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Sbobina lezione di teorie e modelli del teatro contemporaneo, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Sbobina della lezione di Edward Gordon Craig

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 09/06/2023

anastasia-maglio
anastasia-maglio 🇮🇹

1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica Sbobina lezione di teorie e modelli del teatro contemporaneo e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! Il drammaturgo si concentra sulle parole, per cui in qualche modo tradisce l’artigianalità del teatro. Craig ci fa la differenza tra regista artigiano e regista artista. A primo impatto potremmo pensare che quello a cui lui fa riferimento nell’idea di recupero della dimensione artigianale del teatro sia il regista artigiano, ma non è così, perché il regista artigiano estrapola le immagini dal testo e le traduce graficamente mettendole insieme agli altri elementi, per cui traduce visivamente un testo. Per mettere in piedi la vera modernità c’è bisogno di qualcosa in più: il regista artista. È un regista che crea, inventa, che può fare a meno del testo e seguire una sua idea. Sta parlando di un teatro eloquente senza la parola e senza una derivazione narrativa. La narrazione non deve essere sottoposta al peso logico e funzionale della parola. Il regista artista può fare del testo esattamente quello che fa degli altri elementi. Tutti gli elementi della scena rappresentano una forma di testualità. Il regista artigiano è un primo passo, ma lo scopo del regista moderno è essere regista artista. Troviamo un’altra contraddizione: da un lato Craig ci dice che bisogna anelare a un teatro privo di testo, dall’altro sostiene la necessità di interpretare in termini moderni dei classici, soprattutto quelli shakespeariani, che secondo lui sono quelli che più degli altri possono tradurre quest’idea in termini stilistici e vuole traghettare questi testi, che nel tempo hanno comunque avuto un’abitudine rappresentativa, sul versante dell’utopia, che è il suo teatro. L’utopia è la modernità che ancora deve venire, una forma di teatro che sta contribuendo a far nascere e che riconosce come il suo teatro. Questo significa eliminare dalle rappresentazioni shakespeariane tutte le convenzioni che fino a quel momento erano state stabilite, una tipica è Amleto con il teschio in mano che recita “essere o non essere”: non è vera, Amleto prende il teschio in mano solo nell’ultimo atto, ma nel nostro immaginario c’è questa scena perché gli attori ottocenteschi facevano questo. Questo porta all’idea di stilizzare questa rappresentazione e ricondurla all’interno di un sistema di segni che abbiano un significato preciso ma non anestetizzino lo spettatore con la loro pesantezza, o con una scena che a volte prevale sugli altri elementi, ma vuole procedere per sottrazione. Lo scopo del teatro come arte è fare esperienza della bellezza. La bellezza di cui parla è il livello superiore dell’arte, che però è legato al calcolo e alla ragione. Craig non fa un discorso emotivo ma quasi filosofico, e dunque logico. Per cui la sua idea di bellezza è legata al calcolo, cioè ad un processo che tende ad un equilibrio. L’esperienza della bellezza significa sperimentare qualcosa che sia il risultato di un processo intellettuale. Anche nella danza di Isadora la bellezza era data dall’equilibrio e dal recupero della purezza della danza e dunque da un qualcosa di calcolato. Quello che c’è dietro queste posizioni si accompagna sempre ad un pensiero, ad un qualcosa di elaborato intellettualmente. Tutti gli elementi che costituiscono la bellezza di questo teatro devono tendere tutte ad uno stesso scopo cioè a ricostruire questa bellezza corale e sobria. Come si crea? Facendosi guidare da un percorso che non si abbandona ad un processo incontrollabile, come l’ispirazione a l’stinto. Abbandonandosi a queste cose non si costruisce una bellezza ideale perché l’eccesso dato dall’impulso difficilmente obbedisce alle regole dell’equilibrio perfetto della bellezza. Quindi in una fase iniziale ci si può far accompagnare da una fase emotiva, ma poi questa deve essere elaborata intellettualmente. L’emozione non può essere l’elemento trainante: tutto quello che è affidato all’istinto è meraviglioso ma è imperfetto. Per giungere a questa bellezza sobria e perfetta c’è bisogno di una persona che sappia condurre questo processo e può essere soltanto il regista. La bellezza di cui parla Craig si può raggiungere attraverso la riforma che bisogna attuare nel linguaggio teatrale e non attraverso una modalità tradizionale della messa in scena, che è ormai diventata sterile e inefficace per mettere in pratica l’idea moderna di bellezza. Le prove non sono le prove meccaniche di un testo che si fanno finché il testo non viene in una determinata maniera tradizionale, ma assumono un valore creativo. Questa è una nozione abbastanza moderna, perché in realtà parla di un concetto che nascerà solo negli anni 60 che è la scrittura scenica, in cui la rappresentazione non ha a che fare con la messa in scena di un testo ma si costruisce direttamente con l’azione scenica dei personaggi, per cui la prova diventa un atto creativo. Le repliche di una rappresentazione in realtà sono l’esibizione delle forme che vengono create durante le prove. Craig si scaglia su due elementi principalmente che saranno la denuncia non solo alla situazione teatrale del tempo ma anche ad un’abitudine che si era reiterata negli anni; questi sono la scena e l’attore. Bisogna riformulare il teatro partendo da questo. Rispetto alla scena, sostiene la necessità di azzerare lo spazio scenico (come già avevano affermato i simbolisti). La scena è da cambiare perché c’è troppa materia, troppa pesantezza visiva. Vuole eliminare gli elementi di immediata corrispondenza cognitiva, la scena deve essere allusiva e non rappresentativa, per cui posso mettere dei volumi al posto degli oggetti (come aveva fatto Appia). La differenza con i simbolisti era che questi anelavano ad un mondo superiore, mentre Craig, non sostiene una corrispondenza ad un mondo superiore, ma il recupero di un significato superiore che il teatro inizialmente aveva avuto, è l’idea di utilizzare il simbolo per quello che è: il teatro è per sua natura un simbolo, della vita, di qualcosa che un uomo può fare, della possibilità infinita di alludere e creare. Non c’è l’idea di un’affinità segreta tra le parole e le cose, perché la parola che nel teatro simbolista ha un grande peso, non ha la stessa importanza nel teatro di Craig, anche perché la sua prospettiva era diversa: non parla da poeta ma da disegnatore e architetto. La scena acquista significato soltanto grazie a tutti gli altri elementi che vengono messi al suo interno, soprattutto in base al modo in cui vengono utilizzati. Ad un certo punto si accorge che anche questa progettualità, per quanto vaga, in realtà è una soluzione ancora troppo ingombrante, quindi realizza quelli che lui chiama screen. Sono dei pannelli leggerissimi di garza, con un’impercettibile cornice e una cerniera per rendergli facile il movimento. Sebbene leggerissimi, sono comunque elementi materiali, ma con un utilizzo adeguato della luce diventano evanescenti e particolarmente evocativi. Gli screen diventano un orizzonte progettuale e concettuale: lui le chiama le mille scene in una, perché con essi si può realizzare qualsiasi cosa senza il timore di dare un effetto di pesantezza, poiché sono alleggeriti da tutti gli altri elementi messi sulla scena. Negli artisti del teatro dell’avvenire troveremo gli stessi concetti dell’arte del teatro ribaditi. Riprende il concetto di movimento come espressione dell’invisibile e come valenza simbolica al di là di quello che viene rappresentato, che è proprio il principio primo del movimento. Il movimento ha una valenza assoluta per la creazione della bellezza proprio è alla base di tutte le esperienze teatrali di tipo rituale. Il movimento ha una sua bellezza non soltanto estetica ma soprattutto significativa. Il suo discorso verte molto sulla divulgazione di una nuova forma di danzatore, che deriva esattamente dal sacerdote e solo dopo è diventato ballerino. Il danzatore aveva una funzione sacra, perché la danza era alla base della preghiera. Il teatro corrisponde al tempio della preghiera. Per capire questo si rivolge a dei miti indiani, dove alla base del contatto tra uomini e dei c’è il danzatore, che è figura demiurgica. Dice che c’è la necessità di ricostruire un teatro con materiali preziosi, perché deve diventare tempio. Vuole recuperare la dimensione archetipica e sacra del teatro. Non prende in considerazione il ditirambo, perché sceglie una cultura nella quale c’è ancora una ritualità che riproduce questo tipo di teatralità. Nel teatro balinese ancora c’è questo tipo di idea rituale del teatro. In questo tipo di teatro non c’è assolutamente l’idea del realismo perché in questa dimensione rituale non ci si pone il problema che quello che viene rappresentato sia reale o meno. Craig e tutti i padri del teatro si rivolgono all’autenticità delle culture orientali come qualcosa che non ha nulla a che vedere con il processo storico, un’autenticità che noi abbiamo perso, ma loro hanno mantenuto. All’Arena Goldoni di Firenze, compie una serie di sperimentazioni con gli screen, ma anche in questa fase italiana non abbiamo la realizzazione di alcuno spettacolo compiuto. Usa una tecnica di illuminazione dell’alto che accentuano l’idea di scena come spazio teatrale. È una scena che viene concepita senza l’attore, è autosignificante. Craig riprende l’idea cinquecentesca di scatola ottica e ci mostra un pavimento inclinato. Vuole prendere da questo modello la possibilità di avere moduli intercambiabili, di una scena che si compone e decompone all’interno di uno spazio. Negli artisti del teatro dell’avvenire dice che per creare l’utopia deve entrare in rapporto intimo con il mestiere al fine di conoscerne il linguaggio di base. Ribadisce l’idea che questo artista dell’avvenire deve avere esperienza di tutte le componenti dello spettacolo in senso artigianale. Per mettermi nelle condizioni di fare arte devo prima fare esperienza delle arti (artista artigiano). Questa
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