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storia moderna di Vittorio Criscuolo + integrazione di appunti e powerpoint, Sbobinature di Storia Moderna

il file comprende: -1500,1600,1700 -umanesimo e rinascimento -scoperte geografiche -guerre d'Italia -riforma protestante e controriforma -Spagna, Francia e Inghilterra nel '500 -guerra dei trent'anni -crisi del '600 -assolutismo francese -guerre di successione e guerra dei 7 anni -illuminismo -rivoluzione americana -rivoluzione francese ho preparato l'esame esclusivamente con questo file

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 22/11/2023

ManuelaGermano
ManuelaGermano 🇮🇹

3 documenti

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Scarica storia moderna di Vittorio Criscuolo + integrazione di appunti e powerpoint e più Sbobinature in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! 1 UMANESIMO E RINASCIMENTO Sviluppatosi dapprima in Italia fra Trecento e Quattrocento, il movimento umanistico perseguì un programma di radicale rinnovamento culturale ed educativo incentrato sulla rinascita dei grandi modelli dell’antichità classica. Gli umanisti ammirarono le grandi opere della cultura greca e latina non solo per il loro valore letterario e filosofico, ma perché ritrovavano in esse il nuovo modello di formazione dell’uomo al quale intendevano ispirarsi. Per questo motivo gli studi classici furono definiti studia humanitatis o humanae litterae. Da questa formula derivò il termine latino humanista, che fu usato correntemente nel corso del Cinquecento per designare appunto colui che si dedicava allo studio e all’insegnamento delle discipline umanistiche. L’umanesimo si sviluppò in particolare nelle città, In tal senso esso fu l’espressione delle aspirazioni e della visione del mondo di quei ceti emergenti che animarono la civiltà comunale. I destinatari della nuova cultura furono uomini di palazzo, segretari e funzionari delle magistrature cittadine, maestri, esperti di diritto, notai professionisti, uomini che si erano affermati nel mondo del commercio e degli affari. L’umanesimo mise a disposizione di questi gruppi un patrimonio di conoscenze linguistiche, oratorie e storiche che fornì loro quella consapevolezza culturale che ne giustificava la vocazione a porsi come nuova classe dirigente. Vi fu quindi al centro del pensiero umanistico l’idea che l’uomo di lettere dovesse partecipare attivamente alla vita politica della sua città. Si è parlato perciò di umanesimo civile, soprattutto in relazione a Firenze, vera capitale del movimento umanistico. Fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento il centro della vita artistica si spostò da Firenze a Roma, alla Corte dei Papi rinascimentali. Ormai letterati artisti trovavano protezione e sostegno materiale per la loro attività nel mecenatismo delle grandi famiglie principesche. Mutò 2 così progressivamente anche l'immagine dell'umanista. Si afferma così la figura dell’intellettuale cortigiano. La corte diventa il luogo per eccellenza della cultura e il simbolo della civiltà umanistico-rinascimentale. Nel frattempo, però la cultura umanistica si era progressivamente staccata dalle sue radici italiane e si era trasformata nel corso del Quattrocento in un fenomeno europeo. Per realizzare il loro progetto di rinascita degli studi classici, gli umanisti si dedicarono alla paziente opera di ricerca di manoscritti nei monasteri tutta Europa. Ancora più importante fu la riscoperta del greco, generalmente ignorato dalla cultura occidentale dell'età di mezzo. In generale la rinascita della cultura classica promossa dall'umanesimo favorì un allargamento della circolazione dei testi latini e greci, dapprima attraverso il moltiplicarsi delle copie manoscritte e poi in misura ancora più grande grazie alla rapida diffusione della stampa che permise di predisporre in tempi molto rapidi un elevato numero di copie di un'opera (Gutenberg, 1455). Fu questa l'età in cui si formarono, dapprima con i preziosi manoscritti, poi anche con i libri stampati, splendide biblioteche, la prima delle quali fu proprio quella di Petrarca. Con il movimento umanistico cambio radicalmente il modo di studiare e interpretare la straordinaria eredità dei greci e dei latini: a segnare la differenza rispetto alla cultura medievale fu una nuova disciplina, la filologia, vale a dire l’analisi critica e storica del testo. Questo metodo implicava innanzitutto il ripristino della versione originaria, ripulita dagli errori e dalle deformazioni dei copisti medievali. Cambiò anche radicalmente l'atteggiamento di fronte al pensiero classico. Nella cultura medievale i grandi autori dell'antichità erano citati come depositari di verità assolute. Il pensiero umanistico invece, volle sempre collocare le opere antiche nel contesto storico e culturale nel quale erano sorte e alla luce del quale potevano essere intese nel loro vero significato. Un esempio celebre del valore rivoluzionario del metodo filologico offerto dallo scritto di Lorenzo Valla, che dimostrò che il documento secondo il 5 Copernico, secondo cui il sole era immobile al centro del sistema solare dell’universo e tutti i pianeti ruotano intorno. La rinascita della cultura antica a opera degli umanisti riportò in auge un sapere magico, condannato dal medioevo; grande fortuna ebbe l’opera di Marsilio Ficino, il corpus hermeticum. Le dottrine ermetiche ebbero un posto di primo piano nella cultura rinascimentale. Assai diffusa era l’astrologia, vale a dire lo studio degli influssi che il moto degli astri ha sui movimenti nel mondo terreno, e quindi sulle passioni e sul carattere dell’uomo. Anche lo studio della matematica ebbe molto richiamo, soprattutto il valore simbolico e magico dei numeri. Dunque, gli umanisti riportarono alla luce le opere di matematica, geometria, astronomia, geografia e medicina dei principali autori greci, rimettendo così in circolazione idee e problemi che rappresentarono uno stimolo fondamentale per la discussione fisica. Il contributo dell’umanesimo a questo processo di affermazione del metodo scientifico va individuato soprattutto nel rifiuto del principio di autorità, vale a dire nella volontà di non accreditare nessuna affermazione o alcun giudizio che non fossero accreditati in campo letterario dalla critica filologica e storica e, dalla diretta osservazione dei fenomeni (come affermava lo stesso Leonardo). (IL PREZZO DELLA MODERNITA’) Il trapasso dal mondo medievale all’età moderna fu ricco di contraddizioni e chiaroscuri. La conquista di una nuova dimensione, se liberava l’uomo dai condizionamenti religiosi che lo avevano vincolato durante il medioevo, lo consegnava nel contempo a un’insicurezza che l’età precedente non aveva conosciuto. La mentalità medievale assegnava a ogni uomo nella società un posto e una funzione stabiliti; ora l’uomo rivendicava la propria libertà di scelta, ma questo lo caricava di una responsabilità che lo portava al crollo delle certezze. 6 LE SCOPERTE GEOGRAFICHE (LE ESPLORAZIONI) Alla radice delle grandi scoperte geografiche vi furono innanzitutto esigenze di carattere economico, in particolare il desiderio di trovare una nuova via per raggiungere le indie e mettere le mani sul commercio delle spezie. Tuttavia, i grandi viaggi non possono essere compresi se non si fa riferimento alla nuova cultura umanistica, infatti si svilupparono un’apertura mentale, un desiderio di affermare la forza e l’intelligenza dell’uomo, una sete di conoscenze nuove che diedero un impulso decisivo alle imprese dei navigatori. Fu il portogallo a dare avvio, nel XV secolo, ai viaggi di esplorazione, con l’occupazione nel 1415 della città, sulla costa africana, di Ceuta. Decisivo fu il contributo, nel 1413, del principe Enrico, detto “il navigatore”, il quale fondò a Sagres un centro di studi astronomici, geografici e cartografici per favorire il perfezionamento delle tecniche di navigazione e per organizzare le loro spedizioni. L’obiettivo dei portoghesi era la ricerca di oro, il metallo prezioso era particolarmente importante per il portogallo, che aveva gravi difficoltà nella monetazione; una svolta in tal senso si ebbe a partire dal 1471, quando i portoghesi arrivarono sulla costa dell’attuale Ghana, e la chiamarono Costa d’Oro. Negli anni seguenti, per impulso del re Giovanni II, la natura di questi viaggi mutò e maturò la convinzione che fosse possibile circumnavigare l’Africa allo scopo di raggiungere le Indie via mare e acquistare le spezie direttamente dai produttori senza l’intermediazione veneziana. Per primo tentò l’impresa Bartolomeo Diaz che, nel 1487, doppio la punta meridionale dell’Africa, chiamata Capo di Buona Speranza. 7 Nel 1483 si rivolse al sovrano portoghese il genovese Cristoforo Colombo per ottenere il finanziamento di un’impresa che da alcuni anni aveva concepito. Colombo si appassionò all’idea di sfruttare la forma sferica della terra per raggiungere, navigando verso occidente, l’Oriente. Questa idea era stata avallata dall’umanista Paolo Toscanelli in una lettera a un canonico portoghese. In realtà l’impresa apparve praticabile a causa di un errore nel calcolo della circonferenza terrestre, ritenuta molto minore di quella reale. Giovanni II decise di non finanziare il suo progetto e così Colombo trovò clima favorevole nella Spagna di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. A bordo di due caravelle e di una nave ammiraglia, Colombo prese il mare il 3 agosto 1492 dal porto di Palos. Il 12 ottobre, dopo 36 giorni di navigazione, fu raggiunta la terra, un’isola delle Bahamas che prese il nome di San Salvador. Dopo la prima spedizione Colombo fece altri tre viaggi, scoprendo molte delle isole caraibiche e giungendo in Costa Rica e Panama, ma solo nel terzo viaggio toccò il continente americano. Egli scambiò questi territori per le isole del Gippone e, fino alla fine, rimase convinto di trovarsi nelle Indie; anche se, apparve ben presto evidente che dalle terre scoperte non si potevano ricavare ricchezze. Subito dopo il ritorno di Colombo, nel maggio del 1493, Ferdinando e Isabella ottennero dal papa Alessandro VI la bolla inter coetera che fissava a 100 lege a ovest delle isole del Capoverde una linea immaginaria da nord a sud assegnando alla Spagna, come area esclusiva di esplorazione, il mare e le terre situate a ovest di essa. Preoccupato dalle conseguenze, Giovanni II, negoziò con la Spagna il trattato di Tordesillas, ottenendo uno spostamento della linea di demarcazione: si trattò di una modifica molto importante grazie alla quale sarebbe rientrato nell’orbita portoghese anche il Brasile. La legittimità delle bolle papali e del trattato fu contestata dagli stati che ne erano rimasti esclusi. Nel 1947 l’italiano Giovanni Caboto, a servizio del re d’Inghilterra, tentò di raggiungere le Indie attraverso una rotta più settentrionale. Egli raggiunse le coste dell’America del nord, convinto 10 Le esplorazioni cancellarono la concezione medievale di un blocco di tre continenti, posto nell’emisfero settentrionale e circondato dall’oceano. Attraverso la scoperta si realizzò l’incontro fra due mondi rimasti sconosciuti. Esso fu segnato dalla volontà di sopraffazione dei conquistadores, che imposero con brutalità i modelli istituzionali, sociali e religiosi del vecchio continente. Si levarono voci coraggiose a difendere i diritti degli indio, principale fra tutte quelle di Bartolomeo de Las Casas, che denunciò le violenze dei conquistadores. Di fronte a queste posizioni non fu insensibile Carlo V nel 1542 promulgò le “nuove leggi”, che equiparavano gli indio agli altri sudditi, e prescrivevano che si sarebbe dovuto tener conto delle loro tradizioni e delle loro gerarchie interne. Inoltre, prescrisse che non si usasse più la parola conquista per indicare i domini della Spagna nel nuovo mondo. Nonostante gli interventi di Carlo V, gli indios sono sfruttati con forme di schiavismo legalizzate, come la “mita”, cioè sono costretti a lavorare nelle miniere e nelle piantagioni. Inoltre, gli scambi commerciali con il nuovo mondo sono fonte di arricchimento, perché introducono in Europa nuove specie animali e vegetali (pomodori, mais, patate, cacao, tabacco) e grandi quantità di oro e di argento; nelle Americhe invece trovano terreno fertile specie come canna da zucchero e caffè. La scoperta del nuovo mondo porta anche ad un commercio triangolare: dall’Europa giungono in africa armi e manufatti, che sono scambiati con schiavi, rivenduti poi in America, da dove le imbarcazioni ripartono verso la madrepatria imbarcando materie prime e lavorati. (ECONOMIA-MONDO) Da metà Quattrocento fino agli inizi del Seicento inizia una crescita demografica dovuta a riduzione del tasso di mortalità, aumento delle aree coltivabili e incremento del tasso di natalità. Questa crescita porta ad un aumento dei centri urbani, una maggiore richiesta di generi alimentari, un conseguente aumento dei prezzi e una pesante riduzione del potere d’acquisto dei salariati. 11 Per fronteggiare l’aumento della domanda di prodotti agricoli si ricorre alla riconversione cerealicola di molte colture. Il Cinquecento è il secolo dell’espansione europea e della nascita di un’economia capitalistica. Nascono le compagnie mercantili “privilegiate”, si afferma un’economia su scala mondiale e si afferma il modello dell’economia-mondo. Il 29 maggio 1453 si assiste alla fine dell’Impero Bizantino, Costantinopoli viene conquistata dai turchi ottomani, i quali sottomettono tutto il bacino del Mediterraneo orientale, dando vita ad un impero fondato sull’efficiente amministrazione statale e sulla potenza militare, governato dal sultano tramite il visir e dal carattere multiculturale. Con Solimano il Magnifico l’impero ottomano diventa la maggiore potenza mediterranea. Nel XVI secolo gli europei penetrano in Asia (India, Cina e Giappone). LE GUERRE D’ITALIA Dopo la pace di Lodi del 1454 il quadro politico della penisola italiana rimase incentrato per un cinquantennio sull'equilibrio stabilitosi fra i 5 maggiori stati: Il Regno di Napoli, lo Stato della Chiesa, il ducato di Milano, la repubblica di Firenze e la repubblica di Venezia. Il Regno di Napoli, che il papato considerava un proprio feudo, era passato nel 1458 a Ferdinando I di Aragona, esponente di un ramo illegittimo della famiglia che reggeva lo stato aragonese in Spagna. I tentativi di Ferdinando di rafforzare l'apparato amministrativo e finanziario si scontrarono con l'opposizione della potente e riottosa feudalità, che spadroneggiava nelle province. Nel 1485 i Baroni nella speranza di abbattere la dinastia aragonese organizzarono una congiura che fu duramente repressa. Per quanto riguarda lo stato della Chiesa, rientrati a Roma nel 1420 dopo la fine dello scisma d'occidente, i Papi si impegnarono a ripristinare il proprio dominio temporale sia nella capitale, dove il loro potere era 12 condizionato e limitato dalle grandi famiglie dell'aristocrazia romana, sia nel territorio dello Stato. Nel 1492 divenne Papa con il nome di Alessandro VI, lo spagnolo Rodrigo Borgia. La situazione politica Dell'Italia centro-settentrionale all'inizio dell'età moderna era in larga misura il risultato del processo di superamento degli ordinamenti comunali che si erano formati in questa parte della penisola fra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo. Dal XIII secolo in poi in molte città il controllo effettivo del governo venne assunto di fatto da un signore che riuscì poi a trasmetterlo ai suoi eredi, fondando una vera e propria dinastia. La Signoria si trasformava quindi in un Principato con la concessione da parte dell'imperatore o del Papa di un titolo di duca, conte o marchese. Nel contempo si manifestò anche la tendenza al superamento della frantumazione territoriale prodotta dalla civiltà comunale con la formazione di organismi politici più ampi, che comprendevano diversi borghi e città. Agli inizi del Quattrocento solo poche città conservavano ancora i loro ordinamenti repubblicani: Genova, Lucca, Siena, e soprattutto Firenze e Venezia, che si erano affermate come centri di due Stati di dimensione regionale. Dall'evoluzione dell'esperienza comunale era nato anche lo stato di Milano, che comprendeva 9 province: Milano, Pavia, Lodi, Cremona, Como, Novara, Tortona, Alessandria, Vigevano. Passato a metà del XV secolo dai Visconti a Francesco Sforza, uno dei più importanti condottieri dell'epoca, lo stato milanese, nodo strategico cruciale per il controllo dei passi alpini, fu la chiave della supremazia in Europa. Anche a Firenze si era manifestata dalla fine del XIV secolo un'evoluzione delle istituzioni comunali verso un regime oligarchico caratterizzato dal predominio di un ristretto gruppo di famiglie. In questa fase Firenze portò a compimento la sua espansione in Toscana occupando Pisa e acquistando Livorno. Dal 1434 si affermò in città l'egemonia di una famiglia arricchitasi con l'attività bancaria, i Medici, che acquisì una sorta di Signoria di fatto grazie all'abile opera di Cosimo il vecchio, il quale si garantì il controllo delle magistrature repubblicane escludendone gli avversari a vantaggio di 15 sottrarsi all'odiato dominio fiorentino e che solo nel 1509 sarebbe stata sottomessa. Proseguendo la sua discesa, Carlo VIII a Roma si accordò facilmente con il Papa e quindi poté conquistare Napoli praticamente senza combattere. Il re di Napoli Alfonso di Aragona abdicò in favore del figlio Ferdinando II che non potendo opporsi all'esercito francese fuggì a Ischia, mentre Carlo VIII entrava a Napoli ricevuto dai Baroni, ostili alla dinastia aragonese. Gli Stati italiani, lo stesso Ludovico il Moro, che avevo ormai raggiunto il suo scopo, compresero che l'insediamento della Francia a Napoli rappresentava una grave minaccia. Si formò così rapidamente una Lega alla quale parteciparono Venezia, Milano, il Papa e anche Ferdinando il cattolico, non più disposto a mantenere fede alla promessa neutralità. Colto di sorpresa, Carlo VIII dovette abbandonare Napoli e risalire la penisola. Si scontrò con le forze della Lega a Fornovo sul Taro ma riuscì ad aprirsi il passo per ritornare in Francia. Con l'aiuto delle truppe spagnole Ferdinando II poté ritornare sul trono di Napoli, ma dovette cedere a Venezia Brindisi alcuni porti sull'Adriatico. L’avventura di Carlo VIII si era conclusa rapidamente senza lasciare cambiamenti di rilievo, se non la nascita della Repubblica Fiorentina, ma aveva dimostrato in maniera evidente la debolezza del sistema politico italiano. Morto nel 1498 Carlo VIII senza lasciare eredi, la corona francese passò al cugino Luigi XII, del ramo Valois-Orleans, che riprese i progetti di intervento in Italia puntando però sulla conquista del milanese, sul quale poteva accampare diritti in quanto discendente di Valentina Visconti, che nel 1387 aveva sposato un Orleans. Egli si accordò con Venezia alla quale promise il possesso di Cremona e della riva sinistra dell’Adda, con la confederazione Elvetica e con il papa Alessandro VI. Trovatosi completamente isolato, Ludovico il Moro fu costretto a rifugiarsi presso Massimiliano d’Asburgo, Egli tentò in seguito di riconquistare il suo stato ma fu sconfitto a Novara e finì la sua vita prigioniero in Francia. Quindi Luigi XII volse le sue mire e sul Regno di Napoli. Per questo ritenne necessario accordarsi con il re di Spagna che, possedendo la Sicilia, non 16 poteva consentire che la Francia acquistasse tutto il meridione d'Italia. L'accordo fu stipulato con il trattato segreto di Granada (1500) che prevedeva la spartizione del Regno fra la Spagna e la Francia. Il re di Napoli, Federico III, fu colto di sorpresa perché pensava che le truppe spagnole fossero sue alleate; quando comprese la verità, cedette i suoi diritti a Luigi XII senza combattere. Al re di Francia era dato nell'accordo il possesso di Campania e Abruzzo e il titolo di re di Napoli mentre alla Spagna sarebbero toccate Calabria e Puglia. Ma ben presto scoppiò fra i due alleati il conflitto che volse a favore della Spagna. La battaglia del Garigliano fu una vera disfatta per l'esercito di Luigi XII che fu costretto a stipulare l'armistizio di Lione che sancì l'esclusiva appartenenza del Regno di Napoli alla Spagna. Grazie all'appoggio francese, Alessandro VI cercò finalmente di realizzare il suo obiettivo di creare uno stato per il figlio Cesare. Questi, nominato dapprima cardinale, lasciò la porpora per assumere la carica di gonfaloniere della Chiesa e con le forze messegli a disposizione da Luigi XII riuscì a crearsi un dominio personale fra la Romagna e le Marche eliminando numerosi signorotti e tiranni che spadroneggiavano in quelle zone. Cesare Borgia riuscì con la sua azione a consolidare il dominio del Papa in territori nei quali la sua autorità era puramente nominale. La morte improvvisa di Alessandro VI pose fine alla sua impresa. Dopo un brevissimo pontificato di Pio III fu eletto infatti Papa con il nome di Giulio II proprio il grande nemico dei Borgia, Giuliano della Rovere. Cesare dovette assistere impotente alla disgregazione della sua fragile costruzione. Giulio II proseguì la politica del suo predecessore cercando di ricondurre tutto il territorio dello Stato sotto il pieno controllo del governo romano. Nel perseguire questo programma si urtò con il più forte stato italiano, Venezia. Per questo Giulio II organizzò una lega, la lega di Cambrai, dove entrarono a far parte Ferdinando il cattolico, Luigi XII, l’imperatore Massimiliano (Austria) e alcuni principi italiani. Ne maggio del 1509 le truppe francesi inflissero a quelle veneziane una sconfitta ad Agnadello: 17 tutte le conquiste della terra ferma andarono perdute. La repubblica fece appello a tutte le sue energie e con un’azione diplomatica fece leva sui contrasti fra il papa e la Francia per uscire dalla crisi. Negli anni seguenti Venezia riuscì a recuperare i possedimenti della terraferma; infatti, gli stessi stati chiesero di essere nuovamente assoggettati alla Repubblica di Venezia. Ripristinato il suo potere, Giulio II temeva che la Francia potesse rivendicare la pianura padana e così organizzò contro quest’ultima una lega santa che univa gli svizzeri, Venezia, Ferdinando il cattolico e il re d’Inghilterra. Sul piano militare la Francia riuscì a sconfiggere le forze nemiche nella battaglia di Ravenna ma fu costretta ad abbandonare Milano. Nel 1515 morì senza eredi Luigi XII, per cui il trono francese passò a Francesco I di Valois-Angoulême, il quale con un forte esercito scese in Italia e affrontò, nella battaglia di Marignano, le truppe messe insieme da Spagna, impero e ducato di Milano. La Francia rioccupò Milano. L’equilibrio raggiunto fu sancito con la pace di Noyon (1516) che lasciava i francesi a Milano e gli spagnoli a Napoli. Nel frattempo, i paesi bassi erano governati da Carlo d’Asburgo, nipote dell’imperatore Massimiliano, il quale aveva ereditato anche il trono di Spagna. Francesco I e Carlo d’Asburgo saranno i protagonisti del duello franco-asburgico per il controllo della penisola italiana. Nel 1519, con la morte di Massimiliano d’Asburgo si aprì il problema della successione imperiale, alla quale il giovane Carlo era il naturale candidato. Così il 28 giugno 1519 egli fu eletto all’unanimità e assunse con il nome di Carlo V il titolo di imperatore del Sacro romano impero. Tra il 1521 e il 1559 l’Europa è sconvolta dallo scontro tra l’impero di Carlo V e la Francia, che può essere diviso in due fasi: dal 1521 al 1530 il conflitto si svolge sul territorio italiano. Dal 1536 al 1559 la guerra si estende all’Europa. Fu Francesco I a prendere l’iniziativa e dopo la sconfitta della Bicocca del 1522 fu costretto a lasciare lo stato di Milano. Con un notevole sforzo finanziario, in seguito, il re di Francia riuscì a mettere insieme un nuovo forte esercito con il quale scese in Italia e si 20 Pian piano si sviluppano una serie di correnti all’interno della chiesa che vogliono portare ad una riforma: • Luteranesimo • Zwingli • Calvinismo • Alcuni filoni radicali (anabattisti) • Anglicanesimo Quindi la riforma non è altro che un movimento religioso che produce la spaccatura dell’unità cattolica europea. In questo clima emerge la figura di Martin Lutero, monaco agostiniano animato da una religiosità tradizionale; egli pensava che la natura umana fosse corrotta dal peccato originale, le opere dell’uomo apparentemente meritevoli, come atti di pietà e carità, sono inquinate dall’orgoglio, dall’ipocrisia, dall’egoismo. Secondo Lutero la salvezza dipende solo dalla misericordia di Dio, e non dalle opere buone. L’uomo ha in questo un ruolo passivo: è la grazia divina che, infondendogli la fede, lo rende giusto. Nel 1517 Lutero aveva già maturato la sostanza del suo pensiero teologico; però non pensava di scontrarsi con la chiesa; fu un evento inaspettato, lo scandalo delle indulgenze, a indurlo a una presa di posizione che sarebbe divenuto l’atto di inizio della riforma. Lutero quando vide la spregiudicatezza con la quale i predicatori cercavano di convincere la popolazione ad acquistare le indulgenze, prese posizione con la redazione in latino di 95 tesi. Egli condannava le indulgenze perché incitavano il cristiano a intraprendere una scorciatoia per sfuggire alle sue colpe. Lutero, divulgando le sue tesi in latino, intendeva solo promuovere una disputa fra dotti, non un atto di ribellione contro Roma. Ma lo scritto suscitò nei suoi con fronti un vasto consenso in tutti gli ambienti favorevoli alla riforma. Un ruolo decisivo nella diffusione della riforma ebbe la stampa: particolarmente importanti furono le immagini, che proposero in forma immediata, anche a quella parte della popolazione 21 non in grado di leggere, la contrapposizione fra Lutero, raffigurato come il difensore della Germania, sfruttata da Roma, e il papa presentato come l’incarnazione di satana. Negli anni seguenti elaborò le basi della sua dottrina: • Predestinazione • Solo scriptura (la bibbia è l’unica fonte di regole per il cristiano) • Riduzione dei sacramenti a 2 (battesimo e eucaristia) • Sacerdozio universale (rifiuto di un’intermediazione ecclesiastica) • Libero esame (tutti posso interpretare le sacre scritture) La reazione di Roma giunse nel luglio del 1520 con la bolla exsurge domini che minacciava la scomunica per Lutero se non avesse ritrattato le sue dottrine. Per tutta risposta il riformatore bruciò la bolla. Nel frattempo, la situazione in Germania, dove nel 1519 era stato eletto Carlo V, era esplosa. Su pressione del duca Federico di Sassonia, Carlo V consentì ad ascoltare il riformatore alla dieta di Worms. Al cospetto dell’imperatore, Lutero, alla richiesta di sconfessare le sue tesi, rispose riassumendo con chiarezza i fondamenti della riforma. A questo punto si profilava per Lutero la condanna al rogo; fu il principe Federico di Sassonia a salvarlo facendolo rapire da cavalieri mascherati che lo condussero al castello della Wartburg. Dove rimase nascosto per circa un anno e tradusse la bibbia in tedesco. Poco dopo esplosero nella società tedesca le tensioni dovute al diffondersi della riforma. I cavalieri ritennero che fosse giunto il momento di mettere le mani sulle proprietà ecclesiastiche. Più importanti furono gli sconvolgimenti provocati dalla guerra dei contadini che fra il 1524 e il 1525 infiammò gran parte della Germania. La protesta voleva essere pacifica, ma non mancarono violenze contro chiese, monasteri e castelli. Naturalmente Lutero prese subito le distanze dalle rivendicazioni dei contadini ed esortò i principi a sterminare i ribelli. Questa reazione era una conseguenza delle sue reazioni: la libertà del cristiano è solo interiore, e quindi deve obbedienza solo al potere politico. 22 Le sorti della nuova riforma provocano uno scontro tra l’impero e i principi tedeschi. Nel 1526 viene indetta la dieta di Spira nella quale Carlo riconosce il diritto dei principi di scegliere la decisione da adottare. Nel 1530 ci fu la dieta di Augusta che tenta di riportare i luterani nel solco della cattolicità e vennero definiti protestanti. Nel 1531 c’è la lega di Smalcalda, nella quale i principi protestanti si unirono contro l’imperatore e nel 1555 c’è la pace di Augusta, nella quale si riconosce l’esistenza delle due confessioni. Il principio del “cuius regio, eius religio” stabilisce che i sudditi devono aderire alla religione del loro principe. (ALTRE RIFORME) In svizzera, nel 1519, Zwingli, seguendo l’esempio di Lutero, si spinse apertamente sulla via della riforma, che assunse caratteri diversi da quella promossa da Lutero. Proprio perché la fede è spirituale e deve prescindere dagli aspetti materiale, egli abolì le immagini sacre e la musica; concepì l’eucaristia come una semplice commemorazione o ricordo dell’ultima cena e propose una riorganizzazione politico-sociale della chiesa. I cattolici gli si oppongono e sconfiggono i protestanti nella battaglia di Kappel in cui muore lo stesso Zwingli. A Ginevra colui che tentò una riforma fu Giovanni Calvino, il cui pensiero è incentrato sul principio dell’onnipotenza di Dio. Da questa premessa deriva la dottrina della doppia predestinazione. Secondo questa teoria Dio crea solo pochi preordinati alla salvezza mentre destina la maggior parte dell’umanità alla perdizione. Esalta però il lavoro come atto religioso compiuto a gloria di Dio. Infatti, la grazia divina obbliga il cristiano a vivere nella fiducia che Dio lo abbia scelto, impegnando ogni attimo della sua esistenza per celebrare la sua gloria. In questo modo Calvino incoraggia il profitto. Anche in Inghilterra si assistette a un distacco dalla chiesa di Roma e con un atto di supremazia nel 1534 Enrico VIII si attribuì il titolo di capo supremo della chiesa anglicana. Tutto ha origine quando nel 1529 Enrico VIII chiede al papa Clemente VII di annullare il suo matrimonio con 25 scrupoli religiosi: convinto di dover rendere conto a Dio dei suoi atti. Il regno di Filippo II venne definito il “siglo de oro”, è il periodo di massima fioritura della cultura spagnola, la Spagna era invidiata da tutti gli altri stati, perché poteva contare grazie alle miniere americane di un costante flusso di metalli preziosi; solo che le guerre e una cattiva gestione porteranno a un dissesto finanziario. In una Spagna in cui coesistevano lingue, culture e realtà sociali diverse l’unità religiosa era essenziale. Di qui il ruolo centrale che assunse nel regno di Filippo II l’inquisizione. L’inquisizione cercava ogni indizio che potesse far sospettare una falsa conversione, per questo lui è fortemente impegnato nella lotta contro gli infedeli; formò una lega santa e sconfisse i pirati turchi nel mediterraneo, a Lepanto. L’area più produttiva del regno spagnolo erano i Paesi Bassi, i quali non erano formalmente uniti ma era di fatto 17 provincie autonome; inoltre, la parte settentrionale era abitata da calvinisti e la parte meridionale in prevalenza da cattolici. Filippo II tenta di imporre ai Paesi Bassi la decisione del concilio di Trento. Il 5 aprile 1566, un gruppo di nobili fiamminghi si presentò in armi al palazzo reale per presentare una petizione che chiedeva l’abolizione dell’inquisizione; la reggente fu obbligata a sospendere le leggi contro gli eretici. Per tutta risposta Filippo II inviò le truppe comandate dal duca d’Alba che promossero una durissima repressione. Fu l’inizio della rivolta capeggiata da Guglielmo d’Orange. Naturalmente i ribelli non erano in grado di contrastare sul campo l’esercito spagnolo e dovettero subire una serie di assedi. Molto efficace fu invece, l’azione della flotta corsara dei “pezzenti del mare”. Ma i costi enormi sostenuti dalla Spagna per imporre la sua sovranità sui paesi bassi avevano esaurito le risorse finanziarie. Filippo II fu costretto nel 1575 a una bancarotta; di conseguenza agli inizi del 1576, le truppe spagnole, non avendo ricevuto paga, si ammutinarono e sottoposero la città di Anversa a un saccheggio. Il sacco di Anversa provocò un diffuso malcontento anche nelle provincie meridionali, si accordarono insieme e chiesero l’allontanamento delle truppe spagnole e 26 il ripristino delle tradizionali autonomie. La rivolta sembrava accomunare protestanti e cattolici. Ma ben presto le province meridionali cattoliche con l’unione di Arras riconobbero l’autorità di Filippo II. Rimasero ostili alla Spagna le province settentrionali e crearono una dichiarazione di indipendenza della repubblica delle 7 province unite che fu siglata all’Aia nel 1581. Filippo II pose una taglia sulla testa di Guglielmo d’Orange, che fu effettivamente assassinato, ma ormai la Spagna non aveva più la possibilità di riconquistare i territori perduti. (FRANCIA) La morte di Enrico II nel 1559 aprì un lungo periodo di debolezza dell’istituzione monarchica a causa della giovanissima età dei suoi figli. A questo si aggiunse il problema della divisione religiosa. Da tempo in effetti si erano formate in Francia numerose comunità di calvinisti, chiamati ugonotti. Questi, si erano dati una solida organizzazione e proprio nel 1559 celebrarono in clandestinità a Parigi il primo sinodo nazionale. Il calvinismo trovava proseliti principalmente nelle grandi città fra professionisti, artigiani, commercianti, ma si giovò soprattutto della massiccia adesione dell’alta aristocrazia. Si schierarono al fianco dei calvinisti la regina di Navarra, moglie di Antonio di Borbone e la famiglia Montmorency-Chatillon, alla quale apparteneva il vero capo politico degli ugonotti, l’ammiraglio Gaspard de Coligny. A difesa dell’ortodossia cattolica era invece schierata la potente famiglia dei Guisa di Lorena. A Enrico successe il figlio maggiore Francesco I, sedicenne, sposato con Maria Stuart, regina di Scozia; in questo periodo il governo fu nelle mani del duca di Guisa, zio della regina. Morto Francesco I dopo appena un anno, salì al trono il fratello Carlo IX, che aveva appena dieci anni, per cui il potere fu assunto in qualità di reggente dalla madre Caterina dei Medici. Donna abile e di forte carattere, Caterina dovette destreggiarsi fra le varie fazioni della nobiltà, perseguì una politica di concordia religiosa, tentando di barcamenarsi tra le fazioni in lotta in attesa che con la maggiore età dei figli si rendesse possibile un rafforzamento della monarchia. Per bilanciare lo strapotere dei Guisa fece molte concessioni agli ugonotti, che ottennero 27 così nella pacificazione di Saint-Germain del 1570 la liberà di coscienza, la libertà di culto dove era concessa prima e in due città per provincia e soprattutto il possesso di quattro piazzeforti, fra le quali La Rochelle. Seguì a questa pace un notevole rafforzamento del partito protestante. A conferma del peso politico del partito ugonotto fu concordato il matrimonio fra la sorella del re, Margherita, e il calvinista Enrico di Borbone. La questione assumeva un’importanza europea, perché Coligny sembrava voler dare alla politica estera del regno un indirizzo nettamente antispagnolo. Si sviluppò così la reazione dei Guisa, dietro la quale con ogni probabilità vi era il consenso di Caterina, convinta che occorresse bilanciare l’eccessiva forza degli ugonotti. Fu organizzato così un attentato contro Coligny. Nello sconcerto generale suscitato da questo episodio i Guisa decisero di farla finita con gli ugonotti e avviarono, ancora una volta col tacito beneplacito di Caterina, un massacro dei calvinisti presenti in massa a Parigi per la celebrazione delle nozze. Enrico di Borbone ebbe salva la vita convertendosi al cattolicesimo. Alla strage della notte di San Bartolomeo (1572) seguirono massacri di ugonotti in varie città del regno. L’episodio più tragico delle guerre di religione provocò ina radicalizzazione delle posizioni. Ormai gli ugonotti si erano organizzati come uno stato nello stato, con una propria forza militare e solide piazzeforti; alla loro testa di pose nel 1576 Enrico di Navarra, fuggito dalla corte e ritornato alla fede calvinista. Per contro i cattolici si unirono in una lega santa, organizzazione politico-militare capeggiata dal duca di Guisa, che aveva il suo cuore a Parigi, roccaforte del cattolicesimo. Nel 1574, morto Carlo IX, salì al trono il fratello Enrico III, ritornato dalla Polonia dove l’anno precedente era stato eletto re. Non avendo Enrico III figli, l’erede al trono diventava proprio Enrico di Borbone, il capo del partito calvinista. Ebbe così inizio l’ultima fase delle guerre civili, la guerra dei “tre Enrichi”, che vide contrapposti il re Enrico III, il capo della lega Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone. 30 Maria Stuart, accusata di aver continuato a tessere intrighi. Fu questo un ulteriore motivo che indusse Filippo II a promuovere l’attacco decisivo contro l’Inghilterra al quale Filippo da tempo pensava. Il piano prevedeva che una flotta (invincibile armata) prendesse il controllo del canale della Manica, per poi sbarcare in Inghilterra, ma la flotta, partita da Lisbona, fu dispersa da una tempesta e attaccata dalle navi inglesi, più piccole e veloci dei pesanti galeoni spagnoli. Inoltre, con Elisabetta I l’Inghilterra conosce un notevole sviluppo culturale e civile (poesia, filosofia, teatro, riforma del sistema scolastico). LA NUOVA EUROPA E LA GUERRA DEI TRENT’ANNI La pace di Augusta e l’editto di Nantes erano concepiti dalle due parti contrapposte come tregue, non come soluzioni definitive dei contrasti confessionali. Si era realisticamente preso atto della necessità di tenere distinti gli assetti politici delle divisioni religiose, ma restava la generale convinzione che non fosse possibile l’unità politica senza l’unità di fede. Le forze cattoliche in particolare erano animate dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. Furono queste le premesse dell’ultima, terribile guerra di religione, la guerra dei Trent’anni. (LA FRANCIA) Pacificata la Francia, Enrico IV si accinse con energia alla ricostruzione. Egli riordinò le finanze, riducendo il peso dell’imposizione fiscale, e rafforzò la struttura amministrativa, servendosi di commissari straordinari per limitare i poteri dei governatori, cariche provinciali detenute dall’alta nobiltà; inoltre incentivò l’agricoltura e lo sviluppo delle manifatture. In politica estera Enrico IV intendeva riprendere la tradizionale politica di alleanze in funzione antiasburgica ma la sua opera fu interrotta improvvisamente da un fanatico cattolico che lo assassinò il 14 maggio 1610. Poiché il figlio, Luigi XII, aveva solo nove anni, la reggenza fu affidata 31 alla moglie Maria dei Medici. Maria, che nel 1616 affidò il potere a un favorito che l’aveva seguita dalla Toscana, Concino Concini, diede alla politica estera un indirizzo filospagnolo. Questa scelta era sostenuta dal partito dei devoti, ma si opponevano quanti ritenevano invece indispensabile per gli interessi della Francia proseguire la politica antiasburgica abbozzata da Enrico IV prima di morire. In un clima di incipiente guerra civile a causa del costante pericolo di una ricolta armata della nobiltà, Luigi XIII, dichiarato maggiorenne nel 1614, decise di prendere le redini del potere; nel 1617 perciò fece assassinare Concini e confinò Maria nel castello di Blois. Luigi XIII affida la carica di primo ministro al cardinale Richelieu, la cui politica mira al rafforzamento della carica monarchica e lo fa: • Attaccando gli ugonotti e concedendo loro una “pace di grazia” che, riconosce la libertà di culto ma li priva dei diritti civili e politici • Applicando gli stessi principi di accentramento e repressione anche nei confronti dell’aristocrazia. • Imponendo una pesante politica fiscale che, tra il 1625 e il 1640, provoca varie rivolte popolari • In politica estera dando impulso al commercio marittimo. A partire dal 1630 Richelieu si impegnò nel conflitto europeo per contrastare l’egemonia degli Asburgo. Per sostenere i costi di questa aggressiva politica estera fu necessario aumentare la pressione fiscale che provocò una serie di rivolte, che coinvolsero sia i lavoratori delle città sia il mondo rurale, già provati dalle carestie e dalle epidemie di peste. (SPAGNA) Quando Filippo II morì nel settembre 1598, pochi mesi dopo avere firmato la pace di Vervins con Enrico IV, in molti ambienti castigliani appariva chiaro che la stagione della Spagna imperiale era definitivamente tramontata e che occorreva cambiare rotta per preservare ciò che restava della grande potenza spagnola. 32 Filippo III, un ventenne privo di personalità ed energia, non fu all’altezza del padre Filippo II; con lui ebbe inizio la tendenza ad affidare l’esercizio del potere a un favorito scelto di regola fra i membri dell’alta aristocrazia. (PAESI BASSI) Dopo l'assassinio di Guglielmo il taciturno nel 1584, le sette province settentrionali dei Paesi Bassi, che avevano proclamato la propria indipendenza nel 1581, trovarono in suo figlio Maurizio di Nassau un capo militare di grande valore, che diede alle truppe un ordinamento quanto mai efficace, migliorò la tecnica degli assedi e l’uso dell’artiglieria, e dimostrò sul campo grandi capacità di stratega. L’Olanda, così, sta vivendo un periodo aureo. Le Province Unite si contraddistinguono per la tolleranza religiosa ed economicamente è la maggiore potenza marittima del continente e grazie alle compagnie delle Indie occidentali e orientali i mercanti olandesi conquistano il monopolio dei traffici commerciali con l’Asia e con l’Africa; avvia il settore manifatturiero, della cantieristica e dell’agricoltura, bonificando i territori sottratti al mare. (LA GUERRA DEI TRENT’ANNI) Prima fase (boemo-palatina) Dopo la pace di Augusta del 1555 anche in terra tedesca comincia a diffondersi il calvinismo. Nel 1617 sale al trono di Boemia il cattolico Ferdinando d’Asburgo. In una Boemia a maggioranza protestante, Ferdinando mise in atto la politica di restaurazione cattolica. I reggenti ordinarono la demolizione di due chiese protestanti. Gli stati di Boemia si autoconvocarono per esprimere la loro protesta, ma i loro rappresentanti non furono ricevuti da Ferdinando a Vienna. Allora una loro delegazione invase il 23 maggio 1618 il castello di Praga e sfogò la sua rabbia gettando dalla finestra due dei legati imperiali con il loro segretario che, rimasti 35 ai sudditi di professare privatamente il loro culto; da un punto di vista politico segna la fine dell’Impero; ufficializza l’indipendenza dell’Olanda e della Confederazione svizzera; smembra la Germania in 350 Stati; assegna alla Francia l’Alsazia e la Lorena; assegna alla Svezia il Ducato di Brema; assegna alla Prussia la Pomerania orientale. Finita la guerra ci furono delle conseguenze: arresto dell’incremento demografico; ricomparire di epidemie e la devastazione delle campagne. (LA CRISI DEL SEICENTO) Il Seicento è un secolo particolare, da una parte si assiste ad una crisi, soprattutto per i Paesi mediterranei; dall’altra si assiste a profonde trasformazioni, e alle lunghe guerre si accompagna il trionfo dell’assolutismo e al cattolicesimo si oppone la rivoluzione scientifica. Si assiste ad un rallentamento della crescita demografica, dovuto alle guerre, al ritorno della peste e a una diminuzione delle rese agricole. Questo comporta maggiore differenza di reddito fra le classi sociali; i ceti più bassi si impoveriscono ulteriormente, i pochi ricchi aumentano la loro ricchezza. L’Italia e la Spagna sono i paesi più colpiti dalla crisi del Seicento. In Italia, a Nord la produzione agricola viene riorganizzata, mentre nel Meridione c’è ancora un’agricoltura di tipo latifondistico, inoltre, la peste del 1629/1630 innesca un calo demografico. In Spagna la crisi è legata agli alti costi della guerra dei Trent’anni, alla diminuzione dell’afflusso di argento americano, al calo degli scambi commerciali con il Nuovo Mondo e soprattutto alla politica espansionistica di Filippo IV che dissangua le finanze dello Stato. I territori italiani appartenenti alla Spagna sono; il Ducato di Savoia, la Repubblica di Venezia e lo Stato pontificio. Per quanto riguarda la cultura del Seicento si assiste ad una rivoluzione scientifica che si afferma con la messa a punto del metodo sperimentale, 36 basato sulla diretta osservazione dei fenomeni, la verifica sperimentale delle ipotesi e la formulazione di leggi generali in termini matematici. Figure fondamentali in questo processo sono Galilei, Keplero, Newton e Bacone. Le nuove scoperte provocano uno scontro con la Chiesa. Nel Seicento l’arte e la letteratura sono dominate dal Barocco e il centro dell’arte barocca diventa Roma. (ASSOLUTISMO FRANCESE) Poco prima della sua morte, nel 1642, Richelieu suggerì a Luigi XIII l'opportunità di avvalersi dei servigi del cardinale Giulio Mazzarino. Il consiglio fu seguito sia dal re sia dalla vedova Anna d’Austria, la quale, nell'assumere la reggenza in nome del figlio Luigi XIV affidò al cardinale italiano la guida politica del regno. Mazzarino proseguì la politica di Richelieu ma adattò un diverso stile, sostituendo alla durezza di questi una naturale propensione al compromesso. Il problema più grave che dovette affrontare fu, come sempre, quello finanziario: occorreva trovare le risorse necessarie a finanziare la guerra, che continuava nelle Fiandre, In Germania e in Catalogna. Gli espedienti ai quali ricorse Mazzarino crearono un diffuso malcontento anche nelle classi agiate. Impose pesanti tasse e un maggior accentramento, provocando le proteste della nobiltà di toga e della grande aristocrazia. Quando Mazzarino propose un decreto che condizionava il rinnovo della Paulette, la tassa che garantiva l'ereditarietà degli uffici, a una trattenuta di quattro anni degli stipendi degli ufficiali, il Parlamento di Parigi prese un'iniziativa rivoluzionaria promuovendo una riunione comune con le altre tre corti sovrane. Da questa assemblea fu approvato nel giugno- luglio 1648 un pacchetto di 27 articoli che limitavano i poteri della monarchia. In pratica le corti sovrane, pur non essendo organi elettivi, si facevano interpreti del malcontento della società e ponevano una serie di principi che richiamavano le battaglie della Camera di comuni In Inghilterra contro l'assolutismo degli Stuart. L'arresto dei capi 37 dell'opposizione parlamentare innescò la rivolta della popolazione di Parigi che eresse barricate per contrastare i movimenti delle truppe e costrinse la Corte a lasciare la città. La rivolta fu sostenuta dagli altri Parlamenti, in particolare da quello di Bordeaux. Mazzarino fu identificato come il colpevole del malgoverno. Il moto fu chiamato “fronda parlamentare”. La reggente fu costretta ad accettare 27 articoli elaborati dalle corti sovrane con una Dichiarazione reale del 22 ottobre 1648, due giorni prima della firma della pace di Westfalia. Si giunse così alla pace di Saint-Germain che pose fine alla Fronda parlamentare. Permanevano però le ambizioni politiche dei nobili di spada, e in particolare del fratello di Luigi XIV, Gaston d'Orléans, e di Luigi II di Borbone, i quali miravano a conquistare il controllo del Consiglio del re ai danni della reggente. I loro progetti prospettavano un governo dell'alta nobiltà alleata con le corti sovrane. Iniziò così la “Fronda dei principi”. Nemmeno la dichiarazione della maggiore età di Luigi XIV al compimento dei 13 anni valse a fermare la guerra civile, che durò dal 1650 al 1653. La guerra civile si snodò attraverso un intricato susseguirsi di intrighi e congiure, con frequenti cambi di campo e lotte intestine fra i diversi clan dell'aristocrazia. Nel 1654 ebbe luogo la cerimonia solenne della consacrazione di Luigi XIV a Reims. Tornato saldamente al potere, Mazzarino poté riprendere il processo di rafforzamento della monarchia e, grazie all'alleanza con l'Inghilterra di Cromwell, condurre al termine vittoriosamente la guerra contro la Spagna. Il trattato prevedeva anche il matrimonio fra Luigi XIV e la figlia di Filippo IV, Maria Teresa. Alla morte di Mazzarino, Luigi XIV dichiarò immediatamente la sua volontà di assumere in prima persona il compito di governare la Francia; dopo l'età di Richelieu e Mazzarino, fu una svolta improvvisa. Luigi XIV, allora ventiduenne, se applicò con passione all'esercizio del suo mestiere di re. Luigi XIV tolse ogni effettivo potere politico ai nobili e scelse come ministri uomini di origini modeste, fedeli esecutori delle sue direttive e dipendenti esclusivamente dal suo favore. 40 per la rinunzia ai diritti di Maria Teresa sulla corona di Madrid, Luigi XIV contestò il testamento di Filippo IV e rivendicò per la moglie l'eredità di diversi territori dei Paesi Bassi spagnoli dove, in virtù del diritto di devoluzione, solo i figli di primo letto erano eredi legittimi. Quindi diede inizio alla guerra (guerra di devoluzione). L'iniziativa suscitò viva preoccupazione nell'Olanda, che stipulò un'alleanza con l'Inghilterra la Svezia per fermare la campagna militare francese. Luigi XIV fu costretto perciò a stipulare la pace di Aquisgrana nel 1668 che gli permise comunque di conservare le conquiste fatte nei Paesi Bassi. Gli errori del Re Sole si evidenziano soprattutto nell'isolamento diplomatico in cui gli si trovò al momento della nascita della Lega di Augusta. Quando il Papa nominò vescovo di Colonia il candidato imperiale e non quello indicato da Luigi XIV, questi ruppe gli indugi e invase con le truppe il territorio del vescovado e il Palatinato, che sottopose a una brutale occupazione militare. Si formò allora un'ampia coalizione comprendente, oltre ai membri della Lega di Augusta, Guglielmo d’Orange e il duca di Savoia. In pratica la Francia era accerchiata e poteva essere attaccata su tutti i fronti. Superiore nelle battaglie terrestri, La Francia subì una grave sconfitta dalla flotta inglese nella battaglia navale di La Hogue. Fallì anche il sostegno dato al tentativo di Giacomo II di recuperare la corona inglese; sbarcato alla testa di un contingente francese in Irlanda fu sconfitto da Guglielmo III. La guerra d’Olanda si conclude con la pace di Ninega. E inseguito si stipula con la lega di Augusta la pace di Ryswick (1697) (SUCCESSIONE SPAGNOLA) La pace di Ryswick fa avvertita da tutti come una tregua: già poi si poneva infatti alle cancellerie europee il problema della successione sul trono di Madrid. Potevano accampare diritti sulla corona spagnola sia l'imperatore Leopoldo I, sia Luigi XIV, i quali avevano entrambi sposato una sorella del re. Poco prima della morte, avvenuta il primo novembre 1700, il re Filippo IV nel suo testamento nominò erede il pronipote di Luigi XIV, il duca 41 d’Angiò, con il nome di Filippo V, a condizione che si impegnasse a rinunciare a ogni pretesa sulla corona francese. In realtà apparve immediatamente evidente il disegno di Luigi XIV di porre la Spagna sotto la tutela della Francia, tant'è che truppe francesi comparvero a Milano e nelle Fiandre. Queste iniziative furono subito contrastate dall’Austria, che stipulò con Olanda e Inghilterra una nuova alleanza. La guerra fu dichiarata il 15 maggio 1702 e si combatté in Italia, nelle Fiandre, In Germania e nel Mediterraneo. L'esercito francese attacco dalla Baviera e dall'Italia minacciando di invadere l'Austria, ma le sorti del conflitto volsero ben presto in favore degli alleati, sostenuti dalla superiorità marittima e dalla potenza finanziaria delle province unite e dell’Inghilterra. La coalizione fu inoltre rafforzata nel 1703 dall'adesione del Portogallo e del duca di Savoia. Nel 1706 l'attacco francese al Piemonte con l'assedio della capitale Torino fu sconfitto grazie all'intervento dell'esercito di Eugenio di Savoia. La successiva offensiva imperiale portò all'occupazione di Milano, del Ducato di Mantova dei regni di Napoli e di Sicilia. Importanti successi conseguì nel Mediterraneo l'Inghilterra, che si impadronì di Gibilterra, di Minorca e della Sardegna. Dalle sconfitte delle forze franco-ispaniche approfittò la Catalogna permettendo alle truppe anglo-austriache di insediare a Barcellona come re di Spagna, con il nome di Carlo III, il secondo figlio di Leopoldo. Luigi XIV, sull'orlo del tracollo, avanzò proposte di pace che furono respinte. La situazione cambiò per due eventi decisivi. In Inghilterra alla morte di Guglielmo d’Orange era salita al trono l'altra figlia di Giacomo II, Anna Stuart. Inoltre, in Austria morì nel 1711 il primo figlio di Leopoldo, Giuseppe I, succeduto al padre nel 1705, per cui il secondo figlio, che già si era proclamato re di Spagna a Barcellona come Carlo III, divenne anche imperatore con il nome di Carlo VI. Di fronte al riproporsi dell'unione delle due corone come al tempo di Carlo V, Olanda e Inghilterra avviarono con la Francia le trattative che portarono alla pace di Utrecht (1713). L'imperatore proseguì la guerra ma non poté superare da solo la forza militare francese per cui l'anno seguente firma il trattato di pace di 42 Rastadt (1714). In base ai trattati fu confermato l'avvento dei Borbone al posto degli Asburgo sul trono Di Madrid con Filippo V ma fu ribadito l'impegno a tenere separate per sempre le due corone di Francia e Spagna. Molto notevole fu l'ingrandimento dell’Austria, che ottenne Paesi Bassi già spagnoli, in Italia lo stato di Milano, il Ducato di Mantova, La Sardegna, Il Regno di Napoli e lo stato dei Presidi. Il duca di Savoia ebbe la Sicilia, che gli conferì il titolo regio. La pace sancì soprattutto il trionfo dell’Inghilterra, che si garantì il possesso di Gibilterra e di Minorca, In America ebbe dalla Francia l'isola di Terranova. Soprattutto furono notevoli i vantaggi economici: Londra ottenne infatti dalla Spagna numerose concessioni commerciali, inoltre l’asiento, cioè il monopolio del lucroso traffico degli schiavi. Fin dal 1703 l'Inghilterra strinse con il Portogallo un accordo che lo rendeva una sorta di stato vassallo, e poté così servirsi dell'impero portoghese per lo sviluppo dei commerci e per l’esportazione dei suoi prodotti. Anche le province unite erano nell'orbita dell'influenza di Londra, tant'è che investirono molti capitali nelle compagnie coloniali inglesi. Con le paci di Utrecht e di Rastadt si fece strada la comune convinzione che fosse necessario garantire in Europa una bilancia dei poteri che impedisse il ripetersi di aggressive politiche volte a stabilire l'egemonia di uno Stato. Si affermò così il principio dell'equilibrio, che rappresentò fino alla Rivoluzione francese la base delle relazioni internazionali e fu ripreso al congresso di Vienna. (INGHILTERRA) Nel 1603, morta senza eredi Elisabetta I, salì sul trono d'Inghilterra il figlio di Maria Stuart, Giacomo I Stuart, che già regnava in Scozia dal 1567 con il nome di Giacomo VI. Si realizzò così una Unione personale fra i due regni, che solo a partire dal 1707 si sarebbero fusi con la riunificazione dei rispettivi parlamenti. Nei rapporti con il Parlamento Giacomo I non si discostò dai principi adottati dalla regina Elisabetta (riconferma i privilegi della chiesa 45 riportò all'ordine anche la Scozia, costringendo Carlo II, che era stato incoronato re a Edimburgo, a fuggire in Francia. Durante il suo governo Cromwell ridiede slancio alla vocazione marinara, che si era affermata sotto il Regno di Elisabetta. Egli con l'atto di navigazione promulgato nel 1651 stabilì che nei porti inglesi potessero attaccare solo navi inglesi o dei paesi dai quali provenivano le merci; il provvedimento colpiva direttamente gli interessi degli olandesi, e provocò infatti fra l'Inghilterra e le Province unite una guerra. Cromwell inoltre mosse guerra alla Spagna, alla quale nel 1655 strappò l'isola di Giamaica. Alla morte di Cromwell, il 3 settembre 1658, venne restaurata la monarchia. Carlo II si impegnò a garantire la libertà di coscienza, a rispettare le prerogative del Parlamento e a concedere un ampio perdono a quanti avevano partecipato alla rivoluzione. Il nuovo Parlamento eletto nel frattempo votò per il ritorno di Carlo II, chi è il 29 maggio 1660 sbarcò a Dover. Con il ritorno della monarchia nel 1660, la chiesa anglicana venne restaurata nella sua antica struttura, con vescovi e con il monarca come capo supremo. Il Parlamento continuò a condizionare sul piano finanziario l'azione di Carlo II. Nel 1673 approvò il Test Act, che, obbligando tutti i funzionari civili e gli ufficiali a giurare fedeltà alla Chiesa anglicana, escludeva i cattolici. La preoccupazione del Parlamento si rivolgeva anche alla successione al trono, in quanto Carlo non aveva figli e il fratello Giacomo era notoriamente cattolico. L'ascesa al trono di Giacomo II, sposato in seconde nozze con una principessa italiana, Maria Beatrice d'Este, acuì il conflitto con il Parlamento. Il re accrebbe gli effettivi di esercito, con l'intenzione di renderlo permanente, e vi immise molti ufficiali cattolici; inoltre, nel 1687 sospese le sanzioni penali previste dal Test Act con un dito di indulgenza. Il futuro re sarebbe stato Giacomo III, figlio di Giacomo II, che sarebbe stato allevato nella religione cattolica. Per questo motivo Guglielmo d’Orange, marito della prima figlia di Giacomo II, Maria, 46 sbarcò in Inghilterra nel novembre mentre Giacomo fuggiva in Francia. Il Parlamento considerò questa fuga come una rinuncia alla corona, dichiarò il trono vacante e chiamò a regnare insieme Guglielmo III e Maria. Contestualmente il Parlamento approvò un Bill of rights che sovrani si impegnarono a rispettare: il testo rendeva impossibile la ripresa di una politica assolutistica, stabilendo che le leggi, la riscossione delle imposte e il reclutamento dell'esercito richiedevano il consenso del Parlamento. Si compiva così la seconda rivoluzione inglese, definita gloriosa rivoluzione perché prima di spargimento di sangue. L'assolutismo era stato sconfitto. Gli sviluppi della politica nel corso del 700 avrebbero poi orientato rapporti fra potere esecutivo e legislativo verso il modello del regime parlamentare. (SUCCESSIONE POLACCA) Con la morte del re Augusto II nel 1773 si aprì la questione della successione polacca. La dieta elettorale elesse Stanislaw Leszczynski, suocero del re di Francia Luigi XV, ma Austria, Russia e Prussia si dichiararono in favore del figlio del defunto re, l’elettore di Sassonia Federico Augusto. La Francia a questo punto dovette entrare in guerra ma non poté opporsi all’intervento dell’esercito russo, che occupò Varsavia e assediò Danzica, dove si era rifugiato Leszczynski. Questi riuscì a fuggire prima che la città venisse presa dai russi, i quali imposero l’elezione di Federico Augusto come re con il nome di Augusto III. Risolta la questione polacca, la guerra si spostò in Italia, trasformandosi in un nuovo capitolo del conflitto franco-asburgico. La Francia, infatti, reagì formando una coalizione contro l’Austria con il re di Sardegna Carlo Emanuele III e con la Spagna di Filippo V. Con un sistema dei compensi e del bilanciamento delle forze fu stabilito nella penisola fra Austria e Spagna un equilibrio, sancito dalla pace di 47 Vienna del 1738. Leszczynski ricevette il Ducato di Lorena. Al duca di Lorena Francesco Stefano fu garantita in compenso la successione nel granducato di Toscana. Fu riconosciuta la sovranità Di Carlo di Borbone sui regni di Napoli e Sicilia. L'Austria ricevette in compenso i ducati di Parma e Piacenza (SUCCESSIONE AUSTRIACA) Nel 1740 la morte dell'imperatore Carlo VI aprì la questione della successione sul trono austriaco. Il re defunto aveva negoziato con i principali Stati europei l'accettazione della prammatica sanzione del 1713, che garantiva l'indivisibilità dei suoi domini, ma dopo la sua scomparsa il potere della sua giovane figlia Maria Teresa fu contestato da più parti. Si poneva innanzitutto il problema della corona imperiale, alla quale Maria Teresa, esclusa in quanto donna, pensava di far eleggere il marito Francesco Stefano di Lorena. Pretese all'eredità austriaca furono avanzate di Baviera Carlo Alberto e dal re di Polonia Augusto III. Ma dietro queste rivendicazioni c'era il desiderio della Francia e della Spagna di mettere le mani sui possedimenti della corona di Vienna. A prendere l'iniziativa fu il re di Prussia Federico II; appena salito al trono, egli decise di approfittare della difficile situazione di Maria Teresa per attaccare l'Austria senza dichiarazione formale di guerra occupando la Slesia, che faceva parte del Regno di Boemia. Egli, in seguito, uscì dal conflitto e riprese le ostilità a seconda delle condizioni, al solo scopo di conservare la provincia conquistata. Nel 1741 la Francia lanciò l'offensiva occupando la Boemia e la Moravia; nel gennaio 1742 la dieta elettorale elesse come Imperatore Carlo Alberto di Baviera: si interrompeva così la tradizione che dal 1434 aveva visto la corona imperiale costantemente assegnata agli Asburgo. Al fianco della Francia si schierò anche la Spagna, che ambiva ai possedimenti austriaci in Italia. In questa situazione disperata Maria Teresa si rivolse alla nobiltà ungherese la quale, in 50 Egli trovò nell'opposizione del parlamento un ostacolo a tutti i progetti di riforma, in particolare nel campo fiscale. Fallirono anche i tentativi di rivitalizzare l'economia con l'adozione di provvedimenti ispirati alle teorie fisiocratiche. Fallirono anche i tentativi di promuovere un superamento della chiusa economia di villaggio, favorendo le recinzioni e la divisione delle terre comuni. Il 3 marzo 1766, esasperato, Luigi XV, nella celebre seduta detta della “flagellazione”, affermò con parole durissime il proprio potere assoluto e i limiti delle prerogative dei parlamenti. (PRUSSIA) Nella seconda metà del Seicento in Prussia Federico Guglielmo di Brandeburgo unifica i possedimenti prussiani e crea uno Stato centralizzato. Il primo passo in tal senso fu compiuto nella dieta del Brandeburgo del 1653, nella quale Federico Guglielmo ottenne sussidi finanziari per creare il primo nucleo di un esercito permanente. Egli costruì una burocrazia stabile che prevedeva a livello locale commissari che poi facevano capo all'organo centrale, il commissariato generale della guerra. Il successore di Federico Guglielmo, il figlio Federico, non proseguì la politica del padre; nel 1701 egli ottenne il titolo Regio, assumendo il nome di Federico I di Prussia. Sotto il suo Regno nel 1700 fu fondata l'Accademia prussiana delle scienze. Fu il figlio Federico Guglielmo I a creare le basi della potenza prussiana. Molto importante fu la sua riforma dell'esercito, Federico Guglielmo nel 1733 divise il territorio in cantoni e stabilì che gli uomini validi di ogni Cantone dovessero essere arruolati e istruiti ogni anno e quindi, dopo il congedo, sottoposti periodicamente ad addestramento 51 Egli cercò anche di incentivare con una politica di tipo mercantilistico le manifatture e il commercio, e di favorire l'aumento della popolazione, anche accogliendo profughi per motivi di religione. Nel 1763 stabilì l'obbligo dell'istruzione elementare. Sotto il suo Regno Berlino divenne una grande capitale: L'Accademia delle scienze si affermò come un importante centro di cultura, aperto al pensiero europeo. Sul piano giuridico promosso un Codice civile, portato ho compimento nel 1794, che regolava in modo organico e razionale principali aspetti della vita sociale. In campo penale, abolì la tortura e ridusse i casi in cui si poteva dare la pena di morte, vietò la segretezza della procedura e impose ai giudici di motivare le sentenze. (RUSSIA) Pietro fu proclamato zar nel 1682. Frequentando il quartiere di Mosca nel quale vivevano gli stranieri matura precocemente la convinzione della superiorità della civiltà occidentale rispetto l'arretrato mondo russo. Reclutò in Occidente centinaia di lavoratori specializzati, Marinai, tecnici, chirurghi e ingegneri che fece arrivare in Russia. La sua politica mirò innanzitutto a riorganizzare l'esercito e a realizzare il sogno che aveva sempre accarezzato, la creazione di una flotta. A tal fine diede grande sviluppo alle miniere di ferro degli urali, all'industria siderurgica per la costruzione di cannoni, ai cantieri navali e alle manifatture tessili per le uniformi. Per quanto concerne l'esercito, stabilì una forma di reclutamento attraverso una leva di un uomo ogni venti famiglie contadine; l'addestramento più affidato agli ufficiali stranieri, tedeschi soprattutto, ma allo stesso tempo furono fondate squallide artiglieria, del genio e di medicina militare per la formazione gli ufficiali russi. Per finanziare queste riforme e le spese 52 delle guerre, confiscò i beni di molti monasteri e impose una tassa sulle anime o capitazione che gravava su ogni maschio. Pietro seguì le classiche linee della politica assolutistica, limitando drasticamente il potere della nobiltà e della Chiesa nell'intento di creare un solido apparato amministrativo. Alle profonde trasformazioni nell'assetto interno corrisposero grandi successi in politica estera. Pietro si volse dapprima verso il Mar Nero, ma il suo principale obiettivo era ottenere uno sbocco sul Baltico, che era controllato dalla Svezia. A tal fine nel 1700 egli attaccò il paese scandinavo dando inizio alla guerra del nord. Il re di Svezia Carlo XII rivelò straordinarie doti di comandante militare, sconfiggendo nella battaglia presso il fiume Narva l'esercito russo. Mentre il re svedese conduceva la guerra in Germania, Pietro organizzò le sue forze e sulle coste del Baltico fondò nel 1703 la città di San Pietroburgo, proclamata dieci anni dopo capitale al posto di Mosca. Quando Carlo XII attaccò la Russia, Pietro, anticipando la tattica della terra bruciata con la quale sarebbe stato sconfitto Napoleone, ritirò metodicamente le sue truppe distruggendo tutte le risorse, finché non riuscì nel 1709 a sconfiggere l'esercito svedese stremato dal freddo e dalla fame. (DALL’ ANCIEN REGIME ALLE MONARCHIE ILLUMINATE) Le strutture sociali delle monarchie settecentesche prendono il nome di “ancien regime”, definizione coniata durante la Rivoluzione francese per sottolineare la distanza rispetto alle forme sociali precedenti, rigide e inique. Il Settecento è caratterizzato da una forte crescita demografica dovuta: • Incremento produzione agricola • Diminuzione epidemie 55 Considerando innanzitutto la dimensione terrena della vita dell'uomo, gli illuministi rivendicarono l'autonomia della morale, dell’arte, della politica dalla religione, affermando che ogni aspetto della realtà doveva essere rivolto all'utilità e alla felicità degli individui e della società. Naturalmente questa prospettiva non comportava una negazione della sfera religiosa, ma solo una netta distinzione dei rispettivi ambiti di competenza. I maggiori rappresentanti della cultura illuministica sono: • Montesquieu che teorizza la separazione dei poteri (lo spirito delle leggi, 1748) Per Montesquieu i governi sono essenzialmente tre: il repubblicano, il monarchico e il dispotico. Fedele al metodo adottato, egli esamina ciascuna forma come un meccanismo, del quale occorre mettere a nudo gli ingranaggi e le molle che lo fanno muovere e che, deteriorandosi, ne provocano la decadenza. • Rousseau, il cui pensiero si può articolare in due fasi. Nella prima fase Rousseau non criticava questo o quel regime, ma esprimeva un radicale rifiuto della stessa società, la quale aveva irrimediabilmente corrotto l'uomo, rendendo l'egoista malvagio. Egli negava quindi il valore positivo dello sviluppo delle conoscenze, delle scienze e delle arti. Questa radicale critica della civiltà, che negava proprio l'idea di progresso, centrale nel pensiero dei Lumi, provocò la rottura dei suoi rapporti con gli illuministi. La seconda fase del suo pensiero politico è rappresentata in particolare dal Contratto sociale (1762). Egli era convinto che, dopo la nascita della società, fosse impossibile per l'uomo recuperare l'innocenza e la semplicità delle origini. A suo parere, nel contratto sociale gli individui devono accedere tutti i loro diritti allo stato, perché solo questa condizione garantisce l'uguaglianza. Gli individui divengono così cittadini, uniti dall'amore della patria comune. 56 • Voltaire, che sosteneva il principio della tolleranza religiosa. Lui sostenne la necessità del potere assoluto, purchè attribuito ad un sovrano illuminato dalla Ragione. • In Italia il marchese Cesare Beccaria, che scrisse un libro sulla tortura e sulla pena di morte La capacità di osservare i fenomeni con spirito scientifico di dei frutti importanti anche nell'analisi dell'economia, tant'è che proprio allora nacque l'economia politica come disciplina autonoma rispetto alla scienza dello Stato e alla politica. Il mercantilismo concepiva la crescita della ricchezza soprattutto come mezzo per dare più forza allo stato, il quale doveva perciò intervenire a controllare e regolare tutti gli aspetti della produzione e della circolazione dei prodotti. Nel 700 questa visione fu respinta con forza in nome della necessità di garantire invece la massima possibile libertà alla vita economica, condizione indispensabile per il progresso. Queste posizioni si affermarono dapprima nella scuola francese della fisiocrazia e furono esposte in forma più matura dall'economista scozzese Adam Smith. Quesnay, economista francese considerava la coltivazione della terra il principale motore dello sviluppo economico e affermava che per promuovere l’agricoltura lo Stato doveva facilitare i passaggi i passaggi di proprietà e sostenere la libera concorrenza. Dunque, secondo i fisiocratici l'economia è retta da leggi naturali che lo stato non deve assolutamente intralciare, in quanto esse, lasciate libere di agire, garantiscono necessariamente il raggiungimento del giusto prezzo e quindi dell'equilibrio. Rispetto alla teoria fisiocratica, espressione di una visione statica della vita economica, il pensiero di Adam Smith rifletteva il dinamismo di una società come quella inglese, già attraversata trasformazioni che lasciavano presagire la rivoluzione industriale. Smith evidenzia il valore positivo del desiderio di arricchirsi. Creando profitto, l'individuo è mosso dalla prospettiva di accrescere la propria 57 ricchezza mentre il modo favorisce senza volerlo la crescita dell'economia e quindi il benessere complessivo della società. Il “dispotismo illuminato” ispirato da Voltaire produsse una breve stagione di riforme: • Impero d’Austria: gli Asburgo d’Austria furono tra i primi ad attuare le riforme. L’imperatrice Maria Teresa modernizzò l’intero apparato del governo (tenne nelle sue mani i poteri legislativo ed esecutivo). Il figlio, Giuseppe II, proseguì l’opera della madre: abolì la censura e introdusse il nuovo codice penale • Granducato di Toscana: Pietro Leopoldo arrivò al punto di progettare per la Toscana una monarchia costituzionale all’inglese. Abolì la tortura e la pena di morte • Impero russo: la zarina Caterina di Russia varò una profonda riforma del codice penale e un programma inteso a riformare l’amministrazione. • Prussia: anche Federico II di Prussia apportò notevoli riforme: migliorò le condizioni dei contadini, abolì la tortura, rese obbligatoria l’istruzione e si dimostrò tollerante nei confronti dei cattolici. (LA RIVOLUZIONE AMERICANA) Intorno al 1750 l’Inghilterra ha un posto importante nell’economia- mondo. La ricchezza dell’Inghilterra era dovuta alle tredici colonie che aveva costruito sulle coste dell’America del Nord. Queste colonie avevano sistemi economici diversi: • Colonie del Nord, abitate da puritani inglesi, con un’agricoltura basata sulla piccola proprietà • Colonie del centro, abitate da una popolazione mista dedita al commercio 60 l'indipendenza si poneva come una guerra di tipo nuovo, radicalmente diversa dai conflitti settecenteschi motivati da contrasti dinastici o commerciali, in quanto combattuta da cittadini soldati e animata dalla volontà di affermare i diritti naturali del popolo. Nel 1783 viene firmata la pace che segna la nascita degli Stati Uniti d’America (LA RIVOLUZIONE FRANCESE) La causa immediata della Rivoluzione francese fu una grave crisi finanziaria che obbligò la monarchia a convocare dopo 175 anni Gli Stati generali e fu l'occasione per l'esplodere di tensioni che da tempo covavano nella società. Il problema aveva radici antiche. Nel 1701 era stata introdotta la capitazione, imposta sul reddito, e nel 1749 il ventesimo, che colpiva immobili, commercio, rendite e diritti feudali. Queste due imposte in teoria dovevano gravare anche sul clero e sulla nobiltà, ma il primo se ne affrancò con un donativo allo stato e la seconda riuscì a sfuggirvi quasi del tutto, sicché esse divennero dei supplementi della taglia, un-imposta che gravava esclusivamente sui contadini. Molto pesanti per le classi popolari erano le imposte indirette sui generi di consumo e l’odiatissima gabella sul sale. Entrò a questo punto in gioco un altro fattore decisivo della crisi: la personalità di Luigi XVI, un uomo onesto ma mediocre, che scontava anche l'impopolarità della moglie, straniera e oggetto di una feroce campagna propagandistica che poneva sotto accusa il lusso smodato e gli sprechi della regina e della Corte. Fu l'aristocrazia che diede inizio alla crisi rivoluzionaria che avrebbe portato alla caduta dei suoi privilegi. Opponendosi alle misure finanziarie predisposte dal governo, i parlamenti richiamarono in vita gli Stati generali come unico organo legittimato ad approvare nuove tasse. 61 Le elezioni dei deputati, che ebbero luogo fra il marzo e l'aprile del 1789, coinvolsero in profondità la società francese, in un clima di grande attesa per le decisioni degli Stati generali. Il suffragio fu in effetti molto ampio. Contestualmente alle lezioni le varie assemblee dovevano redigere dei cahiers de doleances, contenenti le lamentele e le richieste dei sudditi che deputati avrebbero presentato al re. Nel loro insieme queste richieste mettevano in discussione l'intero sistema istituzionale e sociale, e esprimevano ostilità nei confronti dell'assolutismo, ma manifestavano anche una totale fedeltà nella figura del re. Gli Stati generali si riunirono il 5 maggio 1789 a Versailles. Appartenevano al terzo stato tutti coloro che non erano né nobili né ecclesiastici. Questa definizione mostra in modo trasparente l'estrema eterogeneità della sua composizione. Il sistema elettorale ha più gradi favorì il prevalere degli strati superiori del terzo stato. Fra i deputati prevalsero esponenti delle professioni liberali, e in particolare gli uomini di legge. È significativo che il terzo stato fosse guidato nel 1789 anche da un ecclesiastico, l’abate Sieyes, plebeo, esperto giurista, più che altro un teorico privo di qualità oratorie e di capacità politiche. Fu proprio Sieyes a esprimere con efficacia il programma del terzo stato nell'opuscolo “Che cos'è il terzo stato?”, apparso nel gennaio 1789. All'inizio dei lavori degli Stati generali, il terzo stato propose che la verifica dei poteri fosse fatta in comune dai deputati dei tre ordini, richiesta respinta dal clero e della nobiltà. Inoltre, i deputati del terzo stato, per evitare la loro automatica sconfitta reclamarono il voto pro-capite. Questi contrasti si protrassero per più di un mese fino a quando i deputati del terzo stato decisero di rompere gli indugi e il 7 giugno 1789 dichiararono di essere in grado di rappresentare da soli la Francia in quanto eletti dal 96% almeno della Nazione. Per questo essi adottarono i nomi di assemblea nazionale, dichiarando che naturalmente avrebbero accolto i rappresentanti degli altri due ordini 62 che avessero deciso di riunirsi a loro. Si affermava così in questa iniziativa, che fu il vero atto di inizio della rivoluzione, l'equazione stabilita da Sieyes nel suo opuscolo: il terzo stato è la Francia. A questo punto il re tentò di sciogliere l’assemblea e Il 20 giugno, avendo trovato chiusa la sala delle loro riunioni, i deputati del terzo stato si riunirono in una sala vicina, adibita al gioco della pallacorda, e giurarono di non separarsi fino allo stabilimento della costituzione. Il 9 luglio nasce l’assemblea costituente. Attraverso l'iniziativa rivoluzionaria del terzo stato nasceva il moderno concetto di rappresentanza. Ora essi erano rappresentanti dell'intera Nazione ed erano impegnati a dare alla Francia una costituzione. Il re rispose tentando nuovamente di sciogliere l’assemblea e ripristinare la sua autorità assoluta, facendo affluire a Versailles. La rivoluzione costituente rischiava di essere soffocata sul nascere. A salvarla fu l'intervento del popolo. La mattina del 14 luglio una folla si recò, soprattutto per chiedere armi e munizioni, alla Bastiglia, un castello adibito a carcere. La situazione precipitò a causa della sconsiderata decisione di far sparare sulla folla, fra la quale vi fu un centinaio di morti. Quando nel pomeriggio i popolani ritornarono all'assalto del castello, portando anche dei cannoni, il governatore si arrese e fu massacrato insieme con alcuni ufficiali. La Bastiglia, simbolo dell'assolutismo, fu demolita nei mesi seguenti. La presa della Bastiglia fu l’inizio della rivoluzione francese. Parallelamente alla rivoluzione municipale, anche le campagne furono interessate alle sommosse, che si concretizzarono nel rifiuto di pagare censi dovuti ai signori e la decima. Su questo fenomeno si innestarono correnti di panico collettivo, passate alla storia con il nome di “grande paura”. Certo in questo caso agirono anche le 65 1. I foglianti: moderati e sostenitori della monarchia costituzionale 2. I cordiglieri: repubblicani che rivendicano riforme sociali in senso egualitario. 3. I giacobini di Robespierre: borghesia rivoluzionaria che aspira alla repubblica attraverso l’alleanza con il popolo (Marat) 4. I sanculotti: rappresentanti del popolo che chiedono uguaglianza sociale. A sinistra sedevano anche l'ex marchese di Condorcet, filosofo e scienziato, erede della cultura dei lumi, e alcuni brillanti oratori provenienti in gran parte dal dipartimento della gironda, per questo motivo chiamati poi “girondini”. Il regime costituzionale del 1791 sarebbe durato solo dieci mesi. Un ulteriore fattore di accelerazione della crisi fu la guerra. Fu lo stesso Luigi XVI a favorire con ogni mezzo lo scoppio delle ostilità, nella segreta speranza che le potenze coalizzate avrebbero soffocato nel sangue la rivoluzione e ristabilito il suo potere assoluto. Il 20 aprile l'assemblea approvò in larga maggioranza la dichiarazione di guerra all'imperatore d’Austria Francesco II, che era da poco succeduto al padre Leopoldo II, nel timore che un’invasione straniera restauri l’assolutismo. All’Austria si aggiunsero poi la Prussia, Il Regno di Sardegna e la Spagna. Le notizie provenienti dal fronte, che annunciavano l'avanzata delle truppe prussiane crearono nella capitale un clima di eccitazione e di paura. Temendo che l'attacco nemico trovasse sostegno nella forza della controrivoluzione interna, i popolani, fra il 2 e il 5 settembre, assalirono le carceri i cittadini massacrarono circa 1500 prigionieri. I massacri di settembre restarono l'episodio più oscuro e drammatico della storia rivoluzionaria. L’avanzata prussiana fu fermata comunque il 20 settembre a Valmy; si trattò di un conflitto fra le opposte artiglierie, un episodio minore, che segnò tuttavia un rovesciamento 66 delle sorti della guerra. Nei mesi seguenti le armate francesi a nord invasero il Belgio I primi insuccessi militari provocarono la ripresa dell'iniziativa rivoluzionaria, che mise sotto accusa il tradimento del re. L'11 luglio fu proclamata la patria in pericolo. In questi mesi si affermò il canto di guerra per l'armata del Reno destinato a diventare l'inno nazionale; chiamando alle armi cittadine a difesa della Francia e della rivoluzione, sentite come una cosa sola, esso esprimeva tutto lo spirito del 1792. A rianimare ancora di più l'orgoglio nazionale giunse, il 25 luglio, il manifesto firmato dal duca di Brunswick, comandante delle truppe nemiche, che minacciava una dura punizione ai francesi nel caso che si fosse recato il minimo oltraggio alle persone dei sovrani. L'insurrezione scattò nella notte fra il 9 e il 10 agosto. I popolani si mossero all'assalto delle Tuileries e si procedette al trasferimento della famiglia reale in prigione. A questo punto l’assemblea legislativa si sciolse e vennero imposte nuove elezioni dalle quali nacque un nuovo parlamento chiamato Convenzione nazionale (20 settembre1792). Essa era divisa in tre gruppi: 1. i girondini: esponenti della borghesia favorevoli alla repubblica 2. montagnardi di Robespierre: giacobini e sostenitori dell’alleanza con le classi popolari 3. centro: la palude; non be caratterizzati politicamente, oscillano tra destra e sinistra. La convenzione proclama la repubblica (21 settembre 1792) La convenzione, forte dell’investitura popolare, assunse su di sé il compito di guidare la rivoluzione, e affrontò il nodo più delicato, la sorte del re. La convenzione si pronunciò all'unanimità per la colpevolezza del re, il cui tradimento era provato dalle carte scoperte nel Palazzo delle Tuileries, dalle quali risultavano le trattative segrete intrattenute con il nemico. La condanna fu eseguita il 21 gennaio 67 1793 con la ghigliottina, macchina da poco introdotta. L'esecuzione del re segnò la simbolica cancellazione della monarchia di diritto divino. Essa cambiò anche i rapporti fra la Francia rivoluzionaria e l'Europa. L'esecuzione di Luigi XVI determinò nel corso del 1793 la formazione della prima coalizione antifrancese comprendente Inghilterra, Austria, Russia, Prussia, Spagna, Olanda, Portogallo, quasi tutti i principi dell'impero e tutti gli Stati italiani, a eccezione di Genova e Venezia. La Francia si venne a trovare in pericolo e cominciò per lei l’anno più terribile dal giorno in cui era scoppiata la rivoluzione. Restava assai grave anche la situazione economica, che alimentava il fermento delle classi popolari, colpite dal carovita. Pressata da queste emergenze, la convenzione creò alcune delle strutture sulle quali si sarebbe fondato il governo rivoluzionario. Il 10 marzo istituì un tribunale rivoluzionario e ai primi di aprile costituì un comitato di salute pubblica che divenne di fatto il vero governo della Francia. Mentre Parigi era in preda a una forte agitazione e mentre l’esercito francese continuava a perdere una battaglia dopo l’altra, la convenzione indisse una leva obbligatoria che imponeva anche il reclutamento dei contadini. La protesta contro la leva si manifestò in numerose zone rurali; ma soprattutto in Vandea scoppiò un’insurrezione controrivoluzionaria che mise a dura prova l’esercito repubblicano, che per molti mesi dovette affrontare la guerriglia. Questa rivolta fu domata dopo eccidi efferati. Nel settembre 1793 il potere passò nelle mani di Robespierre, il quale approvò misure economiche in favore del popolo: ripartizione delle terre confiscate ai nobili e l’imposizione del calmiere (il prezzo massimo stabilito per la vendita dei generi di prima necessità. Salito al potere Robespierre sul piano politico e militare instaura una politica del terrore con l’esecuzione sommaria di oppositori e
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