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Jackie: La vita privata di una First Lady, Appunti di Teorie E Tecniche Del Linguaggio Televisivo

La vita privata di jackie kennedy, la first lady dopo l'assassinio del marito, john f. Kennedy. L'autore ci accompagna in un'esplorazione intima della sua solitudine e del suo dolore, mostrando il conflitto tra il corpo politico/istituzionale di jackie e quello privato. Il film si concentra sulla narrazione che jackie ha lasciato di sé, oltre ad essere molto interessato a sottolineare il suo disagio esistenziale ed emotivo.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 27/03/2024

marika-lo-cicero
marika-lo-cicero 🇮🇹

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Jackie: La vita privata di una First Lady e più Appunti in PDF di Teorie E Tecniche Del Linguaggio Televisivo solo su Docsity! JACKIE , L’INGANNO DI UN’ICONA Introduzione e Trama Il regista cileno Pablo Larrain, nel 2016, decide di accendere le telecamere su Jacqueline Kennedy proprio nel momento in cui quelle del mondo si spengono. La First Lady ormai è solo Jackie, una vedova che abbraccia il suo dolore nell’intimità di una solitudine che va in contrasto con l’abito della sua immagine pubblica di cui improvvisamente si spoglia. Attraverso l’escamotage narrativo di un’intervista con un reporter di «Life», Theodore H. White, voluta proprio da quest’ultima, il film segue una cronologia emotiva che si snoda in diversi piani narrativi, seguendo una cronologia emotiva, che intrecciandosi continuamente ci restituiscono quel senso di disorientamento che vive la protagonista. Notiamo molto le influenze di Tarkovskij e la sua idea di ‘scolpire il tempo’, di crearecreando un tempo proprio e, andando a modellare quello già presente nell’inquadratura stessa per estenderlo all’infinito., e In Larrain costruisce questo tempo propriolo fa andando continuamente avanti e indietro, confondendo piani, realtà e finizione. Il regista infatti immagina, con un realismo non convenzionale, cosa accade dietro il quadro perfetto della Camelot presidenziale, dopo l’assassinio di John Fitzgeralad Kennedy, 35° Presidente degli Stati Uniti d’America e marito della più giovane, delle tra le ventinove che l’hanno preceduta, First Lady della Casa Bianca. Il limpido rigore disegnativo di Larrain traccia una parabola che si muove dal vuoto reale della morte alla pienezza consolatoria del mito favoloso, passando per la vischiosità dell’ossessione iconica. La frontalità, la secchezza e la frammentazione del dettato visivo ci danno l’impressione di trovarci in una sorta di Tv show impazzito. Mentre lo straordinario mimetismo di una Natalie Portman in pieno stato di grazia e gli inserti musicali sinuosi e dissonanti di Mica Levi, riflettono il disincanto del sogno americano interrotto bruscamente, splendide sinfonie che vengono interrotte con un rallentamento spiazzante, che rappresentano la metafora in musica di quella che poteva essere la presidenza Kennedy. I corpi di un’icona L’arco narrativo viene retto dal conflitto tra il corpo politico/istituzionale di Jackie e quello privato. Il primo viene lasciato sullo sfondo mentre il secondo si conquista le luci di una ribalta che pesa di diversi tentativi di mantenere il controllo nonostante le svariate pressioni figlie del ruolo pubblico da lei ricoperto fino a pochi secondi prima della fine della favola. Larrain ci accompagna in un’esplorazione intima e senza pudore nell’intimità di Jackie, e attraverso il suo sguardo ci mostra l’illusione della dinastia Kennedy e la creazione del mito grazie proprio alla straordinaria capacità di ‘montatrice’ del suo membro acquisito. Jacqueline Kennedy è nuda, metaforicamente, davanti alla macchina da presa. Nuda come non lo era mai stata. Nuda come non aveva scelto di essere. Curioso è notare come il film si chiami semplicemente Jackie, ovvero il suo diminutivo. Ciò sembra voler dimostrare fin da subito che siamo di fronte ad una pellicola che andrà a scavare nell’intimità, nella fragilità, negli aspetti più nascosti e segreti dell’animo della donna. Quello di Larrain è un biopic anomalo, in quanto non si concentra sulle notizie già note di Jackie o sulla ricerca della verità relativa alla sua figura, ma sulla narrazione che essa stessa ha lasciato di sé, oltre ad essere molto interessato a sottolineare il suo disagio esistenziale ed emotivo. Jackie è la protagonista assoluta della pellicola, dalla prima inquadratura riempie prepotentemente il centro del fotogramma:, è suo infatti il punto di vista che domina la scena, tutti gli altri personaggi che le ruotano attorno, compreso l’ex Presidente, suo marito, finiscono per essere solo delle comparse. Il film non ci mostra la sua vita esclusivamente in funzione del marito, ma cosa accade una volta che avviene il passaggio da una vita, se vogliamo politica, quella della First Lady, ad una che non lo è più. Quello che ci viene raccontato è proprio questo intervallo di tempo. Se nel film ‘Vice’, biopic su Dick Cheney diretto da Adam McKay, abbiamo un’alternativa tra vita politica e privata in cui possiamo vedere come la vita del protagonista cambia attraverso il ruolo di vVice- presidente, qui, in Jackie, abbiamo il processo inverso. Nel momento in cui le hanno tolto la corona il suo corpo è cambiato, Egli effettua delle inquadrature alternando una regia nervosa che crea inquietudine e instabilità ad una calma e lucida in base alle sensazioni che intende tirar fuori al personaggio e far percepire allo spettatore. Aspetto questo che ci viene illustrato nella primissima scena del film, in cui possiamo notare fin da subito l’atmosfera in cui si percepisce in maniera eloquente la fine di un idillio. Tra due stacchi neri appare il volto di Jackie, dentro un accordo musicale imponente che precipita, che si distorce, un po’ come l’illusione di una splendida favola dal tragico epilogo che è stata la sua storia. La sequenza appare disturbante e non collocabile precisamente nel tempo e nello spazio, in cui vediamo Jackie camminare in maniera scomposta, senza direzione apparente, in un vuoto interiore che sgorga dai suoi occhi freddi. La macchina da presa del regista cileno tallona continuamente la sua figura, con dei primi piani intensissimi, carrellate, come quella veloce che accompagna la sua corsa frenetica al cimitero dove sceglie il punto di sepoltura del marito, o quella lenta e incisiva quando si aggira sconvolta tra le stanze spoglie dalla Casa Bianca fra abiti eleganti, bicchieri di Gin e una sigaretta dopo l’altra, ballando un danza paranoica sulle note del musical Camelot che tanto appassionava il marito, che ci raccontano la sua solitudine oltre a sottolineare il senso di caos e disorientamento che pervade lei e la scena in questione. Qui vediamo una Jackie spoglia del suo corpo politico, iconico e sempre perfetto. Spettacolarizzazione del dolore, intreccio di due vite e una morte che dura La comunicazione diventa politica e il potere dona il mito, sono queste le due tesi che il regista cileno sviluppa all’interno della pellicola, tesi che prendono forma nel filo rosso che fa da cornice al racconto di questo viaggio dentro le mura della perduta Camelot , l’intervista. Aspetto che un po’ ci ricorda Quarto Potere di Orson Wells, in cui vi era un giornalista che doveva cercare la verità, ma anche Disraeli di Alfred E. Green, nella quale vi è un personaggio raccontato attraverso una serie di pareri, opinioni, che non vi sono benevoli nei suoi confronti. E’ proprio dall’intervista che comincia il racconto, intervista della quale si serve per raccontare non la verità si badi bene, ma la sua versione dei fatti, in quanto quello che racconta è la storia che vuole che vada in stampa, la storia che vuole che l’America conosca. Una settimana dopo i funerali del marito, il reporter di Life bussa alla sua porta. In un rigido campo/controcampo privo della regola dei tre quarti, l’ormai ex First Lady esordisce si lamenta con White sull’uscio della portandosi di come, a pochi giorni da quello che può essere considerato non un lutto unicamente personale, ma comunitario, di un’intera nazione, stiano parlando di quello che ne era stato il padre, ‘ne parlano come un oggetto antiquato’. dice infatti a White sull’uscio della porta. Noi, come spettatori godiamo di una posizione privilegiata in quanto possiamo, seguendo l’intervista nel momento in cui viene realizzata, vedere oltre la facciata. Questa nostra posizione in qualche modo ‘onnisciente’ ci lascia la convinzione per tutta la durata del film di aver capito Jackie, una moglie che lotta per non lasciare che il marito cada nell’oblio, destreggiandosi per cercare di organizzare un funerale imponente che permetta di scolpire la sua figura, il suo ricordo, nella memoria collettiva. Ma solo alla fine ci ritroveremo ad avere tutta una serie di elementi che ci permetteranno di capire l’inganno alla quale siamo stati sottoposti, riuscendo anche a dare un senso alla scena iniziale, ed è proprio il giornalista che ce lo rileva, quando congedandosi le dice che ‘il funerale è stato il Suo grande spettacolo’. La dimensione dello spettacolo pervade l’intera pellicola:, Jackie è dentro la società dello spettacolo del quotidiano, della politica. Se la società dello spettacolo nasce proprio in quegli anni, una dei più grandi alfieri è stata proprio lei. Dietro c’è sicuramente una questione politica, in quanto lo spettacolo lo diventa. La Camelot stessa, è un’idea politica, un modo di fare, e ciò lo possiamo vedere per esempio nella scena in cui il nuovo Presidente Johnson e la nuova First Lady, vecchi, arcigni, entrano alla Casa Bianca e cambiano subito la tappezzeria. Jackie non l’ha ancora lasciata che vi è subito la preoccupazione di cambiare. La questione ruota attorno ad una domanda: Perché prima di Kennedy sono morti assassinati altri due presidenti e ne ricordiamo solo uno, ovvero Ambraham Lincoln? Per il modo in cui è stato celebrato. E’ per come si è conclusa la sua esistenza che viene ricordato, il funerale diventa dunque un momento centrale. ‘‘La morte compie un fulmineo montaggio della nostra esistenza ’’ scrive Pasolini, ed è questo che la pellicola ci fa vedere, è la morte che rende Kennedy, KennedyJFK. La morte e la celebrazione della morte in quanto ‘‘ finché siamo vivi, manchiamo di senso’’ afferma sempre Pasolini. Aspetto che viene immediatamente colto da Jackie, che comincia dunque a muoversi nella stessa direzione che ha permesso a Lincoln di non essere dimenticato. Intuizione che ci viene mostrata nella sequenza in cui Jackie e il cognato Bobby, accompagnano in auto il feretro dell’ex presidente. La donna chiede all’infermiera e all’autista se avessero idea di chi fossero James A. Garfield e William McKinley, ma soltanto il nome di Lincoln venne associato alla figura di Presidente degli Stati Uniti d’America, presidente che vinse la Guerra Civile e pose fine alla schiavitù. E’ così dunque che Jackie gestisce la loro storia, celebrandola attraverso un funerale spettacolare a cui bisogna che venga data la massima visibilità. Ad essere gestita infatti non è solo la morte in quanto tale, ma la visibilità della morte:, essa deve essere organizzata, messa in forma, deve essere inserita in un grande racconto, fatto di una celebrazione funebre con cavalli, carrozze, grande corteo a piedi, i figli accanto a sé e il suo corpo esibito in prima fila, offerto ai colpi di chiunque si rendesse disponibile a completare ‘lo spettacolo’ con lei come vittima. La storia con JFK era stata crudele non avendogli dato il tempo di scriverla, come lamenta il fratello Bobby in una delle scene del film, paragonando ancora una volta il fratello a Lincoln, la cui firma, che nel 1863 abolì la schiavitù, rappresenta un lascito importante per la storia dell’umanità. Il punto focale è incentrato proprio sul fatto che JFK non potesse più cambiare la storia, non potesse più intervenire sulla sua vita. Ed è proprio tra la sua vita e quella di Jackie che esiste un intreccio fortissimo. Anche Kennedy, per esempio presidente che commetteva errori sia personali che politici. Nella battuta in cui si fa riferimento alla Baia dei Porci, alla crisi dei missili cubani, si capisce chiaramente che egli passò alla storia per aver risolto una crisi che però lui stesso aveva provocato. Ciò che rimane di Jackie Kennedy Il problema che Jackie si sta ponendo per il marito morto, in realtà il film ci dice è anche il suo problema. Come fanno a non farsi dimenticare? Attraverso la memoria di chi li ha conosciuti, ovvero il popolo. Il film ci mostra come Jackie avesse un’esistenza autonoma, che era la sua immagine, esistenza che era dentro il pieno regime della visibilità del moderno, che nel suo caso era la televisione. Lei poteva fare la First Lady quanto la conduttrice televisiva proprio come suggerito da White durante l’intervista, alludendo alla creazione dello show, ‘A Tour of the White House with Mrs. Kennedy’ in cui apre le porte della Casa Bianca, e con cui vince un riconoscimento ufficiale, un Emmy Award. Attraverso questo show lei si costruisce una sua immagine riconoscibile. I coniugi Kennedy, attraverso il mezzo televisivo, non si sono presentati distanti come il Presidente e La First Lady, come il Re e la Regina, ma hanno voluto farsi conoscere anche nella loro vita quotidiana. Un po’ come accade oggi con i nostri politici attraverso i social. Sicuramente però, Jackie lo ha fatto in una forma completamente diversa:, colta, brillante, con la presenza di una troupe televisiva, la CBS, che gestisce il tutto, con la sua assistente personale, Nancy, interpretata dall’attrice, sceneggiatrice e regista Greta Gerwig, che le suggerisce quando sorridere o le parole da meglio utilizzare. Larrain ricostruisce in maniera fedele, rispettandone anche il formato (4:3), lo show della First Lady. Le immagini che vediamo sono sgranate, in bianco e nero, e rappresentano la ricostruzione dell’archivio, proprio come fece Scorsese in Toro Scatenato. Attraverso un montaggio alternato, vediamo il gioco tra l’archivio e la produzione dell’archivio, quindi tra le immagini televisive che vengono mostrate (in bianco e nero) e tutto lo scenario di produzione (a colori), quindi le telecamere, i microfonisti, le luci, gli assistenti. Vi è proprio questodunque un gioco di montaggio tra il filmico e il pro filmico, tra le immagini e il loro luogo di produzione. Quelle che noi vediamo come immagini in bianco e nero sono le immagini pubbliche così come noi tutti le abbiamo viste, che un po’ forse rimandano alla scelta di raccontare in bianco e nero la figura pubblica di Jake La Motta in Toro Scatenato, perché è così che lui e tutti, lo ricordiamo nell’immaginario. Le intense inquadrature sul volto di Natalie Portman, ci sottolineano inoltrepoi, come per Larrain al cuore della sua figura vi sia il volto e il primo piano: . Ddel suo viso, della Casa Bianca, dell’arredo sfarzoso , della parata militare che accompagna il corteo funebre del Presidente. Il volto per il regista viene considerato come strumento di espressione, di comunicazione. Ed è proprio quello di Jackie ad essere, senza un attimo di tregua, incorniciato visivamente, in una miriade di specchi e superfici riflettenti. Aspetto che possiamo ritrovare in numerose scene come quando è davanti allo specchio nell’Air Force One prima del bagno di folla a Dallas, e poi sempre davanti allo stesso specchio mentre si toglie in lacrime le macchie di sangue dal volto dopo l’omicidio del marito. Ritroviamo Jackie ‘imprigionata’ in una fuga di specchi quando nel bagno della Casa Bianca si spazzola in maniera frenetica le unghie per rimuovere le incrostazionie ematiche, o ancora quando di fronte allo specchio della camera presidenziale indossa i gioielli e si trucca per rivivere idealmente, con il sottofondo dissonante del musical Camelot, l’incanto di ciò che era stato. E’ di fronte ad uno specchio anche quando prova il velo funebre. Essa sviluppa una vera e propria dipendenza dall’immagine speculare, e ciò ci viene mostrato quando, inscatolati i suoi averi e quelli dei figli dato il trasloco imminente, ingoia l’ennesima pillola e si guarda allo specchio venendo quasi sorpresa dal suo riflesso. La camera a mano che la riprende dal profilo destro si allontana da lei e, con una soggettiva libera indiretta sposta la traiettoria del suo sguardo, inquadrandole il volto incorniciato dallo specchio mettendolo progressivamente a fuoco. Ma non è soltanto lo specchio ad incatenare il suo volto, due sono le scene fortemente simboliche, in cui lo vediamo inquadrato attraverso il finestrino di un’ auto. La prima, è quando vediamo come nella stessa inquadratura vi è il suo volto in sovraimpressione con l’immagine sfuocata del popolo americano durante il funerale, il bagno di folla che si era presentato come risposta a una crisi simbolica dell’istituzione statale. Il punto di maggiore interesse teorico di tutto il film è proprio il fatto di forzare la propria famiglia, andando contro tutto e tutti, e anche la politica americana, ad una nuova esposizione dopo l’irruzione della violenza. La seconda, rientra negli ultimissimi minuti del film che svelano per cosa Jackie verrà effettivamente ricordata, ovvero per essere un’icona di stile. Attraverso un montaggio che agisce all’interno del piano, osserviamo il riflesso di un manichino esterno che si sovrappone al suo volto. Abbiamo dunque il corpo di Jackie che è lo stile e lo stile vero e proprio che sono i manichini. E’ ciò che di lei rimane, sottolineato dalla vista dei negozi che stanno assortendo le loro vetrine con manichini stile Jackie. Aspetto questo che viene sottolineato durante tutto il film con un certo stile di abiti che la First Lady indossa, abiti che non sono solo elementi scenografici ma diventano correlativi simbolici della sua ansia di tenersi cucito addosso una destino. L’abito le consente di esistere, ripensiamone ad alcuni iconici come quello rosso del suo show televisivo, o i moltissimi abiti che una notte indossa come a voler cercare una sua collocazione, per consumare la sua sofferenza fumando e bevendo. Oppure ancora, ripensiamo al più iconico di tutti, il tailleur rosa Chanel del giorno dell’assassinio del marito, che decide di tenersi addosso nonostante sia macchiato di sangue, per far vedere al popolo cosa gli assassini avessero fatto, oltre al voler resistere alla fretta con cui il vice Johnson e la nuova First Lady, si erano presi il trono a lei appartenuto fino a pochi istanti prima. La sua non era dunque solo vanità;, i bellissimi minuti finali del film spiegano proprio questo:, attraverso i suoi abiti caratteristici Jackie era riuscita a sedimentarsi nell’immaginario collettivo.
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