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Analisi critica del testo: coesione, coerenza e intenzionalità, Appunti di Linguistica

Letteratura ComparatalinguisticaAnalisi testuale

L'importanza di approcciare un testo in maniera critica, evidenziando la necessità di capire se si è in grado di comprendere il testo in profondità o se si ha solo una conoscenza superficiale. Rudolf Arnheim e Beaugrande e Dressler vengono citati per illustrare come il testo non sempre arriva alle intenzioni dell'autore e come la coesione e la coerenza sono elementi cruciali per comprendere il testo. Il documento include anche esempi di analisi di testi e la necessità di identificare il centro di controllo del testo.

Cosa imparerai

  • Come l'intenzionalità dell'autore influenza il testo?
  • Come si può analizzare un testo per capire le sue strutture?
  • Come si può identificare il centro di controllo di un testo?
  • Che cosa significa la coesione e la coerenza in un testo?
  • Come il testo viene influenzato dalla situazione e dal contesto?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 18/02/2022

saimontina
saimontina 🇮🇹

4.3

(10)

16 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica Analisi critica del testo: coesione, coerenza e intenzionalità e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! sbobina del 03 marzo 2020. Il manuale del corso sarà quello di Beaugrande e Dressler, che spiega cosa sia la scienza del testo in maniera severa, perché a volte propone anche un metalinguaggio del tutto nuovo. Un nuovo metalinguaggio è necessario per la linguistica del testo, perché le parole di cui si avvaleva la linguistica fino a poco tempo fa non possono ora più spiegare i fenomeni relativi alla testualità, perché questa non era stata studiata dai linguisti con questa nuova prospettiva. Ci si rende conto che il testo va studiato come un fenomeno unitario, concezione che sembrava sconcertante in passato. Il problema era che si credeva, a volte ancora oggi, che l’unità massima fosse quella della frase. Pensiamo che al più si possa trattenere una frase ed analizzarla. Del resto a scuola tutti noi analizziamo brevi testi, delle frasi, non andiamo oltre. Quando facciamo l’analisi di un romanzo non osiamo immaginare che questo sia qualcosa di unitario, che possiamo analizzare sulla base di pochi, ma ricorrenti parametri che determinano la testualità in quanto tale sia di quell’opera che di qualsiasi altro testo. Quindi, determiniamo come testo qualsiasi occorrenza comunicativa, che può essere breve o brevissimo, oppure lungo o anche lunghissimo. Cos’hanno in comune questi quattro tipi di testo? Ciò che oggi sembra facile dire, ma che in passato non lo era. Beaugrande e Dressler crearono una società intellettuale e hanno lavorato assieme per definire dei criteri di identificazione della testualità in quanto tale che non fossero quelli già noti alla filologia o ad altre scienze, ma fossero nuovi, validi per qualunque testualità, anche al di là del genere del testo. Quindi ciò fece sì che assumesse dignità un testo come ad esempio il fumetto, che veniva considerato anche dai linguisti un testo non degno di attenzione, di analisi, perché cosa vuoi che possa esprimere un fumetto? Cosa vuoi che possa esprimere la testualità precaria, ossia i testi scritti nei luoghi pubblici, sui muri, i testi sgrammaticati? Invece non è così, perché per un linguista non è testo solo quello che si iscrive dentro una cornice di nobiltà, come il testo della grande letteratura, ma anche qualunque formula che abbia una funzione comunicativa. Anche l’opera di un writer, di qualcuno che scrive sui muri, è un testo. Perché quella occorrenza comunicativa deve rispondere a valori di coesione, di coerenza, di informatività, di accettabilità, di situazionalità di intenzionalità e di intertestualità che sono propri di ogni testo che voglia definirsi tale. È testo una poesia di due righi, così come lo è “I Promessi Sposi”. Queste opere sono simili tra loro perché hanno in comune i parametri di testualità, non per il genere o altro. Basta che cada anche solo uno di quei parametri, che improvvisamente non lo definiremo più un testo. Cosa significa testo? L’etimologia, come si sa, ha la pretesa di ricostruire il significato delle parole. Un tempo, però, voleva ricostruire il vero significato delle parole. Etimologia significa, in effetti, se volessimo tradurne i due componenti, “scienza del vero”. L’etimo è il vero. Io riesco a dirti qual è il valore semantico e autentico della parola andando all’indietro, ricostruendo il valore più antico di quella parola. Ma come fa questa a continuare a mantenere il suo valore autentico se questo a volte diventa ideologico? Le parole cambiano e convertono talvolta il loro significato nell’esatto opposto di quello che era all’inizio. La parola “mattino”, ad esempio, ci fa pensare ad un fenomeno iniziale, l’inizio della giornata. Non ci fa pensare alla fine della giornata, ma questa parola curiosamente condivide il suo valore semantico primario con un’altra parola, che è “maturo”, perché c’è una lunghissima vicenda di trasformazione semantica della parola che la conduce ad essere qualcosa che ha a che vedere con la maturazione del giorno all’elemento che invece ne contraddistingue l’inizio. Ha perso il suo valore autentico. E tuttavia ci sono delle parole che sono più resistenti. Senza avere la pretesa di fare scienza del vero, però la parola “Testo” è molto resistente. Questa parola è conosciuta da tutti, ne facciamo continuamente esperienza. Ci sono due parole che non sono fratelli, ma più cugini e sono “testo” e “tessuto”. Perché testo proviene da “textus”, stessa matrice della parola “tessuto”. Per avere un’idea di cosa sia un testo, infatti, anche da un punto di vista cognitivo, cioè dal punto di vista di chi ha concepito cosa fosse un testo in un tempo lontano dal nostro, l’ha concepito nello stesso modo in cui fu concepito un tessuto. Il tessuto è l’elaborazione di un manufatto che si ottiene attraverso l’intreccio, in vario modo, che crea un elemento più grande. Questo tessuto può essere ottenuto con forme di intreccio molto semplici oppure molto complesse. Si può realizzare un tessuto molto umile come uno straccio, oppure un tessuto prezioso come un arazzo. Si può utilizzare la lana e quindi elaborarla con determinate procedure, diverse da quelle che verranno utilizzate per la seta, ad esempio. Tutto questo somiglia a quello che avviene nella nostra mente quando realizziamo un testo, che può essere appunto umile o elaborato. Può essere la Divina Commedia, ma anche un testo molto semplice, come un post su Facebook o un messaggio via social che può essere senza punteggiatura o un po’ sgrammaticato. Non basta però dire questo. Perché il tessuto che fa pensare a quello che la nostra mente fa quando elabora il testo e poi lo scrive. Capiamo, infatti, che la nozione di testualità molto tardi arriva a farsi scrittura. La mente umana e la sua evoluzione cognitiva aveva già fatto un lungo lavoro prima di arrivare alla possibilità di realizzare il testo così come lo intendiamo noi oggi. Quando si parla di testualità, infatti, si parla di discorso, cioè della capacità cognitiva di fare dei collegamenti di elementi tra loro, e poi certo li riversiamo in una forma che può essere anche quella scritta, e quella forma scritta avrà sue proprie regole. Le cose vanno avanti un po’ alla volta, non si è arrivati direttamente al testo così come lo intendiamo oggi. La parola “collegamento” è importante quanto la parola “discorso”. Cos’è il discorso? È ciò che noi a volte leggiamo come “logos”. Discorso è una possibile traduzione della parola logos, che è una parola difficilmente traducibile. Ossia è la resa più vicina possibile per indicare quell’operazione mentale che noi facciamo per collegare le parole tra loro. Quando facciamo un discorso facciamo un’operazione di collegamento delle parole tra loro. Ho ripetuto la parola “collegamento”, perché, se ci fate caso, nella parola collegamento c’è un elemento centrale, che è corradicale di “logos” ed è “leg”. Col-leg-are. Questo “leg”, che è il nucleo persistente della parola collegare è lo stesso che troviamo nella parola “legare” ed ha una variazione, un cambio di colore vocalico che è frequente nel greco e in altre lingue, che oscilla che “e” ed “o”. Quindi ho una base lessicale che può occorrere ora come “leg”, ora come “log”. Quando occorre come “log” io ho parole come “logos”, “logico”, il suffissoide “logia” e così via. Quando il colore è “e” di “leg” ce l’ho nel verbo “leggere”, che arriva a noi un po’ più tardi, con uno stato di maturazione diverso rispetto al suo parente greco-antico che era esattamente lo stesso in effetti, perché era “lego”. Cosa significava “lego”? Significava “io dico”. Molto interessante, perché non significava “io leggo”. Poi cosa succede? Succede che ci ritroviamo già nel latino un verbo che in sostanza è quello che è il nostro “leggere”, ma con la stessa base della parola greca. Basti quindi dire che la prima volta che qualcuno ha visto un uomo leggere a bassa voce si spaventò molto, perché la lettura fino all’epoca tutto sommato recente si svolgeva a voce alta. Ancora i bambini quando apprendono una lettura lo fanno a voce alta. Nella storia della lettura e delle abitudini legate alla lettura, la lettura era qualcosa che avveniva a voce alta. Poi un giorno qualcuno ha visto un uomo che aveva un testo in mano, stava seduto sotto un albero, guardava il testo e l’altro gli chiede: “Che fai?”. “Eh boh…”. “Ma come, leggi? Ma sei impazzito? Io non ti sento.” È l’evoluzione dei nostri modelli mentali, non è che ora facciamo cose che facevamo anni fa allo stesso modo. Questo nuovo significato arriva nel nostro “leggere” che si lega all’operazione che noi facciamo quando guardiamo un testo. Cosa facciamo dal punto di vista cognitivo quando guardiamo un testo? Il nostro cervello lega gli elementi tra loro, trova delle ragioni che tengono assieme, cerca e trova delle ragioni che tengono assieme questi elementi. La base di “leggere” la troviamo in italiano in un valore che è più statico di “leggere”, perché leggere è un’operazione dinamica, bisogna guardare gli elementi e legarli tra loro e se non si può legarli, non riesco a leggere. L’altro verbo invece è statico ed è corradicale a “leggere”, perché è “legare”. Hanno la stessa matrice. Quando leggo, lego gli elementi tra loro, ma affinché io possa farlo devo trovarne il capo, devo riuscire a fare dei collegamenti. Se non ci riesco c’è un problema di testualità. Vi do qualche altro elemento per ragionare su questa straordinaria attività di legamento che noi facciamo quando vediamo un testo. Pensate ad una cosa: pensate alle fave e ai fagioli per capire cos’è un testo. Cos’è l’attività con la quale noi percepiamo il testo, lo comprendiamo. Pensate ad altri vegetali che somigliano a questi. Cos’hanno in comune le fave e i fagioli? Stanno in un baccello, cioè stanno tutti assieme in un contenitore e per questo si chiamano “legumi”, perché sono raccolti, legati fra loro. Le parole ci restituiscono il senso della ragione per cui si chiamano così gli oggetti. Diciamo quindi che le fave e i fagioli sono più testuali di mele e pere. (amo quest’uomo) Il testo è quindi dinamico, perché è sottoposto all’incontro con la mia ragione. Il testo se ne sta in un libro finché io non lo confronto con le dinamiche della mia mente, quindi è come se prima di ciò non esistesse. Torniamo alla nozione di testo e all’etimologia. Abbiamo detto che testo e tessuto si somigliano, sono cugini. Se andassimo più indietro, cosa troveremmo? Se volessimo fare uno scavo di archeologia di questa parola troveremmo in quello che è lo scavo più profondo che possiamo fare, cioè nel dominio delle lingue europee, che la ricostruzione più estrema, comparativa di tutte le forme che nelle lingue europee indicano il testo, conduce ad un antefatto ipotetico, che se potessimo visionarlo adesso sarebbe una cosa tipo “tak”, “tek”. Testo è “textus”, PERO’ a livello testuale, a livello di ciò che vedo davanti ai miei occhi se scrivo questo testo, ho un fenomeno di coesione testuale immediato, questo vedere sta prima della mia competenza enciclopedica che mi dice che la mota è il fango. E quindi io prima di arrivare alla necessità di dire “la mota è il fango” dico “mota è qualcosa che sta in fondo alla parola ippopotamo” soltanto che è un po’ ruotato (mota/tamo). Quello che dice quando dice “nella mota è il mio popò” è: è nella parola stessa ippopotamo che c’è il popò dell’ippopota che è “mo” perché il popò della parola ippopotamo è “mo” che sta nella mota ovvero in “-tamo”. Un’altra è: Topo topo senza scopo dopo te cosa vien dopo? Sul piano della coesione questo è un pronunciamento drammatico sul senso della vita perché il topos è lo spazio in quanto tale e quindi in una prospettiva assolutamente laica ma non per questo meno drammatica qui qualcuno si sta chiedendo “mondo, universo, vita, topos, spazio che non hai scopo, cosa viene dopo di te?”, è una domanda sul senso della vita (dopo la quale cosa viene?). Ci sono due livelli. L’analisi linguistica del testo serve a darci degli strumenti METALINGUISTICI e cioè dobbiamo avere la nostra cassetta degli attrezzi, le parole giuste e appropriate per spiegare i fenomeni che andiamo ad analizzare e portare alla luce. Lezione del 12/03 Voi avete visto la volta scorsa che vi ho mandato un po’ di indicazioni. Vi ho mandato anche l’handout che avevo portato con me con i testi di Scialoja. Perché ho portato questo handout, perché ve l’ho caricato nella pagina dei materiali didattici? Perché, con questi testi di Scialoja c’è veramente la possibilità di rendersi conto di quanto il testo di superficie sia ingannevole. Abbiamo visto in aula quanto questo avvenga in testi apparentemente semplici come quello del topo: “Topo, topo, senza scopo, dopo te cosa vien dopo?” e poi, anche con l’altro dell’ippopotamo. Dunque, questo è soltanto per renderci conto del fatto che i criteri di coesione, di coerenza, da soli non bastano, anche se sono alla base di qualunque forma di testualità che possa avere un suo fondamento. Se voi vedete, nel testo che avete trovato nei materiali didattici, c’è un secondo testo, una seconda composizione di Toti Scialoja, che fa: “T’amo, o pio bue! Anzi, ne amo due.” Forse qualcuno di voi l’ha visto. In ogni caso non è indispensabile adesso averlo davanti agli occhi, se ce l’avete meglio ancora, però fate caso a questo testo. ( Il prof. rilegge la composizione) Innanzitutto, forse, qualcuno di voi ricorda che questo è qualcosa che ha a che vedere con una poesia molto famosa, molto celebre, molto nota: Il bove di Giosuè Carducci. È una poesia abbastanza nota ed è, al tempo stesso, una poesia un po’ più lunga di questi semplici due versi che vi ho riportato qua e che, attenzione, sono i versi che proprio Scialoja ricompone. Dunque, perché Scialoja fa questo? Perché riprende un testo di Giosuè Carducci e lo riduce a due soli righi, a due soli richiami? Se ci fate caso, il testo originale, quello di Carducci, è intitolato Il bove e noi qui la parola bove non la vediamo, non la troviamo. Se non tutti conoscete la poesia di Carducci, ve la ricordo, è una poesia che ai miei tempi eravamo costretti ad imparare a memoria e qualcuno di noi la ricorda. La poesia è: T'amo, o pio bove; e mite un sentimento Di vigore e di pace al cor m'infondi, O che solenne come un monumento Tu guardi i campi liberi e fecondi, 0 che al giogo inchinandoti contento L'agil opra de l'uom grave secondi […] Noi imparavamo queste cose a memoria. Evidentemente anche Scialoja aveva la memoria di questa poesia di quando era stato bambino e, però, trasforma la parola bove (evidentemente arcaizzante ) in quella non arcaizzante bue. Lì, non appena qualche critico ha letto questa composizione di Scialoja, che cos’è successo? È successo che, in particolare, un critico molto importante, a sua volta un poeta, ha detto: “ Beh, però Scialoja, hai voluto per forza fare la rima con due e quindi hai trasformato il bove di Carducci in bue!” Scialoja, di solito, non replicava a queste considerazioni e, allora, il critico in questione suggeriva anche la risposta, cioè la soluzione: “ Guarda, tu avresti potuto rispettare il testo originale, semplicemente dicendo: T’amo, o pio bove! Anzi, ne amo nove.” Ma la cosa non era così semplice, e qua ce ne rendiamo subito conto. Perché due e non nove? Perché Scialoja invita il lettore a fare attenzione al testo e a fare attenzione anche alla dimensione intratestuale. Intratestualità: ossia, collegare il testo che lui scrive al testo originale di Carducci, ma in un modo diverso. Cioè, Scialoja non vuole più semplicemente fare la rima e per questo non si accontenta di dire “T’amo, o pio bove! Anzi, ne amo nove.”, sarebbe troppo facile. Lui vuole semplicemente mettere i due testi in quanto tali. Lui sta dicendo “T’amo, o pio bue!”, perché gli serve esattamente il due: cioè, io amo anche l’altro bue! Amo il bue di questa mia composizione e amo il bue di Carducci e quindi i buoi sono due, non sono nove. Il ragionamento era un po’ più sottile. Al tempo stesso lui ha messo in atto la ripresa, la citazione, quello che volete, la parafrasi del testo originale di Carducci, però, al tempo stesso, lo ha aggiornato radicalmente e quindi ne ha fatto un testo praticamente nuovo. Questo non è un tentativo di analisi critica della poesia, ma è soltanto un modo per introdurci a quello che proverò a dire successivamente, ossia alla necessità di dare un nome a queste operazioni che riconducono il testo ad una sua coesione e quindi oggi vorrei vedere con voi proprio cosa sono i parametri della coesione. Guardate l’altro testo, quello che c’è subito sotto. Sono sempre testi semplici, per bambini, apparentemente. “C’era una volta un polpo con un volto di cera si volse a me di colpo non era più dov’era.” Ora vorrei chiedere a Valentina: lei riesce a vedere i testi di Scialoja? Valentina: “Sìsì, ce li ho davanti.” Allora, vuole leggerlo per tutti noi? Perché è importante adesso che noi sentiamo la sua intonazione. Lei lo legga con tutta la semplicità possibile. ( Valentina legge il testo con la stessa intonazione con cui si leggerebbe una normale favoletta per bambini ) Benissimo, grazie Valentina. Avete sentito tutti. Ora chiedo a Rachele. Rachele, buongiorno, vuole leggere anche lei questa composizione di Scialoja? Rachele: “Ok.” ( Rachele fa lo stesso, la legge con un’intonazione simile a quella di Valentina ) Benissimo, avete sentito le due interpretazioni, quella di Valentina prima e quella di Rachele dopo, somigliano molto a quella che ho fatto anche io, alla lettura che ho fatto anche io. Cosa voglio dirvi? Voglio dirvi che noi mettiamo nella nostra lettura già delle informazioni, cioè noi orientiamo l’ascoltatore rispetto a quella che è la tematica del testo, il valore semantico, il suo significato. Senza rendercene conto, inconsapevolmente, noi informiamo il destinatario sul significato del testo. Vi do prova di questo chiedendo anche a Luisa, se ha il testo davanti, se a sua volta lo può leggere. Luisa: “Sì, un momento.” (Luisa legge il testo allo stesso modo delle lettrici precedenti) Grazie, Luisa. Allora, vedete che siamo alla quarta interpretazione e, con la spontaneità con cui leggiamo questo testo, non succede niente. Allora, adesso passiamo ad un livello leggerissimamente successivo a questo che abbiamo usato per leggere questo testo. Proviamo adesso a chiedere a Concetta di dirci, secondo lei, in maniera molto semplice, cosa significa questo testo. Concetta: “Allora, è un po’ complicato…” Stia su una modalità di interpretazione che può essere quella che lei darebbe ad un bambino a cui lei ha appena letto questo testo e le dice: “Zia, ma che significa?” Concetta: “Ok… C’era una volta un polpo, quindi c’è un animale, parla di un animale. Con un volto di cera, diciamo che questo animale si volge all’improvviso verso la persona che è presente davanti a lui e poi scompare.” Allora, Concetta, guardi adesso cosa succede. Ivan, lei è d’accordo con questa lettura, con questa spiegazione di Concetta? La lettura, la spiegazione, che è venuta fuori le letture delle sue colleghe, la spiegazione di Concetta, lei la condivide? Ivan: “Sì, la condivido, perché è la prima immagine che ho anche io in mente, quindi c’è questo polpo, forse con un volto di cera non saprei ben interpretarlo, però poi appunto mi ritrovo con il fatto che si volge improvvisamente e il viso scompare.” Allora, ci servono almeno altri due riscontri. Vedo che uno ce lo può dare sicuramente Antonia. Lei è d’accordo con quello che ci hanno detto Concetta e Ivan? Antonia: “ Io, molto ingenuamente, non avevo pensato all’ipotesi secondo cui spariva il polpo. Pensavo che non era più dov’era semplicemente perché ha cambiato posizione voltandosi.” Ho capito, quindi il polpo si è voltato. Facciamo giusto un ultimo tentativo. Lo possiamo chiedere a Cristina. Cristina, lei è d’accorto con questa interpretazione che è emersa fino ad adesso del testo di Scialoja? O ne ha una sua? Cristina: “ Io personalmente, sinceramente ho pensato una cosa un po’ più al di fuori, nel senso che quando ho letto un polpo, mi è venuta in mente un po’ la Medusa, che aveva il potere di pietrificare, anche perché sotto poi dice con un volto di cera. C’ho visto un’interpretazione che va un po’ al di là del contesto animale.” Allora, avete sentito che è intervenuta un’interpretazione, una lettura, una percezione del testo che si discosta da quelle che abbiamo sentito fin ora. Diciamo che, a che cosa abbiamo assistito? Abbiamo assistito ad un parallelo, ad una simmetria ad una compatibilità tra le tre letture che sono state fatte - anzi, più la mia, quattro - che sono state fatte all’inizio e le spiegazioni che hanno dato tutte le compagne, eccetto Cristina. Cioè, è come se noi, leggendo questo testo, già avessimo in mente il suo significato e già volessimo restituire questa nostra impressione a chi ci ascolta. Questo è un testo dove si racconta di un polpo, che c’era una volta, e quindi è una storia, no, come quando si raccontano le storie ai bambini. È il tipico attacco delle storie: c’era una volta un re, dicono i bambini, no?! C’era una volta un pezzo di legno, pinocchio. Allora, poi cosa fa questo polpo, che aveva un volto di cera, quindi forse era un po’ pallido, si volse di colpo, improvvisamente, alla persona che sta scrivendo o narrando, e quindi all’io narrante, e sparisce. In quel momento è come se sparisse. Questa è la spiegazione che il bambino si dà e che, tutto sommato, ci stiamo dando anche noi. Però, ragazzi, siamo adesso un po’ più realisti: ma è normale che un polpo abbia un volto di cera? Perché noi accettiamo questa informazione? Perché accettiamo che un polpo possa avere un volto di cera, che possa essere pallido? Ma, ancor di più, perché accettiamo che possa esserci un polpo che, non solo improvvisamente si gira (che sembra una scena da film dell’orrore, no, uno immagina un polpo che fa un giro, si gira con la testa… che poi, vai a capire dove ha gli occhi…) e mi guarda… ma che poi mi guarda e sparisce? Perché noi accettiamo questo? Una studentessa dice: Perché diamo per scontato che la nostra sia un’interpretazione favolistica che ci permette di accettare di tutto, quindi anche magari cose che vanno al di là della realtà. Benissimo, si può accettare di tutto, anche al di là della realtà, e questa è la magnificenza della letteratura il fatto che noi possiamo inventare dei mondi con la letteratura, e quindi con la scrittura. Però, adesso, cerchiamo di capire qual è il livello un po’ più testuale di questa composizione di Scialoja, perché, in realtà, Scialoja con questo testo ci invita a non uscire mai dal testo stesso. Fate attenzione con quello che vi ho appena detto. Con questo testo Scialoja ci invita a guardare il testo stesso come oggetto. L’oggetto non è ciò di cui si parla nel testo, ma è il testo stesso: gli oggetti sono le parole che compongono il testo. Così come noi in un’abitazione abbiamo una stanza, una camera, nella quale ci sono degli oggetti e quegli oggetti hanno una loro coesione, una loro coerenza, nel senso che io in una camera dove dormo non ci metto il burro, la farina e la pasta, ma ci metto forse le lenzuola, le federe, il cuscino, il letto… In una camera dove mangio non metto le cose sparpagliate sul fornello, perché il fornello servirà per metterci le pentole. Come dire? C’è una questione di coesione, di coerenza, eccetera, interna proprio al testo, dove noi dobbiamo intendere come oggetti testuali queste macchie nere che stanno sul foglio, queste parole, che noi vediamo sul foglio. Dobbiamo fare uno sforzo al quale non siamo abituati, che è quello di vedere queste macchie come oggetti, non già come parole che hanno un significato, quindi non già come un polpo, eccetera. Fatta questa operazione, guardate bene il testo, chi ce l’ha davanti agli occhi. Noi, cosa vediamo? Noi vediamo il testo prima ancora di sapere di cosa il testo parli. Allora, noi vediamo: “C’era una volta un polpo perché gli dico, gli spiego, cosa significa. Abbiamo bisogno di almeno un riscontro. Abbiamo bisogno di un altro riscontro. Allora, Alessia, vediamo la spiegazione che lei da al bambino. Alessia: Mah, sinceramente anche a me era venuto in mente il discorso di essere effettivamente il dottore, che ha questo incontro con la lontra, quindi sinceramente non avrei molto da aggiungere. E… quindi ci siamo come spiegazione e siamo d’accordo con quello che ha detto Valentina. Va bene. Proviamo a dare una spiegazione un po’ più alternativa. Anche in questo caso, guardando le parole, alle parole, come a oggetti, facendo questo sforzo molto forte, che poi è quello che arriva naturale al bambino prima che noi lo convinciamo su tutto quello che sono i significati, le spiegazioni, perché il bambino accetta di tutto. Allora, vediamo quali sono le motivazioni che spingono Scialoja a mettere questi oggetti, sul foglio, in questo modo. Fate caso, che “Dentro l’antro” è l’attacco di questo testo e dentro l’antro, io sento un ranto. Poi, lo è nell’ombra, è la lontra che si rotola al mio fianco e mi mormora: “Dottore! Bell’incontro!”. (Se avete dei dubbi sull’intonazione vi invito ad ascoltare la registrazione dal minuto 37 circa) Ancora una volta, si spiega tutto con ciò che abbiamo davanti agli occhi. Dentro l’antro. Che significa dentro l’antro? Significa proprio dentro, all’interno dell’antro. Cioè… Studentessa: Antro è l’anagramma di ranto. Bene. Dentro la parola l’ antro , c’è la parola ranto. Guardate. Ma c’è anche un’altra parola. Qual è l’altra parola? C’è anche la parola rantolo, però avete capito il senso del discorso. Voi mi potreste dire: “No, non c’è la parola rantolo, perché se io vedo l’antro, la parola rantolo non ce la trovo. Mi manca una “o”!” No, la “o” c’è, ma è nell’ombra! Nella forma scritta di questa composizione, la sua ombra è l’apostrofo (l’antro), si nasconde la “o”, ma c’è. Lo nell’ombra, vedete: “l’antro” = “lo antro”. Lo antro diventa rantolo. Quindi, ripeto, dentro la parola l’antro c’è la parola ranto, ma c’è anche la parola rantolo, perché lo è nell’ombra. È la forma scritta di questa composizione. È da questa ombra che proviene cosa? È da questa ombra, cioè da dentro l’antro , che proviene il rantolo , quindi sento un rantolo nell’ombra, è da questa ombra che proviene il rantolo. Ciò che rantola nell’ombra, che cos’è? E, una di voi lo ha anticipato, è una lontra, perché è con ogni evidenza che, anagrammandosi, l’a n t r o si trasforma in l o n t r a. Perché, ragazzi, il bambino lo accetta, ma il bambino lo può anche chiedere. Sapete, i bambini ad una certa età attraversano la terribile fase del “Perché?”. Non so se avete mai fatto esperienza di questo, cioè è scientifico. I bambini, a un certo punto, entrano nella fase del perché, chiedono perché per tutto ed è un guaio perché la risposta gliela devi dare e a volte la risposta non c’è. E, allora, il bambino potrebbe dire: “ Ma perché proprio la lontra rantola nell’antro?” Il problema è testuale e a Scialoja serviva un anagramma possibile dell’antro e del rantolo e, l’unico animale, era la lontra. Ma perché, quando mai si è vista una lontra che rantola in un antro? Cioè… E inoltre lo sappiamo tutti, sfuggono, scappano, non rantolano, eccetera… Però, serviva questo. Quindi, ciò che rantola nell’ombra dell’antro è la lontra, che è l’anagramma di l’antro, che si trasforma in lontra. A sua volta, se voi continuate ad osservare il testo, vedete che dottore, dov’è dottore? E perché poi si parla di un incontro? Eh, il dottore letteralmente, anche se alla fine, è all’inizio, perché è dentro l’antro. Se voi guardate con attenzione, dentro l’antro, ci trovate dottore. La parola dottore voi la ricavate dagli elementi che stanno dentro l’antro: d e t r o t o (le lettere all’interno di dentro l’antro) -> d o t t o r e. E quindi è dentro l’antro ed è un bell’incontro! Quindi, anche la lontra sta dentro l’antro come il dottore e ci sta, come dire, anagrammaticamente mimetizzata. Ed ecco l’incontro. Ed ecco questo incontro, raffinatamente risolto in una maniera del tutto intratestuale, non abbiamo bisogno di andare a cercare il significato al di fuori del testo, se è costume delle lontre nascondersi nelle grotte e rantolare, eccetera… Nonono, è tutto dentro il testo. E quindi, certamente, è un incontro! Perché la lontra e il dottore continuano ad essere, anagrammaticamente, dentro l’antro. Poi, c’è un ultimo testo che è quello del sentiero che si sdrucciola, ma su questo, oggi, non ci soffermiamo. Questo è un testo, come dire, veramente di quelli un po’ più estremi di Scialoja, perché mette veramente assieme la dimensione straordinariamente innocente dell’infanzia, della prima infanzia, e quella invece ormai declinata completamente di fronte alla perdita dell’innocenza dell’età adulta e, quindi, è un verso che solo apparentemente si rivolge ai bambini. Si rivolge anche a bambini, però è poi è anche un testo che allude ad una dimensione adulta. Dunque, vediamo, adesso un altro testo. Fatta questa premessa – che ci spinge ad andare oltre ai fattori di informatività da noi conosciuti, ad allontanarci da questi ed a capire cosa un testo può significare oltre a quello che noi già vediamo – passiamo ad un testo che troviamo nel manuale a p.15 e che sembra apparentemente rimandare alla dimensione infantile: «Il re stava nel suo ufficio a contar tutto il suo denaro; / La regina stava in salotto a mangiare pane e miele: / La cameriera era in giardino a stendere i vestiti; / Arrivò un merlo e con una beccata le strappò il naso.» La prima cosa che vediamo di questo testo è che i vari frammenti che lo compongono non hanno nessun collegamento logico tra loro: leggendolo diamo per scontato che tutto quel che vi è riportato sia normale e quindi lo accettiamo così com’è. Questa sorta di “accettazione”-che incontriamo nella testualità fantastica- non avverrebbe se da questo testo dipendessero delle vite umane; ci si domanderebbe quale relazione logica possa esserci tra il re che conta il suo denaro in ufficio e la regina che mangia pane e miele in salotto, ovviamente nessuna. Inoltre, secondo la nostra conoscenza enciclopedica, non ha alcun senso logico che un re stia in un ufficio a contare denaro e che una regina mangi in salotto pane e miele, come anche la conclusione: il merlo, un uccello minuscolo, che “con una beccata le strappò il naso”; il che significherebbe affermare che, oltre ad avere la forza necessaria per strappare il naso, l’uccello sia dotato di una spiccata intelligenza che lo induce a strappare proprio quello e non altro. Accettando questo testo giustifichiamo i legami tra i quattro frammenti che lo compongono pur non riuscendo a spiegare logicamente perché lo facciamo, poichè se cercassimo di farlo -anche attraverso un metalinguaggio appropriato- ci imbatteremmo in non poche difficoltà; nonostante la incredibile ed indiscussa semplicità del testo in questione. Analizzando il testo con maggior attenzione ci renderemmo conto di aver accettato sin dall'inizio che il re svolga il basso compito di contare i soldi ed abbia un ufficio (come il principe Giovanni in Robin Hood) , cosa assurda visto che i re trascorrevano il proprio tempo presso la reggia e lo dedicavano ad attività decisamente più elevate; parrebbe che l'intenzione del testo sia quella sminuire le prerogative di un re. Inoltre si potrebbe pensare che sia un testo marcatamente maschilista visto che abbassa il tono della regalità del secondo personaggio colto in un atto che ha ben poco di nobile. Quale regina sprecherebbe il suo tempo mangiando in un salotto pane e miele? Improvvisamente la narrazione diventa attendibile, realistica, con il frammento della cameriera: è più che attendibile che una cameriera si trovi in giardino a stendere i vestiti. Il testo, quindi, presenta una sua gradazione: da due frammenti inattendibili si arriva ad uno attendibile - la scena della cameriera- per poi giungere ad un frammento ancora più inattendibile rispetto ai primi due. Passiamo ad un altro testo, p.16: «Il ventenne Willie B. è un instancabile appassionato della TV. Odia il telegiornale e i dibattiti, ma ama il football e si eccita talmente davanti alla pubblicità degli alimentari che a volte si avventa contro lo schermo agitando un pugno. Dice un amico: 'E come un bambino piccolo'.» Fino a questo punto cosa abbiamo capito? Abbiamo fatto appello alla nostra conoscenza enciclopedica e leggendo questo testo ci siamo fatti un'idea, ossia che il ventenne Willie B. è un giovane uomo, di cui non si vuole rivelare il nome, che ama il football e che è appassionato della tv; insomma, tutto nella norma. Il testo per ora ha una sua logica: è coerente, coeso ed accettabile. Improvvisamente, però, veniamo frenati dall' informazione "a volte si avventa contro lo schermo agitando il pugno" e allora ci domandiamo: Cosa ci riserva questo testo? Sarà forse il protagonista affetto da una patologia? Il testo ha avuto la efficiacia di innalzare la nostra attenzione, dandoci le informazioni un po' per volta per smuoverci dal torpore di un testo che ci fornisce fin da subito tutte le informazioni. Anche se quest'ultima informazione ci sorprende, continuiamo ad accettare il testo -credendo che il protagonista sia affetto da un problema psicologico- pur iniettando un nostro giudizio compassionevole, in seguito scopriamo: «Willie B. è un gorilla di 450 libbre dello zoo di Atlanta. A dicembre un venditore di televisori del Tennessee ha sentito della vita solitaria di Willie B., unico gorilla dello zoo di Atlanta, e gli ha regalato un televisore» Questo testo dimostra che anche un'informazione così banale possa essere trasmessa in una maniera tale destare l'attenzione di chi lo legge fino alla fine ed anche a questi fenomeni bisogna dare un identificativo metatestuale-metalinguistico-terminologico. Ma allora perchè accettiamo questo testo? Perchè ci sono dei criteri di accetabilità e quindi accettiamo delle cose che ci vengono riportate anche se non presentano delle relazioni logiche. Andiamo a vedere, adesso, un altro testo di grande importanza (p.16), che torneremo a vedere anche più avanti, perchè mostra che oltre alle apparenze si nascone una struttura molto articolata. «Un grande razzo V-2 nero e giallo e lungo 46 piedi stava in un deserto del Nuovo Messico. Vuoto pesava cinque tonnellate. Come carburante aveva caricato otto tonnellate di alcool e ossigeno liquido. Tutto era pronto. Scienziati e generali si ritirarono ad una certa distanza e si misero al riparo dietro dei terrapieni. Due razzi luminosi rossi si alzarono come segnale per la partenza del razzo. Con un grande frastuono e una grande emissione di fiamme l'imponente razzo si levò, prima lentamente e poi sempre più veloce. Dietro di sé trascinava una striscia gialla di fiamme lunga venti metri. Ben presto la fiamma ebbe l'aspetto di una stella gialla. Pochi secondi dopo sparì alla vista, ma sul radar si poteva osservare come esso schizzasse via alla velocità di tremila miglia all'ora. Pochi minuti dopo la partenza il pilota di un aereo ricognitore lo vide ritornare ad una velocità di duemilaquattrocento miglia all'ora e schiantarsi al suolo a 40 miglia dal punto del decollo.» Questo testo mette a dura prova la nostra memoria a breve termine, ci si aspetta da testo così anomalo di ricordarsi almeno le informazioni generali, eppure molte di queste cadono nel dimenticatoio; attesta che quando riportiamo ciò che sappiamo di un testo, in realtà stiamo riportando quello che crediamo di sapere di quel testo ma ciò non ha quasi mai valore scientifico. Il nostro sapere assume valore scientifico solo quando ci poniamo davanti al testo e facciamo un'analisi testuale dettagliata. Per poter dire di conoscere veramente il significato di un testo, dobbiamo sapere di cosa stiamo parlando ed è necessario esprimere questo nostro sapere attraverso una terminologia adeguata. Facciamo un ultimo esempio (pp.16-17): «Heffalump (malignamente): Oho! PORCELLINO (disinvolto): Trallalà, trallalà! H. (stupito e non più così sicuro di sé): Oho! P. (ancora più disinvolto): Tatatà, tatata! H. (abbozzando un nuovo "Oho!' che si trasforma però in un imbarazzato colpo di tosse): Hm, hm. Che cosa significa? P. (sorpreso): Ah, buon giorno! È una trappola che ho scavato io, adesso aspetto che un heffalump ci caschi dentro. H. (molto deluso): Oh! (lungo silenzio) Ne sei sicuro? P.: Certo! H.: Ah... (insicuro) Ma... ma io pensavo che fosse una trappola che ho scavato io per catturare dei porcellini. P. (sorpreso): Assolutamente no! H.: Oh! (imbarazzato) Allora devo essermi sbagliato. P.: Sì, temo di sì. (Con gentilezza) Mi dispiace molto. (Continua a canterellare) H.: Si... hm, allora... è meglio che me ne vada a casa. P. (guardando distrattamente all'insù): Te ne devi già andare? Se per caso dovessi incontrare Christoph Robin, potresti dirgli che vorrei vederlo? H. (sollecito): Senz'altro! (se ne va di corsa).» Come abbiamo visto precedentemente, abbiamo acquisito l’abitudine di leggere mentalmente; una cosa che non sempre è esistita, è un’acquisizione tardiva. Attualmente ci sembra naturale leggere a mente, in realtà questo fenomeno ha ben poco di naturale siccome è altamente culturale. Quando leggiamo il suddetto testo mentalmente, lo troviamo accettabile ed addirittura facile, perché inconsapeolmente lo associamo ad un genere letterario che già conosciamo. Osserviamo nel concreto un esempio: In un mondo popolato da individui che conoscono solo testi di cronaca giornalistica, dinanzi ad un racconto dal genere sconosciuto (come quello preso in esempio, che è fantastico) si domanderebbero cosa esso sia, cosa possa significare, poiché nell'immediato Chiamiamo COESIONE il primo criterio, che è il testo di superficie, le condizioni che rendono possibile a livello di superficie, la comunicabilità del testo ovvero la grammatica, le dipendenza tra un elemento e l’altro, quelle che noi ci aspettiamo alla base di un testo. E se qualcosa non funziona, a livello di superficie, noi diciamo che A livello di coesione non inficia la caratteristica comunicativa, l’efficacia comunicativa. Un testo può essere ambiguo volutamente e lo si vede con il testo di Loretta Strong: Copi voleva che il testo fosse fortemente disorientante, rompeva la coesione a livello di superficie e infatti non si capisce niente. Il secondo criterio è la COERENZA, secondo Beaugrande e Dressler. La coerenza ci mette in crisi nella nostra comunicazione consuetudinaria, per esempio anche quando si scrive un messaggio o un email. Il problema della coerenza è mettere insieme tra loro concetti e le relazioni interne al testo. Dunque ogni testo deve basarsi su CONCETTI E RELAZIONI: cioè i pezzi che formano un testo come “ Gentile professore, vorrei informarla che oggi per un imprevisto non potrò partecipare alla lezione. La ringrazio per l’attenzione, la saluto cordialmente.” Questi pezzi sono concetti e relazioni perché quando diciamo per esempio “ professore”, quest’ultimo è un concetto, è qualcosa che è nella nostra mente. Un esempio, nella comunicazione e nello scambio con gli studenti il professore Manco individua nelle mail delle mosse di apertura come “ Gentile docente” e significa che c’è un problema rispetto alla concettualizzazione dell’oggetto alla quale quella persona si sta rivolgendo. Perché per esempio quando il padre si designa in un contesto non letterario o se si parla in terza persona si dice padre ma in altro contesto, a seconda delle tradizioni locali lo si chiama papà o babbo. Dunque se si chiama il docente in aula professore quando si scrive si deve capire se scrivere caro docente o caro professore. Poi ci sono le variazioni come “Salve prof”. Questo è un esempio di base per dire che “professore”, “lezione”, “imprevisto”, il saluto cordiale sono concetti. La nostra mente fa agire la nostra mano quando scrive o la bocca quando parla in base a concetti che noi abbiamo nel pensiero. Sono concetti prima di essere metalinguisticamente definiti come nome, aggettivo, verbo ecc.. Questi concetti devono essere messi in relazione tra loro, queste relazioni sono chiamati ANELLI DI CONGIUNZIONE. Tutti questi concetti che formano un unico testo devono essere collegati tra loro e come ha citato più volte: quando Manzoni scrive i Promessi sposi lui mette assieme la prima parola del romanzo con l’ultima e tutto si lega. Questi concetti non sono tutti uguali fra loro: nel testo molto semplice del cartello stradale SLOW CHILDREN AT PLAY. C’è un concetto d’oggetto ossia i bambini (CHILDREN) ed il concetto di giocare (AT PLAY) che è un concetto d’azione. Se invece direbbe ATTENZIONE, BAMBINI ROTONDI, la rotondità appartiene ai concetti che ho in mente ma non sarebbe un concetto d’azione. Quindi nel testo noi dobbiamo essere in grado di vedere questi elementi. Nei testi inoltre dobbiamo vedere anche qualcosa che riguarda la CAUSALITà. L’esempio molto facile che porta il manuale è “ Gianni è caduto e si è rotto la testa” e scatta l’esigenza sul piano della coerenza di rendere chiaro il nesso di causa tra l’oggetto e l’altro o altri oggetti. Detto in altre parole, non si può a cuor leggero non esplicitare i nessi causali all’interno del testo perché si farebbe un “torto” al destinatario del testo e anche al fatto che il testo dev’essere un’occorrenza comunicativa. (Se non ti comunico quello che ti voglio comunicare attraverso il testo allora il testo è fallace, fallendo nella sua funzione principale). Quindi nella frase “ Gianni è caduto e si è rotto la testa”, c’è un evento che è il CADERE che è la causa della rottura della testa. Invece per esempio nella poesia di Guido Gozzano “Le fronti al vetro, chini sulla piana, seguimmo i neri pipistrelli, a frotte; giunse col vento un suono di campana, Questa bellissima poesia non è di facilissima fruizione ma in realtà Gozzano vuole dire qualcosa e in questo testo c’è anche il nesso causale. Quindi questo testo funziona come occorrenza comunicativa perché il nesso causale è visibile riflettendoci un po’. Gli oggetti sono perspicui, le relazioni tra i concetti e gli oggetti sono rintracciabili. Il nesso causale è il fatto che il suono di campana giunge più facilmente non soltanto perché c’è il vento ma perché chi sta parlando in questo testo, forse bambini, hanno le fronti appoggiate al vetro. Quindi in base alla nostra competenza enciclopedica stiamo costruendo nella nostra mente una scena: in cui ci sono dei bambini con le fronti sul vetro e che quindi presumibilmente sono in una casa in un contesto abitato perché se c’è una campana sarà probabilmente un piccolo paese e il fatto di avere le fronti al vetro favorisce la possibilità di udire il suono di campana. Quindi Gozzano ha voluto creare una coerenza sebbene non abbia esplicitato l’elemento che rende coerentemente possibile l’evento che sta in fondo al testo. Quando invece si parla dell’esempio di Gianni, è chiarissimo l’evento che ha causato la rottura della testa, cioè la caduta. Gozzano non esplicita e fa un gioco sul piano della coerenza, creando qualche difficoltà al lettore sul piano della comprensione della coerenza. Ancora di più quando queste relazioni non comprendono le possibili causalità, la coerenza diventa difficile sul piano della fruibilità. Questo lo dimostra il seguente esempio: “ Volpe, tu hai rubato l’oca! Portala di nuovo qua, sennò il cacciatore collo schioppo a prenderti verrà” Qui si deve osservare che il “venire a prendere” non si lega sul piano della causalità con il concetto del rubare, nella misura in cui lo era l’esempio di Gianni. Quindi attenzione, quando diciamo c’è il nesso causale, cioè questo è reso possibile da questo nesso causale, quest’ultimo che tanto serve per la coerenza verbale non sempre è rinvenibile. Nell’esempio di Gianni il nesso è chiarissimo, ma il fatto che il cacciatore verrà a prendere la volpe non è reso possibile dal furto dell’oca: le due cose non sono collegate e la relazione non è così perspicua come nel primo esempio. Quindi c’è un problema di coerenza perché la relazione tra i concetti non è perspicua. In questo caso non si deve usare il termine di CAUSALITà ma c’è un altro elemento che è la RAGIONE. È un termine del metalinguaggio che a pieno diritto fa parte di questa terminologia e si usa per relazioni come nell’esempio. Un altro è esempio è “ Il padrone manda fuori Jockel, che deve tagliare l’avena” L’azione del padrone rende possibile quella di Jockel, perché è grazie a quello che il padrone fa che Jockel esce, va a tagliare l’avena. Ma c’è un enorme differenza tra gli esempi che sono stati fatti prima, perché in questo esempio è come se ci fosse un progetto, il progetto di chi deve fare l’azione. Ed è un informazione di grande rilievo perché c’è qualcuno che vuole mandare fuori qualcun altro e qualcuno che deve tagliare l’avena. La differenza con il primo esempio è che cadere e rompersi la testa non è stato progettato, non c’è nemmeno una ragione. Quindi la coerenza decresce nella sua rilevabilità da quello più esplicito che è la causalità al meno esplicito che è lo SCOPO. Un altro elemento importante da rilevare è IL TEMPO, utile per capire se il testo è coerente. Provate a scrivere un testo qualunque e vedete che nella revisione che ne andate a fare, uno dei problemi più rilevanti è quello di incastrare tra loro le sequenze temporali. Non a caso può esserci una difficoltà nel definire quella che si chiama consecutio temporum. Quella che è la condizione temporale si deve essere in grado di rilevare nel testo e di saperla costruire e metterla in atto. La coerenza è il risultato dell’unione, collaborazione di tutti questi elementi: causalità, ragione, scopo, l’agevolazione. Quando si ha un testo come: il re stava nel suo ufficio a contar tutto il suo denaro la regina stava in salotto a mangiare pane e miele la cameriera era in giardino a stendere i vestiti arrivò un merlo e con una beccata le strappò il naso. Qui ci si potrebbe chiedere dov’è la coerenza? Dov’è la causalità? Dov’è il tempo, lo scopo e l’agevolazione? Non si ha in questo testo nessuna condizione che permetta di capire che il re e la regina fossero nello stesso momento uno a contare i soldi e l’altra a mangiare. Lo se ricava dalle nostre competenze di lettori, che si hanno delle sequenze in questo modo è perché c’è una contemporaneità. Ma dal punto di vista tecnico non ci sono elementi che fanno capire che questi eventi avvengono contemporaneamente. In questo testo si trovano delle azioni come “contare, mangiare, stendere i panni” e le relazioni che si ricavano da questo testo sono le relazioni che ci suggerisce la LOCALIZZAZIONE, sappiamo che il re era nel suo ufficio, regina in salotto e la cameriera in giardino. Quindi la coerenza è perspicua perché fornisce la localizzazione. Mentre nell’esempio di Loretta Strong uno dei problemi era la difficoltà di localizzare l’evento. L’altra informazione che noi ricaviamo dall’esempio del re, regina e cameriera è quello dell’AGENTE, cioè colui che compie l’azione e quindi anche questo contribuisce alla coerenza complessiva del testo. Un altro elemento che contribuisce alla coerenza del testo è l’OGGETTO DELL’AZIONE. In questo testo c’è sempre l’oggetto dell’azione: i panni da stendere, i soldi da contare, il pane e il miele ed il naso che il merlo porta via. Elementi che consentono, seppur ne mancano altri, di dire che il testo ha una sua coerenza. Tuttavia è difficile rilevare in questo testo che le azioni hanno uno scopo, quindi lo scopo contribuisce alla coerenza e quando manca si dice è più difficile dire che il testo sia coerente. Se mancano quindi alcuni elementi come per esempio ragione o causa, la coerenza seppur “danneggiata” il testo resta ugualmente comprensibile: un elemento di coerenza deve esserci sempre sennò manca l’occorrenza comunicativa. A volta quando questi elementi di informazione non sono contenuti nel testo, siamo noi a farlo coerente attraverso i processi di INFEREZIAZIONE. Quest’ultimo è il processo cognitivo che mettiamo in atto quando nel testo non c’è l’informazione esplicita che ci permette di capire qualcosa. A questo proposito si fa appello a quelle che sono le preconoscenze. Questa è una scheda delle altre attività formative, nella parte di sinistra c’è scritto “ prenotazione richiesta” e quindi segue con sì, all’indirizzo ecc. Nell’oggetto specificare “Rassegna..”. Quindi lo studente interessato a quest’attività avrebbe dovuto mandare una mail così come indicato. (VEDI FOTO) Mostra alcune risposte che gli sono arrivate: (VEDI FOTO) Qui lo studente ha scritto la mail nell’oggetto. Ha usato questi esempi per dire che non bisogna mai dare per scontata la competenza metatestuale, che mette il producente del testo nella condizione di saperlo fare. Ci può strana, perché uno non se lo aspetterebbe che uno così, un po' al di sopra delle parti, di riconoscere in qualcun altro un modello subliminale, cioè qualcuno che mi ha ispirato anche se non l'ho mai mostrato apertamente. Allora vedete che la coesione e la coerenza hanno una caratteristica che condividono, ossia sono elementi della testualità che sono incentrati sul testo in quanto tale, noi possiamo dire che un testo è coeso ed è coerente semplicemente avendolo avanti e leggendolo e non abbiamo bisogno di sapere cosa accade al di fuori del testo; nel momento in cui noi vediamo la coesione e la coerenza guardiamo il testo, ci sono tuttavia altri elementi che servono a completare l'occorrenza comunicativa che fanno riferimento al mondo extra testuale, uno di questi elementi lo chiamiamo intenzionalità, questo è il terzo criterio della testualità, viene subito dopo nella scala di importanza, qualcun altro non la pensa così, ma nella scala di importanza concepita da Beaugrande e Dressler, l'intenzionalità è ciò che si riferisce all'atteggiamento di colui che produce il testo, come dire “che intenzioni hai? Che intenzione aveva quando ha prodotto questo testo? Perché ha scritto questo testo?”, voi capite che quanto questo diventi difficile e in qualche caso anche improponibile, quando ci troviamo di fronte, magari, a quei testi che fanno riferimento alla tradizione del nonsenso, in cui quasi si respinge l'ipotesi di analizzarli e di restituirli ad una qualche ragionevolezza. Ci sono dei testi di fronte ai quali si dice: “Ma dai questi non sono testi suscettibili di essere analizzati, questi sono testi che si accettano così com'è” e la loro finalità può essere far ridere, commuovere, oppure lasciare una sensazione di stupore che mi lascia sospeso; questo lo posso accettare, ma se voglio fare un'analisi completa della testualità devo provare anche a mostrare se quel testo soddisfa le condizioni di intenzionalità che noi dobbiamo rilevare in qualunque oggetto testuale. Possiamo poi dire che l'intenzionalità è più o meno rilevabile, però quanto meno il tentativo va fatto e l'intenzionalità è quel parametro che riguarda l'atteggiamento di colui che produce il testo, che deve avere l'intenzione di formare un testo, che sia coeso, coerente e che possa risolvere queste sue intenzioni, possa soddisfare queste sue intenzioni, ossia deve far arrivare agli altri le conoscenze di colui che lo produce e queste conoscenze devono riuscire a realizzare il progetto che quel testo costituisce, devono rendete chiaro il fine per cui quel testo è stato costituito. Vedete sto parlando di chiarezza, di fine, di progetto, e che cosa c'è a monte di chiarezza, fine e progetto se non l'intenzionalità di chi produce il testo, (come del resto l'intenzionalità di chi produce una casa, se io costruisco un palazzo, se sono un architetto o un'ingegnere, devo avere il progetto, un fine. Se costruisco un edificio con finalità abitativa, allora devo progettare bagno e cucina, se invece costruisco un museo, gli impianti della cucina non li metterò, ed è lo stesso con il testo, io devo avere un'intenzione quando realizzo un testo. Spostiamoci in materiali didattici nel quale troviamo un testo che si chiama “SIO RANA”. Questo è un disegnatore e autore di testi di questo tipo, si chiama Sio (nome d'arte con cui è conosciuto) e la caratteristica di questo autore che soprattutto in anni recenti, ora non so se ancora, però, ha avuto una ragguardevole discussione sulla sua produzione; il fatto è che questi testi sono spesso letteralmente incomprensibili. Chiede agli alunni cosa pensano del testo. (VEDI FOTO) INTERPRETAZIONE PRIMO ALUNNO: “Da ciò che ho compreso c'è questa rana che aveva una figlia e la mia conoscenza enciclopedica mi porta a pensare che questa rana sia ancora più vecchia della figlia che ha 90 mila anni. Un giorno questa rana, che dovrebbe essere la madre di 90mila anni muore d'infarto e nessuno ha parlato più di lei. Nell'ultimo riquadro abbiamo il nonno che sottolinea il fatto che nessuno ha parlato più di lei, il nipote si lamenta di questa storia che è terribile e il nonno invece gli dice che ora gliene racconta un'altra.” INTERPRETAZIONE SECONDA ALUNNA: “Dal punto di vista del senso della storia sono d'accordo con il mio collega, nel senso che non dice qualcosa di diverso, però mi porta a pensare che lo scopo di questo testo non sia quello di raccontare la storia della mamma della rana di 90mila anni, ma penso che sia un testo allegorico, credo, perché quando dice nessuno parlò più di lei, mi viene da pensare che nessuno non sia riferito al senso di nessuno ne abbia parlato, ma al nome di qualcuno che ha raccontato questa storia che si chiama nessuno.” INTERPRETAZIONE TERZA ALUNNA: “Io sono d'accordo con il primo alunno, nel senso che è una storia raccontata dal nonno al nipote, che però a lui non piace.” Il professore chiede chi fosse Nessuno, lei risponde “Nessuno è questa rana che è morta.” Per un'altra studentessa nessuno è il figlio, una volta che la mamma fosse morta, il figlio avrebbe raccontato questa storia che poi si è tramandata e appunto il nonno la racconta al nipote, altrimenti non avrebbe senso. Se nessuno parlò più di lei, allora la sua storia non potrebbe essere stata raccontata. INTERPRETAZIONE QUARTA ALUNNA: “Io penso che sia il nonno che racconta al bambino questa storia, e che nessuno non sia riferito alle persone che non hanno più raccontato la storia, perché altrimenti come faceva il nonno a conoscerla?” Non abbiamo la pretesa di fare l'analisi di questo testo, che sembra una cosarella, in realtà è un testo sul quale si può ragionare a lungo, vi assicuro che i testi che produce Sio sono come quelli che producono i rapper quando fanno le gare, non è che si preparano le cose, ma parlano in modo velocissimo, dicono delle che hanno anche un senso e che non è che hanno preparato, questo lo facevano anche i cosiddetti improvvisatori del 700 che erano capaci di andare avanti anche per ore a parlare in modo velocissimo, a creare cose di cui non c'è traccia scritta perché erano delle esibizioni che stupivano fortemente per la capacità di creare delle lunghissime testualità in rima, su argomenti che venivano suggeriti al momento. Sio è in grado di realizzare a ripetizione, anche in pubblico, lavori come questi, di fronte ai quali, la maggior parte di chi li legge dice che li diverte, non hanno un senso o un significato, il fine qual è? Noi potremmo legittimamente dire che l'intenzionalità è quella di far ridere, quella di lasciare un senso di sospensione, che il progetto di limita a questo. Capite che di fronte a questo ci sarebbe una nostra tolleranza (ricordate questa parola) molto ampia rispetto al testo, cosa significa? Pensate a quanto siamo tolleranti continuamente quando qualcuno ci dice “dove stai andando?”, e noi diciamo “ah, beh sai, no vabbe dai lascia perdere, okay dai, sto andando a casa.” Alla fine di tutto questo che io ho detto, ho dato come informazione precisa, sul piano dei concetti, delle azioni, delle relazioni, che sto andando a casa, però io ho dato tante altre informazioni che sono passate attraverso la mia esitazione, le pause, anche quello è informativo. Noi siamo disponibili ad essere tolleranti quando parliamo e a volte questa tolleranza la spostiamo anche nei testi scritti. L'esempio che fa il manuale è che si dice: “allora in quale quartiere abiti?”, se noi dobbiamo scrivere un testo molto letterariamente preciso, chiediamo “allora in quale quartiere abiti?”, ma se vogliamo mostrare che c'è un'esitazione diciamo “allora dove...in quale quartiere abiti?” cioè imitiamo il parlato, nel quale siamo molto più disponibili ad accogliere queste pause, difficoltà, esitazioni, questo si chiama tolleranza. Rispetto ad un testo, come quello che abbiamo appena visto di Sio, la nostra tolleranza è molto larga, siamo talmente tolleranti che accettiamo che non ci sia uno scopo, una causalità, l'agevolazione e ci accontentiamo di tutto questo, dicendo che tutto sommato questo testo è coerente. Vi faccio notare una cosa, una cosa che abbiamo fatto tutti, l'ha fatto il primo alunno leggendo, mostrando immediatamente la sua competenza enciclopedica rispetto al frame generalissimo del quadro al quale noi riferiamo questo testo, fate attenzione, lui ha letto le prime due vignette in alto, non è che ha letto prima quella dove stanno le due rane e poi quella dove c'è il personaggio con la testa in primo piano, quindi noi abbiamo desunto da questo che il vostro collega sa preliminarmente che questo tipo di testo si legge in quel determinato modo, probabilmente se noi fossimo giapponesi non l'avremmo letto così e quindi, già qui noi diamo un'informazione sulla nostra competenza e al tempo stesso mostriamo di aver individuato un elemento di coerenza, abbiamo deciso che si deve leggere con quella frequenza: Diciamo che siamo sicuri di questo, poi quale altro elemento di coerenza potrebbe esserci in questo testo? Qui c'è veramente come una sorta di chiasmo, cioè di X, una struttura incrociata, dove la seconda vignetta in alto si corrisponde con la prima vignetta in basso, con la quale l'una e l'altra abbiamo un elemento figurativo e un elemento testuale descrittivo, da questo punto di vista la simmetria è pressoché perfetta, anche nella prima vignetta, nell'elemento dell'incrocio, e dunque l'ultima, non a caso sono le più distanti, una è la prima che apre e l'altra cognitivamente chiude, eppure come vedete, queste due vignette sono fortemente connesse tra di loro perché in entrambe ci sono due personaggi, e badate bene il personaggio piccolo è giallo in entrambe le scene, e il personaggio grande sta a destra in entrambe e ha gli occhi più grandi e visibili. Dire che sia tutto un nonsenso questo testo risulta difficile, come da suggerimento da parte di chi vuole fare un'analisi anche superficiale di questo testo; poi certo, se noi andiamo a vedere quelli che sono gli elementi ancora di coesione e coerenza interni al testo, abbiamo degli altri elementi che creano qualche suggestione in vista dell'analisi e intanto noi abbiamo accertato in qualche modo che una rana verde che aveva un milione di anni era ancora in forma come sua figlia che ne aveva 90 mila, vi invito a notare quanto sia assurdo questo testo, tuttavia, noi lo abbiamo accettato. Che una rana sia verde, tutto sommato noi lo sappiamo, noi abbiamo accettato questo, ma io rane verdi in questo disegno non ne vedo, eppure noi l'abbiamo accettato, ragazzi io vedo una bella rana gialla, certo c'è una rana verde, ma noi abbiamo accettato una precisazione che non era dovuta, perché se le rane sono verdi, allora perché viene detto che la rana è verde, e poi, tutto sommato, questa rana proprio verde non è, direi più che altro che è grigia, è verde la foglia su cui è foggiata. Poi accettiamo che una rana avesse un milione di anni, ma ancora più curioso è accettare che la figlia ne avesse 90 mila, cioè la rana madre ha fatto la figlia quando aveva 910mila anni, come dire, è un po' curiosa questa storia, non funziona tanto bene. Poi un giorno la rana muore di infarto, attenzione, quale rana morì d'infarto? Perché il testo qui dice, questa rana, ma lì le rane sono due e si parla di due rane, allora sì, certo, noi potremmo dire, beh la rana grande, è ovvio, morì d'infarto, ma non è detto, potrebbe essere stata anche la rana piccola, la figlia che aveva 90 mila anni. Nessuno parlò più di lei, qui viene fuori in primissimo piano, questo personaggio, chi è nessuno? “Nessuno ha parlato più di questa cosa”, è un costrutto ricorrente, non è una polirematica in senso stretto, ma è ricorrente, nessuno più ne parla, invece qui, Nessuno, potrebbe essere il nome proprio di persona, che poi era il nome di Ulisse, Odisseo, che significa nessuno, e dire “nessuno parlò più di lei” è come dire “Nessuno ne ha parlato ancora di più di lei”, di lei chi? Bisogna vedere. Poi fate caso, c'è un altro elemento, che è difforme da quelli che noi abbiamo visto precedentemente, perché il NESSUNO che pronuncia il personaggio più grande, è fatto con un carattere di verso da quello degli altri, gli altri hanno un carattere ben fatto, ben disegnato, invece quello è proprio un urlato, imita molto più il parlato, significa anche che l'altro testo, quello scritto bene, quello meno disordinato, fa riferimento alla dimensione testuale, cioè ai tipi testuali: “C'era una volta, nessuno parlò più di lei”, ci dà un'informazione che ci fa collocare immediatamente questa testualità all'interno di una cornice di testuale a noi già nota nelle nostre competenze enciclopediche, e poi cosa dice il personaggio? “E invece ora te ne racconto un'altra”, e cosa significa questa cosa, te ne racconto un'altra, di cosa? Visto che un'altra è contenuto nel testo stesso, questo un'altra fa riferimento alla storia raccontata nel testo stesso o a qualcosa che sta fuori da questo testo. Vi ho fatto l'esempio di un testo molto semplice, che ci fa sorridere, queste storielle che ci ricordano un po' quelle di Sciajola destinate ai bambini, ma non appena cerchiamo di mettere le mani anche soltanto nel livello di superficie, ci rendiamo conto che ci sono delle difficoltà, andiamo in crisi perché non riusciamo a spiegare dei fenomeni; per questo si dice che è necessario anche un altro criterio, della testualità che è quello dell'accettabilità, cioè il testo deve essere accettabile, vedete l'accettabilità è l'altra faccia dell'intenzionalità. Da una parte abbiamo l'intenzionalità che è il fine, il progetto, lo scopo che soggiace alla condizione del testo, quindi l'intenzionalità è di chi produce il testo, e poi però questo testo deve essere accettabile, tu non puoi produrre il testo per te stesso, altrimenti non avrebbe senso per produrlo, voi capite che un testo prodotto per se stesso è un testo che significa che non è un'occorrenza comunicativa perché probabilmente quanto meno non è accettabile. C'era un autore di teatro che diceva che le cose che faceva per il teatro, le faceva solo per la madre, perché la madre poteva capire quei testi e capire cosa lui volesse dire. Pensate, invece, lo sforzo che fa un altro autore che concepisce una messa in scena per la platea più vasta possibile, è vero che ha lavorato sull'intenzionalità, ma ha lavorato anche sull'accettabilità, cioè rendere un testo coeso e coerente anche dal punto di vista di colui che lo recepisce e in questa ottica l'inferenziazione, è fondamentale, ma io devo fare anche attenzione a non sottoporre i destinatari di un testo ad uno sforzo di inferenziazione eccessivo, non posso pretendere che il destinatario di un testo capisca per forza tutto, rendendolo opaco o quasi ostile in questa sua opacità, no devo lasciare qualche cosa. Il testo di Sio che abbiamo appena visto è accettabile perché quanto meno mi fa sorridere, piace ai bambini, ai ragazzini, può piacere anche non ce lo aspettiamo così com’è. Poi questo personaggio cosa fa? Si avvicina ad una cassetta con delle arance, ne prende una con un atteggiamento abbastanza lento, che accenna ad una solennità del comportamento, la avvicina al suo naso e sembra annusare il frutto. Ad un certo punto gli arriva un messaggio sullo smartphone e lo legge. Ora per quello che vi devo dire io mi fermo qui, perché? Quando il giovane che oggi vedesse questo episodio di una serie televisiva che ha questo nome (HIMYM sta per “How I met your mother”) che ha questa scena lì per lì non capirebbe molto, poi quando arriva il messaggio sullo smartphone avrebbe un’informazione che gli consente di capire qualcosa di quello che sta succedendo e che gli consente anche di ridere o di sorridere tanto è vero che mi pare di ricordare che nel filmato su questa scena del messaggio letto dal personaggio, scatta la risata automatica, la finta risata e lì lo spettatore, colui che sta guardando la scena ride, partecipa ma..si è perso qualcosa. Cosa si è perso? Il prof chiede se qualcuno è riuscito a vedere il video, ma nessuno è riuscito. Una collega suggerisce di cercare in “Materiale del corso” (su Microsoft Teams) la cartella “VIDEO VARI.zip”, cliccare con il tasto destro e poi su “Apri in SharePoint” e da lì scaricare facendo il Download. Allora che cosa sfugge di questo testo, di questo documento? Sfugge tutto ciò che il destinatario non può sapere se non conosce gli elementi intertestuali a cui gli autori della sceneggiatura stanno evidentemente riferimento. Questo ci deve far fare due ordini di riflessione. La prima è la più importante, cioè noi dobbiamo abbandonare l’idea che quando leggiamo un testo, quando siamo fruitori di un testo in ogni sua manifestazione abbiamo capito tutto. No, perché un testo semplice come questo ci dimostra che a noi è sfuggito un flusso di informazioni importantissime, ossia questa scena riprende, seppur parodisticamente, una celeberrima scena del primo episodio della serie “Il Padrino” con la regia di Francis Ford Coppola. Una fortunatissima iniziativa cinematografica che si chiamava appunto “Il Padrino”, poi “Il Padrino parte 2”, “Il Padrino parte 3”, ispirata dal libro di Mario Puzo, dove ad un certo punto (non vi parlo adesso del libro altrimenti apro troppi capitoli, vi parlo del film di Francis Ford Coppola) il protagonista del primo film che era Marlon Brando esce da una porta, passa davanti un negozio di frutta e verdura che sta sul marciapiede, sceglie un’arancia e la avvicina al naso, la annusa e mentre sta facendo questo alza gli occhi perché si accorge che sta per succedere qualcosa. Succede qualcosa di drammatico, ovvero arrivano due sicari che lo caricano con due scariche di colpi, cercano di ucciderlo evidentemente e il figlio Fredo, che avrebbe dovuto proteggerlo in quel momento è talmente imbranato che si fa cadere la pistola di mano e può solo constatare che il padre è a terra. Lì per lì non si capisce se è vivo o morto. È una delle scena apicali di questo film, dalla quale discenderanno tante conseguenze. Chi vede questa scena (quella che ho denominato ARANCE IN HIMYM) riprende pari pari quella scena (de “Il Padrino”) che se io non lo conosco mi sfugge completamente il flusso di informazioni che gli autori di “How I met your mother” avrebbero voluto trasferirvi. Vedete, quindi, questo è importante ai fini della testualità, in questo caso io sto facendo semplicemente riferimento alla intertestualità. L’altro punto che vi dicevo, perché uno è la perdita di queste informazioni, cioè il fatto che noi crediamo di aver colto tutto di una scena, non a caso poi nella scena parodistica non c’è la sparatoria perché la finalità della serie parodistica è quella di far ridere e non drammatica e quindi non c’è la sparatoria MA arriva il messaggio sullo smartphone e anche per questo gli sceneggiatori attivano la risata automatica, perché lì invece di raggiungere il picco di drammaticità c’è una liberazione rispetto all’attesa che possa succedere qualcosa di grave per chi ha visto o conosce “Il Padrino” e quindi mi faccio una risata liberatoria. Tutto questo, se io non conosco il libro di Mario Puzo o l’interpretazione di Marlon Brando nel film di Coppola, mi sfugge completamente, ossia mi sfugge un elemento della testualità che chiamiamo appunto intertestualità. Questo succede anche se io apro ìl video che si chiama “capitano” dove c’è il primo frame, questo giovane con la cravatta e camicia bianca. Domanda di una collega: Quindi è come se gli sceneggiatori di “How I met your mother” volessero ironizzare sulla scena de “Il Padrino”? E noi dovremmo essere in grado di capire, diciamo, la differenza tra chi ha visto il film e chi non lo ha visto in pratica, no? Risposta del professore: Allora, se ho ben capito lei mi sta chiedendo se l’intento degli autori di “How I met your mother” è quello di farci capire che stanno ironizzando. Si, certamente l’intento primario è quello di far capire che c’è una loro competenza, cioè loro stanno collocando la loro sceneggiatura ad un livello un po’ più alto di quello che può cogliere lo spettatore che non vede tutti questi riferimenti. Stanno dando una metainformazione ai destinatari, ma anche ai critici che è molto apprezzabile, in quanto stanno dicendo senza dirlo, con il loro linguaggio: “guardate che noi sappiamo fare anche questo, cioè noi facciamo anche parodia o comunque riferimento a capolavori della storia della cinematografia”. Che poi questo riferimento venga proposto in una cornice ironica, ma più che ironica direi parodistica, questo è un altro discorso. Certamente è un tentativo che fa appello alla nostra competenza. Tuttavia, e qui forse le rispondo in maniera più precisa,la nostra competenza non è determinante perché il testo di questo breve filmato che io ho ritagliato è comunque autosufficiente, ovvero anche lo spettatore che non conoscesse il riferimento a “Il Padrino” se lo gode tranquillamente e si fa la sua bella risata. Altri, invece, possono cogliere quel riferimento e chissà che non ci sia un ulteriore livello di riferimento che sfugga ancora di piú e questo può succedere. Interviene un’altra collega: Quindi diciamo che l’intertestualità non influisce sulla comprensione del pezzo del testo, non è fondamentale giusto? Risposta del professore: No, l’intertestualità non sempre…allora non si può dire in linea di principio che si possa prescindere dalla intertestualità, nel senso che io non colgo gli elementi intertestuali e quindi a prescindere da questo capisco sempre il testo. Questo in linea di principio non lo possiamo affermare. Tuttavia, ci sono testi che seppure quando contengono elementi di intertestulità non devono costringere il destinatario a conoscerli. Certamente ci sono dei testi che sono piú vincolanti dal punto di vista della intertestualità. Poi vado avanti altrimenti devo anticipare degli argomenti. Ci sono dei testi che sono piú vincolanti, abbiamo visto l’esempio di un testo che non è vincolante perchè gli sceneggiatori non possono vincolare la nostra fruizione di quel testo alla conoscenza del libro di Puzo o del film di Coppola, anche perché altrimenti i produttori chiuderebbero i rubinetti perché gli direbbero: “Bello tu puoi fare tutte le metaoperazioni che vuoi, puoi mostrare tutta la tua competenza tu sceneggiatore, tu e il team di sceneggiatori potete divertirvi quanto volete a fare riferimenti intertestuali, ma il livello base di fruibilità me lo dovete lasciare.” Nel senso che questo prodotto deve essere fruibile da questo tipo di platea e quindi il ragazzino di 13 anni o di 16 che vede questa serie, io vi confesso che non la conosco, però ho colto questo elemento perché mi è stato segnalato ma immagino che sia un prodotto destinato ad una fascia adolescenziale, immagino ma non so. Allora ovviamente dietro questo c’è la macchina produttiva che ti dice: “Questo è il target, tu puoi fare quello che vuoi ma il target deve essere rispettato.” Se il target non conosce “Il Padrino” deve comunque avere un testo che sia fruibile. Questo non se lo può consentire, e finisco di rispondere alla sua domanda, chi invece deve mantenere vincolati nell’ambito della intertestualità testi che sono inscritti dentro un codice obbligatorio come, per esempio, il codice stradale. Se io ho un testo che mi dice: “Stai attento qui ci sono dei bambini che attraversano la strada, rallenta”, probabilmente 5 km prima avrò avuto un segnale che mi diceva: “Puoi andare anche a 80 all’ora”altrimenti non si motiverebbe quello che successivamente dice “rallenta”. Anche questa è intertestualità, quindi io devo saper collegare i due testi fra loro; quindi sono livelli diversi più o meno vincolati. Nel testo con il nome “capitano” (il professore si riferisce al file video “capitano”), voi vedete che ci sono due personaggi, uno dei due alla fine di questi 20 secondi di video dice: “Capitano, mio capitano” e l’altro personaggio che sta facendo la parte del docente perché vedete sta in piedi alla lavagna, mentre l’altro sta seduto nel banchetto fa l’allievo, l’altro non gli chiede spiegazioni riguardo cosa ha detto, no, si capisce dal video che entrambi hanno già capito qual è il riferimento, di cosa stanno parlando e dicono qualcosa. Questo dire qualcosa, e torniamo anche un po’ alla domanda che ha fatto qualche minuto fa la vostra collega, vedete che quello che pronuncerà il professore non è vincolante, cioè la scena resta fruibile. Ovviamente è destinato questo testo a uno spettatore che conosca un po’ i codici, che sappia capire quando deve ridere, quali sono i sottintesi, che conosca questo genere, perché se tu non conosci nemmeno il genere non capisci nemmeno quando c’è la battuta. È come voler far capire la logica dei meme ad una persona che non sa cosa sia un meme oppure che non conosce l’evoluzione di quello si chiama meme negli ultimi dieci anni. Magari l’ha visto dieci anni fa ma se lo vede oggi gli sfugge un po’ la logica della evoluzione di questa micro testualità. Allora lì lo spettatore capisce cosa sta succedendo anche se gli sfugge il livello intertestuale, ma anche lì il livello intertestuale c’è perché se tu sai capire che quelle tre parole “Capitano, mio capitano” fanno riferimento ad un celeberrimo film il cui protagonista fu Robin Williams allora puoi capire che quella fu una delle scene più note del cinema del secolo scorso, dove ad un certo punto di fronte al professore che viene cacciato dal college per essere stato un po’ fuori dalle righe per aver proposto una didattica che non era quello statutario, nel momento in cui entra in aula per prendere le sue cose dall’armadietto è in corso la lezione del docente che lo ha sostituito, lui chiede il permesso al collega e quando sta per uscire dall’aula, sull’uscio, uno studente non ce la fa proprio e ricordandosi della straordinaria esperienza di apprendimento che hanno fatto, al di là della didattica in senso stretto con questo loro professore, sale in piedi sul banco e dice: “Capitano, mio capitano” evocando a sua volta una formula che loro si erano scambiati in qualche momento in cui l’incontro era stato particolarmente forte tra loro, forte anche dal punto di vista emotivo. Anche un altro studente si fa coraggio e sale sul banco ripetendo la frase, gli fanno un riconoscimento pubblico e altri continuano a fare questa cosa ed è una scena di una straordinaria intensità emotiva, che quando uno la vede non si dimentica mai più. Domanda di una collega: Volevo sapere..ma il film si tratta di “Carpe diem” con Robin Williams, no? Risposta del professore: Allora il film..la traduzione italiana è “L’attimo fuggente”. Quindi se io non ho visto quel film “L’attimo fuggente” mi sfugge una parte del flusso di informazioni importanti di questo lavoro. Stessa cosa nell’altro video, il terzo di questa piccola carrellata dedicata a “L’attimo fuggente” sempre di stampo parodistico è il video vedete intitolato “CAPITANO SUR”, mentre quello intitolato “CAPITANO ORIG” è il frame originale. Ce n’è un altro che vi voglio segnalare, questo forse è quello più difficile da cogliere nei suoi elementi che vanno al di là del livello accessibile a tutti che è quello intitolato “la scimmia è scappata himym”. Cosa succede in questo breve video? Ci sono i personaggi e ad un certo punto uno di loro dice: “La scimmia è scappata” e si vede uno scimpanzé che effettivamente gira in questa stanza , salta su un tavolino sul quale ci sono degli addobbi e in mezzo a questi vi è un modellino di un grattacielo e questo scimpanzé si arrampica sul modellino e arriva in alto. Adesso succede la cosa più geniale di questa scena che è veramente fatta benissimo, ovvero uno di questi personaggi, che tra l’altro è un personaggio secondario, fa un modellino di aereo di carta e lo lancia verso la scimmia. Allora è straordinario perché soltanto chi ha visto “King Kong”, film che risale agli anni ’30, era un film in bianco e nero e poi sono stati fatti dei remake, però il primo “King Kong” ha la sua scena centrale nel momento in cui King Kong, questo enorme gorilla che si è innamorato di una bellissima donna, della protagonista del film, prende questa donna, la cattura e comincia ad arrampicarsi sul’Empire State Building, questo grattacielo che è il grattacielo per antonomasia anche se è stato superato per altezza, in dimensioni da tantissimi altri edifici, però questo resta nell’immaginario collettivo ancora IL grattacielo per antonomasia. Questo gorilla si arrampica su questo edificio e quando è lì sopra, arrivano degli aerei che lo mitragliano per ucciderlo e lui cerca di scacciarlo. Questa scena è stata ripresa varie volte, anche ad esempio da un recente remake, un film dedicato a Gozzilla dove lui scaccia degli elicotteri che gli girano attorno. Insomma se uno non sa questo, non conosce l’antecedente si perde un sacco di cose. Allora in questa scena di “How I met your mother” (video “la scimmia è scappata himym”) si vede questo problema, cioè io non so e non so nemmeno di non sapere; quindi credo di aver capito tutto di questa scena e perciò nella prima lezione su questa piattaforma vi dissi c’è una scena di un film “La La Land”, di mi pare 3 anni fa che ha avuto l’Oscar, dove i personaggi entrano in una stanza e in questa stanza ci sono tantissimi oggetti. A memoria adesso ricordo una parete dipinta di blu, c’è un grosso poster con una figura, una donna, una celeberrima attrice degli anni ’50, adesso non ricordo bene, ma se uno non la conosce non la conosce, c’è poco da fare, quindi coglie il livello base ma non tutti gli altri riferimenti e chissà quanti riferimenti non ho colto io in tutti gli oggetti che lo scenografo, il fotografo di scena avevano voluto inserire in quella scena. Io ho colto soltanto la battuta che si sono scambiati i personaggi e quello mi è bastato per fruire a livello superficiale di questo film. Il settimo criterio della testualità che a volte è meno considerato, meno importante di altri, invece, oggi è importantissimo piú che mai ed è quello della intertestualità. L’intertestualità sulla base della definizione data da Beaugrande e Dressler riguarda i Adesso prendo questo, per esempio, dalla mia libreria e vi leggo questo attacco e poi faccio il passo avanti che vi avevo annunciato. Provate a capire a che tipo testuale si riferisce. “Un contadino aveva un cane fedele di nome Sultano, che era diventato vecchio e aveva perduto tutti i denti sicché non poteva più acchiappar nulla. Un giorno il contadino era sulla porta con sua moglie e diceva -Domani ucciderò il vecchio Sultano: non è più buono a niente- La donna che aveva compassione di quella bestia fedele, rispose: -Ci ha serviti onestamente per tanti anni! Potremmo ben mantenerlo per carità!-. -Ma che?- replicò l'uomo –tu sei matta: non ha più un dente in bocca, e non c’è ladro che possa averne paura; è ora che se e vada. Se ci ha servito, si è beccato in cambio i suoi buoni pranzetti.” E poi continua per un’altra pagina e mezza. Allora se io vi chiedessi che tipo testuale è questo? Il professore chiede ad una collega che tipo testuale è e lei risponde: “Credo che potrebbe essere un racconto breve.” Adesso io vado avanti perché se è un racconto breve e il libro è grande, sono 600 e passa pagine, e vi ho detto che è un racconto di meno di 2 pagine, allora è piu breve di un racconto breve. Passo a quello successivo. “Una volta un re cacciava in una gran foresta e inseguiva la preda con tanto ardore che nessuno dei suoi riuscì a tenergli dietro. Quando scese la sera il re si fermò e si guardò intorno e vide che si era smarrito.” Allora qui abbiamo già degli elementi in più, perché dov’è che ci sono i re? Nelle favole. Infatti, se io giro ancora la pagina, c’è un altro racconto che si chiama “Rosaspina” il numero 50. Qui l’attacco è inequivocabile. “C'era una volta un re e una regina che ogni giorno dicevano: "Ah, se avessimo un bambino!" Ma il bambino non veniva mai. Un giorno, mentre la regina faceva il bagno, ecco saltar fuori dall'acqua una rana che le disse: "Il tuo desiderio si compirà, prima che sia trascorso un anno darai alla luce una figlia." Non è Biancaneve, è Rosaspina perché queste sono le fiabe dei fratelli Grimm. Adesso voi pensate “ma che ha nella libreria il professor Manco?!” e invece queste sono cose importanti perché quando studieremo le cornici, gli schemi, i copioni, capirete perché queste sono cose importanti. Sono importanti, ben al di là della linguistica testuale, perché se non fosse stato per i fratelli Grimm, tutto quello che sta qua dentro, che sono centinaia di racconti che loro hanno raccolto e trascritto, di tutto questo non sapremmo più niente. Qui dentro ci sono cose che tutti noi conosciamo come Biancaneve, ma non è soltanto quello. DOMANDA: Mi chiedevo: è giusto dire che è una raccolta di favole? RISPOSTA DEL PROFESSORE: è una raccolta di fiabe. Se poi vogliamo andare più nel merito, potremmo parlare dei lavori di Propp. DOMANDA 2: a me sta succedendo una cosa, sempre collegata all’intertestualità. Sto leggendo un libro per un esame. La professoressa che lo sta spiegando ha detto che è difficile capire questo libro se non capiamo il pensiero in generale dell’autore. Sto parlando dei libri del professor Chambers. Il suo tipo di scrittura è difficile da comprendere e ci siamo resi conto che se non capiamo il pensiero e la posizione del professore, noi non possiamo capire i suoi libri poiché ci sono vari riferimenti esterni. Come si può definire in linguistica testuale questo fenomeno? Il fatto che la comprensione del testo sia collegata a questa cosa? RISPOSTA: io oggi provo, collegandomi a ciò di cui sto per parlare adesso, a risponderle. Provo a mettere insieme i pensieri e a darle una risposta e quando arriverò a quel punto le farò presente che sto per dargliela. Mi ha fatto una domanda che richiede una risposta complessa. Ci arrivo dunque tramite un ragionamento, portando avanti il discorso precedente. Comunque, la prima cosa che mi viene da dire è: immagino che il libro che sta leggendo sia in italiano (sì è in italiano). La prima cosa da vedere sarebbe se Chambers l’ha scritto in italiano o no. Lei sa che ad un certo punto, per esempio, Samuel Beckett passa a scrivere in francese. Bisognerebbe vedere dunque se Chambers, non italofono ma anglofono, ha scritto i suoi testi in italiano oppure no perché anche questo rientra nella risposta che ci dobbiamo dare. Diciamo che tutti questi criteri(coesione, coerenza, situazionalità, intenzionalità, ecc.) costituiscono i principi della testualità e sono dei principi regolativi. Essi devono rispondere a tre fattori: efficienza, efficacia e appropriatezza. Cioè, un testo deve essere efficiente, efficace e appropriato. Se non risponde a questi tre principi, significa che qualcosa non funziona. A questo proposito, nei materiali ci sono dei testi intitolati “Giovanardi”. Sono testi riguardanti scambi di mail tra docente e studenti. Analizzando queste mail, non dobbiamo più tenere in considerazione il soggetto che le scrive ma bisogna compiere un’astrazione, così come avviene tra il paziente e l’analista. Analizziamo il testo in quanto tale. Partiamo innanzitutto col dire che lo scambio di mail è una comunicazione mediata da computer (CMC). Quando analizziamo mail, le dobbiamo inserire nella macro casella che si chiama proprio così. Anche quando si scrivono le mail, si devono sempre tenere in considerazione i criteri della testualità. Ovviamente, al giorno d’oggi avviene in maniera diversa rispetto agli anni’80 quando, per mettersi in comunicazione con un professore, magari c’era bisogno di scrivere una lettera con carta e penna. Sulla CMC c’è molta letteratura e sono stati fatti vari studi, anche se comunque c’è ancora da fare. Si tratta di una testualità molto differenziata anche perché non si limita alle sole email ma si riferisce a tante forme testuali che sono mediate dalla competenza tecnologica. Essa ha strategie comunicative proprie che sono diverse da quelle che noi mettiamo in atto quando produciamo altri tipi di testo. Queste strategie variano anche a seconda del genere testuale che noi andiamo a praticare. Per quanto riguarda gli aspetti propriamente linguistici, invece, noi troviamo spesso in questa comunicazione dei tratti che sono invece tipici dell’oralità. Un altro tratto importante è il fatto che dobbiamo tener presente la distinzione tra sistemi di comunicazione che sono tipicamente sincroni (chat o messaggeria istantanea) e quelli asincroni. Questi ultimi, a differenza dei sincroni, non richiedono la compresenza dei protagonisti dello scambio, cioè dei due o più soggetti che stanno condividendo la comunicazione (forum, blog, mail). Un altro elemento è una sorta di percezione di una vicinanza comunicativa tra chi scrive la mail e il destinatario, che cambia in base a degli elementi che riusciamo a cogliere nei testi stessi. Vi sto parlando del fatto che possiamo studiare un corpus di mail dimostrando che ci sono degli elementi che meritano di essere commentati dal punto di vista della testualità. Intanto vi volevo dire che in questi giorni ho ricevuto una mail che si concludeva in questo modo: “scuso il mio divulgarmi sulla questione” questa conclusione mi ha colpito. Perché ha scritto così? Ho provato a darmi una spiegazione e sono giunto alla conclusione che forse voleva usare un termine di registro un po’ più alto e avrà pensato che “divulgarmi” potesse essere un sinonimo di “dilungarmi”. Un’altra studentessa, parlandomi di cose relative alla didattica, ad un certo punto ha scritto: “mi dispiace che in questi giorni la situazione si sia catapultata in questo modo” forse avrebbe voluto dire “la situazione si è capovolta in questo modo”. Non so se ha voluto utilizzare un termine, anche qui, secondo lei, di registro più alto. Ma è come quando quell’attrice disse che “a volte bisogna spezzare un’arancia a favore” pensando che si dicesse così e non “una lancia”. Prendiamo adesso gli esempi di Giovanardi. Il primo dice questo: “gentile professore Per l’esame di linguistica italiana specialistica di 6CFU è introvabile il libro. Come bisogna fare per trovarlo? Oppure esiste un altro libro che può sostituirlo?” Secondo esempio: “buonasera, mi sono prenotato per l’esame del 28. È il primo esame che farò. Potrebbe darmi qualche consiglio? Oltre a studiare bene i quattro volumi, si può fare qualcos’altro? Grazie” Terzo esempio: “sono sempre la ragazza che lavora all’aeroporto di Ciampino. Ho letto la sua email in cui mi diceva che devo fare per forza l’appello e le propongo una soluzione. Se venisse mia sorella a fare l’appello al posto mio e io le porto un certificato da lavoro, arrivando intorno alle 12.15- 12.30?”. Giovanardi, arrivati a questo punto, si chiede: si può trovare un libro introvabile? (1) Attenzione, noi non dobbiamo essere ingenui perché Giovanardi non lo è. Certo, vuole farci sorridere però in realtà vuole anche farci notare che, se tu mi chiedi di trovare un libro che tu stesso hai definito “introvabile”, dal punto di vista della comunicazione mediata dal computer e del testo in quanto tale, stai producendo un testo che presenta degli elementi di forte incoerenza. Quantomeno, non sei in grado di esplicitare tutto il tuo pensiero in un modo chiaro. Poi, Giovanardi continua: si può fare qualcos’altro oltre a studiare per bene i libri d’esame?(2) In questa mail si deve notare che c’è qualche elemento di incoerenza o comunque qualcosa che non funziona. La persona che ha prodotto questo testo non è stata capace di renderlo efficiente, effettivo e appropriato. (3) in questo caso, poi, le informazioni fornite sono poco pertinenti con lo scambio comunicativo. Già dicendo “sono la ragazza che lavora all’aeroporto di Ciampino” sembra un modo per potersi meglio identificare ma esistono tanti altri modi per farlo e il primo è sicuramente quello tradizionale di mettere nome e cognome. Arrivati a questo punto, Giovanardi apre una parentesi e dice che per scrivere un testo bisogna conoscerne anche i criteri di formularità. Cos’è? Raggruppa i criteri che dobbiamo padroneggiare quando abbiamo la pretesa di produrre un certo tipo testuale. Per scrivere un testo devo conoscerne le meta-regole, come per esempio l’attacco e la conclusione. L’attacco formulare di una email può essere “gentile professore”, “egregio professore”, ecc.. Quelle più utilizzate sono comunque poche. Se qualcuno mi scrive “gentile docente”, a me scatta il campanello d’allarme perché capisco che chi scrive ha poco presenti gli attacchi formulari del testo che ha scritto. Ricordiamo ancora che si tratta di informazioni tecniche e che non portano ad alcun giudizio sullo studente. Anche le formule di commiato sono poche. Essendo studenti di lingua, poi, sapete che queste formule vanno studiate anche in altre lingue e sapete che possono cambiare a seconda della persona a cui ci si rivolge. Ritornando agli esempi, nel numero (3), Giovanardi ci fa notare come ci sia un problema. Il mittente non può fare una richiesta del genere al destinatario dal momento in cui, quando un docente fa l’appello, è riconosciuto dalla legge italiana come pubblico ufficiale. Essere complice porta all’infrazione di una regola. Si tratta dunque di una comunicazione un po’ manipolativa. Quarto esempio: “Salve professore, sono Esposito Pasquale, studente di lettere del primo anno accademico. Le volevo chiedere quali dei due libri mi consiglia di comprare per il suo corso. In attesa di sua risposta le auguro una buona giornata.” Questa è molto interessante perché può sfuggire il sottotesto. Lo studente, infatti, senza esplicitarlo, sta facendo una sorta di domanda indiretta. Forse vuole comprarne solo uno oppure vuole comprane uno e l’altro vuole farselo produrre sotto forma di fotocopia. C’è qualcosa che non viene detto. Nel momento in cui si fa uno scambio con una persona, non si può omettere un’informazione. Se lo si fa, questo si deve rilevare nell’ambito dei sette criteri della testualità e anche in questo caso la comunicazione manca o in appropriatezza o efficacia o efficienza. Quinto esempio: “Buongiorno, mi chiamo XY e mi sono iscritto quest’anno. Ho veramente piacere nel seguire le sue lezioni. Ahimè, ieri e oggi non ho potuto assistervi in quelle tenute in aula 15 perché ho lavorato ed oggi compio un’opera di volontariato. Avrei piacere di chiederle se poteva accennarmi cosa aveva trattato in questi due giorni. La ringrazio in anticipo fiducioso che mi risponda. P.S. Ripensavo alle prime lezioni tenute da lei. Pensa che prima della Torre di Babele si parlasse una lingua sola? La Bibbia questo non lo specifica. P.S.2 Ho scritto un libro. L’ho stampato. È breve e gradirei farglielo leggere. Se poteva darmi qualche dritta: ampliare i discorsi, modificare i registri, ecc. o da chi potevo farlo pubblicare” Andiamo a vedere in questo testo dove sono le incongruenze … non dico sul piano della coesione perché la del bambino e gliel’hai mandato lontano”. È un’informazione che noi potremmo ricevere successivamente e che stravolge o disorienta la nostra aspettativa. Facendo un confronto tra gli esempi, nel secondo caso è successa anche un’altra cosa: stiamo dando per scontato che colui che viene acclamato dagli spettatori è l’uomo che colpisce il pallone. In questo esempio, però, questo tipo di informazione è sparita del tutto. Non a caso, ci sono delle lingue che sono vincolanti da questo punto di vista e in cui è impossibile eludere questo tipo di informazioni (tramite l’obbligo di inserire i pronomi, per esempio). Nella lingua italiana no. L’esempio può cambiare ancora: “L’uomo colpì il pallone. Gli spettatori acclamarono il promettente esordiente” In questo caso le informazioni si completano un po’. Tuttavia, se volessimo essere pignoli, potremmo chiederci chi sia il “promettente esordiente”. I testi, tra l’altro, sono studiati anche da parte di chi si occupa di letteratura che però non ha le stesse preoccupazioni dei linguisti. Ci sono anche altre analisi, come quando prima parlavamo dell’esempio delle favole. Vladimir Propp, ad esempio, ha dimostrato che la fiaba è un tipo testuale che, in maniera apparentemente inspiegabile, si può riproporre in territori vasti, dove le distanze si contano in migliaia e migliaia di chilometri e dove la tradizione fiabistica si ritrova in distanze temporali che sembrano risalire a millenni addietro. E viene da chiedersi: come è possibile che una stessa fiaba si ritrova nell’estremo est della Siberia così come nell’Europa slava? Propp ha dimostrato che il mitema cammina. Il mitema è una sorta di scheletro che si riproduce continuamente, si stabilizza nelle tradizioni narrative arcaiche e che si ritrova su territori vastissimi. La distanza apporta solo lievi modifiche. Questo è un altro modo di analizzare i testi e ci dimostra che se vogliamo conoscere la fiaba, dobbiamo conoscere anche le annotazioni antropologiche della testualità. C’è da sapere che se una testualità si produce in un contesto, la si può capire solo se si conosce il contesto stesso dal punto di vista antropologico. Se così non è, non si possono analizzare i testi che si producono all’interno di quel determinato contesto. Se io non conosco una certa lingua, probabilmente ho difficoltà ad esprimermi o a far arrivare il mio pensiero più profondo in modo ordinato al mio destinatario che ha un’antropologia diversa. C’è stato un grandissimo antropologo, nel ‘900, che si chiamava Ernesto de Martino. Egli ha dimostrato scientificamente che le vicende di cui erano oggetto le cosiddette “tarantolate” nella Puglia meridionale non avevano niente a che vedere con esorcismi e cose varie. Erano parte di uno schema comportamentale che de Martino ha sempre saputo restituire scientificamente alla collettività. Ha saputo, cioè, dimostrare che queste donne che sembravano impazzire e che per essere calmate avevano bisogno dell’esorcista, in realtà stavano comunicando qualcosa di molto preciso e che aveva un significato ricorrente. Se non si appartiene a quell’antropologia, quel significato non arriverà mai. Non si ha accesso a tutte le informazioni che quel contesto cerca di trasmettere. DOMANDA: La comunicazione mediata da computer contiene anche l’analisi dei linguaggi dei social network? RISPOSTA: certamente, perché comprende comunque quelle forme di comunicazione che non si creano tramite l’utilizzo del computer. L’etichetta ormai si è cristallizzata poiché si è cominciato a studiare il fenomeno quando ancora non esistevano i dispositivi che ci sono adesso. 6ª lezione, 31/03/20 — Il professore spiega che oggi vuole seguire il manuale di Beaugrande e Dressler e, laddove necessario, si fermerà e chiarirà un dato passaggio che potrebbe risultare difficile. — Uno dei punti che vengono dati per scontati in questo corso (perché questo è uno dei punti che stanno alla base della riflessione sul testo, su come si scrive un testo, su come lo si concepisce), uno di questi punti è proprio quello che è avvenuto nella seconda metà del Novecento con quella rivoluzione (da alcuni accettata, da altri respinta, da alcuni vissuta come l’unica possibilità della linguistica di guardare avanti e di progredire, da altri vista come una sciocchezza), la rivoluzione che è nota come “linguistica generativa” o, per meglio dire, “grammatica generativa”. Spesso i linguisti stessi che insegnano la linguistica, quando si arriva durante il corso di linguistica generale a quelle pochissime pagine nei manuali generalisti in cui si descrive la grammatica generativa preferiscono saltare quelle parti, sia perché sono consapevoli che tu o sei un generativista - e quindi hai seguito l’evoluzione del generativismo dalla sua fondazione con il libro del nordamericano Noam Chomsky (che era dedicato alle strutture sintattiche, con poi l’evoluzione che lo stesso Chomsky ha dato alle sue prime riflessioni) - oppure non le conosci queste cose. Quindi spesso si salta questa parte dei manuali. Al tempo stesso può succedere che quando viene trattato il generativismo in tre/quattro pagine non è certamente facile sintetizzare di cosa si tratti. C’è un punto nel manuale dove si nomina un autore il cui nome è Igor Mel’čuk (l’ascendenza è slava). Mel’čuk è stato qualcuno che, quando ha riflettuto sulla testualità ha preso una strada originale e autonoma. Il professore legge il passaggio su Mel’čuk nel manuale a pagina 43, paragrafo 38. Non si può capire fino in fondo il senso di questo paragrafetto se non si ha presente quello che è successo da quando è nata la grammatica generativa. Prima però devo dirvi che qui Mel’čuk parla di qualcosa che ha fatto sempre paura, in particolare alla linguistica del Novecento: il significato. La linguistica del Novecento ha preferito dedicarsi ad altre cose: moltissimo spazio è stato dato alla fonetica, un po’ alla fonologia (non con la stessa portata con cui è stata affrontata la fonetica). Ma il significato fa paura, perché se il suono lo senti (è qualcosa di tangibile, è il significante non a caso) ed è qualcosa che puoi addirittura misurare se hai gli strumenti atti a fare questo, il significato no (non lo vedi, ti sfugge, non lo misuri, lo puoi descrivere, ma mentre lo descrivi ti rendi conto che te ne sfuggono delle parti). Allora i linguisti hanno detto: il significato non soddisfa quell’esigenza di rigore scientifico che ci può offrire qualche altro ambito del linguaggio, quindi nel Novecento ci si è dedicati molto meno al significato. Quindi qui Mel’čuk sta dicendo una cosa forte: noi dobbiamo capire come il significato si converte in testo. Attenzione anche ad un altro aspetto della questione. Avrete notato come io, più di una volta, ho parlato di discorso. Quando si parla di discorso bisogna tener a mente che questa parola può essere l’esito dell’italiano della traduzione di una sorta di calco a monte, che però non significa necessariamente discorso nel senso dell’eloquio (come lo intendiamo noi), ma può significare qualcosa che ha più a che vedere con il testo scritto. Quindi quando noi troviamo la terminologia, quando ci imbattiamo in termini (in questo caso dello studio della testualità), dobbiamo sempre capire se sono termini nati in contesto italiano oppure sono prestiti (che in qualche modo possono metterci fuori pista). In ogni caso “discorso” fa riferimento anche al testo scritto, ma non dobbiamo escludere anche il discorso parlato, quello a cui noi più strettamente facciamo riferimento. Volevo dunque dirvi di questa ambiguità del termine, a seconda che sia (ripeto) nato in contesto italiano oppure no. Non a caso Mel’čuk dice “attenzione”, perché, come si può intuire da questa affermazione (ossia che dobbiamo capire come il significato si correli al testo) allora questo ci fa anche capire che molto di quello che noi facciamo in termini di testualità, molta della nostra produzione, non è altro che un sistema parafrasante. Che significa? Significa che noi procediamo per parafrasi, facciamo continuamente delle parafrasi. La parafrasi è un modo di spiegare un testo mediante delle circonlocuzioni, cioè io lo dico in modo diverso. Cerco di dire quello che significo con altre parole, comincio a girare attorno al termine che devo parafrasare, che devo spiegare. Quindi tutto sommato noi non riusciamo quasi mai (o riusciamo con grande difficoltà) a portarci al significato autentico della parola; questo non riusciamo a farlo mai con piena soddisfazione, perché ci troviamo il più delle volte a parafrasare. E quindi quando parafrasiamo facciamo degli ampliamenti del significato, modifichiamo il significato, aggiungiamo o sottraiamo qualcosa; facciamo qualcosa che modifica quel testo. Quindi la parafrasi è alla fine l’esposizione di un testo che può essere semplificato o può essere adattato alle esigenze del momento. Oppure, se stiamo scrivendo, la parafrasi è l’esito di un adattamento che noi pensiamo che possa rendere più agevole il compito di colui a cui il testo è diretto, ossia del lettore. E quindi cerchiamo anche di fare attenzione a quello che è il contesto, a quelle che sono le circostanze in cui il testo dovrà essere usato e quindi il destinatario. Dunque noi facciamo continuamente questa operazione di parafrasi, riformuliamo il significato di una parola, di un sintagma, di un’intera frase. Operiamo questa riformulazione spesso con degli indicatori di parafrasi, che sono delle espressioni ricorrenti come ad esempio: “in altre parole”, “per dire diversamente”, “per dirla altrimenti”. Stiamo quindi comunicando che stiamo cercando di dire la stessa cosa con altre parole. Ma il problema è esattamente questo: la stessa cosa con altre parole non la si dirà mai. Questo ci porta a fare un’osservazione che riguarda il livello pragmatico del linguaggio: noi dobbiamo notare che dal punto di vista pragmatico non sempre la parafrasi può avere la stessa forza espressiva del testo di partenza. Noi andiamo per parafrasare un testo e perdiamo qualche suo elemento espressivo. Quindi interveniamo, volendo o non volendolo fare, sul suo livello pragmatico. A volte invece la parafrasi serve proprio a rafforzare o ad attenuare l’intensità di quello che noi vogliamo dire. Ad esempio se io dico: “La tua indifferenza… anzi, per meglio dire, il tuo completo disinteresse rispetto a quello di cui ti sto parlando mi offende”. Io ho dato un indicatore di parafrasi (“anzi, per meglio dire”), però ho modificato in qualche misura il significato del primo termine. Quindi posso dire che la parafrasi può attenuare o aggravare, quindi qui siamo al livello pragmatico. La pragmatica nasce come settore della semiotica prima ancora che come settore della linguistica, che si occupava (e si occupa ancora) delle relazioni tra i messaggi linguistici e le circostanze in cui il messaggio si realizza. Quindi questo ci fa capire perché la pragmatica nasce all’interno della semiotica. La semiotica è la scienza dei segni, studia il segno in qualunque sua occorrenza. Noi siamo immersi in un mondo di segni, un semiotico vede attorno a sé segni. La pragmatica studia i rapporti tra i segni nel contesto in cui i segni operano. Questo ci fa capire perché questo viene chiamato pragmatica: perché i rapporti tra i segni attivano dei processi, sono processuali (cioè modificano lo stato delle cose). “Pragmatica” è qualcosa che ha a che vedere, nella sua origine greca del termine, con la prassi, con un verbo che suonava “prassein”, cioè fare. Quindi la pragmatica si occupa delle relazioni tra i messaggi linguistici e del contesto in cui questi messaggi realizzano lo scambio comunicativo. Quando si realizza lo scambio comunicativo inevitabilmente si stabiliscono dei processi, ad esempio il ruolo tra i parlanti; questa è pragmatica, questo è il livello pragmatico di una comunicazione. Oppure si stabiliscono le forme espressive che vengono condivise tra gli attanti (come avrebbe detto Greimas, ovvero coloro che parlano) su tutti i livelli (ovvero sul piano fonetico, morfologico, lessicale, sintattico, stilistico, testuale). Quindi io faccio passare attraverso tutti i livelli del linguaggio il messaggio pragmatico (cioè cosa sta succedendo in questo momento). E quindi, sulla base di ciò che sta succedendo, attivare l’adattamento, che può essere sia di restringimento che di opposizione, sia di accondiscendenza. Il professore legge il passaggio nel manuale a pagina 44, paragrafo 40. Da “Mentre le indagini…” fino a “…fondamenti autonomi”. Qui stanno parlando del paradigma trasformazionale. Questo voi lo troverete sempre, lo troverete come un implicito in cui si penserà che si sappia quale è questo paradigma trasformazionale, meglio noto come grammatica generativa. Non è certamente facile fare una sintesi. Voi sapete bene che lo studio del linguaggio è uno dei filoni più antichi della riflessione umana da tutti i punti di vista, abbiamo prove che risale all’antica Grecia e in altri contesti all’India, con quelle che sono state delle vere e proprie scoperte. Però poi è successo che, con la linguistica, nel Novecento sono state fatte scoperte delle cose che prima non sarebbe stato possibile nemmeno immaginare (oppure se qualcuno le immaginava non le poteva dimostrare, perché non c’erano i laboratori adatti a farlo, non c’era la strumentazione per misurare dei fenomeni). Per quanto riguarda quella a cui qui si sta facendo riferimento quando si nomina Mel’čuk, si fa riferimento a quella che viene detta la seconda rivoluzione cognitiva (la prima rivoluzione cognitiva è quella del Sei-Settecento che ha consentito la realizzazione di grandi edifici filosofici, come quello di Cartesio, che ha portato poi all’Illuminismo e a Kant). Nella seconda rivoluzione cognitiva entra in considerazione la facoltà del linguaggio in ogni aspetto della vita, del pensiero e dell’interazione tra gli umani. Questa facoltà è responsabile del fatto che gli esseri umani sono gli unici esseri nel mondo che hanno una storia, un’evoluzione, una diversità culturale complessa e ricca, che hanno un vero e proprio successo, un trionfo biologico in senso tecnico tanto è vero che il loro numero è andato aumentando (a differenza di altre realtà in cui il numero è andato invece diminuendo). Altri animali diversi da noi non hanno la storia, Comincia ad avvenire il distacco sul piano della comprensione tra il tuo sistema di suoni (verbale) e quello dell’altro, e quindi si crea un problema sul piano della comunicazione. Se non hai allenato il tuo sistema articolatorio in un contesto in cui il suono “L” di luna semplicemente non è previsto, allora probabilmente ti trovi a parlare ed ascoltare in un sistema di suoni qualcuno che parla dove si usa regolarmente il suono “L”, e allora tu o capisci che tutte le volte che senti (o non senti) questo suono lo devi adattare, devi pensare “io sento “N” di nano, in realtà sta dicendo “L” di luna, perché il cervello si è abituato ad un sistema che è diverso in alcuni suoi aspetti. Grazie al linguaggio, e ai sistemi di esecuzione che sono associati al linguaggio, – tra cui io metto anche la gestualità, perché anch’essa è un sistema di esecuzione – allora Antonia di cosa dispone? Dispone di una quantità ampia di conoscenze sul suono e sul significato delle espressioni, cioè ha delle competenze, e ha delle conoscenze (quindi competenze) che le consentono di interpretare ciò che sente, di esprimere i suoi pensieri, e di usare la lingua in una varietà di modi che è potenzialmente infinita, e che non è predicibile, nel senso che non posso prevedere tutto quello che dirò nei prossimi 3 anni, perché non c’è una predicibilità, se non di massima, ma ovviamente non è mai definitiva. La grammatica generativa nasce nel contesto della Rivoluzione Cognitiva degli anni ’50, e che è stata un fattore importantissimo della rivoluzione cognitiva, la riflessione sul linguaggio è stata una cosa importantissima nell’ambito della rivoluzione cognitiva. Le proprietà e le ricorrenze, le regolarità, che stavano al centro dell’attenzione della linguistica strutturale del 900, continuano ad avere un ruolo come fenomeni da spiegare assieme a tantissimi altri fenomeni, nei termini dei meccanismi interni che generano delle espressioni; cioè, ad un certo punto, la rivoluzione cognitiva ha detto “sì, Strutturalismo, Funzionalismo, tutto quello che vogliamo, tutti questi –ismi, queste mode, in base alle quali si studia il linguaggio... ma se noi non mettiamo alla base l’idea id una facoltà del linguaggio, nel senso di un organo della nostra mente, allora è inutile che parliamo di altre cosa, perché sono solo cose che vengono dopo e che non spiegano il meccanismo iniziale del linguaggio”. Torno a dire che in questo senso, l’approccio è mentalistico, in un’accezione che vuole anche sforzarsi di spiegare come funziona il linguaggio. Queste cose non sono state inventate di soppiatto negli anni ’50, ma le pensava già, ad esempio, Humboldt, il quale aveva intuito – nella sua straordinaria intelligenza – che c’è questo uso infinito di mezzi finiti, che noi abbiamo, con i quali riusciamo a produrre un’infinità di espressioni. Però Humboldt non aveva, nell’’800, gli strumenti per dimostrare come fosse possibile questo meccanismo; era difficile immaginare che il linguaggio fosse un organo. Questa intuizione di Humboldt (e non soltanto sua) è stata poi sviluppata, quando queste idee sono diventate meno vaghe, oscure, perché intorno alla metà del 900 c’è stato un progresso importantissimo delle scienze formali, che avevano dato a dei concetti una forma diversa, che prima non era possibile dare, perché si riusciva a fare dei calcoli – grazie anche a strumenti nuovi – che precedentemente era semplicemente impensabile fare. Quello che noi diamo in un modo così semplificato, ossia che: la lingua ti dà la possibilità di esprimere in maniera infinita, un’infinità di cose, di pensieri con un set finito di segmenti, è una cosa che a partire dalla metà del 900 diventa un po’ meno difficile, perché aumenta la capacità di calcolo, si avvia quella che poi diventerà la Linguistica Computazionale; noi oggi abbiamo dei corpora che fino a trent’anni fa erano impensabili da mettere assieme; la capacità di fare dizionari elettronici, che abbiamo oggi – e che ci sembra normale – era, fino alla metà del 900 e oltre, semplicemente impensabile. Questo ha favorito anche una ricerca diversa rispetto a quella consapevolezza (che aveva per esempio Humboldt) che noi possiamo esprimere pensieri infiniti con un set finito di elementi. Lo studio del cambiamento linguistico, cioè la variazione linguistica, è stata importante per far registrare delle scoperte, perché, quando si è capito he c’è una varietà di lingue di cui non c’era nemmeno idea fino a pochi decenni prima, anche questo ha contribuito all’idea di una diversità del tutto nuova. I primi tentativi di mettere in pratica il programma della grammatica generativa, fecero capire che, anche nelle lingue più studiate, le proprietà a volte erano passate del tutto inosservate. Al di là delle lingue che si scoprivano, a mano a mano che antropologi e etnolinguisti andavano nelle biblioteche e capivano che là c’erano libri che ancora si dovevano trascrivere e studiare, con l’innovazione, l’introduzione del paradigma generativo, si è capito che ci sono fenomeni, proprietà molto semplici ed elementari che sono passate completamente inosservate. Come quando vediamo un testo semplicissimo, pensiamo di averlo capito completamente, e in realtà scopriamo che questo testo ha una complessità, e gli elementi che compongono la quale, in parte ci sfuggono. Anche le grammatiche e i dizionari tradizionali più esaustivi, di fatto, restano dei compendi che risolvono solo a livello superficiale l’esigenza di conoscenza che noi abbiamo del dato linguistico. In queste pubblicazioni, le proprietà di base delle lingue restano ignorate, perché restano allo stato di presupposto, quindi la spiegazione viene fornita senza dire come si arriva a questo. Le proprietà di fondo delle lingue, nelle grammatiche e nei dizionari, restano inespresse, presupposte, a livello di non detto, paradossale per delle opere che hanno il compito di spiegare il linguaggio, sia pure nella loro manifestazione più superficiale. Queste opere sono anche adatte al loro scopo, come l’insegnamento di una seconda lingua, o la ricerca del significato convenzionale di una parola, o per far capire, vedere o sentire la pronuncia di una parola, a farmi un’idea generica di come le lingue possono cambiare (variazione linguistica); ma se lo scopo è quello di comprendere la facoltà del linguaggio e gli stati che la facoltà del linguaggio può assumere, allora non si può dare per scontata l’intelligenza del lettore, per il fatto stesso che ciò che si legge o si sente non fa oggetto esplicito di questo, non spiegando cosa sta descrivendo. Distinzione tra descrizione e spiegazione: Spiegare significa togliere la piega, dispiegare, qualcosa che si è spiegato è qualcosa che si è aperto perché prima era piegato; descrivere non è spiegare, i manuali spesso sono descrittivi, descrivono delle cose ma hanno meno spazio per spiegare ciò che descrivono. Le lingue nelle loro proprietà essenziali e nei loro dettagli più evanescenti, secondo la prospettiva della grammatica generativa sono state fatte tutte con lo stesso stampino. Dice Chomsky: uno scienziato extraterrestre potrebbe pensare che c’è una sola lingua umana, con qualche differenza marginale; siamo noi gli alieni che pensano che tutti i cani del mondo parlano la stessa lingua, o che tutti i cardellini del mondo cantano allo stesso modo, magari quando i cani del mondo si sentono per i loro canali a noi ignori si dicono ‘ma hai visto quanto sono scemi gli umani che pensano che noi parliamo tutti la stessa lingua, diciamo sempre la stessa cosa, addirittura hanno inventato un termine che secondo loro rappresenta la nostra lingua nella sua infinita complessità, che è bau bau’. Allora per lo scienziato marziano gli uomini farebbero tutti quanti ‘bau bau’, ‘bla bla’, qualcosa del genere, ma nulla di più. La lingua verrebbe percepita come qualcosa di identico nelle sue diverse manifestazioni, perché lo scienziato marziano vedrebbe lo stampino, l’organo che funziona a livello di base nello stesso modo. Così come ognuno ha un cuore diverso, per peso, posizione, intensità del battito, durata della funzione… così questo cuore ha una funzione che non cambia in nessuno. Non appena si sono cominciate a studiare più attentamente le lingue dal punto di vista della grammatica generativa, è diventato chiaro che, sia la loro diversità, sia la loro complessità e il grado in cui sono determinate dallo stato iniziale – lo stato “L”, cioè stato latente (quello di Antonia) – sono stati sottovalutati, i linguisti non ne hanno parlato. Oggi sappiamo meglio che la diversità e la complessità delle lingue sono, a loro volta, soltanto apparenza, l’aspetto di superficie (lo “stampino”). Quando vediamo “Slow children at play”, possiamo leggerci complessità e diversità, ma un generativista ci vedrebbe lo “stampino”, nel senso che c’è una regola sintattica che deve valere per questo, come per qualunque altro testo, obbligatoriamente, e a livello di superficie si possono creare complessità e diversità, ma non si possono eludere norme – ad esempio sintattiche – attraverso le quali questo pensiero si può manifestare. Sintattiche, non a caso, perché Chomsky pone a fondamento della sua riflessione sul linguaggio, la sintassi. Queste conclusioni sono forse sorprendenti, paradossali, però è difficile dire che sono sbagliate, perché, se non altro, hanno il merito di circoscrivere il problema centrale dello studio del linguaggio dal 900 in poi: come mostrare che le lingue sono sempre, tutte, indistintamente variazioni su uno stesso tema; e, come, a proposito del problema centrale dello studio del linguaggio, registrare quel complesso di proprietà, di suono, di significato, che a livello superficiale sono così diversi tra loro? Anche per questo il problema del significato è molto serio. Noi sappiamo poco del significato, sappiamo poco del significato del significato. Quindi, una teoria del linguaggio umano deve soddisfare almeno 2 condizioni: 1. Adeguatezza descrittiva 2. Adeguatezza esplicativa La grammatica di una lingua particolare soddisfa la condizione dell’adeguatezza descrittiva, nella misura in cui rende conto, in modo esaustivo, accurato, delle proprietà di quella lingua; deve soddisfare anche in modo esaustivo anche quello che il parlante sa di quella lingua. [La volta scorsa, se ricordate, ho detto che bisognerebbe fare due grammatiche, diceva quello lì (Petöfi?), la grammatica del parlante e la grammatica del ricevente; e quando studi una lingua dovresti spiegare anche quella che è la competenza, quello che io so di quella lingua, non soltanto la grammatica ma anche gli aspetti pragmatici, quelli della competenza, attraverso i quali io trasformo la relazione.] Per soddisfare la condizione dell’adeguatezza esplicativa, la teoria del linguaggio deve mostrare come ogni singola lingua può derivare da uno stato iniziale, uniforme, nelle condizioni dell’esperienza. E in questo senso, in questo tentativo, possiamo fornire una spiegazione delle proprietà delle lingue ad un livello più profondo: quando abbandoniamo il livello della descrizione e cerchiamo di portarci verso quello della esplicazione. Questa introduzione era necessaria, poiché altrimenti non era chiaro di cosa parlassimo quando parliamo di significato, lingua, pragmatica e quindi di testo, perché queste sono competenze preliminari necessarie. INIZIO LETTURA DAL MANUALE (cap. 3, pag. 45, pag. 22 del .pdf) N.B. ho inserito gli screen delle parti lette dal professore dove ho ritenuto necessario, se qualcuno non li preferisce può cancellarli, credo faccia più comodo avere vicini testo e commento. <Per molti anni sia la sintassi che la semantica sono state studiante senza tener conto del problema di come i parlanti usano la grammatica e costituiscono il significato in una situazione comunicativa reale.> Già questi righi dovrebbero farvi capire perché ho fatto questa introduzione che mi sembrava necessaria. ”Parole” in accezione saussuriana del termine, in quanto opposta a “Langue”, la parole è il campo dell’esecuzione. A rimanere inesplorato è l’uso del linguaggio. Non appena diciamo questo, possiamo dire che la pragmatica è il campo dei progetti e dei fini, quando scrivo ho un progetto e ho un fino, non posso eludere questi due cardini. Quindi stanno dicendo: ‘vuoi studiare un testo?’ devi capire innanzitutto quali sono questi 3 elementi che lo reggono; intenzionalità, accettabilità e situazionalità. <9. Quanto più perde valore la distinzione fra enunciato/non –enunciato e testo/non-testo, tanto più aumenta l’importanza delle sfumature di efficienza, effettività e appropriatezza. […] Da un punto di vista procedurale, l’efficienza contribuisce alla facilità d’elaborazione, cioè alla esecuzione di operazioni senza gravare troppo sui potenziali di attenzione e accesso. L’effettività necessita di profondità d’elaborazione, ossia dell’uso intenso dei potenziali di attenzione ed accesso al materiale, che non compare esplicitamente nella rappresentazione di superficie. L’appropriatezza è un fattore che determina la correlazione tra il presentarsi occasionale di un testo e i requisiti della testualità; ciò avviene in modo tale che è possibile fare con affidabilità delle valutazioni sulla facilità o profondità d’elaborazione. Si noti bene che l’efficienza e l’effettività tendono a lavorare in opposizione tra loro.> Se sei molto efficiente come testo puoi essere poco effettivo, e viceversa. <9. […] Un linguaggio creativo con un contenuto inconsueto esercita, al contrario, un influsso notevole rivelandosi, peraltro, enormemente difficile da produrre e recepire. Il compito dell’appropriatezza è pertanto quello di mediare tra questi due fattori opposti per indicare in ogni situazione qual è il giusto equilibrio fra convenzionale e non convenzionale.> Se si legge Loretta Strong e si cerca di capire cosa sono efficienza, effettività e appropriatezza, alla luce di questa definizione, si capisce come si può descrivere in termini testuali un testo per molti incomprensibile. LEZIONE 02/04/2020 Il prof parla di ciò che ha fatto prima della lezione...una passeggiata, è andato a correre, ha portato il cane a spasso, ha fatto la spesa, è andato a fare un giro fuori all'Orientale, è andato a trovare degli amici (?! ) ed è infine andato dal barbiere... Ha chiesto cosa noi avessimo fatto e cosa avessimo in programma. Qualcuno ha risposto dicendo che avrebbe fatto un rustico nel weekend, e il prof ha richiesto di portare il rustico la prima data utile... **Cerca di iniziare la lezione** Prof: La volta scorsa mi sono portato fino al cosiddetto "caso standard", forse devo scusate... perchè sento un fruscio ...c'è un problema con i microfoni ...forse ci sono dei microfoni ancora attivati. Fatemi vedere. No.... I vostri microfoni li vedo spenti. Non capisco perchè sento un rumore molto forte, di sottofondo. Sono tutti spenti i microfoni, vero? Vedo Annarita; Annarita sono tutti spenti i microfoni? Può chiedere lei ai suoi amici se sono tutti spenti? Va bene, allora la volta scorsa ci siamo fermati alle nozioni di effettività, di appropriatezza e di efficienza, e alla particolare considerazione relativa al fatto che il compito dell'appropriatezza è quello di mediare tra questi due fattori opposti, che sono l'efficienza e l'effettività, per creare un testo che, sia in uscita che in entrata, in prospettiva del destinatario, abbia un equilibrio. Tuttavia, noi sappiamo che non tutti gli autori di testi hanno l'obiettivo di creare un testo equilibrato, almeno non in alcune sue fasi, ossia può esserci una fase, quella che è la complessità di un testo, anche la sua lunghezza in cui il producente, o perché si distrae o perché lo fa come obiettivo, non rende perspicuo il rapporto tra effettività ed efficienza. “Un testo”, dicono Beaugrand e Dressler, “può essere definito appropriato, efficiente ed effettivo in relazione alla quantità dle potenziale di elaborazione, che viene investito nella sua produzione e recezione”. (pag. 49 del manuale) Quindi, quanto più io mi impegno a realizzare un testo che possiede, conserva un equilibrio fra questi fattori, tanto più avrò la possibilità di farlo recepire. Però c'è una cosa importante, e questa cosa la sperimentiamo tutti noi quando ci sentiamo di produrre un testo, qualunque testo sia. Ossia se noi ci mettessimo a correggere un testo, qualunque esso sia, non finiremo mai di scriverlo. E' per questo che Beaugrand e Dressler introducono un altro elemento nella loro terminologia che è SOGLIA-TERMINE. Fanno una considerazione molto semplice, di buon senso: se io voglio scrivere un'email, la posso cesellare, la posso limare, la posso perfezionare quanto voglio, ma ad un certo punto mi dovrò pur fermare. C'è una soglia-termine oltre la quale non ha molto senso portarsi, perchè se io volessi continuare all'infinito questo cesellamento, questo perfezionamento, allora il testo non sarebbe mai concluso. Cioè io dovrei puntare a ottenere il testo perfetto in quella tipologia testuale, cosa che non è tra gli obiettivi di nessuno; non esiste il testo perfetto di un genere testuale. Non esiste la poesia perfetta, perchè questo significherebbe che noi avremmo raggiunto la perfezione di un genere e quindi quel genere non avrebbe motivo di essere. Ci dobbiamo in un certo senso accontentare, e quindi capire qual è la soglia-termine nella produzione di un testo che lo rende anche recepibile. E' un concetto semplice che ci è istintivamente chiaro, noto. Voi capite che a latere di questo che dicono Beaugrand e Dressler c'è anche una considerazione di tipo diacronico, che noi dobbiamo fare. Noi dobbiamo tener presente che il modo di raggiungere la soglia-termine cambia nel tempo, il modo di scrivere un semplice messaggio, un qualunque testo, così come ce lo si aspetta oggi è cambiato, è diverso rispetto a quello di 10 anni fa, per alcune tipologie testuali è diverso, ed anche molto rispetto a quello che si scriveva 5 anni fa, 2 anni fa; dipende dal canale, all'interno del quale noi abbiamo educato noi stessi e i nostri destinatari a recepire quella forma testuale. Tanto è vero che se tu non conosci quel canale, sei poco pratico rispetto a quel canale, non sai scrivere così come è nelle consuetudini nel canone di quel canale. Quindi c'è anche un elemento diacronico, poi ho parlato non solo di quello diacronico, ma teniamo presente quanto meno il fattore diacronico. Allo stesso modo il giudizio sulla qualità di un testo espresso da colui che riceve questo testo influirà sulla quantità di potenziale che il ricevente è disposto a impegnare nella elaborazione del testo stesso. Ragazzo: prof può ripetere quest'ultima parte? Prof: sì, la ripeto così com'è. Il giudizio sulla qualità di un testo è espresso da chi lo riceve influisce sulla quantità di potenziale che il ricevente è disposto a impegnare nella elaborazione del testo stesso. Il feedback, il riscontro che tu mi dai su una qualità del mio testo, come ha fatto lei, Renato, produce su di me il tentativo di tentare, appunto ho detto tentativo, un testo un po' più fruibile, migliore; cioè il feedback che dà il lettore o il ricevente, in generale, serve a riequilibrare la soglia-termine. Non esiste nemmeno il testo perfetto nel solo autore; dipende dal contesto. Certamente c'è l'autore che scrive nel modo che ritiene scrivere, e si preoccupa poco di quello che penseranno i destinatari del testo. E poi ci sono gli autori che invece tengono più in conto di questo, del feedback, del riscontro del ricevente. Questo capirete bene dipende dal contesto nel quale si pronuncia il testo. Se il contesto è quello di una lezione, allora chi parla, diciamo… facciamo un esempio più immediatamente vicino a voi.. chi parla deve sforzarsi di produrre un discorso che sia almeno in parte fruibile, dico almeno in parte perchè non tutto magari è fruibile, e non sempre c'è un feedback immediato, per motivi di contesto se non altro. Ma ci sono altri contesti in cui questa preoccupazione è molto inferiore, o al contrario, è addirittura maggiore. **il prof legge:** (pag 49) Qui mi devo fermare un attimo, perchè voglio vedere se riesco a mandarvi nella chat un testo breve, una cosa che ho copiato per voi. Questo è il testo: “Per quanto riguarda la composizione dei suoni di una lingua, “possono essere studiati in” (vedi foto) Allora, voi vedete questo testo. Vediamo se in questo testo, a vostro avviso, c'è qualcosa che non funziona, oppure che si può migliorare. ( ** legge testo qui sopra incollato, nuovamente **) Fate attenzione. Io ho ricevuto questo testo, qualche giorno fa. Mi sono fermato perchè la persona che mi ha mandato questo testo, probabilmente, anzi sicuramente, immaginava che questo testo fosse assolutamente chiaro, perspicuo. Invece, io qui ho avuto una difficoltà: mi è sembrato che qualcosa non andasse. Parliamo di un esempio molto, molto semplice. Proviamo a portarlo ai nostri termini tecnici, ipotetici, semplici tuttavia, cioè come quello di soglia- termine. Diciamo che per quanto riguarda la soglia-termine, questo testo non soddisfa la comprensione, quindi chi lo ha prodotto dovrebbe un po' modificarlo. Cosa manca in questo testo? c'è una citazione (nel testo) perchè si aprono le virgolette. La citazione continua. Qui, manca qualcosa. Manca un soggetto. Io mi aspetterei una forma migliorata, che ora vi mando, che dovrebbe essere questa: “Per quanto riguarda la composizione dei suoni di una lingua, essi “possono essere studiati in” (foto) ** il prof legge da “Se Consideriamo”** Questa parte è un po' difficile, non si capisce immediatamente. E' difficile, ma persino ovvio. Qui non si vuole dire altro che noi riusciamo a capire anche testi un po' ostici, quando abbiamo una preparazione di base che ci permette di recepire quei testi, ad una macro testualità che bene o male ci orienta. Qual è l'organizzazione che all'interno di un testo ci dà le indicazioni? beh qua, a questo nessuno può sfuggire, perchè noi ci possiamo trovare di fronte al testo più complicato che ci sia mai capitato di leggere, noi ci possiamo trovare di fronte al dobbiamo sapere che gli esempi mostrati nei libri , sono creati a tavolino. Quando voi trovate gli esempi di strutture linguistiche di testi di linguistica, quelli non è che sono esempi che sono stati presi dal mondo reale, no sono esempi inventati, in funzione di ciò che già si sa di voler dire. Questo è uno di quei casi in cui si può dire che dell'attualizzazione si è tenuto molto limitatamente conto. La questione della struttura è importante. la volta scorsa ho accennato alla nozione di fiaba. Perchè? La fiaba è qualcosa che nel secolo scorso, è stata studiata in maniera sorprendentemente geniale rispetto non ai contenuti, anche emotivi ( esempio: c'era una volta una bambina che fu abbandonata nel bosco, fu trovata dal taglialegna, il taglialegna la portò a casa, e quindi da quel momento lei ebbe una madre, una matrigna, e quindi la matrigna ad un certo punto quando la bambina crebbe era gelosa perchè era più bella di lei ecc.)… No ad un certo punto si è lasciato da parte questo aspetto e questo accade tra il 1910 e il 1920, Vladimir Propp, un semiologo russo, prendo un corpus di quasi 400 fiabe, fiabe cosiddette di magia, cioè quelle nelle quali ad un certo punto succede una magia che cambia qualcosa, e lo pubblica. Pubblica questo studio con un titolo, un titolo molto significato perchè è MORFOLOGIA DELLA FABIA. Propp dice “un momento, io ho preso 400 fiabe e mi sono accorto che qui c'è una morfologia, cioè ci sono degli elementi ricorrenti, sempre gli stessi che si ripetono e mi danno delle informazioni di base”. Se io ti dico "oggi è una bella giornata", te l'ho detto con certi elementi morfologici che, seppur sei al buio o se fuori piove o qualunque cosa sia, io ti ho fornito delle indicazione perchè ti ho fornito degli elementi morfologici il cui significato ti è chiaro. Quindi seppure fuori non è una bella giornata, quantomeno il testo ti è chiaro, in quanto testo, perchè ci sono degli elementi morfologici che ti danno delle indicazioni per comprenderne il significato. Allora dice Propp, e questa pubblicazione esce nel 1928, le fiabe hanno una loro morfologia. Lo scopo non era quello di fare la solita attesa genealogia delle varie fiabe, né di dire quale fosse la distribuzione geografica di ma quello di rilevare le forme soggiacenti a tutte queste fiabe, cercando di dimostrare che le forme si ripetevano. Cambiava il racconto, ma sotto la forma era la stessa. Questo non diventa meno interessante, quando il racconto cambia poco, perché il racconto può cambiare anche poco, ma la cosa interessante che la forma fiaba meno o non cambia proprio. Sto dicendo che anche in altri contesti, in contesto fiaba, ci sono strutture ricorrenti. Non mi interessa quindi il fatto che la bimba viene trovata in un bosco qui, in una casa lì, ma la struttura, ossia che la bambina viene ritrovata in un luogo. Questa struttura me la ritrovo sia in una fiaba in cui la bambina viene ritrovata in un bosco, sia in una fiaba in cui la bambina viene ritrovata in un fiume o nella torre. Ci sono elementi ricorrenti: bambina, ritrovamento, luogo- >Forme soggiacenti. In superficie il testo è più mutevole, il testo può cambiare, e poi c’è la transcodificazione, biancaneve è così, la trascrizione dei Grimm è così, poi la Disney la prende e, attraverso transcodificazione, la istituisce ad altri elementi di superficie, tuttavia la struttura rimane la stessa, in profondità. Questo studio di Propp presenta analogie con strutturalismo, che nasce con Saussure e che si afferma, proprio all'inizio del XX sec, perchè sapete che Saussure muore nel 1913, il Cours de linguistique générale esce nel 1916, ed esplode lo Strutturalismo. Lo studio delle trasformazioni delle lingue lascia il posto ad un'indagine, un modo di studiarle che comincia a definirsi SINCRONICA. Un'indagine in cui gli elementi linguistici venivano studiati nelle loro relazioni reciproche e non più nel loro percorso storico. Quindi, si affianca a quella che è una linguistica DIACRONICA una linguistica SINCRONICA, o strutturale, o descrittiva, o teorica. Tanto è vero che in Italia si forma una tradizione, tuttora vigente, che vede da una parte la glottologia, o linguistica storica come si dice in altri contesti come Historical Linguistics, e dall'altra parte la linguistica generale. Un sistema linguistico che cosa è? E' una serie di differenze di suoni che vengono combinate a una serie di differenze di idee, detto in modo molto semplice. Saussure dice che un sistema linguistico è una serie di differenze di suoni combinate ad una serie di differenze di idee. Ricordate il triangolo semiotico di Ogden e Richards che spiega questo. E' per questo che si dice che per lo strutturalismo la relazione tra i termini viene prima dei termini stessi. E quindi Propp diceva che la struttura delle 400 fiabe è sempre la stessa e allora significa che c'è qualcosa, uno zoccolo duro che viene prima del fatto che la bambina viene trovata dal padre, dalla madre, dall'uomo, da una donna, nel bosco, nel fiume ecc. Poichè sarebbe veramente impossibile dire qual è la enorme complessità del lavoro di Propp, bisogna quantomeno tener a mente quali sono gli elementi portanti, i capisaldi dello strutturalismo. La prima cosa è proprio questa, cioè si deve identificare quali sono gli elementi portanti del testo. Poi devo aver chiaro qual è l'interdipendenza degli elementi, cioè questi elementi che compongono il testo hanno una interdipendenza, che deve essere tale per tutti gli elementi presenti nel complesso testuale; non è che ce ne può essere uno che sfugga al principio di interdipendenza. Questo vale per il testo inteso come struttura, come avrebbe detto Saussure. Un altro elemento è quello che noi dobbiamo essere in grado di avere una rappresentazione astratta dei testi, dobbiamo essere in grado di rappresentarne il modello. Propp vuole dimostrare che esiste un modello, uno scheletro della fiaba, che è sempre lo stesso. Ogni testo, ogni fiaba come avrebbe detto Propp, deve essere suscettibile di mostrarsi nella sua nudità come modello, come un qualcosa di cui noi possiamo dare una rappresentazione astratta. (vedi foto) Quindi ci deve essere un carattere di astrazione e di pertinenza degli elementi rispetto ai fenomeni, carattere che deve essere sempre rintracciabile aldilà di quelli che sono i fenomeni attraverso i quali questi caratteri si manifestano. Quest'ultima cosa forse ve la devo dire un po' meglio e per provare a farlo, prendo il libro che ho nominato la volta scorsa, e che non ero riuscito a trovare la volta scorsa, che oggi invece ho trovato ... o meglio, uno dei libri che riguardano la struttura della fiaba, gli studi di Propp... questo è un libro di circa 500 pagine intitolato Fiabe Siberiane. Un libro bellissimo che parla sempre della stessa fiaba. Parla praticamente del cosiddetto cavallo parlante, del bianco cavallo parlante, che è un maestro di magia, di trasformazioni, metamorfosi, di stratagemmi, una forte intelligenza, ed è uno dei personaggi più importanti della fiabistica russa. Pochi minuti fa, vi ho detto gli elementi di astrazione e pertinenza. Scusate, bianco cavallo parlante che significa? ma perchè ? io lo accetto ma se ci pensate, soltanto se noi riconduciamo questa bianchezza, questo fatto che parla e anche il fatto sia un cavallo ad un'astrazione, possiamo capire meglio cosa è il significato finale di questa fiaba, perchè dobbiamo ricondurre questi elementi, che sono quelli manifesti nel racconto, alla loro astrazione, alla loro pertinenza; cioè li dobbiamo ridurre a struttura. Dobbiamo capire dal punto di vista strutturale cosa significhi. Noi sappiamo che nella fiaba russa, c'è questo personaggio, il cavallo parlante maestro di magia, che viene affiancato dall'apprendista stregone, che è sporco, stupido, al tempo stesso sa essere anche eroico e ha il nome di Ivan, nome molto comune in quei contesti. Cosa fanno questi due protagonisti ricorrenti? innanzitutto, stanno sempre assieme, e poi solitamente conquistano principesse, scoprono tesori, uccidono draghi, rovesciano i re dai loro troni, dinastie, fanno cose importanti. Allora, noi accettiamo queste narrazioni, però a differenza di ciò che fa il bambino, non ci crediamo. Perchè? Chiedendoci perchè, iniziamo il viaggio verso la struttura di queste narrazioni. CIOè, noi vediamo che queste narrazioni, in questo caso la storia del cavallo bianco e di Ivan sporco , sudicio, eroico, vediamo che loro sono la memoria vivente di un'antichissima lotta religiosa tra gli sciamani da una parte e i sacerdoti dall'altra, una lotta che si ripresenta per millenni, dal neolitico ai giorni nostri, attraverso le grandi narrazioni dell'umanità, che possono essere i rituali magici dell' Asia Centrale, i miti della Grecia Antica, i Vangeli, le narrazioni degli Indiani d'America,ecc,; quello che rimane anche delle narrazioni più vicine a noi, cioè quelle del folklore agricolo europeo, quello che resiste al cambiamento è la struttura. Vi faccio un esempio più vicino alla nostra sensibilità, perchè non tutti noi conosciamo l'epopea del cavallo bianco e di Ivan, ma forse qualcuno di noi ha sentito nominare il gioco della mosca cieca. Allora, per chi ha avuto modo di giocare a mosca cieca da bambino, oppure ha avuto modo di sentire, più o meno sa di cosa si tratti, ricorderà che il gioco della mosca cieca consiste nel fatto che un bambino viene bendato e deve cercare di afferrare qualcuno dei compagni di gioco. Allora, questo gioco cambia nome a seconda del posto, in un contesto portoghese può diventare "gallina cieca", o altri animali, voi vi siete mai chiesti perchè si chiama mosca cieca? perchè proprio la mosca? si può bendare una mosca o una gallina? perchè poi la gallina? o altri animali? e poi scusate , è divertente il fatto che da bendato ti devo catturare, ma devo stare attento a non essere catturato ...tutto questo è divertente, come può essere divertente, appagante di per sé, leggere una fiaba, e potremmo dire che ci basta questo, dal punto di vista della mia relazione col testo. Ma cosa è questo? qual è la struttura? perchè cambia il nome del gioco? perchè cambia animale? perchè cambiano delle piccole regole di superficie? Perché cambiano delle piccole regole di superficie? beh perché questo può cambiare a seconda del contesto perché magari tu vivi in un contesto dove conosci lo scoiattolo come animale e non conosci la gallina. Allo stesso modo in cui un proverbio mantiene il suo senso in un contesto che è quello equatoriale e in un contesto che è quello della Groenlandia mantiene il suo senso soltanto che nel primo contesto nessuno ha mai visto la neve, nell’altro nessuno sa che esiste la sabbia. Però il proverbio mantiene la sua struttura di fondo. La struttura di fondo della mosca cieca, di questo gioco, è la rappresentazione e quindi l'educazione dei bambini al fatto che esiste la morte, e quindi altro che gioco; è una cosa molto importante perché la mosca cieca è un rituale antichissimo con il quale si insegnava ai bambini, ma non antichissimo del '700 o dell'800, qui dobbiamo andare veramente all'origine dell'umanità. Siamo su un ordine, su una scala temporale enorme che sfugge alla nostra portata, dove nella forma del gioco, l' attenzione della fatalità, c’era un soggetto che rappresentava un'intelligenza (che tra l'altro non era umana, che poteva essere anche meno intelligente dell'intelligenza umana)che era cieco, nel senso che era mosso da casualità, e che in qualunque momento ti poteva toccare e tu ci giochi anche, ci scherzi anche perché vai a caccia con gli adulti, fai delle cose pericolose o perché te ne stai fermo, seduto sull'uscio di casa tua senza fare niente ma la morte arriva e ti tocca. Tocca casualmente te; oppure tu ci vai incontro, ma se ci vai incontro stai attento perché può essere un gioco dove sai che poi la morte ti può prendere se tu ti esponi al pericolo. Quindi era un rituale la cui semantica di superficie cambia in alcuni posti, ma la struttura è sempre la stessa, un educarsi al fatto che esiste la morte. Allora negli studi che vengono fatti sul modello di Propp, si rileva che ci sono quelle che vengono definite funzioni narrative, le funzioni narrative, cioè si dà un nome a queste funzioni di fondo che costituiscono la struttura in questo caso della fiaba. Le funzioni narrative vengono con precisione matematica contate, è stupefacente perché nel tentativo di contare le funzioni narrative che soggiacciono alla fiaba, come le studia Propp, si arriva sempre o su questa o su quella forma della stessa fiaba, partendo dall'estremo occidente della Russia all'estremo oriente della Russia, quindi su un territorio sterminato, le funzioni narrative sono 31. Tu vedi che c'è una funzione narrativa di allontanamento, poi c'è una funzione narrativa di divieto, poi c'è una funzione narrativa di infrazione, quindi che significa? che questi racconti si basano su queste funzioni: 1. allontanamento 2. divieto 3. infrazione 4. investigazione 5. delazione 6. tranello 7. convivenza 8. danneggiamento o mancanza 9. mediazione (che trovate sempre) 10. inizio della reazione 11. partenza (a un certo punto c’è sempre una partenza) 12. funzione del donatore 13. reazione dell'eroe (perché l'eroe reagisce, questa è un’altra funzione che si ripete) 14. attivazione del meccanismo magico (cioè l'ottenimento di un mezzo magico e quindi la cosiddetta bacchetta o qualunque altro mezzo che consente di attivare il dispositivo di magia; c'è sempre il momento in cui questo dispositivo avviene.) 15. trasferimento nello spazio tra un reale e l'altro reale, si passa da un reale all'altro reale. 16. lotta (c'è sempre il momento in cui si lotta.) 17. vittoria (perché ci deve essere qualcuno che vince.) 18. rimozione della mancanza, perché ricordate prima ho detto che una delle funzioni è la mancanza, poi questa mancanza va risolta e quindi c'è la rimozione della mancanza 19. inseguimento, a un certo punto voi vedete che nelle sue varie riconfigurazioni, o raccontato in un modo o in un altro modo, c'è sempre il momento in cui si insegue qualcuno. Questa funzione non manca mai. 20. salvataggio, di solito dopo inseguimento. 21. travestimento (In questo momento mentre ve ne parlo mi viene in mente, ma non devo lasciarmi tentare perché sennò vi parlo di altre cose ancora, mi viene in mente Robin Hood. Perché in Robin Hood a un certo punto che cosa succede che Robin Hood si traveste perché deve arrivare in incognito laddove ha interesse ad arrivare, quindi c'è il travestimento.) 22. pretese infondate (poi c'è momento in cui qualcuno ha delle pretese che sono infondate, allora in questo momento mi viene in mente quella lì che pretende che la sua vicina incinta le debba regalare la quel testo devo conformarmi da 1 a 100, 100 rispetto alle attese della comunità, altrimenti il mio testo, se tanto mi dà tanto, non avrebbe motivo di esistere. Che lo scrivo a fare un testo se devo scrivere cose che già tutta la comunità di destinazione di quel testo conosce ed ha chiare in mente, questo significa che qualunque testo ha motivo di esistere se io dico almeno il minimo che sia informativo e che arriva come una novità nella comunità, quindi devo tener conto anche di questo. "E' piuttosto vero il contrario: un testo con una organizzazione e con un contenuto pienamente conformi alle conoscenze consolidate offrirà, come si è indicato in I.17-18(cfr. anche cap. VII), un grado di INFORMATIVITA' estremamente basso."(pag. 51) Cioè io devo dirti anche se vuoi quello che tu già sai, però te lo devo dire in un modo che sia un po’ nuovo. Qui ho un paio di libri, un libro vedete che è "La transcodificazione della metamorfosi di Franz Kafka" ad opera di Peter Cooper, un importante e bravissimo autore americano che prende la metamorfosi di Kafka, questo racconto importantissimo, son tutti importanti per carità questo forse è più noto, più di altri, e lo trasforma in un fumetto. La cosa oltremodo interessante è che c'è anche un altro autore notissimo, molto più di Peter Cooper, che lavora a questa transcodificazione di Kafka che è Robert Crumb. Allora se io vado a vedere come restituiscono da una parte Robert Crumb, che forse ripeto è quello più noto per questi ed altri lavori, come restituiscono delle scene del racconto di Kafka. (vedi foto) Qui è quando la madre e la sorella entrano nella stanza di Gregor che è il protagonista e che una mattina si sveglia e si ritrova trasformato in un insetto, che solitamente viene rappresentato come uno scarafaggio. (vedi foto) Allora a un certo punto, la sorella che è quella che ha più pelo sullo stomaco in famiglia, un giorno entra nella stanza e vede Gregor che si arrampica sulla parete, perché l'insetto voi sapete, può anche camminare capovolto, allora lei dice alla madre: aspetta aspetta, torna dall'altra parte, non entrare adesso; perché non vuole che la madre veda il figlio trasformato, soltanto che la madre lo vede e sviene, questo è il modo in cui rappresenta questo drammatico passaggio del racconto breve di Kafka in disegno. Questa scena la rappresenta anche Peter Cooper, ed è la stessa scena e a suo tempo questo mi ha colpito parecchio perché Peter Cooper, che adotta invece uno stile espressionista, uno stile molto duro, molto diverso, rappresenta la stessa scena con una espressività assolutamente diversa, marcata, e con delle caratteristiche del disegno e delle parole che sono completamente diverse. Quindi la struttura resta la stessa però diciamo il testo di Peter Cooper è sicuramente più informativo perché mi dice quello che io già so, perché io conosco il racconto di Kafka, "La metamorfosi", già lo conosco, però quando vedo la restituzione che ne fa Robert Crumb prende per filo e per segno quello che dice Kafka, ossia che la madre e la figlia entrano nel soggiorno e lo scarafaggio si sta arrampicando alla parete, e lo rappresentano come io me lo aspetterei ,perché io uno scarafaggio come me lo aspetto?, me lo aspetto con la schiena rotonda e liscia, con tante zampette; poi mi aspetto magari che quando la madre si spaventa, il disegnatore rappresenta quelle goccioline che appartengono, lo sapete, al personaggio che si spaventa. Le faccio dare un urlo che è quello che nel genere del fumetto "Ah!”, è tutto quello che io già mi aspetto, invece Peter Cooper restituisce ad assoluta novità queste cose che io già conosco perché me le rappresenta in un modo che io non mi aspettavo. Anche il modo in cui fa svenire la madre è diverso, il modo in cui la rappresenta è diverso; rompe le aspettative, quindi è un testo più informativo di quello di Robert Crumb. Allora dicono Beaugrand e Dressler che "E' evidente che ,il pensiero umano trova privo di interesse tutto quello che è pienamente noto o, per dirla in termini di cibernetica, totalmente stabile."(pag. 51) Il testo di Robert Crumb dal punto di vista cibernetico è troppo stabile, mentre quello di Peter Cooper smuove le cose e vivifica il racconto di Kafka e dà a me motivazione rispetto al fatto di aver speso dei soldi per comprare una versione transcodificata di qualcosa che io già conoscevo. Invece quando leggo Robert Crumb dico bah soldi buttati perché non ha aggiunto niente di nuovo rispetto a quello che già sapevo. "Ecco perché la comunicazione funziona come un costante sconvolgimento e ristabilimento della stabilità mediante l'interruzione e il ripristino della continuità del testo e delle sue parti."(pag. 51) Allora gli utenti del sistema, sistema che è il testo evidentemente, devono avere le idee chiare su come funzionano i principi del testo, altrimenti l'uso del sistema risulta compromesso o bloccato. Se io non so come funziona il sistema e voglio essere uno specialista dei testi, allora l'uso che io faccio di quel sistema risulta compromesso o bloccato. Mi viene da dire forse Robert Crumb è un bravissimo disegnatore ma non conosce bene come funziona il sistema testo, perché dovrebbe sapere che un testo si completa nella sua testualità se vi ricomprende anche l'informatività, altrimenti è inutile che tu mi fai la trasposizione del racconto di Kafka, perché l'ha già scritto Kafka che puoi fare di più tu, fare il disegno, bene fai un disegno informativo , massimamente informativo, ma se mi fai il disegno come pure io me l'aspetto, significa che tu sai usare poco il sistema testo, ti sfugge qualcosa." Determinate classi di casi occorrenti, quali l'ambiguità, contraddizioni, discrepanze che impediscono l'uso del sistema o possono intralciarne il controllo, sono tenute in serbo per raggiungere effetti particolari (è il caso delle barzellette o degli aforismi)."(pag. 52) Cioè io posso addirittura introdurre degli strumenti di disturbo perché ho un obiettivo, quello di raggiungere effetti particolari, allora Peter Cooper che cosa fa, disegna uno scarafaggio che va contro la forza di gravità perché è talmente grosso che il lettore quando vede che si arrampica sulla parete dice oh ma è impossibile, persino lo scarafaggio che cammina capovolto però così grosso non può reggersi a una parete; invece Robert Crumb ne disegna uno che si può reggere a una parete, non va contro le leggi di gravità, però ancora una volta il suo testo è meno informativo, cioè lui lo sa, dimostra di non conoscere fino in fondo le leggi del testo. Se io vedo un dipinto di Leonardo in cui una delle due mani del personaggio sembra deforme rispetto all'altra e sembra che abbia il braccio più lungo, e dico Leonardo era ancora inesperto o Raffaello era ancora inesperto perché non sapeva disegnare bene le mani e le braccia, ma no, non è vero sono io l'inesperto se non so che mi devo mettere da una certa prospettiva per osservare quel dipinto; perché soltanto se mi metto da una certa prospettiva e non centrato davanti a quel dipinto, riesco a vedere che quelle due mani al mio occhio risultano perfettamente ben equilibrate e della stessa misura. Quindi io devo saper usare quel testo, in quel caso un dipinto, in quell'altro un fumetto, ma devo anche io saperlo usare, io che leggo in questo caso oppure io che lo faccio in quell'altro caso. Sicuramente se il pittore mi disegna un personaggio con due mani di cui una mi sembra deforme e l'altra mi sembra perfetta, mi devo anche chiedere se per caso io non debba saper usare come destinatario meglio quel testo. Questo mi ricorda anche un po’ quello che diceva Picasso, Picasso sapeva disegnare benissimo, mica vogliamo credere che Picasso disegnasse o dipingesse così come dipingeva. Picasso a 10 anni sapeva disegnare come Raffaello, sapeva disegnare il volto, conosceva benissimo l'anatomia come dire lucratis lucrandis, uno sa scrivere benissimo un testo canonico poi a un certo punto si mette a fare il dadaista, allora non è che i dadaisti non sapessero scrivere un buon testo in prosa, lo sapevano fare, però a un certo punto si sono messi a fare i dadaisti. Marinetti si è messo a fare il futurista ma mica non sapeva scrivere un testo normale. Picasso era un bravissimo disegnatore poi quando vide che furono scoperti i disegni delle caverne del paleolitico, dice io ci ho messo pochi anni ad imparare a disegnare come un pittore del rinascimento, adesso ci devo mettere tutta la vita per tornare a saper disegnare come sapevo disegnare da bambino prima di imparare quello che mi hanno insegnato, quindi sono consapevolezze che deve avere chi vuole manovrare il testo. (qualcuno vuole fare una domanda: È come se gli autori ci stessero dicendo che il testo ha una sua stabilità, talvolta però questa stabilità può anche essere compromessa per creare degli effetti particolari, è questo che ci vogliono dire gli autori? il professore risponde: sì certamente la stabilità può essere compromessa ma di più in determinati contesti questa stabilità deve essere compromessa, altrimenti quel testo non avrebbe proprio motivo di essere.) Dico anche a lei adesso Annarita come ho detto a Rossella poco fa che provo a fare qualche esempio, però prima dovevo fare un po’ di teoria. Allora quello che lei ha appena detto va nella direzione della cosiddetta soluzione di problemi, cioè un matematico fa il suo mestiere e fa la matematica, lo scrittore fa il suo mestiere e anche risolve i problemi, cioè la soluzione del problema non è soltanto quella che si fa quando si va a scuola, oppure quando si ha un problema nella vita. Il problema per lo scrittore è quello di creare il testo così come lui ce l'ha in mente, quello è il problema e ce l'abbiamo io, lei, lui, nel momento in cui dobbiamo scrivere un testo, quello è il problema da risolvere come se fosse un'operazione aritmetica o qualunque altra cosa che noi configuriamo come problema. Quindi scrivere un testo ma anche recepire un testo, dal punto di vista cognitivo equivale alla soluzione di un problema, quindi soluzione di problema entra a pieno titolo nel metalinguaggio della linguistica, per intendere questo che vi ho appena detto. "Un PROBLEMA viene definito come una coppia di stati per i quali può anche FALLIRE il tentativo di collegarli qualora non si riesca a trovare o identificare una connessione."(pag. 52)Cioè se tu non mi rendi perspicua la connessione tra gli elementi del testo, il problema che hai cercato di risolvere quando hai scritto il testo, è fallito, o meglio fallisce il tentativo di soluzione del problema, quindi tu devi sempre mantenere perspicua la relazione tra gli elementi, cioè la connessione. "Si è davanti a un PROBLEMA DIFFICILE quando le probabilità di un fallimento sono notevolmente più alte di quelle di successo."(pag. 52) Vedete se voi ragionate in termini di testualità vi trovate, è esattamente così, è un bel problema scrivere un testo. "Il problema è considerato RISOLTO quando si trova una via di collegamento che conduca, senza soluzione di continuità, dallo STATO DI PARTENZA allo STATO DI ARRIVO. Non appena si perviene a un punto oltre il quale il solutore non può più avanzare verso il suo fine, si verifica un BLOCCO."(pag. 52) Vedete è proprio quando noi studiamo una qualunque cosa dobbiamo arrivare dallo stato di partenza a uno stato di arrivo, se c'è un blocco noi dobbiamo mettere in atto delle strategie per superarlo, perché se non superiamo il blocco, il testo non si forma c'è poco da fare. Allora qui noi abbiamo i termini per indicare tre strategie di soluzione del problema ossia la RICERCA PRIMA IN PROFONDITA', la RICERCA PRIMA IN AMPIEZZA e l'ANALISI MEZZO-FINE, questo significa in soldoni che ci sono tre modalità, tra le tante altre ovviamente, per risolvere il problema di scrivere un testo. Dunque, che cosa è la RICERCA PRIMA IN PROFONDITA', è quella per la quale "il solutore tenta di localizzare il suo fine procedendo, finché è possibile, senza prestare particolare attenzione alle vie alternative”. (pag. 52) Cioè io devo scrivere un testo, ho in mente il fine che mi spinge a scrivere quel testo e cerco di andare avanti guardando qual è il fine senza cambiare mai strada, cioè vado dritto a quel fine. Allora proviamo ad immaginare un testo che risponda a questa strategia, direi anche una comunicazione di lavoro, nella comunicazione di lavoro io vado dritto al fine, oppure le comunicazioni che possono esserci quando voi fate una chat con un operatore di home banking, allora se voi dovete fare una comunicazione in una chat con l'operatore di home banking, che a volte addirittura è un operatore virtuale, si chiama Chiara, si chiama Mario ma sono dei robot, molto spesso non lo sono, però voi sapete che o al robot o all'operatore in carne ed ossa che ti risponde dall'altra parte, si va al dunque ed è una testualità molto finalizzata. Cioè io sto qui per lavorare, io sto dall'altra parte per non perdere tempo, io ho la necessità di fare un bonifico che non riesco a fare, tu mi devi dare la risposta avendo tu stesso in quel momento la tua produttività da conseguire e quindi devi fare in modo di farti dare nel minor tempo possibile le chiamate con il maggior livello possibile di produttività, perché questo sei spinto a fare dall'azienda, in quel caso bando alle ciance vai diretto al fine. Questo però può essere danneggiato, questo tentativo di scriversi i testi nella chat se si incontra un blocco, allora uno dei due che cosa fa, retrocede il minimo che gli serve per riprendere ad andare avanti di nuovo verso la fine. Attraverso una formula ricorrente: mi perdoni mi sono spiegato male, abbia pazienza sono poco pratico di queste cose provo a spiegarmi un po’ meglio, ecco ho fatto un po’ di marcia indietro e poi riprendo ad andare avanti e ricomincio a scrivere: allora io sto cercando di fare un bonifico a una mia amica che vive in Corea del sud ma non ci riesco, mi potrebbe aiutare? dato che prima le ho spiegato un po’ male questa cosa. Perché magari gli ho detto Corea e quello giustamente mi dice Corea del nord o del sud? quindi c'è un blocco. Dovete ragionare in termini testuali. (qualcuno fa una domanda: gli autori dicono questo tipo di ricerca cioè quella prima in profondità non è molto sicuro in che senso non è molto sicuro? "questo tipo di ricerca non è molto sicuro, a meno che la ricerca da seguire non sia indiscutibilmente evidente."(pag. 52-53) Perché non è molto sicuro? il professore risponde: perché tu devi avere chiarissimo l’obiettivo, il fine, cioè tu lo devi enunciare. Se non lo enunci, allora questo scambio è poco sicuro, cioè è una tipologia testuale che richiede una vigilanza alta. Le faccio un esempio, in questi giorni io forse sono stato l'unico, non so, ho segnalato in ateneo il fatto che per fare, gli esami i docenti nell'area virtuale hanno una soglia massima di studenti in aula e allora questo presenta un problema serio. Significa che il docente deve stare diciamo 8 ore continuativamente nell'aula virtuale teoricamente senza fare una pausa, e se sono più di tot studenti il giorno dopo riprenderà la sessione, magari anche il terzo giorno deve fare un prolungamento. E' stato molto difficile far capire quale fosse la finalità del mio rilievo, perché io cercavo di dire guardate che noi abbiamo dei docenti che sono a contratto, che guadagnano poco, veramente poco, devono fare un anno di lavoro per avere una cosa che non li ricompensa minimamente di tutto il lavoro che fanno; allora se in tempi normali noi chiediamo a un collega a contratto di fare 100 esami in un giorno, quattro parti i cavalli che avrebbero dovuto tirarlo e ognuno di essi era legato con una fune ad uno degli arti. Evidentemente non riuscivano a staccare questi arti dal tronco, quindi bisogna aggiungerne altri due. Prendiamo ancora un altro testo, non vi dirò il titolo ma capirete subito di cosa si tratta perché è inevitabile. Il titoletto di questa prima parte è “Un bimbo solo nel deserto”. “Questo è un libro di misteri, sono misteri profondi e così intensi che non vengono svelati neppure quando se n’è conclusa la lettura. Non sappiamo da dove viene questo bambino che compare all’improvviso accanto all’aviatore nel deserto del Sahara. Il pilota si trova in una situazione davvero gravissima perché non sa come riparare il suo aeroplano e ha una provvista d’acqua che può bastare per una settimana.” Mi fermo qui. Possiamo già chiederci che tipo di scrittura sia questa, qual è lo scopo, il fine dello scrittore. Forse questo lo possiamo ascrivere ad una ricerca prima in profondità, oppure avvertiamo un blocco ancora più grande di quello percepito leggendo il secondo brano di Foucault. C’è qualcosa che suona subito strano qui, è come se l’intero testo alludesse a un blocco, quindi a qualcosa che ci impedisce di afferrarne il senso. Vado avanti: “Ad un tratto, sul fare dell’alba, si trova accanto a quella che lui definisce una straordinaria personcina. E’ un bambino che gli chiede di disegnargli una pecora. E’ un bambino assolutamente misterioso perché non sembra proprio che abbia attraversato un deserto, non ha sete, non ha fame, non è affaticato, non ha paura.” Cosa succede? Finito il primo capoverso abbiamo avuto una sorpresa. Stiamo leggendo l’incipit del Piccolo Principe e avvertiamo che c’è immediatamente, nel primo paragrafo, un blocco che ci impedisce di comprendere cosa stiamo leggendo. Capiamo anche che in un testo piano, c’è un problema. Non riusciamo a capire com’è che si parli in maniera così accessibile di estetica, mentre qui l’autore riesce a rendere gradevole il fatto che si parli di una questione impossibile, ossia un bambino che pur stando da tanto tempo in un deserto non ha fame, non ha sete, non è stanco, sembra vigile ecc. Quando parliamo di ricerca prima in ampiezza e ricerca prima in profondità facciamo sempre attenzione, poiché sono elementi che si intrecciano tra loro. Andiamo a vedere un altro testo, cioè un testo di Samuel Beckett. E’ un testo che sembra non porre alcun problema, è il primo della cosiddetta trilogia di Beckett. Ad un certo punto l’autore si libera del fantasma di James Joyce, cerca di raggiungere il massimo della sua autonomia creativa e comincia a scrivere in francese. Questo testo dice così: (vedi foto) Se io adesso chiedessi di cosa si parla, probabilmente ci sarebbe difficoltà. Paradossalmente, avremmo più accesso al testo che introduce l’estetica che a un racconto. Da un certo momento in poi, la narrativa diventa difficile. Cambia il canone, cambia il modo di scrivere. Ci sono autori che rappresentano delle pietre angolari, sulle quali si edifica un nuovo modo di fare letteratura e di scrivere. In questo, Beckett è sicuramente una pietra angolare. Ciò che ci interessa non è Beckett ovviamente, ma il fatto che noi registriamo che in questo capolavoro, noi leggiamo e non capiamo chi parla e di cosa parla. Forse riusciamo a capire il luogo dell’azione, poiché viene descritta una stanza, quella di sua madre. Il testo procede in maniera piana e lineare perché c’è una sintassi ben organizzata, però riscontriamo che nonostante questo, abbiamo delle difficoltà sul piano del senso. Non basta, dunque, una sintassi ben organizzata per rendere un testo fruibile. La sintassi è qualcosa che sta in superficie. Noi possiamo trovarci di fronte ad un testo ben coeso, ma tuttavia poco comprensibile (cosa in cui Beckett è un maestro). Qui ci siamo portati più verso una ricerca prima in ampiezza, una testualità che allude più a questo obiettivo. Scrivo un testo in cui procedo in maniera più sincopata, meno ampia. Vado avanti a piccoli passi, faccio capire e non faccio capire. Troviamo questo concetto, in maniera ancora più esasperata, in una commedia di Eugene Ionesco, ovvero “La Cantatrice Calva”. Siamo nel pieno del teatro dell’assurdo. Leggo L’inizio della traduzione italiana della cantatrice calva, una testualità perfettamente piana, ma che presenta comunque un problema. (vedi foto) La descrizione della scena non è banale. Il regista e lo scenografo che devono realizzare questo spettacolo, sanno che devono realizzare un interno inglese. Com’è una poltrona inglese? Com’è un fuoco inglese? Ionesco gioca sullo stereotipo, provoca. Gli scenografi, nel mettere in piedi questa scena vanno in crisi, poiché devono cercare di replicare l’inglesità. Come parla una signora inglese? Abbiamo un altro testo, l’ultimo che leggerò. Partiamo dall’incipit de “La schiuma dei giorni” di Boris Vian (versione italiana). Ripercorrendo la lettura dei testi a ritroso, abbiamo cominciato con un testo il cui oggetto è l’estetica e siamo andati, come in una sorta di crescendo, a vedere testi in cui la ricerca prima in profondità, la ricerca prima in ampiezza, e l’analisi mezzo fine si intrecciano sempre più. Ciò che è certo è che questo intreccio non consente a nessuno di questi testi di essere completamente libero da un obiettivo, anche quando non riusciamo a vederlo (così come per il testo di Beckett e ancor di più per quello di Ionesco). L’obiettivo non può non essere presente. Se esso non si intravede, allora il testo fallisce. Questo libro è dedicato all’autore stesso “per me, ciccino mio”. L’autore si rivolge a sé stesso come se si rivolgesse a qualcuno egli caro. (vedi foto) In questa prima pagina, l’autore procede attraverso delle contrapposizioni. Dice una cosa breve (quasi a livello di sintagma) e la contraddice immediatamente. Il discorso, però, mantiene una sua coesione. Possiamo notare questo modo di scrivere nella frase “La storia che io racconto è interamente vera, perché io me la sono inventata da capo a piedi”. Adesso leggiamo la prima parte e vediamo che,anche qui, la ricerca prima in ampiezza è forse qualcosa di più vicino agli obiettivi di questo modo di narrare, di quanto non lo sia una ricerca prima in profondità. Ciò accade perché in questo brano sfugge continuamente un obiettivo ben preciso, sembra che l’autore proceda per invenzioni continue che non hanno un collegamento tra loro. In realtà il collegamento c’è ed è fortissimo. (vedi foto) […dalle pinne del naso] Qui c’è qualcosa che non va. Il concetto di ricerca prima in profondità è veramente inapplicabile perché non riusciamo a stare dietro, abbiamo un’aspettativa che viene immediatamente contraddetta perché quando io leggo in un testo che tizio x stava finendo di farsi bello per uscire dal bagno si era volto in un grande asciugamano di tessuto ecc. , questo tessuto come immagino che sia? Può essere di spugna, può essere un tessuto che assorbe acqua, ma non mi aspetto che sia un tessuto bouclè. Il tessuto bouclè non si usa per asciugarsi dopo la doccia, esso è un tessuto anche abbastanza scomodo in questo senso, fatto di vari fili intrecciati tra loro. C’è dunque una contraddizione. In seguito c’è scritto “portò via allo scaffale”, ma lo scaffale è un’entità umana? Come se lo scaffale fosse un essere animato che vuole tenersi questo flacone. Gli portò via il vaporizzatore, ergo mi aspetto che il vaporizzatore sia qualcosa che contenga un liquido che può essere vaporizzato. L’olio non è qualcosa che si vaporizza. “La massa setosa in lunghi fili arancioni” qui c’è qualcosa che ci sfugge. Il mio cervello comincia a pensare a quello che potrebbe essere il ragionevole seguito di quello che sono i solchi che l’allegro contadino traccia. Dov’è che l’allegro contadino traccia i solchi? Qui la metafora stava funzionando, anche se io immagino che c’è questo pettine che, passato nei capelli, traccia dei solchi. Perché questo parallelo un po’ grossolano per farmi immaginare come sono le linee che si formano nei capelli di quest’uomo? Significa che sono molto unti. La cosa più disorientante è che l’allegro contadino i solchi li traccia nella marmellata d’albicocche. E’ una immagine completamente inventata perché non la ritroviamo, ad esempio, in un dizionario delle collocazioni. “dalle pinne del naso” non si tratta di una collocazione, di un proverbio, di una polirematica. Questa espressione è utilizzata solo dall’autore, si capisce bene o male, ma dopo abbiamo un qualcosa di totalmente inaspettato. Facciamo un passo avanti per andare al concetto di “dominanza elaborativa”. La preoccupazione è quella di delineare il modello di produzione e ricezione del testo. Non è come noi siamo abituati a pensare, qualcosa che ci è più o meno familiare. Essa è un modello di produzione e ricezione del testo e prevede una disposizione non sequenziale di fasi di dominanza elaborativa. Parliamo di dominanza elaborativa perché non è necessario né pensabile che i processi di una fase sospendano quelli di tutte le altre. Quando noi scriviamo un testo, ma anche quando lo recepiamo, facciamo un’operazione cognitiva che consiste nel sospendere delle informazioni e, nel sospenderle, recepirne altre. Poi aspettiamo che arrivi una soluzione al problema che causa la sospensione temporanea delle informazioni di prima, però le informazioni precedenti prima o poi dovranno essere risolte. Non è che possono rimanere sospese. Ad un certo punto io faccio dominare un’informazione durante la comprensione del testo e sospendo qualche altra informazione. E’ un concetto importante perché ci aiuta a risolvere anche l’opposizione tra modularità e interazione. L’interazione tra i vari livelli (fonetico, sintattico, semantico … ce ne sono anche altri, però questi sono quelli principali) viene prodotta da una classe di operazioni che chiamiamo corrispondenze, ossia la correlazione di elementi, strutture e relazioni di tipo diverso. C’è un’asimmetria tra i diversi livelli, ossia in un testo non ho necessariamente la simmetria tra il livello fonetico, sintattico e semantico. Questo è il motivo per cui abbiamo letto e analizzato questi testi, poiché dobbiamo essere in grado di rilevare l’asimmetria tra i diversi livelli. Ad esempio, per quanto riguarda il testo che concerne l’estetica, possiamo dire che c’è una buona simmetria tra il livello sintattico e il livello semantico. Nel testo di Foucault invece abbiamo già qualche problema, dato che in un testo saggistico non mi aspetto un inizio così disagevole, tuttavia c’è ancora un discreto equilibrio tra il livello sintattico e quello semantico. Nel testo de Il piccolo principe, l’asimmetria comincia ad essere più rilevate perché il livello sintattico resiste bene, il livello semantico mi crea qualche difficoltà. Nel testo di Ionesco c’è un’asimmetria ancora più marcata perché il livello sintattico è pressoché perfetto (a parte un’informatività che sembra molto ridondante, in realtà non lo è, ossia la continua ripetizione dell’inglesità), mentre quello semantico comincia a crearmi dei problemi perché anche se si parla di cose normalissime, io che sono al teatro mi chiedo cosa sta succedendo. Questo problema, e quindi questa asimmetria, e quindi il problema di una dominanza elaborativa creata a suo modo, esplode, potremmo dire, nel testo di Boris Vian “La Schiuma dei Giorni” dove noi abbiamo uno scompaginamento continuo delle aspettative e abbiamo una sintassi che si misura di continuo con una disaspettativa/con una rottura delle attese di chiusura dell’enunciato. Nel senso che io la chiusura dell’enunciato mi aspetto che avvenga nel rispetto del livello anche delle collocazioni. Se io sto leggendo che “quella mattina era molto presto, si stava ancora sul far de” mi aspetto che venga l’alba, che sia il far dell’alba. Oppure se sto leggendo “era appena trascorsa la domenica, si stava svegliando e pensò che il giorno dopo la domenica, ossia il martedì, era sempre un giorno positivo” c’è stata una disaspettativa. Quindi, nel caso qui in questione, la dominanza elaborativa evidentemente sta tenendo conto di qualche altro elemento che non è esattamente nell’ordine della simmetria. Quindi la asimmetria noi la dobbiamo rilevare con riferimento a questi macro livelli: fonetico, sintattico e semantico innanzitutto.1 Discorso un po' diverso riguarda ad esempio il discorso fonetico. Voi avete visto che io ho potato nella chat delle immagini e dunque, perché le ho postate? Perché c’è la difficoltà di rappresentare il livello fonetico. Attenzione noi stiamo parlando in questo caso, oggi più che mai, di testi scritti. Nel testo scritto il livello fonetico si rappresenta con qualche difficoltà. Noi stessi abbiamo difficoltà a descrivere il livello fonetico. Ma noi sappiamo che nel parlato c’è un doppio canale: un canale prosodico, e un canale lessicale. Nel caso delle emozioni, noi esprimiamo le emozioni sia attraverso il canale lessicale (con le parole che conosciamo) sia con il canale prosodico (esprimendo stati di collera, avendo un timbro di voce collerico ad esempio, oppure avendo un tipo di voce che in un certo canone culturale comunica che si è in collera). Quindi c’è anche l’elemento culturale che beta comunica su qualcosa. Non te lo verbalizza direttamente, non ti annuncia lo stato emotivo di quel momento con quelle parole, te lo annuncia con il livello prosodico o con un altro livello: quello gestuale (o prossemico). Questi livelli nello scritto devono passare in un modo che non è esattamente dello scritto, perché il livello fonetico deve essere rappresentato in un modo che è scrittivo e non più fonetico. C’è un caso particolare ed è quello del fumetto, perché il fumetto è un tipo testuale che, piaccia o non, da studiare come tipo testuale c’è da ammettere che è un tipo testuale che si presta a considerazioni a volte anche particolarmente profonde. Uno degli aspetti di maggiore difficoltà della realizzazione di questo tipo testuale, è proprio l’aspetto fonetico. Però c’è un’agevolazione dovuta al fatto che si rappresentano i personaggi, allora le figure possono essere 1A. de Beaugrande e W. U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, Il Mulino, 1994, pag.53 par. 18. procedere. Dopo posso fare ricorso all’aggancio progettuale, conosciuta la procedura, sapendo come si fa, serve l’aggancio progettuale per determinare il progetto.4 Per fare questo c’è bisogno dell’ideazione, cioè la fase di invenzione in cui si inventa quello che si andrà a scrivere nel testo. Cos’è un’idea rispetto alla procedura e alla progettazione di un testo? “Un’idea è una configurazione di contenuto creata interiormente, e quindi non prodotta sotto coercizioni ambientali, la quale mette a disposizione centri di controllo per un agire creativo e sensato quale, ad esempio, la produzione testuale.” la nozione di idea che ci serve in questo contesto è proprio questa di Beaugrande e Dressler, che è una definizione dissimile da quella che noi abbiamo intuitivamente in testa. L’idea, quindi, serve alla produzione testuale, senza di essa non avviene nessuna produzione. Persino per scrivere una e-mail serve un’idea. “È senza dubbio complicato trasferire una struttura progettuale su un’idea, soprattutto quando non è utile parlare apertamente del proprio progetto.” Questo significa qualcosa che è alla base di testi che partono proprio da questo presupposto. Ionesco ad esempio, all’inizio di un suo testo, non può dire il mio progetto è questo. Prendendo ad esempio il “Macbeth” di Ionesco ci si rende conto che, a differenza del testo di Shakespeare al quale Ionesco si ispira, c’è qualcosa che disorienta continuamente lo spettatore. La stessa cosa, se non peggio, accade se prendiamo in considerazione “Le sedie” o “Il rinoceronte” oppure “La cantatrice calva”. Ionesco non rivela mai qual è il suo progetto. Stessa cosa Boris Vian. Invece, sia Foucault quando descrive lo squartamento e il personaggio che abbiamo visto, e ancor di più Modica quando fa la sua introduzione all’estetica lo dichiarano immediatamente. In determinate testualità il progetto va dichiarato. Poi ci sono altre testualità che sono talmente distanti dall’ipotesi di parlare del proprio progetto che addirittura non diventano testi. C’è tutto un teatro che non ha mai previsto di diventare testo. C’è un teatro che non si scrive, che nasce da un progetto che non sta a monte ma che arriva alla fine del percorso creativo, e quindi a quel punto si può solo trascrivere, non una scrittura come si intende oggi. Quindi chi produce il testo non rivela il suo progetto ai destinatari del testo stesso. 5 “All’ideazione succede una fase di sviluppo che serve ad ampliare, precisare meglio, elaborare e collegare fra loro le idee trovate. Si può considerare lo sviluppo come una ricerca di spazi di sapere memorizzati, ossia di disposizioni di contenuto organizzate nell’intimo della memoria. Lo sviluppo può oscillare tra due estremi: da un lato, quello del richiamo di spazi di sapere più o meno intatti, e dall’altro quello di connettere combinazioni davvero insolite.” C’è un autore americano che si chiama Chris Ware che è uno specialista di questo lui vi dà l’illusione di mostrarvi il progetto del suo lavoro perché fa vedere proprio l’interno delle abitazioni, in realtà è un gioco. Perché gioca proprio sul fatto che, rispetto a quelli che sono i nostri spazi di sapere, noi sappiamo che un palazzo può essere rappresentato attraverso uno spaccato e quindi ci fa vedere che al primo piano c’è una camera da letto, poi la sala da pranzo ecc. al secondo piano c’è una configurazione diversa e così al terzo piano, e questo noi lo riusciamo a capire. È quando va nel dettaglio della narrazione che ci disorienta perché da una parte, fa quest’operazione di sviluppo e equilibra i due estremi, e dall’altra c’è una sorpresa che può essere anche narrativa. Come succede nel brano di Boris Vian dove il personaggio si avvicina allo specchio e scopre di avere questi punti neri nelle pinne del naso. E quindi fino a un certo punto c’era stato uno sviluppo che veniva incontro alle nostre conoscenze costituite, poi, improvvisamente, questo sviluppo prende una curva che non ci saremmo aspettati. Esiste quindi un testo che non si può permettere una divaricazione così ampia tra il nostro sapere memorizzato e una novità così forte? Sì, una semplice e-mail tra docente e studente, ad esempio, ma anche un testo scolastico.6 (vedi foto) Lezione 9 16/04 CAPITOLO 4, PAG 64. 4A. de Beaugrande e W. U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, Il Mulino, 1994, pag.54 par. 20. 5A. de Beaugrande e W. U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, Il Mulino, 1994, pag.54 par. 21. 6A. de Beaugrande e W. U. Dressler, Introduzione alla linguistica testuale, Il Mulino, 1994, pag.55 par. 22. La volta scorsa ci siamo fermati alla nozione di spazi di sapere. Ora diciamo che c’è una cosa soltanto da dire ossia che la presentazione del testo si serve sempre di una nozione preliminare di sequenzialità, cioè noi sappiamo che quando vediamo un testo, qualunque testo esso sia, come un fumetto, noi ci aspettiamo una sequenzialità, noi abbiamo l’aspettativa di vedere degli elementi in sequenza. Questa aspettativa non sempre viene soddisfatta perché possiamo trovarci davanti un testo che ci disorienta in quanto si presenta con una sintassi (adesso la chiamiamo così) che non è quella che noi ci aspettiamo. Attenzione perché questo può succedere anche in un testo che non sia descrittivo, quindi anche in un testo ad esempio disegnato, dove noi ci aspettiamo di trovare una sequenza di eventi descrittivi o disegnati che ci orientano rispetto a quanto sta avvenendo in un contesto. Questo la chiamiamo LINEARIZZAZIONE. La linearizzazione prevede che gli elementi che compongono un testo siano governati da un principio di ADIACENZA, io mi aspetto che l’elemento A sia adiacente all’elemento B e in qualche misura anche all’elemento C, mi aspetto molto meno che l’elemento A si adiacente all’elemento M o addirittura all’elemento Z che sta nel testo. C’è una distanza tra gli elementi del testo che va di solito rispettata, tuttavia ci possono essere dei testi che non rispettano questa distanza. Questo non significa che dei testi siano poco coerenti o poco informativi e via dicendo, possono avere misura più o meno maggiore uno di questi parametri, tuttavia devono mantenerli in una misura sufficiente affinché il testo sia fruibile. Se voi ricordate l’esempio del razzo giallo che viene lanciato in alto, le persone che stanno li per togliersi dal pericolo derivante dal lancio, arretrano e vanno a proteggersi dietro un parapetto e li ci sono degli elementi, nella sequenza del testo, che devono stare necessariamente in un certo ordine. Se noi cambiamo l’ordine di questi elementi abbiamo una difficoltà. Nel testo del razzo l’esempio ci informa del fatto che c’è un grande giallo e nero modello di due razzo 46piedimuro( ho ripreso la sagoma del testo inglese). Naturalmente se noi non traducessimo in italiano anche li dovremmo mantenere le adiacenze che ci consentono di capire a cosa si riferisce giallo, a cosa si riferisce nero, a cosa si riferisce la dimensione e via dicendo. Tuttavia anche in un testo, come questo del razzo, e quindi l’esempio lo avete, entrano in gioco delle nostre conoscenze che sono di carattere generale, che ci fanno capire che l’aggettivogreat grande si può riferire a due degli elementi del testo ma noi sappiamo riferirlo a quello giusto. Questo può diventare un espediente per chi utilizza il testo per disorientare il lettore, cioè non ti faccio capire bene se l’aggettivo lo sto ricevendo all’uno o all’altro elemento che sta nel testo. Contrariamente alla necessità di chiarezza che noi troviamo tutto sommato nel testo del razzo, possiamo avere un testo come quello dell’esempio del manuale in cui leggiamo of love, qui abbiamo qualche difficoltà perche non riusciamo a capire bene se great e of love dipendono da words e da silences, cioè da parole e da silenzi, se io ho un testo seppur breve, grandiparole o silenzi d’amore, io posso avere difficoltà a dirti se sono grandi le parole o anche i silenzi d’amore, perché quel grande si può riferire a entrambi gli elementi, quindi qui la linearizzazione crea qualche problema. Come si potrebbe risolvere questo problema? Si potrebbe risolvere con quella che si chiama UNA RICORRENZA. Ad esempio una ricorrenza totale e quindi con un espediente di coesione. Quindi io potrei dire grandi parole o grandi silenzi d’amore, in questo caso il testo diventa inequivocabile: sono grandi le parole e sono grandi i silenzi df’amore o diversamente devo specificare aggettivandoli i silenzi d’amore se voglio far capire con chiarezza che non sono grandi anche i silenzi d’amore. Però voi percepite qualcosa? Se io dico grandi parole e silenzi d’amore ho un testo più informativo perché mi causa quel disorientamento minimo che attiva la mia attenzione, se invece dico grandi parole e grandi silenzi d’amore ho un problema di ripetizione che rende il testo meno informativo, attenzione decisamente minore, più bassa. Se io voglio marcare la differenza posso anche dire grandi parole o silenzi di piccolissima grandezza pero poi perdo quella potenza del testo che ha nella sua prima formulazione. Un’altra cosa che dobbiamo tenere a mente è la RICEZIONE DEL TESTO che è ancora una volta un altro discorso. Il ricevente quando sente un testo o quando lo legge comincia a interpretarlo vedendo qual è la sua organizzazione di superficie. E quindi fa appello alla sua competenza, a quello che lui già sa, le conoscenze preliminari e poi scende verso una dimensione più profonda per cercare di capire meglio cosa significa quel testo. Però prima deve analizzare il testo di superficie, cioè sciogliere la sua catena lineare, gli elementi nella loro linearità di superficie, in dipendenza di ordine grammaticale. Bisogna vedere qual è l’ordine grammaticale. Gli elementi di queste dipendenze sono secondo Beaugrande e Dressler, LE ESPRESSIONE CHE ATTIVANO CONCETTI E RELAZIONI CHE VENGONO MEMORIZZATE MENTALMENTE. Esiste innanzitutto quando si legge o sente un testo quella che viene chiamata fase di richiamo dei concetti, cioè io attivo immediatamente la fase di richiamo dei concetti, cerco di capire quali sono i concetti espressi in quel testo e poi devo capire quali sono le relazioni che legano tra loro questi concetti, perché attenzione io posso capire quali sono questi concetti ma mi può sfuggire il livello delle relazioni, mi può sfuggire quali siano i legami relazionali tra i concetti e quindi mi perdo quantomeno una parte del testo. La configurazione dei concetti si denota in modo sempre più marcato facendo riconoscere come dicono Beaugrande e DresslerDENSITÁ E DOMINANZE. Le idee essenziali possono essere fissate in una fase di richiamo delle idee: io devo saper richiamare i concetti espressi nel testo ma devo anche richiamare le idee che sono espresse nel testo. C’è un terzo richiamo quando si sta di fronte ad un testo: è il richiamo del progetto, in base alla quale io cerco di capire qual è il progetto di quel testo, che obiettivo ha. Questo ci porta al progetto di colui che ha realizzato il testo, perché se in un punto, in un posto del mondo e nel tempo, c’è un testo significa che c’è qualcuno che lo ha realizzato e che aveva un progetto che noi dobbiamo riuscire a ricostruire quando siamo di fronte al testo. Quindi la ricezione testuale contiene come affermano Beaugrande e Dressler ,una SOGLIA TERMINE: significa che c’è una zona nella quale noi ci muoviamo in maniera differenziata a secondo se sono io, se è lei o l’altro e comprendere cosa questo testo ci stia comunicando. Dicono Beaugrande e Dressler che quando il testo è importante per il ricevente questa soglia è corrispondentemente alta. Un critico letterario ad esempio dedicherebbe in modo atipico un grande sforzo di elaborazione a certi testi di natura letteraria prendendo in esame non solo gli aspetti più probabili ma anche aspetti che ad altri destinatari di quel testo interessa poco. Per questo io ho caricato una cartella zippata(16.04.2020: cartella nella quale ho inserito dei testi che in qualche modo fanno riferimento proprio a quello che ho appena detto, testi che se non mi prendono immediatamente possono sfuggirmi in quello che è il loro piano concettuale cioè la fase del richiamo dei concetti può essere difficoltosa, la fase di richiamo delle idee può essere difficoltosa e può essere difficoltosa addirittura la fase del richiamo del progetto, a meno che io non sia un critico letterario, un critico musicale o qualcuno che vuole fare l’analisi tecnica di quei testi cercando di capire attraverso questa analisi tecnica come si fa l’analisi di un testo leggendo il quale si capisce poco. Mi può interessare poco il contenuto di quel testo, mi può invece interessare molto che quel testo sia per me uno strumento che mi consente di capire come funzionino gli elementi ad esempio che fanno la coesione di un testo. Perché io posso trovare un testo che mi è subito chiaro, del quale colgo subito la fase di richiamo dei concetti, quella per progetto, quella delle idee, lo capisco benissimo, però poi vado a farne un’analisi e mi da poca soddisfazione. Quindi teniamo distinte le cose, se io devo operare tecnicamente per imparare ad esempio a fare l’analisi allora non necessariamente devo prendere un testo che mi piace, perché può essere che nel testo che mi piace ho pochi agganci con la possibilità di fare un’analisi un pò più complessa. Beaugrande e Dressler dicono, “un esempio non meno estremo potrebbe essere l’analisi svolta da un linguista che non si accontenti di esporre l’organizzazione effettivamente ricercata della struttura del testo ma procede fino a scoprire le molte alternative possibili che è lecito supporre difficilmente verrebbero rilevate da un ricevente normale”: cioè non ci dobbiamo offendere se ci viene fatto notare se in un testo ci era completamente sfuggito qualcosa perché voi sapete che questo è la normalità. Io posso leggere un testo di analisi finanziaria di questo momento e non capisco niente. Possiamo fare l’esempio di un film: tutti pensano di parlare di quel film, hanno la stessa competenza e magari tra di loro c’è un critico, magari anche bravo, che ha studiato. Il critico ascolterà cercando di non offendere la sensibilità di chi sa tutto, però è chiaro che capirà che può sfuggire qualcosa a chi sa tutto. Questo lo dobbiamo tener presente quando ci troviamo di fronte ad un testo perché ci sfugge moltissimo. Anche quando leggiamo il bugiardino delle medicine, io so che delle parti è inutile che le leggo, degli elementi farmacologici che per me sono opachi, è inutile che io li legga. Quindi noi abbiamo dei MODELLI PROCEDURALI che presiedono alle operazioni di interpretazione di un testo. Noi abbiamo già in mente un modello in base al quale dobbiamo procedere all’analisi del testo X o del testo Y. Se il testo è una sceneggiatura teatrale, noi dovremmo avere in mente già la procedura di analisi della sceneggiatura teatrale. Se la sceneggiatura è destinata al cinema, noi dovremmo conoscere il modello procedurale. Su per giù noi leggiamo la prima e la seconda e se sono io che non ho competenze in quel campo, più o meno capisco delle cose, ma se le legge uno che conosce il modello procedurale A meglio di B, sicuramente mi saprà far notare delle cose che a me saranno sfuggite. Quindi abbiamo in mente questo e abbiamo in mente che esiste un modello procedurale che ci informa preliminarmente sulla competenza testuale(come quando uno entra in un posto dove deve cenare e più o meno sa come muoversi, se in un contesto occidentale medio forse c’è un tavolo, c’è un posto a sedere, dove ogni tanto parla con chi è accanto a lui, se c’è una signora accanto a lui anziana o giovane eccecc: ci sono quindi delle informazione preliminari e se io sono un pittore e devo rappresentare quella scena della tavolata farò eseguire ad ognuno delle azioni che scopo è quello di mantenere la coesione. Questa che noi chiamiamo ricorrenza, attenzione che in un testo come quello che avete appena visto non è altro che un’email, magari può dare o non dare fastidio, insomma non disturba la comunicazione, invece può essere utilizzato apposta, anche ripetuto più volte perché l’ideatore del testo lo fa proprio per valorizzare la ripetizione ad esempio testi di un certo tipo valorizzano la ripetizione, ci sono degli esempi nel manuale, ci sono ad esempio in teatro spesso la ripetizione è valorizzata per dare più peso ad una nozione, allora si ripete più volte la stessa parola. Questo lo dice perché ci fa capire che è in base al tipo testuale che noi facciamo la ripetizione e ci sono dei testi dove la ripetizione non ce la possiamo permettere. (capitolo 4 )C’è addirittura un testo di Rilke,portato come esempio nel manuale dove si ripetecredo sei sette volte il verbo cavalcabeh uno se parla così uno dice basta! e invece Rilke diceva perché voleva anche restituire visivamente l’idea di questo cavalcare interminabile, del giorno e della notte quindi voleva rendere analogica, far somigliare l’immagine del testo evocata dal testo con le parole che noi vediamo sul testo.Pag 72 (foto) La ricorrenza parziale la troviamo, come l’esempio che vi ho fatto vedere con questa mail corretta quando abbiamo delle parole che sono confaticali, e quindi io posso dire (pag 73) foto ‘’si sono dati dei governi che derivano la propria giusta autorità dal consenso dei governati’’qui ho una ripetizione parziale, una ricorrenza parziale: governi – governati; in certi casi noi non possiamo cambiare le parole, ci sono dei testi, in cui noi dobbiamo ripetere sia pure parzialmente. Allora nella mail io magari non ho questo obbligo e posso dire ‘’sostituisco leggerezza, per non ripetere parzialmente alleggerire, con precipitosità, lo posso fare’’ ma attenzione ci sono dei tipi testuali dove io questo non lo posso fare e quindi magari devo dire governi e governati a breve distanza l’uno dall’altro per quanto possa sembrare pedante perché magari è il contesto di un disegno di legge e devo utilizzare quella terminologia, non posso usare il così detto sinonimo perché sapete bene la sinonimia perfetta non esiste ma ancor meno esiste in determinate testualità dove è richiesto utilizzare la terminologia esatta, specifica, univoca, una parola e basta non ne puoi usare altre. Abbiamo poi, ho accennato poco fa, il PARALLELISMO. Il parallelismo è un altro degli elementi che concorrono alla coesione ed è una ripetizione e come dire di una sagoma un po' più grande all’interno dello stesso testo, molto spesso il parallelismo è la ripetizione di un gruppo di parole che in qualche modo riprende gli elementi di un gruppo di parole che già è stato detto, si somigliano, hanno qualcosa che ricorre, che si ripete e quindi sta sul piano della coesione. Se io dico (pag 74) (foto) ‘’ha pirateggiato sui nostri mari, devastato le nostre coste, incendiato le nostre città’’ vedete c’è una cadenza, c’è un ritmo, c’è una sintassi che si ripete (ha fatto questo, ha fatto questo, ha fatto questo) dico ha pirateggiato sui nostri mari, ha mangiato nelle nostre case, ha incendiato le nostre stalle : sono parallelismi, è un modo di ripetere una struttura e serve a dargli comunque la coesione del testo, tuttavia insisto sul fatto che è una ripetizione. Questo espediente del parallelismo noi lo possiamo trovare anche per singole parole, se avrò tempo dopo vi faccio vedere come si fa a rilevare il parallelismo da un testo. Vi voglio prima dire due parole sulla PARAFRASI perché a differenza della ripetizione totale, cioè se io dico ‘’mi ha alleggerito di quel peso che avevo sullo stomaco e mi ha anche alleggerito di quel debito’’ beh io ho ripetuto totalmente la stessa parola alleggerito- alleggerito, è una ripetizione totale; se invece dico ‘’mi ha alleggerito di quel peso che avevo e adesso per me è una leggerezza non avere più un debito’’ c’è una ripetizione, è innegabile, ma è parziale. Se invece dico ‘’mi ha alleggerito di questo, mi ha sollevato da quest’altro’’ è parallelismo, ripete la sagoma. Vedete, si va per livelli di astrazione, resta la nozione della ripetizione e a un livello successivo di astrazione noi troviamo appunto la parafrasi. Cioè dico la stessa cosa con parole diverse, se vedete la parafrasi è qualcosa che può riuscire difficile ai bambini a scuola che devono imparare ad esempio a fare il riassunto, a fare delle operazioni di sintesi dei testi e a volte si dà per scontato, soprattutto negli anni passati, che tutti potessero imparare questo, invece ci sono degli individui che hanno un problema specifico su questo, non è che per cattiva volontà non vuole fare il riassunto, no! Perché è richiesta una capacità di astrazione nel ripetere le cose che uno che magari ha un quoziente di intelligenza anche più alto, però magari io so fare la parafrasi e lui no, perché non è scontato fare queste operazioni. In ogni caso la parafrasi è dire qualcosa che già è stato detto con parole diverse, quindi io riprendo nel testo qualcosa che ho già detto ma con parole diverse. Questo è un espediente elegante per non ripetere la stessa cosa e quindi come dire è una sorta di espediente sinonimico camuffato, che viene trovato non soltanto tra parola e parola, ma tra gruppi di parole e gruppi di parole. Quindi io posso dire (pag 75) foto ‘’la storia dei fabbricanti di arnesi o, più precisamente dei costruttori come essi si chiamarono poco dopo la loro fondazione’’ in questo caso abbiamo la parafrasi, ossia la parola ‘’i costruttori’’è la parafrasi di ‘’fabbricanti di arnesi’’: questa è la parafrasi di un semplice concetto. Noi possiamo avere la parafrasi di una struttura più complessa, foto ‘’quando Dio divenne consapevole della sua onniscienza si sentì subito terribilmente annoiato perché, qualsiasi cosa accadesse ne conosceva sempre le conseguenze, non c’erano più soprese, non c’era nulla che non fosse già stato noto prima’’ allora vedete qua ci sono delle intere sagome di parole che si ripetono e che fanno la parafrasi di qualcosa che già è stato detto prima ‘’qualsiasi cosa accadesse’’ poi questo viene ripreso nel testo con parole diverse. La situazionalità può influire sulla prospettiva della parafrasi e della sinonimia e qui vengo a quello che ho accennato poco fa ossia il linguaggio giuridico, il linguaggio giuridico (e non solo) ha bisogno di individuare quella precisa nozione, quella precisa parola perché deve essere fatto un uso proprio delle parole perché un uso improprio delle parole può dipendere una sentenza, che è qualcosa di molto importante che modifica la vita delle persone quindi non si può sbagliare nell’uso delle parole e questo esempio è molto calzante: foto (pag 76) ‘’ogni commento, richiesta, suggerimento o proposta che sia oscena,turpe,lasciva , ripugnante o indecente’’ sono delle indicazioni che venivano date nell’elenco telefonico degli stati uniti in cui si proibiva l’uso del telefono per richieste, suggerimenti o proposte che fosse oscene, turpe, lasciva, ripugnante o indecente. È un continuo parafrasare uno stesso termine, bastava dire ‘’oscene’’ cioè non si dicono oscenità, perché se tu dici una cosa ripugnante la puoi far rientrare nella categoria dell’oscenità, se dici qualcosa di indecente la puoi far rientrare nella categoria dell’oscenità, no! Qui chi ha scritto questa formula ha ritenuto che bisognasse di volta in volta specificare, però per me può essere una parafrasi di ciò che viene detto all’inizio: ogni commento, richiesta, suggerimento etc, cioè io trovo nella parte successiva del testo la parafrasi di qualcosa che già è stato detto. Un altro elemento che concorre alla coesione sono le PRO-FORME, al plurale perché possono essere numerose, in particolare occasionalmente tra le proforme si individuano i pronomi, continuamente quando noi parliamo o scriviamo utilizziamo degli elementi che ci permettono di vedere il testo coeso, il testo di superfice senza ripetere più volte lo stesso nome, lo stesso soprannome, la stessa denotazione e via dicendo. Quindi le proforme più note sono i pronomi che adempiono la funzione di sostantivi o sintagmi nominali con i quali coriferiscono quindi io uso un piccolissimo elemento che può essere sostitutivo di un’altra parola o addirittura di un’intera porzione testuale. Però che sto facendo? Sto ripetendo quella prima parte testuale dicendola in modo diverso, sto mantenendo il testo coeso, compatto, con il suo collante testuale, dove tutto si tiene, semplicemente utilizzando una proforma. (pag 77) foto ‘’c’era una vecchietta che viveva in una scarpa, lei aveva tanti bambini, lei non sapeva che fare’’ e ho detto lei, lei in una traduzione forzosa e forzata evidentemente dall’inglese dove non posso fare a meno di usare il pronome però può darsi pure che l’ho scritto in italiano, voglio fare così e potrebbe anche dire legittimamente, con tutte le licenze del caso ‘’c’era una vecchietta che viveva in una scarpa, la vecchietta aveva tanti bambini, la vecchietta non sapeva che cosa fare’’ sono diversi livelli di ripetizione. Ad un livello ancora più alto abbiamo l’ANAFORA. È molto semplice, vi farò vedere come può essere anaforico anche un elemento disegnato, perché anche nel fumetto c’è l’elemento anaforico, non parlo di quelli scrittivi ma quelli disegnati, che possono avere una funzione anaforica e non sempre è facile rilevarla. Nell’evento anaforico, l’anafora è una pro-forma che sta dopo l’espressione coreferente quindi io uso un termine nella prima parte del testo e poi riprendo quel termine con un altro nella seconda parte del testo, vi farò vedere qualche esempio. La coreferenza ma quasi sempre, nella direzione dell’anafora in quanto la particolarità del contenuto concettuale veicolato viene messa in chiaro fin dall’inizio: che significa? Significa che quando noi parliamo e scriviamo, a meno che non abbiamo esigenze particolari, tendiamo a rivelare qual è il soggetto, ciò di cui stiamo parlando, e poi dopo lo riprendiamo con il coreferente cioè con l’espediente anaforico, nel senso che l’elemento che viene dopo è quello più piccolo, più generale. Io dico: ‘’Mario andava a scuola, Maria lo vide’’ LO è anaforico per non ripetere Mario, io potrei dire Maria vide Mario ma questo superato i primi mesi di prima elementare uno non lo fa più, perché sarebbe una ripetizione eccessiva, totale. Manteniamo la ripetizione, manteniamo la coesione, utilizziamo l’anafora. Un po' più fine dell’anafora è la CATAROFA, perché la catafora capovolge questo ordine di cose perché mette prima l’elemento che ti è ignoto e poi dopo ti svela a cosa si riferisce. Quindi la catafora è impegnativa per la mente perché mi costringe ad aspettare che tu mi dica cosa sia quell’elemento che non è ancora noto e quindi tu mi anticipi un’informazione ma me la riveli soltanto parzialmente; come quando dici ‘’non so se lui sta parlando sul serio, non so che cosa gli passa per la testa ma quando Mario fa cosi io non lo sopporto’’ eh allora l’ho detto dopo due posizioni testuali, perché in quel secondo di attesa tu magari avrai pensato che era qualcun altro, si poteva creare un equivoco, magari lo salto apposta e questo mio parlare in questo modo ti dà fastidio perché non me lo dici subito, forse volevi indurmi a farmi pensare che fosse un altro? La catafora è appunto meno economica dell’anafora dal punto di vista testuale. Ci sono poi altri elementi che sono i PRO-AVVERBI e i PRO-AGGETTIVI, ossia degli elementi solitamente piccoli che risolvono un’intera porzione testuale che è stata già detta e che ci permettono di non ripeterla e quindi se io dico ‘’aveva camminato tutto il giorno. Aveva fatto cosi’’ allora questo cosi è un elemento chemi consente di mantenere la coesione e di non ripetere ‘’aveva camminato tutto il giorno’’. Quindi nella nostra lingua noi abbiamo un PRO-AVVERBIO che ci permette di non ripetere la stessa sagoma testuale. Quindi vedete come dalla ripetizione totale di una porzione testuale si può passare ad una ripetizione che noi dobbiamo con molta attenzione rilevare in un testo quando veniamo chiamati a produrlo o a leggerlo, a recepirlo o addirittura a farne l’analisi, capire che cosa si sta ripetendo in quel testo. Alla fine di questa serie di elementi di coesione c’è l’ELLISSI. Un altro mezzo di coesione del testo che rappresenta una percettibile discontinuità del testo di superficie durante la sua elaborazione: è una bella definizione, cioè io non ti dico una parola, sei tu che devi capire qual è la continuità del testo e quindi sta più a te continuare ad assimilare coesione al testo, ovviamente l’ho fatto anche io perché quando l’ho prodotto, l’ho prodotto intenzionalmente con questa ellissi. (pag 85) foto ‘’ lo zio augusto è morto di idropisia. D’idropisia. Prima gli prese solo un piede, anzi le dita di un piede, ma poi fino al ginocchio’’ qui c’è un elemento che manca, sceglie di non ripetere una parola, non la dice più e sceglie di fare una ellissi. (pag 85) Legge sul libro “in genere, le ellissi basano…” (foto) è molto facile, io prima ti dico tutto e poi non te lo dico più, tu devi capire di cosa sto parlando, poi certo se lo sceneggiatore, l’autore del testo vuole portarla per le lunghe mi porta magari fino alla fine della scena in cui volendo fare questo quasi mi ha fatto dimenticare di cosa stava parlando, però lo può fare perché nella sua lingua è consentito fare ellissi. Cioè lascia allo spettatore l’onere di mantenere coeso il testo e gli assegna questo sforzo di attenzione. Vediamo che tutto questo viene riportato come a quella che si configura come soluzione di problema: quando noi leggiamo un testo, quando lo produciamo facciamo un problema, risolviamo un problema, la nostra mente è chiamata a risolvere un problema. Per mettere insieme le parti testuali noi ricorriamo solitamente alle GIUNZIONI, di solito ci viene detto che le giunzioni sono: per antonomasia nell’italiano è “e” “Mario e Gessica Quindi ho un primo elemento se volete di coesione. Da una parte ho senz’altro anche un elemento di ripetizione perché io vedo che si ripete “non bastava” ma non si ripetono gli altri due elementi. Tuttavia, devo registrare che c’è questa possibilità di collegare “il cielo” e “la brigata” qualora io volessi fare una disposizione del testo in maniera incrociata. Allora se vado avanti mi rendo conto che questo che vi ho appena detto non si limita a questi due elementi perché ci sono anche altri elementi che si ripetono, quindi sono oggetto di ripetizione e che quindi concorrono alla coesione di questo testo, perché io posso assimilare anche tra loro, nel senso della ripetizione, i costrutti “il tempo non passava” e “non passava la nottata” dove ho un’inversione degli elementi: Il tempo Non passava Non passava La nottata Questa inversione è molto utile perché ancora una volta metto i due elementi uno sull’altro e in struttura incrociata vado a vedere che “il tempo” si associa a “la nottata” mentre “non passava” si associa “non passava”. Allora anche qui ho due elementi di disturbo e due elementi di ripetizione totale cioè due elementi che in qualche modo si ripetono ma non in maniera così forte come nel caso di “non passava”. Allora vediamo che “non passava” e “non passava” ripetono totalmente la forma e anche il suono, ma “il tempo” e “la nottata” hanno due forme diverse. Tuttavia, se io voglio fare un’analisi accessoria e anche semantica devo riconoscere che “la nottata” è a suo modo un’entità temporale, e quindi tempo e nottata in qualche modo ripetono qualcosa. Anche in questa struttura incrociata allora ho in qualche modo due elementi che si ripetono con una gradazione diversa. Una gradazione totale nel primo caso e una gradazione semantica nell’altro caso, dove la forma non c’entra più, ma c’è una ripetizione semantica laddove nel primo esempio “il cielo non bastava” “non bastava la brigata”. Questa ripetizione semantica abbiamo difficoltà a riconoscerla perché abbiamo difficoltà a riconoscere una ripetizione di significato tra cielo e brigata. Dovremmo riuscire a fare un’analisi più profonda che ci consenta di dire che cielo e brigata, nell’economia di questo testo una volta considerato come un’unità comunicativa hanno a loro volta una qualche asilabità (?) Poi vado avanti e vedo che posso incrociare ancora altre due strutture, ossia mi accorgo che posso incrociare il “cielo non bastava” e “il tempo non passava”. Ossia se voi avete davanti ai vostri occhi il testo vedete che a un certo punto anche allontanando un po’ i testi al primo rigo abbiamo il cielo non bastava ma se ci fate caso c’è una ricorrenza di questa forma perché al primo rigo del secondo blocco ho il tempo non passava. Quindi quando il cielo non bastava, il tempo non passava, c’è poco da fare, devo riconoscere in questo una ripetizione. Allora diciamo che in modo diversamente graduato la ripetizione caratterizza questo testo e noi analizzandolo ci rendiamo conto che questo è elemento caratterizza fortemente questo testo. Ora noi sappiamo che notoriamente facendo riferimento a questi due versi cioè quando il cielo non bastava, quando il tempo non passava noi sappiamo che il tempo può non bastare e può non passare. Ad esempio diciamo “Il tempo non basta mai” oppure “questo tempo non mi basta” oppure “il tempo non passa”. È più difficile pensare che il cielo non può passare, questo noi non siamo proprio abituati a dirlo, non ci aspettiamo che il cielo non possa passare e questo elemento quindi il fatto che “il cielo non passava” che si incrocia nella struttura appunto chiastica crea un disturbo sul piano della coesione perché questa volta l’autore del testo non ha provveduto a creare una corrispondenza perfetta, una ripetizione perfetta. Quindi un piccolo disturbo della ripetizione che io vado a vedere se posso rilevare anche in un’altra occasione infatti io posso prendere anche questi due versi e vedete che ancora una volta abbiamo la possibilità di giocarci due occorrenze che si incrociano perché si somigliano in qualche modo, quindi possiamo dire che una ripetizione, che un parallelismo, adesso vediamo la ripetizione nel modo più macroscopico possibile e questi altri due elementi “non bastava la brigata” “non passava la nottata” anche questi sono due elementi che vanno a incrociarsi tra loro. Non sono casuali, c’è un parallelismo e in questo caso gli elementi non si sono invertiti, cioè non bastava è simmetrico con non passava e la brigata è simmetrico con la nottata, ma se io li incrocio la brigata non passava e la nottata non bastava ho ancora una volta un elemento che mi aiuta a scendere in profondità nella trama di questo testo e quindi dovrei andare a vedere ad esempio il fatto che il cielo non bastava e stavolta non bastava nemmeno la brigata. Quindi io associo su un piano di coesione la brigata e il cielo in qualche modo e mi devo chiedere come mai questi due elementi alla luce di questa prima analisi risultino così contigui. Continuo e vado a vedere che ci sono ancora altri due elementi che sono fortemente ripetuti, e sono: eri solo da incontrare, eri solo più lontana. C’è poco da fare, sono due elementi che parzialmente considerati come blocco si ripetono perché abbiamo questa prima parte eri solo che si ripete e poi una seconda parte che fa di questo una ripetizione parziale qualora noi volessimo considerarla come blocco. Qui noi dobbiamo rilevare una cosa, c’è una considerazione: per la prima volta la struttura chiastica restituisce l’intera struttura di partenza, la struttura incrociata ad X: Eri solo Da incontrare Eri solo Più lontana Restituisce l’identica struttura di partenza. Cioè in altre parole le due strutture si equivalgono. Voi potrete dire, ma perché si equivalgono? Beh dovete fare attenzione, perché se io incrocio eri solo da incontrare e eri solo più lontana e gioco forza il primo eri solo lo vado a incrociare con più lontana mentre il secondo eri solo lo vado necessariamente, non ho alternativa, a incrociare con da incontrare. Quindi abbiamo una fortissima coesione perché in questo caso io non ho scampo, posso soltanto invertire i due blocchi, nel senso che posso mettere prima eri solo da incontrare e poi eri solo più lontana o viceversa insomma. Ma ho comunque eri solo da incontrare e eri solo più lontana perché i due eri solo si collegano all’altra parte essendo uguali le prime parole e allora questa è una struttura che si ripete in qualche modo ancora più forte di altre. Infine, l’ultima struttura che rileviamo da questo testo è questa: ma tu ci sei sempre stata, ma tu ci sei sempre stata. Guardate non è casuale che questo verso chiuda in entrambi i casi il primo e il secondo blocco, qui l’equivalenza è ormai totale non deve essere più cercata nelle pieghe del chiasmo perché casomai l’equivalenza si conferma nella sua trasparenza. È diventata totale perché io se incrocio il primo ma tu con ci sei sempre stata ho un incrocio perfetto, perfettamente equivalente tra il secondo ma tu e il secondo ci sei sempre stata. Attenzione! Perché io ho detto il primo e il secondo? Perché questo è un altro problema, nel senso che e poi lo vediamo oggi questo, non dobbiamo essere generali. Il primo ma tu ci sei sempre stata sul piano formale si corrisponde perfettamente al secondo ma tu ci sei sempre stata. Tuttavia, il significato, in linea di principio, potrebbe anche essere diverso. Quindi quando noi vediamo una forma uguale può essere che ci porti a rilevare una diversità di significato semantica di solito anche molto forte. Quindi questo perché ve l’ho detto? Questo significa che si passa dal piano della coesione al piano della coerenza. Cioè io posso avere anche due forme che si ripetono alla perfezione ma c’è tra loro uno scontro semantico, un dislivello, una disuguaglianza qualcosa che non torna, qualcosa che addirittura può capovolgere nel suo perfetto opposto il significato della seconda occorrenza rispetto alla prima. A questo proposito, io forse vi ho messo nei materiali la volta scorsa anche dei testi o meglio un testo intitolato la Metro eccetera, (il testo è presente nella cartella dei Materiali). Per rendervi un po’ più pratico quello di cui parliamo volevo farvi degli esempi di ripetizione in un testo pur di non facile accesso come questo. Ho preso questo testo perché questo testo gli altri testi della serie di album di cui questo testo fa parte, sono testi che mettono alla prova e talvolta mettono veramente a dura prova chi volesse farne un’analisi, scoprendo tuttavia che questo testo ha una sua coesione veramente forte al di là di ciò che apparentemente può trapelare. Andiamo a vedere ad esempio quali sono le occorrenze totali. Cioè le ripetizioni totali di questo testo, quali sono gli elementi che l’autore, in questo caso Pasquale Panella, ha ritenuto di mettere in questo testo. La Metro eccetera La metro dei riflessi,  Gli sguardi verso il vetro,  Gli appositi sostegni verticali,  Le mani che fatali li discendono,  E quelli orizzontali, in alto i polsi e gli orologi  Viaggiano da soli.  La metro, i seduti di fronte  Sono semplicemente gli avanzati  Dal viaggio precedente  Che andava dove vanno  Tutti i presentimenti, eccetera.  In un soffio di porta, fa' l'ingresso  La bella incatenata a testa alta;  Invece i viaggiatori  Sono entrati  Col capo chino, e l'umiltà dei frati.  Bella incatenata dai sui stessi ormeggi:  La cinghia della borsa,  E stringhe mosce,  E fasce di camoscio e stratagemmi  Dei morbidi tormenti d'organzino.  Si fa la trigonometria,  Nei finestrini corrispondenti agli occhi alessandrini,  Di lei che guarda fissa  Un suo sussulto fuso nel vetro,  Che le ricorda tanto un suo sussulto.  La metro piomba nella galleria,  Come un eccetera eccetera,  Che continua tremante veranda di lettura,  Da un attico mittente, tutta giù a fendente.  E più di tutti  I giornali e i giornaletti  Ha successo una scritta:  In caso di necessità  Rompere il vetro,  E tutti i trasgressori saranno  Eccetera.  La metro si avvicina  Alla stazione prossima e rallenta.  I posti a sedere,  Ad occhio e croce:  Diciamo trentasei;  Le scale sono mobili,  Ma le pareti no,  E fermi i corridoi;  La folla passa e sale.  La metro accelera, come questo ci siano casualmente due parole che si somigliano così tanto. Quindi immagino che quella parola che sta così in alto, così lontana da quella che sta a metà testo, in qualche modo l’autore ha voluto metterle in collegamento tra loro, ossia ha voluto farne due elementi di coesione, due elementi legati da un filo invisibile che tengono assieme gli altri elementi, la trama del testo. Io questo lo trovo e questo forse vi rende meglio l’idea di cosa sia la ricorrenza parziale rispetto all’esempio che ho appena fatto se leggo il testo dall’inizio e vedete a un certo punto io ho: “Le mani che fatali li discendono, e quelli orizzontali, in alto i polsi e gli orologi, viaggiano da soli.” Su viaggiano ci scrivo sopra ripetizione parziale Rp 2/0, perché ho la ricorrenza poco dopo, non molto avanti, perché se continuo a leggere ci trovo i viaggiatori. Allora diventa persino un po’ curioso che si dica tra l’altro a così poca distanza qualcosa che è viaggiano e qualcosa che è viaggiatori. È quasi tautologico, quasi una ripetizione eccessiva, mi dovrò chiedere perché ha voluto fare questo, non me lo posso chiedere adesso, tuttavia rilevo che c’è una ricorrenza parziale. E sono due, quindi sguardi-guarda e viaggiano-viaggiatori. Si somigliano troppo queste parole, sono delle ricorrenze, sono delle ripetizioni. Vediamo se ne troviamo un’altra. Domanda studentessa: “Professore scusi, tra viaggiano e viaggiatori in mezzo c’è viaggio, viaggio è anche una ripetizione parziale?” Risposta: “Ah, sisi, certamente, ma sa quante altre magari ce ne sono e mi sfuggono in questo momento perché il testo è lungo ed è un po’ complicato e quindi sì certamente. È una ripetizione parziale. E allora sono addirittura tre! In uno spazio così ristretto. Allora ancora di più penso che non può essere casuale in un testo così attento alle parole, chissà ce n’è ancora qualcun altro. Però sì. Sono ben tre ricorrenze parziali” Allora se ci fate caso qui abbiamo un’altra ripetizione e vedete sempre all’inizio verso il sesto verso dove dice: “La metro, i seduti di fronte, sono semplicemente gli avanzati, dal viaggio precedente, che andava dove vanno, tutti i presentimenti, eccetera.” E verso la fine, in modo quasi speculare perché quasi qui siamo al settimo rigo e li siamo a 10 righi dalla fine, dove noi troviamo: “I posti a sedere a occhio e croce diciamo 36” ecco un’altra ricorrenza parziale: i seduti e sedere. Seduti-sedere, quindi ricorrenza parziale, quindi seduti Rp 3/0 e sedere Rp 3/1. Fermiamoci adesso con le ripetizioni parziali, però abbiamo visto qualcosa, ossia che abbiamo trovato diciamo tre ripetizioni parziali. Facciamo finta che queste sono e non ce ne sono più. Se avessimo trovato un testo, un brano, in questo caso un brano musicale in cui ci sono tre ripetizioni parziali laddove abbiamo trovato invece non so fate conto una decina di ripetizioni totali e allora fa problema già questo, in un’ipotetica statistica delle ripetizioni totali e delle ripetizioni parziali nella produzione di Panella – Battisti, noi mostriamo che la ripetizione parziale è poco usata mentre la ripetizione totale è molto più usata. L’analisi descrittiva serve anche a restituire questo e poi a partire dal dato restituito e ricostruito in maniera percentuale e statistica si può fare un ragionamento. Allora andiamo a vedere anche paragonando, confrontando le produzioni di autori diversi tra loro, possiamo scoprire che c’è questo autore, l’autore x che usa molto la ripetizione totale e invece c’è questo autore y che la scansa. Andiamo a vedere sempre su questi stesso brano un altro fenomeno della coesione, un fenomeno che abbiamo visto che nel caso del testo di Ligabue (suppongo volesse dire di Battisti, perché fa riferimento al testo “La Metro eccetera”) è presente. Parlo del parallelismo. Il parallelismo è un espediente di coesione non sempre usato, è uno di quegli espedienti dove ci si comincia a divertire un poco. Tuttavia, qui possiamo rilevare che di parallelismi ve ne siano alcuni. Vi faccio notare quello che succede nei primi versi. “La metro dei riflessi, Gli sguardi verso il vetro, Gli appositi sostegni verticali, Le mani che fatali li discendono, E quelli orizzontali, in alto i polsi e gli orologi, Viaggiano da soli.” Non cerchiamo adesso di capire cosa significhi questa strofa, ma notiamo semmai che abbiamo questo verso gli appositi sostegni verticali che ci corrisponde in una sorta di ripetizione con quelli orizzontali, anche se sono distanti l’uno dall’altro, ma c’è. Questo è un parallelismo perché da una parte abbiamo gli appositi sostegni verticali e da un’altra parte quelli orizzontali. Ora francamente vi devo confessare che in questo momento mi sfugge quali siano gli appositi sostegni orizzontali, tra l’altro non so a quale metro volesse riferirsi, boh dove aveva esperienza, non ve lo sto dicendo a caso questo eh dell’esperienza. Perché vi sto dicendo questo perché quando andremo a vedere cos’è la coerenza dovremmo capire se gli appositi sostegni orizzontali sono veramente i sostegni orizzontali che possono stare in una qualche metro oppure sono appositi sostegni orizzontali che è qualcosa che con la metro non c’entra. Per adesso ci accontentiamo del fatto che questo è un parallelismo. E attenzione perché un parallelismo lo abbiamo immediatamente dopo, quindi abbiamo ancora un espediente coesivo, di coesione subito dopo vedete quando dice “in alto i polsi e gli orologi”. I polsi e gli orologi perché i polsi e gli orologi quando uno nella metro utilizza l’apposito sostegno verticale, immaginiamo che sia quello che sta in alto, tiene in alto i polsi e gli orologi. Non andiamoci a chiedere questo cosa significhi, però questo è un parallelismo polsi-orologi. Ma ce n’è un altro se possibile più interessante, più avanti vedete vi leggo tutta la strofa e vi porto verso il parallelismo successivo: “La metro i seduti di fronte sono semplicemente gli avanzati, dal viaggio precedente, che andava dove vanno tutti i presentimenti, eccetera.” Legge poi la strofa successiva: “In un soffio di porta, fa' l'ingresso la bella incatenata a testa alta; invece i viaggiatori Sono entrati Col capo chino, e l'umiltà dei frati.” Avete visto qui c’è un altro parallelismo, vi potete segnare i parallelismi come Pl, sempre con il sistema dei numeri così vedete alla fine quanti numeri ci sono in uno stesso testo, perché l’analisi si fa sullo stesso testo e si scava in profondità della struttura del testo. Vedete qua cosa dice: “Fa l’ingresso la bella incatenata a testa alta invece i viaggiatori sono entrati col capo chino”. Ecco qui il parallelismo: a testa alta-col capo chino. Se noi cerchiamo di immaginare questa immagine c’è poco da fare sono esattamente le due immagini che Panella ha voluto mettere in parallelo e ha voluto restituirci questa immagine. È interessante questo sintagma, in un sintagma come questo la bella incatenata in realtà cosa si nasconde? Cosa ci fa pensare la bella incatenata a testa alta? Mmm..Su cosa si sta scherzando? Bella incatenata…abbiamo mai sentito la bella incatenata del bosco? No, quella è l’addormentata. Quindi questa bella incatenata aspettiamoci che ci consegni qualche altra sorpresa. Andiamo a vedere un po’ più avanti nel testo, a metà, e guardiamo cosa succede qui. La metro piomba nella galleria, sembra una cosa semplice, la metro entra nella galleria, qui c’è un utilizzo come dire abbastanza discenzioso (licenzioso?) delle collocazioni che noi ci aspettiamo. Le collocazioni sapete sono occorrenze, cum locare, stare nello stesso posto, occorrenze di parole che in italiano o comunque in qualunque altra lingua tendono ad aggregarsi. Due parole, oppure nome-preposizione, verbo-nome, sono dei costrutti ricorrenti che ci ha competenza sa che significano una certa cosa tant’è vero che a volte il verbo perde il suo valore semantico, si svuota. Se io dico “cosa stai facendo?” “Sto facendo la cucina” se io non sono uno che sta imparando l’italiano, ma già lo conosco, allora so che “fare la cucina” in italiano non significa farla nel senso di costruirla con gli attrezzi da muratore come potrebbe pensare uno che sta appena imparando l’italiano e sa che fare significa realizzare ad esempio. Fare la cucina ha svuotato in questo caso il verbo fare il suo valore e diventa un verbo supporto, come dicono i linguisti che si occupano di queste cose, e significa mettere apposto la cucina, sistemarla, pulirla. Domanda: “Professore può ripetere, come si chiama il costrutto, questo costrutto che lei ha detto poco fa, la metro piomba nella galleria, collocazione? Riposta: “No, io ho detto, allora ha fatto bene a chiedermelo perché volevo appunto dire noi abbiamo un’attesa di costrutti nella forma della collocazione, cioè del costrutto ricorrente. Quando io in italiano se ho la parola fermo questa parola può concorrere, si può collocare, cioè cum locare, stare nello stesso posto nella sequenza di elementi con un set di avverbi nel caso di fermo, che bene o male è limitato. Cioè io posso dire: il treno stava apparentemente fermo; il treno era assolutamente fermo; quella cosa è costantemente ferma; quella cosa è completamente ferma; ma non ne ho infiniti, bene o male sono questi (gli avverbi che stanno in collocazione con la parola fermo). Se ho una parola come ad esempio macchia, in italiano posso dire: la macchia sparisce; la macchia compare, la macchia va via, essere senza macchia, lasciare una macchia. Ma macchia si abbina a un numero di verbi che è limitato. Questi abbinamenti si chiamano collocazioni, cioè non si sono cristallizzati come le cosiddette polirematiche, che sono dei costrutti sui quali noi non abbiamo tanto margine, se io dico viaggio di nozze, quello è, non posso dire un’altra cosa se voglio parlare del viaggio che fanno gli sposi. Se voglio dire una ragazza acqua e sapone devo dire così, non posso dire acqua e sapone liquido (lo adoro). Le polirematiche sono più cristallizzate, ancora di più lo sono i proverbi. Io posso dire Tanto va la gatta al lardo che ci lascia ..e tu cosa ti aspetti che io dica? Che ci lascia lo zampino. Oppure se dico Bacco, tabacco e Venere, riducono l’uomo in? Cenere! Perché bacco, tabacco e Venere distruggono l’uomo, lo riducono in cenere e quindi mi devo aspettare questo. Le collocazioni sono a un livello più basso di aggregazione. Quello che volevo dirvi qui.. (parla di un lavoro di tesi sulle collocazioni, poi si blocca il video), è che le collocazioni sono molto simpatiche, gioca sulle collocazioni, anziché dire la macchia sparisce posso dire la macchia perisce, non è una collocazione che io mi aspetto. Allora l’analisi dei testi e il rilievo delle collocazioni o di quelle strutture che hanno la forma di una collocazione che in realtà però nessuno ha mai sentito è un’analisi molto interessante. Ecco qui un caso in questo testo perché noi in questo testo abbiamo questo verso che è la metro piomba nella galleria, noi ci aspettiamo una collocazione diversa cioè: la metro cosa fa rispetto alla galleria? Entra nella galleria. Scusate in quanti modi possiamo associare la metro e una galleria? La metro stava entrando in galleria, la metro usciva dalla galleria, la metro occupava la galleria, ma la metro piomba nella galleria è un po’ una forzatura. Quindi questo è stato fatto apposta, io non ho mai sentito che un treno piombi in una galleria, mi suscita quasi un sentimento di pericolo, qualcosa sta succedendo che non è quello che mi aspetto. Se voi fate caso poco dopo abbiamo la metro si avvicina alla stazione, quindi la metro piomba nella galleria e poi la metro si avvicina alla stazione, qui Panella ci da l’idea della progressività del percorso di questa metro e quindi il testo ci da un’idea di dinamismo degli eventi, ma quello che ci interessa in questo momento è rilevare che questo è un altro parallelismo: la metro piomba nella galleria-la metro si avvicina alla stazione. Questo è un parallelismo e quindi me lo segno come tale. Ecco avrei potuto dirvelo subito, ma vi ho parlato un attimo delle collocazioni. Andiamo a vedere se c’è qualche altra cosa. . Io segnalerei,questo sempre nel blocco finale: ” I posti a sedere, Ad occhio e croce: Diciamo trentasei; Le scale sono mobili, Ma le pareti no, E fermi i corridoi; La folla passa e sale. La metro accelera” e qui c’è un altro parallelismo perché noi abbiamo che le scale sono mobili e i corridoi sono fermi. Quindi con una inversione abbiamo il parallelismo negli elementi “le scale sono mobili e fermi i corridoi” perché questi due elementi sono fortemente coesi tra loro. è una coesione assolutamente voluta, volontaria non casuale, di conseguenza questi due elementi contribuiscono alla complessiva coesione del testo e noi li rileviamo in quanto parallelismi. Ma non è finita qui perché questo brano si presta a un’ulteriore analisi, limitandoci sempre alla coesione. Domanda: ad esempio questo è il terzo parallelismo, noi lo indichiamo con pl3/0 sulla prima frase e sulla seconda dicitura cosa mettiamo? pl3/1? Sì. Andiamo a vedere ancora il brano, lo riprendo dall’inizio, vado sull’elemento che mi salta all’occhio (che io chiamo in maniera brutale del “secondo blocco”) La metro, i seduti di fronte guardate cosa succede: “ La metro, i seduti di fronte Sono semplicemente gli avanzati, Alla stazione prossima e rallenta. I posti a sedere, Ad occhio e croce: Diciamo trentasei; Le scale sono mobili, Ma le pareti no, E fermi i corridoi; La folla passa e sale. La metro accelera, Eccetera, eccetera, E puntini di sospensione.” È molto bella questa immagine finale perché questa congiunzione, è una sorta di stato analogico con l’immagine stessa dell’eccetera e i puntini di sospensione. Colgo anche quanto meno una controgiunzione: “In un soffio di porta, fa' l'ingresso La bella incatenata a testa alta; Invece i viaggiatori Sono entrati” Invece è una controgiunzione, contrappone due parti testuali, quindi le contrappone queste due parti ma al tempo stesso nella sequenza testuale le unisce perché questo invece le contrappone e le unisce. Stessa cosa se io vado avanti: “I posti a sedere, Ad occhio e croce: Diciamo trentasei; Le scale sono mobili, Ma le pareti no, E fermi i corridoi;” ma: controgiunzione. Quando noi leggiamo un testo ci rendiamo conto che delle parti di questo testo possono essere caratterizzate da indeterminatezza, da ambiguità o da polivalenza. La indeterminatezza. Quando il senso espresso da colui che parla non è immediatamente chiaro noi diciamo che c’è un caso di indeterminatezza. Quando invece l’indeterminatezza persiste ossia no sopraggiunge la chiarezza, si parla di ambiguità. Quando invece noi immaginiamo che la indeterminatezza non sia stata voluta in maniera consapevole, parliamo di ambiguità nel senso che possiamo dire “ scusa ma io non ho capito, tu volevi dire questo o quest’altro? Questo può avere un livello ulteriore quando colui che produce il testo ha voluto veramente darti l’idea di due significati diversi, in questo caso noi diciamo che il testo è polivalente cioè ha più valenze, da due in su. Un testo può significare due cose contemporaneamente ma se l’autore è bravo allora il testo può avere più di due valori semantici. Questo, voi sapete, si produce soprattutto nei testi che si possono consentire qualche licenza, nella poesia, narrativa, canzone, ma ci sono dei testi dove la polivalenza non se la possono permettere: i testi giuridici non possono esserlo assolutamente, né possono essere ambigui. (pag.103) “Un testo privo di senso o assurdo è un testo in cui i riceventi non riescono a rilevare una tale continuità, di solito perché in larga misura non coincidono il complesso dei concetti e delle relazioni da una parte e le preconoscenze dei riceventi dall’altra”. Cioè io posso leggere un testo e non c’è coincidenza tra quello che io già so e quello che tu mi stai dicendo, e abbiamo appena finito di vedere un caso, grazie al testo “la metro etc.”, dove noi conosciamo il genere canzone e ci aspettiamo di capirla. Lì francamente capire non è scontato. Vuoi vedere che delle parti di quel testo sono polivalenti? Sicuramente non c’è una coincidenza immediata tra quello che io so e quello che mi viene detto. Del resto i testi di Boris Vian, la schiuma dei giorni, lì abbiamo difficoltà a comprenderne il significato, ma questo può avvenire anche per questo testo. (Cerca intanto un libro che si chiama l’etimologiario di Maria Sebregondi, ma non lo trova) - foto Qui ci sono due testi che hanno lo stesso titolo: i promessi sposi. Allora vedete che da una parte c’è un testo intitolato i promessi sposi, significa che sono gli sposi che si sono promessi. Incominciamo a leggere: ”quel ramo del lago di Como…” a fianco abbiamo un testo completamente diverso intitolato i promessi sposi, “quel ramo del lago di Como..” uno ha da una parte una nota opera di Alessandro Manzoni, dall’altra parte una cosa assurda, che ci vuole veramente molto impegno per capire cosa significhi. Nel primo caso faccio la parafrasi: si tratta di due individui impegnati a diventare marito e moglie, i promessi sposi, parafrasi del titolo. Continuo con la parafrasi, Quell’estensione d’acqua denominata ramo di Como presenta una diramazione orientata verso sud, ossia mezzogiorno, tra due serie continue di rilievi geologici, (vedete sono due serie di rilievi geologici) che formano prominenze e insenature, a seconda che i rilievi siano convessi o concavi” è una parafrasi semplice che può fare anche un ragazzo di scuola media. Tale diramazione diminuisce improvvisamente di larghezza e presenta quello scorrimento d’acqua, (c’è un corso) e quell’aspetto tipico di un fiume, tra una prominenza geologica sulla sponda destra e una estesa e più bassa costa, lungo la sponda opposta. Potrei andare avanti così restituendo a una parafrasi che diciamo spoetizza un po’ il testo di Manzoni però rende in maniera più precisa quelle che sono le caratteristiche geografiche di un posto. Ora vado a fare la parafrasi del testo a fianco a quello, che è veramente difficilissimo da parafrasare però volendo ci si può riuscire. Prima cosa da parafrasare, il titolo. Lo parafrasiamo: i promessi sposi ossia i vicemessaggeri inquieti, perché i pro messi sono quelli che fanno le veci dei messi cioè del messaggero, come il rettore e il prorettore, il sindaco e il prosindaco, il messo e il promesso, eh?e quindi Il promesso è quindi il vicemessaggero. Questi vicemessaggeri sono inquieti perché sono sposi, c’è questa -s privativa del verbo porre, e quindi ci sono i vicemessaggeri posi e i vicemessaggeri non posi, che sono sposi. Quindi la parafrasi del titolo è : I vicemessaggeri inquieti.(cioè non posi). (continua la parafrasi) Quell’arteria laterale del ventricolo, (il lago), del cuore di tale signor Como, (quindi starà parlando di un problema fisico, cardiaco del signor Como) che si è avvolta su se stessa alle ore 12, (perché dice che volge a mezzoggiorno) fra due catenelle saldate assieme provenienti da differenti monti di pietà, bhe si perché dice da due catene non interrotti di monti, tutti a seni e a golfi, e quindi con forme di mammella varia di donna, o maglie di golfi (è plurale di maglione, sapete i golf) e quindi a seconda che quelli (i monti di pietà) siano in disavanzo o in pareggio perché dipende da quante catene hanno se sporgono, rientrano. Tale arteria capita che si stringa per la seconda di fronte a qualcuno) è ovviamente un medico che sia stato portato quasi di peso etc.etc. Questo per dire che un testo può essere quello che noi pensiamo che sia, poi se uno si vuole divertire ed è bravo a farlo, dimostra che un testo può significare tutta un’altra cosa. Anche il testo possibilmente meno polivalente del mondo può diventarlo. Perché io mi ci metto e ci faccio una bella parafrasi. Volevo darvi un caso che fa parte di un libro a cura di Raffaele Aragona, il doppio. (pag.103) Quindi “Un testo privo di senso o assurdo è un testo in cui i riceventi non riescono a rilevare la continuità perché in larga misura non coincidono il complesso dei concetti e delle relazioni da una parte e le preconoscenze dei riceventi dall’altra”. Noi basiamo la nostra aspettativa testuale, le nostre attese, sul senso comune, quello che già sappiamo, sui nostri modelli di partecipazione alla comunicazione. (pag. 104) “Queste nostre conoscenze non sono affatto identici al significato o al contenuto delle espressioni linguistiche che li rappresentano o trasmettono, a dispetto dei linguisti e psicologi che molto spesso hanno usato nei loro studi questi due termini in modo intercambiabile o confuso. Una tale confusione è da ricondurre alla grandissima difficoltà di immaginarsi e descrivere il sapere e il significato senza ricorrere continuamente alle espressioni linguistiche” Cosa significa? Che noi abbiamo nella teste delle situazioni, immagini, figure e cerchiamo di rappresentarle con le parole. Le parole, le strutture del linguaggio non corrispondono direttamente alle immagini che noi abbiamo nella mente. Noi facciamo uno sforzo di adattamento tra l’immagine mentale e le parole con cui noi descriviamo l’immagine mentale e dobbiamo cercare di capire che i modelli di adattamento verbale sono diversi da persona a persona. E si creano quindi degli spazi di incomprensione. (Racconta di una studentessa che non aveva chiaro un passo di una poesia di Montale riferendosi al termine “maglie” può sfuggire il fatto che gli elementi che compongono la rete metallica si chiamano maglie, e quindi Montale invita a trovare un punto nella rete dove le maglie si sono rotte e fuggire attraverso, c’è quindi una rete) il sapere delle conoscenze non sono affatto identici… Questo sapere può essere determinato, tipico, accidentale. Quello determinato è quello per il quale sappiamo che gli uomini sono mortali. Come diceva Totò oggi a me, domani tocca a te etc. poi c’è il sapere tipico, quello che tutti gli uomini, come diceva Aristotele, vivono in comunità questo è un sapere tipico, che mi impone che tutti gli uomini vivono in comunità. Poi c’è il sapere accidentale ossia che alcuni uomini sono biondi, ma non è che tutti devono essere biondi. Quindi il nostro sapere si articola in tre livelli, e questo noi lo dobbiamo adattare a quello che è il concetto e relazioni che sta alla base della testualità, la relazione tra concetto e relazione all’interno del testo è quello che ci permette di cominciare a comprendere un testo. E queste relazioni possono essere anche improntate a fattore di vaghezza o mobilità. Cioè io devo essere pronto rispetto alla vaghezza del testo e alla probabilità che quel concetto significhi qualcosa. Questo nella misura in cui un concetto di cui a te sono chiari i contorni a me può sfuggire qualcosa. Quindi torniamo ancora una volta alla visione di Beaugrande e Dressler, probabilistica rispetto al testo. È l’antefatto di una severità di approccio al testo. Domande: potrebbe spiegare il concetto di spazi di incomprensione? Era in relazione alle poesie o all’altro? Cosa intendeva con spazi di incomprensione? Allora Renato, diceva un grande esperto di questioni estetiche, Rudolf Arnheim, non tutto ciò che è nello spazio visivo colpisce la retina, quindi come quell’altro che diceva non c’è nulla di più profondo delle apparenze. Non tutto quello che noi abbiamo davanti ai nostri occhi arriva al cervello. È la stessa cosa del testo. Il testo dev’essere letto e riletto, e ogni volta io tolgo un velo e cerco di vedere qual è lo strato successivo, basandomi sugli strumenti che vedo a disposizione che chiamo anafora, catafora, congiunzione, controgiunzione, ellissi, parafrasi etc. ora l’immagine del mondo, un’immagine anche del tutto occasionale che io ho nella mia mente, se io la voglio realizzare, rendere reale attraverso il linguaggio, devo fare uno sforzo di adattamento delle strutture linguistiche di cui io dispongo e l’immagine che io riesco a definire, isolare nella mia mente. Lei capisce che già fare questo nella mia mente è difficilissimo perché parliamo di entità diverse. Da una parte parliamo di qualcosa che è gestito in zone del cervello che sono deputate all’immaginazione, alle figure etc, dall’altra parte parliamo di qualcosa che è gestito da altre zone del cervello che è il linguaggio. Queste due cose sono entità diverse immagine e linguaggio sono cose diverse, tanto è vero che io posso anche sospendere, la mia attività di linguaggio, persino quella mentale, e o per motivi patologici pensiamo all’autismo, o per altri motivi, io dipingo, disegno, riproduco le immagini mentali in qualche modo, cioè io posso rappresentare il mio vissuto, il mio immaginario anche in maniera non linguistica non verbale e quindi lo faccio attraverso un canale completamente diverso. Quando metto assieme invece la dimensione linguistica con quella dell’immagine faccio uno sforzo di avvicinamento, di accostamento di incontro di queste due dimensioni e con uno scarto ineliminabile. C’è poco da fare. Ogni volta che io nella mia vita dirò la stessa cosa, fatalmente avrò detto una cosa diversa. (Ragazza chiede se può inviarle un brano del suo cantante preferito, analizzandola, lui dice si certo con grande piacere) Sicuramente l’analisi sistematica è un ottimo sistema anche per rafforzare la propria capacità metodologica, di metodo. Se si prende una produzione e faccio l’analisi di questi testi I testi musicali hanno sempre, sempre, ora non vorrei banalizzare, io ad esempio per quanto riguarda le tesi ho una linea di tesi su testi in napoletano perché lì vengono fuori vengono cose importanti. Ma non che bisogna fare la tesi in dialettologia. Ma se voi soltanto pensate che Il napoletano è una lingua che non ha un futuro, pensate come sia importante ragionare su questo o pensate che il napoletano non ha nella forma il condizionale che supplisce con la forma che noi chiamiamo congiuntivo. Oppure quali sono le traduzioni delle collocazioni, quali sono le collocazioni, come si inventano delle cose. C’è un brano di Calcutta dove lui a un certo punto dice ma devo anche capire quali sono le procedure. Per questo si chiama semantica procedurale. Io non devo conoscere di un testo solo ciò che in quel testo viene dichiarato, esempio: “ah che bella giornata è oggi! Ci sono gli uccelli che cinguettano e un bel sole”, allora io ho fatto una dichiarazione e il significato di questa dichiarazione è noto a chi lo recepisce. C’è una dichiarazione in questo caso su fatti e convinzioni che riguardano l’organizzazione di avvenimenti e situazioni del mondo reale. Ma io qui posso limitarmi a dirti questo e tu ti limiti a constatare quello che io ho dichiarato che dal punto di vista semantico è trasparente. Ma io non ho dichiarato nulla rispetto al motivo per il quale ho fatto questa dichiarazione stessa, né rispetto al motivo per il quale ho usato quella sintassi, né rispetto al motivo per il quale ho usato quell’intonazione, né rispetto a tutte le altre occorrenze procedurali che hanno accompagnato la dichiarazione. Cioè una cosa è la dichiarazione in quanto tale, un’altra cosa è la procedura che io ho messo in atto. Noi potremmo spingere queste dichiarazioni sulla procedura fino a fatti che non sono più linguistici, ma cominciano ad essere paralinguistici, prelinguistici o addirittura non linguistici ossia gestuali, prossemici ecc. Quindi dobbiamo tener distinte le due cose, semantica, significato e procedure. C’è un documentario in cui interveniva come giornalista Pasolini, il nome era “Comizi d’amore”, in cui Pasolini intervista ad esempio delle persone sulla spiaggia (risale a tanti anni fa), faceva domande molto semplici, con la crudezza che caratterizzava la sua poetica. Egli ha scritto anche nel suo dialetto, ha parlato della madre delle sue poesie, rappresentare la madre è una delle operazioni più difficili per un poeta. Ha fatto dei capolavori della cinematografia che sono inguardabili per i più perché o ci si addormenta o non si capisce cosa vuole dire, ad esempio in Medea. In questo lungometraggio quindi Pasolini fa fare delle dichiarazioni ai suoi intervistati. Tutto il lavoro sulla procedura lui lo lascia alla sensibilità dello spettatore e ovviamente lui ne è consapevole. Quindi molta dichiarazione, poca procedura. Questo per rimarcare che noi non facciamo dichiarazioni sulla procedura se non, a volte, quando lo riteniamo necessario utilizzando degli espedienti metacomunicativi, come ad esempio: “guarda come te lo dico!” oppure “stammi bene a sentire!” oppure “forse non mi hai capito bene!” ossia quei costrutti che a volte possono essere anche gestuali soltanto che attirano la tua attenzione in maniera un po’ più alta rispetto alla procedura ossia in modo pragmatico rispetto a ciò che veramente sta succedendo. Quindi ti richiamo ad una maggiore attenzione e già questo è un richiamo alla procedura. Domanda: “Questi espedienti comunicativi possono corrispondere alle funzioni fatiche?” Certamente. È un modo diverso di nominare un fenomeno che non è proprio lo stesso, ma rientra in questi fenomeni. La differenza di terminologia sta ad indicare una sfumatura leggermente diversa. Quando si usano, dicono Bogran e Dressler, espressioni linguistiche in una funzione comunicativa si attivano le relazioni e i concetti corrispondenti in uno spazio di lavoro mentale che loro chiamano deposito attivo. (p.107) È una terminologia un po’ ingenua ma serve a portare avanti il discorso. Il deposito attivo è uno spazio mentale, immediatamente si fanno dei collegamenti e se ne scartano altri. Quindi se tu mi dici “che bella giornata, c’è anche un bel sole”, io immediatamente escludo (n) possibili relazioni e ne attivo, in quantità ristretta (n) altre. Tant’è vero che dicono che George Miller, nel 1976 forse, diceva che questo deposito può accogliere al massimo sette unità memorizzate contemporaneamente. (p.107) È un numero significativamente limitato. Il grado di questo deposito è superiore quando queste unità rappresentano spezzoni di sapere ben integrati e non elementi singoli e scoordinati. (p.108) Anche questo è molto importante. Cioè queste unità di sapere che noi immediatamente selezioniamo che ci ricordano quello che diceva Sapir: il nostro linguaggio procede per un’incessante attività di selezione e combinazione. La stessa cosa diceva Gustave Guillaume, cioè i più grandi linguisti di tutti i tempi dicevano questo. Che cosa è se non la nostra attività di formazione delle parole, quando noi selezioniamo e combiniamo in uno strato di profondità della nostra mente che non affiora alla coscienza, la base lessicale con il morfema che serve per creare quel significato univoco e poi la facciamo affiorare a quella che chiamiamo coscienza quando questo lavoro di selezione e combinazione è ormai già avvenuto in un tempo verbale che precede l’affioramento. Poi questo lavoro di selezione e combinazione procede ancora nella nostra mente a livello profondo, mettendo assieme questo primo costrutto con altri; soltanto dopo questo processo mentale che è durato tantissimo, noi lo portiamo nel parlato. Questa è una cosa reale, in uno spazio di lavoro non è che c’è tutto. Se io ti dico “è una bella giornata e c’è il sole”, nello spazio di lavoro c’è il concetto del sole, del cielo azzurro, della bella giornata. Bella giornata crea un problema perché può essere dal punto di vista semantico qualcosa che non corrisponde a quello che è per te. Se Il sole bene o male, anche se non è lo stesso per tutti, così come il gelato al cioccolato, non c’è nessuna prova oggettiva rispetto all’ esperienza sensoriale che faccio io quando mangio il gelato al cioccolato che è quello preso dalla stessa vaschetta del gelataio artigianale che l ha fatto un attimo dopo a te. Quella esperienza è soggettiva, non è descrivibile. In ogni caso noi abbiamo uno spazio di lavoro limitato. Ne consegue, che il sapere alla base dell’uso testuale dovrebbe avere normalmente la forma di pattern globali che occorre riprodurre di volta in volta in una forma specifica in relazione a entrate, nella ricezione del testo e uscite, nella produzione attuali. (p.108) Dobbiamo pensare che quando leggiamo un testo, questo può essere stato scritto in una lingua che non è la nostra, allora questo attuale è la spia più accesa di significato, perché significa ciò che sta avvenendo in questo preciso momento. Attuale significa qualcosa di irripetibile, che avviene in quel momento e poi non c’è più perché ogni espressione linguistica, nel momento in cui noi la enunciamo è un unicum, non ci sarà mai più come c’è stata una volta. Noi non ripetiamo mai la stessa cosa, così come non leggiamo mai la stessa cosa perché nel frattempo siamo cambiati, il tempo è passato. Bienveniste ha studiato questi fenomeni, i suoi testi sono attualissimi sull’assoluta individualità dell’enunciato. È qualcosa che non può prescindere da colui che enuncia. Il pattern è un modello globale, è una configurazione di elementi. Significa che questi elementi che noi abbiamo selezionato devono stare motivatamente assieme, devono costituire una configurazione. Una figura che si compone mettendo assieme vari elementi. Il pattern può essere anche un prodotto della nostra fantasia. Non è necessariamente qualcosa di schematico, ragionato. Può indicare anche una configurazione fantastica di elementi fra loro e posso dimostrare che questo genere di configurazione abbia una sua ragione d’essere. La difficoltà che si ha nell’elaborare occorrenze inattese o divergenti deriva probabilmente dal fatto che non è possibile trattarle come parti di pattern ben integrati e memorizzati (p.108) … ecco qua “la metro eccetera”. Qual è il modello di quel testo? Che cosa è avvenuto nello spazio di lavoro? Come sono stati messi assieme gli elementi nella selezione e nella combinazione di un testo come quello? Noi abbiamo quantomeno in entrata difficoltà ad elaborare quelle occorrenze di quel testo perché per noi sono inattese o addirittura divergenti. Noi potremmo individuare quali sono le occorrenze inattese di quel testo, ad esempio “le stringhe mosce” o altre. Questo quindi è un fatto di coerenza. Potremmo trovare occorrenze divergenti ad esempio se l’autore mi dice una cosa ad esempio questo è bianco e nero. È bianco o nero? C’è un problema di coerenza. Sul piano di coesione può essere coeso ossia si dice “c’è un braccio bianco e un braccio nero”, sul piano della coesione sono strutture che si ripetono ma sul piano della coerenza, ossia del riferimento di questi a combinazione e selezione di concetti in relazione a significato, semantica e procedura, comincia a creare qualche problema. Questo lo possiamo portare fuori d’analisi di un testo anche con operazioni molto più semplici, ad esempio vogliamo fare il rilievo delle collocazioni di quei testi, prendiamo un insieme dei brani di Panella e vediamo come si comporta rispetto alle collocazioni. Esse sono dei costrutti ricorrenti che tendono a formarsi nello stesso modo, però non si sono cristallizzate come le polirematiche, né come i proverbi dove non si può cambiare nulla. Le collocazioni permettono di fare piccoli cambiamenti però si riconoscono. Ci sono delle collocazioni molto innovative o in certi testi si può rilevare una rottura del vincolo collocazionale: io trovo uno degli elementi della collocazione, mentre l’altro lo trovo cambiato (invece di alta marea trovo verde marea). Possiamo rilevare questo anche se facciamo un’analisi diacronica dei testi. Fa riferimento a immagini di fumetti caricati nella cartella zippata (materiali), pubblicati nel ’68 (momento di rottura). La Rivoluzione francese ha avuto un significato simbolico enorme e questo ha prodotto un riflesso sulla cultura di altre nazioni. Ma ci sono altre culture che non si sono fatte penetrare dal significato della Rivoluzione francese, con i principi di libertà, uguaglianza, fratellanza, così come ci sono culture che non si sono fatte penetrare dal significato del cristianesimo, relativo ad esempio al messaggio del perdono, culture in cui la possibilità del perdono non è contemplata a nessun livello. Il linguaggio cambia in momenti di rottura. Visto come parlano i personaggi di quei fumetti, come scrivono gli sceneggiatori i testi dei fumetti prima del ’68 noi andiamo a vedere se si sono recepite quelle istanze di frattura. Ci sono stati dei fumetti di Gesebel che hanno recepito queste istanze: viene usato un linguaggio diverso, i personaggi si vestono in modo diverso, viene usata una prossemica diversa. Ci sono fumetti che invece questo non l’hanno recepito. Ci sono dei casi in cui si verifica un’accelerazione dal punto di vista delle collocazioni. Gesebel è un personaggio femminile che voleva imitare personaggi maschili con caratteristiche eroiche. Superato il ’68, anche i personaggi femminili di questo fumetto di avventure spaziali, non recepiscono questa istanza perché il livello lessicale rimane lo stesso, come se nel mondo extra testuale non fosse successo nulla, si continuano ad usare le collocazioni che c’erano prima, es. la missione è compiuta, schiacciare il pulsante. Mentre ci sono altri fumetti, uno di questi è Alan Ford che inizia ad essere pubblicato sul finire del '68 '69 e '70. Lo stesso autore di Alan Ford, Max Bunker, era autore di altri fumetti che venivano prodotti prima del '68, possiamo vedere che il Alan Ford ci sono delle innovazioni: dentro la struttura collocazionale si intravedono delle novità cioè lo sceneggiatore sta recependo che il linguaggio si è rinnovato sulla spinta di questa istanza culturale rappresentata dal '68. Noi vediamo che in questo fumetto delle collocazioni cambiano ad esempio abbiamo dei costrutti come " avere una spifferata" oppure "spacciatori di biglietti falsi" " beccarli con le mani nel sacco" oppure "scampare il disastro". Vediamo che c'è sempre un' infrazione poichè non si scampa il disastro ma si scampa il pericolo; non si viene beccati con le mani nel sacco ma si viene presi con le mani nel sacco; non si spacciano biglietti falsi ma si spacciano banconote false e così altri costrutti che infrangono la regola. Questo vuol dire che c'è stato un aggiornamento e anche su questo bisogna attivare le proprie conoscenze e se le conoscenze non sono aggiornate continuerò a leggere dei fumetti in maniera molto passiva dei fumetti come " Wonder Woman" che non sono meno stellari e fantascientifici dove ancora oggi, come negli anni '50, troviamo espressioni come " per Giove", " per Eva", " per mille fulmini". Questo pò fare riferimento anche a coloro che usano espressioni come "per dinci" che sono legate al parlare per letterario utilizzando il "per" intensivo del latino con il quale da perficio si passa a perfacio e poi a perfetto. Per questo un conto è fare un conto è perfare o perficere ossia fare nella maniera più compiuta possibile. Per questo bisogna essere attenti alle istanze di cambiamento e Panella produce tali istanze di cambiamento che devono essere accolte e restituite anche al mondo extratestuale. Se io uso un costrutto molto abusato attivo un' unità di sapere generica. Se io scrivo, anche in una canzone " anche stavolta l'hai fatta franca" attivo delle unità di sapere molto condivise anche se la forma " l'hai fatta franca" si è un po' svuotata, non produce impatto, non è più informativo. Noi però lo riusciamo a mettere in uno spazio di attivazione ampliata. ( Lettura Pag 109 paragrafo 12) Tutto questo ci fa capire che ancora una volta l' attivazione ampliata si misura con ciò che è la conoscenza mia o dell' altro. I pubblicitari, generalmente, lavorano su questi meccanismi. Un esempio può essere la pubblicità: Una donna che apriva la porta e trovava una signora alla quale chiedeva " Sign. Luisa già qui?" e lei risponde " Sì, Luisa comincia presto, finisce presto e generalmente non pulisce il water" la signora risponde "Ma come non pulisce il Water?" la signora Luisa risponde dicendo " si, perchè nel water ci metto (nome del prodotto) e non c'è bisogno che lavi il water. Tutto questo è interessante perchè si capisce che è la signora delle pulizie e va a casa dell'altra signora a fare il suo lavoro. Di fronte all'incredulità della proprietaria di casa per essersi presentata troppo presto la donna delle pulizie spiega che "comincia presto, finisce presto e non lava il wc" questo fa esplodere il pattern ma non con l'utilizzo di testi "perletterari" quindi fuori uso ma con un testo rivoluzionario. Tra le altre cose la sagoma della signora Luisa poteva essere ricondotta a quella di Margaret Thatcher, nominata per la prima volta primo ministro del Regno Unito mrl '78 '79 fino al '90. Molti film sono stati fatti come denuncia alla politica della Tatcher uno dei tanti ha come protagonista Meryl Streep. La Tatcher veniva chiamata " La Lady di ferro" poichè aveva fatto e vinto una guerra durissima contro l' Argentina che aveva visto tantissimi morti e l'affondamento di navi da guerra. Questi sono appelli al nostro sapere determinato, sapere tipico e sapere accidentale. Dobbiamo quindi identificare in un testo questi tre saperi. Ritornando al testo (lettura pag 108-109 paragrafo 13) Riferimento alla memoria episodica e alla memoria semantica la prima racchiude i ricordi delle esperienze personali ossia tutto ciò che so di me, la mia esperienza personale. Per questo ci può essere un fatto dell' universo- mondo che può arrivare solo a me con valore semantico e a nessun altro perchè appunto tocca la mia memoria episodica. La memoria episodica è un evento che sta nella nostra memoria molto ben perimetrato e che tende a non collegarsi con altri fatti. La memoria semantica è invece ciò che è valido in genrale per il mondo e come si pone in relazione reciproca tutto ciò. Ad esempio con i social si è diffuso il fenomeno delle reazioni immediate, poco ragionate. In quel caso il tempo di elaborazione di quello che è valido in generale e come si pone in relazione reciproca tutto ciò in quel caso non si mette a fuoco. E' in questi casi che la memoria semantica non viene sfruttata. Fa esperienza si questo chi espone le proprie situazioni sui social. In questo caso si af riferimento ad un fattore visivo e non scrittivo infatti si tratta di coloro che espongono se stessi e lo fa in un sono più prossimi il cardellino, l’aquila e il pinguino che non il pipistrello e il pinguino. E sono più prossimi la gallina e il pinguino che non il pipistrello e il pinguino. Ma rispetto al pipistrello, il cardellino che vola il pinguino e la gallina forse qualche problema nell’economia del testo la specificazione della gallina e dell’uccello ce lo crea( problema sul piano della coerenza). Identifichiamo la parola uccello come sopraclasse. “Infatti la sopraclasse animale, occupa nella gerarchia un posto più alto della sua sottoclasse uccello:” questo vedremo che ricaduta ha su quelli che si chiamano nessi tematici ossia sulla nostra capacità e a volte sulla nostra incapacità di descrivere il mondo con un lessico adeguato. Sempre più spesso utilizziamo dei termini che partecipano alle sopraclassi, utilizziamo molto gli iperonimi, termini di vaghezza assoluta es: “ quel fatto mi ha fatto una cosa che mi ha fatto abbastanza temere” in questa frase non si capisce di cosa si sta parlando. Oppure non sapere indicare con il nome suo proprio la pianta che è nel vaso che da quando siamo bambini abbiamo in casa o sul balcone. Diciamo c’è quel vaso perché a mia mamma piacciono i fiori e magari non conoscere il nome di quel fiore. Questo diventa un problema nel momento in cui noi dobbiamo specificare con il nome suo proprio quell’oggetto testuale affinché si componga un mondo testuale che abbia una sua coerenza. “di conseguenza , per mettere in relazione “gallina” e “animale” occorrerebbe andare più in là che per collegare semplicemente “gallina” e “uccello”. Bisogna ricordare, tuttavia, che gli esperimenti compiuti per confermare questo tipo di predizione hanno dato risultati insoddisfacenti.” Infatti se noi diciamo riprendendo l’esempio” il pettirosso è un uccello” , con un enunciato come questo la mente impiega meno tempo per elaborarlo rispetto all’enunciato “la gallina è un uccello”. Se noi non stiamo scrivendo un racconto originale ma scriviamo un testo che deve avere una sua immediata efficacia in termini oggettivi perché stiamo descrivendo i fatti che sono avvenuti in una precisa circostanza( come scrivere la lettera di un’ assicurazione) allora noi non possiamo essere vaghi ed evitare personalismi. “Un fatto simile si registra quando, in un esperimento, i soggetti interpellati tendono, erroneamente, a giudicare vero l’enunciato(84d) piuttosto che l’enunciato (84e):” “il pipistrello è un uccello” “la pietra è un uccello” Capiamo che il secondo enunciato è falso perché la pietra non è un uccello ma nemmeno il pipistrello lo è. Di conseguenza è come se noi chiedessimo ad un bambino qual è il pesce più grande del mondo, il bambino risponde la balena anche se non è un pesce ma è più vicina al cane, gatto che alla trota o altri pesci. A partire da Aristotele il problema di è posto in termini formali . Aristotele ci ha lasciato un testo di straordinaria complessità e spessore che è l’ Organon dove affronta problemi di logica. Questo per dire che a noi resta traccia del fatto che almeno da due millenni si ragiona su queste strutture del linguaggio. Pag 113 “ A partire da Aristotele, gli studiosi si sono sempre sforzati di inquadrare l’analisi dei testi e delle conoscenze nel contesto della logica: un’operazione con ogni probabilità assurda” Viene definita come un’ operazione assurda perché se voi prendere un articolo di giornale ben scritto, dove ogni parola sembra messa al posto giusto e provate poi ad incastralo di forza in una logica formale è impossibile farlo. Questa mattina è uscito un articolo di una giornalista, Milena Gabanelli , sul Corriere dove parla dei numeri dei morti che vengono dati ogni giorno per l’aggiornamento dell’emergenza sanitaria che non sono numeri reali. La giornalista dice che quest’anno c’è stato un aumento dei morti in questo periodo in relazioni agli scorsi anni. Questo serve a farvi capire che se noi dovessimo metterlo in una griglia logica vedremo che questo articolo ha molte falle. “Sarebbe invece meglio agire nell’altro senso, affrontando in primo luogo modelli plausibili da un punto di vista umano e sociologico e poi ricercando i tipi di logica utilizzabili come basi formali.” Non partire dalla logica per arrivare ad un testo perfetto ma partire da un testo perfetto per capire come la logica a volte non cammina di pari passi con la coerenza. “Gli uomini sono capaci di svolgere ragionamenti complessi che la logica tradizionale indubbiamente non è in grado di spiegare: stabili conclusioni affrettate o analogie soggettive o, perfino, esprimere giudizi senza avere alcun conoscenza in merito.” Nella logica tu non puoi esprimere un giudizio senza conoscere un fatto. Invece molte volte questa cosa è diffusissima: si assiste a ragionamenti, riflessioni, litigi dove si parla di qualcosa che sul piano della coerenza non si conosce. Ci si appassioniamo anche ma per qualcosa che dal punto di vista testuale non viene esplicitato. Questo crea un grande problema ma un problema che non merge, si va avanti e si pensa che si sta seguendo una linea logica perché in quel testo mancano delle informazioni .Questo è il motivo per il quale ad esempio c’è stato l’abbandono di massa di certi potenziali utenti di facebook perché in questo social tutti parlano di tutti senza però avere competenze, informazioni di testualità. Io posso usare un testo ma in questo testo mancano blocchi di informazioni. Siccome gli uomini sono capaci di fare inferenza in mancanza di un sapere reale, oggettivo è qualcosa che ci caratterizza. Vi sarà capitato sicuramente di assistere ad una serie televisiva, film dove un personaggio arriva a conclusioni su un altro personaggio stabilendo che quel personaggio nasconde qualcosa, Tuttavia nella sceneggiatura fin quel momento non è stato svelato nulla. Però lo spettatore è esposto ad accettare questo meccanismo testuale cioè qualcosa di illogico, un’ inferenza in mancanza di sapere. Questo procedimento mentale che tornando a nominare Aristotele, egli aveva ben immaginato che dovesse essere ricondotto ad un sistema logico, in questo caso ad un sillogismo ricorrente che è stato ripreso dal più grande filosofo americano Charles Bailey. Charles Biley ha sistemato i sillogismi in modo dettagliato, dandogli un nome. Cosa che fa anche Conan Doyle creando un personaggio come sherlock holmes che fa delle inferenze, quelle che Aristotele chiamava ipotesi cioè inferenze di terzo livello dopo la deduzione e l’induzione cioè abduzione quindi procede per ipotesi. Questo succedo, ad un livello più basso, all’interno di quelle che sono le dinamiche di una coppia, di altre strutture relazioni come l’amicizia, tradimento (il tradimento deve essere condotto attraverso una mancanza di sapere). Ad esempio in un testo di tradimento , l’autore deve costruire un testo coeso, coerente, credibile e farmi capire che dei passaggi nel testo sono sostenibili sulla base di spazi di sapere accettabili. Pag 115 Dressler e Beaugrande creano un elenco di concetti che secondo loro sono rinvenibili nei testi e che ci aiutano ad esaminare, ricostruire il quadro di coerenza di un testo. Dressler e Beaugrande suddividono questi concetti in primari e secondari che sono i pilastri della testualità, pilastri della coerenza. Se io analizzo un testo devo individuare i concetti primari di quel testo e poi quelli secondari. I concetti primari sono pochi, 4: oggetti, situazioni, avvenimenti, azioni. Vi chiederete come fate a capire in generale come individuare questi concetti. Ci si deve allenare. Posso immaginare un testo molto semplice come un gatto camminava sul tetto. In questo testo l’oggetto è il gatto, immaginiamo che il gatto si muove perché si trova sul testo e possiamo immaginare che ad un certo punto il gatto saltò su un albero che stava affianco al tetto. In questo caso c’è una situazione relativamente al tetto e all’albero che sono in relazione reciproca. Potrei dire che giunse cosa o chi. Prima di passare avanti alla storia del gatto dobbiamo dire che questi quattro concetti non bastano a descrivere tutta la scena del gatto. Questa è una scena molto complicata se la voglio analizzare dal punto di vista testuale. Se la maestra chiede al bambino di disegnare un gatto sul tetto, cosa disegna il bambino ? Cosa abbiamo visto noi nella nostra mente ? Il professore chiede di scrivere questa scena: 1. Il primo studente pensa ad un gatto bianco che cammina su un tetto marrone piano 2. Il secondo studente immagina un tetto con le tegole rosse, un albero adiacente e disegnerebbe il gatto con le due zampe sbilanciate in avanti Questo testo molto elementare ha dei problemi di coerenza perché il prof ha omesso molte informazioni . Tuttavia nessuno di voi ha avuto problemi ad immaginare la scena e a mettere in una certa sequenza testuale i pezzi di questa scena . Poi il prof dice che a questo punto si può andare avanti e chiede chi giunse a salvare il gatto?. 1. Giunsero i pompieri a salvarlo Pag 115-116 I concetti secondari sono fondamentali per descrivere le caratteristiche di un testo, per capire cosa succede sul piano della coerenza. I concetti secondari sono:  STATO: ad esempio il gatto di solito si trova sul divano e non sul tetto , l’albero di solito non si trova vicino al tetto; quindi le circostanze descritte non sono necessariamente tipiche di un’identità.  AGENTE: ad esempio se io in una storia ho il vento è l’agente che è indispensabile per la modificazione di una situazione ; è una questione diversa dal soggetto.  OGGETTO DELL’AZIONE: molto presente nei testi ma in modo implicito a chi scrive il testo cioè io do per scontato chi è il soggetto dell’azione.  RELAZIONE: questa è interessante perché mi impone di cercare dentro un testo anche le relazioni che a volte non sono chiare, tenute in ombra per una strategia specifica di chi ha realizzato quel testo o può darsi che io mi trovo a leggere un testo e mi sfuggono i rapporti di relazioni tra alcuni personaggi. Questo può essere anche un punto di forza di una trama perché si svela una relazione che non si aspettava ci fosse. (parlando di RELAZIONI) il prof fa l’esempio di un vecchio fumetto americano, Daredevil, dove a un certo punto viene fuori che un personaggio femminile (una suora) è la madre del protagonista; questa relazione non era stata perspicua a lungo e si è trattato di una soluzione un po’ inventata. Parlando di concetto secondario di ATTRIBUTO, il manuale lo definisce “una condizione particolare di un’entità”: ciò è emerso in qualche modo quando ??? ha precisato che “il gatto si muove” e quindi che, se lo avesse voluto disegnare, lo avrebbe appresentato con le zampe in movimento, quindi noi attribuiamo attributi alle entità testuali anche senza esplicitarle. Poi c’è la LOCALIZZAZIONE, che il manuale definisce “la posizione di un’entità nello spazio”. Il prof ha preso come esempio testuale “il gatto camminava sul tetto. Il gatto saltò sull’albero che stava a fianco al tetto. Giunsero i pompieri, chiamati da un vicino allarmato. Uno dei pompieri recuperò il gatto” e gli studenti lo hanno accettato come testo, ma il prof non ha detto né dove stava il tetto né dove stava il vicino; non è un testo logico in quanto moltissime cose non sono state dette, come il fatto che il tetto sta su una casa, dunque incastrare forzatamente questo testo in una logica creerebbe difficoltà al ricevente. Poi c’è il TEMPO, ovvero la “posizione di una situazione o un avvenimento nel tempo”. Non viene detto quanto tempo il gatto resta sul tetto o quanto ci mettono i pompieri ad arrivare o a salvarlo. Poi c’è il MOVIMENTO, ossia “il cambiamento di luogo”. Il gatto sta sul tetto e poi salta sull’albero, poi il vicino chiama i pompieri che arrivano: vengono date degli elementi relativi al movimento, ma guardando bene il testo non si rileva nulla perché rispetto al cambiamento di luogo 1 e -1 è stata fatta una piccola omissione. Poi c’è lo STRUMENTO, “un oggetto privo di intenzioni proprie che fornisce i mezzi per un dato avvenimento”. Anche da un esempio banale come quello del gatto escono fuori tante cose: siamo sicuri che dal punto di vista logico questo testo soddisfi anche la necessità che sul piano della coerenza sia esplicitato il concetto secondario di strumento? Nel caso specifico il prof non l’ha fatto, può esserne consapevole a livello metatestuale ma non è stata data un’informazione precisa: come viene salvato il gatto? Si può ragionevolmente pensare che il pompiere usi una scala, facendo un’inferenza, e quindi il testo risulta coerente; tuttavia l’inferenza viene fatta in assenza di prove e il gatto potrebbe essere stato salvato anche con una corda. Se l’autore di questo testo fosse, ad esempio, uno scrittore alle prime armi o che vuole scrivere un racconto canonico, allora è plausibile che sia stata usata una scala, mentre nel caso di autori di calibro più alto (il prof fa l’esempio di Boris Vian) è più probabile che la coerenza venga rotta e che dunque venga adoperato un altro strumento. Per FORMA s’intendono “figura, contorni e simili”. Nel testo del gatto emerge dalle considerazioni fatte e da certe inferenze, tipo che forma abbia il tetto o se abbia le tegole. Da ciò emerge sempre di più la differenza tra concetti primari e concetti secondari, la quale sta nell’essere o meno enunciati: nei testi ci sono moltissimi elementi non esplicitati. Per PARTE s’intende la “componente o membro di un’entità”, che nel nostro testo potrebbero essere, ad esempio, le tegole del tetto; non vengono menzionate ma ogni ascoltatore ha nella propria mente un’idea di
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