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Sbobina completa storia dell'arte moderna prof Giometti, Sbobinature di Storia dell'Arte Moderna

Sbobine complete per esame da 12 crediti integrate con slide (immagini e citazioni) + esercizi di riconoscimento opere svolti a inizio lezione

Tipologia: Sbobinature

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Scarica Sbobina completa storia dell'arte moderna prof Giometti e più Sbobinature in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! ~Elenco artisti del corso~ • Masaccio • Beato Angelico • Paolo Uccello • Domenico Veneziano • Donatello • Verrocchio • Domenico Ghirlandaio • Sandro Botticelli • Piero della Francesca • Cosmè Tura • Antonello da Messina • Andrea Mantegna • Giovanni Bellini • Perugino • Giorgione • Lorenzo Lotto • Correggio • Raffaello • Michelangelo • Leonardo da Vinci • Bernardino Luini • Bramantino • Parmigianino • Rosso Fiorentino • Pontormo • Bronzino • Tiziano • Tintoretto • Veronese • Caravaggio • Caravaggeschi • Annibale Carracci • Guido Reni • Domenichino • Francesco Albani • Giovanni Lanfranco • Pietro da Cortona, • Gian Lorenzo Bernini • Andrea Sacchi • Alessandro Algardi • François Duquesnoy • Guercino • Claude Lorrain • Nicolas Poussin • Jusepe de Ribera • Salvator Rosa • Giovanni Battista Piazzetta • Sebastiano Ricci • Giovanni Battista Tiepolo • Canaletto • Antonio Canova • Jacques Louis David ~Date importanti~ • 1437 Madonna di Tarquinia di Filippo Lippi (è scritta nell’opera stessa) • 1492 muore Lorenzo il Magnifico, cambiano gli assetti sociopolitici in Italia e la prospettiva degli artisti che lavoravano per Lorenzo • 1520 muore Raffaello. Ha una scuola ed è il pittore più acclamato di Roma (nonostante ci fosse Michelangelo) catalizzando l’attenzione del pontefice, ha una bottega attivissima che si occupa di ogni ambito. La storiografia dibatte sul far iniziare il Manierismo in questa data, che è uno stile diverso da quello Rinascimentale. Non nasce il Manierismo • 1524 Giulio Romano (Giulio Pippi), finiti i lavori di Raffaello, accetta l’invito della corte di Mantova dei Gonzaga. La sua partenza è fondamentale perché è il primo dei collaboratori di Raffaello che lascia Roma per portare il suo stile nel nord Italia. È la prima diffusione del Manierismo anticipando di tre anni il Sacco di Roma. • 1527 Sacco di Roma. Giovanni da Udine, Giulio Romano e altri maestri formati con Raffaello (ma che lo reinterpretano nel loro stile) continuano a lavorare fino al Sacco di Roma, quando gli artisti se ne vanno con la cosiddetta “diaspora degli artisti”. Essi portano il loro stile in Italia, si diffonde la maniera moderna romana e quindi il Manierismo. ~Introduzione~ Johann Zoffany, La Tribuna degli Uffizi, 1772-1778/79, Windsor, The Royal Collection La tribuna degli Uffizi è dove i Medici hanno raccolto le opere più importanti della loro collezione. La regina d’Inghilterra Carlotta, moglie di Giorgio III, non ci era mai stata e voleva vederla in quanto era una tappa di numerosi artisti e nobili del ‘700. Commissiona quindi a Zoffany un’opera che raffiguri la tribuna. L’artista ricostruisce la tribuna per com’era e aggiunge anche altro in modo che la regina potesse vedere tutto il meglio degli Uffizi. Inserisce vari personaggi inglesi importanti che discorrono. Comprende la Madonna della Seggiola e il San Giovannino di Raffaello, un’opera di Pietro da Cortona, Rubens con la Follia della Guerra. Ci sono poi sculture antiche, come il Fauno danzante, i Lottatori, la Venere dei Medici, l’Arrotino. Queste ultime tre stavano nella proprietà dei Medici di Roma e vengono poi portati nella tribuna. Compare poi il quadro più copiato da chi veniva a Firenze: la Venere di Urbino di Tiziano, quadro veneziano. A un certo punto viene fatta una copia da far copiare per non rovinare l’originale. La tribuna appare quindi come un luogo incontro di intellettuali che venivano in Italia. Santa Maria della Salute di Canaletto dove è stato incoronato Giorgio, rientra nella Royal Collection. Andrea da Pontedera, detto Pisano (1290ca-1348/49) Porta sud del Battistero di Firenze 1329-1336 bronzo parzialmente dorato Firenze, Battistero di San Giovanni Nel 1337, dopo quest’opera, muore Giotto e Andrea diventa capomastro dell’Opera del Duomo, in particolare del campanile, e poi di Orvieto. Grazie alla porta assume una rilevanza di carattere internazionale. Schema della porta con 28 formelle quadrilobate. Le scene sono della Vita di San Giovanni Battista. Le formelle da 1 a 20 raccontano il Battista, dalla 21 alla 23 le virtù teologali, la 24 l’Umiltà, da 25 a 28 le virtù cardinali. Ha uno schema di lettura tipicamente medievale. La porta originale è nel Museo dell’Opera del Duomo insieme alle altre. Dopo il restauro è di un bronzo marrone intenso, con un effetto di magnificenza e opulenza al tempo di Andrea. Giotto ha sconvolto la rappresentazione umana e spaziale, ci fa comprendere la profondità e penetrabilità degli spazi. Natività, Elisabetta ha appena partorito ed è distesa, due donne lavano il Battista. Il letto è in prospettiva, affonda in uno spazio, sebbene in modo empirico. La cornice polilobata è simbolo fiorentino, è la stessa cornice che riquadra alcune delle scene sul campanile di Giotto e che poi si trova nelle formelle del 1401. Battesimo di Cristo: dopo un inizio timoroso (è un’impresa gigantesca), scena all’aperto in cui Andrea rende il fiume Giordano che scorre, appare come un peplo che copre le gambe di Cristo dando l’idea di fluire. Lo spazio è naturale, con rocce e alberi, in alto lo spirito santo. Danza di Salomé che chiede la testa del Battista in cambio del suo ballo. Ci sono varie scene: Salomé danza, si asseconda la sua richiesta e arriva la testa al desco dove Erode mangia. Il desco è in prospettiva, alle loro spalle un drappo funge da scena (ispirazione da sacre rappresentazioni teatrali in piazza). Consegna della testa del Battista a Erodiade: stanza con balaustra e torretta, ricorda la pittura contemporanea, si cerca di dare profondità allo spazio architettonico. L’Arte di Calimala apprezza l’opera e mette subito in cantiere una nuova porta che però non può essere realizzata: muore Andrea e scoppia la peste nera, evento che chiude le città, si deve pensare alla sopravvivenza e le imprese artistiche vengono bloccate. Nel 1401 l’Arte di Calimala è di nuovo ricca e potente e può dare il via ai lavori e decide per un’operazione più ampia con un concorso internazionale. La giuria è di 34 fiorentini illustri, tra questi Giovanni di Bicci dei Medici, fondatore della dinastia medicea. Partecipano sette artisti, orafi/scultori: • Filippo Brunelleschi • Simone da Colle • Niccolò d’Arezzo • Niccolò Lamberti • Jacopo della Quercia, grande scultore senese • Francesco di Valdambrino, lavora tra Pisa, Volterra, Siena • Lorenzo Ghiberti Sono artisti di diverse nazionalità che devono essere giudicati per metri di valori uguali. Il tema è il Sacrificio di Isacco. Come fonte di informazione abbiamo Ghiberti stesso, il quale scrive i Commentari dando dettagli estremamente importanti. Tuttavia le fonti vanno sempre vagliate: Ghiberti racconta la storia cinquant’anni dopo gli eventi, quindi subisce le modifiche della distanza del tempo. Inoltre scrive tra ’52 e ’55, quando tutti i protagonisti della vicenda erano morti e nessuno poteva smentirlo, in particolare Brunelleschi, il quale era arrivato quasi alla pari con lui. Dice di aver vinto a mani basse. “[…] Insieme cogl'altri scultori fumo innanzi agli operai di detto tempio. Fu a ciascuno dato quattro tauole d'ottone. La dimostratione uollono i detti operai et gouernatori di detto tempio ciascuno facesse una istoria di detta porta la quale storia elessono fusse la imolatione di Ysaach et ciascuno de' conbattitori facesse una medesima istoria. Condussonsi dette pruoue in uno anno et […] fumo sei a'ffare detta pruoua la quale pruoua era dimostratione di gran parte dell'arte statuaria. Mi fu conceduta la palma della uictoria da tutti i periti et da tutti quelli si prouorono mecho. Uniuersalmente mi fu conceduta la gloria sanga alcuna exceptione. […] I giudicatori furono 34 tra della città et delle altre terre circunstanti: da tutti fu dato in mio fauore la soscriptione della uictoria, e consoli et operai et tutto il corpo dell'arte mercatoria la quale a in gouerno il tempio di sancto Giouanni Batista”. È importante il corretto utilizzo dell’ottone usandone di meno, in quanto la porta bronzea sarebbe stata più economica per l’Arte di Calimala. Inoltre Ghiberti dice che i concorrenti erano sei, ma furono sette. È una fonte fondamentale ma con beneficio d’invenzione. Cosa ci fa dire che la scelta del giudizio non fu così immediata? Di tutte le formelle se ne sono conservate solo due, la sua e quella di Brunelleschi. Evidentemente, quindi, anche lei è stata oggetto di dibattito tra i giudici. La formella di Brunelleschi si è conservata e nel 1432 viene inserita sull’altare della sacrestia vecchia di San Lorenzo, dove venne seppellito Giovanni dei Bicci dei Medici. Le formelle hanno caratteri stilistici diversi ma altri comuni, tra cui la citazione dell’antico. Entrambe le formelle sono un esempio lampante di come nel 1401 si è ancora in un momento di passaggio tra gotico e rinascimentale: l’antico è oggetto rinascimentale, ma il contesto è tardogotico. Filippo Brunelleschi (1377-1446) Il sacrificio di Isacco 1401 bronzo parzialmente dorato Firenze, Museo Nazionale del Bargello È molto drammatico, si rifà alle rappresentazioni teatrali, dà un impianto teatrale alla formella, suddivisa in modo non molto chiaro. Il nucleo drammatico con Abramo e Isacco vede il giovane tremante e pauroso, si notano le nervature del corpo. L’angelo interviene fisicamente prendendo il braccio di Abramo. Nella storia dell’arte ci sono sempre problemi quando un angelo tocca fisicamente un personaggio, come con San Matteo e l’angelo di Caravaggio. La scena sottostante vede dei servitori con un asino che non sono minimamente coinvolti e non sono fusi armonicamente con la scena. Ci sono vari spazi diversi che sono gli stessi deputati nelle sacre rappresentazioni. È un fanatico dell’antico e cita lo Spinario del I sec a.C. che nel 1471 Papa Sisto IV dona alla città di Roma (è nel Palazzo dei Campidoglio nei Musei Capitolini). Entra a pieno titolo in un contesto di una formella ancora in bilico tra le nuove istanze della cultura figurativa Rinascimentale e un retaggio tardogotico. Non bisogna considerare griglie strette quindi. L’ara su cui è inginocchiato Isacco è una citazione dell’antico, con un rilievo di matrice classica che probabilmente l’artista aveva studiato e riprodotto nella formella. I panneggi ridondanti di Abramo sono ancora tardogotici, con pieghe rotondeggianti che lui non perderà mai nelle sue opere. Non si adattano alla fisicità della corporatura ma la coprono, portando avanti un discorso di eleganza formale. Questo si nota anche nelle prime opere di Donatello. Jacopo della Quercia (1374-1438) Monumento funebre di Ilaria del Carretto 1406-1408, Lucca, Duomo Importante anche per il motivo sentimentale. Il signore di Lucca sposa Ilaria giovanissima ma la ragazza muore a 26 anni. Chiama quindi Jacopo (artista senese ma che lavora anche a Bologna e Lucca) per realizzare il monumento funebre pochi anni dopo il concorso. È una scultura funeraria isolata, non doveva poggiare su un muro in quanto il sarcofago è decorato con putti su tutti i lati. Ha una raffinatezza formale che rende il marmo traslucido, sembra quasi alabastro. Il naso è sbeccato per colpa degli spostamenti, ma si nota l’attenzione nel rendere la pesantezza del capo che affonda sul cuscino e un cagnolino simbolo di fedeltà. La teoria di putti è una citazione all’antico che dialoga con uno stile più tardogotico della scultura. Anche lui quindi ripropone questo stesso gusto in cui lo stile tardogotico convive e si conforma a quello antico. I due artisti sono perfettamente parte del loro tempo. Lorenzo Ghiberti vince il concorso perché la sua formella è più organica rispetto a quella di Brunelleschi perché utilizza meno ottone. A tutti i concorrenti vennero date quattro lastre di ottone. Ghiberti restituì più ottone rispetto agli altri, dato importante in quanto le opere d’arte sono oggetti che devono essere realizzati con un costo, quindi il committente, sebbene facoltoso, deve tenerne conto. Lorenzo Ghiberti (1378 o 1381-1455) Porta nord del Battistero bronzo parzialmente dorato Firenze, Battistero di San Giovanni (Museo dell’Opera del Duomo) Ricorda molto quella di Andrea Pisano, con lo stesso numero di formelle e le cornici quadrilobate simbolo dell’arte fiorentina inventato da Giotto. Si riparte dall’esistente per mantenere uniformità. Il 23 novembre 1403 Ghiberti firma il primo contratto per la realizzazione della porta, un contratto molto dettagliato in cui sono specificati modi, tempi di realizzazione e numero di aiutanti con cui l’arte di Calimala cerca di tutelarsi. Si prescrive che Ghiberti realizzi personalmente alberi, figure, architetture e animali, ma che possa prevedere la collaborazione di alcuni allievi. Si prescrive che Ghiberti consegni tre formelle all’anno a partire dal 1° dicembre 1403. I lavori non cominciano subito per via di un problema iconografico: il tema della formella del concorso, il sacrificio di Isacco, fa parte dell’antico Testamento, mentre il tema della porta è il nuovo testamento con le Storie di Cristo. Vanno quindi scelte le scene nuove quando forse aveva iniziato a pensare all’antico testamento. L’altro problema è legato alla rinettatura e doratura delle formelle, che rallentano un po’ il completamento delle formelle. Alla fine decide di essere coadiuvato da 11 collaboratori. In questo gruppo, che va dal 1403 e 1407, c’è anche il giovane Donatello che inizia la sua carriera in questa porta. Le formelle sono contornate da cornici polilobate con un’altra cornice con vegetali, animali, insetti. Agli angoli di ogni formella ci sono testine all’antica che dialogano e osservano, comprendono anche il ritratto di Ghiberti. 28 formelle: • 20 dell’ordine superiore – Vita di Cristo • 8 dell’ordine inferiore – Evangelisti (Giovanni, Matteo, Luca, Marco) Padri della Chiesa (Ambrogio, Girolamo Gregorio, Agostino) • Testine di Profeti e Sibille Nella conformità di queste scene c’è una variazione da Andrea, dove si partiva leggendo dall’alto leggendo anta per anta. Qui si parte dal basso e si legge riga per riga. Non conosciamo l’ordine di realizzazione, ma ci sono dei momenti stilistici raggruppabili in quattro momenti Prima fase 1403-1407 L’Annunciazione è molto gotica, a partire dalla figura della Vergine che si inarca alla maniera francese. È un’eleganza che attraverso le sculture in avorio francesi arriva fino alla Madonna eburnea di Giovanni Pisano, in cui la curva segue l’andamento della zanna dell’elefante. Per uno scultore gotico è perfetto, perché unisce l’eleganza formale all’eleganza del piegamento. La Vergine di Ghiberti si ritrae impaurita di fronte all’arrivo dell’angelo, anche lui elegantissimo. Per farci capire che vola, ha delle nuvolette sotto i piedi. La parte figurativa è tutta dorata e si staglia sul bronzo scuro che fa emergere distintamente tutte le figure. A questa fase appartiene anche la Natività, formella più complessa che rappresenta due momenti: la nascita con Giuseppe, la Vergine assisa e il bambino su un lettino di fortuna; i due pastori e l’angelo che ne richiama l’attenzione con la mano sinistra, con la destra indica il luogo. Sono divise con il solito escamotage della roccia che divide la scena. Lavora di cesello, con un’incisione a freddo nella raffinatezza dell’albero. L’Adorazione dei Magi è sempre una scena complessa. La sacra famiglia e sotto un’edicoletta che suggerisce un’architettura più complessa che mette in risalto i soggetti eliminando una colonna. I tre magi arrivano in corteo con alle spalle i servitori. Ghiberti firma la sua opera OPVS LAVREN TII FLOREN TINI. Il 30 marzo del ’23 tutte le formelle sono terminate e vengono valutate, pronte alla fase finale della doratura, lavoro importante e intenso, lungo e complesso. Nello stesso momento vengono fatte le cornici naturalistiche con foglie, bacche, infiorescenze, animali (si dice li abbia studiati dal vero), agli angoli le testine. Usa foglie di leccio, quercia, pioppo, lucertole, scarabei. C’è poi il retro bronzeo più semplificato, nei riquadri c’è un clipeo con protomi leonine frontali e laterali che aprono la bocca ringhiando o che guardano l’osservatore. Le testine a volte rappresentano ritratti, altre volte sono ideali, in alcuni casi all’antica e che richiamano opere antiche famose. È presente un suo autoritratto con turbante. Lorenzo Ghiberti (1378 o 1381-1455) Porta del Paradiso 1425-1452, bronzo parzialmente dorato Firenze, Battistero di San Giovanni Manca l’ultima porta. L’arte di Calimala investe quindi sul sicuro, non fa un nuovo concorso. Nel 1425 Ghiberti è incaricato della Porta del Paradiso. Nel ’52 inizia a scrivere i Commentari. È molto diversa dall’altra, non ci sono più 28 formelle ma prende tutto lo spazio possibile. Non c’è la cornice quadrilobata ma quadrangolare e sono solo 10 in cui racconta le storie del Vecchio Testamento. Anche in questo caso il nucleo di collaboratori è cospicuo, a partire dal figlio Vittore, Michelozzo, Benozzo Gozzoli, Luca della Robbia. Il retro della porta è simile al precedente ma senza protomi leonine. La lettura della porta è più facile, si legge dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra. La semplificazione è solo apparente, perché si riduce lo spazio delle storie, deve raccontare più momenti in una sola formella. “Mi fu data licenza [che io] la conducessi [la porta] in quel modo ch'io credessi tornasse più perfettamente e più ornata e ricca” Storie di Adamo ed Eva con creazione dei due (lei viene tirata su elegantemente), peccato originale, e cacciata. Raffigura il Paradiso terrestre a sinistra, a destra la cacciata attraverso una porta con un angelo che caccia fuori i due. Questa porta ricorda i lavori di Masaccio nella struttura, sebbene lo stile sia più masolinesco. Tira fuori tutto il suo gusto orafo che dettaglia nuvole, alberi, capigliature. Storie di Giuseppe Ebreo, figlio preferito di Giacobbe. Viene venduto dai fratelli invidiosi ma fa fortuna perché riesce a interpretare i sogni del faraone e lo fa diventare suo ministro. Quando c’è carestia i fratelli si recano in Egitto a cercare grano, Giuseppe li riconosce, li perdona e li accoglie presso di sé. Illustra sette episodi delle storie di Giuseppe tenute insieme grazie alla grande impostazione architettonica, la grande loggia tondeggiante. La prospettiva brunelleschiana è stata stabilita, ma prevale il decorativismo e l’eleganza delle figure che gesticolano. La definizione calligrafica delle capigliature. Predilige il gusto cortese tardogotico. La cornice riquadra le formelle con le solite testine. La cornice vede nicchie con dentro figure allegoriche, delle statuine, lavoro da scultore e orafo ulteriore, con le decorazioni sopra e sotto le nicchie, i clipei con le testine all’antica. Nuovo autoritratto senza turbante. Nanni di Banco (doc. 1405-1421) Isaia 1408-1409, marmo Firenze, Santa Maria del Fiore Oggi si trova in una nicchia di Santa Maria del Fiore. Ricorda il profetino, è una figura giovanile che svetta in modo elegante mantenendo una ponderazione. La testa è innestata su un corpo sottile, le gambe sono ben piantate per terra. La testa vede un trattamento delle ciocche dei capelli che rivelano una conoscenza della scultura antica e dei ritratti di epoca imperiale, con ciocche piccole e arricciate rese con un virtuosismo del trapano che crea chiaroscuri potenti. Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, 1386 ca-1466) David 1408-1409, marmo Firenze, Museo del Bargello Prima scultura del David che realizza. Nonostante andasse posata in alto, è di solo 1.90: nel 1416 l’opera viene quindi tolta quindi dalla collocazione e posizionata in Palazzo Vecchio su un piedistallo (oggi perduto) intarsiato di mosaici. David si prefigura subito come iconografia fondamentale fiorentina. È una figura elegante, sinuosa, con una piega che fende le gambe, ancora molto ghibertiana. Questa preoccupazione di Donatello attenua un po’ la drammaticità della scena, come se non ci fosse un collegamento tra il giovane bello e raffinato e la testa di Golia ai suoi piedi, che ha ancora la pietra conficcata in fronte e sopra poggiata la fionda usata dall’eroe. La testa fu ritoccata da Donatello quando l’opera fu tolta dalla collocazione, in quanto inizialmente l’aveva solo accennata (così in alto non si sarebbe vista). Gli occhi di Golia hanno le iridi incise, la barba è ben scolpita a ciocche. Nel 1416 torna quindi a lavorare sull’opera per renderla più raffinata. Da questo momento in avanti si ritrova un Donatello che abbandona il binario ghibertiano e intraprende una ricerca linguistica nuova e personale, eliminando i retaggi tardogotici dalla sua scultura. Questa nuova fase si nota nelle sculture successive, che di nuovo sono a dialogo con quelle di Nanni di Banco. I due si trovano sempre negli stessi cantieri importanti. Per le fiancate di Santa Maria del Fiore si realizzano delle sculture Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, 1386 ca- 1466) San Giovanni Evangelista 1408-1415, marmo Firenze, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore Contemporaneamente al David, riceve questa commissione, venendo scelto insieme a Nanni di Banco (che scolpisce San Luca) e a un altro scultore. Le statue erano da porsi sul fianco ovest della cattedrale. Non c’è il solito animale simbolico, l’aquila, il che diventerà presto una costante: l’umano prende sempre più campo. Si dà importanza in particolare alla testa e alle mani, le mani diventeranno sempre di più elementi espressivi dei sentimenti. Si vedrà in particolare nel Verrocchio, che nei ritratti inserisce mani e braccia. Nella testa si nota un diverso approccio, è un vecchio che incute timore e rispetto, lo sguardo rivolto a destra e la fronte aggrottata, sta guardando qualcosa su cui si concentra, la barba è scolpita ciocca per ciocca. Fonde l’elemento dell’antico insieme all’umanità e alla verità. Inizia un percorso in cui nelle sue figure bibliche inserisce un lato umano, come se ritraesse (camuffandoli) i fiorentini del suo tempo. È un’operazione del tutto nuova. L’eleganza tardogotica si percepisce molto meno, solo nelle pieghe della parte sottostante della figura. Le gambe di San Giovanni si percepiscono sotto questo denso panneggio che aderisce al corpo seguendolo. Tra una gamba e l’altra c’è un avvallamento, il tessuto pesante si infossa tra le due gambe. Si ha quindi un’energia fortissima che viene trattenuta nel volto e nelle mani Da davanti la figura è molto imponente, ma dal lato si nota come è piuttosto sottile e non molto aggettante, in particolare per poter risparmiare marmo e per motivi di praticità: doveva essere posta su una balaustra, quindi non doveva gravare troppo di peso. Per questo motivo è fondamentale la collocazione dell’opera. Nel loro contesto si capisce il pensiero dell’artista che prende le misure nel suo contesto per armonizzarla. Nanni di Banco (doc. 1405- 1421) San Luca 1408-1415, marmo Firenze, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore È sempre una figura poderosa con grande attenzione alle mani. È attento allo studio della scultura antica, l’antico si concentra nel volto. La barba è raffinata e studiata ciocca per ciocca, tutte traforata con la punta del trapano. Si riconosce una perizia da orafo nella lavorazione. Paragone con un busto di Marco Aurelio con la stessa barba traforata, incisa, in alcuni punti appena accennata. Piero di Giovanni Tedesco (attivo 1386-1402) Madonna col Bambino 1399 ca, marmo Firenze Orsanmichele Medici e Speziali (6) Tabernacolo goticheggiante con ghimberghe traforate che pendono, colonnine tortili. Anche la madonna è molto gotica. Non abbiamo molte informazioni sull’artista, Ghiberti nei Commentari ci dice che era un artista di origine tedesca del Bravante e lavora al Duomo dal 1386. Era quindi un artista matura già allora. Realizza due angeli musicanti (1386 ca, marmo Firenze Museo dell’Opera del Duomo) estremamente goticheggianti nella fantasiosa cadenza dei panneggi e nei volti. La Madonna della Rosa rispecchia questa sensibilità. È assorta con un viso quasi inespressivo ma allo stesso tempo grave, come se prevedesse il futuro di dolore del figlio. Infatti, la rosa con le spine richiama al sangue che verrà versato. Il bambino, già grande, ha riccioli pesanti e scolpiti. Particolare è la raffinatezza di uccellini, mazzo di fiori e piegoline. Si nota il colletto della veste di Gesù, colorato. Questo vuol dire che le sculture gotiche, romaniche e di primo Rinascimento erano ancora policrome. Abbiamo un’idea di un rinascimento candido e bianco, idea falsata dal Neoclassico: così come il legno, alcune parti del marmo erano dipinte. Spesso nei risvolti delle pieghe, specialmente nelle parti meno esposte, si notano resti di pittura. Simulavano a volte i tessuti del tempo, in altri casi erano dipinti solo capelli e bordi dei vestiti. Nel 1406 si capisce che il meccanismo di produzione è lento, quindi si pone un limite entro il 1416. Non andrà così, tanto che interverrà anche Verrocchio (1435-1488). Tuttavia, questo diktat genera una gara tra le Arti e tra gli artisti per avere la scultura più bella. Brunelleschi e Donatello San Pietro 1408-1413, marmo, Orsanmichele Arte dei Beccai (11) È di pertinenze della nicchia dei Beccai (macellai e pescivendoli). È un’attribuzione dibattuta, ci si chiede chi abbia fatto che parte. La loro inoltre è un’amicizia molto viva e piena di dissidi, che include un processo nel 1412 perché Brunelleschi è debitore di Donatello, litigano inoltre sulle opere decorative del Duomo. Francesco Caglioti, massimo studioso di Donatello, dice che la fattura del marmo è devoluta quasi interamente a Donatello, è lui il vero scultore, ma i due avrebbero discusso insieme sul come farla. Brunelleschi si occupa delle tarsie prospettiche della nicchia, in quegli anni stava infatti lavorando la sua teoria della prospettiva. I due sperimentano una sorta di movimento. C’è un rifiuto dell’assialità a differenza della frontalità della Madonna della Rosa. Il San Pietro ruota nel corpo e nello sguardo, è un accenno a un movimento che Donatello persegue sempre nelle sue sculture. Si nota lo studio dell’antico, Brunelleschi era stato a Roma a misurare i resti antichi. La resa della barba e della capigliatura è un riferimento all’antico. Si entra nel vivo della decorazione di Orsanmichele. Lorenzo Ghiberti San Giovanni Battista 1412-1416, bronzo Arte di Calimala (8) È la prima scultura in bronzo di Orsanmichele, dimostra la ricchezza dell’Arte (la stessa per cui lavora al Battistero). È un’opera firmata e non è fusa tutta intera (anche per un motivo di precauzione), ma in quattro parti poi unite e rinettate. Disegna anche il tabernacolo tardo- goticheggiante. È un’opera monumentale di grande impatto emotivo, il volto ha una forza espressiva, ma l’elemento decorativo delle pieghe tondeggianti rimane sempre. Nanni di Banco (+1421) I Santi quattro coronati 1409-1417, marmo Firenze, Orsanmichele Maestri di Pietra e Legname (13) Sono quattro scalpellini martirizzati per non aver scolpito la statua di Esculapio al tempo di Diocleziano, riprendono quindi l’Arte. Il problema per Nanni è che ha quattro personaggi, quindi chiede una nicchia più grande. Sfrutta l’andamento arcuato della nicchia disponendoli a semicerchio, crea una sorta di dialogo tra di loro in maniera molto arguta e intelligente sfruttando con naturalezza lo spazio. Le pose sono solenni, i volti sono caratterizzati su sculture antiche. Sfrutta anche la predella per raccontare i santi: è uno spaccato di una bottega di scultore tardomedievale, con i quattro santi all’opera, ognuno con una specificità: uno modella al tornio, uno scolpisce una colonnina tortile e uno un capitello, infine c’è un puttino posato su una tavola posta di traverso che consente allo scultore di lavorare perfettamente. È un’oggetto preziosissimo in quanto mostra uno spaccato del medioevo e usa una modalità di racconto tipica dei polittici, con la raffigurazione nella nicchia e scene di vita al di sotto. Il rilievo spicca sullo sfondo, con le figure in aggetto che mantengono ancora un legame con lo sfondo ma mantenendo il loro spazio. Solo alcuni elementi, come le squadre, sono di rilievo più basso. I volti sono all’antica, sono espressivi. Una sta parlando, è un dialogo vero e accentuato dall’apertura della bocca. La figura è comunque anticheggiante nelle ciocche di capelli e barbe, sono ciocche di cesello. Confronto con ritratto di Caracalla. Utilizza tra blocchi: le due figure a sinistra sono separate, quelle a destra sono unitarie. Ha modo di giostrare le figure per far sì che dialoghino direttamente, cosa impossibile da un blocco unico. La rivoluzione non si limita alla figura del santo, ma inserisce una predella che racconta la sua storia. San Giorgio deve combattere un drago che tiene imprigionata una principessa. L’utilizzo della predella è lo stesso di quella di Nanni di Banco, cioè aggiungere ulteriori informazioni raccontandole. Usa la nuova tecnica dello stiacciato che inventa lui. Non scolpisce in profondità, non ci sono figure aggettanti, solo il drago e il cavallo lo sono lievemente. Realizza il tutto con la punta dello scalpello, la lastra di marmo è incisa, lo sfondo è praticamente disegnato creando effetti nuovi. Inserisce elementi atmosferici, racconta il paesaggio e il bosco tra la fanciulla e il santo. Questa tecnica permette di scolpire di fino. È una tecnica nuova, disegnativa, in cui il marmo diventa una sorta di foglio. La principessa liberata si staglia su un porticato in prospettiva, siamo vicini all’elaborazione della prospettiva brunelleschiana, i due si passano l’un l’altro le innovazioni. Le arcate ricordano il molto prossimo Spedale degli Innocenti. La foresta di sfondo è battuta dal vento, gli alberi si piegano. Ricordano le stampe giapponiste dell’800. Nanni di Banco (+1421) Sant’Eligio 1417-1421, marmo Firenze, Orsanmichele, Fabbri (3) Santo di Noyon che aveva capacità taumaturgiche ma che era anche portato per l’arte dei metalli, quindi è il protettore di fabbri e orafi. Era vescovo, quindi indossa le vesti vescovili ed è una figura slanciata. La testa è ridotta nelle dimensioni per far svettare ancora di più questa figura severa e elegante. L’espressione è assorta e ispirata ai ritratti imperiali di epoca adrianea. Dettaglio interessante: quando la scultura fu restaurata nel 1990 sono emerse tracce di policromia, doratura nei capelli e azzurro oltremare nelle vesti. Il retro è scabro, non è scolpito ma solo scalpellato. Come tutti gli altri artisti, scolpisce il marmo solo fin dove si vede dalla strada. Nel volto si riconosce una figura attenta che sta guardando e meditando intensamente, occhi vivi, espressioni familiari all’osservatore. La predella è ancora aggettante, ma l’aggetto si riduce in alcune parti forse per influenza del San Giorgio, il forno è appena rilevato rispetto al fondo a differenza dei soggetti. È un miracolo: il santo risana un cavallo a cui si era staccata la gamba. Mentre il maniscalco fa il nuovo ferro, il santo riattacca la zampa. Gli scudi laterali sono decorati con strumenti di lavoro di fabbri, orafi, maniscalchi. Lorenzo Ghiberti (1378-1455) San Matteo 1419- 1423, bronzo Firenze, Orsanmichele Arte del Cambio (1) San Matteo era un esattore delle tasse. I cambiavalute non erano una corporazione vera e propria, inizialmente la nicchia era per l’Arte dei fornai che tuttavia andò incontro a problemi finanziari. L’Arte comprendeva anche Medici e Strozzi, sono ricchi. Si usa quindi il bronzo. L’arte del Cambio chiede di emulare e superare la bellezza della scultura precedente. È più alto di 20 cm del san Giovanni (272 contro 255 cm), concorrono la volontà di primeggiare dell’arte e quella di superare sé stesso dell’artista. La prima fusione del 1421 non va a buon fine, serve quindi un secondo tentativo. È una scultura preziosa, la lavorazione nei dettagli (veste, volto, occhi) è molto raffinata, con l’utilizzo della doratura nelle vesti e dell’argento negli occhi per creare intensità nello sguardo, altra ripresa dell’antico, come si nota nel confronto con la testa di Seneca del museo archeologico di Napoli. Piglio con cui si pone nello spazio, le mani assertive con cui tiene e indica il libro creano viluppi eleganti ma non disgiunti dal corpo. Si riconosce una vicinanza ai nuovi canoni della scultura Rinascimentale così come Donatello li andava dettando negli stessi anni. Giambologna (1529-1608) San Luca bronzo, 1597-1602 Firenze, Orsanmichele Arte dei Giudici e Notai (10) Scultura di bronzo, deve essere congrua con le altre sculture che affacciano su via dei Calzaiuoli. L’artista delle Fiandre si guadagna la fama di scultore in Italia con la statua del Nettuno di Bologna e con la fontana di Boboli. In origine la nicchia era decorata con un San Luca di Niccolò di Pietro Lamberti piuttosto fuorimoda. Il linguaggio è completamente nuovo (siamo a fine ‘500 e inizio ‘600). All’interno della sua bottega, già nel ‘90 aveva un modello a dimensioni finali. È una scultura tutta ruotata, la figura chiave del Manierismo è il serpentinato. Non si guarda più alla natura ma all’arte dei propri predecessori (Michelangelo, Raffaello) che si nota ad esempio nel Ratto delle Sabine dello stesso artista. L’ostensione pubblica di queste opere crea nuovi canoni di bellezza, andando quindi a cambiare il linguaggio. Anche i pittori cominciano a guardare le nicchie di Orsanmichele per prendere in prestito alcune soluzioni figurative. Un esempio è l’affresco di Jacopone da Todi nel Duomo di Prato ad opera di Paolo Uccello, con il personaggio inserito nella nicchia riprendendo queste sculture. C’è anche uno sguardo al passato nella disposizione delle nicchie: sono come un polittico, ricordano il Polittico di Badia di Giotto dei primi del ‘300. Cantorie per Santa Maria del Fiore Realizzazione di due cantorie, dei balconi deputati ad accogliere probabilmente gli organi (o i cori della cattedrale), che si guardano dai due lati del presbiterio. Sono commissionate a partire dal 1431, la prima a Luca della Robbia, la seconda a Donatello nel 1433, entrambe consegnate nel ‘38. Furono smontate in occasione del matrimonio tra Ferrante de Medici e Violante di Baviera, sono al museo dell’Opera del Duomo. Essendo questi oggetti destinati ad ospitare gli organi o il coro, quindi elementi legati al canto, Luca della Robbia pensa di rappresentare cori e accenni di danze, si ispira al salmo 150 che invita a lodare dio con la musica. Realizza dieci formelle con armoniosa serenità. Ogni scena avviene nei singoli pannelli separati da paraste binate. Nella parte bassa ci sono delle mensole che separano ancora di più. È un’operazione all’antica. Luca della Robbia presenta i cantori molto più educati e lieti, predomina la delicatezza del canto. Quella di Donatello è molto diversa. Porta avanti una sperimentazione che aveva già iniziato nel pulpito per il Duomo di Prato (che non consegnava mai, iniziato nel ‘28). Rappresenta putti che si ricorrono gioiosi. Il pulpito di Prato è esterno e circolare, fregio continuo che prevedeva formelle arcuate. Rappresenta putti che danzano e suonano molti animosi a differenza di quelli più garbati di Luca. Inserisce pilastrini scanalati che separano una scena dall’altra, si rincorrono nella stessa scena ma non possono prevaricare le colonnine. Decora lo sfondo con un mosaico a tasselli dorati che, con il barlume delle candele, riluceva dando effetto di movimento e vitalità e permetteva di rendere visibile la scena anche di notte. Rispetto al pulpito di Prato, la cantoria di Firenze vede delle colonnine tonde che non toccano il fondo, sono spiccate. I putti corrono ininterrottamente senza frammentazione in tutto lo spazio. Dietro la colonna, i corpi si vedono interamente. Ciò che crea di nuovo è quindi un fregio continuo di putti danzanti in cui le figure sono libere. Altro elemento nuovo, visto che le cantorie erano poste molto in alto, è l’uso di palline di paste vitree che pone sullo sfondo di tutto il rilievo, in ogni singolo elemento di sfondo e sulle colonnine si vedono facendo vibrare di intensità la corsa dei putti. C’è una citazione all’antico nelle testine sottostanti, sempre decorate con paste vitree. Il successo del prototipo di Donatello è immediato e si vede in opere anche di oreficeria. Maso di Bartolomeo Cassetta della sacra cintola 1446-1448, rame dorato, avorio, legno Prato, Museo dell’Opera Stessa decorazione ripresa da Donatello, putti d’avorio su sfondo di legno, colonnine di bronzo dorate spiccate dal fondo. Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, 1386 ca-1466) Madonna Pazzi 1420-1425, marmo Berlino, Staatliche Museen È un quadro descritto da Alberti come opera autonoma che può essere esposta singolarmente anche in un luogo privato, come una cappella o uno studiolo. I piccoli rilievi diventano quindi elementi di arredo che prendono sempre più campo anche in dimore non nobiliari. [studiolo= luogo molto di moda nel Rinascimento, stanza piccole in cui il padrone di casa colleziona rarità naturali o artistiche, solitamente di piccole dimensioni, facendone un luogo di ricreazione, un otium ricreativo: per governare bene bisogna circondarsi di cose belle. Alfonso d’Este ha due degli studioli più belli, posizionati su un passaggio del castello che passa sopra il mercato come “ricordo di regnare”, in quanto la vita del suo ducato era lì sotto. Ci sono anche lo studiolo di Urbino dei Montefeltro o quello più alchemico di Cosimo I a Palazzo Vecchio]. Questa è una delle più famose Madonne con Bambino di Donatello, faceva parte della collezione della famiglia Pazzi di Firenze poi venduta a Berlino nell’800 da un antiquario, Stefano Bardini (a Firenze c’è un museo a suo nome, la sua ex sede espositiva). Era un occhio fine, grande conoscitore, e ha potuto venderlo in quanto non c’era ancora un sistema di legislazione a tutela delle opere, il che è stato un grande danno al patrimonio italiano. Dopo la breccia di Porta Pia ci sono altri problemi rispetto alla tutela dei beni, quindi si decide di mantenere la tutela degli stati preunitari: molto stretta a Roma e nello Stato Pontificio grazie al Papa; abbastanza stretta a Firenze enumerando un elenco di pittori importanti per il Granducato di cui i quadri non potevano essere alienati; diverso a Venezia, città commerciale molto aperta anche riguardo la vendita di opere d’arte. Vengono tutelate dallo Stato tutte le opere pubbliche e che stanno nelle Chiese, c’è una commissione dell’Algarotti che ogni sei mesi fa un giro di chiese e edifici pubblici per verificare che le opere siano presenti e di buona salute, con Pietro Edwards come restauratore di stato che si occupava delle opere danneggiate. Tuttavia, nessun vincolo sulle opere private a Venezia. Bardini (e molti altri antiquari) è in contatto con Wilhelm von Bode, fondatore e direttore del museo di Berlino. La Madonna Pazzi arriva nel 1886 e durante il tragitto si rompe in quattro parti. La Madonna è collocata in uno spazio prospettico, percepiamo la finestra a cui la Madonna si affaccia che si apre verso di noi, il tutto a stiacciato. Donatello ha un rapporto sicuro con lo spazio della rappresentazione e delle proporzioni tra figure e spazio. Non si preoccupa del fatto che la Madonna sopravanzi sulla cornice, il che è corretto in senso prospettico. Oltre a questo aspetto che Donatello è andato perfezionando rispetto ai precedenti stiacciati, colpisce l’intimità tra la Madonna e il bambino, è un momento normale e quotidiano tra madre e figlio. Non è una Madonna che ostenta un bambino già grande, l’uomo della passione, c’è un aspetto di sentimento molto forte, l’invenzione dell’umano che porta avanti, un linguaggio nuovo fatto di espressività reso attraverso il contatto dei corpi. È un rilievo di marmo che quindi può avere un mercato piuttosto ristretto, la lavorazione è molto raffinata, solo una fascia alta di committenti può permettersi un’opera così. Nella bottega di Donatello rimaneva l’impronta di opere come questa, che quindi potevano essere riprodotte in terracotta, stucco, cartapesta, tutti materiali che avevano un qualcosa che mancava al marmo, la policromia, che crea un’empatia ancora maggiore adatta a una fascia media di fruitori. Questa riproducibilità dell’opera ampliava il raggio della vendita dello scultore. Questo fa capire perché nel primo quattrocento fiorentino c’è una diffusione enorme di Madonne col bambino simili. Bottega fiorentina da Donatello Madonna Pazzi 1450 ca, stucco dipinto e dorato Parigi, Musée du Louvre Esempio della riproducibilità: nel primo periodo è lui con i suoi allievi a diffondere questo modello, copia sé stesso. Lo stucco viene inserito in un tabernacolino di legno con colonnine, capitelli corinzi e timpano con dentro una figura angelica. Molto probabilmente era una sorta di altarolo privato per una cappella privata: la funzione è per una devozione privata, il che è un primo cambiamento. Il secondo cambiamento è relativo al rilievo vero e proprio: manca lo sfondamento prospettico, lo sfondo simula un tessuto. Si semplifica l’allestimento che lo rende più domestico, il tessuto potrebbe essere quello che ricopre le pareti della casa che ospita il tabernacolo. C’è l’inserimento delle aureole, necessarie per una devozione più popolare. Ciò che cambia di più è la policromia che determina il successo di opere come queste. Da Donatello Madonna col Bambino stucco policromo Praga, Národní galerie Altro esempio in stucco, che ripropone l’originale donatelliano sempre policromo. La Madonna con bambino ha successo a Firenze perché, oltre all’empatia, in questi anni la cattedrale di Firenze in questi anni è dedicata alla Madonna, c’è un culto mariano particolarmente forte. Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, 1386 ca-1466) Madonna col Bambino, Del Pugliese-Dudley 1440 ca, marmo 27,2x16,5x2 Londra, Victoria and Albert Museum La Madonna Dudley è piccolissima, con uno spessore di soli 2 cm, quasi in trasparenza. La vita materiale dell’opera è avvolta nel mistero, è stata riconosciuta da massimo esperto di Donatello. Non conosciamo il committente, a un certo punto diventa di Piero del Pugliese a fine ‘400, che commissiona a Fra Bartolomeo un tabernacolino per esporre la Madonna. È una struttura di legno, sulle ante chiuse è presente un’Annunciazione bicroma, dentro le ante la Natività e la Presentazione al tempio. L’opera passa poi nello studio di Cosimo I, tutto è ancora a Firenze fino al 1624, poi se ne perdono le tracce. Il tabernacolo rimane mediceo ed è esposto nella tribuna degli Uffizi. Ricompare nel 1927 quando il museo lo acquista dai conti Dudley, ma non sappiamo come i conti abbiano ottenuto l’opera. L’attribuzione a Donatello è del 1992, durante un’importante mostra a Firenze “maestri e botteghe” in cui, attraverso le opere, si cercava di capire il funzionamento delle botteghe artistiche e di carpenteria. La scheda di Francesco Cagliotti attribuisce per la prima volta l’opera a Donatello, prima era attribuito a Desiderio. I dati stilistici di questo rilievo sono infatti affini all’arte delicata di Desiderio da Settignano. Il rapporto tra madre e figlio è intenso, il bambino gioca con il vestito della madonna, l’aureola è vista in prospettiva (ci si rifarà Masaccio) come un piatto, l’incisione è sopraffina in quanto è molto sottile, scava con strumenti da orafo. La posizione della Madonna e lo scranno asciutto e severo ricordano la composizione e monumentalità dello scranno della Madonna della Scala del giovane Michelangelo, che si sente un suo erede. Per tutto il ‘400 e inizio ‘500 rimane un punto di riferimento per i giovani scultori che lavorano a Firenze. Luca della Robbia (1399/1400-1482) Madonna col Bambino 1445-1450, terracotta invetriata e dorata Detroit, Detroit Institute of Arts Luca della Robbia inventa la tecnica dell’invetriatura, tecnica segreta che non viene mai divulgata, solo questa famiglia se la tramanda, finita la dinastia finisce anche la sapienza di questa tecnica. Oggi la conosciamo grazie ai restauri. L’invetriatura conferisce alla terracotta una grande brillantezza con figure banche e sfondi blu. La ceramica di Wedgwood si ispirerà agli etruschi e ai della Robbia. Le robbiane sono sempre bianche nelle figure, come il gruppo dell’ospedale del ceppo di Pistoia. La doratura è usata per elementi decorativi (dettagli vesti e capelli). Si cuoce due volte lo smalto a temperature altissime che facevano fondere lo smalto con la terracotta creando una superficie luminosa e dura. Le robbiane sono adattissime all’esterno come nella Badia fiorentina, le intemperie non le danneggiano. Il bianco non toglie intensità all’espressione dei soggetti. Da metà quattrocento irrompono sul mercato anche le robbiane. Questa in particolare per la qualità si pensa sia il prototipo. Sono gli anni 45-50, a inizio secolo è la scultura a portare avanti le sperimentazioni, alla metà del secolo il dialogo tra pittura e scultura è tra pari. Confronto con Madonna con Bambino di Filippo Lippi probabilmente coeva a quella di Luca della Robbia. La riproposizione del gruppo scultoreo e pittorico è quasi analoga, osmosi tra le due arti in entrambi davanzale per far muovere e giocare il bambino, nel rilievo il bambino esce per essere toccato. ~Architettura e pittura: riflessi tra le arti~ Le novità si palesano sulla pubblica via fiorentina. Masolino da Panicale (1383-1440), Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita, affresco 1424-1425 Firenze, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci Convivenza di tardogotico con stile rinascimentale negli anni ‘20. Nelle storie di San Pietro si ritrova un modus di raccontare ancora medievale, san Pietro compare due volte compiendo i due miracoli con gli stessi vestiti addosso. Sullo sfondo sono rappresentate le case torri della Firenze del tempo. Tra le due scene incedono due fiorentini senza curarsi dei miracoli del santo vicino a loro. Masolino porta avanti il suo stile. In questa rappresentazione di una Firenze ancora medievale si ritrova un porticato che viene tradotto con eleganza gotica, colpisce la ripetitività identica di queste arcate. È un elemento modulare nuovo e diverso all’empirismo: riprende lo Spedale degli Innocenti, la cui prima colonna è posta nel ’21 (quindi visibile a Masolino), un palazzo che dialoga per la prima volta con l’esterno e che permettono al passante di entrare dentro. Filippo Brunelleschi Spedale degli Innocenti 1417-1436 L’Arte della Seta commissione all’artista un riadattamento di questo edificio, primo orfanotrofio pubblico d’Europa. È un’architettura importante storicamente, al suo interno i bambini venivano fatti crescere, vestiti, educati, era un luogo di formazione, uscivano come cittadini fiorentini. Le ruote sono andate avanti fino a inizio ‘900, anche personaggi illustri sono cresciuti in istituzioni come questa, come il regista Zeffirelli. Nell’alzato si notano in blu le parti nuove, mentre le parti bianche sono preesistenti. Ricrea il cortile interno, le fiancate e il prospetto sulla piazza. Dovendo trattarsi di un luogo che deve invitare ad andare, apre lo spazio architettonico della facciata dove crea un areo porticato al di sotto del quale si può deambulare, fermare sulle scale, ripararsi dalla pioggia, è un elemento di vita vissuta e integrante della vita di tutti noi. Fa dialogare l’interno con l’esterno, idea che riprende anche dai dettami di Vitruvio. Sceglie l’ordine corinzio con colonne esili e foglie di acanto. Altezza di ciascuna colonna = 18 volte il suo diametro Rapporto tra altezza delle colonne e loro distanza di 2 a 3 Filippo Lippi (1406-1469) Annunciazione 1440 ca, tempera su tavola Firenze, basilica di San Lorenzo I porticati sono di architettura brunelleschiana, anche nella parte alta con le finestre. C’è volontà di accogliere, celebrare e rielaborare l’innovazione. L’Annunciazione in primo piano, in un hortus conclusus, la Vergine sta pregando e si ritrae quando l’angelo arriva. Si nota il dettaglio del leggio nell’angolo e degli altri angeli che accompagnano. Nel basamento c’è un recesso con un’ampolla di vetro trasparente che tocca l’altare su cui è posta, come se fosse una delle ampolline che usa il prete durante la funzione. Il collegamento con l’osservatore è dato da un oggetto, il vetro trasparente crea un’ombra sul pavimento. È un pittore di luce come della Francesca. Giotto di Bondone (1267-1337) Coretto 1306, affresco Padova, Cappella degli Scrovegni Giotto è arrivato molto vicino al capire come rappresentare lo spazio tridimensionale, un esempio è la cappella degli Scrovegni di Padova, con i coretti accanto all’altare maggiore che danno maggiore profondità alla piccola architettura. Volta a crociera, bifora, lampadario che cade, fa presupporre un ampio spazio in cui si può camminare, è dipinto quasi perfettamente ma sono regole ancora empiriche. Utile a questo argomento è un saggio di Erwin Panofsky sulla prospettiva. Brunelleschi sperimenta per raggiungere un calcolo prospettico razionale. Prima di lui esisteva una prospettiva, ma era una sorta di “forma simbolica” come riporta Panofsky nel suo raggio. Tutti hanno cercato di rappresentare lo spazio anche dove sembrerebbe strano, parte infatti dai dipinti parietali preistorici. Con Brunelleschi cambia la modalità di visione e percezione, individua all’interno dell’opera da riprodurre un punto di fuga unico dove lo sguardo dell’osservatore si concentra e tutte le linee di fuga convergono verso quel punto. Brunelleschi può quindi creare uno spazio misurabile. Gli spazi rappresentati sono perfettamente misurabili, compresi quindi gli arredi e i personaggi. Brunelleschi viene spesso deriso per i suoi progetti, un esempio è sicuramente la CUPOLA. Escogita un esperimento scientifico che svolge pubblicamente davanti al Duomo mettendosi di fronte al battistero. Realizza una tavoletta in cui è rappresentato il battistero con foglie d’argento in alto per riflettere il cielo (e rendere il tutto più realistico), dipinge la tavoletta in maniera prospettica. Individua il punto di fuga sopra la Porta del Paradiso (al tempo inesistente) e si posiziona tenendo in mano uno specchio guardando attraverso un foro fatto nella tavoletta dipinta. Osserva il dipinto riflesso sullo specchio e il vero battistero e le due immagini si rivelano identiche. Foto del Duomo ricreata di prima della faccia ottocentesca, così come lo vedevano i fiorentini del tempo. Architetto nel 1836 definisce la cupola “di maestà divina”, l’effetto è quello di “un miracolo”, esalta la costruzione e Brunelleschi (“mille volte viva Brunelleschi!”). Brunelleschi cura tutti gli aspetti della costruzione, compresi i materiali utilizzati, inventa una corda che ad oggi è la corda più lunga del mondo, pensa a un modo per salvaguardare la vita di chi lavorava a quelle altezze. Aveva creato un sistema perfetto. Tutto parte quando i consoli dell’Arte della Lana sono preposti ai lavori del Duomo. Brunelleschi ha già un’idea per come realizzare la cupola. Viene istituito un concorso internazionale (anche tedeschi e francesi, non solo toscani e italiani). In occasione del concorso Brunelleschi propone una cupola a doppia calotta (unita da un sistema di costoloni angolari) che si sarebbe eretta senza armatura, senza un ponteggio che arrivasse per terra (già un ponteggio era complicato da realizzare) e propone un ponteggio sospeso autoportante. Quando propone questa idea non porta un disegno o un modello ma lo dice a voce, di conseguenza non viene preso in considerazione. L’idea del ponteggio autoportante sembra una follia, nessuno crede che sia applicabile. È deriso e preso per pazzo. Vasari racconta l’episodio: “Parve a’ Consoli […], et agli operai et a tutti que’ cittadini, che Filippo avessi detto una cosa da sciocchi, e se ne feciono beffe ridendosi di lui, e si volsono, e li dissono che ragionassi d’altro, che quello era un modo da pazzi, come egli era. […] Laonde, licienziatolo parecchie volte et alla fine non volendo partire, fu portato di peso da i donzelli loro fuori dell’audienza, tenendolo del tutto pazzo. Il quale scorno fu cagione che Filippo ebbe a dire poi che non ardiva passare per luogo alcuno della città, temendo non fussi detto: «Vedi colà quel pazzo»” Nessun progetto piace però alla commissione e si prova a richiamare Brunelleschi affidandogli la realizzazione della cupola. Tuttavia gli viene detto di iniziare i lavori fino a quattordici braccia per poi verificare che funzioni. Gli viene dato come supervisore Ghiberti, che doveva sorvegliare almeno all’inizio sui lavori e sui calcoli, era una sorta di garante. La posizione di Ghiberti era quella praticamente di “Uomo dello schermo”, in realtà come orafo non aveva le competenze per capire i lavori. Si nota questo anche dai salari: Ghiberti 3 fiorini all’anno, Brunelleschi 100. Nel maggio 1420 inizia questo cantiere pensato in ogni particolare da lui. Il ponteggio girava all’interno della cupola, una sorta di terrazzo di legno che veniva alzato a mano a mano che si alzava la cupola. Anche la chiesa era un cantiere, lo spazio presbiteriale era pieno di macchine e argani. Invenzione di macchina chiamata colla che serviva a portare su i materiali. Viene usata una corda di 182 m che pesava più di 400 kg. I sottarchi e pennacchi vengono poi decorati da Donatello, amico di Brunelleschi. I quattro sottarchi con gli evangelisti e i quattro pennacchi con le storie di San Giovanni Evangelista. Quando Donatello mostra le sue opere, Brunelleschi inizia a risentirsi per la policromia eclatante. Donatello doveva far leggere le storie in alto e senza colori non sarebbe stato possibile. Lavora in situ in stucco policromo applicando tanti strati di stucco sovrapposti poi incisi per far emergere le storie. Per dare aggetto alle figure pianta dei chiodi con la testa bombata che delineano le figure e poi mette lo stucco, sua invenzione. Miracolo resurrezione di Drusiana. Emerge quanto Donatello avesse introiettato gli studi della prospettiva. Sembra l’interno di una basilica romana con volta a botte, archi. I personaggi sono ben distribuiti nella prospettiva, c’è un accolito che fugge come nel rilievo di Desiderio. La scala che porta verso il cataletto di Drusiana non è finita, prosegue idealmente fino allo spazio dell’osservatore. Prospettiva aerea di San Giovanni nel deserto, siamo in grado di percepire correttamente l’ambiente. Martirio di san Giovanni, policromia molto forte con nero del calderone, giochi di lance e spade che movimenta la rappresentazione, porta urbica, cielo con nuvolette che poi si ritrovano in Beato Angelico. Coinvolgimento sempre tramite la scala con soldato che sale a metà tra noi e la rappresentazione come il San Tommaso di Verrocchio. Ultima scena ascensione di San Giovanni, rappresenta quasi grattacieli, invenzioni scenografiche riprese dalle scenografie e per le sacre rappresentazioni di Brunelleschi. I palazzi quasi accompagnano l’ascensione nella parte apicale della rappresentazione. Coinvolgimento nel piano di appoggio delle figure quasi come un palcoscenico. Uno degli astanti cerca di portarsi dalla parte bassa al proscenio. Tondi con evangelisti, ogni tondo ha la rappresentazione di un evangelista solo mentre legge o scrive alla scrivania con una rielaborazione del linguaggio antico. San Luca medita sul Vangelo sorretto dal bue alato assiso sul tavolo-ara all’antica. Sempre all’antica il sedile di marmo e gli elementi decorativi, perlinature, dentelli così come elencati da Vitruvio e come visti nella Roma antica. San Giovanni vegliardo meditabondo, vecchio saggio assiso su un trono all’antica e su un’ara classica vera e propria con ghirlande. È antica la sedia su cui siede il santo, citazione della parte bassa del trono con puttini angolari che sorreggono le volute e poi la perlinatura nella parte alta. Decorazione anche nelle sovrapporte, Santo Stefano (lapidazione) e san Lorenzo (graticola), dall’altra parte Cosma e Damiano. Stucco bianco con parti policrome nelle aureole in oro e bordure dei manti e decori in blu scuro. Si stagliano plasticamente dallo sfondo blu scuro che richiamano le soluzioni dei della Robbia. Fascia decorativa con protogrottesche, anfora da cui fuoriescono elementi vegetali. Sarà una decorazione in voga a fine secolo perché viene vista da Raffaello e allievi nella Domus Aurea. Ci sono infine le porticelle (quattro ante delle due porte) delle scarselle accanto all’altare maggiore realizzate tra ‘33 e ‘43. Sono strette e lunghe e costituite da cinque riquadri per lato, con una struttura semplice e lineare, deriva dall’aver studiato i dittici consolari e romani paleocristiani in avorio come il Dittico di Stilicone. Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, 1386 ca-1466) Porta degli Apostoli e Porta dei Martiri, 1433-1443, bronzo Firenze, Basilica di San Lorenzo, Sagrestia Vecchia Rappresentano coppie di figure che discutono animatamente. Per Donatello è fondamentale il movimento, alcuni sono frontali, alcuni di profilo. Talvolta insiste su alcuni aspetti, come vesti svolazzanti e il gesticolare che sono quasi caricaturali. Una porta è sugli apostoli, una sui martini. Critiche di Brunelleschi e Leon Battista Alberti nel de Pictura, in cui dice che dovrebbero mostrare più contegno: “Sta bene a chi corre non meno gittare le mani che i piedi: ma voglio un filosofo mentre che favella dimostri molto più modestia che arte di schermire […]” . Firenze, Basilica di San Lorenzo Firenze, Basilica di Santo Spirito L’organizzazione interna delle basiliche fiorentine (come Santo Spirito e San Lorenzo) vede interventi da parte di Brunelleschi che detta regole precise secondo il suo linguaggio unificante architettonico. Si introduce un elemento importante dal punto di vista della storia sociale dell’arte: come i macro-cambiamenti innescano meccanismi di ammodernamento degli arredi interni delle cappelle che fino a quel momento erano stati standardizzati in secoli di esperienza. Brunelleschi crea delle cappelle tutte uguali, senza la possibilità di fare cappelle più grandi del transetto della chiesa costruendo un’architettura dentro l’architettura, senza deroghe e libertà concesse ai committenti. Sono cappelle poco profonde, si ammette soltanto l’utilizzo della bicromia brunelleschiana (bianco-grigio) e l’altare diventa un oggetto molto piccolo addossato alla parete. Sopra l’altare dotato di un solo gradino (talmente sottile da essere quasi una cornice), c’è lo spazio per una pala d’altare riquadrata. Tutte le opere devono avere la medesima forma. Tutto questo crea un cambiamento, fino quel momento le cappelle erano decorati con trittici e polittici, dipinti inseriti in grandi architetture lignee con finimenti dorati che rispecchiano le caratteristiche dell’architettura tardogotica, nulla che vedere con il rigore marziale di Brunelleschi. Questo crea un problema, in particolar modo con i committenti. Le pale nuove che si vanno facendo sono rettangolari con cornice architettonica sobria, come ad esempio: Firenze, Basilica di San Lorenzo Firenze, Basilica di Santo Spirito Domenico Ghirlandaio (1449- 1494) Adorazione dei pastori 1485, tempera su tavola Firenze, basilica di Santa Trinita, cappella Sassetti È di 50 anni dopo il lancio della moda brunelleschiana, eppure la scelta del formato perdura. È una committenza autonoma dei Sassetti al Ghirlandaio, maestro affermato in questi anni con una grande erudizione dell’antico, come si nota dal sarcofago romano nella pala decorata con uno stile classico con colonnine gotiche. L’antico accomuna tutti gli artisti di questo tempo, non è più appannaggio di pochi. Si vedono una porta urbica ripresa da arco trionfale e la struttura classica della capanna. Tuttavia questa è un’opera ex novo, ma come fare se la famiglia ha già un vecchio polittico? Giovanni del Biondo (1356-1399) Polittico 1380-1385 ca Firenze, Galleria dell’Accademia Non è particolarmente vecchia rispetto alle innovazioni di Brunelleschi, quindi i committenti non sono molto inclini al rimuoverla per seguire il nuovo diktat. In questi casi (sebbene non in questo, che è molto estremo) si può ricorrere a una riquadratura che smussa le parti più emergenti che la renda accettabile rispetto ai dettami di Brunelleschi. A un certo punto, riquadrare polittici medievali diventa un lavoro specialistico, come nella bottega del Ghirlandaio. Diventa un indotto economico importante per molti artisti. Ma nel riquadrare un’opera così complessa bisogna riempire “buchi”, gli artisti creano quindi un tessuto nuovo. ~Masaccio e l’affrancamento della pittura~ Masaccio è come una meteora, ha un’esistenza molto breve (muore a soli 27 anni). Nasce nel 1401 (come Tommaso di ser Giovanni) da buona famiglia e nel 1406 nasce il fratello Giovanni detto lo Scheggia (anche lui pittore, che si occupava prevalentemente di deschi da parto). Era un genio immerso nel suo mondo e non si curava molto, infatti il nome Masaccio è una versione denigrativa di “Maso” da “Tommaso”. A riguardo, Vasari riporta: “[…] non perché e’ fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta trascurataggine. […] Fu persona astrattissima et molto a caso: come quello che avendo fisso tutto l’animo et la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di sé, et manco d’altrui” Vasari, creando questo mito del ‘400 fiorentino, deve infatti elencare anche i difetti di questo artista. Riporta poi: “E gli artefici più eccellenti, conoscendo benissimo la sua virtù, gli hanno dato vanto di avere aggiunta nella pittura vivacità ne’ colori, terribilità nel disegno, rilievo grandissimo nelle figure, et ordine nelle vedute degli scorti; affermando universalmente che da Giotto in qua, di tutti i vecchi maestri Masaccio è il più moderno che si sia visto” Parla di “vecchi maestri” differenziandoli dai presenti, come Leonardo, Michelangelo e lui stesso. Il termine “vecchio” in questo caso non è dispregiativo, lo diventa quando lo usa per parlare di arte medievale. Nella prima versione parla infatti di “pietre vecchie ma non antiche” nei confronti del medioevo, Giovanni e Nicola Pisano non avevano neanche la vita a parte. Elenca poi i quattro pregi dell’arte di Masaccio: • vivacità dei colori: palette cromatica allegra con vivacità soprattutto negli incarnati; • terribilità nel disegno: punto di partenza di qualsiasi forma d’arte, la tradizione toscana si basa sul disegno a differenza dei coloristi veneziani; • rilievo grandissimo nelle figure: le figure occupano uno spazio di cui possiamo percepire una fisicità. Fare figure realistiche e pesanti per Vasari è un dato di grande importanza; • ordine nelle vedute degli scorti: corrette regole della prospettiva, si supera l’empirismo della produzione dello spazio tridimensionale su una tavola bidimensionale Trittico di San Giovenale 1422, Museo di Masaccio a Cascia di Reggello Masaccio ha 21 anni, è l’anno in cui si iscrive all’arte dei Medici e Speziali con gli altri pittori. Quest’opera viene riscoperta nel 1961 da Luciano Berti, è un’acquisizione recente al catalogo di Masaccio (così come la Sant’Anna Metterza). È un’opera moderna che la differenzia dagli altri pittori contemporanei perché il trono mostra una correttezza dell’applicazione della prospettiva brunelleschiana, con un punto di fuga unico. È una delle prime, se non la prima, opera in cui si applica la corretta prospettiva. Tutto lo spazio è unificato: sebbene i santi (Bartolomeo e Biagio; Giovenale e Antonio abate) siano in tavolette separate, lo spazio concepito da Masaccio è unitario. Pur avendo introdotto una novità, deve rispettare le richieste della committenza, prevale quindi lo sfondo oro. Si notano modifiche della figurazione in senso donatelliano. Il bambino assume una caratteristica realistica: mette le dita in bocca, un gesto intimo e naturale. L’affetto è garbato, la Madonna prende i piedini del bimbo coperto dal leggerissimo velame. Si nota la raffinatezza della decorazione dell’aureola della Vergine, si usa la foglia oro e gli stilemi dell’orefice. I retaggi della tradizione permangono, ma ci sono novità come il rossore sulle guance che dà vitalità all’incarnato, così come i capelli vivi e spettinati del bambino. Pur nel permanere nella tradizione medievale delle alucce degli angeli, si nota il “profilo perduto” degli angeli, di cui vediamo solo l’incavo ma non l’occhio in sé. Celebrazione di una nascita È un desco da parto, un vassoio di legno decorato nella parte superiore con scene di vita. La struttura solida è inserisce il corteo delle donne che si recano dal bambino appena nato e dalla puerpera in un portico che vediamo di fronte, con una prospettiva difficile. Delinea le colonne e gli archi dando un forte senso di profondità. Il verso del desco presenta un bambino/puttino corpulento che accarezza un animaletto, è quasi un monocromo. Le figure di Masaccio hanno un peso. Masolino da Panicale (1383-1447) e Masaccio (1401-1428) Madonna col Bambino e Sant’Anna 1424-1425, tempera e oro su tavola Firenze, Gallerie degli Uffizi Masaccio incontra Masolino, colui che diventerà un suo sodale alla cappella Brancacci. L’opera è realizzata per la chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze, nel 1813 viene spostata alla Galleria dell’Accademia e dal 1919 si trova agli Uffizi. L’acquisizione dell’opera a la storia critica è interessantissima. Vasari la descrive nella seconda edizione come opera del solo Masaccio. In questo momento a Pisa ci sono anche altri artisti: Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, 1386 ca- 1466) e Michelozzo (di Bartolomeo Michelozzi, 1396-1472) Monumento del cardinale Rainaldo Brancaccio 1426-1428, marmo Napoli, chiesa di Sant’Angelo a Nilo Pisa è più vicina alle cave di Carrara per il marmo, quindi è più comoda di Firenze specialmente per un monumento così complicato tra statue, rilievi e struttura architettonica. Pisa ha ancora un porto importante che avrebbe portato il materiale a Napoli per essere montato. Capolavoro dello stiacciato di Donatello sul sarcofago con Assunzione della Vergine, la Vergine è portata in gloria dagli angeli. Sempre a Pisa c’è Brunelleschi che lavora alla ristrutturazione di Vicopisano, cittadina tra Pisa e Lucca baluardo dei confini del nuovo Stato fiorentino. L’artista è mandato a ridisegnare la fortificazione di Vico Pisano sempre nel 1426. Tornando al Polittico di Masaccio, Vasari offre una descrizione della parte centrale che aiuta a ricomporre la struttura originaria del polittico: “Nella chiesa del Carmine di Pisa, in una tavola che è dentro a una cappella del tramezzo, è una Nostra Donna col Figliuolo, ed a’ piedi sono alcuni Angioletti che suonano: uno de’ quali, sonando un liuto, porge con attenzione l’orecchio all’armonia di quel suono. Mettono in mezzo la Nostra Donna, San Pietro, San Giovanni Battista, San Giuliano e San Niccolò; figure tutte molto pronte e vivaci. Sotto, nella predella, sono di figure piccole, storie della vita di quei Santi, e nel mezzo i tre Magi che offeriscono a Cristo; et in questa parte sono alcuni cavalli ritratti dal vivo tanto belli che non si può meglio desiderare; e gli uomini della corte di que’ tre re sono vestiti di varj abiti che si usavano in que’ tempi. E sopra, per finimento di detta tavola, sono in più quadri molti Santi intorno a un Crucifisso” Masaccio (1401_1428) Madonna col Bambino dal polittico di Pisa 1426, tempera su tavola Londra, National Gallery La prospettiva è data per acquisita, la applica con grande sprezzatura. Il trono è importante, imponente. È fortemente intriso di cultura classica a partire dalla struttura architettonica stessa con le colonnine binate. La struttura modanata della cornice. Anche lo scalino con decorazione a S (strigilatura) è ripreso da un sarcofago antico: la ripresa dell’antico entra a pieno titolo anche nella pittura. Probabilmente aveva visto i sarcofagi intorno al Duomo di Pisa, dove pezzi di templi, capitelli, sarcofagi e iscrizioni inserite nella costruzione. I sarcofagi erano nella piazza e tutti potevano vederli. Per quanto riguarda il coinvolgimento dello spettatore, l’angelo di destra ci guarda negli occhi, mentre l’altro guarda la crocifissione. La Vergine invece è assorta nei suoi pensieri, mentre il bambino è perso mentre mangia dell’uva. Gli angeli musicanti suonano e quindi creano un effetto sinestetico con la musica che si sente in chiesa durante le funzioni. L’altro senso richiamato è il gusto dell’uva mangiata con un gesto avido bambinesco. L’aureola degli altri personaggi è squadernata, mentre quella del bimbo è in prospettiva. Masaccio (1401-1428) Crocifissione dal polittico di Pisa 1426, tempera su tavola Napoli, Museo di Capodimonte La Cimasa era della collezione Farnese ed è poi arrivata nel museo attuale. È pensata per essere vista dal basso, come si nota dal Cristo senza collo. Ha una grande forza espressiva nonostante il fondo oro. L’espressione è violenta, si nota il dolore della Vergine, la tristezza di San Giovanni e in particolare il dolore della Maria Maddalena (riconoscibile solo dai capelli) di spalle con le braccia alzate da cui emergono le mani che incorniciano il Cristo. Ricorda il San Giovanni di Giotto della Cappella degli Scrovegni con le braccia con cui fa la Naruto Run. Riprende questa espressività anche nella Capella Brancacci (es Adamo che piange e si copre il viso). Masaccio (1401-1428) San Paolo dal polittico di Pisa 1426, tempera su tavola Pisa, Museo Nazionale di san Matteo + Sant’Andrea, Getty Museum Malibu Il San Paolo è l’unica pala ancora conservata a Pisa, anche se viene spostato per tutte le mostre rinascimentali in giro per l’Italia. Si trovava nei contrafforti laterali del polittico, motivo per cui è piuttosto piccola. Era posizionata insieme al Sant’Andrea. L’unico retaggio tardogotico della composizione è il fondo oro e, nonostante questa caratteristica, le figure sono costruite in modo da stagliarsi nettamente dal fondo, la tridimensionalità emerge dai panneggi. Il Sant’Andrea è di profilo e quindi dà un’idea dell’aggetto delle figure. Probabilmente Masaccio aveva osservato le sculture di Orsanmichele per studiare il volume. L’espressività delle figure è intensa: sono ritratti, volti aspri senza sorriso, meditabondi ma non privi di forza espressiva. Sono vere e proprie raffigurazioni di personaggi del tempo, il che rende vive e intense queste raffigurazioni. Gli elementi dei volti sono accentuati, come barbe filamentose, capelli forti, stempiatura del san Paolo. Anche in queste figure periferiche, Masaccio usa lo stesso criterio di attenzione di quelle principali. A Masaccio interessa l’intensità della narrazione, il prostrarsi di un re davanti a un altro re. Tutti gli orpelli vengono levati, la sacra famiglia sta veramente in una capanna, luogo privo di qualsiasi utilità domestica. La sella curule su cui siede la Madonna (con una veste molto semplice) è una citazione dell’antico, seggio del sacerdote romano. Tutto il resto è brullo, il paesaggio è privo anche di alberi, è composto solo da montagne arse e desertiche. Prevale la concretezza fisica delle figure, vista già nel san Paolo e sant’Andrea. Emerge ancora di più per l’assenza di fondo oro, la luce investe le figure creando ombre che danno un ulteriore senso di fisicità. I cavalli sono studiati dal vero e rappresentati in diverse posizioni. L’occhio si punta sull’adorazione, il magio che bacia il piede del bambino. Altro dettaglio importante della modernità di Masaccio riguarda i committenti. Nella tradizione medievale il committente è piccino, rappresentato con una sorta di prospettiva invertita. In questo caso hanno le dimensioni degli altri personaggi, vivono la scena con gli altri. Cappella Brancacci Come il polittico di Pisa, anche la Cappella Brancacci rientra nell’ambito dei carmelitani, Masaccio si trova spesso in contatto con loro. Essa rappresenta l’incontro tra tradizione e innovazione, Masolino e Masaccio. I due linguaggi dialogano in maniera diretta e utilissima per uno storico dell’arte per i confronti. Longhi vede nel loro rapporto una sorta di antagonismo, una sorta di gara tra i due nel cercare di imporre il proprio linguaggio sull’altro. Tuttavia, negli anni ‘20 i due filoni convivono pacificamente. La posizione di Masolino è molto vicina a quella di Ghiberti, una modernità moderata rispetto a quella di Donatello. Lo stesso succede tra Masolino e Masaccio. Masaccio e Donatello aprono e imprimono una nuova strada rivoluzionaria all’arte. Il confronto più evidente è quello tra le raffigurazioni di Adamo ed Eva. Vincenzo Meucci La Madonna consegna lo scapolare a San Simone Stock 1746-1748 I Brancacci possedevano questa cappella nella Chiesa del Carmine già da fine ‘300. A dare inizio ai lavori decorativi sarà nel 1424 Felice Brancacci. Era un ricco mercante di seta, uno dei protagonisti della vita politica fiorentina del suo tempo. Si sceglie di rappresentare sulle pareti le storie di San Pietro, protettore della famiglia. Tuttavia si nota come le pareti di Masolino, Masaccio e Filippino Lippi (che le finisce) dialogano poco con la cupola settecentesca del Meucci. Si distruggono i quattro evangelisti di Masolino per ammodernare la cappella. La cappella è un palinsesto artistico, porta le tracce dei passaggi di gusto che sono intervenuti per modificare l’ossatura originaria. Nel ‘600 infatti decade il giuspatronato dei Brancacci e si introducono innovazioni barocche, come una balaustra e una madonna del popolo che va a elidere una buona parte degli affreschi sottostanti. Viene smantellata anche la bifora gotica e sono obliterati gli affreschi sottostanti con il tabernacolo marmoreo su cui è posta al centro la madonna del popolo. Probabilmente è coperto il martirio di San Pietro, scena mancante. Negli anni ’80 è stato infatti eseguito un restauro che ha levato il tabernacolo con Ornella Casazza: sono emerse testine eteree di Masolino e un brano dell’affresco sottostante con soldati (altra indicazione del martirio di San Pietro). A fine 1424 si apre il cantiere. È un anno particolare, Felice era appena tornato dalla sua ambasceria trionfante al Cairo, inizia i lavori anche per orgoglio personale. Inoltre in quell’anno Masolino termina ad Empoli l’affresco del Cristo in Pietà e può quindi dedicarsi a nuovi lavori. Nel lavoro di Empoli (’23-’24) è quasi giottesco. Masaccio Il tributo della moneta Parete sinistra, secondo ordine Pagamento della tassa del tempio, Vangelo di Matteo (17:24-27) 24 Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». 25 Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». 26 Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. 27 Ma, per evitare di scandalizzarli, va' al mare, getta l'amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala loro per me e per te». La rappresentazione è piuttosto medievale, si inseriscono gli stessi personaggi nello stesso ambiente per raccontare le diverse scene: • Cristo e gli apostoli entrano e il gabelliere chiede la tassa e indica la città • Cristo indica a Pietro di andare al lago a pescare il pesce • Pietro è ripetuto mentre apre la bocca del pesce e trova la moneta. • Pietro si ritrova poi alla porta urbica, si è rimesso il mantello e consegna la moneta al gabelliere che consente l’accesso alla città. È evidentissimo in Masaccio il ricordo dei Quattro Santi Coronati di Nanni di Banco, innesca lo stesso gioco di sguardi e silenzioso dialogo. Il paesaggio è brullo, quasi metafisico, con solo qualche albero e l’ombra di una città. È perfettamente integrato con il resto della rappresentazione. Le figure hanno un’intensità ritrattistica con una reminiscenza dell’antico in barbe e capelli. Masolino La predica di San Pietro Parete di fondo, a sinistra della finestra, secondo ordine Poca profondità dello spazio, i monti che stanno dietro sembrano quasi una scena teatrale, un velario che occlude la possibilità di aprire lo sguardo. Le figure sono accavallate una sopra l’altra come dei cartonati che si occludono a vicenda, non con la stessa sapienza spaziale di Masaccio. Benché lo stile sia diverso, tuttavia, San Pietro è vestito sempre allo stesso modo così che l’osservatore possa individuare il protagonista in tutte le scene. Masaccio Il battesimo dei neofiti Parete di fondo, a destra della finestra, secondo ordine Paesaggio brullo che affonda in profondità, le montagne sono create in prospettiva per far affondare lo sguardo. Lo stesso vale per gli astanti che arrivano a farsi battezzare da San Pietro. Attenzione alla resa anatomica dei corpi, il neofita inginocchiato è un atleta. È inginocchiato nel fiume, l’acqua copre le sue ginocchia. L’acqua cade sui capelli che si fanno a ciocche. Si nota la potenza espressiva del corpo, il dettaglio della mutanda bagnata lascia intravedere il pelo pubico. Quello che aspetta si sta spogliando, un altro è già nudo e ha freddo e trema, gesto umanistico. Masaccio sperimenta guardando il vero. Realismo assente dalle scene di Masolino. Masaccio Distribuzione dei beni e morte di Anania Parete di fondo, a destra dell’altare Spaccato di verità, il realismo è funzionale al racconto. Anania è morto perché non voleva liberarsi dei beni terreni. San Pietro gli fotte i beni e li distribuisce al popolo. Realismo nelle terga che si comprimono di un bambino in braccio alla madre povera. Ritratti, sguardi ponderosi e antichi. Veri e propri ritratti che ricordano la scultura di Nanni di Banco. Masaccio San Pietro risana con l’ombra Parete di fondo, a sinistra dell’altare San Pietro è una figura fisica, incede in una via di Firenze (spaccato architettura del tempo) ma con ripresa dell’antico con colonna e costruzione pseudo-romana, con la sua ombra cura i malati e i mendicanti. Lo studio dei mendicanti è uno studio dal vero, probabilmente studiava quelli della Firenze del suo tempo. Masaccio e Filippino Lippi La resurrezione di Teofilo e compagnia Nel 1480 riprendono i lavori dopo tutto il casino, Filippino Lippi chiamato a riempire le parti incompiute. Interviene su una parte di testo già redatta da Masaccio. Masaccio fa la parte a destra e forse tutta l’architettura. Masaccio, Trinità, Santa Maria Novella Da quando fu riportato in luce nel 1857 dopo oltre quattrocento anni di oblio, questo affresco affascinante è stato assunto nella vasta letteratura relativa a Masaccio come la certificazione incontrovertibile dell’altissimo spessore rinascimentale del suo autore, in particolare dal punto di vista prospettico. I due ritratti stupefacenti – vere e proprie sculture dipinte – posti alle estremità di base della pittura hanno da sempre imposto l’urgenza di chiarire gli aspetti relativi alla committenza dell’opera. Un’avvincente indagine documentaria a ritroso condotta ora da Alessandro Cecchi (in Baldinotti - Cecchi - Farinella 2002), a partire all’incirca dalla metà del Cinquecento, porterebbe a identificare i committenti dell’affresco in Berto di Bartolomeo Del Banderaio e in sua moglie Sandra. La proposta appare di particolare interesse poiché il personaggio in questione era un importante e stimato architetto, membro dell’arte dei maestri di pietra e di legname, uno del ristretto gruppo dei «maestri di murare» chiamati dall’Opera del duomo nella primavera del 1420 per lavorare alla costruzione della cupola di S. Maria del Fiore, progettata da Filippo Brunelleschi. Com’è noto, l’intervento diretto di quest’ultimo nell’impianto disegnativo della Trinità è generalmente ammesso; e pertanto la conferma dell’identificazione del committente dell’affresco con un architetto – che certamente era in rapporti personali con Brunelleschi – finisce inevitabilmente per avvalorare tale ipotesi. Non c’è accordo fra gli studiosi per la datazione di questo autentico manifesto della pittura ad affresco del primo Rinascimento, tuttavia l’ipotesi più attendibile sembrerebbe quella che individua nell’opera il commiato definitivo di Masaccio da Firenze, prima della partenza alla volta di Roma nella primavera inoltrata del 1428. È un punto di vista particolare, la crocifissione, vista dal basso, si trova in una volta a botte sostenuta da due colonne, l’arco è tinto di rosa, due pilastri rastremati inquadrano l’architettura. I committenti sono in primo piano e sono perfettamente dimensionati, Masaccio elimina del tutto il linguaggio arcaico della prospettiva inversa e porta i personaggi contemporanei alla stessa grandezza di quelli sacri. Il polittico per cui era andato a Roma non viene mai realizzato, ma si ipotizza la sua presenza nella cappella Branda Castiglioni nella basilica di San Clemente, momento importante: papa Martino V la fa restaurare durante un impeto paleocristiano. Molti storici dell’arte pensano che Masaccio abbia lavorato qui perché era dove lavorava Masolino. La presenza di Masaccio è richiamata nella scena della Crocifissione, perché sembra più moderno di Masolino che non ha cambiato stile nel mentre (questo lo riporta anche Vasari). Tuttavia gli ultimi studi non sono d’accordo con questo pensiero (non ho capito perché). L’arte di Masaccio genera una serie di artisti che a partire dagli anni ‘30 del 400 iniziano a lavorare: • sulla prospettiva (su cui non ci sono più dubbi) • alle novità di Masaccio sulla volumetria delle figure, sulla rappresentazione del paesaggio e sull’espressività dei volti • alla luce, in quanto corpi di Masaccio fanno ombra Quest’ultimo aspetto diventa importante in Toscana negli anni ‘30 perché iniziano a penetrare opere di arte fiamminga. Infatti i toscani sono banchieri e aprono banche nelle Fiandre, dove si smerciano panni e tessuti. Quando tornano portano opere fiamminghe, il che crea una lenta penetrazione di un linguaggio diverso ma che viene studiato e rielaborato dai pittori italiani. L’elemento della luce e delle sue varie fonti diventa predominante: • luci reali come il sole, le candele, ecc. • luci divine come quella emanata dal Gesù bambino Si inizia quindi a parlare di Pittura di Luce, si studiano gli effetti della luce sui vari materiali. Oltre a Masaccio e ai fiamminghi, il terzo fattore che porta la diffusione di questi studi è la pubblicazione tra 1435-36 del De Pictura di Leon Battista Alberti, che codifica tutte le conoscenze pittoriche, studiando la rifrazione e gli aspetti più scientifici della luca. Gli artisti di questa fase sono Beato Angelico, Domenico Veneziano, Paolo Uccello, Piero della Francesca e Filippo Lippi. ~La pittura a Firenze dopo Masaccio~ Beato Angelico nasce a Vicchio di Mugello nel 1395, è quindi un uomo del secolo nuovo. Muore a Roma nel 1455 e viene sepolto in Santa Maria sopra Minerva. È un frate domenicano, e i domenicani stavano a San Marco a Firenze, dove si trova un suo importante ciclo. Lavora molto a Firenze e Fiesole. Si chiamava Guido di Pietro, viene chiamato Beato Angelico per le caratteristiche della sua pittura. Viene effettivamente beatificato nel 1982 da papa Giovanni Paolo II. Beato Angelico (1395ca-1455) Tabernacolo dei Linaioli 260 x 330 1433-1435, tempera su tavola Firenze, Museo di San Marco È un’opera di grandi dimensioni inserita in un tabernacolo disegnato da Ghiberti. Nella sua primissima fase l’arte di Ghiberti è fortemente intrisa in quella di Beato Angelico, ma allo stesso tempo guarda a Masaccio. È un polittico con le ante che si aprono e chiudono. La scelta è ancora quella tradizionale del fondo oro, al centro è rappresentata la Madonna con bambino, ai lati i santi. Il Battista poggia saldamente i piedi per terra, l’ascendente masaccesco è ben compreso da Beato Angelico. La luce è importante, si nota nelle gambe della Vergine, il celeste del mantello diventa quasi bianco. Inizia a sperimentare le fonti di luce naturale insieme a quella divina del bambino (che spesso porta il cartiglio ego sum lux mundi). Nelle ante chiuse le figure si stagliano su fondo scuro, l’aureola è all’antica, il panneggio è elegante. Permangono elementi tardogotici: il panno forma ghirigori innaturali o pieghe taglienti tipiche delle sculture di Ghiberti. Iniziano quindi ad penetrare attraverso la Toscana le influenze dei fiamminghi a , che usano la pittura a olio per raggiungere una maggiore definizione dei dettagli. Jan Van Eyck (1390-1441) Ritratto dei coniugi Arnolfini 1434, olio su tavola Londra, National Gallery Giovanni Arnolfini era un mercante di Lucca rappresentato con la prima moglie Costanza Trenta. Viveva a Bruges da dove gestiva i commerci. Era molto ricco, infatti indossa un mantello di pelliccia di visone per far capire il suo rango. Le figure sono in primo piano, lui ci guarda mentre lei è più timida. Lui alza la mano in saluto e sembra una cripto-benedizione, con l’altra tiene la mano della futura moglie. È una promessa di matrimonio, probabilmente un matrimonio riparatore perché lei incinta (pancia gonfia con mano su di essa). Il quadro è uno strumento notarile con cui promette di sposarla. Il valore documentario dell’opera è testimoniato dalla firma di Van Eyck molto particolare: Johannes de Eyck fuit hic 1434. Il dipinto rappresenta all’ennesima potenza la pittura fiamminga. La parte rappresentata è la camera, ma vediamo anche la parte che non dovremmo vedere, dove sta Van Eyck. C’è uno specchio da cui vediamo le spalle degli Arnolfini e l’altra parte di stanza. Cura dei dettagli nei copricapi, mantello. Ci sono delle arance dietro di lui: sono state importate dal sud, a Bruges non crescono, altro segno di ricchezza. Dettaglio del lampadario a sei braccia con una sola candela accesa che rappresenta la fiamma dell’amore. È un’ulteriore fonte di luce, crea riverberi di luce in più rispetto a quelli che arrivano dalla finestra. In più c’è una luce di fronte come si nota dalla veste illuminata di lei. Lo specchio è un oggetto molto popolare, in quanto allontanava la sfortuna. Riflette la finestra (generando quindi altri giochi di luce). La cornice raffinatissima di legno è decorata con tondi dove si leggono le storie della Passione di Cristo perfettamente leggibili. Vediamo gli Arnolfini di spalle e gli astanti che testimoniano la promessa: la famiglia e Van Eyck. Appeso alla parete c’è un rosario di perle di vetro trasparenti. Il filo entra nelle perle con conseguenti giochi di luce dalla finestra e ombre sulla parete. Dietro di loro c’è il talamo nuziale. Sulla testata del letto di ebano intarsiato c’è Santa Margherita (patrona delle partorienti) o Santa Marta (patrona della casa), entrambi comunque elementi di buon augurio. Ai piedi del letto ci sono le babbucce, raffinate quelle di lei e più spartane quelle di lui. Jan Van Eyck (1390-1441) La Madonna del cancelliere Rolin 1430-1434, olio su tavola Parigi, Musée du Louvre Realizzata per il cancelliere di Borgogna e Brabante per la sua cappella nella cattedrale di Autun. È una scena devozionale: il cancelliere in una loggia prega la Madonna con bambino. Lui ha un vestito di broccato molto sontuoso. Il bambino è portato avanti dalla madre, alza il braccio in segno di benedizione. Un angelo incorona la Vergine. Il loggiato si apre su un terrazzo (=hortus conclusus), è quindi una sacra conversazione. Sullo sfondo c’è un paesaggio fluviale osservato da due buffi figuri che si affacciano. Si riconoscono varie fonti di luce: frontale, esterna, luce filtrata delle vetrate, luce divina del bambino. Decorazioni dei capitelli nordici, decorazione a volute dell’arco, attenzione nella specificità in ciascun dettaglio che può essere individuato senza errore. La corona della Vergine è un oggetto di oreficeria sublime. Lo sfondo è mediato dallo spazio intermedio. L’artista realizza anche questo ritratto misterioso del 1433 conservato alla National Gallery di Londra firmato in basso “faccio quello che posso”, che significa lo sforzo dell’uomo nei confronti della natura. Filippo Lippi (1406-1469) Madonna di Tarquinia 1437, tempera su tavola Roma, Galleria Barberini Corsini Data da sapere perché è scritta nel cartiglio in basso in numeri romani. L’opera è commissionata da Giovanni Vitelleschi, comandante dell’esercito pontificio, per la sua città (Tarquinia). È un pittore di luce. Fa un’opera analoga a quella di Beato Angelico, la Madonna è posta in primo piano su un trono marmoreo simulato da un gioco di screziature. Fonti di luce: • luce è frontale, il manto della Vergine trascolora diventando quasi argenteo • finestra aperta su un paesaggio che illumina la stanza di casa con il talamo di Giuseppe e Maria • apertura sullo sfondo che mostra un palazzo fiorentino con finestre e stenditoi. La stanza è quindi inondata da luci che arrivano da tutti i lati. L’ascendente fiammingo è fortissimo, c’è un magistrale dominio dello spazio architettonico. È molto complessa la stanza che sta dietro, la fuga di ortogonali è complicata da gestire nello spazio. Filippo domina perfettamente sia la conoscenza dello spazio prospettico, sia la pittura fiamminga. Filippo Lippi (1406-1469) Pala Barbadori 1438, tempera su tavola Parigi, Louvre Filippo ama giocare con la luce e realizza quest’opera per la cappella in Santo Spirito dedicata a san Frediano. I santi Agostino e Frediano sono inginocchiati in primo piano. È una sacra conversazione data dal coro angelico intorno alla Vergine che formano il classico semicerchio. La vergine non è in trono ma è stante. La stanza è rettangolare, dei marmi policromi rivestono l’intradosso della stanza, al centro c’è una grossa nicchia con nautilus (conchiglia) che inquadra la Vergine con bambino. Fonte di luce: • luce frontale che investe vesti argentee degli angeli e veste della Vergine • finestra a sinistra che illumina la stanza dietro di una luce crepuscolare argentea. I giochi di luce sono ancora più complicati. È una struttura a polittico ma senza polittico, non ci sono le colonnine che dividono le scene. Ci sono delle colonne del dipinto che dividono la scena ma con lieve sfasatura rispetto all’architettura del polittico senza disturbare l’economia totale. Filippo Lippi (1406-1469) Visione di Sant’Agostino (predella della Pala Barbadori) 1440 ca, tempera su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi C’è grande precisione nella creazione dello spazio, l’architettura è intonacata di chiaro. Tutto è definito dalla luce, varie fonti: porta da cui entra un frate, finestre, visione del santo. Domenico Veneziano (1410? - 1461) Pala di Santa Lucia dei Magnoli [Màgnoli] 1445-1447, tempera su tavola Firenze, Galleria degli Uffizi Nonostante il nome, questo artista lavora molto a Firenze. Santi: san Francesco, Battista, Zanobi, Lucia (riconoscibile dal piattino con occhio). È un fanatico della prospettiva. Lo spazio è perfettamente misurabile grazie alla pavimentazione a losanghe. La Vergine sta sotto una loggia a sesto acuto aperta avanti e dietro. Dietro c’è un’esedra, quindi la Vergine non sta attaccata alla nicchia infondo. L’architettura è un’hortus conclusus. La costruzione è tutt’altro che semplice, infatti sembra ci sia contatto tra fondo e figure. Una vista più accurata fa capire quanto sia profondo lo spazio. Fonti di luce: • sole schermato dall’architettura, si crea una linea nettissima che segna la parte più in ombra • luce frontale. Rispecchia perfettamente le indicazioni di Leon Battista Alberti nel De Pictura nella parte sul “ricevere i lumi”: loda i visi che sembrano quasi scolpiti dalla luce e che emergono dalla luce, biasima chi si limita al disegno. Colori fondamentali: celeste, rosso, verde, cenere (colori dei quattro elementi). “mancando il lume mancano i colori” cit Alberti. Domenico Veneziano (1410? -1461) San Giovanni Battista nel deserto 1445- 1447, tempera su tavola Firenze, Galleria degli Uffizi (predella della Pala di Santa Lucia dei Magnoli) Perfetta descrizione del deserto illuminato dalla luce
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