuni temi di Lévinas, affermando che l’io non deve solo rapportarsi all’altro, ma anche assumersene la responsabilità, oltre alle conseguenze di tale atteggiamento (atto di sacrificio, rinuncia e umiltà). La filosofia dell’incontro ha finora analizzato il rapporto con l’altro nell’immediatezza quotidiana, mentre deve ancora indagare la relazione io-altro quando le due parti appartengono a diverse razze e culture. Si tratta di un compito estremamente importante ora che i progressi della comunicazione rendono sempre più presente ed evidente la natura multiculturale del nostro mondo. Tischner e gli altri filosofi del dialogo vogliono renderci consapevoli dell’esistenza e della prossimità dell’altro, e che è un precetto etico sentirci responsabili per lui, opponendosi quindi alle tentazioni e imposizioni dettate dal consumismo. Secondo Tischner, l’incontro è un evento importante che merita di essere ricordato, per il quale dovremmo prepararci interiormente affinché sia il contrario del nostro quotidiano e indifferente incrociarsi in mezzo alla folla. L’elemento principale dell’incontro è il dialogo, il cui scopo deve essere la reciproca comprensione 6 e il reciproco avvicinamento, sulla via della conoscenza. È quindi una premessa fondamentale la volontà di conoscersi, il rivolgersi all’altro andandogli incontro. Nel quotidiano, tuttavia, questo è difficile: di primo impulso, l’uomo reagisce all’altro sempre con diffidenza, riluttanza e ostilità. Intere civiltà scelgono l’estraneità nei confronti dell’altro, gli uomini nella storia si sono inflitti troppo dolore perché possa essere altrimenti. I recenti progressi delle comunicazioni, inoltre, da un lato avvicinano gli uomini, ma dall’altro costituiscono un intermediario tecnico che non potrà mai sostituire la parola, la vicinanza diretta, lo stare insieme. È una situazione paradossale: la globalizzazione dei media aumenta, ma allo stesso tempo aumentano anche la piattezza, l’inadeguatezza e il caos, il senso di solitudine e smarrimento. All’inizio degli anni ’70, Marshall McLuhan coniò la definizione di “villaggio globale”, immaginando che i nuovi media ci avrebbero resi tutti fratelli. Niente di più sbagliato: in un villaggio gli abitanti si conoscono intimamente e condividono un destino comune, mentre la società del nostro pianeta fa piuttosto pensare a una folla anonima di persone frettolose, sconosciute e indifferenti le une alle altre. L’INCONTRO CON L’ALTRO COME LA SFIDA DEL XXI SECOLO L’incontro con l’altro è sempre stata l’esperienza comune e fondamentale del genere umano, fin dalle sue origini. Ma come comportarsi con gli altri? Quale atteggiamento assumere nei loro confronti? Ogni volta che l’uomo ha incontrato l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: 1. Affrontarlo con violenza: può accadere di arrivare al duello, al conflitto, alla guerra, come testimoniano campi di battaglia, rovine e resti sparsi per il mondo intero. È un’opzione difficilmente giustificabile, tutti ne escono perdenti: l’essere umano rivela l’incapacità e la non volontà di intendersi con l’altro e immedesimarsi in lui. L’incontro con l’altro si conclude tragicamente, nel sangue e nella morte. 2. Isolarsi dietro a un muro: l’uomo può decidere di tenersi separato, di isolarsi dagli altri. Questo atteggiamento ha prodotto in tutto il mondo barriere come la Grande Muraglia, le torri e le porte di Babilonia, le mura in pietra degli Incas. Definita “dottrina dell’apartheid”, è un’ideologia secondo cui chiunque non appartenga alla mia stessa razza o cultura è libero di vivere come vuole, purché alla larga da me. Questa idea sottintende un’insanabile diseguaglianza che divide il genere umano: come i miti di molte tribù che si basano sulla convinzione che i veri esseri umani siano soltanto loro. 3. Stabilire un dialogo: l’altro cessa di essere sinonimo di estraneità, ostilità e minaccia. Questo è testimoniato da luoghi come mercati, agorà, università, vie commerciali; luoghi in cui la gente si incontrava, collaborava, scambiandosi idee e opinioni, scoprendo finalità e valori comuni. Nell’era delle fedi antropomorfiche si credeva che gli dei potessero assumere forma e comportamenti umani. Qualunque viandante poteva essere un dio celato sotto sembianze umane: questa incertezza è una delle fonti della cultura dell’ospitalità che impone di accogliere con benevolenza il nuovo arrivato. Il mondo stesso viene visto sotto una luce nuova e favorevole all’uomo, dove siamo spontaneamente disposti a incontrare l’altro. I filosofi del dialogo hanno sviluppato l’idea dell’altro come essere unico e irripetibile, in contrasto con la società di massa e le ideologie totalitarie, fenomeni tipici del XX secolo, che hanno come effetto l’annullamento dell’identità unica della persona. Per quanto riguarda il rapporto nei confronti dell’altro, questi filosofi respingevano l’opzione della guerra in quanto causa di distruzione; criticavano la scelta dell’indifferenza e dell’isolamento, sostenendo invece la necessità e il dovere etico dell’apertura, dell’avvicinamento e della benevolenza. In questo ambito nasce e si sviluppa l’opera scientifica dell’antropologo Bronislaw Malinowski. Egli vuole avvicinarsi all’altro non come essere astratto, ma come uomo concreto appartenente a una razza diversa, con credenze, valori, culture e costumi diversi. Il punto di vista è quello dell’uomo bianco, dell’europeo. Ma tutti noi, abitanti del nostro pianeta, siamo altri rispetto ad altri: io per loro, loro per me. 7
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