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Sapienza goliarda una scrittrice sconosciuta, Dispense di Letteratura Italiana

analisi dell'opera intrecciata ad un resoconto sintetico della sua vita

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 08/08/2019

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daniela-dugini-1 🇮🇹

4.5

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Scarica Sapienza goliarda una scrittrice sconosciuta e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO BICOCCA TESI DI DOTTORATO IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE CICLO XXV Curriculum SVILUPPO ORGANIZZATIVO E COMUNICAZIONE INTERMEDIALE LA PERSONALITÀ CULTURALE E STORICA DI GOLIARDA SAPIENZA Tullia RODIGARI Prof. Mario CINGOLI Matr. 527637 TUTOR Anno Accademico 2011-2012 2 5 Introduzione Goliarda Sapienza (1924-1996) nacque a Catania dalla “libera unione” tra Giuseppe Sapienza e Maria Giudice. Entrambi vedovi, unirono le due famiglie e insieme ebbero Goliarda. Il padre era un avvocato socialista e antifascista; la madre, una maestra elementare lombarda, anche lei di comprovata fede socialista, era stata la prima donna divenuta segretaria della Camera del lavoro di Torino e direttrice del settimanale il “Grido del popolo”, di cui era redattore anche Antonio Gramsci. Scesa in Sicilia per seguire le lotte dei contadini nell‟occupazione delle terre a Catania, aveva conosciuto e sposato in unione civile l‟avvocato Sapienza. Goliarda cresce in un clima di assoluta libertà. Non ha vincoli sociali. Non frequenta regolarmente la scuola perché il padre non voleva che la figlia fosse soggetta ad imposizioni fasciste. A sedici anni arriva all‟Accademia d‟arte drammatica di Roma, dove studia recitazione, divenendo un‟apprezzata attrice di ruoli pirandelliani e lavorando con registi come Luchino Visconti e Alessandro Blasetti. Per 17 anni sarà la compagna del regista Francesco Maselli, anche se poi sposerà il copywriter Angelo Pellegrino con cui rimarrà per il resto della vita. Lasciò la carriera di attrice per dedicarsi a quella di scrittrice; verso la fine degli anni sessanta finì in carcere per un furto di oggetti presso la casa di amiche. 6 In vita pubblicherà quattro romanzi autobiografici: Lettera Aperta, Il filo di mezzogiorno, L’Università di Rebibbia, Le certezze del dubbio; postumi saranno pubblicati i racconti Destino coatto, due romanzi: L’Arte della Gioia e Io, Jean Gabin, e una raccolta dei suoi taccuini, Il vizio di parlare a me stessa, che raccoglie anche frammenti di Lettera aperta III, tutti a cura di Angelo Pellegrino. L’Arte della Gioia è la sua opera più importante e “scandalosa”, nella quale colpisce soprattutto lo stretto rapporto che la scrittrice stabilisce tra arte e vita. Si tratta di una grande saga familiare che abbraccia l‟Italia nei primi cinquant‟anni del secolo; in essa Goliarda fece un ritratto non solo di se stessa, ma anche della società dell‟epoca e riuscì a trattare argomenti scomodi per il periodo come la libertà sessuale, l‟amore fisico, la politica, il femminismo. Il libro è stato pubblicato da Stampa Alternativa parzialmente nel 1994, integralmente nel 2000 e nel 2003, inizialmente passando inosservato; scoperto da un‟editrice tedesca nel 2005, viene rilanciato tra il 2005 e il 2006 da un‟editrice francese. Solo dopo il successo di diverse edizioni estere (soprattutto in Spagna) viene finalmente pubblicato da Einaudi, nel 2008, con grande riscontro di critica e di pubblico. La protagonista è Modesta, una donna siciliana, vitale e scomoda, una “carusa tosta” potentemente immorale. Una donna in cui si fondono carnalità e intelletto, che intende realizzarsi sia nella sua corporeità che nell‟attività lavorativa e dominare consapevolmente il proprio percorso di vita in una prospettiva non di un femminismo strettamente rivendicativo, ma di un necessario e possibile incontro armonico tra uomo e donna. 7 Sfidando la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive, Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale. Del romanzo colpisce lo stile di scrittura, la corrispondenza con la storia collettiva, la libertà che non è mai ideologica, ma passo passo scaturisce da una ricerca profonda di autenticità. Una autenticità che svela la presenza dell‟Eros come una componente e una forza vitale presente in ognuno di noi che va valorizzata, recuperata e non repressa. Ancora oggi la conoscenza di questa autrice non è molto diffusa, se non tra gli addetti ai lavori. I saggi critici a lei dedicati non sono moltissimi, e non vanno oltre le attente ed appassionate ricerche di autrici come Giovanna Providenti, che ha recentemente pubblicato una originale ed esaustiva biografia della Sapienza: La porta è aperta, Vita di Goliarda Sapienza, opera vincitrice del Premio Italo Calvino (2009). Esiste un‟Associazione culturale Goliarda Sapienza che nasce per dar voce ad un moderno femminismo. L‟associazione è dedicata a lei, perché alla sua figura e al suo modo di vivere si ispirano le attività dell‟associazione: pubblicazioni editoriali, produzione di eventi e spettacoli, scambi di cultura, pensieri, idee, contro la violenza maschile sulle donne, contro le moderne forme di schiavitù, contro le discriminazioni, contro il razzismo, contro il sessismo, per l‟uguaglianza, per il rispetto per le donne. E per gli uomini intelligenti che, nonostante tutto, sono tanti. Nell‟aprile 2010 si è tenuto a Catania un evento multidisciplinare dal titolo Goliarda e le altre ideato dalla casa editrice catanese Villaggio Maori e realizzato in collaborazione con il Corso di Laurea in Scienze storiche e 10 Capitolo 1. La famiglia e l’infanzia Goliarda Sapienza è stata un‟attrice teatrale e cinematografica, poi scrittrice e intellettuale. La sua biografia 1 ci restituisce il ritratto di una donna perfettamente inserita nel suo milieu culturale ma, al tempo stesso capace di appartarsi per dedicarsi alla stesura delle sue opere. Il marito A. Pellegrino così ce la descrive al lavoro: Concepiva il romanzo come un‟espressione scientifica, e lo scrittore come uno scienziato: uno che lavora, procede, senza aspettare l‟ispirazione. Si applicava tutti i giorni, ogni mattina, dopo il caffè, con una piccola penna a biro, la più povera (ne comprava molte perché le perdeva dappertutto). I fogli A4 si accumulavano, sparsi per terra e ovunque. Li usava per appunti, scriveva a volte anche una sola parola, per esempio “lui”, oppure “Carlo”, oppure ancora “Modesta entra, Carlo esce” […]. Goliarda scriveva per l‟Italia, credeva ancora all‟Italia, alla letteratura italiana, scriveva per la propria letteratura, per la propria lingua, per la sua grande tradizione […] 2 Eppure questa donna che «conosceva tutti e tutti la conoscevano» 3 sembra essere da sempre stata in una posizione marginale, essere «recepita 1 Cfr. G. Providenti, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, Catania, Villaggio Maori Edizioni, 2010, a tutt‟oggi la più completa delineazione della personalità di Goliarda Sapienza. 2 A. Pellegrino, Un personaggio singolare, un romanzo nuovo, una donna da amare per sempre, raccolto in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza, Milano, La Tartaruga, 2011, pp. 73-74. 3 Ivi, p. 80. 11 in un modo tutto particolare» 4 . Apprezzata dalla cerchia dei suoi amici intellettuali a seguito della pubblicazione del suo primo romanzo, Lettera aperta, verrà poi dagli stessi duramente criticata con l‟apparizione del Filo di mezzogiorno, troppo intimista, troppo centrato sul proprio sé in un periodo in cui gli intellettuali aspirano a “proletarizzarsi” e a rivolgersi verso l‟impegno politico 5 . Ma forse la sua posizione di marginalità dipendeva da altri fattori. Tutti la ascoltavano con interesse e piacere, è capitato che suoi racconti o invenzioni siano divenuti, a sua insaputa, delle sceneggiature, ma, nello stesso tempo, non la prendevano troppo sul serio. Tutti amavano ascoltarla. Era estremamente spontanea, teatrale, scenica, dotata di una vis comica e divertente; era molto allegra, capace generosamente di far ridere per un‟intera serata tanti amici che poi invitava a cena […]. Notavo però che gli uomini, tendenzialmente, non la prendevano sul serio. Lei diceva cose importantissime e bellissime che, ripeto, alcuni hanno saputo utilizzare […], ma era come se avessero a che fare con una persona non attendibile: perché non solo Goliarda era donna, ma non si esprimeva in modo accademico 6 . Goliarda era “donna”, non aveva frequentato le scuole se non per poco, era un‟autodidatta senz‟altro ben istruita e intelligente, ma al tempo stesso – come accade con chi ha una formazione da autodidatta – sistematica, originale, spesso irrituale. Anche per comprendere lo spessore letterario della sua scrittura, la ricerca linguistica che la sostiene, e il suo complesso fraseggio – aggiunge Pellegrino – bisogna tener conto della sua formazione eslege. E poiché parlava in modo unico e indescrivibile, mai per forme cristallizzate ma sempre inventivo 4 Ibidem. 5 Ivi, p. 81. 6 Ivi, p. 82. 12 e libero; poiché non teneva conferenze, lezioni o concioni ma spettacolo, non la prendevano sul serio. La trovavano divertente ma non attendibile 7 . E poi, era depressa, soggetta a ripetute crisi psichiche che più volte l‟avevano spinta a tentare il suicidio. Goliarda è, insomma, una persona affascinante e al tempo stesso difficile, disponibile e al tempo stesso insopportabile. Divenuta insegnante di recitazione al Centro sperimentale di cinematografia di Roma, non può che mostrare quasi da subito ai suoi studenti la sua figura travolgente ed eccentrica, fuori dalla norma; il suo carattere inquieto e l‟insofferenza alle convenzioni; ma soprattutto la autentica disposizione all‟ascolto, la volontà di discutere e anche di rivedere le proprie posizioni, cogliendo fino in fondo la pienezza della relazione con l‟altra, con l‟altro 8 . Emerge, anche dalla sua narrativa in gran parte di tipo autobiografico, una personalità senz‟altro eccentrica e disadattata, nata e cresciuta in una famiglia piuttosto originale. Goliarda Sapienza cresce in pieno fascismo in una famiglia di attivisti socialisti, non riceve un‟educazione tradizionale, come detto, frequenta assai poco la scuola e la sua formazione dipende in gran parte da quanto apprende dai fratelli e dai genitori, e dai pomeriggi trascorsi al cinema. Prova di questa originalità è data da una testimonianza di A. Pellegrino circa i dati anagrafici di Goliarda, anch‟essi incerti: Quando è nata Goliarda Sapienza? Non lo sa neppure lei con esattezza. I suoi genitori, figure storiche del socialismo rivoluzionario, non riconoscevano a 7 Ivi, p. 83. 8 L. Cardone, Goliarda attrice nel/del cinema italiano del secondo dopoguerra, in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza cit., p. 57. 15 Tali luoghi vengono ricordati e liberamente raccontati in tre romanzi da lei concepiti nel suo ciclo autobiografico: Lettera aperta, Il filo di mezzogiorno e, in particolare, il postumo Io, Jean Gabin 11 . È qui, in particolare, che troviamo una descrizione trasognata di questo malfamato quartiere, sede delle peregrinazioni e anche delle bravate della nostra autrice: La Civita, grande quartiere! che dico, grande città nella città dove tutto ti poteva accadere e dove tutti trovavano il modo d‟imbrogliare, rubare, creare, competere, e anche guadagnarsi il pane onestamente se onesti si nasceva.., grande Civita dalle straduzze intagliate nella lava, colma di personaggi vivi, acuti e saettanti fra teste di meduse, draghi alati, leoni, elefanti scolpiti anch‟essi nella lava ma vivi della vita muta e perenne della scultura. Questa vita tracciata senza interruzione da basso a basso, da balcone a balcone, di giorno taceva ma la notte col muoversi delle fiamme dei lampioni intrecciava storie di passione, di delitti e di gioie improvvise 12 . È in questo quartiere che Goliarda riesce a penetrare nel mondo dell‟opera dei pupi allorché conosce il puparo Insanguine, presso il cui laboratorio lavora per un po‟: […] nell‟antro carico delle passioni di tutte le anime dei paladini che Insanguine portò alla vita, fra bagliori di latta, odore di velluto polveroso, di sete, ferro, lamiere, trovai il mio da fare che mi avrebbe fruttato almeno altre due o tre lire […]. Anche lì torno torno ai muri secolari, i pupi appesi dormivano a occhi aperti per riprendere la forza perduta nel grande combattimento della sera prima. Riposa il pupo durante il giorno, si lascia andare a una morte apparente per rinascere ogni notte all‟avventura 13 . 11 Per un‟attenta analisi di questo libro con riferimento ai luoghi dell‟infanzia di Goliarda Sapienza, cfr. M. M. Clavijo, I luoghi della formazione di Goliarda Sapienza: Io, Jean Gabin, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza, Roma, Aracne, 2012, pp. 157-174. 12 G. Sapienza, Io, Jean Gabin, Torino, Einaudi, 2010, p. 45. 13 Ibidem. 16 La Civita dell‟infanzia e dell‟adolescenza di Goliarda era una vera e propria casbah catanese fatta da tanti vicoli pullulanti di vita ma anche di malaffare di ogni genere, compresa la prostituzione maschile adulta e infantile, ben nota a tutte le marinerie che incrociavano nel Mediterraneo; è la stessa Sapienza a darcene una descrizione realistica e disincantata: In via Buda sono popolare quasi come Jean [Jean Gabin, attore molto amato da Goliarda Sapienza] nella sua casbah. Le donne e gli uomini che fanno mercato di loro stessi – non si dice puttana, è spregevole, è un mestiere come un altro, vecchio quanto il mondo –, seduti davanti ai loro bassi o sui balconcini dalle balaustre bombate a forma di cestino, si volgono verso di me e si passano la voce: – C‟è la signorina dell‟avvocato, – e chi mi invita a entrare, chi mi dà messaggi per mio padre, chi mi dice cose tipo: – Beato chi l‟avrà quando sarà il momento! – oppure: – Quando sarà il momento vieni da me che ti istruisco su come rimbecillire l‟uomo –. Questa frase mi sorprende sempre perché è un ragazzo vestito da donna che la dice e non c‟è volta che qualche donna non rimbecchi: – No! da me deve venire, io sono femmina come lei e la posso istruire meglio! Sentite lui-lei come risponde: – Eh no! comare, in questo sbagliate. Solo io uomo so come trattare l‟uomo! – Ma va‟ che te lo sei scordato il mestiere di uomo! 14 La casa Giudice-Sapienza è in via Pistone, 20, sempre nella Civita e sarà un focolaio di resistenza durante tutto il ventennio, una vera e propria oasi di controcultura, rievocata in quella Villa Suvarita nella quale si svolge gran parte delle vicende centrali dell‟Arte della gioia. Goliarda, seguendo il principio socialista dell‟uguaglianza dei mestieri, impara ad impagliare le sedie, a rammendare i costumi dei pupi, a comporre rose di gelsomini, a mettere le acciughe sotto sale a bordo dei pescherecci e a suonare il pianoforte. 14 Ivi, p. 23. 17 Le doti artistiche di attrice, ballerina, cantante e affabulatrice della parola emergono fin da quando Goliarda è bambina e adolescente, in cui ai successi di enfant prodige si alterna una salute precaria: nel 1933 si ammala di difterite e nel 1936-37 di tbc. Fin da ragazza rivela un talento drammatico fuori dal comune, che le permette di rappresentare ai suoi coetanei i film che vede al cinema: Goliarda intuisce dunque fin da piccola la necessità del pubblico, della componente spettatoriale nel dispositivo dello spettacolo. Lo sa per esperienza: senza l‟attesa, l‟emozione che si diffonde e palpita nella platea, il teatro non può esistere, e non possono i personaggi delle storie prendere vita sul palcoscenico. Anche le figure più affascinanti, lontane dagli sguardi degli spettatori, sono soltanto pallide ombre, involucri vuoti, proprio come i pupi del commendatore Insanguine, che fuori dal palco sono manichini inerti, appesi in una fissità senza emozioni. La formazione attoriale di Goliarda Sapienza affonda dunque le sue radici nell‟infanzia […] 15 . Dal puparo Insanguine comincia ad imparare gli strumenti dell‟attore, in particolare quelli che derivano dalla conoscenza del personaggio da recitare; e, in fondo, già intuisce che per dare vita a personaggi occorre leggere, studiare: Leggevo tutto il giorno, [...] leggevo e imparavo a memoria tutti i lavori teatrali che trovavo per casa. La notte poi li recitavo da sola facendo tutte le parti, come i pupari. Il commendatore Insanguine mi aveva detto che, solo facendo tutte le parti come il puparo, si imparava a conoscere i personaggi diversi da noi. Imitando le loro voci, ora da uomo ora da donna, ora del vile ora del valoroso, si diventava attori veri 16 . 15 L. Cardone, Goliarda attrice nel/del cinema italiano del secondo dopoguerra, in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza cit., p. 35. 16 G. Sapienza, Lettera Aperta, Palermo, Sellerio, 1997, p. 151. 20 diversa, e che le permetteva di esprimersi pressoché totalmente, quell‟amore dunque continuava a vivere in lei 21 . Nel 1947 conosce il regista Alessandro (Citto) Maselli con cui inizia una relazione amorosa e professionale destinata a durare oltre 17 anni e che, anche dopo una dolorosa separazione, si trasforma in una sincera amicizia. Nel 1949 muore a Palermo il padre di Goliarda; la madre vivrà insieme a lei e a Citto in un appartamento a Roma. È da questo momento che Goliarda, dopo aver riscosso un grande successo in Vestire gli ignudi di Pirandello, collabora alle regie dei film documentari di Maselli. Con Maselli gira l‟Italia per documentare gli antichi mestieri in via di sparizione a seguito dell‟incipiente industrializzazione. Scopre Positano, sulla costiera amalfitana, dove trascorrerà tutte le estati per i dieci anni successivi. Come ricorda Pellegrino, Maselli e Goliarda partivano per strade impossibili, specie di carrere messicane, con l‟operatore e nessun altro, e andavano nei posti più sperduti. Hanno documentato anche mestieri e attività che andavano scomparendo, gli ombrellai, i fiorai, le feste religiose com‟erano allora, raduni di zingari; non riuscirono però a girare una mattanza del tonno nell‟isola di Favignana: una baronessa siciliana lo impedì con un‟intimidazione di stampo mafioso. Raccontavano episodi di grande emozione, rivelando un‟altra Italia, svolgendo un autentico lavoro antropologico ante litteram. Il contributo di Goliarda è stato fortissimo, soprattutto con i bambini. Goliarda capiva i bambini in modo formidabile, sapeva avvicinarli, parlava con loro, li conquistava. Parliamo di bambini della classe popolare, poverissimi, che lei riusciva a convincere a entrare nei documentari di Maselli 22 . 21 E. Gobbato, Goliarda insegnante al Centro Sperimentale di Cinematografia, in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza cit., p. 64. 22 Testimonianza tratta da: L. Cardone, Goliarda attrice nel/del cinema italiano del secondo dopoguerra, in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza cit., p. 55. 21 Nel febbraio1953, Maria Giudice muore, dopo aver affrontato una grave crisi psichica che ne ha reso necessario il ricovero in una struttura psichiatrica e una lunga malattia; i ruoli si sono invertiti: Goliarda ha assunto la posizione della madre alla quale ha dovuto dare tutte quelle attenzioni che forse lei stessa non aveva ricevuto. Nel mese successivo Goliarda recita ancora a teatro e impersona Medea sotto la direzione di Luchino Visconti al teatro Manzoni di Milano. Assieme a Maselli si trasferisce in un attico di via Denza al quartiere Parioli di Roma. Condurranno una vita sociale intensa, caratterizzata da visite frequenti di intellettuali progressisti e cineasti. Come accennato, Goliarda è attrice relegata in piccoli ruoli al cinema, regalandoci però delle interpretazioni memorabili. Lavora, oltre che con Maselli, con Luigi Comencini, Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini e Luchino Visconti, prendendo parte attivamente alla corrente di quel neorealismo italiano che fu, oltre che uno dei momenti più alti del nostro cinema, luogo per eccellenza di partecipazione civile, politica e morale. Con la direzione di Blasetti ha partecipato a Fabiola (1948): Nella pellicola, il regista affida a Goliarda Sapienza un ruolo defilato ma niente affatto trascurabile e in un certo senso “premonitore”: quello di Letizia, una donna vittima delle persecuzioni religiose, intenta a scrivere la storia dei cristiani, a partire dai racconti di Maestro Cassiano, che ascolta con partecipe attenzione. L‟occhio del cinema, dunque, raffigura e pare visivamente presentire il destino di Goliarda scrittrice: scrittrice clandestina e catacombale nella finzione dello schermo e, nella vita, scrittrice clandestina e fuori dal canone dell‟editoria e della cultura italiana 23 . Nel 1954 partecipa a Senso di Visconti, interpretando una patriota nella scena che apre il film: 23 Ivi, p. 47. 22 Il professionismo, la duttilità e il rigore drammatico, oltre che la salda e affettuosa amicizia che la legava a Luchino Visconti, portarono l‟attrice sul set di Senso (1954), nel ruolo di una appassionata patriota alla vigilia della battaglia di Custoza. Nella celeberrima scena d‟apertura al Teatro La Fenice è proprio Goliarda a dare il via alla contestazione, lanciando dal loggione sull‟attonita ed elegante platea i volantini tricolore al grido «Fuori lo straniero da Venezia!» Il suo volto compare ancora una volta nel capolavoro viscontiano, nella sequenza in cui Livia, interpretata da Alida Valli, corre disperatamente – e speranzosa però di incontrare l‟infido e amatissimo Franz – a casa del cugino Ussoni, rifugio dei patrioti italiani. Ad accogliere la scarmigliata contessa Serpieri è il volto composto e luminoso di Goliarda, solerte vestale dei rivoltosi, che ancora la crede, come tutti gli altri, dalla parte dei patrioti. Si tratta, anche in questo caso, di un ruolo minore, quasi una comparsa, ma è tuttavia significativa la presenza di Goliarda Sapienza nel cast di Senso, sotto la direzione rigorosissima di Visconti, in un film capitale per il cinema italiano e non soltanto 24 . L‟anno dopo, nel film di Maselli Gli sbandati, interpreta la parte di una donna sfollata, Maria, regalandoci un‟intensa ed efficace raffigurazione di un attacco di panico, grazie alla quale riceverà una menzione speciale alla Mostra del cinema di Venezia. Maria, che ha perso il marito sotto i bombardamenti, udendo il rombo degli aerei, una notte, traumatizzata si contorce e lancia grida acutissime: In questa breve scena Goliarda torna a confrontarsi con il fantasma e il ricordo della follia, in un momento di tensione finzionale che confina e sconfina con una tragicità autenticamente vissuta. E qui, come nelle altre collaborazioni con Maselli, si intuisce la partecipazione profonda e fondante dell‟attrice/autrice alla costruzione del film: al di là del lato visibile, come si è detto di profilo, si delinea una presenza forte del pensiero di Goliarda nell‟ordito del racconto, nelle sue pieghe più riposte e dense 25 . 24 Ivi, p. 49. 25 Ivi, p. 51. 25 consiste nella somministrazione dell‟induzione di elettricità più volte al giorno. Goliarda uscirà dall‟ospedale grazie all‟interessamento di un giovane e brillante psicoanalista, Ignazio Majore, che intraprende con lei una terapia psicoanalitica che durerà tre anni circa e che verrà bruscamente interrotta. Il lavoro analitico comunque, almeno per un po‟, diventa il suo interesse principale e si coniuga al desiderio di essere scrittrice: la psicoanalisi, in altri termini, sarà uno strumento per approfondire il suo vero lavoro, che oramai è quello di scrittrice. G. Providenti riferisce che nel mese successivo agli elettroshock Goliarda è ancora molto sofferente e confusa, ma, non appena si riprende, comincia a scrivere e butta giù una novella che verte proprio su un tentato suicidio 26 . Il resto è noto. Nel 1965 si interrompe definitivamente la relazione con Maselli e, due anni dopo, viene pubblicato il suo primo romanzo, Lettera aperta, seguito, nel 1969 da Il filo di mezzogiorno, resoconto della sua analisi. Nello stesso anno comincia a lavorare al suo capolavoro, L’arte della gioia. Come noto, e come verrà esposto più dettagliatamente nel seguito di questo lavoro, nella parte esplicitamente dedicata a quest‟opera, l‟autrice non riuscirà a ricavarne la dovuta soddisfazione: una versione parziale del romanzo, infatti, verrà pubblicata da Stampa alternativa nel 1994, due anni prima della morte della sua autrice. 26 G. Providenti, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza cit., p. 152. La novella in questione risente dello stile di quelle raccolte in Destino coatto, ma viene scartata dalla raccolta. Providenti ne riporta un brano significativo (ivi, pp. 152-153) nel quale ritiene di rintracciare le motivazioni che avevano spinto la Sapienza a tentare il suicidio. 26 Parte II. Le opere 27 Capitolo 1. Le prime opere autobiografiche 1. Lettera aperta 1.1. Il romanzo Romanzo d‟esordio di Goliarda Sapienza di taglio autobiografico, terminato nel 1963 – stando alla data indicata alla fine del romanzo stesso – , rientra, assieme al successivo Il filo di mezzogiorno (terminato nel 1967), nel periodo della sua psicoanalisi, cominciata nel 1962 e protrattasi per circa tre anni. Letto da Attilio Bertolucci, che lo presenta all‟editore Garzanti, il testo viene affidato ad Enzo Siciliano per una revisione che si rivelerà piuttosto approfondita: il manoscritto originale verrà ridotto e in più punti rielaborato formalmente, fino ad assumere la sua forma definitiva nel 1967, anno della pubblicazione 27 . Nel passaggio dalla prima alla seconda versione – scrive Anna Langiano – si assiste […] a un lavoro di progressiva normalizzazione, di semplificazione 27 Per una ricostruzione delle circostanze della pubblicazione di Lettera aperta, cfr. A. Langiano, Lettera aperta: il “dovere di tornare” (a cui si deve anche un articolato e approfondito confronto delle variazioni tra il testo definitivo e il manoscritto originale), in G. Providenti (a cura di), “Quel sogno d’essere” di Goliarda Sapienza, Roma, Aracne, 2012, p. 131. 30 In seguito impazzita, è come se morisse alla morte del suo nemico storico, il fascismo […] apro gli occhi e vedo la tua ossessione. Pazzia […]. Adesso vedo perché ti è scoppiata tra le mani proprio quando il tuo nemico cadde distrutto come tu pregavi. Cadendo lui, ti si ruppe la tensione d‟acciaio per la quale hai vissuto estraniandoti da te stessa, dalla tua carne; cadendo il contraddittore, sei restata muta e sola, con i fatti della tua vita denudati della corazza che ti permetteva di non ascoltare i particolari, le virgole della tua vicenda. E nuda con te stessa, le passività femminili, le emozioni tenere delle tue spalle morbide, del tuo seno grande, si ruppero le dighe che la tua intelligenza aveva alzato fra te e te, spalancando una fiumana di paure, che avevi ignorato di avere. Come tutte le donne, essendo intelligente, dovevi esserlo più di un uomo; coraggiosa più di un uomo 36 . Il rapporto irrisolto con la madre, come detto dedita allo studio e alla politica e quindi poco affettuosa verso la figlia, è probabilmente fonte della maggior parte dei problemi di Goliarda. Costretta a “farle da madre” nelle fasi della malattia e della vecchiaia, Goliarda si chiederà sempre se ne sia stata davvero capace o non abbia piuttosto colto quell‟occasione per perseguire una sorta di vendetta 37 . Davanti alla sua carne lacerata, mi chiedo oggi, con timore: sono stata una buona madre per mia madre quando lei – per magia di quell‟antico gioco – regredì a cinque, sei anni, quasi demente, paralizzata su una poltrona? Ho assolto il mio compito? Mentre la lavavo, le pettinavo i capelli, le tagliavo le unghie, rispondevo alle sue domande sempre uguali come se fosse la prima volta che me le poneva, per non umiliarla; quando portavo l‟urina e il sangue per le analisi? Ho creduto di sì. Ma quando morì, il rimorso di non averla curata abbastanza mi assalì notte e giorno. Ci vollero dieci anni perché capissi il senso di quel rimorso. Ero stata una buona madre, mi rimordeva però di avere, con le mie cure, prolungata la sua agonia di due e forse tre anni. Il mio curarla era vendetta. Finalmente l‟avevo in mano quella donna che tutta la vita mi aveva dominato: la potevo lavare, tenere fra le braccia, accarezzare: lei che prima era così schiva di tenerezze. Le potevo impedire di mangiare: era l‟unica cosa, avendo il diabete, 36 Ivi, p. 146. 37 «Non so se sono riuscita ad essere per lei la sua “Mamma”, e non so ancora cosa questa parola significhi», ivi, p. 41. 31 che ormai le dava gioia. Mi vendicavo di avermi tradito con la pazzia. Mi vendicavo facendole vedere com‟è che si cura una figlia: facendolo vedere a lei, che occupandosi solo della mia mente mi aveva per il resto trascurata in tutti i modi 38 . Accanto alla madre, il padre Peppino, che scherza e ride sempre, che la porta con sé a visitare le città siciliane regalandole pochi momenti di gioia in un‟infanzia priva di affetto, e che Goliarda paradossalmente finirà con l‟odiare per la sua irruenza e per la sua sensualità prepotente: Lo odiavo. Quando avevo cominciato? Proprio quella sera o prima? […] Forse è inutile ricercare il momento preciso: sembra abbastanza comune che una bambina, a un certo punto, cominci ad odiare il proprio padre, e, se vi interessa, consultate qualche trattato di psicoanalisi 39 . Senz‟altro, fra i personaggi spicca l‟amica di infanzia Nica, con cui Goliarda scopre il sesso – hanno una breve relazione, poi interrotta dalla madre – e così anche un po‟ di se stessa. Lo stadio di omosessualità o di masturbazione, se esaurito nel suo limite, non è necessario alla comprensione di se stessi, del proprio corpo? Se bloccato, come avviene sempre, può provocare un arresto a dodici, quattordici anni: nel corpo e purtroppo anche nella mente. C‟è forse qualche omosessuale adulto fra voi che copre una simile mancanza di crescita con “estetismi”, “vocazione di natura”, “destino”? Dico solo quello che si è fatto chiaro a me, solo per me, nelle mie emozioni. Non vi arrabbiate, anche perché chi vi parla è stata bloccata a dodici, quattordici anni come voi. È una persona costretta come voi che dice queste cose. Un‟omosessuale come voi 40 . Goliarda scoprirà poi che Nica è sua sorella quando il padre deciderà di riconoscerla, e la rincontrerà oramai adulta e sposata, per poi rivederla da morta. Nica affascina per la sua capacità di inventare storie inquietanti: 38 Ivi, p. 148. 39 Ivi, p. 61. 40 Ivi, pp. 97-98. 32 di fronte a lei, Goliarda è solo un‟attrice capace di recitare – ripetere – su commissione delle storie inventate da altri, belle o brutte 41 . Ecco alcune delle sue storie: «Adesso il cielo si abbassa. Tutta l‟estate, non ha piovuto, i morti hanno sete. Si abbassa e piange lagrime, cenere e scorpioni». «A mezzagosto, se potessimo andare sul monte, potremmo assistere al portento delle cento braccia: il cielo ha cento braccia e a mezzagosto, a mezzanotte, le tira fuori dallo scialle di seta nera, e si abbassa ad abbracciare la terra: da questo abbraccio incestuoso, perché il cielo e la terra sono fratello e sorella, nascono vipere, serpenti viziosi e tutti gli esseri molli e traditori che strisciano sulla terra e in fondo al mare». «Non accende luci, quando annotta: la tua anima seguendo quella luce può trovare la strada della tua porta e presentarsi a te in tutte le sue malformazioni». «Al tramonto copri lo specchio con lo scialle nero: se il sole al tramonto ci si specchia vedrai la tua immagine e te ne innamorerai». «Non uscire al tramonto nel giardino di zagara quando è fiorita: la prima ombra, forma, animale, uomo zoppo, cieco, storpio che incontrerai ti farà innamorare di lui per sempre». «Non passeggiare, senza tuo fratello, tuo padre, tuo marito a fianco sulla sabbia, quando tramonta il sole, la tua ombra può restare seppellita nella rena e staccarsi da te: vivrai sola tutta la vita». «Non andare fra le viti nel filo di mezzogiorno: è l‟ora che i corpi dei defunti, svuotati della carne, con la pelle fina come la cartavelina, appaiono fra la lava. È per questo che le cicale urlano impazzite dal terrore: i morti escono dalla lava, ti seguono e ti fanno smarrire il sentiero e: o morirai di sete fra gli sterpi disseccati dal sole – sterpo secco pure tu – o penserai sempre a loro smarrendo il senno». «Non sostare sotto l‟ombra del fico, le sue foglie sono velenose». «Non guardare negli occhi 1a lucertola, ti spingerà al vizio e all‟assassinio». «Non toccare la gardenia con la tua mano: muore sotto le tue dita e con lei un bambino appena nato» 42 . Come è stato osservato da A. Langiano, è Nica che permette il contatto di Goliarda con i misteri della terra siciliana, additando attraverso di essi una divinità ctonia e irraggiungibile […]. Per tutto il romanzo Nica è l‟ambasciatrice della morte, colei che da viva riesce a mimare perfettamente la propria morte […] colei le cui mani “indicano” la morte […] riaffermando il proprio ruolo di guida infera 43 . 41 Ivi, p. 122. 42 Ivi, pp. 120-121. 43 A. Langiano, Lettera aperta: il “dovere di tornare” cit, pp. 138-139. 35 Non è per importunarvi con una nuova storia né per fare esercizio di calligrafia, come ho fatto anch‟io per lungo tempo […]48. Come osserva A. Langiano, la scomparsa di questa “alternativa polemica” nell‟edizione definitiva, non può che suonare come un invito a una scrittura libera dai compromessi con la tradizione; la scelta in sede di editing di preferire senz‟altro il meno problematico termine “calligrafia”, è indicativo della difficoltà di recepire tutta la rottura col passato proposta dalla scrittrice 49 , laddove questa oscillazione avrebbe segnalato, invece, l‟intento da parte della scrittrice di cercare un proprio linguaggio specifico, ossia una scrittura in qualche modo «più pericolosamente compromessa con la realtà nel suo divenire» 50 . Lo stesso io narrante comunica di essere stata due volte per morire «di propria mano» 51 , e, nello stesso tempo, di avere sperimentato che «sfogarsi con qualcuno», «parlare delle proprie cose» fa bene 52 . Pertanto, lo scritto che appare agli occhi del lettore come una “lettera aperta” non sarà – appunto – una “nuova storia”, né sarà motivato da un «bisogno di verità», verso cui l‟autrice-narratrice dichiara di non nutrire alcun interesse. La voce narrante si autodefinisce una persona «molto ordinata», anzi «un po‟ fissata» 53 e aggiunge di sentirsi schiacciata dal peso dei fatti passati – i fatti passati si riferiscono ai primi vent‟anni della vita della scrittrice, che comunica di averne quaranta nel momento in cui compone il romanzo. 48 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 15. 49 A. Langiano, Lettera aperta: il “dovere di tornare” cit., p. 132. 50 Ivi, p. 135. 51 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 15. 52 Ibidem. 53 Ibidem. 36 Tutte queste informazioni – unitamente alla data che compare nella pagina finale del romanzo: 1963 54 – confermano la collocazione della stesura del volume nel periodo della terapia psicoanalitica condotta con Ignazio Majore e oggetto del secondo romanzo pubblicato in vita dalla Sapienza, Il filo di mezzogiorno. Svoltasi contestualmente alla psicoanalisi, la pratica effettiva della redazione dell‟opera, la scrittura, sembra tuttavia non essere sovrapponibile a questa ma costituirne piuttosto un percorso alternativo di riappropriazione di sé e di integrazione della propria vicenda umana nella “struttura”, ancorché mobile e dinamica, della propria personalità. A tale proposito, N. Castagné ha osservato: Il rifiuto dello psicologico a vantaggio dello psichico è una delle lezioni che Goliarda senza dubbio ricava dalla sua esperienza psicanalitica; lezione che si ricollega, d‟altronde, al fatto generale di un influsso della psicanalisi sull‟introspezione in letteratura negli anni in cui vengono scritti questi due primi testi di autobiografia frammentaria, nei quali certi mutamenti repentini o sentimenti estremi sono presentati così, bruscamente, lungi da qualsiasi sfumatura, senza tabù e senza alcun giudizio. Non c‟è più censura. Questa liberazione si esprime qui, paradossalmente in modo talvolta quasi dogmatico. Tale liberazione si esprimerà al di fuori di qualsiasi dogma nell‟Arte della gioia, dopo la ribellione di Goliarda a tutto ciò che avrebbe dovuto “guarirla”: sradicare, inaridire le sue radici vitali, invece di risanarle 55 . Si tratta allora di un percorso in parte riuscito, in parte forse intenzionalmente no: se è vero che fare ordine nella propria vita non 54 C‟è da dire, però, che a p. 146 leggiamo: «Oggi, 10 maggio 1965, compio 41 anni ed ho quasi finito questo mio libro […]»: abbiamo cioè una datazione che smentisce quella riportata in conclusione del libro. Ortu ipotizza che le frasi conclusive del libro siano effettivamente state composte nel 1963 e che quanto leggiamo a p. 146 sia un‟aggiunta; cfr. G. Ortu, Cosa vedono gli occhi di quella bambina. “Lettera aperta” cit., p. 176 nota 29. Che si tratti di una svista editoriale, o dell‟ennesimo tentativo di Goliarda Sapienza di giocare con le sequenze temporali rompendone la linearità, tutto ciò, pur rendendo meno precisa la datazione della stesura del libro, non ne altera l‟essenziale. 55 N. Castagné, Archeologia di Modesta, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., p. 85. 37 equivale a «liberarsi ciecamente di tutto solo per fare spazio» 56 , bisognerà allora accettare che «per fare ordine bisogna prima toccare il fondo del disordine» 57 ; ed è proprio questo attraversamento del disordine che probabilmente queste pagine ci consegnano, non senza una forte lucidità e il rigoroso controllo, da parte della Sapienza, delle proprie strategie linguistiche e narrative. 1.2.2. I paradossi della memoria e il problema dell’osservatore A chi legge Lettere aperta viene più volte da chiedersi “chi” stia narrando e in che tempo e luogo si collochi, da quale luogo osservi e narri. Si tratta certo di un‟adulta che, presumibilmente dopo la morte del padre, nell‟inventariare e fare ordine tra le cose di famiglia, narra di se stessa da bambina. Tuttavia i confini tra passato e presente non sono delineati con nitidezza e i modi temporali tendono ad incrociarsi con il richiamarsi delle voci che vengono rievocate (a modo suo, Lettera aperta è un romanzo corale). Chi narra, narra adesso di quanto ricorda di allora (un “allora” durevole perché copre più fasi della vita: infanzia, adolescenza, età adulta); spesso, quasi sempre, però, la narrazione non ha la forma della rimemorazione, ma della ri-presentazione dell‟infanzia, di cui la voce adulta si fa da subito ricettacolo e specchio, lasciando che, se possibile, l‟ordine venga da sé. Ne consegue una narrazione spesso spinta quasi ai limiti della destrutturazione, che – come sottolineato da M. Andrigo – eredita il meglio dello stream of consciousness: 56 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 31. 57 Ibidem. 40 gradino e rientro nella stanza. Il professore Jsaya, invece di correre, sta fermo in piedi davanti a me, ed urla 64 . Infine, la confusione di volti e persone: il volto di Ercole morente – padre di Citto Maselli, compagno della Sapienza – si confonde col volto del fratello Ivanoe tornato dal fronte: Ercole l‟ho conosciuto per caso. Era sì, il padre dell‟uomo col quale ho vissuto per diciotto anni […]. Ercole immobile sul suo letto di morte. La sua fotografia (viva) nel mucchio polveroso di lettere, appunti, nastri, gomitoli di lane sbiadite, ammassate nel centro della stanza. Ho fatto male a cominciare. I suoi occhi mi sorridono dietro le lenti spesse. Sì: il sorriso pensoso (serio) di mio fratello Ivanoe 65 . Un volto richiama l‟altro in base ad una sorta di continuità tematica, entrambi i personaggi parlano di teatro e del fascismo: Ivanoe si compiace con Goliarda dei suoi progressi nella dizione («sei riuscita a perdere il tuo accento da terrona» 66 ) rivolge una critica veemente nei confronti di D‟Annunzio e le promette di cercarle altre opere teatrali: E cosa ti fanno studiare? Ah, D‟Annunzio! Era prevedibile. Attenta, Goliarda! Attenta a D‟Annunzio! C‟è qualcosa di artefatto nella tua voce. Appena questi cari compagni che mi hanno accompagnato in questa passeggiata attraverso l‟Europa si saranno ripresi, ti cercherò qualche opera di teatro che ti possa servire, diciamo, da antidoto a questo D‟Annunzio 67 . La narrazione prosegue passando dal freddo sulle dita di Ivanoe al «calore autunnale» di una Roma liberata che ormai «non trema più per i 64 Ivi, p. 21. 65 Ivi, p. 33. 66 Ivi, p. 34. 67 Ibidem. 41 carri armati tedeschi» 68 . In un bar di Via Veneto, Ercole sostiene il carattere non accidentale ed episodico del fenomeno nazista: […] il nazismo non è l‟opera di un pazzo […], questo sostenere che Hitler era un pazzo, è il trucco degli ignoranti, e non solo degli ignoranti, per tranquillizzarsi e sfuggire al dubbio atroce che la tanto infallibile storia possa concludersi in delitto, mostruosità 69 . Le ulteriori considerazioni di Ercole – in modo analogo a quanto accade con Ivanoe – riguardano la carriera teatrale di Goliarda, e anche qui abbiamo l‟ammonizione a non diventare “leziosa”, l‟invito a coltivare la lettura: Devi leggere, Goliarda, studiare. Si paga a non avere fatto il liceo. Si paga, come paghi adesso l‟avere lasciato il teatro. Sei scontenta. È stata una pazzia […]. E che ne fai adesso? Che fai? Attenta Goliarda! Attenta a non diventare una fallita. Non mi convince come parli. Almeno, se attrice devi diventare, non diventare un‟attrice leziosa, artefatta 70 . I volti di Ercole e quelli di Ivanoe sono accomunati e richiamati l‟un l‟altro dal motivo della morte e della lettura: Ercole mostra, insegna, come si muore o che cosa significa morire – portare con sé le emozioni più distruttive e lasciare il meglio di sé: Morendo, Ercole si è trascinato nella bara tutte le emozioni morbide e timorose che il suo rigore, la sua intelligenza, mi avevano incrostato addosso, e che, fatalmente, mischiava nel latte fertile della sua voce. Ed è per questo che lo ringrazio oggi di avermi liberata e fatta ricordare come si muore. Si muore per lasciare il meglio di sé a quelli che hanno saputo leggere 71 . 68 Ivi, p. 34. 69 Ivi, pp. 34-35. 70 Ivi, p. 35. 71 Ibidem. 42 Ivanoe insegna a non temere la morte, bensì «il delitto che c‟è in natura, e che uccide a tradimento, prematuramente» 72 . Ivanoe si fa portatore di un materialismo ateo e pessimista che rintraccia in Leopardi e di cui suggerisce la lettura a Goliarda: Leggiti Leopardi, Goliarda, invece di tutte queste poesiole mistiche che parlano del bene e del male, e che esaltano la natura. La natura è criminale. Il diavolo esiste, e dio è un‟invenzione degli uomini per calmare la loro paura davanti al fulmine 73 . Ma la morte fa quasi sempre da filo conduttore della narrazione e dell‟intreccio dei volti e delle voci nel romanzo; la morte di Nica, quella di Carmine e del padre Peppino sembrano essere aspetti di un solo evento che si svolge in contemporanea, così come i tre personaggi sono immagini differenti della sessualità – la scoperta omoerotica di sé e del proprio corpo (Nica), la violenza maschile negli altri due casi: Nica morendo assume su di sé altre due morti, quella del padre di Goliarda e di Carmine, entrambi in vita rifiutati dalla protagonista in quanto simboli della sessualità nella sua spaventosa ferocia ed entrambi riappacificati nell‟animo di Iuzza dopo la morte. Nica è strettamente unita con entrambe le figure: è grazie a lei che Goliarda può affrontare la vista del cadavere di Carmine, è lei che costringe Goliarda a confrontarsi con l‟angoscia della libera sessualità del padre 74 . Dal punto di vista stilistico, si può notare, come fa A. Langiano, che Esattamente le stesse parole sono usate per descrivere la morte di Carmine e quella di Nica, così che le due morti diventano l‟una lo specchio dell‟altra; la stessa cosa avviene tra la morte di Nica e quella di Peppino, questa volta attraverso il passaggio del tutto inavvertito, svincolato dal principio di 72 Ivi, p. 36. 73 Ibidem. 74 A. Langiano, Lettera aperta: il “dovere di tornare” cit., p. 139. 45 detto, si trova quasi costretta a cominciare l‟analisi; in secondo luogo perché la terapia si svolge tutti i giorni a casa della Sapienza, anziché nello studio del medico, che arriva al punto da affittare un appartamento sulla costiera amalfitana per continuare la terapia con Goliarda, che trascorreva le vacanze in una villa a Ravello; in terzo luogo perché, nello stesso tempo, egli è anche il medico di Citto Maselli, allora compagno della Sapienza. Goliarda è un‟ “abbandonica” – almeno così la definisce il suo terapeuta – che risente della mancanza di una madre affettuosa: il rapporto tormentato con la madre è al centro delle sedute con il suo medico. L‟analista è giovane, ambizioso, all‟apparenza sicuro di sé 79 e spregiudicato al punto da non avere paura di esporre le proprie debolezze 80 . È siciliano come Goliarda, conosce proverbi, modi di dire tipici della loro terra 81 . È “maschilista” e più volte entra in contrasto con la sua paziente per il suo modo di concepire le donne e il mondo femminile: Goliarda lo paragona a un piccolo borghese o a un ufficiale di cavalleria; tuttavia anche questo suo lato la affascina, le dona un senso di protezione 82 , le restituisce 79 Quando Goliarda gli chiede di essere mandata da un altro analista, lui risponde: «“E da chi? Non vedo nessuno oggi in Italia, scusi la mancanza di modestia che rivelo […]. Non vedo nessuno che la possa curare”», G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 86. 80 Schiaffeggiato da Goliarda, ammette in due riprese di essere “abbastanza masochista”: «Usa dare schiaffi spesso? Non è che mi dispiacciano, sono abbastanza masochista da non dispiacermi […]. Con lei sto capendo molte cose. Per esempio non sospettavo di possedere un lato tanto masochista […]», ivi, p. 74; e ancora, a p. 103: «Non si arrabbi, non vorrei mi schiaffeggiasse… sebbene, un poco, lo desidero…»; ma anche: «Non mi aveva mai chiesto aiuto, signora… be‟, mi sono un po‟ commosso…», ivi, p. 150. 81 «Sapeva il siciliano. Nel dire i versi, le labbra gli si muovevano in modo strano; i denti gli si sbiancavano a quei suoni taglienti: brillavano bianchi, gelsomino o mandorla. Forse avevano anche il sapore di mandorle», ivi, p 75. 82 Alcuni passi che mostrano il lato “piccolo borghese” dell‟analista: «l‟amicizia tra donne è sempre un po‟ ambigua» (p. 70); «lei è molto coraggiosa, forse un po‟ troppo per una donna» (p. 85); «[…] lei è una donna… signora anche se l‟hanno costretta ad agire come un uomo è una donna… non crede?» (p. 86); «Lei è una donna, signora, e forse si sarebbe sentita più protetta…» (p. 103). 46 un‟immagine – anche se inadeguata e da “piccolo conformista” 83 – della femminilità differente da quella della madre, “intelligente più di un uomo”, ingombrante Super-io che sovrasta la protagonista e che, in certa misura, le ha imposto di “defemminilizzarsi” 84 . Goliarda si innamora di Majore che, a sua volta, vede in questo innamoramento un comune fenomeno di tranfert su cui lavorare per ottenere dei risultati terapeutici; tuttavia egli, almeno stando alla narrazione, sembra non riuscire a prendere una posizione chiara di fronte alle richieste d‟amore della sua paziente 85 . Probabilmente, come scrive la biografa dell‟autrice, Il giovane medico rimane affascinato di questa donna così sfacciata e assoluta nel dichiararsi follemente innamorata di lui. Anche se si autoconvince che la reazione alle richieste amorose della sua paziente rientra nel consueto schema professionale del transfert, l‟animo del dottore, turbato dall‟attrazione erotica che prova verso di lei, fa sì che i suoi messaggi verbali e non verbali risultino ambigui. O comunque, Iuzza li interpreta persuadendosi sempre più di essere ricambiata 86 . Nel romanzo viene narrato il sogno di un amplesso tra la Sapienza e Majore: il medico le ha fatto notare la sua mancanza di narcisismo, il suo sentirsi continuamente rimproverata e rifiutata; vuole aiutarla a rinforzarsi, a «levarsi questo freddo di dosso». Majore ha terminato la seduta, sta per andarsene, ma, a questo punto, la narrazione veridica cede il passo al 83 Ivi, p. 103. 84 Ivi, pp. 107-108: Majore le ricorda il suo atteggiamento di rifiuto nei confronti delle mestruazioni. 85 Si legga questa affermazione dello psicoanalista di fronte all‟ennesima dichiarazione d‟amore di Goliarda: «Sì, io l‟amo come dice lei, ma devo arginare questo mio amore. Io le voglio dare il meglio di me, la mia parte di medico […]», ivi, p. 150. 86 G. Providenti, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, Catania, Villaggio Maori Edizioni, 2010, p. 154. 47 sogno; Goliarda scorge sul suo volto e sull‟intero suo corpo lo stesso freddo, la stessa debolezza che avverte lei; Majore cade tra le sue braccia: anche lui aveva freddo, lo vedevo diventare ogni giorno più bianco, un viso di neve, le labbra serrate in una linea nera a volte tremavano, le dita snudate dalla fede fiocchi di neve [...]. Lo sguardo mi fissava a volte bruciato dal gelo,... mi fissa ora ma non mi vede.., non mi vede trema e si alza, ora va via.., no non va via, ha freddo e trema, si spezzerà per il freddo... e cadde fra le mie braccia spezzato e cercò calore da me. Sentii sulle sue labbra affiorare quel calore, si scaldava alle mie labbra.., un cerchio di colori, l‟arcobaleno si chiuse intorno a noi e i colori di quel cerchio roteante si fondevano fino a comporsi nel nero fondo di una notte d‟estate senza stelle. E non ci furono più né giorni né notti né albe né tramonti ma solo quella notte calda di mezzagosto sigillata intorno a noi, e in quella notte le sue dita di gelsomino fiorivano dalle mie mani, le mie labbra fiorivano al suo fiato e guardai per i suoi occhi, respirai per il suo fiato, una carne a me sconosciuta ancora, viva e vibrante, mi cresceva nutrita dal calore delle sue palme 87 . Dopo un tentativo di suicidio della Sapienza, Majore limita le sedute a tre settimanali, da tenersi ora nel suo studio; ma l‟analisi è oramai giunta al suo termine e si conclude senza portare a nessun risultato, anzi, forse anche peggiorando lo stato di salute di Goliarda, che tenterà ancora una volta il suicidio. Forse è più corretto dire che l‟analisi si interrompe per volontà di Goliarda e, anche, per i problemi personali e professionali di Majore lasciando a metà un lavoro di scavo; le ferite profonde e nascoste nei recessi più intimi sono giunte alla superficie senza che vi sia poi stato il tempo per cicatrizzarle, la carne resta esposta, a pelle scoperta e senza difese: […] mi accorsi che non avevo più pelle né carne. I nervi e le vene snudate vibravano dolorosamente, graffiati dal sole troppo forte […] con terrore mi accorsi che il vecchio nodo di pudore, paura ed odio come lo chiamava quel medico, si era aperto in una piaga sanguinante […] capii che quel medico, nello 87 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 141. 50 durante la redazione di Lettera aperta, ove il presente della vita dell‟autrice ci è in parte nascosto. Anche per questo, e non soltanto per i ricordi che essi evocano, per i personaggi che vi si ritrovano, questi due libri sono strettamente legati, ancor più che come seguito l‟uno dell‟altro – o come dittico: Roma, il teatro, la guerra, la malattia della madre, la depressione di Goliarda compaiono, è vero, soltanto in filigrana nel primo volume, ma sono già presenti; Nica, l‟amore d‟infanzia, e attraverso la sua voce lo spirito magico della Sicilia aprono il secondo. Ma ancora una volta, il gioco degli incastri va ben oltre, anche se il tono non è lo stesso, da quello della bambina o dell‟adolescente a quello della giovane donna che ha conosciuto la vita con un primo compagno, in una mescolanza di arte e politica (Citto Maselli è uomo di cinema e comunista impegnato), ed anche se attraverso ritorni molteplici la progressione avviene fino alla liberazione di una voce che si eleva contro tutti i diktat. Le ingiunzioni del «medico dei pazzi» operano, sotterraneamente, nell‟autrice di Lettera aperta; esse vengono alla luce del sole nel Filo di mezzogiorno per essere infine oggetto di resistenza, piattaforma rovesciata per prendere il volo 92 . L‟esergo con cui si apre il libro riprende letteralmente uno dei racconti di Nica contenuti in Lettera aperta e già citato: «Non andare fra le viti nel filo di mezzogiorno: è l‟ora che i corpi dei defunti, svuotati della carne, con la pelle fina come la cartavelina, appaiono fra la lava. È per questo che le cicale urlano impazzite dal terrore: i morti escono dalla lava, ti seguono e ti fanno smarrire il sentiero e: o morirai di sete fra gli sterpi disseccati dal sole – sterpo secco pure tu – o penserai sempre a loro smarrendo il senno!». Il romanzo stesso si apre con un‟invocazione a Nica, l‟amica-amante di Lettera aperta, affinché accompagni l‟autrice nel percorso di rimemorazione della sua psicoanalisi: […] solo se mi starai accanto potrò ripercorrere carponi il vicolo buio e tortuoso che si spalancò davanti a me sette e sette e sette e ancora sette mesi fa alla notizia che il mio analista era impazzito 93 . 92 N. Castagné, Archeologia di Modesta, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., p. 85. 93 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 16. Sull‟importanza della «voce di Nica» nel romanzo in questione si è soffermata M. Arena, Il filo di mezzogiorno. Morte e rinascita attraverso la scrittura cit., pp. 152-153. 51 A p. 22 la seduta psicoanalitica si fonde con il ricordo delle lezioni private tenutele dal professor Jsaya e delle pulci che infestavano il suo appartamento: Per oggi finiamo: la lezione è finita. Mi potrò grattare le caviglie. Le pulci mordono, ma io non devo chinarmi e grattarmi: devo stare attenta. «È un grande intellettuale, Goliarda. È un favore che fa a darti lezioni. Quindi mi raccomando: immobile ed attenta» 94 . Jsaya è un personaggio già comparso in Lettera aperta; l‟intera frase citata sopra ricalca una analoga contenuta nel primo romanzo: Era il mio maestro, mi dava lezioni nella sua stanza, ed era un supplizio per me, perché il pavimento era pieno di pulci: e mentre lui spiegava, dovendo stare immobile per rispetto alla sua fatica, «È un grande intellettuale ed è una vera gentilezza che ti fa dandoti lezioni: quindi immobile, mi raccomando!» – dovendo stare immobile e non potendo chinarmi per grattarmi sotto il tavolo, quelle ne approfittavano per consumare il loro pasto indisturbate 95 . Il modo stesso in cui Goliarda si autodefinisce – «ero proprio una bastarda» 96 – ricalca e conferma il modo in cui viene connotata dal fratello Carlo all‟inizio di Lettera aperta 97 ; analogamente, un passo che richiama le sue prime esperienze all‟Accademia d‟arte drammatica si ritrova quasi identico in entrambi i romanzi. Nel Filo di mezzogiorno leggiamo: «Tecnica ci vuole, signorina Sapienza, per recitare! Tecnica! Recitare è finzione!» 98 . 94 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 22. 95 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 18. 96 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 19. 97 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 17. 98 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 19. 52 E, in Lettera aperta: «Vede signorina, bisogna parlare più forte e scandire bene per farsi sentire fino in fondo, dagli spettatori degli ultimi posti: pagano anche loro e devono sentire. Recitare è finzione; non è come nella vita: ci vuole tecnica» 99 . Un‟ulteriore simmetria nella struttura dei due romanzi è rintracciabile nell‟unico spunto autobiografico preciso, ossia una datazione – il 10 maggio – che ci comunica l‟età della scrittrice e pone i due romanzi in una successione di un anno. In Lettera aperta, nel cap. 39 leggiamo: Oggi, 10 maggio 1965, compio 41 anni ed ho quasi finito questo mio libro che se riuscirò ad impararlo a memoria – io non so improvvisare: ho fatto l‟attrice e devo, per parlare, avere un copione – sarà il mio parlare a voi. Oggi rinasco o forse nasco per la prima volta. Ho un anno, solo un anno: e muovo i primi passi, apro gli occhi su questo albero che sta davanti alla mia finestra, su questa poltrona, sul monte che finalmente tornando una settimana fa da Catania con la parola “straniera” tatuata sulla fronte, finalmente, per la prima volta mi si è mostrato, ha lasciato cadere il suo scialle di nubi e mi è apparso dal finestrino 100 . La scrittrice allude qui al suo ritorno a Catania dopo l‟esperienza dell‟Accademia d‟arte drammatica a Roma, al suo sentirsi, e venire accolta, come straniera e, contestualmente, alla percezione della vera natura della pazzia di sua madre – di cui si è già parlato. La solitudine del sentirsi straniera, l‟esperienza della scoperta, del cominciare a capire, segnano una nuova nascita e il tentativo di muovere i primi passi da sola nel mondo. 99 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 151. 100 G. Sapienza, Lettera aperta cit., p. 146. 55 dalla voce di quell‟uomo, dai suoi discorsi, dalle interpretazioni coattive con le quali egli ha sigillato ogni racconto di lei, ogni parola che le sgorgasse. I discorsi del suo medico dilagavano: ramificati, inoppugnabili, melliflui, autoritari quando conveniva. La legavano più di una camicia di forza 102 . I sogni di Goliarda – oltre alla fantasia, già citata, della realizzazione del suo amore con lo psicoanalista – possono essere raccolti sotto due categorie: anzitutto due sogni in cui essa esprime il suo malessere e il suo rapporto con la madre, infine altri tre – che nel romanzo occupano lo spazio maggiore (sono i più lunghi e descritti con maggiori particolari) – relativi, come si vedrà, al setting analitico. Tutti hanno come caratteristica comune l‟ambientazione in luoghi algidi e freddi. Partiamo dal primo gruppo di sogni. Il primo occupa le pp. 110-111. Ricostruiamo le circostanze in cui il sogno si produce: Citto Maselli ha regalato a Goliarda una piccola macchina da scrivere; Majore la rimprovera: Goliarda continua a vivere in una condizione infantile, circondata da regali e da piccoli giocattoli, ma deve rendersi conto che oramai è adulta e che «non può andare avanti passando dal ventre di sua madre alla tasca di Citto» 103 . Senza rendersene conto, l‟analista ha posto in atto un‟ingiunzione paradossale “ordinando” alla sua paziente di crescere. Goliarda si raggela improvvisamente, e sogna di essere abbandonata da Citto in un vasto campo in cui il gelo ha bruciato tutta la vegetazione; si butta a terra per rannicchiarsi e riscaldarsi, ma si trova avvolta da lenzuola entro le quali si intravedono i capelli della madre, mentre il suo corpo improvvisamente si rimpicciolisce: 102 D. Scarpa, Senza alterare niente, postfazione a G. Sapienza, L’arte della gioia cit., p. 537. 103 G. Sapienza, Il filo di mezzogiorno cit., p. 110. 56 Citto si allontanava con la macchina, lo chiamavo ma non avevo bocca né età... mi lasciava in quel campo sterminato di terra bruciata dal gelo.., non c‟era ombra né alberi, non un filo d‟erba solo il gelo della lampadina accesa, non c‟erano case intorno.., come sarei tornata in fondo a quella casa dove la sua mano, se piangevo, mi poteva accarezzare per quietarmi?... mi misi a piangere... dune di terra brulla all‟infinito tutt‟intorno a me... girai tre volte su me stessa piangendo e chiamandolo ma non rispose. Mi buttai bocconi fra quelle dune di terra... ma non era terra, erano lenzuoli, una pianura sterminata di lenzuoli e sotto il mio corpo diventato piccolo, sotto il lenzuolo che cercavo di abbracciare ma non riuscivo, le mie braccia erano troppo corte, si intravedevano i capelli bianchi di mia madre, la sua fronte le sue braccia... mi aggrappai a lei e... 104 Ecco, ora, l‟interpretazione fornita dallo psicoanalista. Goliarda, nel sogno, torna bambina, “rimpicciolisce” e si rintana, o tenta di farlo, tra le braccia della madre. La terra rappresenta la madre di Goliarda, il fatto che sia smisurata rappresenta la sua inaccessibilità, mentre l‟essere brulla e desolata la sua freddezza affettiva verso la figlia; le lenzuola rappresentano il ricordo di aver dormito nel letto della madre o, piuttosto, esprimono il desiderio di dormire con lei: il movimento convulso delle braccia che si protendono in una carezza mimano un rapporto sessuale: […] nel tentativo, come dicevamo, di possedere questa terra smisurata – questa immagine materna inaccessibile – questa terra smisurata e brulla, lei ridiviene piccola, bambina, che, è chiaro, significa che una parte di lei è rimasta quella bambina esclusa dal calore materno ed è continuamente sminuita dal confronto di sua madre. E quel movimento che fa nel sogno su sua madre per abbracciarla lo associa per caso ad un amplesso? 105 Il desiderio di una riunione a tutti gli effetti carnale con una madre sperimentata come lontana spiegherebbero anche, a un tempo, l‟odio nei confronti del padre e le difficoltà che Goliarda avverte con la propria 104 Ivi, pp. 110-111. 105 Ivi, p. 112. 57 femminilità: non potendo possedere sua madre, essa si identifica con suo padre, l‟odio che avverte per lui traveste in realtà la sua invidia. Veniamo adesso al cosiddetto “sogno di Wozzeck” 106 , e anche in questo caso ricostruiamone le circostanze. Goliarda racconta al medico di avere preparato a casa sua una cena per venti amici; anche in questo caso egli la rimprovera – questa volta perché si dà troppo da fare per gli altri, si dona eccessivamente senza risparmiarsi, forse per timore di risultare, in caso contrario, fredda come sua madre – e anche in questo caso procede per ingiunzioni paradossali, dichiarando il suo intento di insegnarle ad essere autonoma: […] non pensa che li vizia un poco? Che li nutre un po‟ troppo? Che si stanca? […] scusi se insisto, ma è un aspetto molto importante della sua nevrosi che dobbiamo chiarire, scusi ma lei non prepara, non fa solo la cena, non solo cibo; lei si dà troppo e questo, probabilmente anche perché teme sempre di non essere abbastanza affettuosa, calda, e sa perché teme questo? Perché teme di essere come sua madre e così compensa questa sua manchevolezza che lei presume in sé, dandosi continuamente in pasto a tutti. Lei si fa mangiare... dovrebbe darsi di meno, sforzarsi di proteggersi... ci pensi bene signora, noi dobbiamo venire a capo di questo, io le insegnerò a non darsi in pasto, ad economizzarsi, a non essere sempre qui ad aspettare che qualcuno le chieda... le chiedono troppo perché sanno che lei non sa rifiutarsi. Io le insegnerò […] 107 . Goliarda sogna di trovarsi in una stanza bianca, circondata da un pubblico di cui può vedere solo le mani; deve recitare la parte di Wozzeck ma, non ricordando le battute, come nelle migliori tecniche dell‟Actors studio si mette a marciare come il personaggio che interpreta sperando che la memoria torni. A un certo punto, però, avverte che il suo corpo si sta 106 Wozzeck è un'opera lirica di Alban Berg del 1922, tratta dal dramma teatrale Woyzeck di Georg Büchner, ispirato al fatto di cronaca nera che vide coinvolto un uomo di Lipsia, Johann Christian Woyzeck, che uccise la sua amante. 107 Ivi, p. 117. 60 nel sogno si legge che lei ha preso coscienza che l‟analisi non è una confessione o una pratica rassicurante e confortativa ma una vera e propria operazione – giustamente come lei ha sognato una laparatomia, dato che il cavallo del sogno è lei, lei ama i cavalli come mi disse … 111 . Il professore Jsaya, artefice dell‟operazione che lui stesso dichiara andata a buon fine è lo stesso analista: egli ha messo in evidenza le parti “malate” – la pelle e la carne infette che emergono alla superficie della sezione – consentendo anche di mettere in luce le parti cosiddette “sane” – ossia la carne rossa che tiene insieme la struttura complessiva del corpo del cavallo-Goliarda: lei ci dà la diagnosi della sua nevrosi, qui indicata nella pelle e carne piene di pus che, staccate, diventano fogli di carta scritta con la sua scrittura, quindi […] ci dice che le lacrime che indicano la sofferenza, per questa operazione che abbiamo incominciato, si tramutano in perle che, toccando la pelle e la carne tolta, cioè il suo lavoro, le indicheranno come scartare, staccare, pulire il suo lavoro di emozioni idee morbose e fine a se stesse. Ma la cosa più importante di questa sua diagnosi è che, levando solo pochi strati di pelle e di carne, si arriva presto alla sua psiche sana che è quella carne rossa e viva che tiene legati saldamente vene e nervi del corpo del cavallo: il suo corpo psichico 112 . Goliarda ha sognato la dinamica del setting psicoanalitico e, non a caso, dopo il racconto e l‟interpretazione del sogno, essa dichiara il suo amore al medico; si tratta di un lavoro di indagine e ricerca che, però, prende la forma di un atto violento di denudamento e sezionamento del corpo fisico-psichico: quella carne che l‟analista definisce “sana” è infatti fragile e delicata e forse avrebbe dovuto restare più protetta. Come si è visto sopra, la repentina interruzione della terapia lascerà Goliarda a pelle 111 Ivi, p. 84. 112 Ivi, p. 85. 61 scoperta, e non certo a contatto con la sua “parte sana”. L‟analista tende a concepire i sogni della sua paziente come l‟esibizione delle sue difese nevrotiche e come il tentativo di superarle. Egli si considera uno spettatore imparziale e non sembra prendere in considerazione quello che lui stesso fa e gli effetti di questo fare sulla sua paziente: la sta denudando, aprendo, facendo a pezzi e svuotando. Il fatto che Goliarda reagisca a tutto ciò con amore è uno dei tratti più qualificanti della sua personalità. Mentre l‟analista tende a minimizzare il suo intervento e la sua stessa presenza, Goliarda tenta – senza riuscirci – a ricordargli la sua presenza in carne ed ossa di fronte a lei. Si legga questo scambio di battute: io sono per lei uno schermo bianco che lei riempie a volta a volta delle sue emozioni […], su questo schermo bianco coglieremo le emozioni esagerate, i sentimenti esasperati che lei crede si nutrano del presente e che invece si nutrono nel suo inconscio di vecchie emozioni stantie, vecchie fantasie infantili deformate e paralizzanti 113 . Ecco la risposta di Goliarda: non sento nessuna astrattezza o nebulosità nella sua presenza e lei lo sa … sa che mi accorgo di tutto quello che avviene […] le assicuro che il trasporto che ho per lei è tangibile e quello che è strano […] molto … be‟ sì … molto carnale 114 . Il dialogo tra Goliarda e il suo analista in fondo è impossibile: essa manifesta la sua sensibilità, i suoi sentimenti, lui risponde inserendo tutto questo in un rigido canone interpretativo basato sulla distinzione salute/malattia: 113 Ivi, p. 86. 114 Ivi, pp. 86-87. 62 non mi riportate a questo nuovo codice di regole che dà la perfezione o meglio, come lui diceva, l‟integrità psichica – scrive Goliarda –. Ti muore un figlio? Soffri? È sano. Sì: è sano se soffri tre quattro mesi per la sua perdita: ma un anno! Un anno e un mese! […]: in questo secolo di religiosità scientifico- tecnica, l‟emozione, l‟amore, la scelta morale, la fedeltà e finanche la memoria cadono in sospetto di malattia 115 . In buona sostanza, Goliarda Sapienza sogna quello che accade nella relazione terapeutica, ciò che essa vive come una brutale forma di vivisezione. L‟analista, dal canto suo, interpreta in modo molto direttivo e a volte brutale quello che vede dentro il corpo sezionato e aperto della sua paziente, ma non si interroga mai su ciò che lui stesso fa, sulla sua pratica, ossia sul sezionare la psiche della sua paziente. Al contrario, egli nega ogni suo intervento, nega di essere parte attiva nel setting analitico, e, come si è visto, si autodefinisce uno schermo su cui le cose si proiettano da sé, senza bisogno che lui faccia nulla. Lo psicoanalista riconduce ogni azione e reazione di Goliarda all‟ortodossia psicoanalitica – l‟amore ridotto a transfert, il desiderio come desiderio della madre, l‟invidia verso il padre ecc… – senza cogliere quanto c‟è di artificiale e costruito in tale dottrina; dà per scontato che l‟ “intro-spezione”, il “guardare dentro”, l‟ispezionare l‟ “interno”, possa restituire qualcosa di vivo e reale. Tuttavia egli, nello stesso tempo, non si accorge di impiegare i procedimenti oggettivanti delle scienze naturali: “apre” la testa di Goliarda per far uscire i pensieri e analizzarli, così come si seziona e si apre un corpo per vedere come è fatto dentro. Per utilizzare un‟espressione di J. Hillman, 115 Ivi, p. 60. 65 Capitolo 2. Il capolavoro sconosciuto: storia editoriale, temi e aspetti de L’arte della gioia 1. Vicende editoriali Romanzo-fiume di circa 500 pagine e dalla lunga gestazione, L’arte della gioia ha conosciuto delle singolari peripezie editoriali fino a diventare un libro di culto. L‟inizio della stesura può essere datato con una certa approssimazione verso il 1969 e la conclusione nel 1976; seguirà una lunga fase di rielaborazione del manoscritto condotta assieme al marito A. Pellegrino, attualmente curatore delle opere della Sapienza. Nel 1978 il romanzo è pronto per la pubblicazione: viene proposto a Rizzoli e subito rifiutato per la sua eccessiva lunghezza, poi a Feltrinelli, che opporrà un rifiuto basato, questa volta, sulla struttura tradizionale del romanzo. Nel 1994 Pellegrino farà pubblicare, a sue spese, una prima parte del romanzo presso Stampa Alternativa e si occuperà ancora della pubblicazione dell‟opera integrale presso la stessa casa editrice, che avrà luogo nel 1998, due anni dopo l‟improvvisa morte della scrittrice. Nel 2001, un programma della serie Vuoti di memoria su Rai Tre, esplicitamente dedicato a Goliarda Sapienza, genera un po‟ di curiosità attorno al libro. Pellegrino, nel frattempo, si è attivato per una pubblicazione all‟estero: il libro esce quindi dapprima in Austria, in due 66 volumi tra il 2005 e il 2006, quasi contemporaneamente in Francia (2005) e infine in Spagna attirando da subito un enorme interesse ed un successo di critica e di pubblico che indurranno l‟editore Einaudi a prendere in considerazione il libro e a pubblicarlo nel 2008. 2. La trama Parte prima Nell‟incipit la voce narrante si rivolge direttamente ai lettori, secondo una tecnica già sperimentata in Lettera aperta. Con la prima espressione – «ed eccovi me…» – Modesta, protagonista del romanzo e voce narrante, si presenta al pubblico dei lettori dichiarando da subito il suo intento di raccontare con precisione e senza omettere dettagli tutta quanta la vicenda: Ed eccovi me a quattro, cinque anni […]. Lasciamo questo ricordo così com‟è: non mi va di fare supposizioni o d‟inventare. Voglio dirvi quello che è stato senza alterare niente 120 . Nella prima pagina, l‟eroina del romanzo esibisce se stessa e l‟ambiente in cui vive con la madre e la sorella Tina, affetta dalla sindrome di Down: una stanza buia «dove si dormiva, si mangiava pane e olive, pane e cipolla. Si cucinava solo la domenica» 121 . Secondo una movenza stilistica che già conosciamo, la scrittura, in queste prime pagine, fortemente evocativa dell‟infanzia, alterna un 120 G. Sapienza, L’arte della gioia, Torino, Einaudi, 2008, p. 6. 121 Ibidem. A. Cagnolati ha sottolineato ha sottolineato la lezione verghiana nella descrizione di questi ambienti; cfr. A. Cagnolati, Una “tosta carusa”: la formazione di Modesta, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., pp. 61- 62. 67 linguaggio da adulto con una sintassi, più che un lessico, infantile, pieno di ripetizioni, a tratti cantilenante. Si consideri questo passo: La luce mi fa bruciare gli occhi. Sempre, quando esco dalla stanza la luce mi brucia gli occhi; quando entro invece il buio mi acceca. La calura è caduta e le montagne sono tornate nere come i capelli della mamma. Sempre quando cade la calura le montagne diventano nere come i suoi capelli, ma quando la calura sale diventano azzurre come il vestito per la domenica che la mamma sta cucendo per Tina. Sempre vestiti a lei, e nastri! Anche le scarpe bianche le ha comprato. A me niente 122 . Emerge da subito un tratto del personaggio di Modesta certamente autobiografico, ossia l‟ambivalenza affettiva nei confronti della madre – un desiderio frustrato di amore che subito si trasforma in invidia e odio verso di lei e verso la sorella: La madre di Modesta condensa nella sua persona i tratti più negativi addotti da una miseria senza scampo. Il suo aspetto fisico ben sintetizza quell‟essere fuori dal tempo, povero «mucchio di stracci» assurta a dimensione metastorica nel suo silenzio, quel silenzio che sempre ci appare come la cifra distintiva delle donne «dimenticate dalla storia». Nei suoi occhi «dilatati» scorgiamo la fatica incessante del lavoro che garantisce un po‟ di cibo alle sue due bambine, quel cucito che per secoli è stato una sorta di accomplishment per le nobildonne allo scopo di scacciare l‟ozio, e procacciatore di pane per le disgraziate. Non sorride mai: e non soltanto perché le mancano i denti ma perché nulla della sua vita potrebbe procurarle il minimo barlume di serenità. E tuttavia i suoi gesti sono improntati a dolcezza, a quella muta tenerezza con la quale guarda la sua povera Tina, affetta da sindrome di Down. Poco traspare sulla sua effettiva fisicità: è alta, ha capelli neri che Modesta invidia. Modesta ha una relazione fatta di odio e amore per la madre: prova un‟acuta gelosia per le cure e le attenzioni che ella rivolge alla sorella, debole creatura legata visceralmente alla madre, ma allo stesso tempo vorrebbe diventare come lei una volta adulta 123 . 122 Ivi, p. 6. 123 A. Cagnolati, Una “tosta carusa”: la formazione di Modesta, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., pp. 63-64. 70 a “ritrovare la propria carne” 128 . Oramai ha «conquistato la forza dell‟odio e l‟astuzia della prudenza» 129 e, quando scopre che Madre Leonora la ha nominata propria erede, sega la balaustra della torre sulla quale essa si reca la notte per guardare le stelle: Madre Leonora precipita dalla torretta e muore. Modesta simula il proprio dolore attraverso un falso svenimento, che commenta a noi lettori citando ironicamente Dante: […] se io ero la più colpita potevo benissimo svenire dal dolore e sottrarmi così a quella prova che loro mi volevano infliggere [la veglia del cadavere]. E caddi come corpo morto cade, dice il poeta e maestro di vita. E non ci fu modo di svegliarmi, né quella notte, né l‟indomani 130 . Viene inviata alla residenza del Carmelo presso la sorella di Madre Leonora, la principessa Gaia Brandiforti. La prima persona che incontra è Lucia, la cameriera toscana, detta Argentovivo per la sua dinamicità. Seguiranno la principessa Gaia, donna generosa ma dal carattere rigido ed austero, e Beatrice, detta “Cavallina” perché lievemente claudicante e che si scoprirà essere figlia di Madre Leonora e del gabellotto Carmine Tudìa – Gaia quindi è la zia. La figura femminile che più influenza Modesta è senza tema di smentite Gaia Brandiforti, una personalità non comune che sa reggere con la sua forza e la sua caparbietà un ingente patrimonio fatto di case, ville, terreni […]. Gaia- maman si accampa nella fantasia di Modesta come il modello di una donna diversa dalle altre, che sa fronteggiare un universo maschile e sa dominarlo, anche a costo di autoesiliarsi in una dolente solitudine 131 . 128 Ivi, p. 41. 129 Ivi, p. 44. 130 Ivi, p. 47. 131 A. Cagnolati, Una “tosta carusa”: la formazione di Modesta, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., pp. 67-68. 71 L‟ambiente di casa Brandiforti è piuttosto lugubre: degno di un romanzo gotico, suggerisce un‟aristocrazia decadente e in via di dissoluzione. Tra Modesta e Beatrice si instaura un‟intensa amicizia che presto si trasforma in un amore destinato a durare per anni. Beatrice le mostra le camere dei parenti defunti. Il primo è Ildebrando, fratello maggiore di Gaia, morto di tisi: nella sua camera è rimasta solo una sedia a rotelle e le gabbie ancora piene degli uccelli che collezionava e teneva con sé. Segue l‟altro fratello: Jacopo – scienziato eretico e comunista, ateo e bestemmiatore – la sua stanza è piena di libri “proibiti”. Infine, il più giovane dei Brandiforti, Ignazio: socialista interventista, è partito volontario per la guerra; precipitato con l‟aereo è rimasto paralizzato e dopo un anno è morto. Durante le numerose esplorazioni nelle infinite stanze della principesca dimora insieme a Beatrice […], Modesta scopre le figure maschili appartenute alla dinastia e tutte prematuramente scomparse. Tutti fantasmi ribelli, dediti alla nuova divinità della scienza, anticlericali ed eretici per vocazione 132 . Beatrice allude, senza aggiungere altro, alla “cosa”, un personaggio che sta rinchiuso all‟ultimo piano e che viene accudito da Pietro. Quando questi viene ferito dalla “cosa”, Modesta accorre in suo aiuto e capisce tutto: si tratta del principe Ippolito, un ragazzo affetto dalla sindrome di Down, come lo era sua sorella Tina. Modesta gli si avvicina senza paura; Ippolito le tocca la gonna e la chiama “mamma”. È fatta: Modesta ha conquistato la fiducia dei Brandiforti; annuncia di aver sognato Madre Leonora e di rinunciare a prendere i voti per dedicarsi alla famiglia che la ha accolta. Presto prende in mano la 132 Ivi, p. 68. 72 contabilità e l‟intera amministrazione della casa. Nel frattempo legge i libri dello zio Jacopo: gli illuministi, in particolare L’interpretazione della natura di Diderot e le opere di Voltaire, ma anche i socialisti come Bebel: l‟arrivo alla casa dei Brandiforti coincide con la presa di coscienza di un mondo altro, ovvero la filosofia e la politica. […]. Modesta comprende quindi che l‟istinto ribelle che è in lei può essere legittimato attraverso ideologie e teorie tali non solo da spiegarlo, bensì da farne un perno centrale del suo modo di essere e di rapportarsi al mondo. La ribellione assurge dunque a ipostatizzazione del suo relazionarsi con gli altri e con la società. Il fascinoso «mondo delle idee» attrae Modesta in maniera ben diversa rispetto ai libri che aveva avidamente letto in convento: ora le letture vertono sui filosofi come Voltaire, oppure i poeti, ed ancora i racconti di Poe 133 . Si occupa di Ippolito, al quale insegna a mangiare con le posate, a mantenersi pulito, a dire le preghiere. Decisa a conquistare una posizione maggiore in casa Brandiforti, simula una malattia ed interrompe tutte le sua attività per dieci giorni, facendo sprofondare nel caos tutta la vita del Carmelo: «ecco cosa dovevo fare: ammalarmi e lasciarli cuocere nel loro brodo» 134 . Viene destinata in sposa a Ippolito; spaventata, come è comprensibile, fugge dal castello e si reca dalla Carmela, una delle tante donne condotte da Ippolito per placare i suoi appetiti sessuali – e le chiede delucidazioni su come comportarsi. Al ritorno è accompagnata a cavallo dal gabellotto Carmine. La vista di quelle povere case di contadini le ha ricordato la sua infanzia inducendole un momentaneo senso di smarrimento, cui reagisce immediatamente con uno sforzo di autoconsapevolezza: non bisogna sforzarsi di dimenticare il passato, ma anzi tenerlo sempre vivo presso di sé per non farlo riaffiorare 133 Ibidem. 134 G. Sapienza, L’arte della gioia cit., p. 94. 75 Nei brutti duplicati di se stessa lei […] non si rispecchia e, proprio per questo, odia, li odia: perché lungi dal rilanciare il suo ideale lo mortificano, impedendole nel contempo di identificarsi in qualcosa di grande. Con un‟umanità femminile perdente, confusa, attaccata agli uomini con legami mai messi in chiaro, Modesta non può avere niente a che fare […]. E perciò chiude con loro, drasticamente, perché chiude di fatto con ciò che rappresentano. Uccide, si può dire, per legittima difesa. Tant‟è che non ha rimpianto, rimorso, ripensamento, senso di colpa alcuno. E nemmeno – tanta è la sua determinazione – la capacità di riconoscere l‟offesa che uccidendo compie sulla sua propria umanità 138 . L‟odio che Modesta finisce per provare è il rovescio dell‟amore inizialmente sentito: mentre, se ricambiata, si dona con slancio e passione generosa, se delusa e tradita odia, al punto da uccidere. Lo stesso vale nei confronti di Gaia, una donna che ha sempre ammirato, ma le cui chiusure finiscono con l‟essere solo un ostacolo. Si scopre incinta di Carmine. Nasce Eriprando, “Prando”. Il parto è l‟ennesima, straziante testimonianza di una vitale carnalità gioiosa e intensa, capace di riaffermarsi anche attraverso la lotta e il dolore, quale è la lotta per la vita che si presenta in ogni atto carnale, sia esso un amplesso o un parto: Perché gridava così? Piangeva per la sua vita conquistata, o perché, nel segreto di quell‟atto carnale, quell‟essere sapeva di aver quasi ucciso per la sua vita? Solo il mio corpo e il suo sapevano il significato segreto di quella lotta mortale e senza ostilità: ognuno per la propria vita 139 . 138 M. Farnetti, «L’arte della gioia» e il genio dell’omicidio, in Id. (a cura di), Appassionata Sapienza cit., p. 94. 139 G. Sapienza, L’arte della gioia cit., p. 122. 76 Modesta e Beatrice intraprendono un viaggio a Catania: Modesta vede per la prima volta il mare: «quel cielo liquido rovesciato che fuggiva calmo verso una libertà sconfinata» 140 . Parte seconda L‟ambientazione si svolge a Catania. Modesta si propone di vendere la residenza del Carmelo, oramai troppo costosa, che verrà acquistata da Carmine. Nel frattempo sono tornati dal fronte i due figli di quest‟ultimo, che interrompe la relazione con la protagonista. Consapevole che «l‟amore non è assoluto e nemmeno eterno» 141 , Modesta riflette sulle menzogne che le parole portano con sé: le parole, i sostantivi, tendono ad assolutizzare e rendere stabile fino all‟illusione dell‟eternità ciò che, come l‟amore, non può che essere mutevole: Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte paro1e, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali … E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l‟uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione 142 . Alla necessità di procedere ad una sorta di anatomia delle emozioni, corrisponde adesso quella di studiare accuratamente le parole, il loro significato e il loro uso, in modo da appropriarsene anziché esserne posseduti e sapersene servire nel modo più adeguato alle circostanze; è solo 140 Ivi, p. 126. 141 Ivi, p. 134. 142 Ivi, pp. 134-135. 77 con un impiego adeguato delle parole che Modesta potrà “uccidere” il sentimento che prova per Carmine: Imparai a leggere in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel «mio» contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima. E il mio odio crebbe giorno per giorno: l‟odio di scoprirsi ingannati. Trovai le parole .per uccidere Carmine. Trovai ciò che tutti i poeti sanno, che si può uccidere con le paro1e, oltre che con il coltello e il veleno 143 . Conosce Carlo Civardi, giovane medico incaricato di occuparsi di Ippolito: socialista convinto, questi ritiene che la sua professione debba accompagnarsi ad un‟azione politica volta alla radicale trasformazione della società; egli afferma infatti: Mi sono reso conto che fare il medico in questa società non è altro che rappezzare i guasti che le condizioni di lavoro nelle miniere e nelle fabbriche, i pregiudizi o lo stato di povertà e sporcizia ricreano con una velocità superiore, troppo superiore alle nostre buone intenzioni di piccoli medici individualisti. Che vale – in una vita – salvare cento persone, delle quali novantanove sono ricche o benestanti, quando hai capito che la medicina deve innanzitutto prevenire i mali di tutti, indiscriminatamente? […]: il mestiere del medico è valido solo se è affiancato da un‟azione che ha il fine di dare a tutti case salubri, vivibili, ospedali veramente efficienti. Per fare questo bisogna agire, agire in profondità. Non c‟è altra strada 144 . Innamoratosi di Modesta, non si sente ricambiato e abbandona l‟incarico; ritornerà su pressione di Beatrice, per ripartire di nuovo verso Livorno, al seguito di Gramsci che sta fondando il partito comunista. Dai racconti che lui fa a Beatrice, e che lei riporta nel suo diario, emerge la 143 Ivi, p. 135. 144 Ivi, p. 142. 80 di Carmine – Ciccio e Turi Musumeci. Su disposizione di Modesta, verranno fatti uccidere tutti e tre. Mattia, però, spara a Modesta e per poco non la uccide, quindi fugge. Beatrice è impazzita per il dolore. Parte terza Modesta ha oramai trent‟anni. Beatrice, dopo una breve malattia, è morta. Anche Ippolito è morto – di sifilide. La casa di Catania ospita e nasconde dissidenti politici. Tra questi Joyce, figlia di un ambasciatore italiano e di una nobildonna turca, amica del poeta Nazim Hikmet, una donna stravagante ed inquieta ma, nello stesso tempo, fragile. Ecco la descrizione – una delle poche di tutto il romanzo – che ne viene data: All‟ombra della pesante falda di feltro marrone, gli occhi – due grandi occhi obliqui – scivolavano scuri verso il buio delle tempie. Non sorridevano quegli occhi, né avanzando verso di me, né prendendo il posto di Stella che, ignorata, scappa a precipizio. In una frazione di secondo fu come se si fosse materializzato davanti a me un oggetto prezioso di quei salotti parigini dove i nostri fuoriusciti, fra una bevanda e l‟altra, ostentavano un‟amarezza trattenuta e cortese sotto gli sguardi eccitati di signore finalmente liete d‟aver trovato un diversivo alla loro noia perenne... Cerco di capire il suono che quelle labbra sicuramente producono, ma non riesco a percepire che il movimento lento, elegantemente composto 151 . Ma dal suo viso emana un «nuovo barlume di intelligenza» 152 e Modesta si innamora stringendo molto presto con lei una relazione, resa fin dall‟inizio tormentata dalle crisi depressive cui Joyce è soggetta e dai suoi ripetuti tentativi di suicidio. 151 Ivi, pp. 278-279. 152 Ivi, p. 313. 81 Joyce le racconta dei suoi studi di psichiatria e psicoanalisi compiuti in Germania, che ha recepito in chiave marxista secondo la lezione di Reich: l‟istinto di morte, al centro della riflessione matura di Freud, sarebbe un prodotto della società capitalistica. Ma, nel complesso, la psicoanalisi ha una portata eversiva che non è più possibile trascurare, il cui nucleo è la distruzione del mito dell‟imperturbabile trascendenza dell‟anima. Freud ha mostrato lo stretto legame tra lo psichico e l‟istintuale, la sua possibilità di ammalarsi e di essere curato: Freud – afferma Joyce – ha scoperto che l‟anima non è una stella fissa eterna e immutabile dentro di noi, ma una luce che rotea seguendo le pulsazioni delle vene e dei nervi, che si oscura e s‟accende, e come il cuore, la vista, il fegato, è passibile di malattie guaribili o mortali. La sua scoperta è una sferzata paurosa alla sicurezza dell‟uomo del passato. È per questo che intellettuali, politici e medici stessi lo osteggiano con tutti i mezzi a loro disposizione, con la calunnia, la negazione e, non oso pensarlo, potrebbero arrivare anche alla tortura, come fu con Galilei. Per adesso si accontentano di bruciare i suoi libri […]. Freud ha detto che l‟Europa ormai non è che un‟immensa prigione … 153 Sono passati tre anni, Modesta vive il rapporto con Joyce in modo sereno e tranquillo. Ma l‟amica dagli occhi tristi e tormentati se ne vergogna e vive l‟omosessualità come una colpa, al punto di dire a Modesta che l‟amore è solo illusione, e che il suo amore in particolare non è che un fenomeno di “puro transfert”: Tu credi di amarmi, ma è puro transfert. Tu mi identifichi con tua madre. E non solo, avendola perduta così presto e per causa tua, ti senti in colpa e hai sempre paura di perdermi 154 . 153 Ivi, pp. 311-312. 154 Ivi, p. 351. 82 La risposta di Modesta è quasi scontata: non c‟è nulla di male né di malato nel perseguire la felicità, anche una felicità che si è conosciuta o che è stata solo immaginata merita di essere cercata e conservata con cura. Lo scambio di battute tra i due personaggi ricalca quasi alla lettera un analogo scambio di battute tra Goliarda Sapienza e il dott. Majore riportato nel Filo di mezzogiorno: anche in quel caso abbiamo uno scienziato che ha la pretesa di dire la verità sull‟amore (se l‟amore esista, se sia vero amore o solo proiezione e così via…) e Goliarda che, indipendentemente da questa verità, ribadisce la presenza imprescindibile del vissuto e del sentire. Arriva improvvisamente Timur, fratello di Joyce, anch‟egli oggetto di un‟accurata descrizione: l‟autrice si sofferma sulla sua altezza – «appena più alto di Joyce, si muove in quel vestito borghese come se fosse in divisa» – sulla «eleganza composta delle mani e del viso», sulle cicatrici che solcano le sue guance che, «più che ferite casuali, sembrano incisioni precise operate dalla mano di un chirurgo scultore» 155 . Timur è un archeologo e, a differenza della sorella, un fervente nazista: Hitler vuol fare dell‟Europa intera un solo grande popolo di tecnici e intellettuali dediti al solo servizio dello Stato; con toni trionfalistici e pomposi riconosce al Führer la capacità di aver conosciuto la natura dell‟animo femminile: egli ha svegliato la donna dall‟erronea convinzione individualistica di abbracciare con le sue ali d‟angelo protettore solo il limitato, anche se sacro, ambito della propria famiglia. Acutamente Hitler ha individuato la limitatezza di questa missione fino a ieri imposta alla donna, e l‟ha indicata come atteggiamento nemico del progresso e dell‟avanzata dei nostri popoli. E le donne sono corse al suo richiamo 156 . 155 Ivi, p. 359. 156 Ivi, p. 363. 85 conquistarlo; in fondo anche l‟improvvisa malattia di Maria Giudice ha rappresentato un sollievo per tutti: Non si può improvvisamente parlare di libero amore, di aborto, di divorzio, bisogna andare per gradi […]. Dobbiamo rassicurare l‟opinione pubblica, dobbiamo dimostrare al paese che siamo persone rispettabili in tutti i sensi e non i senza legge rossi, la canaglia rossa, ecc., come ancora si legge sui muri nelle campagne 164 . Modesta prova ora solo ripugnanza per il sorriso composto della sua ex amica, e per il tradimento che ravvisa in lei non solo come comunista, ma anche come donna. Ancora una volta il ribelle ha preso le vesti del padrone, le donna sottomesse hanno interiorizzato il comportamento del persecutore: scambiando la libertà con l‟imitazione del potere, hanno rinunciato al sogno di un rinnovamento radicale della società, semplicemente sostituendo alla gerarchia di genere il sistema delle gerarchie di classe tipico del modo di produzione capitalistico: credendo di liberarsi hanno tradito se stesse, e sono le sole responsabili del futuro che le attende. Fra venti, trent‟anni non accusate l‟uomo quando vi troverete a piangere nei pochi metri di una stanzetta con le mani mangiate dalla varechina. Non è l‟uomo che vi ha tradite, ma queste donne ex schiave che hanno volutamente dimenticato la loro schiavitù e, rinnegandovi, si affiancano agli uomini nei vari poteri […] attente, voi, privilegiate dalla cultura e dalla libertà, a non seguire l‟esempio di queste negre perfettamente allineate. Al posto delle mani tagliuzzate dalla varechina, per voi si preparano anni di cupo esercizio mascolino nel legare alla catena di montaggio le più povere, e l‟atroce notte insonne dell‟efficienza a tutti i costi. E fra venti anni di questo esercizio vi troverete chiuse in gesti e pensieri distorti come questa larva che sorride per dovere d‟ufficio – materializzazione né maschile né femminile –, inchiodate davanti al vuoto e al rimpianto della vostra identità perduta 165 . 164 Ivi, p. 470. 165 Ivi, pp. 470-471. 86 A questa discussione segue molto presto un litigio con Prando che, al contrario, non vuole che lei abbandoni l‟impegno politico. Questo litigio, che termina con una interruzione dei rapporti tra i due, merita di essere riportato analiticamente, perché dimostra ancora una volta tutta la capacità di Modesta di travolgere i luoghi comuni più accreditati anche tra gli ambienti cosiddetti “progressisti”: prende infatti la forma di una “ribellione al figlio” che si dimostra del tutto analoga alla “ribellione ai padri”. Modesta è una donna matura, ha cinquant‟anni, Prando è oramai un uomo che assume su di sé il suo ruolo di adulto, inclusa la responsabilità di prendersi cura della madre – per esempio trovandole un marito, il militante Lucio, di cui lei però non è innamorata. [Prando:] Guarda che se non lo sposi vieni a vivere con me a Catania [Modesta:] E perché? [Prando:] Perché, dice! Villa Suvarita è venduta, no? Fra tre mesi la devi lasciare. Dove vuoi andare? Non hai una lira, mamma, te lo vuoi mettere in testa? 166 […] io non posso stare con „sta preoccupazione costante» 167 . Modesta vuole aprire una libreria, ma Prando non desidera che la madre “faccia la bottegaia”, “stia dietro ad un banco” e per di più in una “topaia”, in un “quartiere equivoco”. Accanto a slogan come “la rivoluzione graduale” che il partito starebbe attuando 168 , il suo linguaggio prende accenti maschilisti: «si potesse ragionare con voi donne…» 169 e 166 Ivi, p. 476. 167 Ivi, p. 477. 168 Ivi, p. 479. 169 Ivi, p. 476. 87 disincantati: «Innamorata! Ma gli anni, l‟esperienza non t‟hanno insegnato niente? Eppure ci si deve calmare con gli anni» 170 . Lo scontro tra l‟adulto e l‟ “anziana” mostra la presenza di un conflitto continuo tra le generazioni: come il vecchio vuole impedire al bambino di crescere, così il giovane vuole far invecchiare precocemente l‟adulto – l‟operazione è la stessa e identico è lo scopo, ossia la privazione della libertà altrui: Mi vuoi proprio mandare in pensione eh, Prando? È così, il vecchio ti vuole costringere a essere eternamente bambino e il giovane ti vuole vedere subito vecchio, fuori dai piedi […], il bambino si vizia, il vecchio in un cantone si adora 171 […] forse invecchiare diversamente non è che un ulteriore atto di rivoluzione 172 . Ma anche Prando finisce con l‟abbandonare la politica: fa l‟avvocato, ha sposato una donna remissiva che tiene completamente sottomessa al suo servizio, litiga frequentemente col figlio Carluzzu, temperamento ribelle come la nonna (e come fu il suo stesso padre) che aspira a fare l‟archeologo e non si fa nessuno scrupolo ad alzare le mani su Prando e riempirlo di botte, per poi andare a festeggiar in osteria con Modesta. Modesta è, oramai una donna, per così dire, “anziana”: ma la vita continua e con essa l‟amore e la costruzione della propria felicità. Il romanzo termina con un non troppo inatteso lieto fine: l‟incontro con Marco Clayton, un personaggio alquanto bizzarro, un po‟ dandy, al tempo stesso medico e musicista, e la nascita di un amore che si rivela, questo sì 170 Ibidem. 171 Ivi, pp. 476-477. 172 Ivi, p. 482. 90 A tale proposito, M. Andrigo 175 inserisce il romanzo in un contesto tematico definito “autofiction” – termine che lega ossimoricamente biografia e invenzione. Il concetto di “autofiction” si caratterizzerebbe per due movenze diverse ma necessariamente intrecciate: da un lato proiezione del proprio io in una storia inventata, dall‟altra opere di finzione basate sulla propria vita. In particolare, M. Layouen scrive: l‟autofiction au sens strict du terme, un récit de faits strictement réels où la fiction porte, non pas sur le contenu des souvenirs évoqués, mais sur le processus d‟énonciation et de mise en récit. […] Le deuxième volet, c‟est l‟autofiction au sens large qui associe le vécu à l‟imaginaire. Ici la fiction affecte le contenu des souvenirs. […]. S‟arrêtant sur cette notion, Gérard Genette propose un point de vue tout à fait différent de l‟autofiction. En se basant sur « le protocole nominal » de la triple identité, Genette distingue deux catégories : il évoque d‟une part, « les vraies autofictions dont le contenu narratif est, si je puis dire, authentiquement fictionnel » et pour illustrer cette catégorie, il cite l’Aleph de Borges et la Divine comédie de Dante. D‟autre part, il qualifie de « fausses autofictions » des oeuvres qui, dit-il, « ne sont fictions que pour la douane »: autrement dit, autobiographies honteuses 176 . Sotto questo punto di vista, L’arte della gioia potrebbe essere concepita come un “romanzo personale” o, per usare l‟espressione impiegata da R. Ceccatty proprio a proposito del libro 177 , “roman subjectiv”: in questa tipologia di romanzi – scrive ancora M. Andrigo – il nome del protagonista, il luogo e il tempo delle azioni possono essere anche molto differenti da quelli dell‟autore ma connotare ugualmente un‟opera di tipo autobiografico. L‟autobiografia può risiedere, ad esempio, nell‟evoluzione psicologica del protagonista, corrispondente a quella dell‟autore stesso. Goliarda Sapienza […] trasforma il racconto autobiografico in autofabulazione, 175 M. Andrigo, L’evoluzione autobiografica di Goliarda Sapienza in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., p. 119, nota 4. 176 M. Layouen, L’autofiction: une réception problématique, www.fabula.org. 177 Cfr. R. Ceccatty, Sapienza, princesse hérétique, recensione della traduzione francese dell‟Arte della gioia pubblicata su «Le monde des livres» il 16 settembre 2005. 91 mantenendo intatta la precisa funzione di svelamento e racconto del sé che ella attribuisce alla scrittura 178 . In effetti, Goliarda è molto differente da Modesta; anche se, al tempo stesso, ha diversi aspetti in comune con lei. C‟è da dire, comunque che Nonostante la palese finzione narrativa […] risultano individuabili aspetti della psicologia della scrittrice che un autore difficilmente è in grado di riproporre lontano dalla “protezione” di una maschera e di un alter ego. Nel nostro caso, possiamo intuire che la personalità di Modesta concretizzi molti dei desideri inespressi appartenenti a Goliarda Sapienza […]. Comprendiamo, allora, come questo sia in realtà un personaggio intimamente autobiografico che realizza ed espone, attraverso la sua alterità, una parte del mondo interiore della donna “Goliarda” 179 . Goliarda ha un lato, importante, di malinconia, che tende a sfociare in depressione. È il lutto per la madre persa a 29 anni che segna l‟inizio di un periodo di profonda crisi nella sua vita. Parole come angoscia, ansia, umore nero, noia, tristezza compaiono sempre più spesso nella sua esistenza. Il lavoro d‟analisi l‟aiuta e le insegna ad accettarsi di più ma la brusca interruzione del trattamento la lascia impreparata, anche se il lavoro di scrittrice la motiva e l‟aiuta molto. Tuttavia, Goliarda non è sicura di sé, vuole essere amata, teme soprattutto di essere abbandonata, non si fida del sesso maschile, dubita della propria femminilità, l‟ammira in altre donne con cui spesso intrattiene rapporti amicali stretti o anche erotici, sempre però dubbiosa di se stessa. Vive la propria vita in pienezza ma è incapace di programmarla; tra l‟altro è perennemente senza soldi: 178 M. Andrigo, L’evoluzione autobiografica di Goliarda Sapienza, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., pp. 119-120. 179 Ivi, p. 120. 92 Così era Goliarda: guerresca e pacifica, aggressiva e mite. [...] Sempre senza soldi, aveva un rapporto col mondo da zingara, girovaga e festosa 180 . Anche nei numerosi rapporti con altre donne Modesta è diversa da Goliarda. Emblematica è, nella terza parte de L’arte della gioia, la descrizione del rapporto di amicizia tra la protagonista del romanzo e Joyce, dalla quale si evince come Modesta viva il rapporto in modo sereno e tranquillo. L‟amica Joyce, la donna dagli occhi tristi e tormentati, se ne vergogna; Modesta invece, «[...] non sfuggendo le “banalità d‟amore” e correndo il rischio di cadere nel ridicolo del sentimentalismo, ha deciso di godere dell‟amore che prova per questa donna dagli occhi tristi» 181 . Interessante è quanto dice Giovanna Providenti a proposito del rapporto con Joyce: quest‟ultima sarebbe Goliarda stessa amata da Modesta: l‟autrice, attraverso l‟amore incondizionato di Modesta per la depressa Joyce, non fa che accogliere e curare parti di sé ritenute inaccettabili 182 . Come si è detto, Goliarda è anche un po‟ Modesta, soprattutto per la passione che mette nelle cose e per il desiderio di «sperimentare spazi vitali autentici, piuttosto che alzare difese e nascondersi dietro maschere» 183 . Tuttavia Goliarda non è forte come Modesta, che ha dei tratti machiavellici. L‟eroina de L’arte della gioia somiglia più al principe di Machiavelli che alla sua autrice. Romanic Sangars, nel definire Modesta «une Angélique un peu moins salope et un peu plus pragmatique», afferma che 180 D. Maraini, Ricordo di Goliarda Sapienza, in G. Sapienza, Lettera aperta cit., pp. 9- 11. 181 G. Providenti, La porta è aperta cit., pp. 135-136. 182 Ivi, p. 136. 183 Ivi, p. 172. 95 Nonostante l‟ammirazione che può destare, Modesta, quella che osa tutto, «è troppo brava, troppo eroica, troppo perfetta, troppo coerente» 188 per essere vera. Incarna un modello di donna ideale che utopicamente ci indica che la gioia è un‟arte che ognuno di noi può imparare a coltivare La sua vita è una sorta di specchio perfetto in cui riflettersi proiettando i propri desideri; come afferma A. Pellegrino: Modesta […] rappresenta una vera eroina che sfida tutto e tutti pur di raggiungere i suoi obiettivi partendo dal presupposto che la gioia si può conquistare 189 . Goliarda, invece è una donna di luci e ombre che sceglie di fare della propria vita una palestra di autenticità e libertà. Pensa in modo libero e ha il coraggio di cambiare idea; sa staccarsi da conformismi e adesioni incondizionate. Nella sua vita fa tesoro delle “certezze del dubbio”, non fidandosi di alcuna verità teorica o utopica, insegnandoci a riflettere criticamente su ogni cosa che ci si offre davanti. È in Goliarda, così tormentata e inquieta, così malinconica eppure vitale, che noi ci riconosciamo di più. Ciò non toglie che, in certo senso, si possa concordare con la riflessione di D. Scarpa, che vede nell‟Arte della gioia, più che un ritratto della Sapienza, un‟amplificazione della sua personalità: Un libro così non si scrive per correggere la propria vita, quanto per allargarla, per proiettarla in uno spazio più vasto, diramata in moltissimi personaggi che ne custodiscano una frazione ciascuno 190 . 188 G. Providenti, La porta è aperta cit., p. 173. 189 T. Maffei, Modesta, un ponte per Goliarda verso la salvezza, intervista ad A. Pellegrino in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., p. 70. 190 D. Scarpa, Senza alterare niente cit., p. 519. 96 Quest‟opera – anche se pubblicata dopo la morte dell‟autrice – ha aperto una nuova strada alla scrittrice Sapienza: come si vedrà, cambiano i temi, il modo di scrivere e soprattutto l‟angolo prospettico della narrazione: la voce narrante esibisce maggiore sicurezza, lo sguardo diventa quello disincantato, ma non per questo cinico, dell‟intellettuale. 4. La collocazione dell’opera Abbiamo, precedentemente, accennato alla storia delle peripezie editoriali dell‟Arte della gioia. Piuttosto che insistere su questa vicenda, peraltro già abbondantemente ricostruita 191 , vale la pena di riflettere sulle oggettive difficoltà di collocazione di questo romanzo, alla base dei rifiuti editoriali ricevuti quando l‟autrice era ancora in vita e che ne fanno oggi un romanzo di culto. Sotto questo punto di vista, il rimprovero agli editori di miopia o di scarsa attenzione sono difficilmente sostenibili: alla fine degli anni ‟70, il romanzo era effettivamente inclassificabile – troppo erotico e scandaloso per un vasto pubblico, troppo tradizionale nell‟impianto per il lettore amante delle sperimentazioni letterarie. Si veda la risposta di Feltrinelli, che motiva il rifiuto […] in seguito a varie riunioni del comitato di redazione e successivamente ad una serie di discussioni sugli orientamenti di massima che la Casa editrice intende seguire nel campo della narrativa. 191 Cfr. in part. l‟Introduzione di A. Pellegrino e la Postfazione di D. Scarpa all‟Arte della gioia cit., passim; A. Cambria, La strana avventura di un successo: de bouche en oreille. Goliarda Sapienza, la terribile arte della gioia, «L‟Unità», 27 settembre 2006; : B. Hernández González, La fortuna letteraria de L‟arte della gioia, in G. Providenti (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., pp. 99-113. 97 Il manoscritto in oggetto si rifà a canoni narrativi sostanzialmente ottocenteschi applicati a una trama nella quale si intrecciano elementi di natura sociologica, erotica e psicologica, armonizzati da una buona scrittura. Ma l‟orientamento attuale della nostra Casa editrice, volto verso la letteratura sperimentale (per cui sono usciti tre volumi nei primi quattro mesi dell‟anno) ci costringe a declinare la Sua offerta: trattandosi di un romanzo tradizionale, L’arte della gioia, a nostro avviso, potrà più facilmente trovare spazio presso editori che hanno nel campo della narrativa un orientamento meno rigido del nostro […] 192 . L’arte della gioia, insomma, viene rifiutata non perché opera troppo innovativa, ma perché, al contrario, tradizionale almeno nell‟impianto che, a onor del vero, più che ottocentesco è settecentesco e risente in più luoghi di un‟atmosfera da romanzo libertino. Attilio Bertolucci, tra i primi lettori attenti del libro, trova fin dalle prime righe, «l‟allure che hanno i protoromanzi del ‟700 inglese da Richardson a Fielding» 193 . A. Pellegrino aggiunge che Goliarda Sapienza scavalcò tutto l‟Ottocento, un secolo sostanzialmente per lei negativo, nel quale Anna Karenina, Madame Bovary, Hedda Gabler, fino all‟Esclusa di Pirandello, fanno la brutta fine che sappiamo. Trovava invece nella letteratura inglese del Settecento uno spirito, un clima, una libertà, una vivacità, un umorismo, una spregiudicatezza anche, che l‟Ottocento non conobbe più se non in maniera morbosa. Pamela di Richardson, per esempio, era un testo di quel secolo che Goliarda conosceva bene; e Tristram Shandy di Sterne, da lei letto sette volte, uno dei sicuri prodromi dell‟Arte della gioia (posso dirlo con certezza, perché fu Goliarda stessa a parlarmene); e ancora Moll Flanders di Defoe 194 . Lo stesso Pellegrino fa riferimento ad opere del primo ‟900 che influenzarono sicuramente il romanzo: 192 Citazione tratta da D. Scarpa, Senza alterare niente cit., p. 532. 193 A. Bertolucci, manoscritto inedito conservato nell‟Archivio Sapienza-Pellegrino; citazione tratta da G. Providenti, L’opera di Goliarda Sapienza tra ambivalenza e ambizione, in Id. (a cura di), «Quel sogno d’essere» di Goliarda Sapienza cit., p. 298. 194 Pellegrino A., Un personaggio singolare, un romanzo nuovo, una donna da amare per sempre, in M. Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza cit., p. 70.
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