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Sandro Bellassai, L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia, Appunti di Storia Contemporanea

Riassunto del testo “L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia”

Tipologia: Appunti

2021/2022

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Scarica Sandro Bellassai, L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia e più Appunti in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! L’ INVENZIONE DELLA VIRILITÀ Il virilismo è stato un'invenzione; sul piano storico ha coinciso con una formazione culturale (insieme di parole, principi, atteggiamenti) che si è affacciata alla storia politica delle società occidentali nella seconda metà del secolo XIX. Il concetto di "virilità' non era nuovo all'epoca ma nel corso dell' ‘800 si avviò a rivestire una importanza maggiore come ingrediente delle retoriche pubbliche (sopratuto patriotiche) per poi diventare un concetto ricorrente nei discorsi intorno al passato, presente e futuro della società e nazione. In un'epoca in cui l’opinione pubblica aveva un carattere maschile, il protagonismo delle donne venne visto come una macchia per gli assetti sociali del potere, ovvero della supremazia maschile; buona parte delle voci maschili venne così costruendo una prospettiva politica il cui asse fondamentale fosse una mascolinità rafforzata nei suoi attributi simbolici di forza, coraggio, vocazione al dominio e disposizione all'azione brutale. Accanto all'avanzata delle donne, anche le trasformazioni a tutti i livelli che la società conobbe nella fine del secolo, sembrarono prefigurare una decadenza della sicurezza maschile nel pubblico e nel privato. I processi di modernizzazione economica, sociale, politica e culturale pareva sia creare un disordine morale che attaccava la sicurezza e stabilità del dominio maschile e sia mettere in discussione il primato morale della tradizione a cui quel dominio si legava. Alla supremazia maschile corrispondeva un sorta di dotazione identitaria dell'uomo sintetizzabile nel termine "virilità": se la modernità significava indebolimento del dominio e quindi della virilità, la reazione maschile fu di rilancia la virilità stessa conferendone una valenza ideologica e mitologica e impregnando quindi di virilismo ogni ambito sociale, morale, politico. Dato che il genere maschile si presumeva rappresentare l’umanità, questa battaglia per virilizzare la società fu ovviamente presentata come una prospettiva necessaria alla salvezza dell' umanità. Scopo del libro = tratteggiare alcuni passaggi essenziali di una storia del virilismo come ideale politico ; aggettivo che si riferisce non solo al sistema politico, ma a dinamiche sociali e culturali che definiscono e possibilità limite della libertà e del potere nelle relazioni tra uomini e donne. Si parla più che altro di une diversione di costruzione sociale dell' immaginario collettiva, pubblica, normativa: che pretende di influenzare il senso comune della parte politicamente decisiva della popolazione. VIRILITA E STORIA POLITICA Virilismo in due periodi: belle époque e dittatura fascista Fase originaria per esaltazione politica della virilità in età contemporanea Fase che rappresentò il vero momento di gloria della virilità. Nel ventennio fascista era sinonimo di fascista (italiano) il termine virile + normativa che regolava le relazioni sessuali interrazziali R 3 -> &· I && Ie I / · -)·* RI ↳↓ ·↳ O S / I L Ci sarebbe voluta una vera discontinuità epocale sul piano degli assetti sociali prodotta dalla trasformazione degli anni ‘50 e ‘60, perché le retoriche viriliste conoscessero una delegittimazione storica. Dal secondo dopo guerra, degli anni del "boom", le grandi trasformazioni sociali e politiche più egualitarie misero in crisi la configurazione identitaria maschile: progressivo riconoscimento dei diritti delle donne e liberazione dell'etica, emersione di un pluralismo identitarlo nel genere maschile, segnarono il declino del classico virilismo + decadenza della tradizione come riferimento morale primario. Tale cambiamento culturale segnò il fallimento del tentativo di reinventare la virilità" per proteggere il castello identitaria della mascolinità tradizionale delle modernità e dall' emancipazione femminile. Dal 1970 ( es. movimenti femministi) ai primi anni del 2000, fu un periodo di agonia terminale del virilismo. Anche se il virilismo aveva lasciato la scena principale, le dinamiche culturali e politiche maschili che eo avevano prodotto non erano scomparse. Questo ha portato ad una confusione nell'identità maschile; ancora oggi, assistiamo alla ripetizione di un copione visto mille volte, cioè, una storia di insicurezze maschili destinate a condizionare democrazia e libertà della società. LA VIOLENZA IMPERIALISTA Il nazionalismo è stato la più grande ideologia delle contemporaneità, secondo l'ipotesi dello storico Mosse, che avrebbe avuto come nucleo principale l'ideale virile. Tra ‘800 e ‘900, la nuova declinazione politica della nazione,una e potente: incarnazione politica della virilità collettiva e gli uomini la esprimevano anche perché agivano come devoti figli della nazione. In varie occasioni negli ambienti nazionalisti o imperialisti, “virile” divenne sinonimo di uomo disponibile a esercitare violenza contro il nemico e a imporre così un ordine dispotico , gerarchico. LA SOLUZIONE VIRILE Ultimi decenni dell' ‘800: giunse alla ribalta una "questione femminile che sfidava la logica contraddittoria dell'ugveglienza umana: tutti gli uomini sono uguali, ma non tutti gli esseri umani sono uomini. A fine ‘800, si formavano le prime associazioni femminili nazionali per il suffragio. Gli uomini sentivano il protagonismo femminile come una minaccia, insicuri della loro virilità. Questa apparente avanzata delle donne era riassunta in molti discorsi maschili in un'espressione: femminilizzazione della società. Era un'epoca caratterizzata da una tendenza moderna vista come frutto avvelenato del progresso e per questo il protagonismo femminile era associato alla modernità. Istruzione universitaria si apriva alle donne, nelle arti e spazi di cultura si moltiplicavano le celebrità femminili, c'erano nuove schiere di lavoratrici indipendenti economicamente. La misoginia condannava il mutamento dell' identità femminile come fenomeno sociale diffuso; la volontà degli uomini era difendere il loro equilibrio identitario il cui destino appariva legato alla stabilità dell' ordine gerarchico millenario tra uomini e donne. Mentre invadevano la sfera pubblica, le donne perdevano la loro femminilità e così facendo causavano una catastrofe doppia: spalancavano le porte alla degenerazione poiché allontanandosi dalla loro missione materna mettevano in pericolo la stessa riproduzione dell’umanità in quanto specie. Per un riequilibrio del potere all'interno della famiglia : critica del lavoro femminile, considerato un fenomeno contro natura in quanto contrario alle fisiologie della donna. Lavoro femminile era ritenuto nocivo a vari livelli: • sul piano biologico dato che danneggiava gli organi riproduttivi • sul piano morale dato che instillava nella mente femminile i germi della superbia e autonomia • sul piano sociale dato che indeboliva è entusiasmo per la loro missione di moglie e madre e quindi indeboliva la famiglia tradizionale. Con la aspirazione femminile al caverò retribuito, gli uomini fascisti avrebbero finito per deprimersi, non ottenendo il giusto riconoscimento della loro autorità in famiglia e nella società e si sarebbero sentiti umiliati nella loro mascolinità. Le misure intraprese dal regime tra il 1927 e il 1938 per ridurre le presenza presenza nel mercato del lavoro, non avrebbero dato gli effetti sperati; tuttavia l'obiettivo era il contenimento del crescente protagonismo femminile nel terziario, insegnamento, professioni e negli uffici: meno minacciose era la loro presenza nelle compagne dove aveva tanti figli e l'uomo era sempre sovrano della famiglia. L’ORDINE SESSUATO DELLA RAZZA Tra gli scopi della normativa coloniale italiana vi era quello di regolare le relazioni interrazziali e le loro conseguenze a livello di gerarchie tra dominatori e dominati; il controllo della sessualità interrazziale rappresentava ovunque un pilastro del sistema di dominio dei colonizzatori. Quando si guardava alle relazioni sessuali interrazziali, si considerava i rapporti tra uomini italiani e donne indigene e non era concepibile che invece donne italiane avessero relazioni con uomini di razza inferiore. Per gli uomini italiani la libertà sessuale costituiva da sempre una tra le principali attrattive dello scenario coloniale. Vari romanzi popolari durante il ventennio rafforzarono lo stereotipo delle indigene seduttive, felici di essere possedute da un padrone razzialmente superiore. Già nel 1933 con la legge i matrimoni misti furono scoraggiati ma il salto di qualità razzista fu rappresentato delle misure prese nel 1936-37 tese a evitare ogni familiarità tra le 2 razze, “la legge organica per l'impero” di quello stesso anno con le norme sulla repressione del meticciato e poi la legge del 1937 che puniva con il carcere gli italiani che avessero avuto rapporti con una persona suddita dell'Africa orientale italiana : si applicava non solo quindi di matrimoni misti ma anche al madamato. • Legge del 1937 costituì una svolta della politica razzista italiana ma istituzionalizzò anche un "modello" di comportamento sessuale maschile in colonia: la legge finiva per permettere tutte quelle relazioni sessuali in cui gli italiani mostrassero distacco e disprezzo per le donne indigene, usandole come solo sfogo sessuale (legittimazione dello stupro ). • Legge del 1939 per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell’Africa italiana, poneva precisi doveri al cittadino italiano di razza ariana perché quest'ultima non venisse screditata da comportamenti scorretti ( frequentare locali pubblici riservati ai nativi poteva essere punito con 6 mesi di carcere). IL DECLINO Anni '50 e '60 la società italiana fu investita da vari comportamenti sociali che ne trasformarono il paesaggio culturale e morale, marginalizzando le culture contadine, decretando un declino della tradizione come fondamento di valori condivisi. Lo sviluppo industriale, le migrazioni, l'espansione delle cita, la diffusione della cultura di massa, la centralità dei beni di consumo "moderni", l'emergere di una cultura giovanile dotata di una propria autonomia; tutti questi processi di mutamento trasformarono la società italiana in senso più laico, plurale,liberale,civile. Ne risentì l'assetto delle relazioni di genere: si videro cambiamenti nei ruoli femminili anche in ambito domestico, affermazione di una morale sessuale, atteggiamenti meno oppressivi e nel riconoscimento di nuovi diritti civili e sociali delle donne. Ma allo stesso tempo continuavano a operare forze opposte e contrarie di resistenza conservazione. Con il neofemminismo degli anni '70 l’asimmetria tra i generi si ridusse ancora, facendo tramontare la plausibilità politica della prospettiva virilista. Negli anni '60 e '70 inoltre declinò un altro elemento simbolico del virilismo, la riproduzione di una mascolinità legata a uno scenario forza, aggressività, domino assoluto di un soggetto superiore in campo razziale e sociale. Il periodo che ebbe al centro la grande trasformazione degli anni '50 e '70 chiuse definitivamente una lunga fase storica in cui i modelli di mascolinità, ispirati al virilismo nella sua declinazione gerarchica e violenta, avevano detenuto una grande egemonia nell’immaginario collettivo maschile. Però non scomparve l'idea che gerarchia, forza e ordine fossero essenziali per la riproduzione della virilità collettiva: gran parte del genere maschile non avrebbe mai rinunciato a riaffermare una concezione virilista tentando di ripristinare un dislivello gerarchico tra uomini e donne. Le forme residuali di virilismo (ormai ideologico), segnarono il declino di una mitologia sessuate in grado di garantire un'integrazione sociale ampia. Il nuovo scenario dei consumi, il maggiore benessere, rappresentò quella funzione di integrazione sociale. I beni di consumo moderni acquisirono le virtù simbolica di certificazione dell’ appartenenza al mondo civile. Nella sfera dei consumi privati connessi a nuovi stili di vita uomini e donne trovarono il senso di un'appartenenza collettiva che una o due generazioni prima la politica totalitaria aveva tentato di infondere dall’alto con una rigida pedagogia autoritaria. La preoccupazione era una svirilizzazione: esplicito legame tra elettrodomestici e decadenza del maschio. LA RASSICURAZIONE MODERNISTA Compito della cultura di massa e comunicazione pubblicitaria fu convincere uomini che la loro esistenza non avrebbe avuto qualcosa di meno dei loro progenitori. Era prioritario rassicurare gli uomini che sarebbero stati ancora uomini virili. Così l’uomo degli anni '60 sarebbe stato non più tirannicamente patriarcale ma più tollerante verso le donne ma anche incline ai piaceri della vita, giustamente individualista, competitivo e brillante in società. Termine usato nei media che serviva a ricostruire un certo trionfalismo maschile: successo. Un termine che entró a far parte delle virtù' maschili. L'uomo di successo fu evocato, glorificato nelle pubblicità di dopobarba,abbigliamento,automobili,alcolici (elementi di sfondo nel nuovo catalogo della mascolinità moderna). L'enfasi sul successo rilanciava un concetto di gerarchia a volte aggressivo, ringalluzzendo così tanti maschi amareggiati dalle mollezza dei tempi: un modello di mascolinità dotato non solo di individualismo ma anche della freddezza morale necessaria a raggiungere i propri obiettivi con ogni mezzo. Questa modernità incontrava una critica che non esprimeva nostalgia per il virilismo ma comunque metteva a fuoco una crisi dell' uomo moderno anche in quanto maschio. Non erano rare le raffigurazioni ironiche o sarcastiche delle patetiche sopravvivenze di un modello virilista. AGONIE TERMINALI Questa crisi della prospettiva virile toccò il suo apice negli anni '70 per lasciare spazio al tentativo di rilanciare un ordine culturale ispirato alle subordinazione delle donne, alle riproposta di una polarizzazione identitaria del maschile e del femminile, al risorgere di pulsioni anti egualitarie, razziste o vagamente nazionaliste. Il virilismo ha perso ogni riferimento ad una "missione" maschile del comando di urgenza cosmica, ma ha comunque continuato a riprodursi in mille forme di comportamenti, linguaggi e senso comune che evocavano le retoriche virilità del passato. Ma la ragione storica del virilismo era state quella di dare ordine al mondo, difendere nella modernità la mascolinità legata alla tradizione e alla gerarchia. In tal senso alla fine del millennio il virilismo "classico" appariva nella sua agonia terminale. Tuttavia i suoi fautori rimanevano numerosi e negli ultimi anni sembravano aumentare. A fine 1900 molti uomini hanno contribuito alla proliferazione di un virilismo "informale". Nessuno avrebbe più usato affermare seriamente che le donne sono interiori ma allo stesso tempo nessuno si sarebbe stupito nel constatare che le donne erano meno libere degli uomini e che erano trattate come persone di fatto dotate di minore dignità e minori diritti degli uomini. Le identità maschili hanno dovuto imparare a vivere in uno scenario di indeterminatezza postmoderna. L’apparente ritorna all’ordine degli anni ‘80 chiusa la stagione della contestazione della sperimentazione creativa di nuove relazioni identità di genere non restituiva gli uomini la agognata sicurezza identitaria e con gli anni 90 l’inquietudini riemergevano anche attraverso i ricorrenti discorsi media sulla crisi del maschio. L’uomo in quanto maschio pareva aver perso definitivamente la vecchia invisibilità, il suo storico privilegio di nascondere la propria parzialità di genere dietro la divisa di essere umano per antonomasia. Allo stesso tempo risorgeva a partire dagli anni anni ‘80 un un linguaggio maschile difensivo chiaramente improntata alla misoginia: in un contesto in cui le donne avevano ormai conquistato una piena legittimazione sociale nel mercato del lavoro. Sulla scena mediatica emersero rappresentazioni che non potendo ricacciare indietro il nuovo protagonismo femminile, da un lato tentavano di conferire un sinistro profilo stigmatizzando il successo delle donne e dall’altro iniziavano a ridurre pesantemente le donne al loro corpo modellando peraltro tali immagini sulle proiezioni del desiderio maschile più triviale. Manifestazione del 1974 per la riforma del diritto di famiglia a cui parteciparono anche molti uomini (presa di coscienza, distanziamento dai modelli identitari virilisti). Si rendevano conto che le armature virili da sempre rendevano infelici gli stessi uomini. Emergeva una nuova mitologia del corpo maschile in campo pubblicitario: giovani muscolosi, ritorno di un ideale fisico primitivo e selvaggio che parlano di una insoddisfazione, inquietudine. Nuova centralità sessuata del corpo maschile, sorta di riemersione di massa dalla clandestinità degli uomini in quanto uomini. In questa fine '900 lo sguardo dell' uomo non solo tornava su se stesso vedendosi egli come uomo sotto la spinta di un senso di frustrazione, ma rimaneva bloccato sull' evidenza della propria finezza sessuata. Questo senso di impotenza degli uomini si traduceva spesso in una dolorosa diagnosi che portava sotto i riflettori dei media la più delicata dimensione della mascolinità. Ad esempio settimanali molto diffusi dedicavano le copertine all' impotenza maschile, fenomeno in aumento.
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