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La Conquista Normanna della Sicilia: Ruggero I e la Fondazione del Regno di Sicilia, Sintesi del corso di Storia Medievale

La conquista normanna della sicilia, la fondazione del regno di sicilia da parte di ruggero i, la sua unificazione con i domini normanni e la successione di ruggero ii. Vengono inoltre trattati gli ordinamenti amministrativi, finanziari e ecclesiastici, la politica estera, la cultura e la società del regno, la crisi di successione dopo la morte di ruggero ii e la promozione regia di tancredi di lecce. Il documento illustra anche la promozione regia di federico ii e la sua politica economica.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 26/03/2024

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Scarica La Conquista Normanna della Sicilia: Ruggero I e la Fondazione del Regno di Sicilia e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! STORIA DEL MEZZOGIORNO MEDIEVALE 1 capitolo. L’insediamento normanno All’inizio dell’anno Mille su gran parte del Mezzogiorno italiano permaneva il controllo di Bisanzio. Nelle zone interne della Campania, della Basilicata, su parte del Molise e della Puglia si allungava il ducato longobardo di Benevento, mentre i principati di Salerno e di Capua, unificati nel 981 da Pandolfo Capodiferro, erano ritornati alla originaria tripartizione del IX secolo. In Sicilia, dove governavano i musulmani prendevano corpo alcuni emirati indipendenti a Mazara, a Girgenti e a Siracusa. Il quadro non sarebbe comunque completo se non si facesse cenno all’importanza politica, economica e sociale, oltre che religiosa, di alcune grandi signorie monastiche come quelle di Montecassino, di San Vincenzo al Volturno, di Santa Sofia di Benevanto e di Santa Maria del Patirio, che godevano di autonomia da ogni potere laico locale grazie a particolari privilegi ricevuti da pontefici e da imperatori. L’incontro con Melo di Bari In questo quadro frammentato e instabile i primi anni dell’XI secolo mettevano subito in luce la politica dell’imperatore d’Occidente e di quello di Bisanzio. I quali dimostravano una impotenza tanto più carica di conseguenze quanto maggiormente ancorata alla ostinazione di non rinunciare alla teoria della sovranità su tutto il Mezzogiorno italiano. È vero che, all’inizio dell’XI secolo Bisanzio possedeva ancora la Puglia e quasi tutta la Calabria e appariva il più forte organismo statale del Mezzogiorno. Ma in termini concreti godeva di un potere di controllo incerto e soggetto all’azione di forze contrastanti e disposte ad approfittare di ogni suo momento di debolezza. Neanche i longobardi erano usciti rafforzati dagli avvenimenti successivi alla morte di Capodiferro. Se si considera tuttavia che della nuova triplice organizzazione attorno a Capua, Benevento e Salerno, i longobardi riuscivano a conservare la tradizionale situaizone territoriale e a concretizzare l’indipendenza di fatto dai due imperi. In Puglia specialmente, dove il processo di ellenizzazione era stato più superficiale che in Calabri e nel Salento, l’insofferenza verso i bizantini diveniva sempre più generale, specie dopo che a Bari si era stati costretti, per salvarsi dal pericolo saraceno, a far ricorso all’aiuto veneziano. Le fonti accennano a frequenti ribellioni a capo delle quali stava sempre la nobiltà longobarda e romanica. È ovviamente difficile stabilire in qual misura questo stato di cose fosse dovuto al sistema stesso dell’ordinamento bizantino o a un disagio economico e sociale che trovava in parte spiegazione nella ripresa delle incursioni saracene. Ma è fuor di dubbio che essi vanno collegati a una tensione che covava da anni e che la imposizione di tributi sempre più vessatori aveva finito col far esplodere. In seguito alla rivolta di Bari del 1009 diretta da Melo un gruppo di avventurieri normanni si inseriva nelle lotte locali nel tentativo di piegarle ai propri interessi. Lo stato delle fonti non è tale da illuminare in modo esauriente il primo arrivo dei normanni nel Mezzogiorno italiano. Ma tutte sembrano d’accordo nel collegare il processo migratorio di questi avventurieri di Normandia a notizie riferite da pellegrini che vi avevano soggiornato. E che, secondo Guglielmo di Puglia si erano incontrati con Melo al santuario di San Michela al Gargano, invece, secondo Armando di Montecassino, si erano incontrati col principe Guaimario in Salerno assediata dai saraceni. Nel Mezzogiorno infatti Melo e gli ambienti a lui vicini erano pressati dalla necessità di riorganizzare con nuovi reclutamenti l’apparato militare sconvolto dalla sconfitta di Ascoli del giugno 1009; in Normandia, il ritmo di sviluppo demografico non era più in grado di trattenere cavaliere che “vagabondi, erravano di qua e di là, cambiando senza posa dimora”. È noto del resto che nel Medioevo la guerra “era soprattutto una fonte di guadagno e l’industria nobiliare per eccellenza”. E non è privo di significato che Guglielmo di Puglia scriva “che molti normanni si erano lasciati convincere a partire: taluni perchè avevano pochi o nessun bene, altri per accrescere la propria fortuna”. I primi normanni impegnati militarmente nel Mezzogiorno italiano erano guidati da Gilberto Buatère, il cui contingente, reclutato da Melo, veniva battuto nell’1018 dal catapano bizantino nella pianura di Canne. La sconfitta mandava a monte i piani e le speranze di Melo e di quanti l’avevavno appoggiato, e costringeva i normanni superstiti a una continua diaspora. La contea di Aversa e il ducato di Melfi Non è facile per questi anni ricostruire le vicende dei normanni che passano al servizio di vari signori. Sembra comunque certo che Sergio IV, durante lo scontro col principe di Capua Pandolfo III per la liberazione di Napoli, avesse già al suo servizio i cavalieri di Rainulfo Drengot. Al quale, proprio dopo la conquista della città partenopea, il duca Sergio dava in moglie una sua sorella e concedeva, nel 1030, il borgo di Aversa con i castelli e i territori attigui. Ad Aversa si costituiva una contea che poneva fine al mercenariato che aveva caratterizzato i primi contatti dei normanni con terre e uomini del Mezzogiorno e dava corpo a insediamenti stabili e alla strutturazione di un sistema sociale in cui la classe dominante dei possessori si identificava con la classe militare e politica dei normanni. I milites erano un tempo possessori di beni e uomini che costituivano la garanzia militare delle tradizioni della stirpe e dell’aggregazione sociale. Le funzioni pubbliche erano esercitate da una gerarchia di poteri che faceva capo al conte e che corrispondeva alle diverse stratificazioni giuridiche, sociali ed economiche sorrette dall’esercizio delle armi, dalle tradizioni e istituzioni religiose. Nei documenti sono del resto presenti numerosi riferimenti a componenti del clero che operavano come giudici e come notai e che espletavano pratiche civili e amministrative. Diverse erano le vicende in Puglia dove l’insofferenza verso i bizantini e l’attrattiva dei disordini avevano offerto ai normanni l’occasione di inserirsi in una situazione assai precaria e particolarmente esplosiva. Infatti, dopo alcuni significativi scontri, si impadronivano di Melfi sconfiggendo i bizantini a Venosa, subito dopo a Montemaggiore e a Montepeloso. I cronisti si soffermano a lungo a descrivere queste battaglie e sottolinenano le attitudini guerriere di questi cavalieri di Normandia consci che dalla sconfitta del nemico sarebbe dipeso il libero possesso di nuove terre e di ricchi bottini. Andranno poi a nominare come capitale la città di Melfi che sorge in una posizione baricentrica perchè si trova nel punto in cui vi sono 2 direttrici di aree che portano all’appennino, inoltre la dividevano i 12 conti che avevano preso parte alla spedizione e che esercitavano il potere in forma collegiale e che da un patto giurato erano impegnati in un vincolo di reciproca assistenza. Inoltre Guglielmo Braccio di Ferro e gli altri capi normanni si rivolgevano a Guaimaro di Salerno per ottenere, attraverso l’omaggio vassallativo, il riconoscimento ufficiale della conquista. L’omaggio vassallatico al principe di Salerno riconduce al sistema feudale inteso come organizzazione sociale ed economica e quindi di rapporti e modi di produzione, e come tipo di governo. Ma a differenza di quanto avvenuto altrove nel rapporto col principe di Salerno si trattava morì il 17 luglio 1085 e prese il suo posto il fratello Ruggero I d’Altavilla che con la conquista di Sicilia, aveva raggiunto una posizione di forza e di prestigio. Le vicende militari I primi contingenti normanni sbarcarono sull’isola puntando su Messina, poichè il possesso della città poteva garantire il controllo dello Stretto: Messina, così, fu costretta alla resa nel 1061 da una guarnigione normanna. Dopo Messina, i normanni trovarono difficoltà nella conquista dell’isola e l’impresa si rivela più difficile di quanto si era previsto. I motivi di questo arresto nella conquista dell’isola non sono chiari (impossibilità di occupare Centuripe, valle dell’Etna e Castrogiovanni). Ma, a parte le ribellioni in Puglia dove i bizantini speravano ancora di riappropriarsi dei territori perduti, bisogna tenere conto delle delusioni delle popolazioni cristiane, delusioni di chi si era fidato di liberatori, che anche se cristiani, si comportavano come tutti i conquistatori (ribellioni abitanti di Troina). Ruggero I, a causa delle rivolte pugliesi e della carenza di uomini, fu costretto ad allenare la pressione della Sicilia e a rinviare l’offensiva. Nel 1071, i Normanni, rimpolpati dalle truppe del Guiscardo, accerchiano Palermo, che fu costretta alla resa. Anche se la conquista non era ultimata, l’isola venne divisa tra i due fratelli. A Roberto toccava metà di Messina, parte di Valdemone, invece, a Ruggero I l’altra metà di Messina, Troina, Catania, Mazzara e la parte della Calabria già ottenuta in precedenza. La sovranità dell’isola, in base al concordato di Melfi, spettava a Roberto il Guiscardo, alla cui guida andava Ruggero come feudatario. L’offensiva riprendeva nel 1077 con Trapani, Taormina, Argigento, Castrogiovanni, Butera e Noto per ultima nel 1091. Aggregazioni economiche e sociali e indirizzi di potere Morto il Guiscardo, Ruggero I incominciava ad affrontare i numerosi e complessi problemi della conquista, a partire dall’organizzazione e dalla gestione del potere. E prima di tutti, quelli dei rapporti con i cavalieri che avevano partecipato alla conquista dell’isola; per i cavalieri infatti la guerra significava fare attività economica, nessun condottiero si sarebbe potuto sottrarre all’obbligo di assicurare, a quanti vi avevano partecipato, acquisizioni di terre, benefici e poteri di signoria a essi connessi. Donare la terra ai cavalieri, significava applicare delle confische ai vecchi possessori, e uno dei problemi normanni in Sicilia fu quello relativo alla sopravvivenza o meno del ceto dirigente indigeno. Gli Altavilla, a breve distanza dalla fine della guerra, si trovavano nella necessità di reclutare la propria classe dirigente, laica ed ecclesiastica, intellettuale e amministrativa, fra componenti etniche diverse da quelle normanne e, per le funzioni più prestigiose, anche da quelle indigene. Ritornando comunque al problema della ripartizione delle terre, possiamo affermare che la distribuzione della proprietà fondiaria e dei territori ebbe inizio prima della conquista definitiva dell’isola nel 1091. Le confische dovevano avere una grossa consistenza, soprattutto nella Sicilia Orientale. Ma nella Sicilia Occidentale, la più islamizzata e dove i ceti dirigenti saraceni che non erano fuggiti avevano contrattato la resa, molti erano riusciti a conservare tutti o parte dei patrimoni fondiari, come è confermato su alcuni documenti. Va sottolinenato che Ruggero I si era soprattutto preoccupato di imporre il suo dominio e di non sconvolgere l’ordine sociale costituito. Ordinamento amministrativo, finanziario, ecclesiastico Rimaneva comunque urgente, per Ruggero I, la necessità di dare vita a funzionali ordinamenti amministrativi e finanziari, sede preferita di Ruggero era Mileto, in Calabria; tuttavia Troina era la capitale amministrativa, finanziaria e politia della contea; gli ordinamenti più importanti facevano capo alla corte nella quale sedevano Ruggero I e i suoi più stretti collaboratori. Alle più importanti cariche venivano poi chiamati ecclesiastici e monaci bizantini e latini; della stessa origine era il corpo dei notai, in grado di redigere diplomi in greco, arabo e latino. Alla tradizione musulmana si richiamavano pure le strutture degli uffici finanziari. Ruggero I, al suo arrivo in Sicilia, si trovò nella necessità di dare vita a una struttura ecclesiastica cristiana che due secoli di dominazione islamica avevano sradicato: si preoccupò di favorire l’insediamento del clero cattolico per avviare quel processo di latinizzazione che prevedeva il concordato di Melfi. Venivano fondati i vescovati e costituite le relative diocesi affidate a prelati latini fatti apposta arrivare dall’Italia e dalla Francia. La nomina dei vescovi veniva realizzata da Ruggero I, e ciò finiva col rimettere in discussione la politica svolta dal papato nell’XI secolo. Ruggero fece arrestare il vescovo di Messina che, senza consultarlo, aveva accettato dal papato la nomina di legato pontificio, questo mostra la sua opposizione a qualsiasi politica che potesse contrastare i suoi poteri in ogni campo e anche in materia ecclesiastica. Quella dell’elezione e dell’investitura dei vescovi in quegli anni era una questione fastidiosa, anche se in Sicilia, a causa di portare avanti il processo di cristianizzazione interrotto dalla dominazione musulmana, aveva un rilievo diverso. Nel 1088 papa Urbano II, scese in Sicilia per incontrarsi con Ruggero I, si raggiunge un compromesso favorevole a Ruggero: il papa confermava i vescovi eletti investiti dal grancont di Sicilia. Successivamente nel 1098, emanò una bolla pontificia con la quale si riconoscevano a Ruggero i diritti di Legazia apostolica, cioè la ccapacità di potere e di controllo sulle istituzioni e funzioni ecclesiastiche dell’isola. La reggenza di Adelaisa Ruggero sembrava ormai l’unico degli Altavilla in grado di porre ordinare allo stato di anarchia che dopo la morte del Guiscardo vigeva nel Mezzogiorno peninsulare. Ma Ruggero I morì in piena attività, quando ancora la struttura dello Stato era assai fragile, il 22 giugno 1101. A succedergli fu Adelaisa del Vasto, figlia in terza nozze, una donna giovane e bella ma dal carattere duro e capace di assumere in prima persona la responsabilità della saggezza, preoccupandosi di garantire la continuità della linea politica del marito e la successione del figlio Ruggero II. La reggenza di Adelaisa è caratterizzata dal trasferimento della capitale da mileto a Messina e infine a Palermo, e da una crescente immigrazione di lombardi. I quali, provenienti tutti dalle campagne dell’Italia padana travagliata dalla crisi feudale, avrebbero costituito uno dei fattori del processo di latinizzazione. 3 capitolo. La fondazione della monarchia Unificazione dei domini normanni Il 25 luglio 1127, Ruggero II successo al trono. Raggiunto Salerno, ottenne dal vescovo l’unzione sacra con la quale veniva proclamato duca di Puglia. L’unzione da parte del vescovo di Salerno, sacramento al quale si faceva ricorso per la prima volta nelle vicende normanne, aveva il significato di garantire nel ducato di Puglia la superiorità di Ruggero II su ogni altro principe normanno. Nel 1128 Ruggero II prestò omaggio ligio al papa, che a sua volta lo investiva nel Ducato di Puglia, di Calabria e di Sicilia. Carica che dava la possibilità a Ruggero Ii di controllare tutti gli altri baroni, costretti a giurargli fedeltà. Ruggero II ottenne la dignità regia per i territori avuti che i duchi avevano avuto dal papato. Con questa investitura, Ruggero II era al vertice del potere. Acclamato re, si recò a palermo, dove la notte di Natale del 1130, Ruggero II riceveva, nella cattedrale che era stata moschea, l’unzione del sacro olio e la corona regia. Veniva così fondato il Regno di Sicilia, del quale Ruggero II era il primo monarca. Ma solo nel Luglio del 1139 dopo aver sconfitto sul Grigliano l’esercito pontificio dell’altro contingente, riusciva ad ottenere da Innocenzo II il riconoscimento ufficiale della Chiesa di Roma. Caratteri e funzionalità della monarchia Il regno di Sicilia era una monarchia feudale. Nel 1140 Ruggero II promulgò le assise, cioè un testo di leggi velide per l’intero regno; la funzione legislativa era riservata al sovrano e al ristretto consiglio di corte. Centro di ogni attività rimaneva la corte. Organo fondamentale del potere era la cnacelleria; il cancelliere era tra i più fidati del sovrano. Per quanto riguarda l’ordinamento finanziario sono da ricordare gli uffici della dohana de secretis, la tesoreria regia con competenze sulle concessioni e sulla riscossione dei tributi locali. L’ordinamento amministrativo si basava su una rete di magistrature provinciali. L’organizzazione feudale La monarchia traeva il suo sostegno economico e militare dai feudi. Contro propulsore della produzione agricola era infatti il feudo. Convinto di questo, Ruggero II operò una revisione dei privilegi. La revisione dei privilegi da una parte tendeva a garantire, con la precisazione dei confini dei singoli feudi e del numero degli uomini in essi residenti, i diritti e gli interessi dei signori; dall’altra dimostrava che il re considereva la classe dei vassalli come un gruppo dirigente insostituibile per laforza militare che rappresentava, e a cui era affidato il compito di elaborare e gestione del potere, le riforme con cui intendeva porre fine alla corruzione dei funzionari, agli abusi delle imposizioni fiscali e al lucroso sfruttamento della prostituzione organizzato dallo stesso governatore del Castello di Palermo. L’atmosfera si faceva di nuovo incandescente e da ogni parte si ricominciava a ordire complotti. Dopo varie e drammatiche vicende, caratterizzate da rivolte e congiure, abbandonato anche dalle guardie regie che non intendevano difendere uno straniero, Stefano di Perche fu costretto a giungere a patti con gli oppositori: in cambio della vita fu costretto ad abbandonare la Sicilia. Vera e grande sconfitta era però la regina, costretta ad accettare la ricostruzione del consiglio di reggenza in cui era netta la prevalenza della componente ecclesiastica. Guglielmo II Nel 1171 Gugliemo II, raggiunta la maggiore età, incominciò a regnare da solo. Guglielmo II voleva garantire l’equilibrio di forza tra i vari consiglieri e intendeva rivalutare la preminenza del re rispetto a chi cercava di collocarsi ad un livello più alto di rappresentatività e peso politico. Gli uffici che durante gli anni di Guglielmo II subirono una più profonda ristrutturazione furono quelli finanziari e fiscali. La dohana de secretis, che fin dal tempo di Ruggero I era stata l’organo fondamentale della struttura finanziaria, veniva profondamente rinnovata. Con la riforma fiscale di Guglielmo II appariva per la prima volta la dohana baronum, ufficio che svolgeva, per le parti diverse del Regno di Sicilia e Calabria, le competenze relative ai feudi e ai loro obblighi verso la corona. Le classi produttive urbane dei principali centri marittimi non riuscivano ad operare in modo da rendere competitivo il livello delle loro attività produttive. Per quel che si riferisce alle questioni di politica estera è da sottolineare l’insistenza di Guglielmo II a portare avanti, con notevole dispendio di risorse, le tradizionali mire espansionistiche della casa d’Altavilla nel Mediterraneo e nel Levante. Guglielmo II era il solo che perseguiva per terra e per mare, senza badare a spese, gli infedeli. Malgrado le varie spedizioni, Guglielmo II non riusciva però a piegare a proprio favore l’equilibrio mediterraneo e ad aprirsi la strada vero l’Oriente. A sbarrargli l’accesso, oltre che le Repubbliche marinare, e Venezia, stava Federico I Barbarossa. Nei confronti del Barbarossa la posizione del re normanno si era indebolita specie dopo che il sovrano di Sicilia aveva accettato un’alleanza, sancita dal matrimonio fra Enrico VI e Costanza d’Altavilla, zia di Ruggero II. Con un matrimonio che rendeva inevitabile il passaggio della Corona normanna al giovane svevo e futuro imperatore. Guglielmo II morì senza figli il 1189. L’eredità di Costanza Il matrimonio di costanza e di Enrico fu celebrato il 1186, con sfarzo favoloso, nella Basilica di Sant’Ambrogio di Milano. Le nozze ponevano la corte e i terriotri normanni di fronte a una crisi grave: da una parte i seguaci dell’arcivescovo di Palermo che insistevano sulla necessità di accettare come erede di Guglielmo II, Costanza e Enrico VI; dall’altro le fazioni sostenute dal papato e Tancredi di Lecce, che erano pronte a dichiarare illeggittime le nozze della principessa. Nel gennaio 1190 fu eletto re Tancredi di Lecce, nipote di Guglielmo II La promotio regia di Tancredi di Lecce Appare chiaro come per Costanza e i suoi sostenitori non era facile puntare sul rispetto della volontà e decisione regia. O, almeno, non era possibile puntarvi senza spezzare in due il paese: da una parte i patrocinatori del diritto successorio di Costanza, dall’altra quanti erano favorevoli a Tancredi. Va sottolineata la mancanza di dati precisi sul sistema elettorale con cui veniva sancita la sua promotio regia. Le fonti più ricche di particolari sull’argomento limitano l’elettorato alle sole componenti del consiglio della Corona. La precarietà degli equilibri, le tensioni fra cristiani e musulmani in Sicilia, i contrasti contro Riccardo cuor di Leone che aveva fatto tappa a Messina contribuivano a indebolire la posizione di Tancredi. Il quale trova difficoltà a far fronte all’offensiva di Enrico VI e a impedire che, all’inizio del 1191, l’imperatore arrivò in Campania. Dopo i primi favorevoli risultati, Enrico VI, a causa di alcuni disordini in Germania e di una sua malattia, fu costretto a rinviare l’offensiva che riprendeva solo alla morte di Tancredi il 10 febbraio 1194. L’imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale 1194 fu incoronato re di Sicilia. Il giorno successivo fece arrestare e spedire in Germania la vedova di Tancredi col figlioletto Guglielmo III. Enrico VI Le scelte di Enrico VI nel Regnum erano tese a sostenere l’Impero e la politica imperiale, subito riassegnò terre e territori a favore dei cavalieri germanici che lo avevano fiancheggiato nella conquista; introdusse pesanti imposizioni fiscali. Andò finalmente in porto l’antica aspirazione germanica di riunire il Sacro Romano Impero al Mezzogiorno italiano e alla Sicilia. Ci si rende subito conte che la logica imperiale delle scelte politiche di Enrico VI intendevano vincolare sia sotto l’aspetto economico, sia sotto quello amministrativo e giurisdizionale, qualsiasi forma di autonomia cittadina, in quanto non voleva consentire ai centri urbani l’esercizio di libertà che sarebbero potute trasformarsi in posizioni di dissenso verso l’impero. Le rivolte vennero duramente soffocate con metodi repressivi duri e crudeli, che portarono terrore e paura negli animi della popolazione (cospirazione del 119 in cui l’imperatore si rifugia a Messina). Anche in questa difficile situazione, Enrico VI rimaneva sensibile alla politica mediterranea. Il 28 settembre 1197, per il riacutizzarsi di una infezione di dissenteria, l’imperatore a soli 21 anni morì. 5 capitolo. La monarchia di Federico II Con la morte di Enrico VI, il Regnum ricadeva nel caos. Nel testamento, aveva predisposto che ampio spazio di potere, durante la reggenza, fosse affidato al gran siniscalco Markwaldo di Anweiller. Costanza però, riuscì a mettere da parte il condottiero germanico e a farsi restituire la patria potestà sul piccolo Federico Ruggero natole a Iesi il 26 dicembre 1194. Il progetto meridionale di Innocenzo III Costanza però, per far fronte alle componenti germaniche, fu costretta a rivolgersi a papa Inoocenzo III, che dava la sua disponibilità. Obiettivo di Innocenzo III era di scongiurare che la corona fosse tenuta dallo stesso sovrano che disponeva già di quella dell’Impero. Anche perché Innocenzo III incominciava a recuperare nel regno e specie in Sicilia sostanziose fette di potere. La prematura morte di Costanza, il 1198, indeboliva però i gruppi vicini al pontefice, ma Innocenzo III era riuscito a farsi incaricare da, parte di Costanza, della tutela del piccolo Federico Ruggero e a imporre un consiglio di reggenza costituito da 4 vescovi e posto sotto il controllo di un vicario apostolico. Quando nel 1208 Federico II raggiungeva la maggiore età, papa Innocenzo III, con l’appoggio del re di Francia, lo fece eleggere imperatore nel 1212. Si recò subito in Germania a fronteggiare Ottone di Brunswick; egli infatti era stato nominato imperatore e rivendicava la sovranità dell’impero sui territori della chiesa, venne scomunicato da papa Innocenzo III che appoggiò la successione imperiale di Federico II. Nel 1214 Federico, appoggiato dal re di Francia Filippo Augusto, sconfisse Ottone in battaglia . Restaurazione Sveva del potere regio L’Imperatore ritornava nel Mezzogiorno nel 1220, nel frattempo la reggenza era stata affidata alla moglie Costanza d’Aragona. Si preoccupò subito di risolvere le conflittualità con i Saraceni, che furono sconfitti e deportati a Lucera. Nel 1220 promulgò a Capua le Assise, delle leggi con cui Federico II rivendicava alla Corono i diritti regi, revisionò ogni concessione feudale e fece restituire alla Corona tutti i beni e i privilegi ottenuti illegalmente negli ultimi 30 anni. Con le costituzioni di Capua si continuava a mantenere, come già in epoca normanna, il sistema feudale. Le lo scopo di Federico II non era infatti quello di abbattere la feudalità, ma quello di ridimensionarne la capacità economica, ridurne gli abusi e regolarne i rapporti con la Corona. Federico II avviava un processo di restaurazione del potere, riservando alla Corona il diritto di revocare la concessione quando richiesto dagli interessi del regno. Si ripeteva in fondo quanto era avvenuto con Ruggero II: la ricerca cioè di un sistema di potere nel quale l’equilibrio con la Corona e feudatari venisse garantito oltre che da un apparato burocratico dipendente dal sovrano, anche da una politica di privilegi. Apparato amministrativo e finanziario Ogni potere amministrativo, esecutivo e giudiziario era riservato al sovrano ed esercitato dal gran giustiziere. Al vertice dell’amministrazione finanziaria troviamo un secretus Messane per la Sicilia Orientale, di cui faceva parte anche la Calabria, e un secretus Panormi, per la Sicilia Occidentale. I due uffici vennero poi riunificati nel secretus Siciliae; le cui competenze erano numerose: l’amministrazione delle dogane di mare e di terra, la cura del patrimonio demaniale, l’approvvigionamento delle navi regie e dei castelli, il pagamento dei salari agli ufficiali civili e militari. Una notevole importanza era stata riservata dagli svevi alla polizia politica, uno spionaggio così perfezionato che il sovrano, anche lontano dal Regno, era ben informato di ciò che accadeva. Lo si nota dalla lettera che il sovrano Federico II inviava a Tommaso di Montenero, il quale aveva nominato come giudice un “illetterato e assolutamente inadatto a tale ufficio”. Federico II non voleva che “l’amministrazione della giustizia sia venduta per venalità”, per cui gli ordinava di allontanare il suddetto illetterato per sostituirlo con uno sufficientemente istruito. Per far fronte alle esigenze di ordine burocratico-amministrativo e di ordine giudiziario Federico II aveva bisogno di larghe risorse finanziarie e di funzionari stipendiati, esperti e capaci. Le funzioni di questi burocrati erano indispensabili alle attività finanziarie, civilistiche, demaniali ecc.. e tutta l’amministrazione, d'altronde, era basata sui rapporti scritti, e dunque vi era la necessità di avere gente che li sapesse redigere. E proprio alle necessità di queste mansioni burocratiche si deve la fondazione di una Università a Napoli nel 1224, che comprendeva tutte le facoltà ad eccezione di quelle medica, che era alla Scuola di Salerno. La Scuola di Salerno era divenuta nel XII secolo famosa ovunque. All’Università di Napoli veniva invece affidato il compito di preparare notai, giudici, legisti, di preparare cioè un corpo giuridicoamministrativo cui affidare il potere esecutivo e quello giudiziario. E a tal fine, Federico II, offriva ai giovani molte facilitazioni per la frequenza dell’Università napoletana. Le costituzioni di Melfi e l’identità della moonarchia Nell’agosto del 1231, nella dieta di Melfi, promulgò le Costitutiones regni Siciliae. le Costituzioni di Melfi sono un corpus di diritto pubblico e amministrativo che rappresentava un momento molto importante della legislazione medievale, ed esprimevano una visione dello Stato che affondava le
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