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Samuel Beckett "Waiting for Godot", "Endgame", "More Pricks than Kicks" and "Krapp's last Tape", Appunti di Letteratura Inglese

Appunti Letteratura Inglese III Samuel Beckett

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 20/06/2019

edgar-poe
edgar-poe 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Samuel Beckett "Waiting for Godot", "Endgame", "More Pricks than Kicks" and "Krapp's last Tape" e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Esslin Theater of the Absurd Il Teatro dell’Assurdo può essere visto come un riflesso di ciò che rappresentano le attitudini del nostro tempo, il tratto caratteristico di quest’attitudine è il fatto che tutta quella certezza nei confronti degli anni passati vengono qui distrutte, fondamentalmente dalla Seconda Guerra Mondiale. É proprio nel 1942 che Albert Camus, filosofo e scrittore, da vita all’aggettivo “Absurd” descrivendo nella sua opera The Myth of Sisyphus, la condizione umana durante gli anni di guerra. “Assurdo” però viene qui inteso come ‘out of harmony’, senza ragione, illogico e non nel senso che si intendo oggi, ovvero “ridicolo”. Inoltre, in un essay su Kafka, Eugene Ionesco, un altro autore francese, definisce la parola come: “Assurdo, è quello che evita qualsiasi scopo. L’uomo, allontanato dalla sua religione e dalle sue radici, è perso; tutte le sue azioni diventano prive di senso, assurde, inutili”. Queste sensazioni presente all’interno dell’uomo sono ampiamente descritte nelle opere di Beckett, Adamov, Ionesco e molti altri. Tuttavia non è semplicemente il materiale descritto ad essere considerato parte del Teatro dell’Assurdo; è importante soprattutto il linguaggio con cui questi elementi vengono dipinti. Tematiche simili le ritroviamo infatti anche nei lavori di altri scrittori come Sartre e Camus stesso. Quest’ultimi presentano il senso di irrazionalità della condizione umana in maniera lucida, logica e con un linguaggio poetico ed alto. Il Teatro dell’Assurdo ha rinunciato a parlare di queste sensazioni e preferisce mostrarle nel loro essere applicando un linguaggio del tutto rivoluzionario. Questo tipo di Teatro, quindi, può essere considerato parte di quei movimenti “anti-letterari” che si stavano affacciando intorno a quegli anni (sia in pittura che in letteratura), specialmente in Francia. Non è un caso, infatti, che questa nuova tipologia di fare teatro nasca proprio in territorio francese e dove autori come Samuel Beckett e Arthur Adamov non solo trovarono qui un’atmosfera che permetteva loro di sperimentare la loro arte liberamente, ma trovarono anche molte opportunità di lavoro. Ugualmente importante, è proprio Parigi che ha un pubblico intelligente, ricettivo e aperto nei confronti di nuove idee e tecniche. Bertinetti Nel Novecento ci sono state fondamentalmente solo due nuove idee di teatro, entrambe contrapposte (anche se in modo diverso) al teatro naturalistico borghese: quella di Beckett e quella di Brecht. La premessa di Brecht era che il mondo di oggi poteva essere descritto dagli uomini solo se lo descrivevano come un mondo che poteva essere cambiato, un mondo trasformabile. La tradizionale forma di teatro coinvolgeva lo spettatore, gli consentiva sentimenti e suggestioni, presentava l’uomo come immutabile. Solo la forma epica del teatro, che faceva dello spettatore un osservatore, che lo costringeva a decisioni, che faceva appello alla razionalità e non al sentimento, che rappresentava una realtà mutabile, poteva esprimere il mondo contemporaneo. Il teatro epico apparteneva, come spiegava Brecht, alla drammatica non-aristotelica, a una drammatica che non faceva un uso “sconsiderato” dell’immedesimazione e che stabiliva invece un effetto di distacco e di estraniamento tra scena e spettatore. Gli strumenti con cui ciò avviene nel teatro di Brecht sono quelli dell’interruzione della finzione, attraverso le canzoni che incitano lo spettatore a farsi un’idea propria e attraverso una scenografia che non produce l’illusione di un luogo reale. La stessa convinzione è alla base della scelta di Beckett che, come diceva Adorno, il maggiore interprete filosofico del teatro beckettiano, si trova di fronte un mondo di “uomini che sono strappati gli uni dagli altri e da se stessi” e quindi incomprensibili gli uni agli altri, in una società uscita dalla Seconda Guerra Mondiale e dall’Olocausto e quindi anch’essa irriconoscibile. Già con “Aspettando Godot”, scritto negli anni Quaranta, Beckett afferma pienamente la sua idea di teatro, prendendo a prestito la forma dominante fin dalla fine dell’Ottocento, quella che Peter Szondi, critico letterario e filologo chiama “dramma conversazione”, svuotandola dal suo interno, riducendo la conversazione ad un semplice dialogo fine a se stesso e privato della sua funzione significante. L’atteggiamento dei critici inglesi nei confronti di Samuel Beckett è stata a lungo segnata dall’imbarazzo. In effetti il loro disagio aveva una giustificazione nell’estraneità dell’opera di Beckett agli sviluppi del teatro britannico della prima metà del Novecento; ma questo era vero anche nei confronti del teatro Francese. In entrambi i paesi, si registrano diverse esperienze che fanno al di là del Naturalismo, ma la forma teatrale predominante rimane quella del “dramma conversazione”; ed è proprio contro di questa che si afferma il teatro di Beckett che ne conserva l’involucro sottraendone il senso. più bisogno di ricercare il tempo perduto; tutto è registrato e catalogato. Il nastro che ascoltiamo è sì pieno di ricordi, ma sono ricordi “a caldo”, non ricostruiti con la memoria. Krapp non ricostruisce trent’anni dopo gli episodi del passato, che anzi ha dimenticato. Questo è bloccato nella registrazione. McDonald Nonostante i suoi amici e conoscenti descrivono Beckett come un uomo gentile e generoso, sappiamo anche come avidamente cercava di tenere privata la propria vita. Quando però il suo autore biografico (?) gli fece notare la ricorrenza delle immagini dall’Irlanda nei suoi scritti, lui rispose che effettivamente erano una specie di ossessione. Nei suoi primi scritti (come More Pricks than Kicks, 1934, o Murphy, 1938), in verità, sono molti gli elementi autobiografici presenti. Nella sua fase artistica post-Seconda Guerra Mondiale però, queste allusioni alla sua vita cominciano a farsi più rare o più difficili da individuare. Non bisogna però cercare in ogni sua opera questi elementi, dal momento che non è assolutamente così che si va a decifrare il senso totale di essa. Samuel Beckett nasce il 13 Aprile 1906 in un paesino poco distante da Dublino. Secondogenito di William Frank Beckett e Maria, entrambi protestanti. Beckett frequentò inizialmente una scuola privata per poi passare in un collegio (boarding school) fino a laurearsi al Trinity College di Dublino nel 1927. In seguito alla laurea, Beckett passò 9 mesi ad insegnare nel Campbell College in Belfast per poi abbandonare l’infelice incarico e trasferirsi a Parigi e lavorare, ancora una volta, come insegnante. A Parigi cominciò ad entrare nei circoli letterari e artistici: è qui che incontrò infatti, il poeta e critico d’arte Thomas MacGreevy che lo avvicinerà alla società letteraria francese composta principalmente dalla cerchia di James Joyce. L’autore di Ulysses influenzò in maniera decisiva il giovane Beckett, ma allo stesso tempo, quest’ultimo realizzò che doveva trovare una strada autonoma nella sua produzione letteraria. Nel 1929 venne pubblicata la sua prima short story “Assumption”. Nel 1930 tornò a Dublin dove ricominciò ad insegnare nel college dove si era laureato ma questa città metteva continuamente a dura prova le sue condizioni psicologiche. Ciò che potrebbe essere individuata come causa di tale peggioramento psicologico, è il difficile rapporto che l’autore aveva con sua madre, una donna gentile ma allo stesso tempo severa e autoritaria. L’anno successivo, si dimise dal Trinity College e si trasferì in Germania; è qui che generalmente viene considerato l’inizio del periodo di “vagabondaggio” di Beckett, caratterizzato da continui spostamenti e sfrenata ricerca di denaro che, più di una volta, lo costrinse a tornare a casa in Irlanda. Durante questi anni di malattia psicologica e fisica, cominciano a prendere vita alcune storie che poi andranno a comporre l’opera “More Pricks than Kicks” (1934) come, ad esempio, “Yellow”. Tra il 1936-1937 Beckett torna in Germania e comincia a scrivere dei Diari che rappresentano una fonte molto importante di informazioni. Particolarmente importante è l’ideale politico che si formerà nell’autore durante questi anni passati nella Germania nazista. Nonostante qui si noti uno sdegno non indifferente nei confronti delle leggi antisemite e di Hitler, abbiamo anche una qualche critica verso le proteste anti naziste dei suoi amici artisti. Il 6 Gennaio 1938, Samuel Beckett venne accoltellato per le strade parigine, non si sa per quale ragione. Il colpo fu sferrato a pochi dal suo cuore e l’autore fu ricoverato in ospedale dove amici e parenti, compresa la madre, si presentarono al suo capezzale. Tra le persone presenti a sostenere e aiutare Beckett durante questi momenti, troviamo anche Suzanne Deschevaux-Dumensil, una donna francese che lui non conosceva bene ma che aveva incontrato dieci anni prima. Il legame tra i due diventerà sempre più forte fino a che non rimasero insieme (sposandosi anche, in segreto) per tutta la vita. La presenza di Suzanne nella vita di Beckett fu importante anche dal punto di vista della sua carriera letteraria: fu infatti lei a dedicarsi alla ricerca di un editore per i suoi scritti. Durante gli anni dell’invasione tedesca in Francia, lo scrittore cominciò a provare un risentimento sempre più forte nei confronti della Germania nazista tanto che entrò a far parte del gruppo di Resistenza di Parigi. Nel 1942, tuttavia, il gruppo venne scoperto e la gran parte dei suoi membri venne arrestata e portata nei campi di concentramento mentre lui e Suzanne riuscirono a trovare riparo nella parte non occupata della Francia. Nei suoi scritti ci sono dei precisi riferimenti alla guerra: la confusione generale e l’atmosfera di persecuzione che si avvertiva in quegli anni sono evidenti nelle ultime opere. La guerra sembra anche aver contribuito ad un radicale cambiamento di direzione nei suoi lavori: al contrario dei suoi primi scritti, influenzati principalmente dall’amicizia con Joyce, Beckett ora vi inserisce ignoranza e impotenza. Un altro importante cambiamento fu la decisione di scrivere principalmente in francese ed è proprio in questa lingua che verrà creato il primo romanzo nel 1946 “Mercier et Camier”. Durante lo stesso anno, scrisse quattro novelle che anticiparono, dal punto di vista formale e tematico, la principale trilogia di romanzi pubblicati negli anni ’50. Nel frattempo, nel 1947 Beckett mise in scena il suo primo full length play “Eleutheria”. Nonostante sia un play pieno di difetti, vediamo di nuovo la presenza di elementi autobiografici. Finalmente negli anni Cinquanta pubblica ciò che gli consentì di entrare nel pantheon di grandi scrittori; stiamo parlando della trilogia: Molloy, Malone Dies, The Unnamable e del famosissimo lavoro teatrale “Waiting for Godot” scritto tra il 1948 e 1949. Ancora una volta, fu grazie a Suzanne che il play trovò un luogo dove prendere vita: nel 1953 vennero stanziati finalmente abbastanza soldi per rappresentare l’opera a Parigi dove suscitò un grandissimo interesse tra il pubblico. Nonostante tuttavia il successo degli ultimi anni, i problemi psicologici si fecero sentire nuovamente; specialmente con la morte, nel 1954, del fratello Frank. Questo senso di perdita e di dolore andrà poi a caratterizzare gli grandi successi teatrali di Beckett: Endgame e Krapp’s Last Tape. La malattia dell’autore alla fine ebbe la meglio su di lui e nel 1989 morì a Parigi a causa di un problema respiratorio. “Waiting for Godot” Il paesaggio e l’azione (o meglio la mancanza di essa) non possono non essere più semplici: una semplice strada di campagna con una montagnola, un albero e due vecchi soggetti che aspettano il loro appuntamento con un uomo misterioso di nome Godot, che non arriva mai. Il significato di questo play è incerto. Una delle prime domande che lo spettatore si chiede durante la visione dell’opera è chi o cosa sia Godot. Potrebbe essere Dio, dalla somiglianza del nome Godot con God? A suggerirlo è anche una descrizione che un ragazzo alla fine di ogni atto ci fa dell’uomo: un vecchio con una lunga barba bianca, classica rappresentazione occidentale di Dio. Dopotutto, Godot da agli altri due personaggi, Estragon e Vladimir, uno scopo nelle loro vite analogo a quello religioso. Può quindi forse l’opera rappresentare un’allegoria di un’esistenza post-teistica? (tesitico: credenza di una divinità, dottrina monoteistica, concepisce Dio come personale, presente e attivo nella vita di tutti i giorni). Scritto pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Dio/ Godot sembra aver abbandonato il mondo mutilato dai conflitti e di Lucky, egli dice che la causa di tutte le sofferenze umane non è sconosciuta. Non è esattamente corretto dire che i personaggi di Beckett siano innocenti; piuttosto, possiamo affermare che la fonte del loro senso di colpa è sconosciuto ed elusivo. Nella cultura occidentale il senso di colpa per eccellenza deriva dal Peccato Originale e, come abbiamo visto, Waiting for Godot allude a questo elemento biblico e allo stesso tempo lo smonta (vediamo come nel primo atto, Estragon afferma di chiamarsi Adam, alludendo al primo Uomo sulla terra creato dalla costola di Eva). Riassumendo, quindi, la vita messa in scena in Waiting for Godot è caratterizzata da noia, abitudine e sofferenza. Incolpare tale condizione umana a movimenti politici o sociali sarebbe l’equivalente di “incolpare gli stivali per i difetti dei piedi”, citando una frase di Vladimir. La condizione umana è quindi apolitica, oltre qualsiasi situazione sociale e storica. “Endgame” Endgame è ambientato in un mondo ancora più insolito rispetto a quello di Waiting for Godot. Tutto ciò che c’è all’esterno di questa specie di Bunker, se crediamo alle parole di uno dei protagonisti Clov, è grigio, deserto e senza vita. I personaggi hanno memoria di un mondo simile al nostro ma quello in cui vivono ora è svuotato ed estinto. La disabilità fisica è un tema che era apparso anche nell’opera antecedente ma qui Beckett la rimarca con più enfasi […] Questo ambiente così desolato ci appare come un mondo post- apocalittico e, facendo attenzione all’epoca in cui è stata scritta l’opera, si potrebbe ipotizzare che l’autore vi abbia inserito preoccupazioni legate al procedere della Guerra Fredda e il terrore di un attacco nucleare da parte di una delle due Grandi Potenze. Tuttavia anche qui la spiegazione del perché tutto è grigio e spoglio, come d’altronde in Waiting for Godot, non ci è concessa. Anche Endgame quindi nega qualsiasi possibile spiegazione filosofica o ancor meno biblica, quasi in maniera più accentuata dell’opera precedente. Sembra quasi come Beckett, avendo visto le molte possibili interpretazioni di Waiting for Godot, avesse dato vita ad un play ancora più complesso che potesse allontanare qualsiasi possibile spiegazione allegorica. Come afferma infatti uno dei maggiori critici degli scritti beckettiani, “Cercare di trovare un senso a Endgame porterebbe solo a comprendere che l’opera non è assolutamente comprensibile”. La sensazione di benevolenza ed amicizia presente nel rapporto tra Estragon e Vladimir qui non è presente, o è presente in piccola parte solo nei due personaggi secondari Nell e Nagg. Il rapporto invece tra i protagonisti, Hamm e Clov si avvicina di più a quello di padrone-servitore di Pozzo e Lucky anche se caratterizzata da un reciproco senso di subordinazione. Clov si sente tormentato da Hamm (possiamo anche sottolineare come Clov in francese si avvicina alla parola ‘chiodo’ e Hamm a ‘hammer’, martello) ma allo stesso tempo riesce a tenergli testa. Questi due personaggi hanno tuttavia una cosa in comune: entrambi soffrono ed entrambi riflettono sul loro tormento già nelle prime battute del play. L’aspettativa di quest’opera non è riguardo un utopico salvatore pronto a tirarli fuori dalla loro sofferenza, ma riguardo il conforto e il sollievo di una fine imminente. Come in Waiting for Godot, abbiamo un doppio significato e utilizzo del tempo: tempo visto come fonte di degrado ed esaurimento e tempo inteso come ripetizione. È il tempo a portare cambiamento e perdita all’interno del mondo in cui vivono i personaggi ed è allo stesso momento, semplicemente un ciclo, una routine che questi devono patire sottolineando, come per i due personaggi dell’opera precedente, l’aspetto metateatrale della ripetizione del play notte dopo notte “Why this farce, day after day”. All’interno del play notiamo la presenza di un forte sentimento di nostalgia, i personaggi sono molto più consapevoli rispetto ad Estragon e Vladimir di cosa hanno perso; insieme con la nostalgia del mondo perduto, c’è una sorta di soddisfazione del fatto che tutto stia cadendo a pezzi e che tutte le sofferenze della vita stiano giungendo ad una fine. Il mondo è talmente malvagio che la fine di esso è ben accetta. Anche qui sono molto presenti gli elementi metateatrali, come lo erano in ‘Waiting for Godot’: abbiamo per esempio la scena dove Hamm e Clov cominciano a descrivere la audience presente nel teatro, o si danno consigli e giudizi sulle battute altrui. Abbiamo anche un sentimento di movimento regolare e di precisione all’interno della rappresentazione teatrale: lo dimostra la costante preoccupazione di Hamm di trovare il centro della stanza. Questo aspetto potrebbe alludere al gioco da scacchi da cui deriva anche il nome dell’opera, ‘Endgame’. Le azioni sembrano non volontarie, ma i personaggi assomiglierebbero a delle pedine che vengono mosse da forze a loro sconosciute e, ovviamente, fuori dal loro controllo. Questo fatto che le azioni dei personaggi siano già decise evidenzia ancora una volta l’aspetto metateatrale del play, ma allude anche alla concezione filosofica del determinismo, molto vicina al pensiero di Beckett. ‘Krapp’s Last Tape’ L’opera vede come protagonista l’ormai sessantenne Krapp, solo nella sua tana, commentando la registrazione che fece trent’anni prima durante il sue trentanovesimo compleanno. Quello che interessa a Krapp non è tanto la strada che ha percorso durante la sua vita, quella che lo ha condotto alla condizione in cui si trova ora, ma piuttosto quella da cui è fuggito. Chiaramente, come nella maggior parte delle opere di Beckett, troviamo i protagonisti concentrarsi particolarmente sul passato; tuttavia qui abbiamo un approccio diverso nei confronti del tempo. Non troviamo qui infatti nostalgia, ma piuttosto rimpianto. In più, abbiamo visto come i personaggi di Beckett non sono molto affidabili quando si tratta di ricordare il proprio passato, qui invece il passato è certo dal momento che è registrato, ma questo aspetto non fa altro che aumentare il sentimento di certezza dello scorrere del tempo. L’utilizzo di un registratore in scena risolve anche uno dei più costanti problemi nei drammi basati sul monologo: nonostante ci sia effettivamente una sola persona in scena, abbiamo due psicologie diverse, quella di Krapp sessantenne, e quella di Krapp giovane. Diverso è quindi non solo il modo di pensare dei “due personaggi” (Krapp giovane è molto più energetico rispetto al Krapp del presente) ma anche il linguaggio: il vocabolario del primo, infatti, è molto più specifico ed arcano tanto che il Krapp più anziano deve molte volte far riferimento al dizionario per capire cosa lui stesso del passato volesse dire. Non vi sono solo differenze, troviamo anche molte continuità nei comportamenti: come la descrizione della tana, l’abitudine di mangiare banane e di bere alcol. I grandi rimpianti che troviamo nell’opera sono legati a fallimenti amorosi e commerciali. È in questi rimpianti che troviamo la differenza rispetto agli altri scritti di Beckett: se l’infelicità di Hamm non può essere spiegata se non dalla volontà del destino, qui il fallimento di Krapp può dipendere essenzialmente da scelte di vita sbagliate, confutando, almeno in parte, la teoria del determinismo beckettiano. Nonostante Krapp avesse un minimo di controllo sulla propria vita, l’autore anche qui impedisce qualsiasi possibile soluzione all’infelicità dei suoi personaggi. “More Pricks than Kicks” È una collezione di 10 storie, si tratta della sua prima fiction pubblicata in prosa.
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