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S. Settis, T. Montanari, Arte. Una storia Naturale e civile, Einaudi: vol. 3, Dispense di Storia dell'arte contemporanea

Dispensa del libro S. Settis, T. Montanari, Arte. Una storia Naturale e civile, Einaudi: vol. 3 Primo libro per sostenere l'esame introduttivo del corso di storia dell'arte moderna con il professor Dal Pozzolo sia per il corso di Beni Culturali che per il corso di Lettere

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 08/01/2024

francesca.antonelli
francesca.antonelli 🇮🇹

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Scarica S. Settis, T. Montanari, Arte. Una storia Naturale e civile, Einaudi: vol. 3 e più Dispense in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! SEZIONE 1 GOTICO INTERNAZIONALE RIASSUNTO SETTIS 3 Nel corso del 400 ci sono eventi epocali che portano alla nascita di Stati Nazionali che esistono ancora oggi. Erano tutte monarchie. Uno dei grandi conflitti fu la Guerra dei cent’anni (1337- 1453) che vide opporsi Francia e Inghilterra per ragioni dinastiche alla morte del re francese Carlo IV, tra Filippo di Valois e il re d’Inghilterra Edoardo III in quanto nipote di Carlo IV. Ne esce vittoriosa la Francia e si avvia all’unificazione, il simbolo della loro vittoria è Giovanna d’Arco che fattasi soldato guida le truppe francesi conquistando Orlèans, finirà come eretica sul rogo nel 1431. Questione dinastica anche per la Guerra delle due Rose in Inghilterra tra i Lancaster e gli York (rosa rossa e bianca) dal 1455 al 1485 e si chiuse con l’incoronazione di Enrico VII un Lancaster che prende in moglie Elisabetta di York, primo della dinastia Tudor. Anche la Spagna va verso lo Stato Nazionale. Nel 1469 Ferdinando d’Aragona sposa Isabella di Castiglia unendo i due regni circa 10 anni dopo. Consacrazione nel 1492 con la presa di Granada cacciando gli arabi. Nello stesso anno Cristoforo Colombo scopriva per i sovrani spagnoli il Nuovo Mondo. Il Mediterraneo on era più sicuro perché nel 1453 i Turchi avevano conquistato Costantinopoli mettendo fine all’Impero romano d’Oriente e minava il Sacro Romano impero che era già disgregato dai principi e le città libere. Tra queste Magonza dove Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili, destinata a cambiare la società come le armi da fuoco. A inizio 400 l’Italia era divisa, a nord dominava la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano; lo Stato della Chiesa torna ad essere una salda presenza, al sud nel Regno di Napoli prevale la casa d’Aragona. Questi Stati italiani erano diventati capisaldi di una nuova civiltà che riscopre le lettere classiche latine e greche e segna uno scarto nelle arti figurative. Il 400 è il secolo dell’Umanesimo e del Rinascimento. A partire dalla seconda metà del 300 si diffuse in Europa un linguaggio aristocratico e prezioso, che si afferma per il 400, per definirlo si usa il termine Gotico internazionale che allude alla matrice gotica e alla sua propagazione per i viaggi degli artisti. CAPITOLO 1 LO STILE DELLE CORTI EUROPEE Nel castello di Chantilly si conserva il codice miniato della fine del Medioevo: Les très riches heures du Duc de Berry, un libro d’ore o breviario, raccolta di preghiere da recitare secondo i diversi periodi dell’anno e del giorno. Il proprietario era Jean de Berry. Pagine riccamente miniate, dai fratelli Paul, Jean Hennequin ed Herman de Limbourg. Le immagini più significative sono quelle dei 12 fogli di apertura con le allegorie dei mesi dell’anno, solo che questi non richiamano al lavoro ma agli ozi di una cerchia ristretta di gaudenti. (aprile= mese fidanzamento, luglio= mese lavoro dei contadini). Il linguaggio delle miniature rappresentano stile cortese, gusti raffinati del signore e della corte, ha carattere laico e profano in funzione del pubblico e committenti, scarsa la resa della tridimensionalità, MADONNA DELL’UMILTA’: vergine con il bambino seduta a terra, 1340, di Simone Martini, nella Cattedrale di Avignone al Palazzo dei Papi, fatto per la corte pontificia di Avignone. La madonna dell’umiltà diviene soggetto per eccellenza del gotico internazionale, a favorirla la possibilità di arricchirla con temi profani. MADONNA DELLA QUAGLIA: 1420, di Pisanello, a Verona Museo di Castelvecchio, vergine seduta a terra con il bambino, la madonna è estremamente elegante e in posa curvata tipica gotica, circondata di uccelli e fiori, posto d’onore alla quaglia in primo piano. CA’ D’ORO A VENEZIA: il gotico approda nelle architetture e per riferirsi a questo si usa il termine gotico fiorito per il mondo vegetale. Palazzo fatto costruire dal mercante Marino Contarini sul Canal Grande a Venezia nel 1420 circa. Archi acuti, spazi pieni e vuoti dall’effetto pizzo, gallerie su due piani, marmo originariamente impreziosito da colori e dorature CAPPELLA KING’S COLLEGE DI CAMBRIDGE E LA CHIESA DEL MONASTERO DOS JERONIMOS DI LISBONA: la versione architettonica del gotico ebbe più fortuna nel resto d’Europa, dove le nervature delle volte tendono a moltiplicarsi con effetti decorativi. La cappella inglese fu fondata nel 1446 dal r Enrico VI ma la volta solo nel secondo decennio del 1500. Il monastero portoghese agli inizi del 1500 per volontà del re Manuele. Mentre in Italia fioriva il Rinascimento in Europa c’era il Gotico. LA SCULTURA DI CLAUS SLUTER: primo grande maestro del gotico internazionale (1360- 1406). IL POZZO DEI PROFETI: Nel 1395 Sluter ebbe la commissione di una crocefissione da istallare in una fontana al centro del chiostro maggiore della certosa DI Champmol a Digione in Francia. Si salvò solo una parte la base del calvario con il pozzo dei profeti per i personaggi dell’antico testamento. Le sculture gotiche erano sempre policrome. IL MONUMENTO SEPOLCRALE DI FILIPPO L’ARDITO: nel cantiere della certosa di Champmol, ebbe a che fare con il monumento sepolcrale del suo protettore Filippo l’Ardito, alla sua morte non era ancora completa e sarebbe stata finita da Claus de Werve il nipote. Il monumento fu danneggiato durante la rivoluzione, oggi è conservato nel Museo di Digione, il monumento non è pensato per essere poggiato a una parete ma si erge isolato su quattro lati, abbiamo poi figure antinaturalistiche perché i corpi sono nascosti dalle pieghe. CAPITOLO 2 GIAN GALEAZZO VISCONTI E IL RUOLO DELLA LOMBARDIA IL DUCATO DI MILANO: il gotico internazionale si impose come linguaggio del Ducato di Milano, esteso anche su parti del Piemonte, Veneto ed Emilia grazie al suo signore Gian Galeazzo Visconti. Fu il maggiore capo di Stato dell’Italia del suo tempo. La sua corte divenne un polo culturale di prim’ordine. MICHELINO DA BESOZZO: la corte di Gian Galeazzo ebbe una sede prestigiosa nel castello di Pavia, antica capitale longobarda. Qua i Visconti patrocinarono una scuola di miniatura conosciuta pure Oltralpe dove si formò nel 1380 circa Michelino da Besozzo, miniatore e pittore. L’ELOGIO FUNEBRE DI GIAN GALEAZZO VISCONTI: scompare il 3 settembre 1402, il cortigiano e frate agostiniano Pietro da Castelletto compose e recitò un sermone trascritto in diversi codici. Uno di questi fu miniato nel 1403 da Michelino che nel frontespizio illustrò una scena dove Gian Galeazzo è incoronato dal Bambino in paradiso. Oggi conservato a Parigi nella Biblioteca nazionale. Michelino non dimostra interesse per la resa dello spazio, le figure sono bidimensionali su fondo a motivi geometrici. IL MATRIMONIO MISTICO DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA: l’unica opera firmata, dipinto a fondo oro, atmosfera sognante dove manca la concretezza spaziale e le figure si accalcano in superficie. Michelino come tanti altri pittori del gotico usa una tecnica da orafo per impreziosire il dipinto: il rilievo con pastiglia dorata. Conservata a Siena nella Pinacoteca Nazionale. IL CANTIERE DEL DUOMO DI MILANO: 1387 Gian Galeazzo da inizio alla fabbrica del Duomo. Fu fondata sulla precedente di Santa Maria Maggiore, un progetto di 5 navate, marmo bianco e forme gotiche. Gian Galeazzo lascia un segno nell’urbanistica di Milano. Voleva competere con le cattedrali d’Oltralpe. Allo stile internazionale corrispose un cantiere quanto mai cosmopolita che vide il coinvolgimento di consulenti e maestranze anche di Francia e Germania. JACOPINO DA TRADATE: scultore lombardo, attestato nella fabbrica nel 1401, si deve un grande rilievo di Martino V, commissionatogli nel 1420 per rendere onore al papa che aveva chiuso lo scisma d’Occidente e consacrato l’altare maggiore della cattedrale nel 1418. Lo ritrae seduto e benedicente in posa frontale, cui si contrappone lo sfrenato panneggiare della veste, tratto gotico. FILIPPO MARIA VISCONTI, FIABE E TAROCCHI: quando Jacopino effigiava Martino V il signore di Milano era Filippo Maria Visconti, seppe rilanciare il Ducato visconteo, guidandolo fino alla morte (1447) sempre in un ambiente gotico. Negli ultimi 10 anni della sua vita fa spola tra Siena e Bologna dove nel 1425 aveva ricevuto l’incarico per il portale della Basilica di San Petronio (da non confondere con la cattedrale dedicata a San Pietro) fondata nel 1390. Si distingue bene perchè affaccia sulla Piazza Maggiore che comprende il Palazzo del Podestà e la fontana del Nettuno, il Palazzo Comunale e dei Banchi. IL PORTALE CENTRALE: a Jacopo si deve il progetto della porta centrale che completò solo in parte, manca il coronamento gotico sopra la lunetta popolata dal gruppo della Madonna con Bambino e i santi Ambrogio e Petronio. Realizzati nel 1426-28 i rilievi nei fianchi con profeti e storie dell’antico testamento, esempio la scena del peccato originale resa con effetto plastico a tutto tondo. LA CHIESA GOTICA E GLI AFFRESCHI DI GIOVANNI DA MODENA: nonostante l’originalità dei rilievi resta una chiesa gotica per pianta, volte a crociera, pilastri a fascio che sostengono archi acuti. Gotiche pure le cappelle nelle navate laterali, una di queste mantiene l’originale aspetto del 1400 (transenne all’ingresso, vetrate, polittico ligneo, affreschi alle pareti). Voluta da Bartolomeo Bolognini che vi elesse la propria sepoltura e dal 1408 ne predispose l’abbellimento culminante con gli affreschi di Giovanni da Modena. SEZIONE 2 FIRENZE E IL PRIMO RINASCIMENTO A Firenze inizia il Rinascimento, riscoperta della letteratura antica con profondi significati civili, destinati ad emergere con decisione sul finire del secolo quando è minacciata da Gian Galeazzo Visconti. UMANESIMO CIVILE E DIFESA DELLA LIBERTA’: l’umanista Coluccio Salutati all’inizio del 400 dice che Firenze si proclama erede dell’antica Repubblica romana e del suo modello di vivere civile, con i cittadini a difesa di patria e libertà. Si parla di “umanesimo civile” perché si riscoprono i valori di una società libera e giusta. Coluccio enfatizza la tirannia di Gian Galeazzo, che morì nel 1402, Coluccio nel 1406 e aveva già trovato nell’umanista Leonardo Bruni il suo prosecutore, convinto che gli ideali di Roma fossero di Firenze. Alla sua morte, Bruni sarebbe finito nei primi monumenti funebri rinascimentali. ARTI MAGGIORI E ARTI MINORI: per essere ammessi agli uffici pubblici si doveva essere iscritti a un’arte: una delle corporazioni che riunivano i membri per difendere gli interessi. Erano 21 e solo 7 maggiori, raccoglievano quelle con meno fatica e più guadagni, le altre erano dette minori ed erano artigianali. I pittori facevano parte dei medici e speziali (maggiore) mentre gli scultori dei maestri della pietra e legname (minore). A memoria delle arti la chiesa di Orsanmichele. DALLA CONQUISTA DI PISA ALLA BATTAGLIA DI ANGHIARI: 1406 conquistano Pisa, presto però la minaccia viscontea torna con Filippo Maria e quindi fu coinvolta nelle “guerre di Lombardia” combattute tra Milano e Venezia. Combattute da mercenari. Nel 1440 i fiorentini sconfissero le truppe milanesi ad Anghiari, mettendo fine alla pressione viscontea su Firenze. L’AFFERMAZIONE DI COSIMO DE’MEDICI: 1434, arriva papa Eugenio IV e rientra da un breve esilio da Venezia Cosimo de’Medici, banchiere conosciuto in tutta Europa. Qua si svolgerà il concilio ecumenico aperto a Ferrara, finanziato da Cosimo, che si fece di fatto signore della città dando il via al predomino politico della sua famiglia. Cosimo era uno dei grandi mecenati del tempo e trasmise ciò anche ai figli Piero, e al Nipote Lorenzo il Magnifico. CAPITOLO 4 TRA IL DUOMO E ORSANMICHELE: GHIBERTI, BRUNELLESCHI, DONATELLO FIRENZE CAMBIA: per spiegarle il Rinascimento ci si rifà a una dedica per Brunelleschi da Leon Battista Alberti nel 1436, Alberti figlio di nobili fiorentini esiliati a Genova racconta l’impressione sconvolgente che ebbe quando entrò a Firenze nel 1434, con le architetture di Brunelleschi, sculture di Donatello, Ghiberti, e le pitture di Masaccio. Era nato qualcosa di nuovo perché gli antichi avevano goduto di un’ininterrotta continuità culturale, mentre nel Rinascimento lo si fa dal nulla. E il simbolo del Rinascimento è la Cupola del Duomo di Firenze di Brunelleschi. Brunelleschi, Donatello e Masaccio sono i promotori di questa nuova fase derivante da Giotto con la prospettiva e la tridimensionalità. IL CONCORSO DEL 1401: bandito un concorso tra i migliori artisti toscani e il vincitore avrebbe realizzato la porta bronzea del Battistero di San Giovanni; a indirlo l’Arte di Calimala che raccoglieva ricchi mercanti e aveva come patrono Giovanni Battista. Ogni maestro doveva eseguire una formella mistilinea con “Il sacrificio di Isacco”, parteciparono nomi illustri come Brunelleschi, Ghiberti, Jacopo della Quercia, alla fine vince Ghiberti e ci restano le formelle sua e di Brunelleschi al Museo del Bargello a Firenze. IL SACRIFICIO DI ISACCO DI GHIBERTI: era figlio dell’orafo Bartoluccio di Michele, Ghiberti (1378-1455) aveva dimestichezza e mise in scena una rappresentazione raffinata e gotica. Rocce di tradizione trecentesca e composizione con centro su Abramo che in posa arcuata viene bloccato dall’angelo, in esso si riconosce un’ispirazione di torso nudo ripreso dall’antico. IL SACRIFICIO DI ISACCO DI BRUNELLESCHI: caratteri simili a Ghiberti, Abramo al centro di profilo con l’angelo che compare in cielo, il personaggio sotto è piegato riprendendo una scultura antica. BRUNELLESCHI ORAFO: anche lui aveva lavorato come orafo, realizzando le figure dell’altare di San Jacopo nella Cattedrale di Pistoia. Spiccano un paio di profeti con tratti simili all’Abramo. LA PRIMA PORTA DI GHIBERTI: era la porta nord, ottenne la commissione nel 1403 e la finì nel 1424 con l’aiuto di una bottega (oggi si trovano al Museo dell’Opera del Duomo). I due battenti presentano 28 formelle con cornici mistilinee, sono narrate 20 storie evangeliche, ed effigiati gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa. Per queste formelle Ghiberti adotta il Gotico internazionale. L’ANNUNCIAZIONE: formella della porta, l’angelo è di profilo e il suo comparire fa ritrarre la vergine, l’architettura dietro di lei è un archetto che la contiene, in alto a sinistra Dio lancia una colomba. Ghiberti sviluppa un motivo antico: quello di rappresentare Dio. DONATELLO E BRUNELLESCHI: DUE CROCIFISSI: tra i maestri abbiamo Donato di Niccolò di Betto Bardi (1386-1466) detto Donatello. IL CROCIFISSO DI SANTA CROCE: opera d’esordio, si vede una formazione ghibertiana, nel crocifisso della Basilica di Santa Croce a Firenze (1406-08) dove le pieghe del perizoma somigliano a quelle nella crocifissione della Porta Nuova del Battistero. Il volto invece ha un naturalismo brutale. Un aneddoto raccontato da Vasari vuole che abbia chiesto un parere a Brunelleschi che gli rispose pareva un contadino più che Cristo perché non aveva un corpo perfetto, e sembra sia nata una sfida tra i due. IL CROCIFISSO DI SANTA MARIA NOVELLA: Brunelleschi quindi inizia segretamente il crocifisso per Santa Maria Novella, che con uno stratagemma fa vedere a Donatello che si dichiara vinto per tanta magnificenza. Ci appare per la composizione e studio delle anatomie come opera del rinascimento maturo. Per spiegare la svolta si sa che nel 1410 stette a Roma e si era fatto influenzare dalla classicità. UNA PRECOCE SCOPERTA DELLE ANTICHITA’ ROMANE: dalla biografia di Brunelleschi scritta dall’allievo Antonio Manetti si dice che dopo la sconfitta del concorso andò a Roma e con lui anche Donatello, per studiare le antichità e le architetture. Dietro questa scelta non ovvia c’è la convinzione che Firenze dovesse guardare al glorioso passato di Roma, grazie a loro la scultura divenne la più avanzata delle arti e la guida per le altre. GLI EVANGELISTI DELLA FACCIATA DEL DUOMO: 1408 l’Opera di Santa Maria del Fiore ordinò 3 sculture di Evangelisti seduti per la facciata del Duomo, affidando il San Giovanni a Donatello, il San Luca a Nanni di Banco e il San Marco a Niccolò Lamberti. Volevano creare una competizione tra i 3 maestri e affidare al migliore il mancante San Matteo, che invece poi fu ordinato nel 1410 a Bernardo Ciuffagni. Nel 1415 vengono messe in facciata e ci restano fino allo smantellamento di questa nel 1587, ora sono al museo dell’Opera del Duomo con ricostruzione del prospetto. Lamberti e Ciuffagni guardano ancora al gotico internazionale, Donatello e Nanni una struttura nuova e concreta. ORSANMICHELE: GHIBERTI, NANNI DI BANCO E DONATELLO: nome derivato da Hortus Sancti Michaelis che si trova a metà strada tra Duomo e Palazzo della Signoria. Al posto dell’orto e monastero fu costruito un mercato del grano e poi la chiesa di una confraternita che ebbe la sua principale devozione nella Maestà di Bernardo Daddi. Sulle parti esterne posero le statue dei loro santi patroni, in 14 nicchie. IL SAN GIOVANNI BATTISTA DI GHIBERTI: compiuta tra il 1412 e il 1416, forte inarcatura risaltata dal panneggio e dalla barba ben pettinata, lo mostrano intento a predicare dal suo tabernacolo in una lingua figurativa che è ancora il Gotico Internazionale. L’originale si conserva nel Museo Orsanmichele al piano superiore dell’edificio. Le repliche fuori sono in bronzo. I 4 CORONATI DI NANNI DI BANCO: allestì qualcosa di radicalmente diverso, inscena una silenziosa conversazione tra i 4 santi, ritratti nelle vesti di patrizi romani disposti a semicerchio. IL SAN GIORGIO DI DONATELLO: realizzato nel 1417, marcata volumetria e recupero dell’antico, una delle statue più amate e note in Europa. Il santo cavaliere è spogliato di ogni orpello, ostenta davanti a se un grande scudo. Per sottolineare la transizione inserisce questa scultura moderna in un tabernacolo gotico. UNA STORIA IN PROSPETTIVA: è il più antico esperimento di prospettiva giunto fino a noi. Tecnica dello stiacciato (rilievo molto basso simil disegno, più tipico di Donatello), ha collocato il cavaliere che uccide il drago al centro di una composizione tridimensionale, a sinistra un antro roccioso e a destra un palazzo con loggiato con la principessa. Abbiamo la novità del cielo atmosferico dovuto a uno scultore e non a un pittore. Realizzato nel 1417 e conservato al Museo del Bargello a Firenze. IL SAN LUDOVICO DI DONATELLO: per l’esterno di Orsanmichele esegue anche la sua prima grande prova in bronzo. Nel 1463 la parte guelfa cede la sua nicchia all’Arte della Mercanzia che ci pone l’incredulità di San Tommaso del Verrocchio. Il Ludovico era stato spostato e messo sulla facciata di Santa Croce, oggi si conserva nel Museo di Santa Croce. È assemblato in più pezzi, appare privo di struttura e progettato sull’incresparsi dei panni. Molte delle altre sue sculture saranno in bronzo. Fu accolto in una nicchia innalzata verso il 1423 dove si preferiva al coronamento gotico un arco a tutto sesto. L’INVENZIONE DELLA PROSPETTIVA: si assegna a Brunelleschi l’invenzione della prospettiva centrale o lineare, per la rappresentazione razionale degli oggetti nello spazio, usa un rigoroso metodo matematico che prevede un punto di fuga, il centro dell’orizzonte. Ciò che è vicino ci appare più grande e ciò che è distante più piccolo. Dietro la prospettiva c’erano degli studi di Brunelleschi a Roma su architetture e sculture antiche. Con Donatello aveva trovato dei modelli da imitare, ma non era possibile per la pittura quindi escogita la prospettiva. UNA TAVOLA PROSPETTICA DI BRUNELLESCHI: la prospettiva si illustra meglio con le immagini che con le parole, il suo allievo Manetti racconta che avrebbe spiegato la prospettiva con l’uso di una perduta tavoletta in cui aveva ritratto il Battistero di Firenze visto dalla porta della Cattedrale, dipinta con un punto di fuga centrale e chi osservava da quel punto poteva scoprire un’immagine identica al vero. protende verso lo spettatore. Colpisce l'uso di una luce fortissima qui si deve il contrasto tra le parti in ombra e illuminate dove non c'è più traccia di elementi gotici nel trono di pietra. LA CROCIFISSIONE DI CAPODIMONTE: Conservato al museo nazionale di Capodimonte a Napoli in origine costituiva il vertice del politico pisano. Masaccio vi esplicita la terza dimensione con il gesto della piangente Maddalena che allarga le braccia di spalle, la studiata posizione dei piedi di San Giovanni e la scelta di raffigurare Cristo quasi senza collo in uno scorcio di sottinsù per la testa. LA TRINITA’ DI SANTA MARIA NOVELLA: Masaccio va a Firenze nella chiesa di Santa Maria Novella e crea un’architettura illusionistica per fingere un’intera cappella. In mezzo a questo arco trionfale all'antica un padreterno colossale sorregge e ostenta la croce da cui pende il figlio, mentre la colomba dello Spirito Santo si getta in picchiata verso lo spettatore. Ai piedi della Croce della vergine e San Giovanni saldano l'immagine della Trinità a quella della crocifissione. Sulle soglie abbiamo Berto di Bartolomeo e sua moglie Sandra e sotto di loro doveva trovarsi la mensa che dava al l'affresco il senso di una Pala d'altare. Nel registro inferiore sotto l'altare già c'è uno scheletro alludendo a quello di Adamo. Era normale che i committenti e devoti fossero raffigurati sottodimensionati rispetto a divinità e santi. Masaccio scardina questa tradizione perché era più importante la prospettiva. L'architettura della cappella sembra dettata da Brunelleschi. L’EPILOGO ROMANO DI MASACCIO: Dopo la Trinità si trasferisce a Roma per ricongiungersi con Masolino rientrato dall’Ungheria e per lavorare con lui a commissioni di Papa Martino V. Sarebbe morto giovanissimo nel novembre 1429. SULLA SCIA DI MASACCIO: SASSETTA, GLI ESORDI DI BEATO ANGELICO E DI FILIPPO LIPPI Tra i primi a intendere le novità fiorentine ci fu Stefano di Giovanni detto il Sassetta (1400 1450), originario di Cortona fu protagonista della pittura senese. Nel 1423-1424 dipinse un polittico per l'arte della lana di Siena che è andato smembrato, le scene superstiti rivelano le novità brunellesche iniziano ad essere note oltre Firenze. Nella predella con il Sant’Antonio battuto dai diavoli compare il cielo atmosferico, i tre demoni sembrano a semicerchio intorno all' eremita per dare senso allo spazio, le figure conservano del gotico a cui Sassetta sarà sempre legato. Con il gotico internazionale farà i conti anche il fiorentino Guido di Pietro meglio noto come Beato Angelico (Vicchio del Mugello 1395, Roma 1455). Dava aspetti vezzosi per il gotico internazionale e devoto per il fatto che era un frate domenicano. IL TRITTICO DI SAN PIETRO MARTIRE: Nel 1429 Angelico ultimava il trittico per il convento domenicano di San Pietro martire a Firenze doveri riecheggiava la lezione masaccesca del polittico di Pisa. Osserviamo il gotico della carpenteria, il fondo dorato e lo spazio unificato al centro, dove la Vergine si staglia con la grazia di una regina gotica ma il quattro santi laterali si ergono con solidità. Il pavimento in marmi è un motivo che Beato Angelico ripeterà tante volte. Era un frate carmelitano il pittore Filippo Lippi (Firenze 1406 Spoleto 1469) che prese i voti nel convento della cappella Brancacci, quindi Filippo diviene seguace di Masaccio. UNA MADONNA DELL’UMILTA’ MASACCESCA: Fatta nel 1430 per un altare della chiesa del Carmine, oggi conservata a Milano, la Madonna dell'umiltà e santi e una Pala d'altare piccola di strano formato dove il soggetto prediletto dai pittori gotici e tradotto in termini masacceschi. la composizione rinuncia ai fiori tipici del tema, il fondo è azzurro e non dorato, le figure sono salde. Gli abiti identificano i santi a destra, il martire Angelo di Sicilia con la spada sulla testa e un giglio per Alberto da Trapani. Le fisionomie e capigliature dei fanciulli annunciano la scultura di Luca della Robbia. PAOLO UCCELLO: CONDOTTIERI E BATTAGLIE Protagonista del primo Rinascimento fiorentino fu Paolo Doni (1397-1475), detto Paolo Uccello per le pitture di animali decorate in casa sua. Si innamora della prospettiva dopo un'esperienza nel cantiere ghibertiano della porta nord e un soggiorno a Venezia. IL MONUMENTO EQUESTRE DI GIOVANNI ACUTO: Al 1436 risale il monumento equestre di Giovanni Acuto affrescato su una parete del Duomo di Firenze per rendere onore al condottiero inglese John Hawkwood; per simulare con il pennello un complesso scultoreo tirò in prospettiva una cassa da morto fingendo che il corpo ci fosse dentro e sopra vi pose l'immagine di lui armato capitano a cavallo. LA BATTAGLIA DI SAN ROMANO: Nel 1438 dipinse per il fiorentino Leonardo Bartolini Salimbeni tre grandi tavole con le fasi della battaglia di San romano, combattuta tra fiorentini e senesi nel 1432 nella guerra di Lucca. I pannelli passarono nelle mani dei Medici e oggi sono divisi tra differenti musei, raffigurano Nicolò da Tolentino alla testa dei fiorentini (Londra National Gallery), il disarcionamento del condottiero senese Bernardino della Carda (Firenze Galleria degli Uffizi) e Michele Attendolo guida i fiorentini alla vittoria (Parigi Louvre). C'è ossessione per gli scorci difficili e geometriche volumetrie delle figure e ampi copricapo, prospettiva impeccabile per disposizione di cavalli e lance. Netto contrasto tra la battaglia in primo piano e i lontani paesaggi dove ci sono preziosità gotiche. Non di meno dovevano essere completate da cuspidi e sulle armature dei guerrieri brillavano lamine d'argento oggi perdute. CAPITOLO 6 PITTURA DI LUCE DOMENICO VENEZIANO: IL MAESTRO DI PIERO DELLA FRANCESCA Una nuova generazione di maestri mosse per esperienza una pittura fondata sul rigore prospettico e un registro cromatico vivace e luminoso. Pittura di luce è stata chiamata, ebbe origine a Firenze a fine anni 30 su impulso di Domenico Veneziano, si diffuse in centro Italia grazie al suo allievo Piero della Francesca. Ha i suoi cardini nella prospettiva, nell’elaborazione di una composizione essenziale e lineare, nell’uso di colori chiari e luminosi. Fu Leon Battista Alberti a teorizzarlo scrivendo un trattato nel 1436 nominato Della Pittura. IL TONDO DI BERLINO: Domenico Veneziano è documentato a Firenze dal 1439 alla morte nel 1461 e le sue opere parlano un linguaggio fiorentino fin dal tondo con l'adorazione dei Magi di Berlino. Oltre elementi tardo gotici il dipinto interpreta in maniera originale in tema di Gentile svolto nella Pala Strozzi. Il corteo attraverso studiate proporzioni degli attori ci guida comprendere la tridimensionalità del dipinto. A Firenze tondi di questo genere furono usati fin dai 400 per gli interni delle dimore più ricche con funzione devozionale. Questa, è registrata nel 1492 in inventario di Palazzo Medici, possibile che sia stata dipinta a fine anni 30 per Piero il Gottoso primogenito di Cosimo. LA PALA DI SANTA LUCIA DE’MAGNOLI: Il vero manifesto di questo linguaggio di Domenico si può riconoscere in una Pala d’altare dipinta alla metà degli anni 40 per la chiesa di Santa Lucia de’Magnoli a Firenze. La Pala è smembrata, la tavola principale è agli Uffizi e le predelle in musei stranieri. Nella principale ci sono elementi nuovi: il formato quadrato, no cuspidi e pinnacoli gotici, i protagonisti in un loggiato con prospettiva e studio geometrico del pavimento e base del trono. Il loggiato non somiglia a quello di Brunelleschi nell’ospedale degli Innocenti, gli archi sono gotici non delle stesse dimensioni, abbiamo marmi policromi simil edifici sacri medievali fiorentini. Dell'architettura stupiscono i colori chiari. GLI AFFRESCHI PERDUTI DI SANT’EGIDIO: Affreschi che Domenico dipinse dal 1439 nel coro della chiesa Fiorentina di Sant’Egidio su commissioni della famiglia Portinari. È un perduto ciclo di storie della vergine dai caratteri prospettici e luminosi. Lo iniziò nel 1439 con l'allievo Piero della Francesca, lasciandolo incompiuto nel 1445, finito da Andrea del Castagno e Alesso Baldovinetti. ANDREA DEL CASTAGNO: Andrea di Bartolo del Bargilla, detto Andrea del Castagno dal paese sul Monte Falterona in cui nacque nel 1419, morì nel 1457. A lui spettò nel 1451-53 finire il ciclo che Domenico Veneziano aveva lasciato inconcluso. Andrea si distingueva per il carattere più fiero ed energico dei personaggi. IL CENACOLO DI SANT’APOLLONIA: Entro il 1447 Andrea aveva affrescato la parete principale del cenacolo del monastero delle Camaldolesi di Sant'Apollonia a Firenze dove, sotto le storie della passione si apre un’ultima cena in prospettiva. Ambienta l'episodio in un edificio all'antica in sezione privo della parete anteriore. Lo sfarzo è come quello Di Roma. Gli apostoli si ergono statuari nel loro scranno, Giovanni è reclinato sul tavolo accanto a Gesù e Giuda si distingue solitario sul lato con il manto che va a raggrumarsi sul suo corpo. A unificare il tutto anche la luce intensissima. GLI UOMINI ILLUSTRI DELLA VILLA CARDUCCI: Meno corrucciate ma altrettanto monumentali sono le figure di “uomini e donne illustri” affrescate da Andrea pochi anni dopo nella loggia della villa Carducci di Legnaia in periferia Di Firenze. Si tratta di un ciclo profano voluto da Filippo Carducci. Rifacendosi a modelli biografici letterari classici come Svetonio e Plutarco recuperati da Boccaccio, la tradizione di raffigurare uomini illustri quali modelli di virtù era in auge fin dal 300. Raffigura in gruppi a tre una serie di donne virtuose, prodi militari e poeti fiorentini facendoli affacciare da una loggia all'antica formata da porfido e marmi colorati. IL MONUMENTO EQUESTRE DI NICCOLO’ DA TOLENTINO: Nel 1456 affresca nella Cattedrale di Santa Maria del fiore il monumento equestre di Niccolò da Tolentino per rendere onore al condottiero nella battaglia di San romano. è modellata sul Giovanni Acuto di Paolo Uccello e come quella ecco un concepita in gara con la scultura. PIERO DELLA FRANCESCA IN TERRA D’AREZZO Il vero profeta della pittura di luce fu Piero Della Francesca (Sansepolcro, 1415-1492), Piero coltivò i più rigorosi studi di matematica e prospettiva sui quali scrisse un trattato nominato “la prospettiva in pittura”. gli elementi chiave sono la coerenza spaziale, colori chiari, architetture all'antica, figure volumetriche. PIERO E SANSEPOLCRO: Giunge a Firenze da Sansepolcro provincia di Arezzo. Era terra fiorentina con ruolo strategico per le vie che connettevano Toscana, Umbria, Marche, Emilia. Percorrere quelle vie per soddisfare le principali corti italiane. IL BATTESIMO DI CRISTO: La formazione di Pietro con Domenico traspare nel 1443-1445 dal battesimo di Cristo nella National Gallery di Londra: Cristo e la soprastante colomba sono il centro della composizione dove l’effetto di tridimensionale lontananza E sottolineato quanto al degradare degli alberi verso il paesaggio distante, Visione serena e distaccata in cui il terzetto di angeli a sinistra somiglia alle figure Di Luca della robbia, mentre dietro il giovane fedele che si spoglia compare un gruppo di curioso che hanno abbigliamento della delegazione bizantina. Il formato ad arco del dipinto non deve illudere, era nato per stare al centro di un trittico cuspidato che si trova nel Museo Civico di Sansepolcro compiuto entro il 1456 da Matteo di Giovanni (Sansepolcro 1428, Siena 1495) uno dei principali esponenti della scuola senese. IL POLITTICO DELLA MISERICORDIA: Nel 1445 la confraternita della misericordia di Sansepolcro ordina a Piero della Francesca un grande polittico dove le figure dovevano stagliarsi su fondo dorato. Piero seppe superare queste limitazioni, Lucy vede nello scomparto centrale dove il soggetto medievale della Madonna della misericordia e in linguaggio moderno: pure sovradimensionata allarga il manto per proteggere dei devoti che in ginocchio danno un senso di un cerchio quindi uno spazio definito. Avrebbe completato il politico solo nel 1462 perché impegnato altrove. Conservato al museo civico di San Sepolcro. IL CAPOLAVORO DI PIETRO AD AREZZO: LE STORIE DELLA VERA CROCE Deve la sua celebrità al ciclo di storie nella cappella maggiore della chiesa di San Francesco ad Arezzo. Commissionato dalla famiglia Bacci inizialmente aveva affidato le pitture Bicci di Lorenzo, un maestro fiorentino gotico che morì nel 1452 avendo decorato solo le vele. Negli anni successivi Piero con gli assistenti Giovanni da Piamonte e Lorentino d’Andrea disegnò gli affreschi che raccontano la storia del legno della Croce di Cristo. Seguendo il racconto della duecentesca legenda aurea di Jacopo da Varazze mise in scena un'epopea di vita laica profana, IL TABERNACOLO DI SANT’EGIDIO: Dal 1441-42 aveva collaudato l'uso in un tabernacolo eucaristico per la chiesa fiorentina di Sant’Egidio che ora si conserva in Santa Maria a Peretola. Le edicole data la loro funzione erano diffuse in ogni chiesa e avevano formati gotici, in questo manufatto per la prima volta propone una variante architettonica di gusto brunelleschiano. Abbiamo un tempietto all'antica con lesene scanalate e coronato da un timpano. Ci sono materiali diversi come il marmo per struttura e figure principali, l'invetriatura compare nel fondo azzurro della lunetta, nel motivo decorativo del basamento, nei festoni e le IMMEDIATA FORTUNA DELLA TERRACOTTA INVETRIATA: Era molto più luminoso e resistente delle policromie , la terracotta permetteva di replicare con posizioni da una matrice ma anche di realizzare grandi complessi con assemblaggio di più pezzi. il successo villa resurrezione del Duomo porta la commissione della lunetta sull’ascensione. La tecnica poteva essere applicata ai grandi lievi ma anche a quelli a tutto tondo dandone prova nello stesso Duomo con gli angeli c'era o fori nella cappella di Santo Stefano del 1448. UNA PRODUZIONE PROTOINDUSTRIALE: Dopo la sperimentazione degli anni 40 si dedicherà solo alla terracotta invetriata organizzando una bottega per dare origine a questa produzione. Bella bottega escono ma donne con bambini per devozioni private, pali d'altare, elementi decorativi e tanto altro per una produzione che poteva replicare opere seriali o creare pezzi unici. Per le grandi pale la possibilità di realizzare a Firenze i pezzi e spedirli a chilometri di distanza e assemblarli il loco garantì un incredibile diffusione di questi manufatti. Esemplare il caso del santuario francescano della Verna nel Casentino dove oggi si conserva un numero consistente di robbiane. Apprezzate particolarmente dagli ordini mendicanti e dai francescani. Richieste anche da committenze profane con immagini di neonati sulla facciata dell’ospedale degli innocenti. E’ in terracotta invetriata il fregio di gusto antiquario che Lorenzo il Magnifico volle sull’architrave del prospetto per la sua villa di Poggio a Caiano, e che verso il 1490 fu plasmato da uno dei suoi artisti di fiducia: Bertoldo di Giovanni. Intanto Luca era morto ma sa bottega continuava ad avere successo grazie al nipote Andrea e ad altri eredi fino alla prima metà del 500. CAPITOLO 8 INTORNO A COSIMO IL VECCHIO: VECCHI E NUOVI PROTAGONISTI LA SAGRESTIA VECCHIA DI SAN LORENZO LO SPAZIO BRUNELLESCHIANO E I RILIEVI DI DONATELLO: Prima ancora che Cosimo de Medici si imponesse a Firenze era stato suo padre Giovanni di Bicci a promuovere e finanziare un importante cantiere della città nel 1420. La ristrutturazione della chiesa di San Lorenzo. Progetto affidato a Brunelleschi nato intorno alla costruzione di una sagrestia pensata come mausoleo mediceo e ultimata nel 1428. La sacrestia vecchia è costituita da un'aula a spazio cubico con colori neutri delle pareti e scandito da elementi architettonici classicheggianti in pietra serena, arenaria di colore grigio, tipica dell’architettura Toscana. Suoni lato si sviluppano grandi lunette tutto sesto sopra le quali si innalza una cupola su quattro pennacchi nei quali si riconosce lo stemma mediceo punto al centro sotto il tavolo marmoreo si trova la tomba di Giovanni de Medici morto nel 1429. Il grande vano è proporzionato ma ha dimensioni minori nella scarsella dove c'è l'altare, li abbiamo dei colorati rilievi eseguiti da Donatello per gli arconi, i pennacchi e sovrapporta. Figure di Evangelisti e santi si alternano con le storie di San Giovanni Evangelista allestite in scenografie prospettiche. IL CAPITOLO DE’PAZZI IN SANTA CROCE Finito da poco la sagrestia viene coinvolto in un nuovo progetto, il nobile Andrea pazzi voleva ricostruire alcuni ambienti del convento di Santa Croce distrutti in un incendio. Nel 1429 scelse di costruire una propria cappella isolata in una zona del chiostro con doppia funzione per i frati che potevano usarla per riunioni del capitolo. Concepì un edificio a pianta centrale dentro un'aula cubica con cupola e scarsella simil sagrestia vecchia, la differenza e la decorazione che ha un corredo scultoreo in terracotta invetriata. non vedranno decorazioni perché moriranno prima. Il cantiere andò a rilento e l'edificio fu ultimato nel 1478. Si distingue per un porticato all'antica con colonne corinzie che sostengono una trabeazione interrotta al centro da un arco a tutto sesto. LA PORTA DEL PARADISO DI GHIBERTI Dopo la famosa porta nord 1424 Ghiberti aveva ottenuto dall'arte di Calimala la realizzazione dell'ultima porta del Battistero la più prestigiosa, la porta del Paradiso. L'originale è oggi nel museo dell'opera del Duomo. Un'impresa lunga e difficile, la porta sarebbe stata installata nel 1452 grazie numerosi aiuti, la struttura dei due battenti rinunciava al gotico e prevedeva 10 grandi scene quadrate con storie dell'antico testamento con cornice con piccole figure di altri personaggi biblici. Furono sottoposti a interventi di pulitura, doratura e montaggio. Ghiberti restava fedele al linguaggio gotico aumentando un po di volume le figure rispetto alla porta nord, la prospettiva era oscura e lo stiacciato era usato per rifinire i dettagli e non per creare spazio tridimensionale. LA STORIA DI ADAMO ED EVA E LA STORIA DI GIUSEPPE EBREO: Il coro angelico dello stiacciato fa da contorno alla creazione di Eva nella prima delle formelle. Si inizia a sinistra con la creazione di Adamo e al centro quella di Eva, continua poi con il momento del peccato originale in secondo piano a sinistra che ha come conseguenza la cacciata dal paradiso terrestre sulla destra con i due spinti dall’Angelo al di fuori di un portale in diagonale, su mandato di Dio chi occupa i cieli con il coro angelico. Ricorda la versione nella cappella Brancacci. Come Piero della Francesca, Ghiberti racconta più episodi nella stessa scena, hanno luogo quattro momenti. Le difficoltà della prospettiva emergono nella formella della storia di Giuseppe ebreo, figlio preferito di Giacobbe fu venduto dai fratelli e giunto in Egitto, fece fortuna interpretando i sogni del faraone che lo volle come suo ministro. Quando i fratelli in un periodo di carestia andarono in Egitto Giuseppe si fece riconoscere e perdonandoli li accolse presso di sé. È raccontata in 7 episodi predisposti intorno a una loggia che Ghiberti non riesce a collocare correttamente. IL DAVID E LA GIUDITTA DI DONATELLO C'è una scultura in cui Donatello e accumunato a Ghiberti per la grazia, Il David in bronzo del Museo del Bargello di Firenze: adolescente dai lunghi capelli nudo, con un cappello in testa e i calzari, nella destra ha la spada e nella sinistra il sasso con cui ha battuto Golia. Poggia un piede sul capo del gigante come fosse un cacciatore. Propone una novità decisiva cioè la posa ancheggiante, è statua a tutto tondo come quelle antiche. Realizzata verso il 1435-1440 per una sala del vecchio palazzo di Cosimo de Medici dove si ergeva sopra una colonna come i monumenti dell'antichità. Osservandolo da sotto in su si poteva incrociare lo sguardo appositamente rivolto verso il basso. Un quarto di secolo dopo avrebbe eseguito per Cosimo un altro bronzo monumentale di soggetto biblico: l'eroina Giuditta che decapita Oloferne. Fatta nella 1464, nell’anno di morte di Cosmo e poco prima di quella di Donatello (1466) che aveva alle spalle un lungo soggiorno a Padova. A Padova diede vita a bronzi monumentali. La Giuditta è un gruppo scultoreo pensato di nuovo a tutto tondo ma di una forza impressionante nei movimenti. Abbiamo tre scene bacchiche sul basamento con l'ebrezza di Olofene. Un tempo aveva una scritta latina che indicava il committente ed esaltava la funzione civile dell'opera, ricordando come Piero il figlio di Cosmo dedicasse la statua alla fortezza e libertà. Rappresentava la virtù civile e amore di patria a seguito della cacciata dei Medici da Firenze. L'opera sarebbe stata requisita dalla Repubblica ed esposta di fronte al Palazzo Vecchio dove oggi sta una copia. In origine Cosimo aveva ordinato la Giuditta per il giardino della sua nuova casa. MICHELOZZO DA BARTOLOMEO, ARCHITETTO DI COSIMO Dopo essersi formato nel cantiere di Ghiberti della porta nord ed essere stato socio di Donatello, Michelozzo di Bartolomeo seppe affermarsi come architetto guardando a Brunelleschi, alla morte del quale nel 1446 ebbene l’incarico di capo maestro del Duomo. Era diventato l'architetto di fiducia di Cosimo che gli aveva affidato il progetto della sua nuova dimora. PALAZZO MEDICI: Costruito tra il 1444 e il 1460 il palazzo mediceo rappresenta un vero e proprio prototipo di edificio gentilizio (appartenente a famiglia nobile) rinascimentale. Risponde all' esigenza del Signore di dimostrare la propria ricchezza e potere evitando un fasto eccessivo e offensivo per i cittadini della Repubblica. Inizialmente struttura cubica intorno al cortile da cui si accede sia agli appartamenti sia al giardino. La facciata è stata alterata in età moderna, le finestre al piano terra sono cinquecentesche attribuite a Michelangelo mentre il prolungamento sulla strada e del 600 per volontà della famiglia Riccardi a cui i Medici avevano venduto l'edificio. Per il resto il prospetto conserva le originali forme. BEATO ANGELICO AL CONVENTO DI SAN MARCO Michelozzo si era occupato dal 1437 al 1443 della ristrutturazione del convento di San Marco, finanziata da Cosimo il vecchio. Tra gli ambienti che meglio mostrano il debito lui confronti di Brunelleschi sono gli spazi razionali del chiostro e della biblioteca, scanditi dai moduli delle campate e degli archi a tutto sesto. Il rapporto tra questo convento e il domenicano fra Giovanni da Fiesole (Beato Angelico) è all'origine di uno dei cicli figurativi più singolari della nostra arte. Il priore stabili che Angelico affrescasse anche le pareti del complesso michelozziano persino nella parte della comunità. Con oltre 4° tra affreschi dell'Angelico e bottega nel 1440 il convento di San Marco oggi museo pubblico è un luogo unico. L’ANNUNCIAZIONE: In questo affresco istituisce un profondo dialogo con la severità brunelleschiana dell'architettura di Michelozzo, cui si richiama lo spazio misurato prospettico del porticato dove fa apparire Gabriele alla vergine. Le figure sono le uniche protagoniste e non ci sono eccessi decorativi. Maria siede su uno sgabello fratesco e al di fuori si riconosce il prato fiorito di un hortus conclusus. LA PALA DI SAN MARCO: A lui si deve anche la Pala per l'altare maggiore della chiesa di San Marco ora nel Museo del convento. Il dipinto a forma quadrata, i santi laterali solitamente in scomparti qui si raggruppano in uno spazio unico intorno alla vergine. Ciascuno ha un ruolo a sinistra abbiamo i santi, a destra abbiamo i frati. in primo piano inginocchiati abbiamo Cosma e Damiano, Patroni della famiglia medici. Affare impoverita nella superficie pittorica da antichi restauri, i suoi colori dovevano essere più vivi grazie alla predella che smembrata tra vari in musei. Tra questi la scena della guarigione del diacono Giustiniano per un ambiente domestico in prospettiva e illuminato da una luce mettendo in rilievo dettagli delle tende, Beato Angelico era aggiornato sulla nuova pittura di Jan van Eyck. SEZIONE 3 RINASCIMENTO E RINASCENZE: LA PITTURA FIAMMINGA E FRANCESE La chiave della pittura fiamminga è un’ossessione per l’indagine attuale, con Jan van Eyeck finisce la stagione delle fiabe, la luce con la pittura ad olio, è il mezzo per descrivere la vita di tutti i giorni. CARLO VII, VITTORIOSO RE DI FRANCIA 17 luglio 1453 a Castillon in Aquitania, l’esercito inglese subì una sconfitta dai francesi, finisce la guerra dei cent’anni. I domini inglesi si riducevano al porto di Calais. Il vincitore era Carlo VII, che fu incoronato nella cattedrale di Remis, e con operazioni diplomatiche recuperò alla corona francese i territori inglesi, stato poi ereditato dal figlio Luigi XI nel 1461. Non manca di dare vita a una corte in cui prosperarono le arti, in cui ebbe servizio Jean Fouquet. LA BORGOGNA E LE FIANDRE I confini della Francia erano diversi dagli attuali, per la presenza di feudi autonomi come la Provenza o il Ducato di Borgogna. Infeudato nel 1363 dal re di Francia Giovanni il Buono al quarto figlio Filippo l’Ardito, rappresenta per quasi un secolo uno stato cuscinetto tra Francia e Impero germanico. Filippo seppe allargare i confini del dominio a Fiandre e Hainaut. Ducato strategico e ricco, l’ultimo Duca fu Carlo il temerario e poi tornò ad essere del re Luigi XI L’altro protagonista è Rogier van der Weyden nato nel 1399 a Tournai e trasferitosi nel 1435 a Bruxelles dove si afferma divenendo l’anno dopo pittore della città. LA DEPOSIZIONE DI LOVANIO: l’anno dopo dipinse per la Corporazione dei Balestrieri della città di Lovanio una pala d’altare con al centro la deposizione, oggi si trova al museo del Prado di Madrid. I personaggi si accalcano senza interesse per lo spazio e si distinguono per la precisione dei dettagli. IL GIUDIZIO DI BEAUNE: su un modulo più mistico si accorda il grandioso Polittico del Giudizio Universale degli anni 40 per l’Ospedale fondato nel1443 a Beaune. Si caratterizza per la possibilità di alternare con apertura e chiusura delle ante due immagini diverse: La dilatata e terribile visione dell'arcangelo Michele che sotto gli occhi della Corte celeste divide i beati dai dannati, e la più serena scena del committente e vedi una moglie in atto di venerare le statue dei santi Sebastiano e Antonio Abate. Le due sculture così come la soprastante annunciazione sono rese a trompe l’oeil (illusionisticamente) secondo la lezione eyckiana. UNA MINIATURA DI ROGIER VAN DER WEYDEN: Verso il 1446 1448 il letterato Jean Wauquelin tradusse in francese per Filippo il buono le Chroniques de Hainaut dove lo storico Jacques de Guyse aveva raccontato la storia della contea di Hainaut. Oltre a una cornice carica di emblemi araldici, il frontespizio ha una miniatura dove Rogier ha raffigurato il momento in cui Filippo riceve la traduzione. Si tratta di una scena di corte dove il libro indica il vassallaggio nei confronti del signore della contea. L’uomo con il volume è il committente, Simon Nockart. Pone una scena quotidiana, non c’è volontà di ostentare magnificenza, predilige la fedeltà al vero. VAN DER WEYDEN IN ITALIA: tra il 1449-50 scende in Italia per partecipare all’Anno Santo soggiornando a Ferrara e Roma e Firenze. Un tempo si credeva che la deposizione nel sepolcro degli Uffizi si identificasse con un dipinto per Lionello d’Este. È una tavola con modello la deposizione di cristo nel sepolcro dell’Angelico tradotto in verismo fiammingo che sottolinea il dolore degli attori. Oggi si crede che l’opera risalga all’immediato rientro in patria, inviata poi dalle Fiandre ai Medici per la cappella di villa Careggi. RITORNO A BRUXELLES: ci lavora fino alla morte nel 1464 con commissioni anche esterne, formando nuovi maestri tra cui Zanetto Bugatto. BATROLOMEO FACIO E LA FORTUNA ITALIANA DEI PITTORI FIAMMINGHI: dopo la metà del 400 si trova in Italia la prima attestazione della pittura fiamminga. L’umanista Bartolomeo Facio intorno al 1456 scrisse una novantina di brevi biografie di suoi contemporanei per professione. Celebrò gli italiani e i fiamminghi menzionando opere che non ci sono giunte. HANS MEMLING: UN PROTAGONISTA DEL SECONDO QUATTROCENTO Nato a Seligenstadt, in Assia nella seconda metà degli anni 30, Hans Memling fece il suo apprendistato nelle Fiandre con van der Weyden. Nel 1465 si trasferì a Bruges dove avviò una bottega che gli permise di erigersi a primo attore della pittura fiamminga fino alla morte nel 1494 con successo europeo. IL GIUDIZIO UNIVERSALE DI DANZICA: Una delle opere più significative e un grande trittico raffigurante il giudizio universale che si trova nel museo nazionale di Danzica In Polonia. Fu commissionato da Angelo tani il direttore del banco mediceo di Bruges e dalla città nordica fu inviato nel 1473 a Firenze per essere collocato nella cappella di famiglia nella Badia di Fiesole ma non arrivò mai. la nave fu assalita da un corsaro polacco che trafugò il giudizio e non condusse nel porto Baltico. Offre una rilettura dei suoi predecessori. Riduci gli scomparti da 9 a tre compattando la composizione, la Corte celeste alla parte in alto, in mezzo l'arcangelo Michele sui beati e dannati i primi nella sinistra gli altri a destra. IL TRITTICO DONNE: ai trittici di grandi dimensioni alterna quelli piccoli per privati, uno di questi dipinto negli anni 70 per sir John Donne. Nel trittico Donne dimostra l’apertura verso l’arte italiana unificando lo spazio nei 3 scomparti, al centro la Madonna con bambino con angeli musicanti e santa Caterina e Barbara. Committente, moglie e figlia sono in ginocchio, negli scomparti laterali abbiamo San Giovanni Battista ed Evangelista. Il tutto in una camera tridimensionale dalla fuga prospettica del pavimento. Dopo il loggiato un paesaggio. 1478, Londra National Gallery. I RITRATTI CON IL PAESAGGIO: la predilezione per i paesaggi lo porta a introdurre una novità nel ritratto nordico, togliendo il fondo scuro con un fondale di paese. Nella tavola del museo di Anversa abbiamo un ritratto di tre quarti con paesaggio di campagna. Aggiunge un dettaglio, una moneta romana come omaggio per la passione all’antico e il collezionismo in voga in Italia. 1473-73. CAPITOLO 10 TRA FRANCIA E ITALIA: BARTHELEMY D’EYCK E JEAN FOUQUET NON SOLO FIANDRE: ESPERIENZE FRANCESI Prendendo spunto dal verismo eyckiano emersero personalità come Barthélemy d’Eyck e Jean Fouquet. il primo maestro di fiducia di Renato d’Angiò, che seguì prima a Napoli e in Provenza; il secondo come pittore di corte dei re di Francia Carlo VII e Luigi XI con un soggiorno italiano. RENATO D’ANGIO’, BARTHELEMY D’EYCK E LA SCUOLA PROVENZALE Fu per decenni al servizio di Renato d’Angiò che lo prese al proprio servizio nelle Fiandre nel 1433. Renato fu un colto mecenate con a cuore la Provenza. IL TRITTICO DI AIX-EN-PROVENCE: di Barthélemy d’Eyck del 1443-45 per la Cattedrale di Aix-en-Provence e oggi smembrato tra la Chiesa della Maddalena e di Rotterdam, Amsterdam, Bruxelles. Fu fatto per Pierre Corpici. Al centro l’annunciazione in un edificio gotico che dopo la Vergine si prolunga in 2 navate, nelle laterali i profeti Isaia e Geremia, al di sopra scaffali pieni di libri. Qualcosa di molto simile fu fatto a Napoli da Colantonio in una tavola con il san Girolamo nello studio conservata a Capodimonte. I due artisti si incontrano e scambiano le novità. ENGUERRAND QUARTON: il ritorno in Provenza di Renato e del pittore favorì una scuola con la figura di spicco di Enguerrand Quarton. Tra le opere abbiamo l’incoronazione della Vergine commissionata nel 1453 per la Certosa di Villeneuve-les-Avignon. Tavola secondo principio gerarchico per le figure, al centro la Trinità e ai lati la corte celeste. Sotto si compie il giudizio nella città di Roma e Gerusalemme. Senza prospettiva, unificato dalla luce. UN PAESAGGIO ALPINO DI KONRAD WITZ: nel 1444 Konrad Witz dipinse per la Cattedrale di Ginevra una pala cui appartenne la Pesca miracolosa ora al Musée d’Art d’Histoire di Ginevra. L’ambiente è un lago ginevrino e non Galilea. Prima del periodo a Ginevra abbiamo una presenza in Basilea nel 1434. C’era un nuovo modo di dipingere il paesaggio che si propagava. JEAN FOUQUET: UN FRANCESE E L’ITALIA Jean Fouquet venendo in Italia si confronta con le novità prospettiche di Firenze. Era nato a Tours nel 1420. Si pensa a un soggiorno fiorentino con assimilazione delle novità, presenti nelle sue opere al ritorno in Francia IL DITTICO DI MELUN: nel 1452 pianse la morte della moglie Catherine Budé, seppellita a Notre-Dame di Melun, per la quale dipinse un dittico oggi smembrato. Dalla cornice proviene un piccolo tondo oggi al Louvre con l’autoritratto del pittore. Le ante del dittico richiamano le novità italiane. A sinistra il devoto Etienne Chevalier presentato a Santo Stefano, guardano alla loro sinistra dove c’era la figura della Madonna con il Bambino oggi conservata ad Anversa. Rappresentata come una giovane nobildonna con vesti preziose in mezzo a cherubini e serafini rossi e blu. Il riferimento italiano è nell’anta sinistra con una scena di prospettiva in diagonale. SEZIONE 4 LA DIFFUSIONE DEL RINASCIMENTO IN ITALIA MILANO AGLI SFORZA E NAPOLI AGLI ARAONESI: Fancesco Sforza condottiere del Duca di Milano Sposa la figlia bianca Maria, per questa Unione dopo la morte di Filippo Maria nel 1450 Francesco diviene signore di Milano. Sotto il suo dominio la capitale si apre al Rinascimento. All'altro capo d'Italia la contesa tra Angioini e Aragonesi ebbe soluzione nel 1442 quando la presa della città da Alfonso d'Aragona mise fine al regno di Renato d'Angiò. Alfonso fece il suo ingresso a Napoli nel 1443 costruendo un dominio comprendente anche territori in Spagna oltre che l'Italia meridionale. Unì le capacità militari con la passione per le lettere e le arti, alla sua Corte ebbe successo la pittura fiamminga. GLI UMANISTI E LE CORTI: La cultura umanistica fece prosperare le corti italiane perché i signori fecero a gara per raccogliere i migliori uomini di lettere. Nel 1430 Niccolò III d’Este accolse a Ferrara Guarino da Verona esperto di letteratura Latina e greca, con alle spalle un soggiorno di 5 anni a Costantinopoli, si prese cura dell’educazione di Lionello d’Este e rimase lì fino alla morte. Fu celebrato con una medaglia da Matteo de Pasti. in una medaglia di Pisanello abbiamo Vittorino da Feltre, uno degli educatori più illustri chiamato negli anni 20 da Gian Francesco Gonzaga per i propri figli. Vittorino aprì una scuola di notevole fama dove si formò anche Federico da Montefeltro futuro signore di Urbino. PAPI UMANISTI E NUOVI SANTI: L'amore per le lettere coinvolse anche gli uomini di chiesa, Roma inizia a diventare una vera e propria capitale del Rinascimento e giocano un ruolo decisivo due umanisti eletti pontefici Papa Nicolò V e Pio II, quest'ultimo diede vita al progetto di una città ideale, Pienza formata su il primo piano urbanistico moderno. Nel campo spirituale a metà del secolo proclamano alcuni nuovi santi appartenente ordini regolari e subito effigiati dai pittori e scultori. Sul piano politico Niccolò V incoronò imperatore Federico III riuscendo a condurre in porto la pace di Lodi nel 1454. LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI: Il 29 maggio 1453 Costantinopoli fu conquistata dai turchi di Maometto II segnando la fine dell'impero d'oriente. Il successore di Niccolò III, Callisto III organizza una crociata per riconquistare Bisanzio e Pio II nel 1459 convoca un Concilio a Mantova, nessuna spedizione sarebbe mai partita perché nessun signore voleva gettarsi in una simile impresa. LA REPUBBLICA DI VENEZIA: Nonostante i turchi fu un secolo di espansione per la Repubblica di Venezia. I confini giunsero a comprendere il Veneto e tutto il Friuli allargandosi anche a Bergamo e Brescia fino a Lodi. Nell'area adriatica erano veneziane Ravenna, l'Istria e la Dalmazia. Nel 1489 fu annessa l'isola di Cipro. La città era capitale di uno stato multiculturale con ricchezza sulle intense relazioni commerciali con l'oriente. Veneziana anche Padova che nella sua università educò numerosi umanisti e con la presenza di Donatello rappresentò la testa di ponte per la diffusione del Rinascimento nel nord Italia. CAPITOLO 11 PAESAGGIO E CITTA’ NEL 400 LA CITTA’ E LA CAMPAGNA PANORAMI QUATTROCENTESCHI ANCORA VISIBILI: Nel 400 in Italia il paesaggio è apprezzato per i suoi valori estetici. Fuori dalle città abbiamo ancora paesaggi dentici acquisti mentre in corrispondenza il paesaggio è stato profondamente alterato soprattutto per la crescita delle periferie ai danni delle campagne. METROPOLI IN MEZZO ALLA CAMPAGNA: Nel museo della Certosa di San Martino a Napoli si conserva una delle vedute più celebri del 400, la cosiddetta tavola Strozzi proveniente dalle collezioni della famiglia Strozzi di Firenze. Trasfigurano dettagliata veduta della città di Napoli sul mare dove si riconosce una flotta aragonese al rientro dalla battaglia di Ischia. Tra le differenze più risultano tra la Napoli della tavola Strozzi e quella di oggi ce n'è una che colpisce di più: la città non è più racchiuso dalle mura ma si è espansa a macchia d'olio sulle colline che nel 400 erano ancora verdeggianti. Un fenomeno che ha riguardato tutte le principali città L’AFFRESCO DI PIERO DELLA FRANCESCA UNA SCENA DI CORTE: nella versione definitiva predomina la scultura. All’inizio però non doveva essere così perché nel 1449 Sigismondo cercò un pittore per le cappelle e la scelta cadde su Piero della Francesca a cui si deve un affresco esposto nel transetto della chiesa. Dipinse una scena di corte in un’aula chiusa da una coppia di lesene architravate all’antica e ornate di festoni. Sigismondo spicca al centro con alle spalle due levrieri, bianco e nero. C’è un oculo prospettico sulla destra, nella parte inferiore una scritta lacunosa con il nome di Piero e la data 1451. UN CAMBIAMENTO DI DESTINAZIONE? : in origine l’immagine non era ben visibile, era nella piccola sagrestia che divide le prime due cappelle sopra la porta d’ingresso. Ciò per un cambio di programma, fu pensata per stare al centro della prima cappella del tempio dedicata a San Sigismondo, tra il lasso di tempo tra commissione e affresco Sigismondo decise che preferiva la scultura e l’affresco finì in sagrestia. AGOSTINO DI DUCCIO SCULTORE Oltre alla firma di Matteo nella cornice di destra si legge pure quella dell’autore delle sculture. Agostino di Duccio 8Firenze 1418-Perugia 1481), scultore toscano allievo della bottega di Donatello che poi ha girato per Emilia e Venezia prima di essere reclutato nel 1449 da Sigismondo. Si occupa della navata e le 6 cappelle con soggetti mai banali con riferimenti all’antico e tardomedievali. LE CAPPELLE E I SOGGETTI: sono i temi raffigurati nei pilastri o sugli altari a dare il nome alle cappelle del tempio. Abbiamo da destra la Cappella Sigismondo, quella di Isotta degli Atti, quella dei pianeti, dall’altro lato la cappella delle sibille, dei giochi infantili, delle muse e arti liberali. Per lo zodiaco rappresenta le costellazioni e corpi celesti sotto forma di figure mitologiche. Nel 1457 la decisione di lasciare Rimini e trasferirsi a Perugia segna l’incompletezza del tempio malatestiano. CAPITOLO 14 LEON BATTISTA ALBERTI E FIRENZE LA FACCIATA DI SANTA MARIA NOVELLA L’ANTICHITA’ E IL MEDIOEVO: Leon Battista Alberti era ben inserito a Roma e teneva anche rapporti con Firenze. Vasari lo definisce amico di Giovanni Rucellai che gli commissiona il palazzo di famiglia e il completamento della facciata della chiesa di Santa Maria Novella nel 1470. Alberti doveva armonizzare con quanto era già stato fatto, quindi recupera la tradizione architettonica tardomedievale fiorentina. PALAZZO RUCELLAI E IL RECUPERO DEGLI ORDINI ANTICHI Nuovo palazzo di Giovanni Rucellai finito verso il 1465. Intervento su edificio preesistente, la direzione del cantiere fu affidata a Bernardo Rossellino. Il palazzo è diviso in 3 piani con ampio cornicione, al piano terra aveva un sedile sporgente pensato come spazio di collegamento e dialogo tra la dimora privata e la città. MODERNI SEPOLCRI “ALL’ANTICA”: BERNARDO ROSSELLINO E DESIDERIO DA SETTIGNANO Due sono affacciati simmetricamente a Santa Croce, riflettono il gusto antiquario di Leon Battista Alberti. Sono i monumenti per i cancellieri di Firenze, Leonardo Bruni e il successore Carlo Marsuppini. IL MONUMENTO BRUNI DI BERNARDO ROSSELLINO: nato ad Arezzo nel 1370 fu cancelliere della Repubblica dal 1427 alla morte nel 1444 e si distinse come umanista, al punto di meritare un mausoleo scolpito da Bernardo Rossellino, adepto di Alberi. Il monumento è all’antica di forma di un arcosolio con elementi decorativi di tipo archeologico, all’interno il letto funebre con la figura di Bruni. IL MONUMENTO MARSUPPINI DI DESIDERIO: al Bruni succedette Carlo Marsuppini (1398- 1453) che tenne l’incarico fino alla morte. Il compito di fare la tomba gemella fu di Desiderio da Settignano, giovane scultore che preferisce un’interpretazione più espressiva e virtuosistica per i dettagli. I SORRIDENTI BAMBINI DI DESIDERIO: scolpisce teste di grande grazia e leggiadria con riferimento a quelle dei fanciulli e femmine. Il gioioso bambino sorridente conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna destinato in origine a una dimora fiorentina ne è la prova. IL DE STATUA DI LEON BATTISTA ALBERTI: Leon Battista Alberti si dedica a un trattato sulla scultura, che fa differenza tra modellare una materia plasmabile e quella che scava la pietra. Individua nella scultura l’imitazione della natura, proponendo un metodo scientifico per realizzarla con l’individuazione delle proporzioni del corpo umano e caratteristiche individuali. CAPITOLO 15 URBINO E LA CORTE DI FEDERICO DA MONTEFELTRO IL PALAZZO DUCALE Nel 400 la città di Urbino dominava solo un territorio posto Vasco che comprendeva gran parte delle Marche fino a Gubbio salendo per una piccola parte della Romagna. Era un'area strategica ma non ricca infatti Urbino diviene uno dei centri artistici di maggior rilievo del Rinascimento solo perché il suo signore fu uno dei più grandi condottieri del tempo. È Federico da Montefeltro (1422-1482), erede della dinastia dei conti di Urbino e del Montefeltro che nel 1474 ebbe da papa Sisto IV il titolo di duca di Urbino. Acerrimo nemico del Malatesta. Negli anni 30 è stato allievo di Vittorino da Feltre a Mantova e quando torna a Urbino forma una corte di guerrieri ma anche letterati e artisti nella dimora di Federico: il Palazzo Ducale. Si estende su una vasta area della città e incorpora edifici preesistenti nel corso di lavori, avviati dal 1454 e proseguiti decenni. Il volto esterno è detto facciata dei torricini per le due torri circolari che sovrastano 4 logge. LUCIANO LAURANA E IL CORTILE D’ONORE DEL PALAZZO DUCALE: a sovrintendere la costruzione della facciata fu Luciano Laurana (Vrana 1420/25- Pesaro 1479): nato in Dalmazia attivo nella Mantova di Ludovico Gonzaga prima di passare ai Montefeltro dal 1466 al 1472. Gli si assegna anche il progetto del cortile d’onore, con 4 loggiati e archi a tutto sesto. LO STUDIOLO DI FEDERICO E LE TARSIE PROSPETTICHE: Alla monumentale dimensione di questi ambienti si contrappone il carattere più privato dello studiolo riservato al duca. è una stanzina decorata nella parte alta delle pareti da un ciclo di uomini illustri dipinto da Giusto di Grand e Pedro Berreuguete. Il protagonista è l’arredo ligneo con tarsie prospettiche realizzate verso il 1474-76 da Giuliano e Benedetto da Maiano. PIERO DELLA FRANCESCA A URBINO IL DITTICO DI MONTEFELTRO: Tra i molti maestri ai quali Federico da Montefeltro affida la sua immagine il più celebre è Piero della Francesca. Nel 1460-65 dipinge il Dittico di Montefeltro oggi agli Uffizi dove ritrae il duca e la moglie Battista Sforza sposata nel 1460. La coppia è di profilo con le figure a mezzo busto su fondo con paesaggio. Fu scelta la pittura ad olio, sono dipinti anche sul retro con le allegorie delle virtù e la vittoria dei due personaggi. LA MADONNA DI SENIGALLIA: figure a mezzo busto, atmosfera ovattata e domestica, mensole con oggetti e natura morta, domina perfettamente gli elementi fiamminghi. Conservata alla Galleria nazionale delle Marche ad Urbino, fatta nel 1474. LA PALA DI MONTEFELTRO: Federico protagonista della Pala di Montefeltro della Pinacoteca di Brera a Milano dipinta tra il 1472-74. È in armatura sempre di profilo, inginocchiato davanti alla Vergine con il figlio con corte di angeli e santi. Spazio all’antica. Realismo dei dettagli. PRESENZE FIAMMINGHE A URBINO: GIUSTO DI GAND E PEDRO BERRUGUETE Nel Montefeltro si dovette conservare anche un dipinto di Jan van Eyck, il destino dell’opera è ignoto ma ad attestare il successo fiammingo ci sono due maestri: Giusto di Gand e Pedro Berruguete. GIUSTO DI GAND E LA PALA DEL CORPUS DOMINI: nel 1474 ultimava la pala per la compagnia del Corpus Domini di Urbino. Tra il 1467-68 Paolo Uccello ne aveva eseguito la sola predella così nel 1469 si cerca di commissionare il resto a Piero della Francesca. Alla fine misero sull’altare una tavola dai gusti nordici. Giusto fu chiamato a dipingere la comunione degli apostoli, nulla è italiano nel dipinto tranne la faccia del duca. LA PREDELLA DI PAOLO UCCELLO: erano 6 episodi per il Miracolo dell’ostia profanata, l’ambientazione in interno offre l’occasione di allestire una scatola prospettica. PEDRO BERRUGUETE E UN RITRATTO DI FEDERICO CON IL FIGLIO: nel 1476 realizza il ritratto di Federico con il figlio in un momento di relax dagli ordini quotidiani, conservata alla galleria nazionale delle Marche. Il figlio è Guidobaldo da Montefeltro nato nel 1472. FORTEZZE E CITTA’ IDEALI FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI E IL TRATTATO DI ARCHITETTURA: accolse il senese Francesco di Giorgio Martini per il cantiere del Palazzo Ducale e per nuove fortificazioni. Fu il primo grande interprete di una nuova architettura militare, per difendersi dalle armi da fuoco. A queste, dedica molte pagine di un trattato sull’architettura manoscritto. SASSOCORVARO E LE FORTEZZE DEL MONTEFELTRO: tra tutte spicca la rocca di Sassocorvaro costruita dopo il 1474 per l’assegnazione del borgo come feudo al segretario Ottaviano Ubaldini della Carda. Progetta una fortezza che ricorda una tartaruga con aspetto massiccio. Solitamente le pareti sono oblique per evitare di offrire colpi facili. LA ROCCA DI SAN LEO: anche la difesa di San Leo, in cima a uno sperone roccioso al confine con lo stato riminese, quindi si rafforza il fianco. Idea una coppia di torrioni cilindrici sul limitare della rupe uniti da una cortina. IL TEMA DELLA CITTA’ IDEALE: Non solo le fortezze rinnovano il paesaggio, l'affermarsi degli ideali brunelleschiani e albertiani permette di aspirare a una progettazione ambiziosa degli spazi urbani ed extraurbani pianificando addirittura la nascita di città fondate su disegni urbanistici razionali da apparire ideali. Nella Galleria Nazionale di Urbino si conserva un dipinto con il nome città ideale. Vi è raffigurata l'ampia piazza di una città imperniata su un edificio a pianta rotonda e di gusto antiquario chiusa lateralmente da palazzi. Sono ignoti la funzione quanto l'autore di questa tavola che si allinea agli interessi di Piero della Francesca. Piace riconoscere nome dipinto un'opera giovanile di Donato Bramante. Mentre a Urbino si dipingeva questa tavola una città ideale era già sorta e l'aveva voluta l'alleato di Federico da Montefeltro: Papa Pio II. CAPITOLO 16 PIO II: UN PAPA UMANISTA TRA PIENZA E SIENA PIENZA: LA CITTA’ DI PIO II E DI BERNARDO ROSSELLINO L’ASCESA DI ENEA SILVIO PICCOLMINI: fu eletto papa nel 1458 con il nome di Pio II, racconta la sua vita in un’autobiografia in latino e in terza persona, i Commentari, qui descrive l’impresa che gli diede la fama, la costruzione di Pienza. In breve trasforma il villaggio di nascita Corsignano in Pienza, una città. IL SOFFITTO DELLA CAMERA DEGLI SPOSI E IL PRODIGIO DEGLI SCORCI GLI IMPERATORI ANTICHI E UN OCULO ILLUSIONISTICO: il soffitto ha un tema antiquario che fa da cornice a una soluzione prospettica innovativa. Nella volta finge una pittura degli elementi architettonici e una fastosa sequenza di busti di Cesari clipeati come se fossero scolpiti a rilievo. Ciascuno ha una scritta e fanno da contorno al centro con sfondamento del soffitto con un oculo prospettico aperto sul cielo da dove si affacciano dei putti. IL CRISTO MORTO: la capacità prospettica emerge anche nel cisto morto della Pinacoteca di Brera, dipinta su tela e non tavola, è un compianto ma i dolenti sono a lato e si vedono solo i volti. Il corpo appoggiato sulla pietra monopolizza la scena. Effetto scultoreo. 1475-80. LEON BATTISTA ALBERTI A MANTOVA: SAN SEBASTIANO E SANT’ANDREA Leon Battista Alberti giunse a Mantova per il concilio del 1459 e il Gonzaga ne approfitta per una collaborazione. Si devono a lui un paio di chiese mantovane. LA CHIESA DI SAN SEBASTIANO: verso il 1460 disegna la chiesa di San Sebastiano, distinta non solo per l’aspetto classico ma per la struttura rialzata su di una cripta e concepita con pianta centrale. Il risultato fu moderno ma provocò sconcerto. LA CHIESA DI SANT’ANDREA: 1470 inizia il cantiere per ricostruire la chiesa medievale di Sant’Andrea che custodiva la venerata reliquia del sangue di Cristo, di nuovo facciata da tempio antico e un interno di tipo basilicale riprendendo quella di Massenzio a Roma. In entrambi usa lesene piuttosto che colonne. CAPITOLO 19 FERRARA E GLI ESTENSI: TRE PITTORI E UN PROGETTO URBANISTICO NELLA FERRARA DI LIONELLO E BORSO D’ESTE Prima di Mantova era stato a Ferrara nel 1449 da Lionello d’Este (1407-1450), anche Ferrara era un grande centro culturale grazie a Niccolò III d’Este padre di Lionello. In quei decenni si incrociano i più grandi artisti come Pisanello, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti. L’ARCO DEL CAVALLO: nella piazza principale si innalza un monumento pubblico che reca il segno del passaggio di Alberti in città nel 1444. Si tratta dell’arco del cavallo eretto nel 1450- 51 da Niccolò Baroncelli per sostenere un gruppo equestre in bronzo di Niccolò III d’Este, distrutto e sostituito nel 1796 con una copia del 900. La tipologia evoca il Gattamelata di Donatello, si distingue perché metterla su un arco era invenzione antiquaria più sofisticata. I RAPPORTI TRA FERRARA E PADOVA: alla morte di Lionello nel 1450 Ferrara passa al fratello Borso, una sua effigie fu commissionata nel 1451 a Donatello che allora si trovava a Padova che non rispettò l’impegno. A conferma degli scambi con le due città Bono da Ferrara che dipinge nella cappella Ovetari. LO STILE ROVENTE DI COSME’ TURA UNA MUSA PER BELFIORE: nel tempo di Borso nasce una vera scuola ferrarese con protagonista Cosmè Tura (Ferrara 1433-1495) e trova la sua icona in una Musa conservata alla National Gallery di Londra. Originariamente parte di una serie di 9 muse per lo studiolo della delizia di Belfiore, residenza degli Estensi che non ci è giunta. Lui vi lavorò verso il 1458-63. I suoi tratti caratteristici danno vita a un linguaggio eccentrico. Si pensa che ebbe a che fare con la scuola di Francesco Squarcione. I MESI DEL PALAZZO SCHIFANOIA Il miglior esempio è il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia: edificio per le gioie della vita. Borso chiese all’astrologo Pellegrino Prisciani di imbastire un programma per celebrare la corte con un ciclo allegorico dei 12 mesi dell’anno che intorno al 1469 sarebbe stato affrescato da vari pittori aggiornati sulle novità di Tura. FRANCESCO DEL COSSA: il solo pittore documentato per gli affreschi. Il tema dei mesi godeva di fortuna in ambito cortese fin dal gotico internazionale. È su 3 registri, in alto il trionfo della divinità mitologica del mese, al centro il segno zodiacale con allegorie, in basso uno scorcio di vita di corte. A dominare è Aprile con il segno del toro e Venere trionfante su un carro trainato da una coppia di cigni e Marte incatenato, tutt’intorno giovani e le 3 grazie; nel registro inferiore il Duca Borso rientra da una battuta di caccia. L’ESORDIO DI ERCOLE DE’ROBERTI: non tutti i mesi sono idilliaci, come Settembre dove è stato riconosciuto Ercole de’Roberti (1450-1496): Vulcano trionfa sul suo carro, un gruppo di ciclopi realizza armi nella fucina, di contro il prologo della storia: Marte e la vestale Ilia in un letto con lenzuolo che li copre mentre si accoppiano, li nasceranno i gemello del mito di Roma. L’EVOLVERSI DELLA PALA D’ALTARE Lo stile del salone non si limita alle raffigurazioni profane ma ebbe fortuna anche sugli altari delle chiese come dimostrano delle pale ora smembrate e ricostruibili solo virtualmente. COSME’ TURA E LA PALA ROVERBELLA: 1476-79 dipinge un trittico centinato per la cappella della famiglia Roverbella nella chiesa ferrarese di San Giorgio fuori le Mura. Lo scomparto centrale della madonna con bambino è al National Gallery di Londra. FRANCESCO DEL COSSA E LA PALA GRIFFONI: Cossa dopo i Mesi si trasferisce a Bologna dove dipinge nei primi anni 70 una pala per la Cappella Griffini nella chiesa di San Petronio. Un trittico che al centro raffigurava San Vincenzo Ferrer sempre conservato a Londra alla National Gallery, il registro superiore era ancora a fondo d’oro con una coppia di santi conservati a Washington, National Gallery of Art. Per la predella ora conservata nella Pinacoteca Vaticana si fece aiutare da Ercole. ERCOLE DE’ROBERTI E LA PALA DI RAVENNA: pala dipinta tra il 1479-81 per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria in Porto vicino Ravenna, oggi nella Pinacoteca di Brera. Unica opera documentata di Ercole de’Roberti, che adotta un formato più modesto. Cornici assenti e spazio unificato con quadriportico all’antica con al centro il baldacchino su cui sta la vergine e il bambino con accanto Anna ed Elisabetta, ai lati due santi. UN PRECOCE PROGETTO URBANISTICO: L’ADDIZIONE ERCULEA DI BIAGIO ROSSETTI Ferrara ebbe anche un’attenzione degli Estensi per lo spazio urbano culminata nella addizione erculea. Il fratello di Borso, Ercole che realizza un grande progetto che raddoppia lo spazio viario, migliora le difese militari e offre una dimensione più aperta alle vecchie strade medievali. 1484 l’architetto Biagio Rossetti disegna il piano urbanistico realizzato tra il 1492- 1510 costruendo la città ideale. L’addizione erculea si basava sul modello romano degli assi ortogonali su due viali: uno sud-nord con castello e città nuova; l’altro est-ovest con Porta Po e Porta Mare. Il fulcro era il quadruvio degli angeli dove troviamo anche il Palazzo dei Diamanti progettato da lui nel 1492 e deve il suo nome alla scelta di decorarlo con un bugnato marmoreo a punta di diamante. CAPITOLO 20 GLI SFORZA E IL PRIMO RINASCIMENTO A MILANO FILARETE: REALTA’ E FANTASIA IL CASTELLO SFORZESCO E LA TORRE DEL FILARETE: Milano passava dai Visconti agli Sforza con Bianca Maria che aveva sposato Francesco Sforza. Con lui si apre un nuovo linguaggio rinascimentale. Esempio il castello Sforzesco trasformando il precedente castello di Porta Giovia. Per l’ingresso fu eretto un torrione merlato gotico, simbolo di Milano. L’originale andrò distrutto nel 1521 per un’esplosione, questo è una ricostruzione tra il 1901-05 per restauri di Luca Beltrami per restituire al castello l’aspetto quattrocentesco. La torre è denominata Filarete per un’attribuzione di un progetto originario a lui. SFORZINDA: UNA CITTA’ IDEALE: scrisse un trattato per la progettazione di una città ideale, Sforzinda in onore del mecenate Francesco Sforza. Numerose illustrazioni, pianta geometrica a stella con piazza centrale dominata da una torre. L’OSPEDALE MAGGIORE: Sforzinda non fu mai realizzata, ma la mescolanza di stili nel trattato si ritrova nella sua maggiore opera: l’Ospedale Maggiore fondato nel 1456. La facciata ha bifore ad arco acuto e loggiato con colonne e archi a tutto sesto, ibridazione del gotico e rinascimento. VINCENZO FOPPA: SOLIDITA’ RINASCIMENTALE E VERISMO NORDICO LA CAPPELLA PORTINARI: si realizza il primo spazio milanese di matrice toscana, la cappella privata del fiorentino Pigello Portinari nella chiesa domenicana di Sant’Eustorgio. Si ignora chi ha progettato la cappella ma l’ispirazione è la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo e la Cappella Pazzi a Firenze. Qua si aggiungono lunette negli arconi e affreschi con le storie di San Pietro Martire e della Vergine in cui Foppa annuncia di essersi convertito al nuovo linguaggio prospettico, si vede nella scena del Miracolo di Narni. Il ciclo di affreschi si data 1465-68. ZANETTO BUGATTO: IL MISTERO DI UN LOMBARDO A BRUXELLES FOPPA DIPINGE ALLA FIAMMINGA: nella pinacoteca del castello si conserva una Madonna con Bambino di Vincenzo Foppa che rivela una dipendenza dalla pittura fiamminga per davanzale, cuscino e tendaggio. 1465. ZANETTO BUGATTO A BRUXELLES: a inizio anni 60 la duchessa Bianca Maria invia da van der Weyden a Bruxelles il pittore Zanetto Bugatto, del suo soggiorno si attribuisce una Madonna con bambino della collezione Cagnola presso Varese. L’adesione al nordico è più evidente rispetto a Foppa. Non sorprende che nel 1476 dopo la morte di Bugatto il duca Galeazzo Maria cercasse di reclutare nella sua corte Antonello da Messina. CAPITOLO 21 NAPOLI CAPITALE ARAGONESE: DA COLANTONIO AD ANTONELLO ALFONSO D’ARAGONA, SIGNORE DI NAPOLI IL CASTEL NUOVO: segno della dominazione aragonese, frutto della completa ristrutturazione di una vecchia fortificazione angioina voluta da Alfonso. Le torri rotonde sono pensate per la guerra con le armi da fuoco, mentre l’arco all’antica fu eretto fin dal 1453 secondo un gusto albertiano con un allungamento gotico. Fin dal 1458 l’arco vide al lavoro scultori di varia provenienza e ancora oggi si discute su chi ha fatto cosa. UNA TESTA DI CAVALLO DI DONATELLO: al centro dell’arco superiore adesso vuoto, era previsto un monumento equestre di Alfonso fuso in bronzo. Fu richiesto a Donatello, sarebbe risultato simile a quello dell’arco ferrarese. Non terminò mai la statua ma resta una testa di cavallo che fa immaginare la magnificenza del progetto. BARTOLOLMEO FACIO E I GUSTI ARAGONESI: Napoli era un grande centro internazionale. Nel 1449era giunto pure Pisanello per realizzare medaglie per Alfonso. Non stupisce che Facio, umanista ligure, dedicasse al suo signore nel 1456 biografie di uomini illustri in cui celebrava la scultura di Donatello, con Lorenzo e Vittore Ghiberti, Pisanello, Gentile da Fabriano, mancando invece Masaccio, Filippo Lippi e Piero della Francesca, questo perchè il loro linguaggio moderno non andava di moda a Napoli dove c’era la pittura fiamminga. COLANTONIO: IL MAESTRO DI ANTONELLO Presenze fiamminghe utili per capire il linguaggio di Colantonio, maestro di Antonello. ultimi lavori del maestro siciliano che nel 1477 era rientrato a Messina dove sarebbe morto nel 1479. RESISTENZE GOTICHE: CARLO CRIVELLI E ALVISE VIVARINI Mentre Bellini e Antonello dialogavano, a Venezia il gotico era duro a morire. Negli anni 70 del 400 alle tavole quadrate si preferiscono i politici che rispondono alle esigenze di committenze meno aggiornate. CARLO CRIVELLI NELLE MARCHE: Nasce a Venezia verso il 1430 e si forma alla scuola di Squarcione, sul finire degli anni 60 si stabilisce nelle Marche divulgando una pittura che esaltava i polittici gotici. Uno di questi fu compiuto nel 1473 per la cattedrale di Ascoli Piceno. Un complesso a 5 scomparti e due registri su fondo oro dei quali risaltano i caratteri tipici di squarcione. è questo il linguaggio delle molte opere che Crivelli destino a differenti centri marchigiani prima di morire ad Ascoli nel 1495. I VIVARINI: UN ENNESIMA BOTTEGA FAMILIARE: La bottega dei Vivarini tenne la propria base in laguna a Murano e si fece conoscere in tutta l'area adriatica. Il capostipite fu Antonio pittore di formazione gotico internazionale che con il compare Giovanni d'Alemagna fu coinvolto nel 1448 nel cantiere della cappella Ovetari di Padova. Alla cultura squarcione ska si aprono gli altri soci della bottega: il fratello minore Bartolomeo e il figlio Alvise. ALVISE VIVARINI E IL POLITTICO DI MONTEFIORENTINO: Nel 1476 Alvise dipinse un polittico per il convento francescano di Montefiorentino nel Montefeltro. Lo spazio è unificato attraverso il pavimento dove si innalzano i santi negli scomparti laterali e la Vergine col bambino al centro seduta su un trono semplice. C'è nitidezza e luce tersa per la volontà di seguire le sperimentazioni di Bellini. È conservata a Urbino nella Galleria Nazionale delle Marche. IL GUSTO ALBERTIANO A VENEZIA: GIOVANNI BELLINI, MAURO CODUSSI E PIETRO LOMBARDO LA PALA DI PESARO DI GIOVANNI BELLINI: Nel 1475 Bellini dipinse una para per la chiesa di San Francesco a Pesaro che oggi si conserva nel Museo Civico Di Pesaro, E dimostra la volontà dell’ambiente artistico veneziano di aprirsi alle suggestioni antiquarie e prospettiche di Leon Battista Alberti. Illustra l'incoronazione della vergine con quattro santi che solitamente a Venezia era in un polittico gotico, Giovanni lo interpreta in maniera nuova: i santi si raccolgono al fianco di Cristo e alla vergine nell'unica scena di una tavola quadrata delimitata da una cornice intagliata in cui risaltano le storie della predella e le piccole figure di santi nei pilastrini laterali, sul coronamento era una pietà che ora è nei Musei Vaticani. L'aspetto innovativo e la rigorosa razionalità prospettica del trono e del pavimento decorati con motivi antiquari. Bellini e ben aperto verso l’architettura e scultura sbarcate a Venezia grazie a due Lombardi: Mauro Codussi e Pietro Lombardo. MAURO CODUSSI E SAN MICHELE IN ISOLA: Avvia il cantiere della chiesa di San Michele in Isola dando una svolta all' architettura veneziana. L'edificio sorge nell’isola della laguna di San Michele e si distingue per la candida facciata coronata i lati da una coppia di volute e al centro da un ampio timpano arcuato. Soluzione ispirata al tempio malatestiano a Rimini. San Michele è il primo edificio rinascimentale della laguna e il motivo del timpano arcuato sarebbe divenuto canonico nelle chiese veneziane. PIETRO LOMBARDO E SANTA MARIA DEI MIRACOLI: Il timpano arcuato si trova anche nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli, costruita in una centralissima zona di Venezia nei primi anni 80 su progetto di Pietro lombardo (1435-1515). Mostra il diffondersi del gusto albertiano in laguna per un maestro che non era solo architetto ma anche scultore. Suo padre era Martino da Carona e nella prima metà del 400 attivo in Lombardia, Veneto ed Emilia. Pietro si forma a Padova dove nel 1467 ultima il monumento sepolcrale del giurista Antonio Roselli nella basilica del Santo. UN ALIENO IN LAGUNA: IL BARTOLOMEO COLLEONI DEL VERROCCHIO A metà degli anni 80 accanto al prospetto gotico della chiesa dei santi Giovanni e Paolo si ristruttura la scuola grande di San Marco che avrebbe avuto una facciata progettata da Mauro Codussi. Nella piazza si era in procinto di innalzare un monumento equestre che avrebbe superato il Gattamelata di Donatello. Per rendere onore al condottiero Bartolomeo Colleoni nel 1480 la Repubblica recluta Andrea del verrocchio che dovette realizzare un modello a grandezza naturale della scultura. Per vedere la versione finale in bronzo fu necessario attendere anni: alla morte del verrocchio nel 1488 il lavoro non era finito e fu compiuto dal veneziano Alessandro Leopardi. Il monumento Colleoni fu inaugurato il 21 Marzo 1496. SEZIONE 5 VERSO IL NUOVO SECOLO: UMANESIMO E CULTURA ANTIQUARIA Nuove generazioni fanno maturare il linguaggio rinascimentale: Leonardo, Michelangelo e Raffaello aprono inediti scenari artistici in un'Italia ancora politicamente divisa. LA PACE DI LODI: A Lodi in Lombardia il 9 Aprile 1454 fu siglata la pace tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano passato agli sforza. Accordo importante per garantire stabilità fino al tramonto del 400. LA CONGIURA DEI PAZZI: Il 1 agosto 1464 morì Cosimo de’Medici lasciando il potere al figlio Piero il Gottoso. Nel 1469 sarebbe morto anche lui e gli succedettero i figli Lorenzo e Giuliano. I due seppero mantenere il controllo su Firenze finchè non dovettero fronteggiare un complotto dalla famiglia de pazzi punto il 26 Aprile 1478 all'interno del Duomo i congiurati assalirono i due fratelli, Giuliano morì mentre Lorenzo si salvò; nelle ore successive i fiorentini si schierarono con il sopravvissuto sterminando i Pazzi e gli alleati. Dietro il complotto c'erano anche Papa Sisto IV e Ferdinando d'Aragona. Lorenzo de’Medici seppe dimostrare e doti politiche e in un paio d'anni raggiunse una pace che consolidò la Repubblica Fiorentina. SISTO IV: MECENATISMO E NEPOTISMO: Il ligure Francesco della rovere aveva fatto carriera entrando nell'ordine francescano e con una formazione umanistica, nel 1471 divenne Papa con il nome di Sisto IV. durante il suo pontificato si distinse per il mecenatismo e nepotismo. L'attenzione per Roma lo vide promuovere la biblioteca vaticana e costruire la Cappella Sistina. Le scelte politiche furono indirizzate per i propri fini favorendo con cariche parenti stretti come il nipote Giuliano che sarebbe diventato pontefice con il nome di Giulio II. LA PRESA DI OTRANTO E MAOMETTO II: ad aiutare Lorenzo fu il sultano Maometto II. Nel 1480 invia una flotta contro l’Italia Meridionale, che occupa Otranto, minacciando Roma e Napoli, che chiesero la pace con Firenze nel 1481, nello stesso anno Maometto muore. VENEZIA SI ESTENDE NEL MEDITERRANEO: a quello scontro non prese parte Venezia che nel 1479 aveva un accordo di non belligeranza con il sultano. Ciò favorisce gli scambi e Gentile Bellini soggiorna pure a Costantinopoli dove nel 1480 ritrae Maometto II (Londra, National Gallery), a lui si deve anche il ritratto di Caterina Cornero del 1500 che nel 1468 diviene regina di Cipro e dopo la morte del marito abdica e lascia nel 1489 l’isola alla Repubblica che espande nel mediterraneo i domini. FRANCESI IN ITALIA: CARLO VIII A NAPOLI: nuovo problema era l’ambizione dei sovrani francesi. Carlo VIII nipote di Maria d’Angiò vantava un diritto sul Regno di Napoli. Nel 1494 varca le Alpi con l’esercito per scacciare gli Aragonesi, riesce ma brevemente. Se ne andò pochi mesi dopo nel 1495. Gli Stati Italiani, Milano e Venezia fanno una lega per bloccare la ritirata scontrandosi con i francesi a Fornovo ma non ci furono vincitori. MILANO FRANCESE E NAPOLI SPAGNOLA: inaugura in periodo delle guerre, dove l’Italia è il bottino delle grandi potenze straniere. Luigi XII successore di Carlo VIII rivendica Napoli e Milano, nel 1499 prese Milano facendo fuggire Ludovico il Moro. Nel 1501 tocca a Napoli ma si scontra con gli interessi del sovrano spagnolo Ferdinando il Cattolico. Nel 1504 arrivano al Trattato di Lione dove Milano è francese e Napoli spagnola. FIRENZE SENZA I MEDICI: IL RIGORE DI SAVONAROLA: la calata di Carlo VIII aveva lasciato conseguenze a Firenze, morto Lorenzo nel 1492 la città era del figlio Piero, non seppe resistere al re francese e venne cacciato dalla città nel 1494, nasce una repubblica governata da Girolamo Savonarola. Aspirava a far diventare Firenze una città ideale cristiana; il suo rigore porta nel 1497 a un falò di dipinti e libri. Accusato di eresia fu impiccato e bruciato al rogo il 23 maggio 1498. Nasce una nuova repubblica. LE LICENZE DI PAPA BORGIA: tra i bersagli di Savonarola gli eccessi ecclesiastici con Rodrigo Borgia, papa con il nome Alessandro VI dal 1492 al 1503. È celebre oggi per la dissolutezza della vita e le amanti tra cui Vannozza Cattanei che gli diede 4 figli tra cui Lucrezia e Cesare (il Valentino). CAPITOLO 23 L’ARTE A FIRENZE AL TEMPO DI LORENZO IL MAGNIFICO NUOVE GENERAZIONI: POLLAIOLO E VERROCCHIO 1459 il palazzo che Cosimo aveva fatto progettare a Michelozzo era finito. Si decorava la cappella con un ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli, miglior allievo di Beato Angelico (morto a Roma nel 1455). IL VIAGGIO DEI MAGI DI BENOZZO GOZZOLI: per la devozione verso i magi di Cosimo, il ciclo si basa sul Viaggio dei Magi, con oro, colori e lapislazzuli. Ritrae Cosimo e la famiglia con amici, si è ritratto pure Benozzo. L’autore sembra ignorare il linguaggio rinascimentale, per un tardogotico. È una scena cortese, segno delle aspirazioni feudali dei Medici- 1459-1460, Firenze, Palazzo Medici, Cappella dei Magi. ANTONIO DEL POLLAIOLO PITTORE: LE FATICHE DI ERCOLE: la risposta al Viaggio dei Magi fu nel 1460 di Antonio del Pollaiolo che eseguì un terzetto di Storie di Ercole, tratto dal mito antico con linguaggio inedito. 3 dipinti su tela quadrati oggi perduti, abbiamo un’idea dalle tavolette degli Uffizi di autori anonimi. Antonio essendo anche orafo fa risaltare i contorni delle figure. ANTONIO DEL POLLAIOLO: LA SCULTURA E IL NUDO: la pratica della scultura è ben testimoniata dall’ercole e Anteo in bronzo del 1470-70 conservato al Museo del Bargello a Firenze, tipologia di bronzetto rinascimentale. Si vede la passione per lo studio del nudo. LA BATTAGLIA DI NUDI DEL POLLAIOLO E L’INCISIONE A BULINO: Pollaiolo riproduce una battaglia dei nudi con la tecnica dell’incisone a botulino, in un inventario del 1474 una copia si trovava nella bottega padovana di Squarcione. Resta ignoto il reale soggetto. È una tecnica per riprodurre illustrazioni da una matrice, avvenne a Firenze nel 1460 per merito di Maso Finiguerra, orafo amico del Pollaiolo. PIERO DEL POLLAIOLO: fratello più giovane di Antonio (Firenze 1441, Roma 1496) che si dedica alla pittura in bottega autonoma, nel 1475 ultima la pala con il Martirio di San Sebastiano per l’omonimo oratorio vicino alla chiesa della Santissima Annunziata di Firenze (ora Londra, National Gallery), abbina al tema sacro la veduta fiamminga, il nudo del santo, le pose complesse, le linee delle figure. ANDREA DEL VERROCCHIO E I MEDICI: emergeva anche Andrea del Verrocchio (Firenze 1435, Venezia 1488), dopo Donatello seppe assumere una posizione dominante nel campo della scultura, per i Medici realizza un adolescenziale David in bronzo oggi nel Museo del Bargello, e in San Lorenzo tra il 1469-72 il monumento sepolcrale per Piero il Gottoso e suo fratello Giovanni. La sua tomba si distingue dalle altre per posizione, materiali e assenza immagini IL COMPIMENTO DELLA CAPPELLA BRANCACCI Quando Botticelli dipingeva le sue favole pagane Masaccio non era stato dimenticato. La cappella Brancacci era la palestra per eccellenza per la formazione dei giovani pittori fiorentini fino alla metà del 500. FILIPPINO LIPPI NELLA CAPPELLA BRANCACCI: Nel 1480 le storie di San Pietro lasciate incompiute sono stato Ultimate da Filippino Lippi figlio di Filippo. Quando il padre morì a Spoleto nel 1469 Filippino era già con lui in bottega e avrebbe proseguito il suo apprendistato con Botticelli, tra le sue opere i tre angeli e Tobiolo del 1477 conservato a Torino nella Galleria Sabauda. Nelle storie incompiute lavora al registro inferiore adottando una composizione severe semplificata priva di attenzione agli ornati, guardando ai volti e i panni non è difficile riconoscere una resa simile a Botticelli. Quando terminò la cappella ormai si era emancipato da Botticelli e potrei dare avvio alla sua affermazione. GHIRLANDAIO E FILIPPINO: LE INFLUENZE DELLA PITTURA FIAMMINA E L’ANTICO Nel tardo 400 non mancarono grandi cicli di affreschi destinati a cappelle familiari in edifici pubblici. I più importanti furono realizzati da Domenico Ghirlandaio (Firenze 1449-1494) nella cappella Sassetti in Santa Trinità e il quella Tornabuoni di Santa Maria Novella dove a Filippino Lippi si deve la cappella Strozzi. I pittori hanno a che fare con spazi gotici ma i nuovi affreschi adottano un allestimento antiquario con elementi architettonici illusionistici. GHIRLANDAIO E LA CAPPELLA SASSETTI: Francesco sassetti bolle che la sua cappella in Santa Trinità fosse decorata con una serie di episodi della vita del suo Santo onomastico Francesco d'Assisi e affido il lavoro a Domenico Ghirlandaio che lo realizzò tra il 1482 e 1485. Fu tra i maestri che si fecero le ossa accanto al verrocchio nel 1470. Elabora un linguaggio affidabile, chiaro e sereno, nell’illustrare le storie francescane scelse di ambientare alcuni episodi a Firenze, nella scena della conferma della regola si riconoscono facilmente la loggia della Signoria e la facciata di palazzo Vecchio. LA PALA SASSETTI E IL TRITTICO PORTINARI: Al centro della cappella un trittico con una Pala d'altare con l'adorazione dei pastori e le figure inginocchiate del Sassetti e della moglie. Nella pala abbiamo richiami all' antico. Spiccato verismo dei pastori e dei committenti, omaggio alla pittura fiamminga. Il riferimento è al trittico Portinari di Pinto nel 1477-78 da Hugo van der Goes di Gand. Nel trittico illustra al centro la Natività contraddistinto dal tono rustico dei pastori e nei laterali da uomini e donne di casa Portinari inginocchiati e protetti da dei santi. FILIPPINO LIPPI E LA PITTURA FIAMMINGA: Per vedere gli effetti del trittico si guarda alla Pala con l'apparizione della vergine a San Bernardo da Chiaravalle di filippino Lippi che si conserva nella Badia Fiorentina del 1484-85. e carico di suggestioni nordiche nella definizione dei dettagli, nel realismo del committente, nell’accensione cromatica e nella suggestione del paesaggio GHIRLANDAIO E LA CAPPELLA TORNABUONI: Nel settembre 1485 Domenico Ghirlandaio stipula il contratto per affrescare la cappella maggiore della chiesa domenicana di Santa Maria Novella. Il committente era Giovanni Tornabuoni, zio di Lorenzo il Magnifico; il programma prevedeva una serie di storie della vergine e di San Giovanni Battista completato nel 1490 con il concorso di una bottega ben organizzata di cui erano parte David Ghirlandaio e Sebastiano Mainardi fratello e cognato di Domenico. Le peculiarità ci sono in due episodi. Nella Natività della vergine se una grande diligenza soffermandosi sulla qualità illusionistica della finestra e sulle femmine che lavano la Madonna. Testimonia i ricchi arredi di una camera fiorentina di fine 400, una stanza simile nella scena della nascita di San Giovanni Battista. Il registro antiquario si esalta nell’episodio in cui l'angelo compare nel tempio ad annunciare a Zaccaria la futura nascita del Battista grazie alla scenografia ispirata ad un arco romano. Ad assistere alla divina apparizione si affollano alcuni membri della famiglia. In una scritta si esalta la felice condizione di cui godeva Firenze nel 1490. FILIPPINO LIPPI E LA CAPPELLA STROZZI: Accanto nel transetto destro di Santa Maria Novella e la cappella che Filippo Strozzi nel 1487 bolle far affrescare a Filippino Lippi con le storie dei santi Filippo e Giovanni Evangelista, concluso solo nel 1502 dopo 10 anni dalla morte del committente. Il ritardo fu perché il pittore tra il 1488 e 1493 fu più volte a Roma per dipingere la cappella del cardinale napoletano Oliviero Carafa in Santa Maria Sopra Minerva. Nel suo fresco c'è una svolta in senso archeologico, la scena del martirio di San Giovanni Evangelista si distingue dal lessico del Ghirlandaio per la narrazione appassionata e la carica espressiva e per il ridondante gusto antiquario palesato nelle vesti dei centurioni, nei fasci dei littori, nei trofei, nello Stendardo con la scritta SPQR e nella colonna come statua pagana. IL GIARDINO DI SAN MARCO, GLI ESORDI DI MICHELANGELO E LA SCULTURA NELLA BOTTEGA DEL GHIRLANDAIO: Michelangelo Buonarroti nasce il 6 Marzo 1475 a caprese vicino Arezzo allora parte dello Stato fiorentino e della quale suo padre Ludovico era Podestà. Nel 1488 Ludovico mise il figlio a bottega con Domenico Ghirlandaio, l'adolescente è appreso le tecniche pittoriche nel cantiere della cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella. Visse fino al 18 Febbraio 1564 segnando i destini della storia dell'arte. IL GIARDINO DI SAN MARCO RACCONTATO DA VASARI: Michelangelo ha la sua vera formazione grazie alla protezione di Lorenzo il magnifico e alla frequentazione del giardino di San Marco, Vasari ci racconta l'episodio: Lorenzo presso la piazza di San Marco possedeva un giardino con anticaglie e sculture e facevano da scuola e Accademia ai giovani pittori e scultori. COPIANDO MASACCIO: Com'era uso per i pittori fiorentini anche Michelangelo si esercita disegnando le figure attestate da Masaccio nella cappella Brancacci. A conferma rimane un disegno in cui Michelangelo ha ricopiato la figura masaccesca di San Pietro in atto di pagare il tributo, oggi conservata a Monaco di Baviera. 1488-90. LA MADONNA DELLA SCALA: Le opere di esordio di Michelangelo nella scultura sono esposte nel museo di casa Buonarroti a Firenze, l'ultima dimora di Michelangelo fu ristrutturata nelle forme attuali dal nipote Michelangelo il giovane nella prima metà del 600 e donata alla città di Firenze nel 1858 dall’ultimo erede della famiglia. Lì si conserva la Madonna della scala del 1490-92, un bassorilievo in marmo con ispirazione donatelliana. LA BATTAGLIA DEI CENTAURI: Michelangelo seppia sperimentare un linguaggio distante dal donatelliano nella battaglia dei centauri, scolpita nello stesso tempo in un pezzo di marmo offerto da Lorenzo il magnifico. Tra le opere e di qualità tale che non sembra lavoro di un giovane, il tema della battaglia non era inconsuete per gli scultori di allora perché era un esempio per studiare il movimento e le pose dei corpi in lotta e richiamava soggetti cari e la scultura antica, è conservata a casa Buonarroti non è mai stata finita. Dal giardino di San Marco usciva con una solida formazione sull’antico e una passione per il nudo chi lo avrebbe entusiasmato per il resto della vita. IL CROCIFISSO DI SANTO SPIRITO: Nel 1493 gentaglia un crocifisso ligneo per la chiesa di Santo Spirito, prima opera pubblica dello scultore destinata all'altare maggiore e che sarà ricostruita nel corso del 400 su disegno di Brunelleschi e in età laurenziana vide rifare dopo un incendio gran parte dei suoi arredi. Il crocifisso si conserva in sagrestia, le forme piene levigate sono ennesimo segno della lezione di Benedetto da Maiano e la perfezione della descrizione anatomica dipende dal fatto che Michelangelo aveva potuto sezionare e studiare i cadaveri. Infine è nello scarto delle gambe che Michelangelo annuncia la futura maniera con movimenti innaturali. ANDREA SANSOVINO E L’ALTARE CORBINELLI: Tra gli altri artisti nel giardino di San Marco c'era Andrea Sansovino, fu il primo mettersi in luce a Firenze con un monumento compiuto entro il 1492 sempre per la chiesa di Santo spirito: un altare del sacramento scolpito in marmo per la famiglia Corbinelli, fatto di statue e rilievi montati in una architettura che ricorda un arco antico. Mentre progetta l'altare ha avuto un soggiorno a Roma. CAPITOLO 24 LA CORTE DI ROMA: DALLA CAPPELLA SISTINA ALLA SCOPERTA DELLE GROTTESCHE MELOZZO DA FORLI’: UN AFFRESCO PER LA BIBLIOTECA DI SISTO IV LA BIBLIOTECA VATICANA, IL PLATINA E MELOZZO DA FORLI’: Il lancio culturale della Roma nel 400 trova una delle immagini emblematiche in un affresco che oggi si conserva nella Pinacoteca vaticana ma in origine stava su una parete della biblioteca apostolica. Il 15 di uno del 1475 papa Sisto IV con una bolla sancì la Fondazione della biblioteca, dotata di una sede con quattro aule e un bibliotecario, Bartolomeo Sacchi. Sisto volle che le aule fossero decorate- Nel nostro affresco si fece ritrarre nel momento in cui nomina il bibliotecario. Scena di Corte dal carattere celebrativo in un’architettura rinascimentale. Il vero protagonista è il bibliotecario inginocchiato al centro a indicare con la destra l'iscrizione Latina che inneggia alla biblioteca come alla maggiore tra le imprese realizzate nel contesto del rinnovamento di Roma. Fu eseguito verso il 1477 da Melozzo da Forlì esperto di prospettiva (1438-1494). NELLA ROMA DI SISTO IV: il 1475 fu l’anno del grande giubileo, si capisce dal fatto che Sisto aveva trasferito i bronzi dal Laterano al Campidoglio donandoli al popolo romano. Fu ristrutturata la chiesa di Santa Maria del Popolo dove si venerava un’immagine della vergine dipinta da san Luca. Per custodire la tavola nel 1473 si realizza a spese del cardinale Rodrigo Borgia una pala a forma di tempietto all’antica affidata ad Andrea Bregno. LA CAPPELLA SISTINA: UN CANTIERE AFFOLLATO A Sisto si deve pure la Cappella Sistina, spazio esteso per le celebrazioni liturgiche e riunioni del conclave per scegliere il papa. IL CICLO ORIGINALE: LE VITE PARALLELE DI MOSE’ E GESU’: interno fastoso e pieno di colori. Nel1481-82 la cappella fu completamente affrescata suddivisa in vari registri: zoccolo con finti arazzi, riquadri narrativi, finestroni e figure di papi in nicchie, e la volta che era un cielo con le stelle. Oggi al suo posto ci sono le storie della genesi di Michelangelo, e rinnovò anche la parete terminale con un colossale giudizio universale. Così si perse l’annunciazione della vergine con ritratto di Sisto IV, la nascita di Mosè e la natività di Cristo. FIORENTINI A ROMA: GHIRLANDAIO: per dipingere più velocemente Sisto arruola un’equipe di pittori, tra cui il Ghirlandaio, Botticelli e Rosselli più aiuti. Per lui dipinse la vocazione di Pietro e Andrea. 1481-82. FIORENTINI A ROMA: BOTTICELLI: a lui furono affidate 3 storie: le prove di Mosè, le prove di Cristo e la punizione dei ribelli, quest’ultima di grande significato perché indicava la pena per chi non rispettava l’autorità ecclesiastica. 1481-82. PERUGINO E IL NUOVO STILE UMBRO LA CONSEGNA DELLE CHIAVI: Di Pinto nel 1481-82 si trova nella Cappella Sistina, affresco. San Pietro riceve da Cristo le chiavi del paradiso, in primo piano Pietro inginocchiato che riceve le chiavi sotto lo sguardo degli altri apostoli. Il gruppo di attori e disposto sulla ribalta da un'ampia piazza pavimentata con grandi lastre di marmo che individuano la fuga prospettica. Anche questo quadro contiene tre episodi anche il tributo della moneta e la tentata lapidazione di Cristo. PIETRO PERUGINO: IL REGISTA DELLA SISTINA: Nasce verso il 1450 A Città della Pieve vicino Perugia. Quando dipinse la consegna delle chiavi era un maestro affermato tanto che Sisto gli affidò le pitture perdute della parete dell’altare e tre ulteriori storie della Cappella Sistina. In lui si riconosce il vero regista del ciclo PERUGINO ALLIEVO DEL VERROCCHIO: L'equilibrio prospettico e la nitidezza della consegna delle chiavi si spiegano con una formazione a Firenze dove è documentato nel 1472, dice Vasari che studiò sotto Andrea del Verrocchio. Trova conferma nelle figure del Cristo degli apostoli che sembrano ispirati al gruppo dell’incredulità di San Tommaso di Orsanmichele. perché morì nel 1494. Perugino lo accolse nella sua bottega fin dal 1497 e gli permise di ottenere una serie di rilevanti commissioni in Umbria in queste opere appare come un vero alter ego del maestro. Lo dimostra una pala con la crocifissione dipinta tra il 1502 e 503 per la cappella Gavari nella chiesa di San Domenico a Città di Castello. Oggi è alla National Gallery di Londra, Il Cristo crocifisso è accompagnato da una coppia di angeli e dalla vergine ma anche da San Giovanni e Maria Maddalena dolenti insieme a San Girolamo. Corrisponde la perfezione alla pittura del perugino l'autore però ha apposto la firma. LO SPOSALIZIO DELLA VERGINE DI BRERA: Tra le varie opere si può ricordare lo sposalizio della vergine conservato nella Pinacoteca nazionale di Brera a Milano anche se in origine a Città di Castello in una cappella dedicata a San Giuseppe nella chiesa di San Francesco. Abbiamo la firma e anche la data 1504 in numeri romani. Si muove ancora sulle orme del maestro che nello stesso anno completa una Pala con lo sposalizio della vergine oggi conservata a Caen. questa tavola stava in origine nel Duomo di Perugia nella cappella dove era conservata una curiosa reliquia: l'anello che si sarebbero scambiati Giuseppe e Maria. Passati i 20 anni Raffaello cresce e collabora alla libreria e poi si trasferisce a Firenze dove incontra Michelangelo e Leonardo. CAPITOLO 25 LA MILANO MODERNA DI LUDOVICO IL MORO ED ALTRE ESPERIENZE LOMBARDE LEONARDO A MILANO Nell'aprile del 1483 Leonardo da Vinci è attestato a Milano dove sarebbe rimasto fino al 1499, fu a servizio di Ludovico il Moro figlio del duca Francesco morto nel 1466 lasciandolo stato al primogenito Galeazzo. Arrogante brutale Galeazzo si inimicò la nobiltà che con giurò e lo assassino nel 1476. Ludovico se per farsi signore della città fino al 1499 anno in cui Milano fu conquistata dal re di Francia Luigi XII. UN ARTISTA A TUTTO TONDO E IL SUO CURRCULUM: Quando si trasferì aveva ben chiaro che Ludovico poteva essere un patrono ideale, si propose non solo come pittore ma artista a tutto tondo. Lo attesta una sua lettera di presentazione conservata all'interno del codice Atlantico ora nella biblioteca ambrosiana di Milano. elenca le proprie competenze soffermandosi sulla capacità di ingegnere militare e progettista di macchine da guerra come gli antenati dei carri armati. IL MONUMENTO EQUESTRE DI FRANCESCO SFORZA: Film dalla lettera prometteva dirigere un colossale monumento equestre in onore di Francesco sforza attraverso il quale aveva in animo di confrontarsi con il Gattamelata di Donatello e con il Bartolomeo Colleoni di Verrocchio. L'impresa fu finanziata da Ludovico il Moro ma mai portata a compimento. I cavalli erano uno dei soggetti preferiti di Leonardo così per il monumento elaboro verso il 1489-1490 una soluzione inedita immaginando il duca Francesco in groppa a un destriero impennato su due zampe al di sopra della figura distesa e sconfitta di un nemico, lo attesta un disegno conservato nella collezione reale inglese del 1489-90. Il gruppo avrebbe dovuto superare i 7 m di altezza, si scontrava con seri problemi di statica tanto che Leonardo dovete preferire la raffigurazione di un più stabile cavallo al passo. Nel 1493 realizza un modello al vero in terracotta ma non andò oltre la complicata fusione. Fu distrutto nel 1499 quando il re di Francia conquisto Milano. UN PROGETTO PER I NAVIGLI: Alla Corte di Ludovico, Leonardo si impose pure come musico e poeta. Era un valente cortigiano capace di occuparsi di importanti progetti per Milano. Ludovico gli chiese di occuparsi del sistema dei Navigli , Leonardo studia sistemi di chiuse utili a risolvere il problema del dislivello tra la parte alta e quella bassa della città permettendo la navigazione tra le due zone , operò la “conca dell'incoronata” a monte di via San Marco progettando una coppia di portelli attraverso i quali diminuire o aumentare la portata dell'acqua secondo necessità, l'acqua adesso non c'è più ma i portelli si conservano ancora. LA VERGINE DELLE ROCCE, IN DUE VERSIONI: Film dall'aprile del 1483 ebbe la sua prima importante commissione, dipingere una para per la cappella della confraternita dell'Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco grande, l'edificio è andato distrutto ma del dipinto sono arrivate a noi addirittura due versioni probabile conseguenza di una lite tra il pittore la confraternita. La versione più antica si conserva al Louvre e si crede compiuta all'incirca entro il 1485, nulla si sa della sua storia fino al 1625. La Vergine si da terra su un paesaggio roccioso dove crescono le più differenti piante, allarga la destra a proteggere sotto il mantello il piccolo San Giovannino inginocchiato e rivolto verso il Cristo fanciullo accompagnato da un angelo. Certo invece il destino della seconda versione oggi conservata alla National Gallery di Londra, qui l'atmosfera più limpida grazie agli intensi toni azzurri del manto della vergine e delle montagne, tutto più definito e a Giovanni si aggiunge una croce. Dovette iniziare a dipingere la tavola negli anni 90 per finirla intorno al 1506-1508. Si fece aiutare dagli assistenti: aveva fatto scuola e molti erano i pittori che dipingevano alla sua maniera. UN RITRATTO: LA DAMA CON L’ERMELLINO: La fama milanese fu dovuta anche alla notevole abilità di ritrattista che trova conferma nella dama con l'ermellino conservata a Cracovia nel museo nazionale, dipinta nel 1489-1490. Dal fondo scuro emerge una giovane ben vestita con capelli lisci raccolti da un velo e uniti sulla nuca in una treccia, tra le mani il candido animale simbolo di purezza e dell'ordine cavalleresco dell'Ermellino a cui appartenne fin dal 1486 Ludovico il Moro. Nel ritratto si riconosce Cecilia Gallerani la giovanissima donna amata dal signore di Milano. Il contrasto tra fondo scuro e figura di tre quarti ricordi ritratti alla fiamminga di Antonello da Messina confermando la fortuna della pittura nordica. Leonardo sa rinnovare quei modelli giacchè la donna e l'animale rifuggono da una posa rigida. IL CENACOLO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE: La sua più ambiziosa impresa fu l'ultima cena raffigurato nella parte principale del refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle grazie, è un dipinto molto famoso che Leonardo aveva compiuto entro il 1498 utilizzando non l'affresco ma una tecnica particolare: dipingeva sull’intonaco asciutto della parete e ritoccava continuamente le figure per perfezionarle. A causa della tecnica inadatta all'umidità del luogo il dipinto è arrivato a noi assai deteriorato, poteva andare distrutto durante la Seconda guerra mondiale perché il convento fu bombardato e la volta del refettorio crollò. Per la luce soffusa e l'adozione dello sfumato si respira un'atmosfera simile a quella della vergine delle rocce, ma al paesaggio di pietra si preferisce il rigore spaziale di un salone senza ornati con solo tre finestroni sul fondo. C'è la condizione per le figure e i gruppi piramidali che scandiscono la composizione. La decisiva novità è nella scelta del tema il modo in cui è trattato, non la tradizionale istituzione dell'eucarestia ma l'annuncio del futuro tradimento reso attraverso la gestualità. BRAMANTE PITTORE E ARCHITETTO Prima ancora dell’arrivo di Leonardo a Milano c'era un altro artista di spicco, donato Bramante (Urbino 1444-Roma 1514). proveniva da Urbino e intorno al 1477-79 si presenta in terra lombarda come pittore segnato da Piero della Francesca. IL CRISTO ALLA COLONNA DELL’ABBAZIA DI CHIARAVALLE: Queste caratteristiche sono evocate da una tavola della Pinacoteca di Brera datata 1490. Bramante ha raffigurato una mezza figura di Cristo attentamente studiato nell’anatomia, legato a una colonna che ha le forme di un pilastro decorato di motivi antiquari. Il linguaggio diverso preferisce una luce netta e risoluta grazie al quale il torso appare levigato con una statua di marmo e i capelli riflettono come se fossero filamenti metallici. Al dramma e al dolore preferisce una gravità dedotta da Piero. SANTA MARIA PRESSO SAN SATIRO E LA FINZIONE DI UN’ABSIDE: Bramante si specializza nell’architettura, tu coinvolto nel cantiere della chiesa di Santa Maria presso San Satiro vicino a piazza del Duomo. Seppe usare la prospettiva per risolvere un problema di spazio: la muraglia in fondo la chiesa dietro l'altare maggiore era priva della superficie per il prolungamento del coro dell'abside, così procedete a ricavare al centro della parete un vano illusionistico capace di fingere la profondità di molti metri in una novantina di centimetri. IL PRESBITERIO DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE: Negli anni 90 ebbe un ruolo di primo piano nel cantiere della chiesa di Santa Maria facente parte del complesso in cui Leonardo dipinse l'ultima cena. Si occupò di rinnovare completamente il presbiterio e il tiburio dell'edificio che reimposto in un grande quadrato, sopra questo sorso una luminosa cupola i l'area presbiteriale fu completata lateralmente da due absidi e sul fondo dal prolungamento del coro. È un'architettura solenne che Ludovico il Moro avrebbe adibito a mausoleo per se il la moglie Beatrice d’Este (morta nel 1497). Con i francesi nel 1499 abbandona Milano. CANTIERI LOMBARDI: LA CERTOSA DI PAVIA La devozione bramantesco per l'antico e la prospettiva si trova a fare i conti con la predisposizione decorativa dell'architettura lombarda che rifuggiva la semplicità dei volumi puri riempiendo le pareti di colori ed elementi scolpiti. A guardare la facciata della Certosa di Pavia la prima impressione è un’architettura gotica mancante delle cuspidi, osservando meglio gli elementi sono rinascimentali, il complesso era stato fondato nel 1396 da Gian Galeazzo Visconti ma la facciata risale al tempo degli sforza e la decorazione coinvolse diverse botteghe di scultori a partire dagli anni 70. Fu con Ludovico il Moro che cantiere ebbe un’accelerazione grazie a Giovanni Antonio Amadeo uno dei maggiori scultori lombardi. CANTIERI LOMBARDI: LA CAPPELLA COLLEONI A BERGAMO Film dalla metà degli anni 70 Giovanni Antonio aveva dato prova delle sue capacità curando un progetto architettonico e scultoreo per Bartolomeo Colleoni. Era di origine bergamasca e vuole innalzare un vero e proprio mausoleo nel centro della città, sorse nella piazza della cattedrale accanto alla chiesa di Santa Maria Maggiore al posto della sagrestia di quest'ultima. La facciata è ricca di dettagli architettonici e sculture e reca la data 1476 e attesta la fortuna dell'idioma colorato ornamentale dell'architettura lombarda andando ad uniformarsi sulle forme della chiesa: la muraglia medievale e il protiro trecentesco della porta dei leoni Rossi. Tra gli elementi risultano un paio di edicole rinascimentali sopra i due finestroni per incorniciare i busti clipeati di Giulio Cesare e dell'imperatore Traiano. IL MONUMENTO SEPOLCRALE DI BARTOLOMEO COLLEONI: Mausoleo di pianta quadrata, quando entriamo ci troviamo di fronte al monumento sepolcrale di Bartolomeo, unico elemento superstite dell'allestimento quattrocentesco della cappella che a destra si aprì nel vano dell’altare ristrutturato tra 600-700. L'arca si leva su alti pilastrini ed è costituita dal sovrapporsi di due sarcofagi che illustrano le storie della passione e le storie della Natività di Cristo. In alto a richiamare la tradizione si erge la statua equestre di Bartolomeo, l'originale fu rimosso nel 1493 perché è troppo pesante, quello in legno dorato che vediamo oggi fu eseguito tra il 1499 e il 1500 dal tedesco Sisto Frey di Norimberga virgola e appare diverso dal resto del monumento. Tra le parti esaltanti le tre figure di antichi condottieri che ai piedi del sarcofago sembrano colti in un momento di meditazione. IL MONUMENTO SEPOLCRALE DI MEDEA COLLEONI: Nella parete sinistra si innanzi al monumento sepolcrale Amedeo scolpisce la tomba per Medea, la figlia morta a 15 anni nel 1470. L'evento rattristò il condottiero che sarebbe scomparso nel 1475 virgola di lì a poco Giovanni avrebbe completato il sepolcro di me dea montandolo in Santa Maria della Basella una chiesa nella campagna bergamasca. Qui rimase per alcuni secoli e nel 1842 fu traslato nel mausoleo vicino a quello del padre punto abbiamo la Madonna col bambino affiancata dalle Sante Caterina d'Alessandria e da Siena e la bellissima giovinetta disteso serena nel letto di morte. I PITTORI LOMBARDI, MANTEGNA E LO STUDIOLO DI ISABELLA D’ESTE Le esperienze di Leonardo e Bramante furono decisive per le nuove strade dei pittori lombardi. BRAMANTINO: 1480-1530 è detto Bramantino per una dipendenza dell’artista di origine urbinate che lo educò al valore della prospettiva e il gusto per le forme monumentali. Mosso da quella lezione per interpretarla in un senso fortemente personale. Lo si vede nel Cristo risorto oggi a Madrid del 1490 al museo Thyssen, Una versione enigmatica e lunare del Cristo alla l’edificio dietro il ponte è il fondaco dei tedeschi (oggi diverso perché distrutto da un incendio nel 1505 e ricostruito). Carpaccio è uno straordinario regista che riempie la scena di spiritosi momenti. LE STORIE DI SANT’ORSOLA: quando fu coinvolto nel ciclo Carpaccio stava lavorando per un’altra confraternita: la scuola di Sant’Orsola vicina alla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Tra i 1490-95 dipinse 9 teleri oggi nella Galleria dell’Accademia, dove racconta la storia di Sant’Orsola, narra con grande fantasia scene pompose e regali. Abbiamo nella scena dell’incontro e partenza di Orsola ed Ereo una scansione in due grazie al pennone centrale. Nel sogno di Sant’Orsola Carpaccio rinuncia alla pittura da cerimonia per narrare in tono intimo la visione dell’angelo che annuncia il martirio. SCULTURA ALL’ANTICA: DA PIETRO A TULLIO LOMBARDO PIETRO LOMBARDO E IL MONUMENTO DI DANTE A RAVENNA: a fine 400 Venezia aveva imboccato la strada del Rinascimento anche in scultura e architettura. 1489 si consacra la chiesa di Santa Maria dei Miracoli. Per varie ragioni si ricorda la commissione che Pietro ricevette da podestà veneziano di Ravenna, Bernardo Bembo che gli chiese un ritratto di Dante per la tomba del poeta fiorentino. Scolpisce in rilievo marmoreo un ritratto a mezza figura in atto di leggere su uno scrittoio con libri. IL MONUMENTO DEL DOGE MOCENIGO: ai teleri la scultura rispose con sepolcri all’antica. Nel 1476-1481 Pietro Lombardo ultima nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo il monumento sepolcrale al Doge Pietro Mocenigo voluto come arco trionfale con sculture, omaggio ai successi militari del doge. Mocenigo sta in piedi sul sarcofago con decori che richiamano le imprese in oriente, le 6 nicchie laterali hanno statue di guerrieri e il tema sacro è solo per il coronamento con la scena delle Marie al sepolcro e la statua del Redentore. IL MONUMENTO DEL DOGE VENDRAMIN DI TULLIO LOMBARDO: da quella prese spunto Tullio Lombardo (1455, Venezia 1532) figlio di Piero per il monumento sepolcrale del Doge Andrea Vendramin. La tomba conserva la policromia, fu scolpita per la chiesa dei Servi dal 1493. Demolita la chiesa il monumento fu spostato nel presbiterio della chiesa dei santi Giovanni e Paolo, dove ha mantenuto la forma originale. È tripartita con le nicchie laterali più piccole sormontate da due tondi con il ratto di Deianira e Perseo che sconfigge Medusa. Ci sono le virtù, 3 angeli, e le scene sacre del coronamento. Altre statue ai lati. Un Adamo è al Metropolitan a New York. CAPITOLO 27 DALLA FIRENZE DI SAVONAROLA AI PRIMI SUCCESSI ROMANI DI MICHELANGELO IL MISTICISMO DI BOTTICELLI E IL GUSTO DEI PIAGNONI Morto nel 1492 Lorenzo il Magnifico, la stagione medicea si conclude nel novembre 1494 quando suo figlio Piero fu cacciato. La Repubblica rischia di essere sottoposta a una teocrazia ispirata da Girolamo Savonarola. IL FALO’ DELLE VANITA’: Savonarola detestava le sculture antiche in quanto pagane e raccomandava immagini devote. Tutti gli oggetti che non corrispondevano finivano sul rogo come nel carnevale del 1497. La scelta di una vita austera e le pratiche penitenziali avevano fatto guadagnare ai suoi seguaci l’appellativo di “piagnoni”. BOTTICELLI PIAGNONE: tra i suoi seguaci pure Botticelli, passando al misticismo che si coglie in un dipinto verso il 1495, il compianto sul cristo morto per San Paolino, oggi a Monaco di Baviera. Pala di un rigore assoluto, mantiene il carattere bidimensionale: sull’antro roccioso che ospita il sepolcro ci sono i dolenti, avvilite sul corpo di Cristo. Nel dipinto cupo e funereo rispecchia il clima dei sermoni di Savonarola che tollerarono fino al 1498 quando fu giustiziato in piazza della Signoria per ordine del papa Alessandro VI Borgia. PITTURA DEVOTA: PERUGINO E FRA BARTOLOMEO: la pittura per corrispondere a quei canoni prese una strada alternativa e meno tetra. Perugino si era stabilito in città e il suo stile era apprezzato trai piagnoni. Osservando la crocifissione che affrescò tra il 1493-96 nella sala capitolare del convento di Santa Maria Maddalena, è essenziale senza decori. Spazio rigoroso e scandito da una cornice architettonica, figure solenni e sconsolate su un paesaggio sereno. Infatti fra Bartolomeo, che prima era Baccio della Porta ha un linguaggio simile nell’annunciazione dipinta nel 1497 per la cattedrale di Volterra. L’angelo e la vergine si distinguono per i gesti morigerati, il pavimento disegna un reticolo preciso su sfondo alla fiamminga. MICHELANGELO A BOLOGNA E A ROMA MICHELANGELO E L’ARCA DI SAN DOMENICO A BOLOGNA: Michelangelo non resta intrappolato nella Firenze piagnona. Tra il 1494-95 si trasferisce a Bologna dove fu coinvolto nell’arca di San Domenico: il monumento del fondatore dell’ordine domenicano realizzato nel 1265-67 da Nicola Pisano e bottega. Dal 1469 fu ampliato da un coronamento da uno scultore di Bologna chiamato Niccolò dell’Arca, morì nel 1494 senza finire e Michelangelo scolpì le immagini del patrono di Bologna San Petronio, San Procolo e un angelo ceroforo. UN CUPIDO SCAMBIATO PER ANTICO: MICHELANGELO A ROMA: 1495 Michelangelo rientra a Firenze dove fece un cupido che a sua insaputa avrebbe preso una patina antica e venne venduto a Roma come antico reperto archeologico. Ad acquistarlo fu il cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV. Tuttavia scoprì l’inganno e volle sapere chi fosse l’autore, quindi Michelangelo va a Roma. Il cupido è andato perduto. IL BACCO DI JACOPO GALLI: nel Museo del Bargello di Firenze rimane il bacco che scolpì giunto nell’Urbe dopo aver approfondito lo studio dell’antico. Appare come una statua di gusto archeologico. Scolpito a tutto tondo e studiato nell’anatomia. Fu Raffaele Riario a commissionarlo nel 1496-97 passato poi all’amico Jacopo Galli protettore di Michelangelo a Roma. PITTURA COME SCULTURA: LA MADONNA DI MANCHESTER: si dedica anche alla pittura. La madonna di Manchester realizzata nel 1497 ed esposta per la prima volta nella città inglese nel 1857. Dipinto su tavola nella collezione della famiglia Borghese oggi alla National Gallery di Londra. Al centro la madonna a seno scoperto con il figlio che gioca con san Giovannino, ai lati due coppie di angeli ma una è abbozzata perché è un non-finito. L’aspetto singolare sta nell’astenersi da qualsiasi ornato e sfondo architettonico. Michelangelo era convinto del primato della scultura sulla pittura. LA PIETA’ VATICANA: ultimato il bacco fu coinvolto nella Pietà nella Basilica di San Pietro. Il 27 agosto 1498 il cardinale Jean Bilhéres de Lagraulas, ambasciatore francese a Roma, stipula il contratto con lo scultore. Realizza una vergine con cristo morto in braccio a grandezza naturale da collocare nella cappella di Santa Petronilla in San Pietro. Fu ultimata nel 1499. Volva essere alla pari degli antichi scultori, infatti la pietà voleva apparire scolpita in un sol sasso, però nascose le commettiture lasciando intendere tutt’uno. Recala sua firma nella fascia che porta la madonna, apposta di notte perché i pellegrini scambiano l’autore. La pietà chiudeva un secolo e annunciava la stagione della maniera moderna, con il ritorno di Michelangelo a Firenze. SEZIONE 6 LA MANIERA MODERNA UNA TESTIMONIANZA DI FRANCESCO GUICCIARDINI: lo storico scrive della situazione italiana di fine 400 come testimone oculare. Prima era divisa in 5 stati (papato, Napoli, Venezia, Milano e Firenze) e per la lentezza degli eserciti le guerre si svolgevano in tutta calma. Con i francesi cadono città, ducati e regni. Le guerre si fanno improvvise e violente. I destini degli stati italiani non si giocavano più sulle scelte politiche dei signori ma in guerra dagli eserciti. TUTTI CONTRO VENEZIA: LA LEGA DI CAMBRAI: con Milano già francese, Napoli vide nel 1504 il passaggio alla corona di Spagna. Nel 1508 le maggiori potenze d’Europa insieme al papato, Mantova e Ferrara si coalizzano della Lega di Cambrai per attaccare Venezia e prendere i territori. Non riuscirono perché nonostante le sconfitte veneziane venne meno l’equilibrio della Lega. GIULIO II: LE IMPRESE DI UN PAPA GUERRIERO: nel 1503 Giuliano della Rovere diviene papa Giulio II, si distinse come mecenate ma anche come bellicoso capo di uno stato secolare. Capì che Venezia era meno pericolosa degli altri stati e nel 1510 fece sciogliere la Lega di Cambrai e nel 1511 crea la Lega Santa: papato e Venezia contro Milano e i francesi per cacciarli. Nel 1512 entra anche Massimiliano d’Asburgo. I francesi promuovono il Concilio di Pisa per deporre Giulio II ma non ebbe successo. Nel 1512 i francesi sconfiggono la Lega a Ravenna ma presto abbandonano Milano che torna agli Sforza, i domini della Chiesa si ampliano, Giulio era riuscito nell’intento ma muore nel febbraio 1513. LEONE X E FIRENZE CHE TORNA MEDICEA:1513 Giovanni de’Medici viene eletto papa con il nome di Leone X. Non era incline alla guerra e si distinse per mecenatismo tra Roma e Firenze. Grazie a lui i Medici furono riammessi a Firenze. Nomina arcivescovo e poi cardinale Giulio de’Medici, papa poi con il nome di Clemente VII. Il clima con Leone X è ben illustrato da un ritratto di Raffaello del 1518, dove lui è seduto in scrittoio mentre legge un manoscritto miniato, accompagnato da due familiari cardinali, dipinto celebrativo. RIFORMARE LA CHIESA: LUTERO ED ERASMO: nel 1517 il frate agostiniano tedesco Martin Lutero aveva affisso alla porta della chiesa di Ognissanti a Wittenberg le sue 95 tesi dove contestava la vendita delle indulgenze da parte della chiesa di Roma, iniziata nel 500 con notevole incremento perchè Giulio e Leone la usarono per finanziare arte e guerre. Lutero restò scandalizzato dalla vendita ma anche dalla curia con passione per l’antiquaria. A biasimare la chiesa anche Girolamo Savonarola insieme a uno dei maggiori intellettuali europei, Erasmo da Rotterdam che nel 1511 pubblica l’elogio della follia in cui critica la corruzione del clero volendo proporre una conciliazione del culto antico con quello di cristo. Con le 95 tesi si scontra con il papato: nel 1521 fu scomunicato e difese le sue convinzioni nella Dieta di Worms di fronte al nuovo imperatore Carlo V fedele alla chiesa. Iniziano le guerre di religione. DUE NUOVI PROTAGONISTI: CARLO V E FRANCESCO I: Carlo V nel 1519 a 19 anni viene eletto a Francoforte imperatore del Sacro Romano Impero che comprendeva anche Spagna, Napoli, Borgogna, Paesi Bassi e Franca Contea. Cerca di contrastare l’avanzata della riforma in Germania e scontrandosi spesso con il re di Francia Francesco I. Salito al trono nel 1515 riconquista Milano nella battaglia di Pavia del 1525: lo stesso sovrano fu fatto prigioniero e liberato con un riscatto e la ratifica del Trattato di Madrid del 1526 dove rinunciava a Napoli, Milano e la Borgogna. Dopo Leone e Adriano sale Clemente al papato e conosce la furia di Carlo V capace nel 1527 di conquistare Roma e metterla a sacco. CAPITOLO 28 FIRENZE ALL’INIZIO DEL 500: LEONARDO, MICHELANGELO, RAFFAELLO IL DAVID DI MICHELANGELO: UN SIMBOLO DELLA REPUBBLICA LA MANIERA MODERNA SECONDO VASARI: Vasari chiama maniera moderna la fase matura del Rinascimento, distinguendo i suoi campioni in Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Rappresenta il momento in cui i maestri superano gli antichi e la natura stessa. Partì tutto da Firenze dopo la morte di Savonarola con l’elezione a gonfaloniere a vita di Pier Soderini. UNA PRESTIGIOSA COMMISSIONE PER UN’OPERA UNICA: Il 16 agosto 1501 gli operai della cattedrale di Firenze commissionarono a Michelangelo uno statua dell’eroe biblico David da collocare su uno dei contrafforti del Duomo. Gli affidarono un marmo di più di 5 m conservato nei depositi dell'opera fino del 1463 quando fu poco più che sbozzato da Agostino di Duccio. Vi lavora per due anni e mezzo: Il David era quasi finito il 25 gennaio 1504 quando si raccolse una commissione di artisti e cittadini per stabilire dove collocarlo. Anche Leonardo fu chiamato a Maria e le fattezze del piccolo Giovanni. L'altra tavola e commissionato da Domenico Canigiani fratello di Sandra per le nozze con Lucrezia Frescobaldi del 1507, una Sacra Famiglia in cui la composizione piramidale è più accentuata culminando nel San Giuseppe, nel modo in cui la Vergine inginocchiata si coglie un riflesso del tondo doni. È conservata a Monaco di Baviera. I RITRATTI DI AGNOLO DONI E MADDALENA STROZZI: Raffaello ritrasse committenti del tondo doni in due tavole conservate nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Marito e moglie sposati nel 1503 ci osservano di tre quarti e mezza figura seduti su un balcone affacciato sulla campagna Toscana in stile Perugino. Realizzate nel 1506 con la tecnica olio su tavola. Nell’impostazione della moglie Maddalena la mano destra appoggiata sulla sinistra non è difficile riconoscere un omaggio al più celebre dei ritratti di Leonardo: la Gioconda. LEONARDO E LA GIOCONDA: È il ritratto più famoso di tutti i tempi. Ritratto di Lisa Gherardini moglie del fiorentino Francesco del Giocondo, da ciò l'appellativo Gioconda e Monna Lisa. La tavola era già nota e visibile a Firenze nell’ottobre del 1503 ma non è detto che fosse compiuta perfettamente. Vasari dice che penò quattro anni intorno a quel ritratto e lo lasciò imperfetto, così la tavola non fu consegnata al committente e la portò con sé per il resto della vita: essendo morto in Francia e per questo che oggi si trova al Louvre. Lo rende noto un sorriso misterioso. RAFFAELLO E FRA BARTOLOMEO: Nel 1507 anno in cui Fra Bartolomeo riceveva il saldo per l'apparizione della vergine a San Bernardo per la Badia Fiorentina Raffaello firmava datava la deposizione Baglioni per la chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. Fervente savonaroliano Fra Bartolomeo nel 1500 si era fatto domenicano abbandonando la pittura fino al 1504 quando tenne l'incarico per l'apparizione della vergine a San Bernardo. La deposizione di Raffaello oggi nella galleria borghese a Roma fu commissionata da Atlanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto ucciso nel 1500 a Perugia. La sua morte fu motivo di una faida in tutta la famiglia. Grifonetto aveva assassinato nel sonno tutti i parenti maschi con la sola eccezione di Giampaolo Baglioni che si vendicò facendo uccidere Grifonetto sulla principale strada perugina. Il dipinto vuole alludere a questa vicenda e più che una deposizione pare un trasporto del Cristo al sepolcro. Azione drammatica dove un ruolo da protagonista è svolto dal giovane atletico e di spalle con i muscoli tesi sul reggere Cristo. CAPITOLO 29 LA NATURA DI VENEZIA: GIORGIONE E LA GIUVENTU’ DI TIZIANO E LORENZO LOTTO VENEZIA AGLI INIZI DEL SECOLO: DURER E GIOVANNI BELLINI VENENZIA VISTA DA VITTORE CARPACCIO: Nel Palazzo Ducale di Venezia si conserva una tela in cui Vittore Carpaccio ha raffigurato il leone di San Marco. È la forma sotto la quale un angelo si è presentato a San Marco dove gli disse: pace a te Marco, qui un giorno riposerà il tuo corpo. E così sarà perché dei mercanti veneziani trafugarono il suo corpo da Alessandria portandolo a Venezia nella Basilica a lui dedicata. Risale al 1516 e proclama l’orgoglio di una Repubblica che resistette alla Lega di Cambrai e sopravvisse alla sconfitta nella battaglia di Agnadello. UNA CITTA’ COSMOPOLITA: era da secoli cosmopolita e multiculturale. Nello stesso 1516 la Serenissima istituiva nel sestriere di Canareggio il primo ghetto ebraico della storia. Gli ebrei erano una delle tante comunità che vivevano in Laguna. Ciascuna aveva il suo fondaco (sede). Il più illustre era il fondaco dei Tedeschi che bruciò nel 1505 ma era tanto importante che fu ricostruito e nel 1508 potè essere inaugurato come lo vediamo oggi. UNA PALA VENEZIANA DI ALBRECHT DURER: nel 1506 il pittore tedesco Albrecht Durer (Norimberga 1471-1528) aveva dipinto per la chiesa di San Bartolomeo in Rialto una pala raffigurante la Festa del Rosario che oggi si trova nella Nàrodni Galerie di Praga, commissionata da Jacob Fugger. Sullo sfondo alpino Durer ha allestito una scena fastosa dove Madonna e Bambino incoronano il papa e l’imperatore, mentre San Domenico e alcuni angeli incoronano il seguito dei personaggi. Si ritrae anche il pittore con un foglio in mano che reca la data. DURER E VENEZIA: era il maggiore pittore tedesco dell’epoca, celebre per le incisioni, e conosceva Venezia: ci era stato dal 1494-95 da allievo e nel 1506 da maestro. In una lettera a un amico ci offre uno spaccato della vita Lagunare. Ci parla anche di Bellini dicendo che è molto vecchio ma ancora il migliore in pittura. GIOVANNI BELLINI SEMPRE PROTAGONISTA: pur 70enne continuava ad essere un protagonista della pittura veneziana. Nel 1501 ritrasse il Doge Leonardo Loredan in una tavola oggi alla National Gallery di Londra. Restò in carica fino al 1521. Lo ritrae alla maniera di Antonello da Messina, affacciato su un davanzale dove troviamo il cartiglio con la firma del pittore. È di 3⁄4, il volto, la veste damascata e copricapo dogale sono ritratti con geometrica precisione e risalta su un fondo azzurro lapislazzuli. BELLINI MUTA ANCORA: LA PALA DI SAN ZACCARIA: completata nel 1505 per la chiesa di San Zaccaria dove ancora si trova. Ricorre un modello di sacra conversazione in una struttura con calotta a mosaico. Rispetto ala consuetudine aggiunge un pavimento bianco e rosso per la prospettiva. L’abside inoltre è in un loggiato aperto lateralmente sul paesaggio. Le figure sono assorte e ombrose rese con lo sfumato, tesoro del passaggio a Venezia di Leonardo e le novità di Giorgione. Si riflette in alcune tavole per devozione privata dove la vergine con il figlio si mette in posa sul fondale di una campagna veneta ed è costruita con accostamenti di colore secondo il tonalismo. La madonna con bambino della Pinacoteca di Brera del 1510 ormai è giorgionesca, aveva ormai 80 anni. LA NUOVA PITTURA DI GIORGIONE UNA VITA BREVE: Giorgione nasce a Castelfranco nel 1477-78 e morì a Venezia di peste nel 1510. Le notizie della sua attività in laguna sono pochissime: nel 1507 ebbe la commissione di un telero per la sala dell'udienza in Palazzo Ducale il 1508 quella di affrescare la facciata del nuovo Fondaco dei Tedeschi. Il primo è andato perduto mentre del secondo resta solo frammenti di affresco staccati ed esposti nelle Gallerie dell'Accademia e alla Ca d’Oro. Sappiamo della sua morte di peste grazie a una lettera di Taddeo Albano a Isabella d’Este, Isabella sta cercando di acquistare una sua opera, una pittura di una notte. UN PRESEPE NEL PAESAGGIO: La notte desiderata da Isabella forse si può identificare in un dipinto della National Gallery di Washington raffigurante l'adorazione dei pastori e caratterizzata da un'atmosfera crepuscolare. Si data 1500- 1505, ambienta la storia della nascita di Gesù nella campagna veneta, e disteso a terra secondo una formula delle Fiandre e venuto alla luce in una grotta naturale che dà riparo ai genitori, al bue e all' asinello, mentre due pastori omaggiano il bambino. L'altra metà del dipinto è riservata al paesaggio. Tutto è giocato sulla luce sul colore. LA PALA DI CASTELFRANCO: Di Giorgione è giunta a noi solo una Pala d'altare, nella chiesa parrocchiale di Castelfranco del 1505 ancora conservata lì. Muove dalla tradizione belliniana per rompere con il passato. Inedita la soluzione di rinunciare all' abside cara alle pale veneziane. al suo posto un parapetto colore cremisi divide la zona delle figure dal paesaggio. Mette il gruppo di Maria e Gesù assai più in alto di qualsiasi altra Pala fissa su di loro l'orizzonte. La Pala fu destinata alla cappella che il condottiero Tuzio Costanzo aveva fondato dopo la morte del figlio Matteo nel 1499, lo stemma di famiglia risalta al centro del sarcofago sottostante il podio Mariano. LA TEMPESTA: Conservato nelle gallerie dell'accademia e dipinta a poca distanza dalla Pala di Castelfranco. Il nobile veneziano Marcantonio Michiel data la sua passione per la pittura il collezionismo raccolse una notizia d'opere di disegno esistenti in Padova, Cremona, Milano, Pavia, Bergamo, Crema e Venezia. Ci descrive le opere che vede in questi luoghi e tra queste nel 1530 nella casa veneziana di Gabriele Vendramin ricorda un paese in tela con la tempesta con la zingara e in soldato. Ignorava il soggetto e pensava a una scena di genere antecedenti di un secolo. Molto si discute sul tema del quadro che può essere identificato nell’episodio della condanna dei progenitori dopo il peccato originale. IL DOPPIO RITRATTO: Giorgione dipinse più volte tavole enigmatiche. Per smarcarsi dalla tradizione antonelliana esprime in maniera originale i moti dell'animo con la pittura di luce colore. Lo testimonia la tavola nel museo nazionale di palazzo Venezia a Roma dove un giovane elegante si affaccia da una finestra in atteggiamento pensieroso con la testa inclinata appoggiare sul braccio destro, alle sue spalle compare un secondo giovane che trattiene un sorriso beffardo. Immagine anticonvenzionale attuale. Il doppio ritratto e stato messo in rapporto con le riflessioni sull'amore di Pietro Bembo che trovano espressione negli asolani tra il 1502 e 1505. LA VENERE DORMIENTE DI DRESDA: In tema d'amore torna nella Venere dormiente di Dresda che era nel 1525 in casa del veneziano Girolamo Marcello. La dea è ritratta nuda e dormiente in una posa all'antica in un paesaggio di campagna che si copre pudicamente con la mano sinistra. Dovrebbe essere stato commissionato per il matrimonio celebrato nel 1507 tra Girolamo Marcello e Morosina Pisani. Così si chiude la sua breve carriera lasciando come suo erede spirituale il giovane Tiziano che si mosse nella sua bottega. L’AFFERMAZIONE DI TIZIANO TIZIANO ALLIEVO DI GIORGIONE: Tiziano Vecellio nacque intorno al 1488-90 in un'agiata famiglia di Pieve di Cadore. Intraprende la carriera di pittura a Venezia legandosi a Giorgione con il quale collaboro agli affreschi della facciata del Fondaco dei Tedeschi del 1508. GLI INTERVENTI ALLA VENERE DI DRESDA E IL NOLI ME TANGERE: Non solo prende un intervento nella Venere di Dresda, completa il paesaggio aggiungendo la figura di Cupido. Taluni gli attribuiscono pure il panno e il cuscino sotto la dea. Certo è che il borgo sulla collina della Venere è quasi identico al Noli me tangere della National Gallery di Londra che Tiziano ha dipinto nel 1511. L'episodio in cui Cristo risorto appare alla Maddalena per confortarla ma non si lascia toccare da lei, ha messo in mano a Cristo una Zappa perché secondo la tradizione la Maddalena non lo avrebbe riconosciuto e lo avrebbe scambiato per un giardiniere. Ha assimilato completamente il linguaggio di Giorgione e mette in scena un episodio sacro con i colori del naturale in campagna. UN RITRATTO GIORGIONESCO: Della sua gioventù si conserva alla National Gallery di Londra un ritratto in cui potrebbe avere effigiato di profilo con la testa appena voltata il patrizio veneziano Girolamo Barbarigo, affacciato da un davanzale in cui sono incise le lettere TV, fatto nel 1510. A PADOVA NELLA SCUOLA DEL SANTO: Nel 1511 per sfuggire la peste si rifugia a Padova dove realizza i suoi primi lavori: tre storie di Sant’Antonio da Padova affrescate nella scuola del Santo. La confraternita volle un ciclo che raccontasse la biografia del Santo alla quale collaborarono maestri diversi. Illustra Antonio che fa parlare il neonato per scagionare la madre dall' adulterio, Antonio che riattacca un piede a un giovane e Antonio che risana una donna pugnalata dal marito geloso. In quest'ultima scena ha scelto di mostrare in primo piano il momento tragico, dietro una rupe gli altri personaggi con Sant'Antonio. AMOR SACRO E AMOR PROFANO: A un tema matrimoniale felice è legato il cosiddetto amor sacro e amor profano della galleria borghese di Roma che dipinse verso il 1514-15. Davanti a un paesaggio Veneto due donne si appoggiano a una vasca decorata, una ben vestita e l'altra e quasi completamente nuda e alza il braccio sinistro per sorreggere un vaso ardente, tra loro Cupido. Il dipinto deve essere collegato alle nozze tra il veneziano Nicolò Aurelio e la padovana Laura Bagarotto, celebrate nel 1514. Gli stemmi si ritrovano nella vasca e nel bacile soprastante. Quindi la donna vestita e la moglie. L’ASSUNTA DEI FRARI: di lì a poco ebbe la consacrazione a maggior pittore di Venezia con la gigantesca palla per l'altare della chiesa dei Frari. La commissione giunse nel 1516 e nel 1518 il dipinto fu collocato sull’altare. L'opera apre un nuovo capitolo della pittura veneziana lasciando ogni retaggio della tradizione belliniana. Nell’assunta il colore veneziano è adattato a figure imponenti e dall’enfatica gestualità sulla quale ha costruito la composizione su tre livelli: la sorpresa degli apostoli in basso, l'ascesa di Maria in un emiciclo di angeli al centro e l'eterno il sacramento. In alto in cielo Cristo accompagnato da Maria e San Giovanni Battista e una schiera di santi e profeti. Sopra di lui Dio e la colomba dello Spirito Santo. LA SCUOLA DI ATENE: alla filosofia affrescò nel 1510 la scuola di Atene, scena simbolo del Rinascimento. Ambientato in un edificio all’antica che evoca i resti della Basilica di Massenzio. Questo contesto accoglie un’adunanza di 58 personaggi che dialogano, leggono o disputano. Al centro Aristotele e Platone, si crede che in Platone abbia ritratto Leonardo. In primo piano solitario abbiamo Eraclito che rappresenta Michelangelo che venne aggiunto nel 1511 quando tutto era finito, dopo aver sbirciato la Cappella Sistina. IL PARNASO: sotto la poesia affresca nel 1511 il Parnaso, non potè usare tutta la lunetta perché si apriva una finestra sul belvedere. Nell’affresco si dispone Apollo che suona una lira, affiancato dalle Muse, ai lati poeti antichi e moderni (Saffo, Dante, Omero, Virgilio..). MICHELANGELO: LA TOMBA DI GIULIO II E LA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA Prima di Raffaello Giulio II aveva chiamato a Roma Michelangelo per commissionargli il suo monumento sepolcrale in San Pietro, vicenda che vide varianti al progetto originario. LA TOMBA DI GIULIO II: IL PRIMO PROGETTO: il primo progetto era un monumento isolato di grandi dimensioni, di pianta rettangolare, ogni parete con nicchie e statue e tra esse altre statue che erano le arti liberali. Sopra una cornice con 4 grandi statue, solo una di queste fu realizzata, il Mosè. Nel coronamento l’arca sostenuta da due angeli. Un portale al centro permetteva di entrare nel monumento con dentro la bara di marmo del papa. A completare le statue pure dei rilievi in bronzo. Michelangelo si mise subito al lavoro e reperito il marmo a Carrara ma il papa quando tornò non lo ricevette e indignato tornò a Firenze, si riappacificarono da li a poco a Bologna ed ebbe la commissione di una statua di bronzo di Giulio per San Petronio che completò nel 1508 ma non ci è giunta perché distrutta. Il progetto della tomba languiva e intanto affresca la Cappella Sistina. LA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA: dal maggio 1508 fino ad ottobre 1512 è impegnato nella volta della Cappella Sistina. Assoluta novità del ciclo michelangiolesco: interpreta la pittura come scultura. Prima mostrava un semplice cielo stellato a cui Michelangelo sostituì una decorazione ambiziosa tramite la raffigurazione di scene personaggi dell'antico testamento o evocativi della venuta di Gesù, le sibille. Lo spazio è scandito da una scrittura architettonica dipinta con rinuncia agli ornati. Nella parte centrale abbiamo 9 storie della genesi, agli angoli 20 figure di nudi, negli scomparti verticali siedono 12 veggenti divisi in 7 profeti e 5 Sibille, sotto ancora le vene e le lunette illustrò un ciclo di antenati di Cristo lasciando spazio nei pennacchi angolari a quattro storie dell'antico testamento. Dipinse tutto questo da solo usando aiuti per l'inizio. L’ELOGIO DI VASARI E IL CARATTERE DELLA VOLTA: la fama fu immediata e riecheggiò fino ai tempi di Vasari. Michelangelo aveva risolto il problema di affrescare la volta attraverso un gigantesco studi nudi e figure in movimento con l'aiuto delle partizioni architettoniche. LE STORIE DELLA GENESI: Osserviamo tre storie della genesi a partire dalla più famosa quella con la creazione di Adamo: paesaggi inesistente dove risaltano il gruppo del Dio padre con angeli e la perfezione anatomica del corpo del primo uomo, le dita si toccano e nasce la vita. Tocca ad Eva essere creata nella scena del Peccato originale dove la posa delle donne con torta quanto l'attorcigliarsi del serpente sull'albero. A destra il prosieguo della storia dove Adamo ed Eva sono cacciati dall'eden. Le figure risultano in uno spazio chi non ha bisogno della prospettiva. SIBILLE CORPULENTE E PROFETI MALINCONICI: Le figure femminili per Michelangelo hanno corpi forti e voluminosi come quelli maschili, si riflette anche nelle sibille, emblematica la Sibilla delfica per l'efficace scarto della testa rispetto al corpo e le braccia muscolose. I profeti come Ezechiele molto vestiti e come Geremia a gambe incrociate. Vengono raffigurati in maniera malinconica. LA TOMBA DI GIULIO II RIPARTE: IL MOSE’: Una versione di scultura dei profeti della volta la troviamo nel Mosè. Scolpì il Mosè verso il 1513-16 perché alla morte di Giulio II (1513) I suoi eredi rilanciarono il progetto del sepolcro modificando il progetto originario. Si pensò ad un più economico sepolcro parietale sempre su più registri affollato di sculture sia sul fronte che sui lati. La camera mortuaria fu abolita e in alto si aggiunse la figura della Madonna col bambino. Nel 1516 un nuovo contratto semplifica il progetto riducendo il numero delle statue e spessore dei lati preferendo ha il catafalco l'assoluzione del pontefice sorretto da due figure. I PRIGIONI: Lavoro anche ad altre figure per il sepolcro, in particolare a due prigioni o schiavi per il registro inferiore che oggi si trovano al Louvre. realizzata nel 1513 lo schiavo morente e un giovane atletico in cosa contorta che omaggia il gruppo del laocoonte. Si può confrontare con i prigioni che avrebbe abbozzato nel soggiorno fiorentino nel 1520-34. Anche queste dovevano corredare il sepolcro ma non le finirà mai e oggi si trovano nella galleria dell'accademia di Firenze. STATUE NON FINITE: ll prigione fiorentino non è dissimile nella posa da quello parigino, enorme la differenza per lo stato di finitura. L’ANTICO E LA MANIERA: ANDREA SANSOVINO E RAFFAELLO IN SANT’AGOSTINO UN ALTARE IN SANT’AGOSTINO: Le novità della Sistina ebbero effetti immediati a Roma. Johann Goritz era un lussemburghese che fece carriera in curia, latinizzò il suo nome in Giano Coricio. Nel 1510 aveva deciso di fondare un altare sul terzo pilastro sinistro della chiesa di Sant’Agostino dove Egidio da Viterbo teneva prediche appassionate. all'origine dell'altare vi era la volontà di dare sepoltura all' amante cortigiana di Giano, insieme alla figlia di lei. Lo scandalo fu trasfigurato in un culto per Sant'Anna. Fu inaugurato nel 1512. IL GRUPPO DELLA SANT’ANNA DI ANDREA SANSOVINO: Volle per il suo altare un gruppo scultoreo ricavato da un solo blocco di marmo che raffigurasse Sant'Anna con la Madonna e il bambino. Lo ordinò ad Andrea Sansovino. Prese spunto dal cartone della Sant'Anna di Leonardo esposto a Firenze. La fortuna di questo marmo fu immediata. RAFFAELLO: UN ISAIA MICHELANGIOLESCO: Al di sopra della nicchia dell'altare era presente un affresco in cui Raffaello aveva raffigurato il profeta Isaia. Somiglia alle opere di Michelangelo, ancora prima che la volta fosse finita Raffaello aveva potuto vederla e arricchire il suo repertorio. RAFFAELLO E LA STANZA DI ELIODORO Quando dipinse Isaia aveva già iniziato decorare la seconda delle stanze vaticane. Per questo il programma iconografico si distingue per una forte valenza politica dove attraverso episodi in cui la chiesa poi gli eroi biblici si salvano da pericolose minacce. Non mancano allusioni a quanto stava accadendo in quel momento a Giulio II, con Bologna riconquistata. Le storie dovevano essere un monito per i nemici della chiesa e Raffaello le illustra con un linguaggio inedito, più drammatico segnato dalle novità di Michelangelo. ELIODORO CACCIATO DAL TEMPIO: La stanza è detta di Eliodoro dal soggetto della prima scena affrescata tra il 1511 e 1512 tratta da un episodio apocrifo dell'antico testamento: si vede destra un gruppo dove un Cavaliere con due giovani armati di verghe travolge un uomo in armatura mettendo in fuga il suo seguito dove il vaso pieno di ricchezze accanto al protagonista ci fa capire di chi si tratta. A metterlo in fuga un Cavaliere inviato da Dio dopo ripetute preghiere del sommo sacerdote Onia, inginocchiato di fronte alla menorah. A sinistra entra in scena Giulio II sulla sedia gestatoria sostenuto da alcuni palafrenieri. Il suo ingresso parla veneziano. LA MESSA DI BOLSENA: La seconda scena illustra la messa durante la quale nel 1263 si verificò il miracolo che diede origine alla festa del corpus domini. Quella messa fu celebrata da un prete boemo che dubitava della trasformazione del pane del vino in corpo e sangue di Cristo, al momento della consacrazione l'ostia iniziò a gettare sangue dissipando i dubbi del celebrante. L'atmosfera e tenebrosa e la cerimonia si tiene in una chiesa simile alla scena precedente. LA LIBERAZIONE DI SAN PIETRO: La terza scena racconta la liberazione di San Pietro dal carcere grazie all' apparizione di un Angelo. Vuole alludere anche alla liberazione dei territori della chiesa dalla minaccia francese. L'affresco risale al 1512-13 e Raffaello la diviso in tre momenti: al centro dietro le sbarre l'angelo appare a Pietro dormiente, a destra l'Angelo e Pietro se ne stanno andando mentre i carcerieri dormono sulle scale, a sinistra la fuga è stata scoperta. Dopo questo ciclo realizza l'incontro tra Attila e leone Magno nel 1513-14 LA VILLA DI AGOSTINO CHIGI: PERUZZI, RAFFAELLO, SEBASTIANO DEL PIOMBO E SODOMA Uno dei più illustri committenti di Raffaello fu Agostino Chigi, nato a Siena ma visse a Roma. Volle al lavoro nella sua dimora romana i migliori pittori, nella villa della Farnesina che nel 1580 fu acquistato dal cardinale Alessandro Farnese e rimase ai suoi eredi. IL PROGETTO DI PERUZZI: Agostino Chigi bolle costruire una villa suburbana in una particolare posizione strategica. Il progetto fu affidato all' architetto senese Baldassarre Peruzzi che costruì la villa tra il 1506 e 1510. Usò un modello nuovo, un palazzo due piani che si apre con una loggia a 5 arcate e due ali aggettanti verso il giardino impreziosite da piante rare, statue, reperti archeologici e fontane. Le pareti esterne erano dipinte all’antica. La decorazione non è giunta fino a noi per l'esposizione agli agenti atmosferici. RAFFAELLO E SEBASTIANO: GALATEA E POLIFEMO: Il gusto all'antica è presente negli interni a partire dalla sala che affaccia sul giardino detta sala di Galatea da un dipinto compiuto da Raffaello verso il 1511-12. È il trionfo della ninfa del mare su una conchiglia trainata da due delfini in mezzo alla sua Corte di divinità marine con tre amorini che puntano verso di lei le loro frecce. La storia vuole che la ninfa fosse innamorata di un bellissimo giovane che un giorno fu ucciso dal ciclope Polifemo anche lui innamorato di lei. A sinistra Polifemo sta guardando verso galatea che pare voler fuggire da lui, a dipingerlo fu Sebastiano del Piombo nel1511, qui adotta un linguaggio veneziano nel paesaggio e colore mentre nella figura un linguaggio michelangiolesco. A lui spettano anche le 10 lunette soprastanti. PITTURA ILLUSIONISTICA E TEATRO: PERUZZI E LA SALA DELLE PROSPETTIVE: Una descrizione della villa la abbiamo da un poemetto di Egidio Gallo nel 1511, ricordando che lo spazio davanti alla loggia era usato come scena teatrale. Questi apparati scenici non sono arrivati a noi ma quello romano dovete essere disegnato da Peruzzi la cui familiarità con la scenografia è testimoniata nella sala delle prospettive: affrescata nel 1518 dove domina la pittura illusionistica dove le pareti fingono nicchie con statue e un loggiato aperto su un paesaggio romano. IL SODOMA: LA CAMERA DI AGOSTINO CHIGI: A Sodoma toccò il compito di affrescare nella camera da letto un paio di storie di Alessandro Magno tra cui le nozze di Alessandro e Rossane, allusione a Chigi e la futura moglie. In stile raffaellesco raffigura una camera da letto dove Rossane siede sul letto seminuda. Cercò di ricostruire le perdute Nozze di Alessandro e Rossane del pittore Aezione (IV sec a.C.). L’INCENDIO DI BORGO, LE LOGGE E LA BOTTEGA DI RAFFAELLO UN’ENNESIMA STANZA DI RAFFAELLO: L’INCENDIO DI BORGO: Raffaello prosegue nelle stanze Vaticane con quella adibita a sala da pranzo con il nome Sala dell’Incendio di Borgo. Affreschi del 1514 e raffigura l’incendio del quartiere di Borgo dell’847, si vede l’antica basilica paleocristiana di San Pietro e poco in avanti la loggia dove si affaccia Leone IV che placa l’incendio con la sua benedizione. Le ulteriori storie saranno finite nel 1517 dalla sua bottega. RAFFAELLO E BOTTEGA: DALLE LOGGE VATICANE ALLA LOGGIA DI PSICHE: alla morte di Bramante ebbe l’incarico di seguire il cantiere della nuova Basilica Vaticana, nel 1515 gli fu commissionato un ciclo di 10 arazzi con storie dei santi Pietro e Paolo per la parte inferiore LA FAMA DI CORREGGIO: Sarebbe morto pochi anni dopo avere realizzato queste opere che avrebbero contribuito a divulgare la sua fama a livello europeo. Q però nel 700 che la fortuna di Correggio raggiunse il suo vertice grazie alla presenza dei suoi dipinti in molte collezioni europee. LA FANTASIA DI PARMIGIANINO LE STORIE DI DIANA E ATTEONE A FONTANELLATO: Per trovare un primo significativo riflesso della pittura di Correggio se deve andare a Fontanellato un borgo vicino a Parma , per secoli il feudo della famiglia Sanvitale che aveva la sua dimora in una possente Rocca con fossato conta le mura proteggono lo studiolo di Paola Gonzaga, e qui che nel 1523- 24 Francesco Mazzola detto il Parmigianino affrescò una volta ispirata al pergolato della camera di San Paolo del Correggio. La differenza è nelle lunette che narrano le metamorfosi di Ovidio con la storia di Diana e Atteone. SINGOLARITA’ DI PARMIGIANINO: IL GIUDIZIO DI VASARI: Quando dipingeva a Fontanellato Parmigianino aveva 20 anni, pur prendendo le mosse dalla pittura di Correggio presto sarebbe stato in grado di evolvere in un suo stile personalissimo in base alla sua personalità singolare: grande talento nel disegno e pittura per la capacità di dare alle figure una certa dolcezza e leggiadria. Scelse ad un certo punto della carriera di dedicare gran parte del suo tempo all'alchimia. L’AUTORITRATTO ALLO SPECCHIO CURVO: Di quegli anni è un piccolo dipinto che si conserva a Vienna del 1524 dove si ritrasse con estremo virtuosismo. Bolle ritrarsi guardandosi in uno specchio da Barbieri di forma convessa riproducendo ogni cosa tenendo conto degli effetti della curvatura. Una pittura del genere è emblematica di un artista cui piaceva sperimentare e che si sarebbe trasferito per qualche anno a Roma dove avrebbe studiato i maestri moderni. Si presentava a Roma con questo autoritratto al Papa Clemente VII nel 1524. CAPITOLO 32 LA FERRARA DI ALFONSO D’ESTE: TIZIANO E DOSSO DOSSI UNO STUDIOLO PER ALFONSO: L’ULTIMO BELLINI E IL COLORE DI TIZIANO ALFONSO D’ESTE: SUCCESSORE DI ERCOLE A FERRARA: Ferrara continua ad essere la capitale di uno stato retto dagli estensi, il duca Ercole aveva promosso un ampliamento della città, alla sua scomparsa nel 1505 il Ducato passò al figlio Alfonso d’Este che seppe mantenere il potere fino alla morte, si sposò con Anna Maria Sforza e dopo la morte di questa con Lucrezia Borgia. I CAMERINI DELLA VIA COPERTA: A guardare dall'alto il centro di Ferrara si nota che il castello pur isolato da un fossato è collegato con il Palazzo Ducale da una struttura poggiata su 5 arcate, la via coperta ovvero un camminamento realizzato nella seconda metà del 400 per garantire agli estensi un sicuro passaggio tra le due strutture. Trasformati nel l'appartamento privato di Alfonso, 5 stanze con soffitti intagliati, dorati, ornati e pavimenti marmorei e per questo furono dei camerini di alabastro. IL FESTINO DEGLI DEI DI GIOVANNI BELLINI: Fin dal 1511 Alfonso aveva in mente il progetto di una pittura in una camera per emulare lo studiolo della sorella Isabella. Voleva accostare opere centro italiane e venete ma non riuscì a procurarsi dipinti di Raffaello e Michelangelo. Tuttavia riuscì a mettere insieme un ciclo che documenta gli altissimi esiti della pittura veneziana. Nel 1514 Giovanni Bellini ultimo per il camerino un festino degli dei ora a Washington. Raffigura una scena pastorale in cui le divinità antiche con satiri e ninfe sono finite in convivio. È un dipinto tutto giocato sul colore. La tela avrebbe subito di ritocchi di Dosso Dossi e Tiziano. I BACCANALI DI TIZIANO: Il dipinto di Bellini era parte di un ciclo focalizzato sul mito di Bacco derivante dalle immagini di Filostrato. Tiziano di lì a 10 anni dipinge tre grandi tele per ricostruire tre dei dipinti descritti da Filostrato e rappresentano la sua evoluzione. L'episodio con Bacco e Arianna del 1520-23 oggi alla National Gallery di Londra rappresenta una boscosa a riva del mare con la nave di Teseo che ha abbandonato Arianna. La giovane si volta e è stata attirata dal corteo del Dio Bacco innamorato di lei a prima vista. Le altre due tele si conservano al Museo del Prado di Madrid e sono più sensuali. La più antica e l'offerta a Venere del 1518- 19: È estate e su un Prato si ritrovano tantissimi amorini riuniti sotto la statua della loro mamma Venere. Sono tutti armati di Arco e frecce e giocano tra loro, ballano, volano. L'ultima tela raffigura il baccanale degli andrii del 1523-25 e l'episodio si svolge nell’isola greca di Andros, che raffigura uomini e donne fare festa e parlare. LUDOVICO ARIOSTO E DOSSO DOSSI I PITTORI DELL’ORLANDO FURIOSO: Il più noto tra i virtuosi protetti da Alfonso è il poeta Ludovico Ariosto (1474-1533) Autore dell'Orlando furioso poema che narra le vicende del conflitto tra paladini cristiani e saraceni. Tiziano fu amico di Ariosto e vuole celebrarlo nell’Orlando furioso mettendo il suo nome tra i pittori che andavano per la maggiore nella Ferrara di Alfonso. DOSSO DOSSI, ARIOSTO E MELISSA: Giovanni Luteri detto Dosso Dossi nasce a Mirandola tra Mantova e Ferrara. Dovette formarsi tra Mantova e Venezia prima di passare al servizio di Alfonso nel 1514. Lavorerò alla decorazione per le stanze della via coperta e mise a punto uno stile fantasioso giungendo raffigurare addirittura alcuni dei protagonisti dell’Orlando furioso. In una tavola della galleria borghese di Roma del 1520 si riconosce Melissa: la maga buona che profetizza la discendenza della casata estense dall'unione tra Ruggero e Bradamante. Atmosfera fiabesca, preziosità dell'abito e gusto cortese. Allusioni all' Orlando nel cane e nell’armatura CAPITOLO 33 NOVITA’ A FIRENZE: LA SCUOLA DELL’ANNUNZIATA E MICHELANGELO ANDREA DEL SARTO, PONTORMO E ROSSO NEL CHIOSTRINO DELL’ANNUNZIATA IL CHIOSTRINO DEI VOTI E L’INIZIO DELLA MANIERA: Tra le molte chiese di Firenze quella della Santissima Annunziata ha un ingresso particolare: come le basiliche romane la chiesa è preceduta da un cortile porticato detto chiostrino dei voti per gli ex voto dei fedeli. Fu costruito verso metà del 400 su disegno di Michelozzo: galleria con succedersi di arcate a tutto sesto sorrette da colonne con capitelli corinzi. Chiunque deve andare in chiesa deve attraversarlo. Si inizia ad affrescare ma solo tra primo e secondo decennio del 500 che accolse il più importante ciclo di affreschi di Firenze di Andrea del Sarto e i suoi allievi Pontormo e Rosso Fiorentino. Nuovo linguaggio che da il via alla maniera moderna, oltre il rinascimento maturo: dopo aver superato gli antichi e la natura si doveva andare oltre con l’artificio che diviene regola. Alla passione per l'archeologia si sostituisce l'esercizio sulle battaglie e sulle novità della Roma moderna. ANDREA DEL SARTO: PITTORE SENZA ERRORI: Superati i 20 anni Andrea ebbe la fortuna di ritrovarsi in una Firenze senza i grandi maestri, si era formato con Piero di Cosimo e nel 1509- 10 fece il suo esordio nel chiostrino dell'Annunziata affrescando 5 storie di San Filippo Benizi. Inizia la sua carriera di successo e la sua fama giunge in Francia dove soggiornò per un paio di anni. Stile sempre attento l'equilibrio tanto che venne definito pittore senza errori. LA NATIVITA’ DELLA VERGINE DI ANDREA DEL SARTO: Il più celebre degli affreschi eseguiti da Andrea per il chiostrino e una Natività della vergine dell'otto settembre 1514 data in cui il Papa Leone X concesse alla chiesa della Santissima il giubileo perpetuo. L'atmosfera è meno celebrativa, più intima. Nello stesso tempo in cui dipingeva la Natività Andrea il Cav ha nella sua bottega due giovani apprendisti coinvolti nel ciclo del chiostrino e qui iniziarono a impegnarsi in ricerche sperimentazioni che finivano per sgretolare la misura del maestro: Jacopo Carrucci detto il Pontormo e Giovanni Battista di Jacopo detto il Rosso Fiorentino. LA VISITAZIONE DEL PONTORMO: Il giovane Pontormo affrescò l'episodio della visitazione ultimato nel 1516, si svolge sul severo palcoscenico di un emiciclo con scalini e al centro in cima la vecchia Elisabetta si in ginocchio di fronte alla cugina Maria, all'incontro assiste un gruppo di donne fanciulli e giovani tutti affrescati in modo naturale. Derivazione dello studio su Leonardo per il tono cromatico abbassato e giocato sui colori dell'arancio, del rosso e del malva riconosciuti nella pittura di Michelangelo. Malinconico in alcune figure anche lui stesso lo era. L’ASSUNZIONE DEL ROSSO FIORENTINO: Affianco c'è un affresco in cui la rottura è più evidente, l'assunzione della vergine dipinta tra il 1513 e 1514 dal Rosso Fiorentino con modi così insoliti che il 16 giugno 1515 i frati chiesero ad Andrea di ridipingerla perché non piaceva, poi però non se ne fece nulla e così l'affresco è giunto fino a noi. L'episodio è descritto con grande rigore, non ci sono architetture, ornati o paesaggi e il tutto è giocato attraverso due gruppi di figure: in alto la Vergine assunta in cielo circondata da angioletti e in basso gli apostoli osservano il miracolo ma tendono ad essere irriverenti dove notiamo un manto verde che esce dalla cornice. TRE PALE D’ALTARE Il paragone dei tre affreschi si può estendere a un terzetto di fare d'altare che i tre dipinsero negli anni successivi per tre differenti chiese di Firenze. LA MADONNA DELLE ARPIE DI ANDREA DEL SANTO: 1515 Andrea riceve la commissione per la pala dell’altare maggiore della chiesa di San Francesco de’Macci ultimata nel 1517 che oggi è agli Uffizi. È famoso come la Madonna delle arpie perché la Vergine col figlio si erge al centro su un piedistallo ottagonale (con firma e data del pittore) agli angoli del quale sono dei mostriciattoli che Vasari diceva arpie. Composizione equilibrata, luce studiata e figure solide su parete neutra, è affiancata da un San Francesco e Giovanni Evangelista. LA PALA DI SAN MICHELE VISDOMINI DEL PONTORMO: Nel 1518 Pontormo dipingeva una Pala richiesta di dal gonfaloniere di giustizia Francesco Pucci per l'altare nella chiesa di San Michele Visdomini dove ancora si conserva. Dipinto che si può ammirare nella penombra della chiesa lontana dalle folle di turisti, i colori sono vivaci e l'ordine della Madonna delle arti e si disgrega per composizione e gesti. Gli angioletti sono agli angoli superiori ad aprire il tendaggio del quale si mostra Maria che siede dentro una nicchia. La sacra conversazione è animatissima e sgangherata per le pose dei vari santi e protagonisti. ROSSO FIORENTINO E LO SPEDALINGO DI SANTA MARIA NUOVA: il 30 gennaio 1518 il monaco certosino Leonardo Buonafede rettore dell’ospedale di Santa Maria Nuova aveva commissionato a Rosso Fiorentino una pala per la chiesa di Ognissanti per il volere di una vedova morta a Firenze. La tavola oggi e gli affitti e possiamo comprendere la reazione avversa del suo insuccesso: e una sacra conversazione tradizionale nell’impostazione quindi Madonna col bambino in trono al centro affiancata da quattro santi in piedi. Colori vivaci spazio un po compresso dove non si con centra sulla tridimensionalità ma sull’espressività delle figure tanto che per risultano stravaganti e spigolose, con mani che sembrano artigli, occhi attoniti e arie crudeli e disperate. La pala non fu ritenuta consona per la frequentata chiesa di Ognissanti e finì in campagna nella chiesa di Santo Stefano a Grezzano, il cambiamento di sede richiese il mutamento di alcuni soggetti: i santi Benedetto e Leonardo accanto a Maria vennero rimpiazzati da Antonio Abate E Stefano. ROSSO FIORENTINO A VOLTERRA UNA STRANA DEPOSIZIONE: Dopo gli insuccessi dell'annunciazione per il rosso l'aria di Firenze si fece pesante quindi si sposta lavorare per centri periferici tra cui Volterra con una deposizione dalla croce. La Pala fu richiesta da una confraternita per la cappella della Croce di giorno adiacente alla chiesa di San Francesco, completamente affrescata agli inizi del 400 da cenni di Francesco con un ciclo di storie sulla croce. Venne dipinta nel 1521 e si conserva nella Pinacoteca di Volterra: Pala centinata dall'intonazione cupa, paesaggio desolato con cielo azzurro su cui risaltano i personaggi. Composizione instabile nell’asimmetria. Volumi pendenti ha una geometrizzazione sia dei corpi che nelle vesti. MICHELANGELO E LEONE X: SAN LORENZO E LA SAGRESTIA NUOVA LE BARCHESSE DI PALLADIO E VILLA EMO: Andrea Palladio può essere considerato uno dei più grandi architetti di ville. Progetta numerose ville vicino Vicenza con l’esempio più illustre nella rotonda. In altri casi seppe integrare la villa con gli annessi agricoli, le “barchesse” in veneto. Questo il caso della villa del 1556-59 per Leonardo Emo vicino Castelfranco. UNA VILLA DI CITTA’: PALAZZO PITTI: la campagna offriva uno svago che nel 1500 si costruiscono ville di città. Aveva iniziato Agostino Chigi a Roma con la Villa della Farnesina. Un caso esemplare è Palazzo Pitti a Firenze, pianta a ferro di cavallo con enorme giardino dietro. Voluto dalla famiglia Pitti ma più piccolo e di pianta quadrata, oggi è così per una ristrutturazione di Cosimo I. PAESAGGIO AGRARIO, GIARDINI E FONTANE IL PAESAGGIO AGRARIO DI GIUSTO UTENS: 1599 il pittore Giusto Utens, fiammingo, fu chiamato da duca di Toscana Ferdinando I a dipingere i possedimenti medicei in 17 lunette per la Villa di Artimino, oggi ne restano 14 nella Villa medicea della Petraia. L’INVENZIONE DEL GIARDINO ALL’ITALIANA: l’assetto ordinato del giardino Boboli era conseguenza di una serie di precisi progetti con una serie di artisti sperimentatori di nuovo mestiere: l’architetto di giardino. Il primo tra questi fu Niccolò Tribolo che in precedenza si era occupato dei giardini di Villa di Castello. In questo ambito nasce il giardino all’italiana: traduce in termini monumentali l’hortus conclusus medievale con geometria degli spazi con l’uso di arbusti e siepi tagliati in forma regolare. Utens ha raffigurato nella prima lunetta il primo grande intervento di Triboli per Cosimo. L’ACQUA E LE FONTANE: nel giardino all’italiana ha un ruolo fondamentale l’acqua in vasche, in fontane o le due sovrapposte. Spesso diede impulso alla realizzazione di acquedotti. La più curiosa fontana dei giardini medicei è una scultura di 10 m del 1580 fatta dal Giambologna che raffigura l’Appennino. IL SACRO BOSCO DI BOMARZO: il giardino più eccentrico e bizzarro del 500 è a Bomarzo, provincia di Viterbo. Lo volle Bomarzo Vicino Orsini, oggi noto come parco dei mostri: percorso dove si incontrano sculture mostruose ed edifici stravaganti con il culmine nella casa pendente o nella faccia dell’orco. LUOGHI DI FEDE: I SACRI MONTI E LE CERTOSE IL SACRO MONTE DI SAN VIVALDO: in Italia oltre al Sacro bosco esistevano sacri monti per la devozione riproducendo i luoghi della terra santa. Si forma questo nuovo genere del Sacro Monte con cappelle a ogni episodio della vita di Cristo. Uno dei più antichi è quello di San Vivaldo in Toscana iniziato nel 1500. IL GRAN TEATRO MONTANO DI VARALLO: Varallo è il più celebre dei Sacri Monti: compiuto solo nel 600 con una chiesa e 44 cappelle con affreschi e 800 statue. GLI ORDINI MONASTICI: LE CERTOSE: gli ordini monastici continuarono a segnare il paesaggio tra 400-500 con nuove fondazioni o ristrutturazioni. Nel 1390 Gian Galeazzo Visconti aveva dato origine alla Certosa di Pavia, affrescata nei secoli successivi. La certosa del Galluzzo è vicino a Firenze e sembra un castello perché lo comprendeva come residenza del laico Niccolò Acciaiuoli ovvero colui che ne volle l’edificazione dal 1341. La certosa di Serra San Bruno è in Calabria, ordinato come la certosa di Pavia ma non ci è arrivato integro. Una delle più grandi d’Italia si trova a Padula voluta da Tommaso Sanseverino nel Vallo del Diano e nelle forme attuali risale al 1583. CAPITOLO 35 L’ETA’ DI CLEMENTE VII E IL SACCO DI ROMA GLI EREDI DI RAFFAELLO E LA ROMA DI CLEMENTE VII GIULIO ROMANO E LA SALA DI COSTANTINO: alla morte di Raffaello restava ancora una delle stanze Vaticane da dipingere, la più grande per le cerimonie ufficiali dove Raffaello aveva già pronti i cartoni da tradurre in affresco. Tra gli allievi Giulio Pippi detto Giulio Romano non si fa scappare l’occasione. L’ambiente è noto come Sala di Costantino perché sulle pareti ci sono i 4 episodi della vita dell’imperatore: la visione della croce, la battaglia di Ponte Milvio, il battesimo di Costantino e la Donazione di Roma. Sono pensate come estesi arazzi con pose ardite, Giulio di occupa del cantiere dal 1520 al 1524 quando va a Mantova. LO STILE RAFFAELLESCO DI PERIN DEL VAGA: tra gli allievi si afferma pure Piero Bonaccolsi detto Perin del Vaga che lavora con Giulio nella sala di Costantino. Al tempo di Clemente VII affrescò le storie della Vergine, nella lunetta centrale dipinse una visitazione in cui rivela la sua dipendenza dalla matura pittura raffaellesca. L’AFFERMAZIONE ROMANA DI PARMIGIANINO: l’elezione di Clemente VII richiamò a Roma anche Parmigianino con il suo autoritratto, e fece rapida fortuna. Nel 1526 gli fu commissionata una tavola da Maria Bufalini per la chiesa romana di San Salatore in Lauro oggi al National di Londra. È un dipinto verticale che formava il centro di un trittico con i laterali mai eseguiti perché lascia Roma nel 1527 per il sacco. Ha la predilezione per le figure allungate. ROSSO FIORENTINO A ROMA: è attestato nel 1524 a Roma. In una tavola del 1525-26 voluta dal vescovo di Sansepolcro Leonardo Tornabuoni (ora a Boston) è meno demoniaco: la pietà è resa con estro ma evitando la carica espressiva. MANIERA O MANIERISMO? IL SIGNIFICATO DI MANIERA: si precisa una tendenza comune definita con due termini: maniera e manierismo, e diventerà il linguaggio più diffuso del 500. La parola moderna si riferisce allo stile: maniera greca è lo stile bizantino, maniera moderna è lo stile dei 3 grandi maestri. In conseguenza di ciò i loro successori sperimentarono linguaggi artificiosi, anticlassici ed eccentrici. Ed è a questa tendenza che si assegna il nome di maniera volendo alludere a uno stile che non si ispira più alla natura ma alla maniera di altri maestri. Ci rientrano Pontormo e Rosso Fiorentino come l’autoritratto di Parmigianino. DALLA SPERIMENTAZIONE ALLA NORMA: poi divenne una moda. La sperimentale comprendeva ancora prima Michelangelo con il giudizio universale del 1536-41, un manifesto della maniera per l’assoluta libertà delle pose e possenza delle figure. Nella seconda metà del 500 le figure possenti e le pose serpentinane sarebbero diventate una moda italiana ed europea. DALLA CONDANNA DELLA CONTRORIFORMA AL MANIERISMO: condannate dalla controriforma le artificiose licenze della maniera furono soppiantate dalla nuova pittura di Caravaggio e Carracci. L’insuccesso di questo stile fu tal che il più importante ciclo di affreschi con e storie della genesi e il giudizio universale furono distrutti. Solo nel primo 900 con le avanguardie l’arte della maniera fu riscoperta positivamente. LE INQUIETUDINI DI UNA STAGIONE STORICA: l’inquietudine anticonformista delle opere manieriste è stata vista come conseguenza dell’infelice stagione delle guerre in Italia. CAPITOLO 36 LA DIASPORA DEGLI ARTISTI: LA MANIERA SI ESPANDE JACOPO SANSOVINO: UN FIORENTINO TROVA CASA A VENEZIA IL SACCO DI ROMA E LA DIASPORA DEGLI ARTISTI: ebbe conseguenze per la diffusione della maniera in Italia e non solo, gli artisti fuggono e furono accolti da altri signori e città. La diaspora degli artisti ebbe effetti immediati tramandando la maniera a macchia d’olio. Tra i più affermati Jacopo Tatti detto il Sansovino, allievo di Andrea Sansovino. Jacopo si muove negli artisti moderni con un linguaggio allineato a quello di Andrea del Sarto. IL BACCO: 1515 Jacopo scolpisce per il giardino di Giovanni Bartolini un Bacco oggi al Museo del Bargello. Il mito antico è trattato in modo diverso, se il David era quasi un falso archeologico, questo è innervato di movimento. DA ROMA A VENEZIA: ad attestare la perizia di architetto di Jacopo fu il coinvolgimento nel progetto di Leone X che voleva dare un volto alla facciata di San Lorenzo a Firenze poi affidato a Michelangelo. Grazie ai due papi la sua carriera proseguì tra Firenze e Roma. Dopo il sacco va a Venezia dove sarebbe rimasto per tutta la vita. All’inizio si occupa di stabilizzare le cupole di San Marco e varie commissioni pubbliche e private. LA ZECCA DI VENEZIA: subito in piazza San Marco abbiamo 3 edifici del Sansovino, il palazzo della Zecca che oggi fa parte della Libreria Marciana è rielaborato al modo della maniera. LA LIBRERIA MARCIANA: avviato nel 1537 da Sansovino e ultimato a fine secolo da Vincenzo Scamozzi. Edificio in cui ci sono più vuoti che regole classiche infrante. Nel loggiato superiore abbiamo un motivo tipico della maniera: la serliana: una trifora con lunetta sopra e apertura normale sotto. SANSOVINO STATUARIO: 1537-49 Jacopo costruisce una loggetta ai piedi del campanile di San Marco, allineata ai gusti della libreria. Quella che vediamo è una ricostruzione del 1912 perché distrutta dal crollo del campanile del 1902. Corredato da un ciclo di statue bronzee dovute allo stesso Sansovino dove domina l’antico. Poco lontano nel 1567 pose all’accesso del Palazzo Ducale due statue, un nettuno e un marte. GIULIO ROMANO NELLA MANTOVA DEI GONZAGA I GUSTI DI FEDERICO GONZAGA: Giulio romano evita il sacco di Roma perché si era trasferito nel 1524 alla Corte mantovana di Federico Gonzaga. Marchese di Mantova dal 1519 dopo la morte del padre, sua madre era Isabella d’Este e quindi anche lui crebbe amante delle arti. Lo vediamo effigiato a mezza figura elegantissimo con un cagnolino in un ritratto di Tiziano del 1529 poco prima di ricevere il titolo di duca. PITTURA EROTICA: DUE AMANTI: Correggio eseguì per lui gli amori di Giove, pittura sensuale, oggi all’Hermitage. Eseguito nel 1524, che dovette nascere parallelamente all’impresa di Modi. Giulio aveva fornito i disegni per 16 incisioni erotiche che mostravano i modi di accoppiamento ante litteram. IL RUOLO DI BALDASSARRE CASTIGLIONE: arrivò in città con Baldassarre Castiglione, umanista e diplomatico al servizio di Federico e sia zia Eleonora duchessa di Urbino. La familiarità con l’ambiente artistico era di lunga data. Il Sanzio stesso lo ritrasse a mezzo busto nel 1514-15 di 3⁄4, pubblica un trattato di corte in dialogo ambientato a Urbino. GIULIO ROMANO E PALAZZO TE UNA DIMORA PER GLI SVAGHI DI FEDERICO: Nel 1526 Giulio divenne cittadino mantovano, fu nominato prefetto delle fabbriche e avviò il più grandioso dei suoi progetti: Palazzo Te. Dimora suburbana costruita entro il 1534 sull'isola di Teieto. L'isola non esiste più da quando il lago Paiolo nel corso del XVIII secolo è stato interrato. Nacque un’opera che Federico uso per i propri svaghi ma anche per grandi ricevimenti come quello del 1530 che accolse l'imperatore Carlo V. Il palazzo ha pianta quadrata con grande cortile centrale e prevede un solo piano. GLI AFFRESCHI DI GIULIO ROMANO: LA SALA DI AMORE E PSICHE: con l'aiuto di una bottega Giulio si occupa della decorazione ad affresco degli interni. Nell'ambiente per i banchetti e ricevimenti narra la storia di amore e psiche. Scena già riprodotta nella villa di Agostino Chigi a Roma. A Palazzo Te hanno maggiore senso di movimento e accesi scarti cromatici. Nella cornice soprastante corre una lunga iscrizione in latino che allude alla funzione del palazzo. La affresca nel 1527-28. IN TOSCANA: IL COMPIANTO DI SANSEPOLCRO: a Rosso Fiorentino andò molto peggio, fu fatto prigioniero e maltrattato, così scappò a Perugia e poi Sansepolcro. Torna buoni the Commission ho nel 1527 una Pala per la compagnia di Santa Croce che oggi si conserva nella piccola chiesa di San Lorenzo. Torna ad essere demoniaco: atmosfera tenebrosa sfondo con croce con le scale della deposizione di Volterra in primo piano protagonisti e comparse, al centro il vesperbild: Maria velata e seduta tiene sulle gambe il corpo livido del figlio. Il sacco e l’esperienza li hanno influenzato. Nel 1530 il pittore ebbe una lite con un prete di Sansepolcro e abbandona la Toscana e passando per Venezia va in Francia alla Corte di Francesco I. IN FRANCIA: FRANCESCO I E LA REGGIA DI FONTAINBLEAU: A giustificare il definitivo trasferimento fu l'amore del re Francesco I per l'arte italiana. Garantì al Rosso una vera e propria vita da signore impiegandolo dal 1532 nel suo cantiere più prestigioso: il castello di Fountainblue. Fu riedificato secondo un gusto ispirato dalla maniera italiana, quello che è arrivato a noi compresa la decorazione è frutto di secolari sedimentazioni. Gli affreschi del Rosso ci giungono alterati. Rimane in Francia fino alla morte. LA SCUOLA DI FONTAINBLEAU: La fortuna del Rosso ebbe seguito perché i cantieri furono proseguiti con un linguaggio non troppo differente Da Francesco primaticcio, pittore architetto formatosi nella Mantova di Giulio romano e che negli anni 30 si era trasferito in Francia. BENVENUTO CELLINI IN FRANCIA ALLA CORTE DI FONTAINBLEAU: LA PORTE DOREE: Nel cantiere fu impegnato pure Benvenuto Cellini che giunse nel 1540. Dal 1527 in poi la sua vita era stata un susseguirsi di successi: Alla Corte di Francesco I si confronta con la scultura monumentale in bronzo egli fu commissionata nel 1542 la decorazione plastica del principale accesso al castello; la Porte dorée, della quale oggi resta soltanto al Louvre una grande lunetta in bronzo con la nuda figura di una ninfa elegantemente distesa in una posa michelangiolesca. LA SALIERA PER FRANCESCO I: Cellini e autore di un'autobiografia entusiasmante e vanaglorioso in cui menziona molti capolavori di oreficeria dei quali ne resta solo uno: la saliera che Francesco I esibiva in occasione dei più sontuosi banchetti. Realizza un vero e proprio complesso scultoreo in miniatura in oro e smalti. Realizza Marte e la Terra seduti i nudi, Marte in veste di Nettuno in una piccola barca destinata a contenere il sale e dall'altro lato quattro cavalli dorati. La Terra è una bellissima donna con gli attributi della cornucopia e un tempietto di ordine ionico che conteneva il pepe punto la base d’ebano ha 8 rilievi in oro con l'alternanza delle fasi del giorno. CAPITOLO 37 ROMA DOPO IL SACCO: DALL’OMBRA DI MICHELANGELO AL COLORE DI BAROCCI MICHELANGELO PITTORE: IL GIUDIZIO UNIVERSALE Nel settembre 1534 Michelangelo abbandona Firenze si trasferisce a Roma dove rimane per il resto della sua vita. Una scelta sofferta dovuta a varie ragioni: era ostile al nuovo regime dei medici e a Roma lo attendevano grandi imprese come finire la tomba di Giulio II e affrescare un giudizio universale nella Cappella Sistina. Michelangelo arriva a Roma da pochi giorni quando il pontefice morì, in giudizio fu eseguito per il suo successore noto come papà Paolo III. L'idea di dipingere un giudizio andava ad alterare il ciclo distruggendo tre affreschi del perugino: l'assunzione della vergine con il committente Sisto IV, la nascita e il ritrovamento di Mosè e la Natività di Cristo. C'erano delle finestre che furono tamponate quindi le figure dei Papi vennero cancellate così come alcuni personaggi dell'antico testamento che lui stesso aveva affrescato nelle lunette. La fase progettuale dura fino al 1536. Il cantiere lo avrebbe impegnato per 5 anni e sarebbe stato scoperto al pubblico il 31 ottobre 1541. UN ORDINE DISORDINATO: Porta alle estreme conseguenze il linguaggio giocato sullo studio di nudi possenti articolati che qui ripropone con inaudita libertà. Le figure libere da ogni costrizione di preesistenti partizioni architettoniche sono le protagoniste ma ne articolano la struttura. È facilissimo seguire la narrazione, tutto ruota intorno al nudo Cristo giudice che alza il braccio al centro, alla sua destra e la figura della madre velata e intorno una moltitudine di santi, sotto il suo piede sinistro si riconosce San Bartolomeo nudo che tiene il coltello con il quale fu scuoiato E a ricordare il suo martirio ostenta la propria pelle e nel volto Michelangelo si ritrae. in alto nelle lunette sono gruppi di angeli senza le ali con gli strumenti della passione, mentre al di sotto dell'empireo altri angeli senza li seguono le trombe del giudizio e si occupano di salvare le anime dei beati o cacciare l'inferno i dannati. GIUDIZI SFAVOREVOLI E CENSURE: A molti in giudizio non piacque viene moltitudine di nudi era la critica più ricorrente. Michelangelo si era preso enormi licenze come il dinamismo delle figure che domina sull’organizzazione spaziale, angeli santi non hanno ali e aureole, Caronte e minosse sono personaggi Pagani. A guardare bene si scoprono anche pose sconvenienti come due giovani che si baciano e Caterina d'Alessandria chinata mentre dietro di lei c'è San Biagio che può dare l'impressione di possederla. Quella che vediamo è una versione emendata: nell’originale la Santa era completamente nuda e il Santo aveva la testa voltata verso di lei. La correzione si deve a Daniele da Volterra uno dei migliori seguaci di Michelangelo. Alla morte del maestro nel 1564 mi fu affidato il compito di nascondere le oscenità del giudizio. Nei recenti restauri le correzioni sono state mantenute provvedendo invece a cancellare una serie di successive censure. VASARI E IL LINGUAGGIO DEL GIUDIZIO: Nonostante lo scandalo che va enorme sfortunata gli artisti e si erse a manifesto della maniera divenendo fonte di ispirazione. GLI ULTIMI AFFRESCHI DI MICHELANGELO: LA CAPPELLA PAOLINA Michelangelo mostra poteva essere adattato ad altri soggetti. Mentre lavorava alla Sistina il Papa aveva fatto costruire nel palazzo apostolico una nuova cappella intitolata ai santi Pietro Paolo. Fu detta cappella Paolina e il Papa chiese film dal 1542 a Michelangelo di apprestare al centro delle pareti laterali l'uno di fronte all'altro due episodi della vita dei santi: la conversione di San Paolo e la crocifissione di San Pietro. Furono completate nel 1550 perché il maestro aveva altri impegni e perché ormai era vecchio. Il tutto si gioca sul movimento e lo studio delle figure in un paesaggio scabro e con colori dai toni abbassati dove risalta il contrasto tra il cielo sopra il martirio di Pietro e l'apparizione celeste che disarciona Paolo. Colpisce la scelta di disporre in tralice i principali protagonisti. Si spiega perché sono su pareti laterali e lo spettatore si accosta loro in modo obliquo. MICHELANGELO DOCET: DANIELE DA VOLTERRA E IL CANTIERE DELLA SALA PAOLINA UNA DEPOSIZIONE DI DANIELE DA VOLTERRA: tra i maestri più giovani folgorati dall’arte di Michelangelo c’è Daniele Ricciarelli, detto Daniele da Volterra che giunge a Roma a fine anni 30 con una formazione da Sodoma e Baldassarre Peruzzi. Sepe rapidamente convertirsi alla maniera michelangiolesca come prova la deposizione dipinta verso il 1545- 47 per la cappella Orsini nella chiesa di Trinità dei Monti. Ricorda la deposizione del Rosso Fiorentino ma solo nella croce cui sono appoggiate le scale, il resto ricorda la composizione del giudizio. LA SALA PAOLINA IN CASTEL SANT’ANGELO: Mentre Daniele dipingeva la deposizione Perin del Vaga dirigeva l’ultimo cantiere nella sala Paolina in Castel Sant'Angelo. Nel 1547 muore, e nello stesso anno anche Sebastiano del Piombo, lasciando spazio a maestri più giovani tra i quali si distinsero proprio nell’impresa della sala Paolina Marco Pino e Pellegrino Tibaldi. Marco Pino dipinse nella volta spartita da stucchi le storie di Alessandro Magno e da lì mosse per entrare nel ristretto giro romano di Michelangelo e diffondere il suo linguaggio. A Tibaldi spetta il San Michele Arcangelo che rinfodera la spada. MICHELANGELO SCULTORE: LA TOMBA DI GIULIO II, LA PIETA’ BANDINIR LA PIETA’ RONDANINI LA VERSIONE FINALE DELLA TOMBA DI GIULIO II: Era tornato occuparsi di un figlio avviato sin dal 1505: la tomba di Giulio II. Nel 1532 stipula con la famiglia della Rovere un nuovo contratto che prevedeva due novità: il monumento sarebbe stato spostato in San Pietro in Vincoli e per completarlo si potevano usare marmi già lavorati. La commissione incluso il nuovo ritardo al giudizio della Sistina. Si dovette attendere il 20 agosto 1542 per formulare un ennesimo contratto che avrebbe permesso nel 1545 di inaugurare il sepolcro. La versione finale è meno grandiosa del monumento cui aveva pensato Giulio ma chiuse questa travagliata vicenda che l'artista considerava come la tragedia della sepoltura. Ha una tomba parietale chi si erge in penombra alla fine della navata, su due registri: in alto e al centro e il gisant: una figura infelice come rattrappita di Giulio. Sopra una Madonna col bambino, una sibilla e un profeta ai lati. Solo nel registro inferiore ci sono le sculture autografe di Michelangelo: al centro il Mosè e nelle nicchie laterali sanno le figlie di Labano Rachele e Lia. LA PIETA’ BANDINI: Intorno ai 70 anni inizia a progettare a scolpire un gruppo di pietà che voleva destinare alla propria sepoltura in Santa Maria Maggiore dove non c'erano solo Cristo e la Vergine ma anche la Maddalena e Nicodemo. Il lavoro era assai avanzato quando nel 1533 fu pubblicata la biografia dove si poteva descrivere il gruppo scultoreo con il Cristo deposto sorretto dalla madre. Non finì mai quest'opera personale tormentata, nel 1555 scoprì un’imperfezione nel marmo che lo fece infuriare al punto di prendere il gruppo a martellate e donarlo un garzone. Fu poi acquistato nei 1561 da Francesco Bandini per la sua villa romana e un allievo di Michelangelo la restaurò rimettendo insieme i pezzi e finendo la figura della Maddalena. Oggi è conservata a Firenze nel Museo dell'opera del Duomo. LA PIETA’ RONDANINI: L’ULTIMA SCULTURA DI MICHELANGELO: Abbandonata la precedente pietà si mise a scolpire una nuova pietà detta rondanini bel nome del palazzo in cui è stata a lungo conservata, oggi invece è nel Museo del Castello Sforzesco di Milano. Come in quella prima il corpo nudo di Cristo scivolava e cadeva sotto il peso della morte sorretto dalla sola madre. Condusse a un avanzato stadio di lavorazione una prima versione che poi decise di stravolgere. Della prima scultura rimangono un isolato pezzo di braccio e le levigate gambe di Gesù, vuole quindi ricavare il nuovo corpo di Cristo dal blocco di Maria scolpendo la testa nella spalla di lei e le braccia dove erano i fianchi e parte delle gambe della madre. Il nuovo braccio sinistro della Madonna fu tratto dalla spalla sinistra e parte del petto della figura di Cristo. Ancora nei giorni precedenti alla morte del 18 Febbraio 1564 faticava su questo marmo punto è un non finito che appare di una modernità sconvolgente. MICHELANGELO ARCHITETTO: IL CAMPIDOGLIO E LA CUPOLA DI SAN PIETRO LA PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO: A Michelangelo vengono affidati anche in parchi di architetto come nel 1535 la Soprintendenza dei palazzi apostolici. Negli anni successivi fu avviato un intervento di riqualificazione di uno dei più insigni spazi di Roma: il Campidoglio. Sui resti del precedente tabularium fu edificato il palazzo senatorio idee da allora che il Campidoglio e sede municipale romana. Con questo edificio comincia a prendere forma la grande piazza progettata Michelangelo e portato a compimento dopo la sua morte seguendone i disegni. Rinnova il palazzo senatorio El palazzo dei conservatori. Per la piazza adotta la stessa soluzione a suo tempo per la piazza di Pienza: una pianta trapezoidale per dare l'illusione di uno spazio più grande e focalizzare l'attenzione sul palazzo senatorio, ecco perché sono in obliquo le facciate dei due edifici laterali. La piazza fu movimentata con un motivo geometrico accogliendo al centro su un piedistallo l'antica statua equestre del Marco Aurelio, oggi è sostituito da una copia e l'originale è nei musei capitolini. PALAZZO FARNESE: Fu coinvolto anche nel cantiere del palazzo Farnese, la dimora di famiglia che il futuro Papa aveva iniziato a costruire commissionando nel progetto all' architetto Antonio da Sangallo il giovane. Alla morte di quest'ultimo nel 1546 fu affidato a Buonarroti che fini la monumentale facciata con un cornicione concepito come una vera e propria scultura e rimodulando né il finestrone centrale cui aggiunse il poderoso stemma pontificio. LA CUPOLA DI SAN PIETRO: Il tutto culminò nel progetto che Michelangelo ebbe più a cuore, la cupola della basilica di San Pietro il cantiere del 1547 sarebbe stato ben documentato da alcuni schizzi eseguiti dal pittore olandese Maarten Van Hemskerck. D'allora fuoco fu fatto se non ipotizzare di volta in volta nuove soluzioni, Michelangelo immagine l'idea della pianta centrale con un enorme cupola a sesto rialzato punto non vide mai la fine di questo progetto perché la cupola fu completata solo alla fine del 500 con Giacomo della Porta e Domenico CAPITOLO 38 LA REPUBBLICA DI VENEZIA LA GLORIA DI TIZIANO Tiziano ebbe fortuna a Venezia e in tutta Europa dagli anni 20 del 500 alla morte nel 1576, grazie al talento artistico e ai modi da cortigiano. LA PALA PER LA FAMIGLIA PESARO: Prima che Sansovino giungesse a Venezia Tiziano aveva dipinto una palla che anticipava il senso scenografico di quelle architetture. Nel 1519 Jacopo Pesaro vescovo di Pafo ordina a Tiziano un dipinto per l'altare di famiglia nella chiesa dei Frari. è un'opera estremamente innovativa e non solo per la vivacità cromatica, fu inaugurata nel 1526 e i veneziani si trovarono di fronte a un immagine costruita in diagonale: la Madonna col bambino siede in alto di tre quarti sul monumentale podio, Al suo fianco ci sono vari santi della chiesa francescana e anche il committente Jacopo Pesaro di profilo e accompagnato da un soldato con un vessillo e una figura con un turbante Che è un prigioniero. Di fronte Jacopo sono ritratti i suoi familiari anch'essi di profilo. Colpiscono due gigantesche colonne che fuoriescono dalla dimensione della Pala. LA MADONNA DEL CONIGLIO: Mentre dipingeva la Pala Pesaro inizia l'affermarsi nelle corti dell'Italia settentrionale lavorando per il camerino di Alfonso d’Este. da qui prese avvio la sua fortuna che Bea un momento decisivo nel 1530 quando incontrò l'imperatore Carlo V destinato a diventare suo cliente. Nello stesso anno stava ultimando per Federico Gonzaga la Madonna del coniglio conservata al Louvre. Dipinto per devozione privata dove mette appunto ciò che hai imparato da Giorgione: La Vergine in un Prato mentre accarezza un coniglio, e prende il figlio dalle mani di Caterina d'Alessandria. Idillio bucolico illuminato da un cielo al tramonto. LA VENERE DI URBINO: Oggi agli Uffizi e così chiamata perché prima di confluire nelle raccolte dei Medici appartenne al signore di Urbino Guidubaldo II della Rovere che la fece acquistare a Venezia nel 1538. Riprende il modello della vergine di Dresda di Giorgione ma non è distesa nella campagna ma nella camera di una ricca dimora. Non dorme ed è ben sveglia e guarda verso uno spettatore indiscutibilmente maschile. È una vera e propria icona della sensualità femminile che li secoli dopo avrebbe ispirato altre grandissime opere. LE POESIE PER FILIPPO II: Dopo i 60 anni fu impegnato in una serie di dipinti con per soggetto il mito antico, richiesti da Filippo II. furono detti poesie, equivalenti visivi di quanto il poeta Ovidio aveva narrato e descritto nelle metamorfosi. Si trovano alla scottish National Gallery, osserviamo Diana e atteone con lui che scopre Diana al bagno, e in un altro Diana che impugna l'arco puntando verso un uomo che si sta trasformando in cervo quindi la morte di atteone. Questi dipinti mostrano pennellate più rapide e scenari dai toni scuri e tragici, più Tiziano si avvicina alla morte e più la materia del suo colore si disgrega. LA PITTURA SI SFALDA: MARSIA SCORTICATO: Tiziano muore il 27 agosto 1576, probabilmente si avvicinava ai 90. L'ultima fase della sua Attività lo vide formulare un linguaggio personalissimo e disperato. Lo vediamo in un’opera degli anni 70-76 come la punizione di marsia conservata in Repubblica Ceca nel museo arcivescovile di Kromenz. Marzia al centro e scorticato da Apollo sotto gli occhi del vecchio re Mida. Un’immagine cruenta che faceva pensare ai veneziani alla tragica fine del generale Marcantonio Bragadin che nel 1571 fu catturato dai turchi e scuoiato vivo. Nel dipinto la pittura è ormai sfaldata e le forme umane sono plasmate dalla luce dal colore. UNA PIETA’ PER IL PROPRIO SEPOLCRO: Sentendo la morte avvicinarsi vuole cimentarsi un'immagine della pietà destinata alla propria cappella sepolcrale ai Frari. Il progetto fallì e la pietà sarebbe finita nella chiesa di Sant’Angelo. Di fronte a una massiccia nicchia affiancata dalle statue di Mosè e una Sibilla la Vergine sorregge il corpo morto di Cristo mentre la Maddalena grida il suo dolore e un vecchio seminudo si inginocchia, è un autoritratto in veste di Giuseppe d'Arimatea. Completato dal pittore Palma il giovane nella figura dello spiritello con l'attacco la fiaccola, con la sua forza espressiva e atmosfera tenebrosa rappresenta un vero testamento spirituale di Tiziano. Eseguita nel 1575-76. I DESTINI DI LORENZO LOTTO L’ANNUNCIAZIONE DI RECANATI: Il successo di Tiziano fu direttamente proporzionale agli insuccessi di Lorenzo Lotto, pittore che proponeva un linguaggio irriverente dei centri co virgola che cerca fortuna nelle Marche. Tornerà a Venezia e fu la base per un continuo girovagare perché le commissioni maggiori venivano da fuori. Nel 1527 spedì a Recanati un'annunciazione per la scuola dei mercanti, oggi nel Museo Civico. Uno dei suoi dipinti più personali e ricco di invenzioni inconsuete spiritosa. La resa perfetta della stanza è sconvolta dall' animazione dei personaggi. ANDREA ODONI: RITRATTO DI UN COLLEZIONISTA: Sapeva adottare tuttavia uno stile alto ed eletto quando doveva dipingere qualcosa di diverso. Nel 1527 fece un ritratto al collezionista Andrea Odoni che oggi appartiene alle collezioni reali inglesi. Ritrae con grande verosimiglianza il corpulento Andrea a mezza figura, seduto alla scrivania a contemplare frammenti marmorei. UNA PALA PER VENEZIA: L’ELEMOSIA DI SANT’ANTONINO: Tra il 1540 e il 1542 dipinse una Pala per la chiesa dei santi Giovanni e Paolo di Venezia. Fu un’occasione mancata perché non provo neppure a conformarsi ai gusti del pubblico patrizio. Si trova a dovere raffigurare un soggetto inconsueto che richiamava la politica umanitaria della Repubblica di Venezia attraverso una figura dell'ordine: il vescovo di Firenze Antonino Pierozzi. Ecco allora che nell’elemosina di sant'Antonino ha dedicato la parte alta la figura del vescovo che ascolta i consigli degli angeli, nella metà inferiore due chierici si affacciano da una balaustra a ricevere esaudire le suppliche della folla di miseri. EPILOGO A LORETO: La Pala non ebbe molto successo e nel 1546 lotto detta il suo testamento. Nel 1552 decise di trasferirsi definitivamente a Loreto. Qui pittore si fece oblato Della Santa casa nel 1554 e morì due anni dopo punta svolse comunque un ruolo di primo attore nella pittura veneziana con aperture di grande modernità. LA PRESTEZZA DI TINTORETTO Nuove generazioni di pittori emergono trovando i loro campioni in Jacopo Robusti detto il Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese, due maestri che scelsero strade diverse con conseguenze decisive per la pittura europea. IL MIRACOLO DI SAN MARCO: Tintoretto nel 1548 dipinse l'opera che lo pose all'attenzione di Venezia. Una tela gigantesca destinata alla scuola grande di San Marco, ma oggi nelle gallerie dell’Accademia, nella quale è raffigurato un miracolo del patrono di Venezia e titolare di quella confraternita. Una folla gesticolante si accalca attorno a un corpo nudo disteso a terra, entro una cornice architettonica. Siamo ad Alessandria dove uno schiavo contro il volere del padrone ha usato venerare le reliquie di San Marco e deve essere punito come dico accanto al suo corpo restano dei pezzi di legno cioè gli strumenti che avrebbero dovuto straziarlo, ma li ha frantumati miracolosamente San Marco stesso. La pittura e rapida e fremente i animata da bagliori di luce. I corpi si fanno possenti e le cose audaci e serpentinate. IL RITROVAMENTO DEL CORPO DI SAN MARCO: Lettura del 1548 era un elemento di un ciclo per la sala capitolare della scuola di San Marco. Tra le altre storie vi è quella del ritrovamento del corpo di San Marco degli anni 1562-66 conservata nella Pinacoteca di Brera. Atmosfera spettrale perché siamo in un cimitero e l'oscurità deve nascondere un furto. due mercanti veneziani sono andati in Egitto per trovare il corpo e portarlo a Venezia. Lo stesso San Marco con il nimbo tipico alla Tintoretto appare a sinistra a fermare la profanazione. LA SCUOLA DI SAN ROCCO: Nel 1564 vinse un concorso per decorare la serie di un'altra confraternita: la scuola grande di San Rocco. Il concorso prevedeva che presentassero disegni per la decorazione di un soffitto e Tintoretto invece ci fa lo disegno dipinse direttamente una tela così disse il concorso e la terra restò al suo posto: e il San Rocco in gloria di fronte a Dio e alla Corte Angelica al centro del soffitto della sala dell’albergo. Poi per la principale pareti della sala dipinse l'anno dopo una tragica crocifissione. La scena visto da sotto in su ruota intorno al Cristo al centro illuminato alle spalle da un bagliore, ai piedi raccolto il gruppo dei dolenti mentre intorno si accalcano figure. Diviene confratello della scuola e avrebbe concluso in 1567 la decorazione della sala per eseguire tra il 1575-88 le 34 tele della sala capitolare. Intanto tra il 1581-87 aveva dipinto pure 8 teleri per la sala terrena. IL GIUDIZIO DI VASARI: Vasari lo definisce stravagante e capriccioso ma al contempo risoluto. Uno dei pittori più grandi del 500 e le sue opere furono fondamentali per maestri come El greco e Rubens. LA MAGNIFICENZA DI VERONESE Con il rigore della controriforma ebbe invece qualche problema Paolo veronese, nato a Verona dove svolse una formazione che gli permise di avere familiarità con nella maniera mantovana ed emiliana, guardando alla grazia di Parmigianino ed elaborando uno stile solare e fastoso. ESORDIO IN PALAZZO DUCALE: Giuro soffitto della sala del Consiglio dei 10 in Palazzo Ducale. Una delle tele realizzate negli anni successivi illustra bene le caratteristiche della sua pittura. Immagine in verticale in cui giunone getta doni su Venezia: le figure femminili si distinguono per le forme voluminose e gli scorci arditi segno di buona conoscenza della maniera che il veronese riesce a rasserenare una pittura chiara, leggera, gioiosa e aggraziata. Garantì un immediato successo. IL TRIONFO DI VENEZIA: Nel 1577 un incendio distrusse l'apparato decorativo della sala del maggior consiglio. La Repubblica chiamò un'equipe di artisti per restaurare e riallestire la sala che nel 1592 era compiuta presentando un vasto ciclo di teleri cui avevano lavorato anche Tintoretto e Veronese. Veronese con una bottega dipinsi la scena del trionfo di Venezia cui celebra la potenza di una Repubblica sopravvissuta alle guerre. In questa visione di sotto in su grazia è una regina incoronata e siede tra due torri merlate in un olimpo di gloria. ad amplificare la magnificenza e la resa illusionistica della complicata incorniciatura architettonica con due colonne tortili. A MASER, NELLA VILLA DI DANIELE E MARCANTONIO BARBARO: Tra i molti clienti vi furono anche i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro. Nei possedimenti vicino a Treviso fecero costruire una villa ad Andrea Palladio, di carattere classico immersa nel verde dei giardini con la facciata principale che ricorda un tempio antico. Intorno al 1561 Paolo Veronese con il fratello Benedetto affreschò all'interno del corpo centrale con una decorazione illusionistica di finestre aperte su paesaggi o nicchie popolate di figure. Famosa la scena della padrona di casa affacciato da un balcone affiancata dalla nutrice, da un pappagallo e da un cagnolino. LA CAMPAGNA DI BASSANO Un'altra immagine del paesaggio emerge dai quadri di Jacopo dal Ponte detto il Bassano perché è nato a Bassano del Grappa. Morirà nel 1592 a Venezia lasciando in mano ad alcuni figli pittori una bottega familiare pronto i prodotti tipici erano scene sacre con animali e ambientato nella campagna. IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO: Sempre sua del 1547 e conservata alla Pinacoteca ambrosiana una raffigurazione del riposo durante la fuga in Egitto ambientato nella campagna veneta. La Madonna col bambino si dà all'ombra di un albero, ai piedi la cesta con le fasce e affianco Giuseppe con una coppia di cani. E alla Pinacoteca perché appartenne al cardinale Federico Borromeo. IL RIGORE DI PALLADIO LA PROTEZIONE DI GIANGIORGIO TRISSINO E LA BASILICA PALLADIANA: Andrea si trasferisce negli anni 20 a Vicenza dove svolge la sua formazione come scalpellino e muratore. CELLINI TORNA A FIRENZE: Più che nella pittura fu nel campo della scultura che Firenze conobbe esperienze memorabili. Nel 1545 Benvenuto Cellini decise di rientrare a Firenze e veniva dalla Francia. Era soprattutto un orafo famoso determinato ad affermarsi nella Corte di Cosimo I come scultore di statue di grandi dimensioni. Si presentò dichiarando la volontà di eseguire una statua di marmo o bronzo per piazza della Signoria e Cosimo gli affido l'esecuzione di un monumentale Perseo da realizzare in bronzo. La sua opera sarebbe andata sotto la grande loggia confrontandosi con la Giuditta di Donatello, Il David di Michelangelo e il gruppo di Ercole e caco del 1534 da Baccio Bandinelli. Tra queste solo la Giuditta era in bronzo. La tecnica del bronzo poteva essere perfezionata, egli volle progettare seguire tutto il processo esecutivo del Perseo sperimentando nuove soluzioni. Crea quindi un titanico busto di Cosimo primo che rese un eccezionale ritratto tridimensionale di duca, in realtà il busto era una commissione Ducale e nel 1557 suo trasportato all'isola d'Elba per essere collocato sopra l'ingresso del forte della stella a Portoferraio. PERSEO: UN EROE PER COSIMO: Richiese 9 anni di lavoro e fu presentato nel 1554 con immediato successo. Il gruppo è ancora oggi al suo posto sotto la loggia della Signoria. Perseo si erge trionfante sul corpo della Medusa con la spada stretta nella mano destra che appena reciso la testa mostruosa mostrata dal braccio sinistro punto è sostenuto da un elegante basamento marmoreo che reca suoni lato una nicchia per contenere i bronzetti di altri protagonisti della storia: gli originali di queste figure sono al Museo del bargello allo stesso modo del rilievo sottostante elaborata base dove narra la storia in cui Perseo libera la principessa Andromeda. L’EPOPEA DELLA FUSIONE: Richiede 9 anni per due ragioni: la difficoltà della fusione del grande bronzo realizzata con il tradizionale procedimento a cera persa e la necessità di rinettare e cesellare quanto uscito dal forno. La fusione fu una vera e propria epopea come racconta nella sua autobiografia. Il Perseo si rivela come Insigne esempio della scultura della maniera. Mentre era impegnato in quest'opera non rinuncia comunque a realizzare oreficerie e altre statue in bronzo e marmo. Dal 1558 al 1567 si dedica alla scrittura dei trattati dell’oreficeria e della scultura, e della sua autobiografia. GIAMBOLOGNA: UN FIAMMINGO ALLA CORTE DI COSIMO Benvenuto Cellini morì il 13 febbraio 1571 quando a Firenze si stava affermando un nuovo scultore, Giambologna. È il nome con cui fu conosciuto in Italia questo scultore fiammingo che si chiamava Jean de Boulogne, nato a Dunai nel 1529 e morto a Firenze nel 1608. Dal 1552 si trasferì a Firenze ed entrò con fatica alla corte medicea. Nonostante ciò gli furono affidati dei cantieri. UN MERCURIO CHE SPICCA IL VOLO: una delle sue invenzioni più celebri è una statua in bronzo con cui Mercurio colto nell’atto di spiccare il volo del 1578-80 conservata al Museo del Bargello. Progettato nella prima versione nel 1563, fu replicata in molto esemplari con la funzione di dono diplomatico, oggetto da collezione o coronamento di fontana. CORPI IN MOVIMENTO: IL RATTO DELLA SABINA: Giambologna per rispondere alle malelingue che lo volevano valente scultore di figurine graziose, ma incapace di realizzare grandi statue di marmo, avrebbe deciso di dimostrare il contrario, realizzando il ratto della Sabina. Collocato nella Loggia e inaugurato nel 1583, scolpito in un unico blocco di marmo nel 1580. Composizione elicoidale e continua. FONTANE DI NETTUNO TRA FIRENZE E BOLOGNA COSIMO I E LA RETE IDRICA: Cosimo I mostra particolare interesse per il problema delle acque, promuovendo interventi per controllare l’Arno e potenziare l’approvvigionamento idrico. Al vecchio sistema dei pozzi si aggiunge un nuovo acquedotto che oltre a rifornire le residenze medicee arrivava fino a Piazza della Signoria, qui fece erigere la prima fontana pubblica della città con una statua di Nettuno. VASARI, AMMANNATI E LA FONTANA DEL NETTUNO: avrebbe dovuto essere realizzata da Baccio Bandinelli ma morì nel 1560. Inizia un concorso tra i migliori, ciascuno realizza un modello in terracotta e alla fine venne scelto quello di Bartolomeo Ammannati, apprezzato a corte e amico di Vasari, che spinse il duca verso di lui a danno di Giambologna. Nel 1565 inaugurò una prima versione con al centro il Nettuno. In un decennio la completa con statue marine. ONORE AL MERITO: IL NETTUNO DEL GIAMBOLOGNA: Giambologna realizzare il proprio progetto a Bologna punta il vice legato Pier Donato Cesi sovrintendeva a un riordino urbanistico della città emiliana che prevedeva l'apertura di una centralissima piazza e fornita di una magnifica Fontana del Nettuno. L'impresa vede il coinvolgimento dell’architetto siciliano Tommaso Laureti e dal 1563 del Giambologna e del fonditore Zanobi Portigiani chiamati a occuparsi del corredo scultoreo in bronzo: un Nettuno sulla sommità con quattro punti ai piedi, le quattro arpie agli angoli del basamento e gli emblemi araldici. Il monumento sarebbe stato ultimato nel 1566 e le scritte ci ricordano che fu eseguito a uso del popolo. Il confronto tra i due nettuni è impietoso: le figure hanno una posa identica ma alla rigidezza del marmo il bronzo risponde con un nuovo modo di intendere il movimento. CAPITOLO 40 TERRE IMPERIALI: LA SICILIA, NAPOLI, MILANO, LA SPAGNA MESSINA: LE FONTANE DI MONTORSOLI LA FONTANA DEL NETTUNO: Prima ancora di Firenze Bologna il Nettuno aveva fatto la sua comparsa in una Fontana a Messina. Era un porto di fondamentale rilievo strategico ma anche una destinazione appetibile per i grandi maestri. Questa divinità si erge va impugnando il tridente per placare Scilla e Cariddi. Messina rientrava nei confini dell'impero e la Fontana era un ennesimo omaggio a Carlo V. Ultimata nel 1557 per volontà del Senato che la bolla al centro del porto con le spalle di Nettuno rivolte verso il mare a proporre un nuovo sforzo del paesaggio punta fu danneggiata con il tempo da vicende belliche e terremoti tanto che le statue di Nettuno e Scilla furono sostituite da copie e si conservano oggi nel museo regionale. Nel 1934 la Fontana fu traslata nella posizione attuale di fronte alla prefettura e la si gira di 180 ° rispetto al mare. A scolpirla. Giovanni Angelo Montorsoli, un collaboratore di Michelangelo alla sagrestia nuova. LA FONTANA DI ORIONE: Montorsoli era giunto a Messina nel 1547 e fu subito incaricato dal Senato di realizzare una Fontana intitolata a Orione. Fu compiuto nel 1553 ma e fu definita la più bella Fontana del 500 europeo, si erge ancora in prossimità del Duomo ed è diversa da quella del Nettuno: a un sovrapporsi alla vasca di due tazze circolari sempre più piccole col salire coronata dalla statua di Orione con il cane Sirio, sotto di lui putti e creature marine mentre sui bordi quattro figure barbute che rappresentano i quattro fiumi. FONTANE FIORENTINE E SICILIANE: Miei progettare la Fontana di Orione ci si è rifatti di un modello affermato a Firenze, l'idea delle tazze sovrapposte elaborata dal 1538 dallo scultore Niccolò Tribolo nella Fontana di Ercole e Anteo della Villa di Castello. Una di queste fontane fu scolpita tra gli anni 50 e 60 da Francesco Camilliani per il giardino di Pedro di Toledo. Popolato da quasi 50 statue il complesso fu venduto nel 1573 da Luigi di Toledo figlio di Pedro alla città di Palermo. Smontata in 644 pezzi fu spedito in Sicilia dove giunse tra il 1574 e 75 per essere destinata a una nuova piazza nel centro di Palermo dove ancora oggi si trova. UN MICHELANGIOLESCO A NAPOLI: MARCO PINO Anche Napoli conobbe le novità della Toscana, al tempo di don Pedro di Toledo la città fu rinnovata con nuove fortificazioni e con i quartieri spagnoli. Ai soggiorni di Vasari e Montorsoli segui l'arrivo di Marco Pino che avrebbe fissato la sua dimora fino alla morte nel 1583. Aveva fatto amicizia con Michelangelo a Roma e iniziò uno stile giocato sull’artificio delle figure serpentinate. IL SAN MICHELE ARCANGELO DI SANT’ANGELO A NILO: Pala dell’altare maggiore della chiesa di Sant’Angelo a Nilo A Napoli, firmata e datata 1573, è emblematica della maniera di Marco per la posa contorta dell'arcangelo Michele e per i colori vivacissimi e affascinanti aperture di paesaggio. LA MANIERA A MILANO: PELLEGRINO TIBALDI Da Roma si mosse anche Pellegrino Tibaldi, un giovane lombardo che lavorerò a Roma, a Bologna e poi alla Milano spagnola. SAN FEDELE A MILANO: CHIESA DELLA CONTRORIFORMA: Verso il 1562 Tibaldi si stabilì a Milano come architetto della città del cardinale Carlo Borromeo: nel 1556 fino al 1584 Bauer Romeo avrebbe svolto l'incarico di arcivescovo di Milano applicando con rigore i principi della controriforma e Tibaldi fu strumento dell'azione del Borromeo e tra le sue imprese di fu la progettazione costruzione dal 1569 della chiesa di San Fedele. SIMONE PETERZANO: IL MAESTRO DI CARAVAGGIO: In San fedele si conserva un dipinto raffigurante la deposizione di Cristo di Simone Peterzano, alunno di Tiziano. Stava in origine nella distrutta chiesa in Santa Maria della Scala ed è un’immagine austera e devota. La pala corrisponde alle esigenze della controriforma ma risulta diversa dalla pittura di Tiziano che a Milano poi aveva lasciato un drammatico Cristo coronato di spine in Santa Maria delle grazie oggi al Louvre, del 1542-43. Si era veramente informato Venezia con Tiziano ma dopo essersi trasferito a Milano iniziò ad elaborare un linguaggio più aderente al vero. Poi è con lui che Michelangelo Merisi detto Caravaggio svolse il suo apprendistato. FEDELTA’ ALL’IMPERO: GIUSEPPE ARCIMBOLDI E LEONE LEONI LE TESTE CARICATURALI DI GIUSEPPE ARCIMBOLDI: Quando Caravaggio entrò nella bottega di Peterzano, il pittore milanese Giuseppe Arcimboldi era da oltre un paio di decenni a servizio della Corte del sacro romano impero ma nel 1562 si trasferisce a Vienna dal futuro imperatore Massimiliano II d'Asburgo e lavorando poi per il figlio a Praga. L' accesa passione del figlio per le arti di collezionismo con guidata da un gusto per il bizzarro che trova il vero campione in Arcimboldi. Ancora oggi ti deve la sua fama alla pittura di stranissime teste allegoriche composte con accostamenti di fiori, frutti, verdure, animali e i più svariati oggetti. Rappresenta anche cicli come le quattro stagioni dove le teste sono costruite con i prodotti della terra. E per essere ancora più eccentrico come dimostra il ritratto di un cuoco realizzato con accostamento di stoviglie e differenti animali arrostiti, ma rivela una figura umana molto simile anche quando l'osserviamo capovolta. Ci riporta alla caricatura. LEONE LEONI E I RITRATTI DI CARLO V: Tra gli artisti si distingue loro capo e scultore leone leoni che allo stesso modo di uccellini ebbe una vita avventurosa. Nel 1542 giunse a Milano e passò al servizio del governatore Alfonso d'Avalos che gli affidò il conio della zecca milanese punto alla sua morte trova un ennesimo protettore in Ferrante Gonzaga. Al leone si devono due straordinari ritratti di Carlo V: uno di questi del 1555 conservato a Vienna che mostra l'imperatore a mezza figura senza le braccia e con volto barbuto, sostenuto da una curiosa base in cui l'aquila imperiale è affiancata da due nude figure serpentina te di telamoni. In quegli anni stava anche finendo un ritratto dell’imperatore commissionato da lui stesso a Bruxelles nel 1549 e che oggi si trova Madrid nel Museo del Prado, si tratta di una statua monumentale a tutto tondo in soluzione originale: nel vincere il furore Carlo può manifestarsi in due versioni differenti, nudo come una divinità antica e abbigliato in un'armatura. LA CASA DEGLI OMEONI: La fortuna delle committenze permise a Leone di acquistare una bella dimora nel centro di Milano e di ristrutturarla tra il 1562 e il 1566, nella cosiddetta casa degli omenoni, il nome viene dalla presenza della facciata di due ordini delle grandiose figure di telamoni realizzate da Antonio Abbondio con carattere gattesco. L’ESCORIAL E LE PREDILEZIONI ITALIANE DI FILIPPO II: La sua affermazione raggiunse l'apice nel 1580 quando aveva trovato da tempo un degno erede nel figlio Pompeo, ed entrambi furono coinvolti nella decorazione scultorea della principale cappella della chiesa del
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