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Saturno e la melanconia riassunto, Sintesi del corso di Letteratura Inglese

Riassunto di argomenti di letteratura inglese

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 28/08/2021

AlbaFlor_
AlbaFlor_ 🇮🇹

4.5

(10)

24 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Saturno e la melanconia riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! SATURNO E LA MELANCONIA La bile nera, insieme al flegma, alla bile gialla e al sangue, formava i “quattro umori”. Questi umori si credeva corrispondessero agli elementi del cosmo e alle suddivisioni del tempo; controllavano tutta l'esistenza e i comportamenti dell'umanità e, a seconda del modo in cui si combinavano, determinavano il carattere degli individui. Ciò costituiva la nota “dottrina dei quattro umori”. Secondo i pitagorici l’uomo razionale sembrava governato da quattro principi, perfino più tardi l’anima fu concepita come quadruplice, cioè comprendente l'intelletto, l'intelligenza, l'opinione e la percezione. | pitagorici non elaborarono una dottrina dei quattro umori ma prepararono ad essa il terreno postulando una serie di categorie tetraedriche. Essi definirono la salute come l'equilibrio di diverse qualità, e la malattia come il predominio di una sola. Empedocle, sviluppò la dottrina dei “quattro elementi”, che abbinavano le “quattro radici del Tutto” a quattro specifiche entità cosmiche: il sole, la terra, il cielo e il mare. Il combinarsi di questi elementi determinava il carattere degli uomini. La combinazione perfetta era quella dove innanzitutto tutti gli elementi si presentavano in parti uguali. Questa perfetta combinazione produceva l’uomo di più vasta intelligenza e di spirito più sottile. Se gli elementi non erano tutti presenti in uguale proporzione, l’uomo era uno sciocco. Spiriti orientati in senso più antropologico non potevano accontentarsi di questo; furono perciò spinti a cercare le particolari sostanze che, nell'uomo, corrispondessero in qualche modo agli elementi primari che compongono il mondo nel suo insieme, senza esserne la stessa cosa. Filistione aggiunse l’idea che a questi quattro elementi corrispondessero determinate qualità: al fuoco è proprio il caldo, dell’aria il freddo, dell'acqua l’umido, della terra il secco. Ippocrate fu il primo a formulare la teoria dei “quattro umori, respingendo l'opinione di cloro che sostenevano che il corpo umano traesse origine da un unico elemento e sussistesse in virtù di esso. Questi quattro umori erano sempre presenti nel corpo umano e ne determinavano la natura; però, a seconda della stagione, a volte l'uno prendeva il sopravvento sull'altro. | quattro umori provocavano sia la malattia che la buona salute, perché la loro giusta combinazione costituiva la salute, mentre la prevalenza o il difetto di un umore o di un altro costituivano la malattia. La teoria di Ippocrate non incorporò solo la teoria dei quattro elementi di origine pitagorica ed empedoclea, ma anche la dottrina delle qualità che Filistione aveva stipulato. Si andò in questo periodo ad affermare la convinzione che la disposizione dei quattro umori non era solo sintomo di malattie, ma anche tipi di temperamento (“collerico, “flemmatico” e “melanconico”) poterono avere due significati diversi: potevano denotare stati patologici o attitudini costituzionali. Le due cose pero sono strettamente connesse, in quanto era di solito uno stesso umore a potersi trasformare da semplice predisposizione in malattia effettiva in seguito a circostanze avverse. La bile nera, invece, era considerata a lungo una degenerazione nociva di quella gialla, oppure, in altri casi, del sangue. Essa presentava un quadro morboso tanto noto e tipico per cui la malattia in sé era indicata con una sola parol: La malattia chiamata melancholia, a differenza delle altre, era caratterizzata essenzialmente da alterazioni psichiche che andavano dalla paura, dalla misantropia e dalla depressione fino alla pazzia nelle sue forme più terribili. L'ambiguità dei sintomi psicologici rendeva incerto il confine tra melancholia. malattia e normalità. Anche gli scrittori di medicina di quest'epoca cominciarono a concepire il melanconico in termini decisamente fisiognomici e psicologici. Nel IV secolo a.C. l'intuizione religiosa di un'epoca precedente veniva cedendo il posto al ragionamento scientifico discorsivo, perciò non sorprende se si cominciarono a individuare tratti della melanconia patologica nelle grandi figure di eroi maledetti. All’inizio tuttavia per Platone non c'era nulla che collegasse la melanconia all’ estasi che innalza il filosofo, al poeta, all'intelligenza sovrarazionale delle pure idee. Per lui la melanconia significava anzitutto l'insania morale e la vera e propria pazzia. È stata la filosofia naturale di Aristotele la prima a unificare la nozione puramente medica della melanconia e la concezione platonica del furore. Aristotele nel Problema XXX, I. sosteneva che l’azione della bile è variabile, i melanconici sono variabili, perché la bile nera diventa molto calda e molto fredda. Essa perciò determina il carattere: allo stesso modo il vino introdotto in maggiore o minore quantità nel corpo, ci rende persone di un certo carattere o di un altro. La bile nera è un umore presente in ognuno senza necessariamente manifestarsi in una cattiva condizione fisica o in peculiarità del carattere. Queste ultime dipendono piuttosto o da un'alterazione temporanea e qualitativa dell'umore melanconico, o da una prevalenza costituzionale e quantitativa dell'umore melanconico sopra gli altri umori. La prima provoca “malattie melanconiche”, la seconda rende un individuo melanconico per natura. Il melanconico naturale, anche quando era in perfetta salute, è diverso dalle persone “comuni”; era, per così dire, normalmente anormale. Questa singolarità spirituale del melanconico naturale era dovuta al fatto che la bile nera possedeva una caratteristica mancante negli altri umori, cioè quella di influire sulla disposizione dell'animo. La deviazione dal normale, che contraddistingue ogni melanconico, di per sé non include una capacità di risultati intellettuali d'eccezione. Infatti il prevalere della bile nera è direttamente dannoso al carattere e alle capacità finché la sua “anomalia” agisce incontrollata. Se la bile nera è del tutto fredda si hanno creature deboli e letargiche o sciocche e ottuse, se è del tutto calda produce persone pazze, vivaci, erotiche o in altro modo eccitabili, e poiché la sede della bile nera si trova vicino a quella della ragione, quei poeti che compongono opere pregevoli solo quando sono in estasi. Quando la temperatura della bile è media, a mezzo tra il “troppo caldo” e il “troppo freddo”, allora il melanconico non è un'anomalia di natura ma un genio. Platone aveva dimostrato come una condizione anormale, potesse essere l'origine di tutte le grandi conquiste intellettuali. La concezione del furore come unico fondamento dei più alti doni creativi era platonica. Il tentativo di portare questo riconosciuto, misterioso legame tra genio e pazzia, che Platone aveva espresso solo in un mito, alla chiara luce della scienza razionale fu aristotelico. a) La melanconia nella teologia e nella filosofia morale Per gli psicopatologi la melanconia non era altro che una malattia mentale. Anche altri teologi si erano occupati della questione della melanconia da questo punto di vista, scuotendo profondamente la filosofia morale cristiana. Un esempio si ha con l'esortazione di Crisostomo al monaco Stagirio: l’infelice soffriva di terribili incubi, di disturbi della parole, convulsioni e svenimenti. Ciò che Crisostomo gli offriva come consolazione era essenzialmente un richiamo alla divina provvidenza. Dio permetteva al demonio di continuare la sua opera semplicemente per il bene dell'umanità, in quanto, concedendo al demonio la capacità di tentare e all'uomo la forza di resistere, portava l’anima, attraverso la necessità di difendersi, alla virtù. Gugliemo d’Alvernia quindi considerava la melanconia patologica come una grazia, mentre Crisostomo la interpretava come una prova che la riflessione ragionevole poteva rendere comprensibile e tollerabile. La melanconia poteva anche essere considerata come un castigo celeste che la divina provvidenza infliggeva, in parte per allontanare, attraverso una dolorosa esperienza, peccati futuri. Santa Ildegarda, ha descritto i sintomi della melanconia con clinica precisione, al fine di interpretarli teologicamente. Nello stesso momento in cui Adamo commise il peccato prendendo la mela, la melanconia “coagulò nel suo sangue” -così Santa Ildegarda espressivamente interpreta la dottrina medica dell’ “ipostasi”. b) La melanconia nella medicina della scolastica. La monografia sulla melanconia di Costantino Africano, che ebbe grande importanza nel mondo occidentale, si fondava direttamente o indirettamente su Galeno e in particolare sula sua esposizione della dottrina di Rufo. Gli orientali si preoccuparono meno di una comprensione psicologica più profonda, e pi invece della perfezione della terapia, che consisteva nella prescrizione delle medicine, misure dietetiche e, in certi casi, in salassi. Secondo l’autore, oltre alle cause fisiche c'erano anche quelle spirituali: “Come il sovraffaticamento fisico porta a gravi malattie di cui la stanchezza è la minore, il sovraffaticamento mentale porta a gravi malattie di cui la peggiore è la melanconia”. Oltre alla regolazione delle “cose vitali” (aria, cibo, bevande, ore di sonno etc.), per cui venivano impartite precise istruzioni, e alla prescrizione di medicine, le misure spirituali erano particolarmente importanti. L'attività mentale naturalmente doveva essere evitata, mentre una moderata attività sessuale era opportuna. Sappiamo che la distinzione tra la sostanza di un succus melancholicus, lasciato in deposito dal sangue, e quella di una melancholia adusta, nata dalla combustione della bile gialla, aveva in certa misura spezzato la rigidità dello schema dei quattro umori. Leggiamo in Avicenna: “Se la bile nera che provoca la melanconia è mescolata al sangue, andrà insieme alla gioia e al riso e non sarà accompagnata da profonda tristezza; ma se è mescolata al flegma, va insieme alla pigrizia, alla mancanza di movimento e alla quiete. Se è mescolata con la bile gialla o ne deriva, i suoi sintomi saranno l'agitazione e una specie di ossessione e sarà simile al furore. E se è bile nera pura, ci sarà una grandissima pensosità e minor agitazione o furia [...]”. Si può vedere come questi tratti si siano composti in un quadro via via più nitido; finché non si arriva, alla fine, a Melantone, che nobilitò quanto più possibile anche le quattro forme della melanconia patologica con esempi classici e mitologici. Questa dottrina delle quattro forme rese possibili molte distinzioni importanti; perfino la differenza tra melanconia e furore: “Se la melanconia proviene dalla bile gialla, allora si chiama propriamente furore”. Secondo Averroè, la melanconia poteva o colpire tutto quanto il cervello e paralizzare tutte e tre le facoltà, oppure provocare solo danni parziali. Lo studio intenso e un profondo sforzo di pensiero, ancora di continuo citati, furono considerati, ora come in passato, solo cause o sintomi della malattia. I quattro umori erano ora le cause materiali non di certe malattie, ma di certi tipi di costituzione fisica e mentale. Gugliemo di Conches, nella sua Philosophia, cerca di incorporare la dottrina in un vasto quadro di cosmologia cristiana. Come gli animali anche l’uomo perse il suo giusto temperamento a causa del peccato originale; l’uomo, naturalmente caldo e umido, perse o il calore o l'umidità, o l'una e l’altra cosa; si ebbero così tre forme degenerate: cioè, il temperamento caldo e secco, quello freddo e umido e quello freddo e secco, che sono chiamati rispettivamente il temperamento collerico, il temperamento flemmatico e il temperamento melanconico. Solo dove le qualità originarie conservarono qualcosa che si avvicinava alla loro aequalitas, poté sorgere un tipo di uomo che somigliava, almeno, ad Adamo prima del peccato originale. Quest'uomo era l’homo sanguineus. Per Guglielmo di Conches c'erano bestie melanconiche, colleriche e flemmatiche, ma non sanguigne. Gli uomini invece erano stati originariamente creati sanguigni e solo dopo la cacciata dal Paradiso erano degenerati in tipi melanconici, collerici e flemmatici. Santa Ildegarda ha adottato anch'ella la concezione del suo tempo dei quattro temperamenti umorali, “moralizzando” questa dottrina: l'ha moralizzata in quanto ha considerato non solo l'umore melanconico, ma tutti gli umori, tranne quello sanguigno, come diretta conseguenza del frutto proibito. Nel tardo Medioevo, la gente voleva sapere come si potessero riconoscere senza possibilità di errore il tipo collerico, quello sanguigno o quello melanconico, in quali momenti ognuno dovesse avere particolari riguardi, e in qual modo dovesse combattere i pericoli della propria disposizione. Le formule mnemoniche della scuola di Salerno del XIII secolo contenevano un buon numero di definizioni fisiognomiche relative ai capelli, al colore della pelle e alla costituzione fisica in generale. | versi dedicati al melanconico suonano così: “Invidioso e triste, bramoso, dalla destra tenace, | non alieno dalla fronde, timido e di colorito giallo”. La dottrina dei temperamenti perfezionata nel corso del XIII secolo può essere definita come una delle parti più tenaci, e, per certi aspetti, più conservatrici della cultura moderna. Negli scritti filosofici popolari del Settecento le descrizioni di caratteri, di cui i primi esempi si erano avuti nell'antichità, continuano ad essere fedeli a certi modelli, fedeltà che nemmeno oggi è venuta completamente meno. Tracce scarse o nulle essi mostrano dell'influenza del grande processo di trasformazione che l’immagine del melanconico aveva subito nel corso del Rinascimento e che aveva avuto conseguenze così significative in altri campi della vita e della letteratura. Kant seguì, infatti, integralmente la tradizione. Quando dice: “Poiché nella combinazione flemmatica ingredienti del sublime o del bello non appaiono in misura particolarmente apprezzabile, questo tipo di temperamento non rientra nel contesto delle nostre riflessioni”. Kant attribuì al carattere melanconico l'impronta del “sublime”, e considerava la melanconia come espressione di una grande consapevolezza morale. Il melanconico rappresentava la nozione kantiana di “virtù”. La “tristezza senza ragione” si basava sul fatto che egli possedeva una scala morale che distruggeva la felicità personale attraverso la rivelazione spietata della propria e altrui dignità.
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