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Salvatore Settis e Tomaso Montanari ARTE. Una storia naturale e civile, Schemi e mappe concettuali di Storia Dell'arte

“Barocco” nasce come un’etichetta negativa affibbiata a una stagione culturale che si avvertiva conclusa.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 24/11/2022

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Scarica Salvatore Settis e Tomaso Montanari ARTE. Una storia naturale e civile e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Salvatore Settis e Tomaso Montanari ARTE. Una storia naturale e civile Che cos’è il Barocco? “Barocco” nasce come un’etichetta negativa affibbiata a una stagione culturale che si avvertiva conclusa. Nel dizionario pubblicato dall’Accademia di Francia nel 1740 «la parola “barocco” si usa anche in senso figurato: e significa irregolare, bizzarro, diseguale»; una parola molto vecchia e di incerta etimologia viene riferita a un modo di pensare o di fare arte. Già nel Medioevo “barocco” designava un ragionamento bizzarro e fallace. È nel Dizionario di architettura di Antoine Quatrèmere de Quincy (1788-1825) che quel raro aggettivo si trasforma in sostantivo: «il Barocco in architettura è una sfumatura del bizzarro». Francesco Milizia, basandosi sul passo di Quincy, inaugura, al negativo, la gloriosa carriera semantica italiana della parola: «Barocco è il superlativo del bizzarro, l’eccesso del ridicolo». Presto la parola “barocco” sarà usata per definire anche la pittura e la scultura. oggi gli storici dell’arte tendono a concordare sul fatto che questa etichetta dovrebbe indicare soprattutto il linguaggio figurativo che prese forma a Roma dall’inizio del Seicento, arrivò a maturazione intorno al 1630 e continuò a evolvere fino al 1680, durando fin oltre la metà del Settecento. I primi che usarono “barocco” come etichetta di una stagione artistica volevano dire che il barocco è un sentimento dello spazio diverso da quello corrente nel Rinascimento. Nel 1934 Erwin Panofsky spiegò, in una conferenza intitolata Cos’è il barocco?, che « […] la parola barocca è l’idea di un moto sfrenato, un’esuberante ricchezza di colori e di composizione, effetti teatrali prodotti dal libero gioco di luci e ombre, un’indiscriminata commistione di materiali e tecniche […] la Cattedra di San Pietro (1655-1666) di Bernini sembra diametralmente opposta a un’opera del pieno Rinascimento come la tomba del cardinale Ascanio Sforza (1505-1506) di Andrea Sansovino. […] la distanza che lo separa dal Rinascimento, seppur evidente, è molto meno grande di quella che divide il Gotico dalle dirompenti novità di Brunelleschi, Donatello e Masaccio. […] con le parole di Panofsky – si può dire – che il Barocco non rappresenta il declino, per non dire la fine, di quella che chiamiamo epoca rinascimentale. È invece il secondo grande apogeo di questo periodo e, al contempo, l’inizio di un quarto periodo che potremmo definire Moderno con la emme maiuscola». Ci sono due modi per intendere il Seicento figurativo: o come «il portiere di notte del Rinascimento» (usando l’espressione di Roberto Longhi), cioè come la conclusione di un ciclo storico iniziato nel Quattrocento; o come il periodo in cui nasce l’arte moderna, quella che arriva fino ai nostri giorni. Se c’è una differenza vera e profonda tra il Barocco e il Rinascimento è proprio la consapevolezza della propria modernità: che significa anche una tormentata consapevolezza della propria fragilità, della propria relatività. Perché per gli artisti nati degli anni settanta del Cinquecento in poi, guardarsi indietro doveva essere un incubo: perché significava confrontarsi con l’intera opera di Tiziano, Raffaello e Michelangelo, e con moltissimi altri colossi la cui statura non verrà più messa in discussione. Uno dei tratti fondamentali del Barocco è il superamento dei confini: come il confine tra lo spazio, fisico o psicologico, della realtà e lo spazio dell’arte; il confine tra i vari generi artistici e tra le diverse tecniche. L’arte barocca è un continuo tentativo di forzare le regole. Italia-Europa 1595-1620: una rivoluzione nell’arte Cap. 1 – La vera natura di Annibale Carracci e Caravaggio 1. Il giorno del giudizio: Caravaggio incontra Annibale Carracci Vite dei pittori, scultori e architetti moderni dello storico dell’arte Giovan Pietro Bellori (1613- 1696), che uscirono a Roma nel 1672, è un libro che individua con chiarezza i confini e i protagonisti di una nuova stagione della storia dell’arte. Per Bellori i primi sintomi di una forte discontinuità rispetto all’arte manierista si registrano nell’ultimo decennio del Cinquecento grazie a due artisti dell’Italia del Nord: Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) e Annibale Carracci (Bologna, 1560 – Roma, 1609). Il teatro di questo strappo è Roma, dove entrambi i pittori giungono. Un terzo decisivo innovatore è il è pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Per Bellori tutto il periodo che va dal 1595 circa almeno fino al 1672 è leggibile come uno sviluppo coerente di queste premesse. La ricerca moderna sull’arte del Seicento ha confermato la sostanziale validità del nucleo delle intuizioni di Bellori. Il Barocco da Roma si allargò – ma in modo diseguale, a macchia di leopardo – all’Italia e all’Europa. Santa Caterina dei Funari a Roma. in Santa Caterina dei Funari a Roma, nel 1599, nell’arte italiana era avvenuta una rivoluzione. Sull’altare della prima cappella a destra fu collocata la prima opera pubblica romana di Annibale Carracci: la SANTA MARGHERITA (1599; cappella Bombasi). Deflagrava il contrasto tra l’esausta pittura dell’ultimo Manierismo romano e quella di Annibale. Accanto, la cappella Ruiz ospita un’affollatissima non su quello del contenuto, ciò significa revocare in dubbio il primato della pittura di storia rispetto a quella di genere: significa contestare il primato della figura umana, e dunque rivendicare un’autonomia e una dignità per il mestiere dell’artista. Da qui l’avvio della rivoluzione moderna dell’arte per l’arte, dell’arte senza altro scopo che sé stessa. La Canestra di frutta e la Maddalena pentita. La CANESTRA DI FRUTTA e la MADDALENA PENTITA sono dipinte entrambe nel 1595. La Canestra è difficile inquadrarla in un genere: il modo solenne con cui le forme occupano lo spazio; la trasfigurazione degli oggetti su un piano monumentale; la luce assoluta e il silenzio sacro che presiede. È solo frutta, è vero: ma ritratta con la dignità, la maestà e la pienezza di senso che era riservata alle immagini dei santi della divinità. La Maddalena pentita nega la sua natura di quadro sacro, come ben vide Bellori. Il pavimento, la sedia, la luce sono quelli dell’umile studio di Caravaggio: e questo set non viene nascosto o negato, ma anzi diventa il vero protagonista del quadro. È l’inizio di una tradizione: quella dell’atelier dell’artista come soggetto e insieme oggetto della pittura che vi si pratica. 4. Storie senza azione: Caravaggio sugli altari Sia Annibale che Caravaggio riuscirono nel 1600 a pubblicare un’opera importante per dimensioni, committenza, impatto: il primo alla Galleria Farnese e il secondo nella Cappella Contarelli. La storia dell’arte occidentale volta decisamente pagina. La Cappella Contarelli. Nel 1599 il cardinale Francesco Maria Del Monte ottenne la prima commissione davvero importante per Caravaggio: tre tele per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. I soggetti dei tre quadri erano stati fissati molto prima dal cardinale francese Mathieu Cointrel, che aveva scelto le storie di Matteo, cui lo legavano il nome e il rapporto critico col denaro. nella VOCAZIONE DI SAN MATTEO il banco dei gabellieri è una tavolata di giocatori: gli stessi modelli, gli stessi abiti contemporanei, lo stesso taglio a mezze figure che fino a quel momento gli erano serviti a fare quadri di bari e indovine. Intorno a questa tranche de vie: buio sotto il tavolo, buio sopra le teste, in una specie di grande e desolato scantinato che ritrae molto semplicemente lo studio dell’artista. La porta in cima alle scale è rimasta aperta, da lì il fascio di luce che accompagna l’ingresso dei due soli personaggi in abiti antichi: un goffo Pietro e Cristo. Il MARTIRIO Roberto Longhi lo descrisse come un «fattaccio di cronaca nera entro una chiesa di Roma ai suoi giorni»; con l’artista che si autoritrae nella zona grigia dei codardi che non osano contrastare il sicario inviato dal re a uccidere il santo. E poi SAN MATTEO, la cui prima versione venne rifiutata, che sull’altare parla con un angelo impertinente, mentre è in bilico su uno sgabello che rischia di farlo cadere sulla mensa d’altare. Federico Zuccari, commentando le tele, fu in grado di leggere la continuità tra Caravaggio e Giorgione: una continuità oggi intesa in un duplice senso. Da una parte, Caravaggio si connette direttamente alla pittura del primo Cinquecento (e a una pittura naturalista e colorista di tradizione veneta e non tosco-romana), dall’altra Zuccari allude alla libertà del rapporto tra Giorgione e i soggetti religiosi, alla sua tensione verso l’abbattimento dei confini tra i generi e alla sua attualizzazione della storia sacra. Carracci e Caravaggio in Santa Maria del Popolo. L’unico luogo pubblico dove le opere di Annibale e quelle di Caravaggio si incontrarono fisicamente fu Santa Maria del Popolo, nella cappella Cerasi, acquistata da Tiberio Cerasi e ammodernata dall’architetto Carlo Maderno. Carracci, Assunzione di Maria. L’ASSUNZIONE DI MARIA (1600-1601) fu affidata ad Annibale. Il quadro evocava un dipinto lontano da Roma: l’Assunta pirotecnica che Tiziano aveva fatto per i Frari di Venezia. Lo stesso modo di macchiare d’ombra i volti degli apostoli, lo stesso trionfo di colore. Ma in Tiziano non c’era una simile costruzione di corpi intrecciati. Annibale seppe tenere insieme Tiziano e Raffaello. Ma né in Tiziano né in Raffaello si trovava quel senso di moto violento: l’ASSUNTA (1600-1601) di Annibale sembra sparata fuori da quella tela come un bolide lanciato più verso lo spettatore che avanza nella navata, che non verso un cielo metafisico. Caravaggio: Crocifissione di Pietro e Conversione di Saulo. Tutto clamore, moto e luce in Annibale, tutto silenzio, immobilità e buio in Caravaggio. La CROCIFISSIONE DI PIETRO e la CONVERSIONE DI SAULO (1600-1601) apparvero a Bellori come storie senza azione, dove il tempo viene annullato e viene esaltato lo spazio. Come in un fotogramma Caravaggi ha bloccato l’atroce fatia degli aguzzini bestiali, spossati dal peso fisico del corpo di Pietro da innalzare sulla croce; non si aprono cieli, non scendon angeli. Non c’è annuncio di resurrezione, non c’è speranza: solo il silenzio sporco e disperato. Un altro eterno fermo immagine blocca anche la meravigliosa folgorazione di Saulo, caaduto a terra e illuminato da una visione che il Caravaggio non sa mostrarci perché tutta mentale e privata. Caravaggio, Morte della Vergine. Questa inaudità radicalità conobbe subito un imprevedibile successo: la Deposiozione, la Madonna del Rosario, la Madonna dei Pellegrini, la Morte della Vergine per Santa Maria della Scala in Trastevere, la Madonna dei Palafrenieri. La MORTE DELLA VERGINE (1604-1606), opera anticonformistica, probabilmente non fu mai esposta sull’altare: i padri carmelitani la rifiutarono per la troppa imitazione con cortigiana da lui amata. Il violento realismo del quadro era inaccettabile. È una morte: senza angeli, senza gloria, senza assunzioni al cielo, senza nessun segno di trascendenza né di speranza. È una situazione letteralmente disperata. Chi avrebbe potuto guardare a una Madonna che non era una madre rassicurante e onnipotente, ma sembrava una sorella fragile, colpita dallo stesso destino di povertà e morte che falciava i fedeli? Se il clero e il popolo non riuscivano ad accettare tutta questa verità, gli artisti compresero che si trattava di un capolavoro senza precedenti. Pieter Paul Rubens convinse il duca di Mantova ad acquistarlo per la sua collezione. 5. Storie di carne: Galleria di Palazzo Farnese Galleria di Palazzo Farnese a Roma: palestra della scuola romana dei Carracci, vero avvio del Baocco e accademia della pittura europea. il committente della decorazione della sala fu il cardinale Odoardo Farnese. La potenza di Amore è il vero tema degli affreschi: e in particolare l’alterno rapporto tra l’Amor celeste e l’Amor terreno. Annibale utilizzò una struttura pittorica complessa, scalata su vari livelli di illusione: la sala pare coronata da una sorta di altana, immaginata come un’architettura antica. Il primo ordine è scandito da telamoni di marmo, separati da grandi medaglioni bronzei ossidati, e da quadri (ora inseriti direttamente nell’architettura, ora bordati da illusionistiche cornici dorate) che raffigurano celebri episodi degli amori degli dei. Il secondo ordine consiste nella volta vera e propria, composta da una serie di quadri riportati, tra cui al centro il TRIONFO DI BACCO E ARIANNA e l’incontro tra la Venere celeste e quella terrena. Nel palazzo del cardinal Farnese era tornata a spirare la libertà dell’antichità e del Rinascimento: era ormai solo un ricordo il rigore del Concilio di Trento. Basta guardare alla scena di GIOVA E GIUNIONE: l’aquila con i fulmini e il pavone non bastano a camuffare una scena dall’altissima temperatura erotica. Fu la pittura in sé, e non i soggetti, a segnare una svolta epocale, venendo riconosciuta come uno degli apici dell’intera storia artistica italiana: e la vocazione pubblica dell’ambiente della Galleria fece velocissimamente deflagrare questa novità. Annibale non è più solo il grande naturalista rivoluzionario nutrito della pittura padana e veneta del Cinquecento, ma è ormai colui che più di ogni altro ha saputo metabolizzare la lezione del grande Rinascimento toscano e romano. La Galleria Farnese è una riscrittura della volta della Sistina di Michelangelo.
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