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S. Gelichi, Introduzione all'archeologia medievale, Sintesi del corso di Filosofia

Un primo interesse per la cultura materiale del medioevo nasce in Italia alla fine dell’Ottocento in piena epoca positivista grazie alle ricerche di alcuni studiosi, in particolare emiliani, sulle terramare: Luigi Pigorini (Fontanellato - PR: la “palafitta barbarica”, individuata grazie alla presenza di frammenti di pietra ollare; articolo del 1883 che chiarisce l’attribuzione cronologica di questi resti), Paolo Orsi (Vadana - Tirolo: necropoli), Alfonso Rubbiani (Bagnarola Vecchia di Budrio - BO: chiesa), Giuseppe Scarabelli (Monte Castellaccio, Imola - BO: necropoli altomedievale), Carlo Boni (Montale), Francesco Coppi (Gorzano: necropoli medievale), Gaetano Chierici (Sant’Ilario d’Enza - RE: chiesa e tombe altomedievali, con le prime sezioni di un sito pluristratificato con strutture di epoca postclassica; Bismantova: torre medievale; Canossa: castello), poco più tardi Giacomo Boni (S. Marco, VE - stratigrafia delle fondazioni del campanile; Foro, ROMA: scavo stratigrafico). Queste

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica S. Gelichi, Introduzione all'archeologia medievale e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! S. Gelichi, Introduzione all'archeologia medievale I. STORIA DELLA RICERCA ARCHEOLOGICA POSTCLASSICA Un primo interesse per la cultura materiale del medioevo nasce in Italia alla fine dell’Ottocento in piena epoca positivista grazie alle ricerche di alcuni studiosi, in particolare emiliani, sulle terramare: Luigi Pigorini (Fontanellato - PR: la “palafitta barbarica”, individuata grazie alla presenza di frammenti di pietra ollare; articolo del 1883 che chiarisce l’attribuzione cronologica di questi resti), Paolo Orsi (Vadana - Tirolo: necropoli), Alfonso Rubbiani (Bagnarola Vecchia di Budrio - BO: chiesa), Giuseppe Scarabelli (Monte Castellaccio, Imola - BO: necropoli altomedievale), Carlo Boni (Montale), Francesco Coppi (Gorzano: necropoli medievale), Gaetano Chierici (Sant’Ilario d’Enza - RE: chiesa e tombe altomedievali, con le prime sezioni di un sito pluristratificato con strutture di epoca postclassica; Bismantova: torre medievale; Canossa: castello), poco più tardi Giacomo Boni (S. Marco, VE - stratigrafia delle fondazioni del campanile; Foro, ROMA: scavo stratigrafico). Queste esperienze, pur inserendo per la prima volta il medioevo all’interno del novero delle discipline archeologiche e contenendo in nuce i presupposti per lo sviluppo della materia (sia metodologici - scavo stratigrafico - che teorici - interesse per le culture allogene, per la cristianità delle origini e per le culture bizantine), rimangono tuttavia casuali e caratterizzati da “una sorta di fissità antiquaria”, per cui i riferimenti ai materiali rimangono spesso incidentali e legati ad un approccio catalogico, come sembrano testimoniare i contributi pubblicati dal 1876 nella prestigiosa rivista “Notizie Scavi”, che sottolineano inoltre quanto il medioevo scavato fosse considerato un’appendice dell’Antichità: la caduta di tono del dibattito sul metodo e lo scarso spessore 2 Colloquio internazionale sulla ceramica medievale nel Mediterraneo dal 1978, costituendosi poi nell’ AIECM2 (Aix-en-Provence) dal 1992 e al volume di Graziella Berti e Liana Tongiorgi sui “bacini” delle chiese di Pisa. Fino al secondo dopoguerra l’archeologia italiana si era confrontata solo marginalmente con veri e propri interventi di scavo, nonostante il periodo delle grandi ricostruzioni postbelliche avrebbe potuto costituire un’ottima occasione in questa direzione: in questo panorama si fa notare tuttavia la figura di Nino Lamboglia (tra i primi ad applicare il metodo stratigrafico wheeleriano in Liguria: Ventimiglia, Albenga e San Paragorio di Noli) e di Gian Pietro Bognetti, lo “storico dei Longobardi” promotore di due importanti scavi: 1 - Torcello, VE - 1961, équipe polacca guidata da Witold Hensel: iniziativa interdisciplinare con metodologia molto più avanzata rispetto al coevo panorama italiano (scavo stratigrafico, fotografia aerea, pedologia) per far luce sulla vexata quaestio delle origini di Venezia sul sito lagunare, sede episcopale e residenza di un magister militum da VII ed emporion mega nel IX-X sec. d.C., i cui risultati vennero pubblicati nel 1977, forse con un’eccessiva schematizzazione e un ridotto utilizzo delle fonti archeologiche per la costruzione della storia economica del sito; 2 - Castelseprio, VA - 1962-1963, dopo aver scoperto negli anni ’40 gli affreschi di Santa Maria foris portas, scavi con l’équipe polacca sulla parte sommitale del colle che individuarono i resti di strutture con fondazioni in ciottoli e alzato in legno (opus gallicum) coincisa forse con l’arrivo di un gruppo di Longobardi. Con la morte di Bognetti nel 1963 ha fine il sodalizio con la scuola di Varsavia e, con esso, il processo di rinnovamento e sviluppo che avrebbero potuto far nascere la disciplina con basi metodologiche solide. Come già era successo in Inghilterra (dall’inizio degli anni ’50 presenza di un gruppo di ricerca dei siti abbandonati: scavi a Wharram Percy di Beresford e Hurst, che pubblicano nel 1971 un volume di sintesi; fondazione della Society for Medieval Archaeology nel 1956 e pubblicazione del primo numero della rivista Medieval Archaeology l’anno successivo) ed in Francia (ricerche in diversi siti negli anni ’60 nati da una collaborazione franco-polacca: Montaigut, Condorcet, Saint-Jean-le-Froid, Dracy; nascita di un gruppo di ricerca con un approccio più complessivo nei confronti della storia degli insediamenti), anche in Italia il tema dei villaggi abbandonati costituirà il nodo storiografico grazie a cui l’archeologia medievale del nostro paese incomincerà a consolidarsi come disciplina autonoma: dopo il volume di studi miscellaneo di Klapish-Zuber e Day pubblicato nel 1965, si sviluppano progetti di respiro territoriale più ristretto in Liguria e Sicilia (gruppi di ricerca), Toscana (studi di Elio Conti; scavo ad Ascianello, nel Mugello, di Francovich e Vannini), accompagnati da incontri interdisciplinari (il primo venne organizzato nel 1971 a Scarperia, FI) che ben mettevano in evidenza come gli interessi per la “cultura materiale” e per temi quali la storia del popolamento rurale e degli insediamenti potessero formare un binomio efficace, su cui si fonderà la disciplina, evitando ambiguità con la storia dell’arte medievale (vivace dibattito anche tra gli archeologi classicisti su finalità, obbiettivi e metodi della ricerca: Carandini e Bianchi Bandinelli), e che si articolerà successivamente in numerosi indirizzi di ricerca (villaggi abbandonati, insediamenti rurali, incastellamento, città, produzione, alzati, postmedievale): sembra necessario trovare dei criteri omogenei per creare gerarchie sensate in vista di una ripartizione delle risorse. A partire dagli anni Settanta incominciò a svilupparsi il filone dell’archeologia dell’architettura, inizialmente con i lavori di Tiziano Mannoni in Liguria (Collina di Castello, GE; sedi abbandonate) che già individuava gli strumenti diagnostici (analisi stratigrafica sul complesso della struttura, proposte per la registrazione e l’elaborazione dei dati) e i modelli conoscitivi (costruzione delle prime sequenze tipologiche delle murature medievali ligure e ipotesi sui processi produttivi), quindi con le ricerche su alcuni siti toscani da parte di Parenti (Montarrenti, SI; Rocca San Silvestro, LI) che portarono alla creazione di un nuovo strumento di registrazione dei dati, la scheda USM, poi implementata da Gian Pietro Brogiolo con una gerarchia più articolata tra le varie componenti di un edificio, mirata alla creazione di un metodo più rapido di acquisizione dei dati, la SAV, e che correggesse, tramite i concetti di sequenza statica e sequenza di degrado i limiti della matrix di Harris. Questi risultati hanno permesso di approfondire due aspetti: - l’attività di restauro, concepita come strettamente legata alla fase di intervento archeologico, idea più volte sottolineata da Francovich, già nel 1978 nell’ambito del Seminario di Rapallo; - la creazione di modelli interpretativi sullo sviluppo dell’edilizia storica: dopo le sequenze tipologiche sub regionali realizzate per Liguria (Mannoni), Toscana (Parenti) e Lombardia (Brogiolo), si cercò di realizzare sequenze cronotipologiche per alcuni elementi strutturali (curva mensiocronologica assoluta per i mattoni liguri: Mannnoni; sequenza relativa delle aperture della facciata del Palazzo Pubblico di Siena: Gabbrielli); inoltre si sono utilizzate informazioni provenienti da questi studi per approfondire gli aspetti socio-economici relativi allo sviluppo del ciclo produttivo delle società medievali, per spiegare ad esempio le differenze tra tecniche costruttive nella diacronia (Rocca San Silvestro, LI: Francovich, Bianchi; Segesta, TP: Bianchi), con modelli che possono funzionare per comunità poco complesse ed autosufficienti, ma difficilmente applicabile a contesti urbani. Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, grazie alla maturazione di queste spinte, la disciplina dell’archeologia medievale riuscì infine a nascere e consolidarsi, fatto testimoniato in particolare dall’attivazione, per l’a.a. 1966-1967 del primo insegnamento presso l’Università Cattolica di Milano affidato al prof. Michelangelo Cagiano de Azevedo, la pubblicazione nel 1974 del numero I della rivista “Archeologia Medievale” e il bando del concorso ministeriale del 1979 per l’assunzione di quattro archeologi medievisti. Rimangono tuttavia aperti ancora molti problemi legati soprattutto all’aspetto della tutela causati dal conflitto di competenze a livello di Soprintendenze e dall’esistenza di una legislazione arretrata (legge 1089 del 1939: concetto di vincolo vs tutela preventiva). 2) Castelli, incastellamento e storia del popolamento rurale L’archeologia medievale in Italia ha permesso di approfondire alcuni importanti nodi storici su questi temi, anche a partire dagli studi di storici quali Toubert (1973) e di Settia (1984), mettendo in luce come l’appiattimento terminologico delle fonti a partire dalla tarda antichità (castrum, castellum, turris, ecc.. ad indicare fortificazioni militari, abitati muniti di apparati difensivi, ecc..), che può facilmente generare incertezze interpretative, nasconda una grande varietà di situazioni. Nella nostra penisola la ricerca si è articolata in tre distinti filoni: - i castelli tardoantichi ed altomedievali: Ibligo-Invillino: scavi dell’Università di Monaco (Bierbrauer) tra 1962-1966 e 1969-1974, nel sito del castrum Ibligine ricordato da Paolo Diacono (H. L. IV, 37: riparo all’incursione degli Avari del 610), che hanno individuato tre diverse fasi, un iniziale momento insediativo non meglio caratterizzato (I-IV sec. d.C.), un secondo periodo (IV-V sec. d.C.) in cui l’abitato sembra inserito in un nuovo circuito commerciale (lavorazione di ferro e vetro, ceramiche e anfore africane ed orientali) e infine, in continuità con la situazione precedente, una fase caratterizzata da rifacimenti con nuove tecniche edilizie e l’edificazione di due torri in epoca pre-gota; = l’insediamento non nasce con scopi militari, ma si assiste ad un precoce accentramento su alture a causa delle condizioni di instabilità, forse da parte delle popolazioni autoctone nell’ambito delle misure difensive ordinate dal comes Italiae per realizzare il Tractus Italiae circa Alpes, mentre non sono stati rinvenuti indizi inequivocabili della presenza di gruppi di etnia longobarda; forse modello estendibile all’intero territorio del Friuli tardo antico e nelle zone finitime del Trentino (es.: Sabiona). Monte Barro, LC: ricognizioni di superficie e scavi a partire dal 1986 (Brogiolo, Castelletti) sul sito che la tradizione storica ricollega al re Desiderio o a sua figlia Gerberga e che presentava i resti di una cinta muraria e di una cappella tardo medievale; indagato un grande edificio composto da tre corpi di fabbrica su due piani con cortile interno, con ambienti a funzione abitativa e di magazzino per derrate alimentari, cronologicamente collocato tra il V e il VI sec. d.C. e abbandonato a seguito di un incendio: unicum nel suo genere, è stato paragonato ai palazzetti di epoca gota di Galeata, Palazzolo e Ravenna ed interpretato come la residenza di un funzionario pubblico; il resto dell’abitato era costituito da edifici a due piani costruiti con una buona tecnica; = castello con funzione di insediamento militare e di rifugio, costruito tra la metà del V sec d.C. e l’epoca gota grazie alla collaborazione tra potere centrale e comunità locali. 6 In Liguria sono stati scavati (Mannoni) una serie di insediamenti fortificati di epoca bizantina anche molto differenti tra loro che non permettono di costruire un modello per la regione: Filattiera-Surianum, MC: a seguito delle ricerche storiche di Bullough sulle vicende istituzionali del sito, interventi a partire dal 1981 che individuano una sequenza di cinque fasi (sulla collina, in località Catelvecchio), di cui una relativa alla creazione di un sistema difensivo rudimentale del tipo “campo trincerato” (due fossati paralleli e aggere a sezione trapezoidale con ciottoli di fiume); chiesa e torre di XI-XII sec. d.C. riferibili al periodo di incastellamento signorile; Castellaro di Zignago, SP: recinto con torre centrale di epoca bizantina e fase feudale; Finale Ligure, castrum Perti, SV: sito fortificato (abitazioni e opere difensive) realizzato con tipologie edilizie alloctone, con cultura materiale caratterizzata quasi esclusivamente da reperti di importazione, forse ad indicare un centro eterodiretto approvvigionato via mare da possedimenti bizantini; Da castrum in epoca tardoantica a civitas longobarde: fenomeno che si verifica quando in insediamenti fortificati qualiMonselice (PD), Castelseprio (VA), Garda e Sirmione (BS) si assiste ad una concentrazione di popolazione contestuale alla scelta di questi siti come sedi privilegiate dell’occupazione longobarda, caratterizzati da un ridotto nucleo fortificato distinto dal resto dell’abitato, dalla formazione di sobborghi all’esterno della cinta difensiva e dalla presenza di una nuova classe di potere che si autorappresenta attraverso nuovi modelli culturali, come le fondazioni religiose; si tratta di un fenomeno che ha una certa continuità nel medioevo, ma che viene gradualmente riassorbito a partire dall’epoca carolingia dal riemergere delle città di antica fondazione come siti accentratori. - l’incastellamento dell’Italia centrale e il problema della rioccupazione delle alture: il modello proposto da Toubert (1973, per la Sabina e il Lazio meridionale sulla scorta dei cartari dei monasteri di Farfa e Subiaco), che vedeva nell’incastellamento un fenomeno razionalmente gestito dalla signoria fondiaria per il controllo della crescita demografica e il rinnovamento degli assetti patrimoniali, venne dapprima vagliato criticamente dagli storici, quali Settia (1984, area padana) e Wickham (1985, San Vincenzo al Volturno), che - le trasformazioni tra tardo antico e alto medioevo: generalmente con l’avvento del cristianesimo alcuni costumi funerari cambiano (scomparsa o semplificazione di corredi, sepolture abbigliate, iscrizioni, mentre assume maggiore rilevanza la posizione e la distribuzione delle tombe, che spesso riflettono le differenziazioni della gerarchia sociale, assieme ad altri tratti distintivi per le sepolture privilegiate), con una situazione priva di una specifica regolamentazione; per quanto riguarda il territorio extraurbano si diffondono da un lato le sepolture ad sanctos apud ecclesiam, ovvero nuclei di necropoli sviluppati attorno a luoghi di culto martiriali, che favoriscono la nascita di veri e propri edifici religiosi, da un altro le necropoli presso strutture residenziali e produttive; in ambito urbano invece sono state indagate sia tombe presso le chiese cittadine, soprattutto episcopali, sia in aree apparentemente abbandonate o isolate (Verona, Brescia, Roma); in entrambi i casi la presenza di necropoli lontane da edifici di culto indica, più che un fenomeno di degrado, una certa vitalità insediativa di queste zone che vengono così rifunzionalizzate. - le influenze culturali alloctone: con l’arrivo di popolazioni germaniche (Goti e Longobardi) si assiste ad un cambiamento dei costumi funerari, che un tempo si identificava con l’adozione della sepoltura abbigliata e la presenza di corredo, mentre oggi la critica ha portato a riconoscere come la presenza e la qualità degli oggetti non sempre sono indice di appartenenza etnica o di status sociale, mentre lo studio della posizione e della distribuzione delle tombe sembra poter dare frutti migliori in tal senso, come fatto da Jørgensen per Nocera Umbra e Castel Trosino; l’anomalia delle sepolture gote e longobarde ha comunque breve durata, e sembra essere in forte declino già alla metà del VII sec. d.C.. - verso la formazione dei cimiteri bassomedievali: a partire dal VII sec. d.C. la Chiesa tende a normalizzare i costumi funerari, esercitando un diritto di sepoltura tramite i luoghi di culto rurali e urbani; si formano così necropoli attorno alle chiese plebane, generalmente in fosse semplici o bare lignee, senza abbigliamento, corredo e iscrizioni, si diffonde un orientamento canonico e l’uso di rimuovere le sepolture precedenti a causa dell’elevata densità delle inumazioni, tuttavia non mancano esempi di comportamenti anche molto differenti (tombe con cassa litica o in laterizi o in sarcofagi reimpiegati, scavate nella roccia, cappelle personali e sepolture abbigliate per i più abbienti): diventa fondamentale in questo periodo, ad apparente discapito del’identità del corpo e della riconoscibilità della tomba (con anche atti di supposta umiltà - vd. Pipino il Breve, deposto all’accesso della basilica di St. Denis a faccia in giù - che nascondevano un chiaro desiderio di ostentazione), la collocazione della sepoltura, in particolare le aree in prossimità dell’altare o della zona in cui sono ubicate le reliquie o nelle fasce perimetrali degli edifici religiosi ( sub stillicidio)1. - il tardo medioevo: si assiste ad una rinnovata diffusione della sepoltura si monumentale che abbigliata e la presenza di corredo, iscrizioni lapidee e altri tipi di manufatti (a carattere 1 Quest’ultima sezione è stata integrata con le informazioni tratte da S. Gelichi, Funeraria, archeologia. Medioevo, in R. Francovich - D. Manacorda (a cura di), Dizionario di Archeologia, Bari-Roma 2000, pp. 150-154. devozionale, monete, ecc..), mentre in città assumono sempre più importanza come luoghi adibiti a necropoli per i ceti emergenti le sedi degli Ordini mendicanti, in quel momento in piena crescita. 4) I grandi complessi monastici Delle grandi abbazie benedettine (San Colombano a Bobbio, Nonantola) abbiamo scarse e tardive testimonianze, oltre a qualche intervento a Novalesa (TO) e Farfa (RI), e a due importanti scavi: San Salvatore a Brescia: dopo gli scavi d’emergenza tra gli anni Cinquanta e Settanta, tra il 1980 e il 1992 sotto la direzione di Brogiolo sono state eseguiti interventi programmati e finalizzati al restauro; in epoca romana l’area del cenobio costituiva un’unica insula occupata da una grande e ricca domus (due piani, pavimenti in mosaico e decorazioni parietali) che tra il V e il VI sec. d.C. venne frazionata in più spazi abitativi per essere infine distrutta da un incendio e successivamente in epoca longobarda ospitò alcune capanne (seminterrate con zoccolo in muratura a secco e alzato in legno: confronti con strutture mittleuropee; separate da spazi vuoti ma che si inseriscono nel reticolo urbanistico antico) con tombe a cassa (analogie con le sepolture di Monselice), vide la risistemazione della strada romana con un acciottolato (laterizi e sfaldature disposti in maniera irregolare) e la presenza di attività artigianali: si tratta probabilmente di tutta una serie di contesti di VII sec. d.C. legati alla curtis regia; nella chiesa di San Salvatore sono stati invece individuati i resti di un edificio di culto (a T) e una struttura a funzione residenziale realizzata con ottime tecniche costruttive (tre corpi di fabbrica con un pozzo-cisterna distribuiti attorno ad un cortile) della seconda metà del VII sec. d.C., precedenti alla realizzazione del monastero da parte di Desiderio nel 753 d.C.: si trattava forse del precedente cenobio oppure del palazzo regio; del monastero di VIII sec. d.C., realizzato da maestranze itineranti altamente specializzate, si conosce la seconda chiesa, l’articolazione degli spazi (tre chiostri) e le sequenze architettoniche di alcuni edifici; San Vincenzo al Volturno, IS: l’intervento archeologico, incominciato nel 1980 dalla Scuola Britannica di Roma (Richard Hodges), ha individuato innanzitutto il primo impianto del monastero, fondato da Gisulfo I per il controllo di importanti aree di confine, che occupò un’area precedentemente insediata (santuario sannita, villa tardoromana, due chiese) recuperando alcuni edifici antichi; tra VIII e IX sec. d.C., sotto la guida dell’abate Giosuè, vennero realizzati notevoli cambiamenti, con il trasferimento del centro del cenobio ai margini dell’antico insediamento, la costruzione della chiesa di San Vincenzo Maggiore sul modello della San La disparità nella conservazione della documentazione archeologica non permette ancora di apprezzare le variazioni regionali e cronologiche di questi fenomeni ed è solo possibile distinguere due momenti, l’alto medioevo (VI-X sec. d.C.) che vede già precocemente a partire dall’età tardoromana una generale dissoluzione di una diffusa edilizia di buon livello, e il medioevo (post-X sec. d.C.) in cui si assiste ad una capillare ripresa del costruito in materiale nuovo e non deperibile, e di cui rimangono maggiori testimonianze (lavori sugli alzati rischiano di sovrastimare tipologie edilizie proprie delle élites; buoni lavori su contesti urbani, Pisa - Redi, e rurali, Lazio settentrionale - Andrews); gli aspetti di interesse sono: - la tipologia delle strutture: a partire dal III sec. d.C. l’edilizia residenziale a sviluppo estensivo viene progressivamente abbandonata a favore di strutture abitative dotate di planimetrie meno complesse, talvolta messe in relazione con una possibile presenza allogena (Castelseprio: edifici di epoca longobarda in legno con zoccolo in pietra; San Salvatore a Brescia: strutture seminterrate confrontabili con tipologie attribuite ai Gepidi; Poggio Imperiale a Poggibonsi, SI - Valenti: edifici altomedievali) altre volte riferite al riemergere di una tradizione costruttiva locale in epoca postromana (foro di Luni, SP - Ward Perkins: case altomedievali ad un vano, in legno e materiale deperibile, con pavimento in terra battuta); torri e case-torri dal X sec.d.C.; - le materie prime impiegate: nell’alto medioevo vengono usate in prevalenza materie prime deperibili (legno, argilla, frasche, ecc..) ampiamente impiegate anche in epoca romana ed etrusca e quindi in continuità rispetto al periodo precedente (documenti di area esarcale studiati da Cagiano de Azevedo); edilizia completamente in legno (travi orizzontali poggianti sul terreno) indagata sia in contesti rurali (Poggibonsi), quali villaggi fortificati di X-XI sec. d.C. (Piadena, MN; Poviglio, RE; Sant’Agata, BO), sia urbani (Bologna, piazza Maggiore; Fidenza, PR, Catarsi dall’Aglio: serie di strutture di VI-X sec. d.C.; Ferrara, corso Porta Reno, Gadd e Ward Perkins: abitazioni in legno post X sec. d.C.; Castelfranco Emilia, MO: edifici di XIII sec. d.C.), che mettono in luce l’elevato livello tecnologico delle comunità medievali nella lavorazione del legno; ripresa di pietra e mattone da X sec. d.C. (Scarlino, GR;Montarrenti, SI); - le forme del riuso: distinte in recupero di materiale edilizio per nuove opere in muratura (largo utilizzo, anche con finalità ideologiche, da edifici in rovina o buche in contesti urbani: produzione laterizia circoscritta, soprattutto tegole e nei complessi monastici, ma con riuso limitato a causa della presenza di pochi edifici in laterizi e pietra e quindi della ridotta domanda di tali materiali) e riadattamento di edifici antichi (disgregazione e parcellizzazione di strutture preesistenti, sia urbane che rurali e di diverso tipo, prevalentemente tra IV-V e VII sec. d.C. come espressione di un’attività edilizia non organizzata, frutto della contingenza; San Salvatore a Brescia; Classe, 12 RA - Ortalli: nel VI sec. d.C. recupero a scopo abitativo di un magazzino del porto, casa a due piani in tecnica mista; Foro di Nerva, ROMA: casa di età carolingia sul monumento). 7) Archeologia della produzione e dei manufatti Questo aspetto della ricerca permette di studiare non solo la storia delle tecniche, ma anche i meccanismi sociali ed economici in cui si inserivano i cicli produttivi e le conseguenze sociali ed ambientali di questi ultimi (Mannoni, Giannichedda 1996), come il settore dell’archeometallurgia (serie di ricerche in siti minerari toscani: Rocca San Silvestro, Rocchete Pannocchieschi, Follonica, isola d’Elba). - la ceramica: l’approccio storico artistico e catalogico dei secoli precedenti in questo filone di studi (vd. supra) ha causato un il ritardo nelle conoscenze dell’evoluzione della ceramica medievale, nota in maniera non omogenea da un punto di vista sia geografico sia cronologico; i nodi: Le sequenze subregionali: - ALTO MEDIOEVO: sintesi parziali per il nord Italia (Brogiolo, Gelichi), il centro (Whitehouse; sequenze della Crypta Balbi), il meridione della penisola (forte continuità con l’epoca romana come nel Lazio) e alcune informazioni sulla ceramica Longobarda (von Hessen; fenomeno di VI-VII sec. d.C. quasi solo nelle regioni settentrionali; pareti sottili, stralucido, punzonatura o incisione; committenza socialmente e culturalmente connotata; due fornaci a Brescia presso il Capitolium, Guglielmetti); - BASSO MEDIOEVO: analisi tipologiche o puntualizzazioni di natura cronologica, non sintesi, sulla “maiolica arcaica” (Blake: situazione per l’Italia centrale; “maioliche arcaiche” della Crypta Balbi contemporanee con la “ceramica laziale”, le più antiche sono pisane di importazione), sulle protomaioliche meridionali (Whitehouse: “Gela Ware”, North Apulian 1 e 2, RMR; Patitucci Uggeri: produzioni brindisine), sulle prime smaltate rinascimentali (Whitehouse), sulle ingobbiate e graffite (Mannoni: “graffita arcaica tirrenica”; Lazzarini e Canal: ingobbiate venete; Gelichi: da scavi in Emilia Romagna graffite “tipo San Bartolo”, tipi veneziani prima attribuiti a produzioni bizantine coma la “Roulette Ware” e la “Zeuxippus Ware”; produzioni più tarde come le “graffite arcaiche padane” e le ingobbiate dipinte di XIII sec. d.C. “tipo Santa Croce”); La CVP (ceramica a vetrina pesante) o “ForumWare”: spessa invetriatura piombifera data in monocottura; gli studi di Bertacchi (fornace di Carlino), Blake, il Convegno di Como del 1981 e il progetto per la disposizione maggiori fonti sia scritte (censimento di siti produttivi in almeno 52 località di 12 diverse regioni, in particolare in Toscana) sia archeologiche (Monte Lecco, Mannoni: fornace circolare per la fusione di miscela vetrificabile in ambito rurale presso una zona boschiva; territorio di San Giminiano, soprattutto Germagnana, FI, Mendera: vetreria con cinque fornaci e strutture abitative, produzione di vetro di colore verde chiaro per bottiglie e bicchieri “gambasini”, decorati a stampo; Mantova, palazzo ducale; Pisa; Montopoli val d’Arno, PI); - il legno: era tra i materiali d’uso più comune nel medioevo, ma a causa delle dinamiche di conservazione nel sottosuolo è poco sconosciuto e fortemente sottostimato; dopo il lavoro pionieristico di Luciana e Tiziano Mannoni del 1976 sui manufatti d’uso domestico in Liguria in epoca tardo e post medievale (fonti scritte, iconografiche, archeologiche e moderne) che individuava sei diverse tecniche di lavorazione del legno, ognuna praticata da maestranze specializzate, la ricerca sul campo ha permesso il recupero di un numero limitato di resti materiali per l’alto medioevo (Crecchio, CH: reperti lignei di VI-VII sec. d.C. da una cisterna di una domus romana; Classe, RA: materiali di legno databili al V-VII sec. d.C. da un condotto fognario; San Martino di Valle Caudina, AV; Fidenza, PR), mentre più consistenti sono i recuperi databili al tardo medioevo, soprattutto quelli di Ferrara (Palazzo Paradiso, Felloni: recipienti; piazzetta Castello, Gelichi: recipienti in pioppo di XIII-XIV sec. d.C. rinvenuti in buche di scarico) che testimoniano una situazione ben nota anche dalle fonti scritte, con un artigianato tipicamente urbano, mentre in alte aree poteva assumere carattere forestale itinerante (Piemonte) o rurale decentrato (Liguria); - il metallo: i manufatti metallici erano un bene prezioso (custoditi con cura o riciclati), essendo molto rari e spesso degradati spesso non sono facilmente individuabili ed interpretabili; la produzione comprendeva un gran numero di manufatti, alcuni dei quali sono stati rinvenuti in scavo ma di cui è difficile delineare uno sviluppo tipologico, per quanto sembra che dopo il secolo X d.C. la produzione metallurgica sembra subire un incremento: si tratta ad esempio di manufatti preziosi (soprattutto da corredi tombali: abbigliamento personale ed armamento), recipienti in metallo (anch’essi spesso presenti in sepolture soprattutto longobarde: vasellame bronzeo quali i “bronzi copti”, bacili e brocche; diffusi anche nel tardo medioevo), armi (per l’alto medioevo presenza in corredi tombali: umboni di scudo, lance, spatha, scramasax; per il basso medioevo modesti rinvenimenti di frecce, verrettoni e spade), attrezzatura agricola ed artigianale (carattere molto conservativo, la maggior parte era in legno, ad esempio il versoio: passaggio da aratro simmetrico ad asimmetrico; nuclei di materiali altomedievali dal territorio di Modena e da Imola, BO e bassomedievali da Zignago, Rocca San Silvestro e Castelbolognese, ra: sviluppo di un artigianato rurale e specializzato soprattutto nelle zone di approvvigionamento della materi prima e presenza di fabbri itineranti che operavano in ambito sia urbano che rurale tra IX e X sec. d.C.) e suppellettili liturgici (il più delle volte conosciuti per tradizione diretta ma anche tramite i tesori di Canicattini Bagni e Pian de’ Capi, SI).
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