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saggio sulla follia nella letteratura cavalleresca, Appunti di Italiano

saggio sulla follia nella letteratura cavalleresca

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 16/05/2021

francesca-milazzo
francesca-milazzo 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica saggio sulla follia nella letteratura cavalleresca e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Questo lavoro vuole essere un viaggio, o quanto meno una idea per un viaggio. Un viaggio nella storia, in un particolare aspetto della storia dell'uomo: la storia del rapporto dell'uomo con la diversità, qui nel particolare aspetto della follia. Il tema della follia compare con frequenza nella letteratura dell'età antica, ma anche umanistico-rinascimentale, perché ha sempre affascinato scrittori e filosofi di ogni tempo. Per i Greci, pazzo è colui che perde dignità, si priva della sua umanità e del suo onore; esempi letterari di furens sono Aiace e Ercole, ricordati per l'irrefrenabilità delle loro azioni, che li rende modelli negativi, in quanto non aumenta la loro conoscenza e il loro valore. Nel mondo romano, la pazzia è interpretata in chiave neutra: non è né qualcosa in più né in meno rispetto al senno, è solamente qualcosa di diverso. Con il Medioevo si riprende questa visione, pur con alcuni cambiamenti: la figura del pazzo è sì qualcosa di diverso, ma è anche sempre presente nella vita quotidiana, anche se relegato ai margini della comunità. Nel Rinascimento si assiste alla compresenza di due princìpi che sembrano apparentemente opposti: da una parte si ha la convinzione che la pazzia sia una deviazione mentale, e in quanto tale destinata a essere repressa; dall'altra, la si ritiene un'esperienza rivelatrice delle apparenze del mondo, che viene analizzata con crescente curiosità scientifica, nel quadro dello sviluppo dell'interesse per il caso clinico. Se nel XVII Cervantes poteva fare ancora una parodia del folle per l'ambiente dotto, il XVIII secolo, con l'avvento dell'era dei Lumi e del progresso, nascerà la convinzione che la follia sia una malattia. Il folle nella visione medievale era considerato l’emblema dell’insensatezza della condizione umana e, ancora nel 1500, protagonista di un viaggio rivolto verso il nulla, verso l’ignoto, secondo la rappresentazione che ne diede Bosch nel dipinto la Nave dei Folli . Era anche il possessore di un sapere oscuro e proibito, capace di vedere realtà superiori che nascondevano segreti misteriosi e rivelazioni religiose. Insieme sapiens e mago. Sulla scia delle multiformi sembianze che assunse nei secoli, approdando nell’età rinascimentale la pazzia era forza ‘catartica’, consentiva cioè all’animo umano di disinibirsi e liberarsi dalle ‘ansiose preoccupazioni ’, colmandolo di ‘vario piacere ’. Capita spesso, in letteratura, che un autore scelga lo strumento dell’ ironia o anche della satira per trattare di argomenti angusti , complessi, impegnativi e difficili da sviscerare. E fu così che Erasmo da Rotterdam , nel suo Elogio della Follia , fece parlare proprio Lei, la Follia: Follia come libertà di espressione concessa agli infiniti volti dell’animo umano, funzionali all’arte della dissimulazione e dell’inganno di cui gli individui si servono per ovviare alle proprie responsabilità. Ci fu un’altra coscienza poetica, italiana, emblematica del rinascimento: quella di Ludovico Ariosto (1474 – 1533). Egli, come il coevo Erasmo, trattò della Pazzia dell’uomo. La concezione ariostesca della follia è connessa all’ideale umanistico: questa viene scatenata dall’eccesso di passioni e aspirazioni e coincide con la perdita del senno, strumento regolatore dell’uomo e della società. Ariosto narrò il dipanarsi delle avventure del paladino di Carlo Magno, Orlando, protagonista di un romanzo epico cavalleresco che propose (rompendo con la tradizione epica antecedente) la figura di un eroe non più indistruttibile e fatalmente devoto al suo signore e dedito esclusivamente alla guerra. Orlando, vivendo la sua avventura bellica e amorosa, rivelerà tutte le fragilità proprie della natura umana; l’Ariosto ci narrò un eroe ‘umanizzato’ che, per l’amore non corrisposto della sua amata Angelica, perse il senno. Tutto il poema è una immensa allegoria della protensione dell’animo umano a perdersi nell’inseguimento di cose vane e fugaci. Nell’episodio del vallone delle cose perdute, in cui si trova tutto ciò che si perde sulla terra “ o per nostro difetto, o per colpa di tempo o di Fortuna”3, tra sospiri d’amore, sogni irrealizzati, fama e ricchezze, v’è anche il senno degli uomini – tra cui quello di Orlando – racchiuso dentro ampolle di vetro: “ era come un liquor suttile e molle, atto a esalar, se non si tien ben chiuso; e si vedea raccolto in varie ampolle [ …. ] atte a quell’uso. ”4 Mescolati tra loro, i temi della Magia e Pazzia e la duplice materia cavalleresca e amorosa, fanno da sfondo alla sconfitta della Ragione per mano della Passione. Ariosto usa l’espediente boiardesco dell’entrelacement, iniziando la narrazione di una vicenda e interrompendola bruscamente per passare a un’altra. I principali filoni narrativi sono: la follia d'amore che colpirà Orlando, rendendolo furioso e matto di gelosia per la bella Angelica, che preferisce il Saraceno Medoro. Il paladino è destinato a ritrovare la serenità mentale solo dopo che Astolfo avrà recuperato il suo senno sulla luna, luogo dove finiscono tutte le cose perdute sulla terra; la guerra tra cristiani e Saraceni, guidati da Carlo Magno e Agramante; l'avventurosa storia d'amore di Bradamante e Ruggero, i capostipiti della casata degli Estensi. I l nucleo centrale dell’intreccio dei tre filoni è la guerra tra i Mori e i cristiani, attorno alla quale si sviluppano tutte le altre vicende. La follia di Orlando rappresenta la crisi dell’ideale rinascimentale di equilibrio ed armonia. La follia amorosa di Orlando assume quindi un significato più ampio e diventa simbolo di un mondo universalmente dominato da irragionevolezza e irrazionalità. È segno che l’irrazionalità, la follia, la vanità delle azioni umane sono una condizione comune e diffusa. Ariosto nell'Orlando Furioso, stravolge l'immagine dell'eroe dell'Orlando Innamorato di Boiardo, di cui continua pure la narrazione: da eroe della fede, cavaliere razionale, Orlando diventa “furioso”. Immagine dell'”imbestiarsi” di Orlando è sicuramente il momento in cui egli si strappa i vestiti e l'armatura per girare nudo, privandosi della sua umanità. il Don Chisciotte di Cervantes appartiene,invece a quella tradizione letteraria che fa della follia un genere romanzesco. Alonso Chisciano per Cervantes è un folle alienato dalla realtà, per le assidue letture di fantasiosi racconti e non vi è in lui granché di eroico, è evidente – che nel corso del tempo il personaggio si sia sottratto al destino previsto dal suo creatore. Ma procediamo con ordine. Cervantes scrive il Don Chisciotte tra il 1605 e il 1615, in un periodo nel quale l’antica nobiltà spagnola era messa in crisi a causa dell'evoluzione degli eserciti moderni, che ne ridimensionavano il ruolo. E proprio come un piccolo nobile in crisi di identità si presenta Alonso Chisciano, che, “nobiluomo di quelli con la lancia nella rastrelliera”, un po' per noia e un per rievocare i bei tempi che furono, si fa rapire dall'immaginazione leggendo le gesta della nobilt à dei tempi andati, alienandosi dal suo. Per un nobile della fine del '500 infatti era ormai impossibile continuare la tradizione cavalleresca che aveva determinato il rango sociale ereditato dagli avi, perché l'esercito professionale aveva ormai soppiantato i cavalieri, e chi poteva (ovvero l'alta nobiltà) si era riciclato nella amministrazione statale o come mercante, sfruttando le opportunità del Nuovo Mondo (perdendo il titolo nobiliare ma facendo fortuna). Il Chisciotte è una fervente critica ad una classe sociale vecchia e ormai fuori dal mondo, così fuori dal mondo da essere pazza e vedere cose che non esistono, per poi finire a schiantarsi contro il reale proprio come il suo Cavaliere dalla triste figura. Don Chisciotte si presenta come l’intellettuale innamorato dell’azione, il cavaliere dell’ideale e di quelle gesta impossibili che, in quanto tali, sono destinate a sfociare nella pazzia. L’hidalgo diviene preda di una follia che lo spinge a farsi "cavaliere errante" per accrescere la sua fama e rendere onore al suo Paese. La vicenda di Don Chisciotte rappresenta quella contraddizione tra l’aspirazione all’impresa e la realtà. La follia del personaggio consiste nella volontà di raggiungere un obiettivo puramente ideale che non ha riscontri nella realtà. Don Chisciotte vive immerso nel suo mondo, un po' leggendario e un po' folle, in cui lui non è Don Alonso (suo nome di battesimo) ma, appunto, Don Chisciotte della Mancha, Cavaliere dei Leoni, Cavaliere dalla Trista Figura e via discorrendo, cavaliere errante che non sottostà alle leggi del mondo civile ma a quelle antiche della cavalleria, nemico giurato di Mori, stregoni e giganti in nome della sua amata Dulcinea, imperatrice di Castiglia e della Mancia. Per Don Chisciotte l’amore è frutto della necessità, in quanto non esiste cavaliere che non abbia un’amata e un ideale amoroso; Dulcinea del Toboso è quindi un personaggio creato dalla sua fervida immaginazione. Dulcinea è il nome del bisogno d’amore di Don Chisciotte, perché egli è un personaggio che incarna la solitudine, circondato esclusivamente dai suoi libri, e ha necessità di inventarsi l’amore, proprio come inventa la realtà. Il mondo che Don Chisciotte considera reale è, quindi, quello della cavalleria. Si tratta di un sotto-universo assolutamente chiuso agli altri sotto-universi: per Don Chisciotte nei suoi amati libri cavallereschi ci sono
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