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Letteratura spagnola II - Elisabetta Sarmati, Sbobinature di Letteratura Spagnola

SBOBINE dell’intero corso di letteratura spagnola II, docente Elisabetta Sarmati. Gli argomenti all’interno trattati sono i seguenti: -La poesia mozarabica e le jarchas; -La lirica tradizionale: villancicos e cantigas de amigo (anche di escarnho e maldezir); -Il mester de juglaría, l’epica e il Cantar de mío Cid; -Il mester de clerecía : Los milagros de Nuestra Señora di Gonzalo de Berceo e El libro del buen amor del Arcipreste de Hita. LIBRI DI LETTURA -LA CELESTINA -LAZARILLO DE TORMES

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 24/03/2023

seline-chennaoui
seline-chennaoui 🇮🇹

4.4

(5)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Letteratura spagnola II - Elisabetta Sarmati e più Sbobinature in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! 28/09/2022 LEZIONE INTRODUTTIVA 03/10/2022 E’ fondamentale avere delle informazioni di carattere storico perché la cronologia aiuta ad incasellare la storia, collocare gli eventi sulla linea del tempo è fondamentale per capire le cause che determinano anche un evento letterario…perché ci sia una stretta relazione di causa-effetto; ma che un testo come Jarchas alle quali arriveremo brevemente sono il frutto di un’ibridazione culturale fra la cultura romanza e la cultura araba che avviene nella Spagna mussulmana è inevitabile sapere storicamente come, quando e perché ì mussulmani arrivarono in Spagna… Il corso partirà dalle origini, quindi dalla penisola iberica, le prime popolazioni, i primi reperti artistico-culturali per arrivare (oggi) alla lettura ed il commento della prima Muwassasha e della prima Jarchas. Il percorso sarà dalle origini, quindi dalla storia di oggi alla Jarcha (dal 15mila a.C al 10imo secolo d.C). Cueva de Altamira - pittura parietale che rappresenta in questo caso un bisonte risale a 12-15mila anni fa. Si tratta della Spagna preistorica, si trova in Altamira. E’ un sistema di ‘cuevas’ (grotte) che testimoniano appunto la presenza dell’uomo nella penisola iberica in tempi assai remoti. E’ un capolavoro dell’arte del paleolitico superiore e a tal punto che nel 1985 las cuevas de Altamira sono state elevate a patrimonio dell’Unesco/dell’umanità… a tal punto che questa grotta che contiene questa serie di bisonti in diverse posizioni è stata definita la “cappella sistina del quaternario”. Sono una serie di affreschi policromi che si trovano ad Altamira, in Cantabria, nel Nord…ora si affaccia sul mare ma probabilmente quando le grotte furono istoriate ci trovavamo invece nell’entroterra; a questa riflessione ci conduce al fatto che le pitture esistenti all’interno di queste grotte sono probabilmente pitture eseguite da cacciatori, ci troviamo infatti rappresentati bisonti, daini, cervi. L’autenticità di queste pitture fu messa a lungo in discussione perché il livello di elaborazione artistica ed anche la sensibilità artistica che testimoniano apparivano agli studiosi talmente alto e raffinato da non poter essere attribuito all’uomo primitivo; tuttavia poi la scoperta, non soltanto del nord della Spagna (Cantabria) ma anche nel sud della Francia, di un sistema di grotte che presentavano le stesse caratteristiche quindi istoriate con scene di caccia ha invece indotto a dover riconoscere in questi dei ?? dei reperti dell’arte preistorica. La finezza del disegno, qui li (bisonti) possiamo vedere accucciati forse perché feriti, in piedi ma sempre dotati di un certo dinamismo, anche per questo queste pitture potevano apparire di un periodo successivo; il dinamismo gli viene conferito delle stesse protuberanze delle grotte ai quali i disegni venivano adattati, abbiamo detto poi pitture policrome in nero, rosso e giallo. Il nero era realizzato con del carbone vegetale, il giallo ed il rosso semplicemente con dell’ ossido di ferro. Furono scoperte, in realtà, del tutto accidentalmente e del tutto casualmente nel 1868, dunque due secoli fa; e l’ottimo stato di conservazione nel quale ci sono giunte è stato dovuto ad un caso del tutto fortuito ovverosia che una parete di pietra è crollata ed ha chiuso per secoli la grotta, il fatto che la grotta sia rimasta sigillata consenti una temperatura stabile di 12° che mantenne per secoli le pitture. A quale civiltà/a quale popolo appartenessero non possiamo dirlo… Possiamo dirlo invece della “Dama de Elche”, capolavoro dell’arte celtiberica. I celti e gli iberi sono importanti per i quesiti linguistici che hanno caratterizzato poi la lingua romanza di area iberica, se non vogliamo dire ‘castellano’… anche se il loro (dei celti e degli iberi) apporto linguistico era legato soprattuto ai toponimi; la stessa parola “iberi” viene da ‘iber’ fiume ‘ebro’. Quando arrivano i celti e gli iberi in Spagna? I celti dal nord dell’Europa e arrivano in Spagna con diverse ondate ed occuparono tanta parte della penisola iberica ma si stanziarono soprattutto nel cuore della Spagna, la Meseta e soprattuto nelle regioni che noi oggi riconosciamo come Aragona e Arioja. I Celti su unirono con una popolazione invece probabilmente autoctona…misteriosissima anche la cultura degli Iberi perché c’è chi dice che fossero imparentati con i fenici o con una popolazione stanziale autoctona, rappresentata all’interno della cartina sulle coste del mediterraneo con quel colore verde. L’unione di queste due civiltà ha dato origine alla cultura ‘celtiberica’ di cui la “dama de Elche” è uno dei pochi residui più notevoli. Anche in questo caso il rinvenimento avviene nel 19esimo secolo casualmente nei lavori di aratura di un campo. ‘Elche’ si trova vicino a Valencia in provincia di Alicante. Che cos’è questa dama? Analizzandola a posteriori, i gli studiosi hanno potuto riconoscere in lei forse la figura di una nobildonna perché riccamente ornata o forse di una sacerdotessa. Le scalpellature che si trovano alla parte del busto hanno indotto a pensare che forse facessero parte di una statua completa…in realtà di questi tipi di busti nella civiltà iberica ne abbiamo numerosi… a che cosa servissero veramente però non lo sappiamo. Il fatto che la maggior parte del busto avesse nel retro un foro ha fatto penare che fossero statue funebri e che all’interno di questo foro posteriore venissero collocate le cenere della defunta; in realtà anche in questo caso alcuni residui di pasta colorata che permangono ancora sul viso hanno fatto pensare che in realtà anche in questo caso si trattasse di una pittura policroma e quindi hanno dato atto a possibili ricostruzioni. Celti ed Iberi insieme i BASCHI. Popolazione stanziata nel Nord della Spagna che parla una lingua che molto ha contribuito alla formazione del castellano; dalla lingua basca deriva appunto la mancanza della ‘f’ iniziale latina. La lingua basca, le cui origini vengono considerate pre-indoeuropee, quindi una famiglia di lingue totalmente aguzza da sistemi che conosciamo. La lingua celtibérica e basco costituiscono il “sostrato”. Sostrato - indichiamo quelle lingue che esistevano nel territorio iberico prima della dominazione romana e che hanno influenzato, quindi, il latino a partire dalle sue origini. Substrato - indichiamo quelle popolazioni che sono giunte successivamente alla conquista romana e che quindi influenzano l’evoluzione del volgare successivamente…dopo la dominazione romana. *PPT La Spagna romana -> prende tanti secoli Espulsi i cartaginesi nel corso della II g punica (206a.c) roma inizia una lenta occupazione della penisola che sfocerà in una dominazione di quasi 7 secoli.ù Imperatori: Traiano e Teodosio Seneca e Marziale. *I romani arrivano in Spagna nel 3 secolo a.C, esattamente nel 206 perché Roma nella sua espansione territoriale va colonizzando i territori vicini e lontani, una forma di imperialismo ante litteram…dunque sottrae la penisola iberica ai Cartaginesi (guerre puniche - guerre romani vs cartaginesi). Quanto dura la dominazione romana? Dal 2-3 secolo a.C al 5 secolo a.C, dunque curiosamente se ci pensiamo la dominazione romana e la dominazione araba in Spagna durano lo stesso numero di secoli (7-8); dunque se noi dovessimo dire quali elementi culturali contribuiscono di più alla civiltà iberica dovremmo indicare proprio queste due invasioni/dominazioni…e se riflettiamo la lingua è uno specchio emblematico di questo aspetto perché la lingua spagnola, che è una lingua romanza derivata dal latino, ma la cui caratteristica fondamentale che la distingue dall’italiano è la presenza di alcuni fonemi speciali derivati dall’arabo. La Spagna si latinizza profondamente e assorbe la cultura dei romani, sotto ambito linguistico e letterario ma non solo naturalmente… ricordiamo Seneca, Lucano, Quintiliano(scrittori), Traiano e Teodosio (imperatori). Nelle storie delle letterature spagnole, gli inizi del 19esimo secolo, ancor prima del poema del mio Cid, la letteratura spagnola iniziava con gli scrittori ispano-latini. *La civiltà romana ebbe difficoltà ad entrare in Spagna, soprattuto ad entrare nella Meseta perché i popoli della Meseta (altopiano dove sorge Madrid) non erano abituati agli scambi commerciali come invece le popolazioni delle coste, e quindi guardavano con molta diffidenza gli stranieri…al punto che la capitale del mondo celtibérico (gli abitanti di Numanzia) piuttosto che consegnarmi ai romani si ucciserol. Come tutte le conquiste fu sanguinosa, destinata però a trasformare totalmente la civiltà spagnola. Straordinaria coincidenza che ha permesso alla poesia romanza di essere preservata e veicolata all’interno di componimenti in lingua araba. Dámaso Alonso - grande poeta ma anche professore e studioso della generazione del 27 disse “le Muwassasha si comportarono con le Jarchas come se fossero dei frascos de alcohol” nel senso che sono riuscite a conservarsi, come se fossero messe dentro le bottiglie di alcool che le preservassero. Capiamo perché il termine “Jarcha”, nella sua traduzione, vuol dire ‘uscita/finale’. NB! I testi che noi leggiamo sono, per quanto riguarda la Muwassasha, testi in traduzione… perché la Muwassasha che abbiamo davanti gli occhi (la prima) si presenta, in realtà, in caratteri arabi…e chiamiamo “Jarchas” l’ultima strofetta. MUWASSASHA ARABA CON KHARGIA ROMANZA N.14, in EMILIO GARCÍA GOMEZ, LAS JARCHAS EN LA SERIE ÁRABE EN SU MARCO, MADRID, ALIANZA, 1990. La Muwassasha che leggiamo oggi è raccolta da uno dei primi inventori di Jarchas mozarabiche, Emilio García Gomez, che pubblica un’opera nella quale sono presenti 50 canzoncine intitolata “Las Jarchas…su marco”. Ci troviamo di fronte ad un componimento strofico però abbiamo detto arabo autoctono, la Muwassasha nasce in Spagna, non esisteva in Oriente…e rispetto alla poesia araba d’Oriente che aveva il nome di “casida”, rispetto a questa qui, i poeti arabi di A-Andalus scrivono dei componimenti diversi. Perché? Perché più brevi rispetto ai ‘casida’ e poi perché si presentano con questa peculiare struttura rimica; possiamo definirla “struttura zagialesca” la dove zejel o zajal indica proprio questa struttura qui. Cosa notiamo di particolare in questa struttura? E’ una struttura metrica, per certi versi, molto semplice, perché? C’è una parte fissa ed una parte mobile, una parte che si ripete (in italiano diremmo ritornello, in spagnolo ‘vuelta’) ed un distico, dove per distico si intendono due versi che rimano tra loro. La Muwassasha viene costruita dai poeti arabi riprendendo le rime della Jarcha perché un filone di pensiero che è quello piu accreditato dice che - le Muwassasha hanno origine proprio dalle Jarchas - cioè nascono proprio perché i poeti Arabi ascoltano questi canti, ne rimangono infatuati e intorno a questi canti, nella modalità che abbiamo visto, costruiscono un testo in lingua araba che prende spunto. *la parte che varia in spagnolo ha un nome molto chiaro ‘mudanza’ (mudar - cambiare). In italiano potremmo chiamarla ‘variazione’. Anche la variazione ha una sua peculiarità…che è questo tristico monorimo che cambia rima al cambiare di ogni strofa. Il termine Muwassasha è stato tradotto come “doppio filo di perle”: cosa sono queste perle? La variazione di rime. Tentiamo una traduzione - tentiamo perché vedremo uno dei più grandi problemi che abbiamo nella lettura di Muwassasha e Jarcha è la traslitterazione perché le lingue semitiche (arabo ed ebraico) si scrivono senza le vocali quindi quando un traslitteratore le riporta in lingua romanza inserisce le vocali e lo stesso testo, non solo può essere traslitterato in modi diversi, è abbastanza poco affidabile il testo ma a volte nasconde dei passaggi un po’ oscuri. - se è vero che tradurre significa tradire…lo è ancora di più quando la traduzione viene da una traslitterazione quindi il traduttore deve fare i conti con un testo non affidabile. 5/10/2022 In questo tipo di anello, questa congiunzione che si viene a stabilire fra un testo in lingua araba e un testo in lingua arabo o ebrea o romanza…va detto qualcosa di più! Intanto diciamo che è proprio a partire da questa immagine di questa congiunzione che Ramón Menéndez Pidal, il fondatore della filologia spagnola, parlò e disse che in Spagna (eslabón) si crea proprio un anello di congiunzione fra l’Occidente e l’Oriente grazie proprio a questi componimenti di cui a livello teorico non sappiamo molto…però in un documento che ci è giunto, il cui autore è arabo e primo teorico della Muwassasha, il quale da alcune indicazioni teoriche sulla Muwassasha; intanto la definisce come genere letterario autoctono, dunque che nasce in spagna anche se da poeti arabi, e che caratteristiche che la distinguono invece dalla poesia araba classica…soprattutto nella sua veste metrica che abbiamo profilato già la volta scorsa. Però ci dice anche che in realtà può avere come tema qualsiasi tema dello “shir”, dove per “shir” intende la poesia araba classica; quindi la Muwassasha può avere temi di carattere amoroso, come in “Lunas Nuevas” ma può coltivare i temi più svariati: il panegirico, elegia in morte… dunque anche Muwassasha di temi a carattere morale…ma quello che per certi versi sorprende e che non ci sorprende in quelle che lèggeremo insieme, è che comunque la chiusa, cioè quella che chiamiamo Jarcha, è una canzoncina di tema amoroso posta sulla bocca di una giovanissima fanciulla…quindi in un certo senso c’è qualcosa di straniante nella congiunzione di questi due testi… Il teorico dell’11 secolo però ci dice anche che in ogni caso le Jarcha, rispetto alla Muwassasha, sono ‘sal, ambar y azúcar’ e cosa vuol dire? Sale, Ambra (pietra preziosa) e zucchero - e cioè? Sono la cosa piu saporita, più pregiata e più dolce - dunque in un certo senso la Jarcha costituisce l’elemento più bello. Prima di tentare di spiegare come sia possibile che questi testi, al di fuori della tematica amorosa, possano chiudere anche composizioni di tema diverso, direi di leggere e commentare Lunas Nuevas che presenta vari caratteri di atipicità. La maggior parte delle Muwassasha iniziano con questo ritornello le cui rime sono suggerite dalla Jarcha; il poeta sceglieva una Jarcha e su quello sarebbe stata la chiusa della sua composizione; in questo caso scritto in ‘maiuscoletto”: Mamma, ay habibe! So l-ymmella saqrella, El-qwello albo e bokella hamarella” - prende queste rime e sulla base di queste rime costruisce il primo ritornello ed i successivi. Però cosa succede? Il primo ritornello che in italiano noi definiamo ‘preludio’…non tutte le Muwassasha ce l’hanno, curiosamente questo ‘preludio’ che in spagnolo si chiama “cabeza” quando non c’è nella muwassasha, quest’ultima si definisce “calva” - ovvero sia senza capelli (metafora); in realtà qui il preludio più che introdurre il tema…costituisce una contestualizzazione di carattere temporale notturna, potremmo forse dire notturna per il momento propizio per gli innamorati, qui si parla anche della necessità di tenere segreto il loro incontro, il loro amore… quindi possiamo leggerlo in questa dimensione. Lunas nuevas ci racconta un fenomeno astrologico. “Lunas nuevas salen…eje no tengan”: novilunio, momento in cui la luna trovandosi in congiunzione con il sole, è quel fenomeno astrologico conosciuto come luna nera. Qui in sostanza ci sta dicendo che è notte ma lo fa in modo molto poetico naturalmente…’cielos de seda’, brillante, luminoso, la luna utilizzata fin dai tempi più antichi come orientamento x gli uomini, a seconda di come erano posizionati i suoi corni? “Sólo con los rubios…atormenta!”: Dopo questo incipit, astratto, siamo subito messi a contatto con una voce…il punto è il genere di questa voce perché la lode della bellezza femminile loda il suo amore e potremmo pensare che quindi ci troviamo difronte ad un ‘io lirico’ femminile. Intanto, appunto, l’incertezza del genere da cui parte questo panegirico; in realtà c’è un filone di studi, qui una possibile citazione bibliografica María Jesús..nella quale si raccolgono poesie di Al-Andalus anche di produzione femminile, si dice spesso “in lode al sovrano” “facoltoso” “al protettore”…ed in questo senso poesie rivolte a ricevere protezione…non sappiamo se qui ci troviamo in un contesto di questo tipo o se si tratti di una poesia di taglio erotico, in realtà sono due protagonisti maschili, l’uno che si rivolge verso l’altro, questo non deve stupirci più di tanto pure se ci troviamo nell’11esimo secolo perché qui quello che ci torna di quell’epoca è che la società urbana di Al-Andalus vivesse/avesse dei costumi un po’ più liberi rispetto magari all’Islam dell’Oriente e della civiltà cristiana di quegli anni. In questa strofa notiamo anche un altro aspetto che è una sorta di variazione nel registro, cioè il tristico, i tre versi mono rimi usano un registro un po’ altoretoricista, cioè un codice poetico piuttosto elaborato; mentre il distico, che riprende le rime della Jarcha, piuttosto recupera quella mozione della Jarcha finale che è una mozione degli affetti, cioè il tono è molto più (simulato) spontaneo ed immediato. Una cosa è dire “i miei occhi si dilettano solo con i biondi che sono come rami d’argento con foglie d’oro. Se potessi baciare il fiocco di queste perle” ed un’altra è dire “perché il mio amico non mi bacia anche se la sete mi tormenta” - sono due registri diversi ed in realtà questo è il motivo che accompagna le Muwassasha. La muwassasha è un testo d’autore, scritto per essere trasmesso da codici…dunque la poesia che è trasmessa dalla scrittura ha un livello di elaborazione molto piu retorico/artificioso rispetto alla poesia trasmessa nell’oralità. La congiunzione tra Muwassasha e Jarcha non è soltanto di due lingue diverse, araba l’una, romanza l’altra ma questa congiunzione si oppone a diversi livelli, un altro livello è appunto proprio il codice espressivo. Rispetto al codice espressivo della prima strofa abbiamo notato come la lode/il panegirico nei confronti dell’amato insiste su un codice a noi molto familiare, abbiamo detto “che i denti siano perle”, “che i capelli siano oro”, “che l’incarnato dell’amico è chiaro-bianco”. Quello che a noi qui interessa è il modo in cui viene rappresentato e descritto e a quale metafore si ricorre, in questo caso sono tutte metafore del mondo minerale che noi ritroviamo in Italia, nella nostra poesia, soprattuto a partire dal Rinascimento e che quindi ci sorge pure una domanda…se questa convenzione di rapportare la bellezza a termine del mondo vegetale, animale, minerale come avviene nelle poesie del nostro Rinascimento, forse non abbia avuto origini proprio lì. La stessa cosa è rispetto al tipo di amore che viene cantaro. Certamente in questa particolare, ci dice che il tema dell’amore può esser trattato in due modi: esiste l’amore (udri) che ricalca lo stereotipo del nostro amore cortese (l’innamorato che osserva la dama a distanza, soffre, descrive il proprio patimento e poi divulgato come amore platonico) e poi un altro filone che vedremo poi nella Muwassasha successiva ed un altro filo dell’amore Ibaì (sensuale, carnale)…tipico questo delle Jarcha, nel senso che le fanciulle delle Jarcha ci sorprendono anche per la loro intraprendenza ma che è presente anche in alcune Muwassasha dove l’innamorato si rivolge all’amico “j-habibe” lodandolo e volendolo in modo piuttosto esplicito. Nella seconda strofa continua/prosegue il panegirico, la descrizione della bellezza altrui che come spesso succede nelle poesie rinascimentali si limita alla descrizione del volto o del mezzo busto e procede, in genere, sempre dall’alto verso il basso. Qui, invece, si ritorna a quei colori (bianco e rosso) però la descrizione non è più affidata al mondo naturale bensì al mondo vegetale, quindi l’innamorato viene paragonato ad elementi del mondo vegetale. 2. Es, entre jazmines, su carrillo amapola. Rayas de jaloque y de algalia le adornan. Si tambiên añado cornalina, no importa. No obra bien si espanta su galán la gacela, cuando de censores las hablillas acepta. : Raggi di scirocco e di zibbetto lo adornano. Sono elementi esotici, li prendiamo per buoni malgrado potrebbe anche esserci un difetto nella traslitterazione, diamoli per accertati. Lo zibbetto è un profumo. Dice che se paragonasse anche le sue gote alla corniola (altra pietra di colore rosso) non sbaglierei. Questa volta l’innamorato viene appaiato ad una gazzella, la gazzella per la sua bellezza diventa rappresentazione, nella cultura araba, sia per la bellezza maschile che femminile. Qui introduce un tema del tutto nuovo che tuttavia non lo è nella nostra cultura, la figura del censore (filologia romanza - poesia trovadorica) e qui lo troviamo espresso con il termine ‘censores’ che nella 4a strofa diventano ‘espías’ - cioè questa figura esterna che diventa un eletto che ostacola/impedisce l’incontro fra i due innamorati. Anche qui la traduzione zoppicava un po’ però l’abbiamo resa così: “l’innamorato non fa bene se spaventa la sua gazzella quando accetta/ accoglie le malelingue dei censori”. certe/sicure verso sani innamorati ha inviato a me una freccia a me che mi ha trafitto il cuore” - è semplicemente una grande amplificazione di questa ferita d’amore, di lei che non c’è, si capovolge il rapporto fra i due innamorati nella Muwassasha. Una grande gloscia su questo motivo dell’assenza d’amore, delle sofferenze dell’amato e dei poteri del dio Amore. Strofa 3 Assistiamo a quello che tornerà nella poetica medievale come il genere poetico “la definizione d’amore”, che cos’è l’amore…e questi poeti per dire che cos’è l’amore utilizzano una struttura retorica nota come “far coincidere gli opposti” coincidentia oppositorium. Anche qui amore è caldo/freddo, fuoco/neve, malattia/cura, sofferenza/gioia… “Lei è la sua vita e la sua morte” “L’amore è veleno e rimedio al veleno Al tema dell’amore inteso come luogo dove coincidono tutti gli opposti si sovrappone un grande tema della letteratura classica è l’amore/morte (Tristano e Isotta). Strofa 4 Si tenta una descrizione della fanciulla, il suo camminare, i suoi fianchi, e le sue guance belle come dei giardini, pieni di fuori che però non possono essere colti perché protetti da sciabole fine e penetranti. Sonetto di Bembo - “chiome d’argento…viso d’oro” “Occhi di perle…ciglia di neve…bocca ampia celeste…” + un’infinità di citazioni Petrarca ecc… INTEGRARE CON IL MANUALE!!!!!!!! Per far capire quanto questo raffigurare la belleza, la donna - la descritio puellae (nella retorica) - poi nel manierismo viene rappresentato nel suo controaltare che a questo punto rappresenta con una bella carica di ironia, traspone quello che abbiamo letto in poesia…su un quadro, quindi costruisce queste figure tutte fatte con elementi per lo più vegetali ma anche minerali…questo è proprio il manierismo che precipita nella sua parodia. 10/10/2022 La prima manifestazione, nella letteratura romanza, del genere “le canzoni poste in bocca di donna” o per usare la terminologia francese a proposito - “les chansons des femmes”. Dobbiamo dire subito che questa precoce manifestazione della lirica d’amore nella penisola iberica nella modalità della fanciulla che canta e che si lamenta per una pena d’amore, in realtà ha origini ancora più antiche ed anche geometricamente estese…in Europa troviamo questa definizione: “la chanson de femme”. Questa tipologia di lirica si riscontra in Siria, insomma nell’intero Medio Oriente, quindi quello che succede è che in Spagna, grazie ad una particolare sensibilità dei nuovi dominatori (che son quelli che chiamiamo ‘moros’), questi testi si conservano molto precocemente…in altri contesti come Francia/Germania saranno poi i folcloristi dell’800 a registrare i residui di queste canzoni che permanevano e permangono ancora nella cultura popolare. Avevamo fatto un excursus delle diverse dominazioni/ diversi popoli che sono nati/si sono stanziati nella penisola iberica, di questo abbiamo fatto un excursus e l’abbiamo fatto per avere un quadro generale e perché a noi studiosi di letteratura, la presenza di questi popoli ci interessa per capire il volgare castellano (il mozárabe), il volgare andaluso, da che cosa sgorga?! Quindi è importante avere chiari questi due concetti. Nei contributi linguistici di una lingua romanza, capire quali sono gli elementi del sostrato che hanno influenzato la lingua e gli elementi del super strato? Quindi è importante dare una definizione di questi due concetti: Superstrato - è uno strato linguistico antico che viene sopraffatto (sostituito) da uno strato linguistico sopraggiunto. Nel nostro caso qual è questo strato linguistico che viene sopraffatto da uno strato linguistico sopraggiunto? Strato è il latino. Per sostrato sono le lingue celtiberiche che hanno lasciato alcuni residui sulla lingua latina, poi il romanzo, di carattere quasi esclusivamente legati alla toponomastica; abbiamo anche il basco che ha influenzato molto con la caduta della ‘f’ latina etc etc etc. Superstrato - lingue sopraggiunte allo strato (latino) che ne influenzano l’evoluzione ma non si sostituiscono ad esso quindi il mozarabe rimane una lingua romanza, rimane una lingua a base latina, ma comunque fortemente influenzata Abbiamo dato una definizione della diversa concezione della Spagna dal punto di vista dei popoli che l’hanno abitata. Abbiamo parlato della Spagna dalle tre religioni… La cosa interessante è che la Spagna era: • Al-Andalus - arabi • Sefarad - ebrei spagnoli • Spagna - spagnoli Gli arabi chiamarono Al-Andalus perché probabilmente cosi era stata chiamata precedentemente, prima di loro, dai vandali…una popolazione che aveva invaso la penisola iberica, l’aveva attraversata, cacciata dai codi? e andata poi in Marocco. Oscuro invece il nome di Sefarad, nome di una città presente all’interno della Bibbia, una città della civiltà ebraica, quando gli ebrei in tempi remotissimi approdarono in Spagna vi riconobbero la bellezza/ricchezza di questa città mitica e la battezzarono come tale. Noi possiamo dire “Letteratura spagnola” a tutti gli effetti solo dopo 1492, prima dobbiamo dire “letteratura castellana”. Perché quella data? Quando nasce il concetto di nazione!!! Quando Isabel de Castilla si sposa con Ferdinando de Aragona. I due si sposano nel 1476 e diciamo uniscono i regni, a partire dalla fine del ‘400 possiamo dire “Spagna” MA in realtà la parola Hispania la troviamo nei classici latini, in Tito quando parla del territorio conquistato e parla di Hispania e qui l’etimologia è molto incerta; si passa da una delle ricostruzioni etimologiche proposte da Isidoro di Siviglia che fu uno die piu prominenti esponenti della cultura visigota in Spagna, fu autore di un vastissimo corpus intitolato “etimologie” dove raccoglieva tutto lo scibile noto a quei tempi a punto che una piccola curiosità…NB! Giovanni Paolo II lo nominò ‘patrono di internet’ in sostanza fu il primo ad elaborare un’enciplodia vastissima. (Isidoro di Siviglia è stato recentemente battezzato patrono di internet degli studenti). Isidoro di Siviglia dice nelle sue “etimologie” che il termine Hispania veniva da un mitico re iberico “Hispano” figlio di Ercole ma poi altre possibili derivazioni etimologiche sono: “La terra dei conigli” perché i popoli che lui invase riscontrarono una grande presenza di questi roditori, quella più accreditata è tuttavia… la Spagna era ricchissima di metalli preziosi per questo si popolò sulle cose di fenici/greci che venivano a commerciare in questa terra ricca di ogni bene e quindi forse invece il termine Hispania significa “la costa/la terra” dei metalli. Una letteratura romanza ma scritta con caratteri non romanzi, che è proprio quella che stiamo studiando, come nel caso delle Jarchas che sono scritte in caratteri arabi o ebraici (dunque caratteri semitici). Nella letteratura spagnola non sono solo le Jarchas ad essere scritte con caratteri non romanzi ma anche una serie di altri testi, alcuni più altri meno famosi. Tutta la letteratura scritta con caratteri diversi da quelli romanzi ha un nome: letteratura ALJAMIADA, il termine stesso è arabo è significa ‘straniero’, quindi una letteratura con cui indicavano (gli arabi) le parlate neolatine della penisola. Quando parliamo di letteratura aljamiada non parliamo solo di Jarchas ma anche di una serie di altre opere quali “Il racconto di Giuseppe” XIV secolo. Qual è la caratteristica del mozarabe? Rispetto agli altri dialetti neolatini che stavano nascendo in territorio iberico… NB! Esiste una legge nella linguistica, basata su una constatazione, afferma che le lingue nelle loro posizioni periferiche evolvono meno che nel centro/nel cuore. Es: nel cuore di Madrid lo slang madrileño evolve con estrema rapidità rispetto lo stesso castellano nelle periferie del paese. E quindi Al-Andalus ha una caratteristica, ha un carattere fortemente arcaico e ciò lo lega ad essere una lingua che si sviluppa nella zona costiera del sud e quindi ad essere una lingua, per certi versi periferica, ed anche però di essere un dialetto molto antico…la sua antichità cosa determina? Che è più vicino al latino di quanto non sia il castellano medievale, evolve meno. Pag 20 CAPITOLO I VIII L’ha solo letta Pag 18-20 si tratta di 10 Jarchas ed ognuna di queste chiude una muwassasha o in arabo o in ebraico, cosi a colpo d’occhio possiamo individuare delle caratteristiche generali: la brevità (alcune sono quartine, altri sono distici alcune sono strofette di 6 versi) e quindi possiamo constatare una proposta lirica molto concisa ma allo stesso tempo dove non riscontriamo una metrica fissa cioè non possiamo dire che le Jarchas sono quartine o che i versi sono ottonari, ci troviamo davanti a dei testi di strofe molto brevi e quello che possiamo dire, a livello versale, che sono comunque ‘versos de arte menor’ (versi pari o inferiori alle 8 sillabe) - non avremo mai Jarchas in ‘verso de arte mayor’ che costituiscono un’espressione più propria della lirica colta mentre qui ci troviamo in un contesto di lirica popolare. Pag 18 Ognuna di queste Jarchas è collocata a chiusura di una Muwassasha o di più. I Questa Jarcha noi l’abbiamo già letta e commentata con una traslitterazione un po’ diversa…e questo è il vero problema: noi possiamo commentare questi testi anche dal punto di vista metrico ma sappiamo che appunto derivano da una trascrizione imprecisa!! NB che ci stiamo avvicinando ai testi con molta cautela. Se dovessimo analizzarla diremmo che è una quartina dove rimano i versi pari (molto tipico questo della poesia folclorica spagnola), la rima/assonanza SOLO nei versi pari -> mantenere la rima in ogni verso è molto più complesso che non in versi alterni. Intanto c’è questa ricorrente figura dell’apostrofe, le Jarchas quasi sempre sono costruite con la presenza di un destinatario interno al quale l’io lirico femminile si rivolge con un’apostrofe, questo rivolgersi all’interno di un componimento a qualcuno qualifica la figura dell’apostrofe, ovvero sia il destinatario ideale interno (non tutte le poesie hanno un destinatario interno ) in questo caso invece chi canta lo indirizza ad un destinatario ideale, al quale proprio si rivolge e cioè la mamma. 12/10/2022 LE CANTIGAS DE AMIGO (le cantìgas de amigu) Sono in lingua o dialetto galego-portoghese. In Spagna le canzoni poste in bocca di donna non sono proprie soltanto della letteratura mozarabica, ma sono presenti sia nella poesia galego-portoghese che è quella poesia castellana, esattamente nei “villancicos”, al punto che Menendez Pidal parlò e uso un’immagine estremamente iconica “Jarchas, canticags de amigo e villancicos de amigo son tres ramas de un mismo tronco” - questo ci fa capire molto bene come MP immagina un’origine assai piu remota da cui poi hanno preso via questi tre generi lirici, laddove con lirica noi indichiamo una poesia che ha un tono non narrativo, è una manifestazione sentimentale, individuale. La lirica è la manifestazione dell’io… Questi tre generi (Jarchas, lirica mozarabica, lirica galego-portoghese, lirica castigliana) si sono sviluppati in epoche diverse, in Spagna la lirica mozarabica è la prima, la lirica galego-portoghese (nelle cantigas de amigo) è difficile stabilire esattamente una cronologia, e quindi stabilire una data a partire dalla quale si può cominciare a datarla e a partire dalla quale si può considerare terminata. Una data ante-quem ed una data post-quem…però diciamo che le cantigas de amigo si svolgono tra il 12-14esimo secolo. Perché quando parliamo di letteratura spagnola includiamo anche la lirica galego-portoghese? Per la lirica mozarabica abbiamo detto che il mozarabe è la prima lingua romanza dalla penisola iberica e noi la studiamo come antecedente del castigliano. La lirica gallego portoghese viene considerata come un prodromo/antecedente alla letteratura… infatti uno dei maggiori studiosi della lirica galego-portoghese o galiziano-portoghese (Alberto Varvaro) parlò di una “koinè letteraria” (it=comunità) e questo perché, a parte la lirica mozarabica, in galego-portoghese scrissero tanto i poeti galiziani e portoghesi quanto i poeti castellani; è successo un fatto curioso e cioè che la lingua galego-portoghese fu adottata come lingua della lirica anche dai poeti castellani fino al XIVesimo secolo. Per dare un esempio, in galego-portoghese, Alfonso X el Sabio, uno dei piu rilevanti sovrani nonché intellettuali della Spagna del XIIIesimo secolo, scrisse in galego-portoghese le sue cantigas de Santa Maria che sono in un numero quasi di 400, a sfondo religioso devoto, rivolte all’elogio/esaltazione della vergine. Lui fu un famoso re castellano, mecenate che si circondò di una corte di poeti, scrittori, intellettuali che probabilmente lo coadiuvarono nell’elaborazione di questo repertorio così importante come sono le cantigas di Santa Maria. Quindi il motivo per cui noi studiamo questa lirica è perché in galego-portoghese si espressero importanti poeti castigliani. Di che cosa parliamo quando parliamo di lirica galego-portoghese? Parliamo di una produzione autoctona? Parliamo di una produzione che li impiega come modelli stranieri? Entrambe le cose. La lirica provenzale, che noi chiamiamo anche lirica trovadorica/lirica occitanica, in realtà si propagò per vicinanza tra il meridione della Francia ed il nord della Spagna, anche in Spagna, attraverso i Pirenei…con due esiti fondamentali: la lirica catalana che noi non studiamo perché propria della Catalogna ed i castigliani non l’adottarono mai e la lingua galego-portoghese; cioè i poeti che coltivarono la poesia in lingua galego-portoghese imitarono le modalità della poesia trovadorica o occitanica che si sviluppò nel sud della Francia. Quando pariamo di poesia trovadorica/occitanica stiamo parlando della lirica cortese, la dove il poeta si immagina innamorato di una dama che gli è superiore per ceto e canta questo amore che è sempre destinato all’insuccesso perché lei è superiore in grado. Si dice anche che la lirica cortese (o trovadorica o occitanica) sia una applicazione del sistema vassallatico medievale del rapporto fra il re-suddito all’amore: la dama è all’apice di una piramide, l’innamorato è ai vertici. Ovviamente nella lirica cortese che cosa è che ostacola l’amore fra il vassallo e la dama? Intanto una differenza di status e poi il fatto che la dama sia sposata. Es: l’ancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta Come arriva la lirica provenzale in Catalogna? La Provenza è divisa dalla Catalogna dai Pirenei ma sono regioni in contatto, tanto che esiste una Catalogna spagnola ed una Catalogna francese, in questo caso il contatto è talmente ravvicinato che…possiamo considerare la Catalogna spagnola un prolungamento della Francia e quindi gli scambi culturali sono molto stretti… Invece va spiegato come questo tipo di lirica, siamo in epoca medievale, possa essere arrivato verso la ragione più occidentale della Spagna, cioè come si sia arrivati in Galizia. NB!! La spiegazione è d’obbligo ed è legata a quella grande linea di congiunzione fra l’Europa e la Spagna che nel medioevo fu costituito dal camino De Santiago. **Camino De Santiago (nasce 8-9 secolo) - pellegrinaggio a scopo penitenziale e devozionale, in epoca antica, era molto noto ed era molto praticato ed aveva come mete dei luoghi dove i fedeli potevano raggiungere e quindi anche onorare delle reliquie sacre, i grandi cammini di pellegrinaggio dell’antichità erano Gerusalemme, il Santo Sepolcro con le reliquie di Cristo, Romea (cioè la strada che arriva a Roma). “Santiago mata moros” - così venne poi chiamato, diventò il culto di un santo della riconquista. Quando i visigoti cristiani si riorganizzano nel Nord della Spagna e riconquistano il territorio, lo scontro avviene su base ideologico-religiosa, spesso la religione costituisce un elemento identitario, lui fu il santo elevato a santo della riconquista spagnola. Santiago in italiano è San Giacomo ed è considerato uno degli apostoli di Cristo, evangelizzatore della Spagna. Santiago, dopo aver evangelizzato la Spagna, va in Oriente e sembra che sia uno dei primi martiri cristiani in Oriente e muore decollato/decapitato, come spesso succedeva agli apostoli divenuti poi santo. Il suo corpo fu raccolto dai suoi fedeli, trasportato su una nave guidata da un angelo e ritornò sulle coste della Galizia dove le sue spoglie furono sepolte -> questo è il mito che poi continua nell’ottavo secolo con un eremita (Pelaio) che viveva nelle montagne galiziane, una notte vede un fascio di stelle, le segue e si imbatte in un campo scavando dove queste stelle sembrano indicare una sorta di freccia e scavando trova in un’arca marmorea dei resti, che sono i resti di Santiago. Da questa storia si evince anche l’etimologia della parola “Compostela” che andrebbe ad indicare proprio il “campus” dove le stelle hanno condotto l’eremita per rinvenire i resti di Santiago. Il camino di Santiago parte dai Pirenei, attraversa il Nord della Spagna e arriva a Compostela. Divenne un luogo importantissimo di scambi economici, artistici e culturali…i trovatori francesi, i poeti francesi, spinti anche dalla crociate contro gli albigesi, scappano dalla Francia e proprio lungo il camino di Santiago cercano un nuovo pubblico presso il quale diffondere i propri canti. NB l’etimologia - “cantigas” per la produzione spagnola, “cansó” per la produzione provenzale. Le loro poesie sono legate alla musica, sono legate al canto e nel caso delle “cantigas” la notazione musicale è antica perche alcuni dei codici che ce hanno trasmesse, portano la notazione musicale. Questo per capire come la lirica galego-portoghese recepisce le “cansò” della lirica provenzale però declinandole in generi che nella lirica provenzale non è riconoscibile; quindi è vero che le cantigas hanno come modello la lirica provenzale ma è vero anche che c’è un genere delle cantigas che ha un’origine del tutto autoctona. Le cantigas ci sono state trasmesse da alcuni codici, quindi ci troviamo in un contesto diverso rispetto le jarchas, perché le Jarchas avevano trasmissione solo orale, solo tradizionale e le abbiamo trovate trascritte perché dei poeti arabi le salvarono all’interno delle Muwassasha. Nel caso delle cantigas invece ci cono state trasmesse da codici scritti, nasce nello scritto e da qui ne discendono molte conseguenze. I codici principali che trasmettono le cantigas sono i canzonieri. Cosa sono? Sono si una raccolta di canzoni ma in realtà sono delle vere e proprie antologie/una silloge/florilegio di poesie, un insieme di testi… Abbiamo canzonieri di tipo collettaneo e cioè di autori diversi e invece esistono canzonieri individuali cioè di un solo autore, cioè il repertorio di un solo autore, che metteva insieme una serie di sue poesie per allestire uno spettacolo. Canzonieri collettanei (3): il nome può dipendere o dal luogo in cui si trova il canzoniere oppure il nome rivela chi l’ha posseduto nel corso degli anni • Il piu antico è il “canzoniere di Ajuda” (sec. XIII) - perché fu ritrovato nella biblioteca del palazzo reale di Ajuda, e racchiude tutti e tre i generi delle cantigas galego-portoghesi che si articolano su tre generi: cantigas de amor, de amigo, de escarnho. Quelle che noi studieremo sono le cantigas de amigo nascono in territorio spagnolo e non sono presenti in Spagna. - Le cantigas de amor sono la trasposizione in territorio iberico della cansò provenzale, poesia nel quale un innamorato canta una dama, soffre per amore, non può rivelare a lei il suo amore perché è inferiore e sono tutta una testimonianza della sofferenza…un po’ come le Muwassasha, queste infatti anticipano la lirica trovadorica. - Le cantigas de escarnho (it= di scherno) in cui si fa la parodia di tante cose. Sono testi satirico- burleschi. Un trovatore mette alla berlina un altro trovatore perché considerato un esperto, ci sono anche cantigas de escarnho misogine, nelle quali si mette alla berlina la donna ‘non bella’, sono cantigas de escarnho anche rivolte al Signore. • Il canzoniere della Vaticana - perché rinvenuto (a metà dell’800) da Ferdinando U • Il Canzoniere Colocci-Brancuti - indica l’allestistore e poi il proprietario. Angelo Colocci era un umanista italiano che mette insieme questo canzoniere copiandolo, evidentemente, da un testo precedente, anche questa è una copia del 500-600 e sappiamo che è suo perché oltre a portare il suo nome, al lato ci sono dei suoi appunti - passa poi al proprietario e cioè il conte Brancuti. Alla morte di Brancuti il canzoniere passa di mano in mano finché non viene venduto nel 1912 al Portogallo. Oggi è conservato nella biblioteca di Lisbona. Canzonieri individuali: • La pergamena Vindel - Pedro Vindel era un bibliotecario che all’interno della sua libreria ritrovò un codice di Cicerone (il de officis). Togliendo la copertina del codice, si accorge che questa copertina in realtà è una pergamena in cui sono riportate le 7 cantigas di un importante poeta galego-portoghese di Martin Codax. - da questo si è dedotto anche come i codici più primitivi di questi canzonieri individuali erano dei rotuli, cioè delle pergamene arrotolate, nelle quali i trovatori appuntavano il loro repertorio. Questa pergamena Vindel è un antico rotulo, probabilmente poi non riconosciuto come tale quando fu trovato, ma fortunatamente invece di essere buttato, e quindi abbiamo 7 cantigas di Martin Codax. Questa scoperta ha fatto anche capire uno di quei canzonieri che hanno la notazione musicale. Che cosa è stato possibile verificare? Che l’ordine nel quale sono collocate le cantigas nel pergamino Vindel è lo stesso ordine nel quale sono collocate le cantigas di Martin Codax, sempre nel numero di 7, negli altri canzonieri. Sono esattamente ordinate nello stesso modo e questo è stato un indizio che ha fatto capire come la pergamena sia la testimonianza di un repertorio. • Pergamena Sharrer - prende il nome dal suo rinvenitore, un professore americano, dell’università di Santa Barbara in California, anche in questo caso il rinvenimento è stato analogo a quello della pergamena Vindel - anche in questo caso era una pergamena che foderava i codici notarili ed raccoglie le poesie del re portoghese Don Dinis. Riflessioni importanti Se per le Jarchas abbiamo parlato di poesia “popolare”, per intederci, ma sarebbe meglio poesia tradizionale/folclorica. Per le cantigas de amigo non possiamo usare il termine “popolare”, abbiamo parlato di Martin Codax, Don Dinis…e allora cosa hanno in comune le due? Hanno in comune la tematica di una fanciulla che si lamenta perché il suo innamorato non c’è, sono poste in bocca di donna e NB!!! è una poesia non popolare bensì POPOLAREGGIANTE. Perché? È vero che non è popolare, ma è vero che questi poeti imitino la stessa poetica delle Jarchas, quindi sono poesie brevi (non come le Jarchas) in cui quello che domina non è la narrazione…di nuovo qui non sappiamo chi è lui, perché non c’è, e tanti altri perché e quindi è popolareggiante perché se esistesse un genere popolare diremmo che si tratta di poesia d’autore che imita il genere popolare. Sono brevi, sintetiche, trasmettono i vari stati d’animo della fanciulla e ha carattere fortemente ripetitivo però come nasce su un testo scritto e siccome è d’autore vedremo come risulta più elaborata, una poesia cosi non può nascere nell’oralità perché presuppone una costruzione retorica in cui bisogna pensarci un po’, non è cosi immediato/spontaneo come canto. Pag 32 I TESTI: le cantigas de amigo NB Le cantigas non hanno titolo! Due chiavi di lettura per la pronuncia: o(u), e(i), s(sh) mantiene questo schema ma lei non è sposata ma la segretezza ancora è un elemento chiave nel triangolo amoroso (dama, innamorato e marito) ed al marito si sostituisce il padre o l’onore… questa sarà la chiave di lettura di molte opere a tema erotico del Medioevo: i libri di cavalleria, la novela sentimental ma anche la stessa Celestina che leggeremo insieme; per cui l’amore è di per se stesso fonte di scandalo e la tutela della donna e del suo onore impone all’innamorato la regola della discrezione e della segretezza; dovendo essere discreto, non potendo accedere ai favori della dama, la “cantiga de amor” ed anche “la cansò trovadorica” hanno nel loro cuore la loro “coita” - il termine coita viene dal latino ‘cogitare’ (pensare, riflettere) infatti questi testi, chi li conosce, sa che sono una sorta di macerazione interiore dell’innamorato che non sa come uscire da questo sentimento d’amore che non potendo essere esplicitato/consumato è anche un sentimento esacerbato/di sofferenza. La sofferenza è causata anche dal fatto che la dama, spesso, è una donna non solo distante a causa della sua realtà superiore/sociale… ma è distante perché è un’incarnazione della “FEMME FATALE”, della donna altezzosa, severa, sdegnosa…che sottopone l’innamorato ad una serie di prove, pensiamo alla Ginevra di Lancillotto. Come sia stato possibile che nelle società del XII secolo la donna abbia potuto rivestire un ruolo così importante…in realtà la spiegazione che viene data, tanto per la Provenza, come per la Galizia, anche se sono due regioni estremamente distanti, è che in quegli anni vivevano una condizione simile e cioè di essere dei centri (XII secolo, XIII-XIV secolo) lontani dagli scontri bellici e quindi di vivere una situazione di relativa tranquillità che porta ad una rilassatezza dei costumi, alla coltivazione del canto lirico invece che del canto epico…in Spagna questo sarà abbastanza evidente (a breve) quando affronteremo lo studio dell’epica (dello stesso periodo, in altri centri culturali) ed è un canto di guerra…mentre nella Galizia, anche nella sua “propaggine leonese?!” La guerra è un po’ più lontana e quindi diventa luogo deputato anche al canto d’amore. Un esempio per capire come concretamente si realizza questa “coita de amor”, questa sofferenza d’amore trasposta letterariamente —> composizione di Pero Garcia Burgales (di Burgos). Questo testo sarebbe attribuibile alla seconda metà del XIII secolo ed è stato un trovatore castigliano molto importante e sarà lui l’autore molto importante di una cantiga de escarnho che leggeremo tra poco —> prima abbiamo detto appunto questa sorta di coita, macerazione, sofferenza, di girare intorno ad un sentimento che è anche una sorta di dilemma; l’interlocutore di fatto non c’è , l’interlocutore del poeta è se stesso, è una dimensione solipsistica del canto. La produzione delle cantigas galego-portoghesi racchiude circa 1600 testi: di questi circa 500 sono cantigas de amigo, 200 cantigas de escarnho ed il resto sono cantigas de amor…abbiamo detto nelle cantigas de amor i moduli provenzali, con delle piccole differenze…il canto diventa essenzialmente anche più convenzionale perché si apre su un modello molto ormai noto, ne ripete gli stilemi e nel ripeterne gli stilemi si stilizza, quindi semmai si potesse dire che un canto o una poesia è testimonianza autentica del sentire, in questo caso prevale la maniera sul sentimento… ed abbiamo visto quanta ripetizione, quanto artificio c’è…una maggiore stilizzazione e rarefazione dei contenuti. CANTIGAS DE ESCARNHO E MALDEZIR Sono canti di carattere satirico (satira politica ma anche individuale e di genere cioè rivolti contro la donna). Nel caso che abbiamo visto, cioè nelle due cantigas de escarnho, abbiamo due esempi: il primo è rivolto (dal trovatore sempre Garcia Burgales) contro un altro trovatore, in una sorta di gara poetica GB si scaglia contro la poesia di un altro trovatore altrettanto famoso che con lui condividevano la frequentazione della corte portoghese chiamato poi “ Roi Queimado”. Questa volta è una cantigas satirica contro un altro trovatore e quindi di tema letterario. Il tema della satira è questo poeta, questi poeti che nei loro canti dichiarano sempre di morire per amore ma non muoiono mai sostanzialmente, al 3° giorno resuscitano sempre, quindi alla falsità delle loro ? E alla convenzionalità dei loro testi (ppt 18/10). L’altro esempio, questa volta è di un altro trovatore —> composizioni di Johan García de Guilhade sulla donna brutta (ppt 18/10). Invece produzione locale/autoctona sono le cantigas de amigo. Nel “Cancionero (collettaneo) Nacional da Lisboa c’è un’introduzione intitolata “arte de trovar” è quindi un’arte poetica che a livello teorico spiega che cosa sono le cantigas de amigo ed in questa arte de trovar si dice che “la cantiga de amigo se mueve a razón de ella” cioè prende spunto dal parlare, dal ragionare/ parlare di lei, mette in risalto l’io lirico di lei e quindi nell’”arte di trovare” si dice che la “cantiga de amigo” è il contrappunto ed anche il complemento della “cantiga de amor” in cui è l’uomo che loda/canta/manifesta la sua pena d’amore per la donna vs nella “cantiga de amigo” è la donna che manifesta il suo amore per l’amico…è però un canto affidato ad un contesto più popolare/ plebeo, lei è una fanciulla, una figlia del popolo e lui (in alcuni casi un cavaliere) ma contesto più popolare. All’interno delle cantigas de amigo possiamo trovare anche dei sottogeneri che descrivono/ riguardano sostanzialmente i luoghi privilegiati del contesto amoroso, si chiamano “Barcarolas o Marinhas”.Le cantigas de amigo dove è presente il mare. Poi esistono le “Cantigas das romerias” (Cantigas del pellegrinaggio) perché sono canti d’amore che insistono sui luoghi deputati del pellegrinaggio del cammino di Santiago. I due amanti si incontrano lungo il cammino. Infine le “Alboradas”, un genere che abbiamo già conosciuto, presente anche nelle Jarchas, notissimo nella lirica anche provenzale è presente e testimonia l’incontro e la separazione degli amanti sul far dell’alba. La volta scorsa abbiamo letto e commentato la prima Cantiga di Martin Codax, uno dei poeti galego-portoghesi più amato e più enigmatico…nel senso che sappiamo molto poco di lui, ma in generale sappiamo molto poco di questi trovatori portoghesi anche se già conoscerne il nome in una letteratura spagnola medievale dove sopravvive l’anonimato e dura fino al XV secolo sono più i testi anonimi che ci sono pervenuti di quelli d’autore, comunque avere un sigillo di paternità è già moltissimo. I trovatori galego-portoghesi infatti diciamo che affidavano la loro firma ai loro testi. II (Pag 32) Possiamo inquadrare questa cantiga nel genere delle Barcarolas o Marinhas. Di Martin Codax non sappiamo quasi nulla ma data la presenza, assai frequente, del toponimo “Vigo” all’interno dei suoi canti, si dice che questa potrebbe essere la sua città natale, ma potrebbe essere anche semplicemente una convenzione letteraria. Anche la seconda cantiga che leggiamo ha come tema il mare. Misterioso questo testo. Panismo e concezione dionisiaca della vita - c’è una celebrazione di questo amore collettivo diciamo, di tutte le innamorate che affascinate/prese dall’amico si fanno il bagno nel mare, quindi risvolti anche di sensualità/erotismo che questo comporta. La costruzione a livello strofico ripete lo schema della Cantiga I “Ay Deus, se sab’ora meu amigo”, infatti come vediamo queste sono 4 strofe, 2 strofe con ritornello “e banhar-nos-emos nas ondas”. Questo tipo di struttura si chiama “Cantiga de refrain”, quindi ci troviamo (come nel caso della prima cantiga) di fronte ad una cantiga de refrain. Un’altra similitudine con la cantiga precedente è sostanzialmente la grande omogeneità delle rime (IO-AO) sono esattamente le stesse rime presenti nella cantiga IV cioè la prima di questa antologia; e questo è un po’ vero per tutte le cantigas di Martin Codax, mettendo come parola rima, spesso, “amigo” che si alterna con “amado”, da li viene che le successive rime devono comunque ripetere quelle stesse vocali. A livello, invece, sintattico, vediamo adesso gli artefici sintattici…anche qui non ci stupisce perché ci troviamo di fronte a parallelismi (ripetizione sintattica degli elementi della frase in più frasi), qui non c’è presenza di inversioni a croce che ci sono invece nella prima cantiga, e poi di nuovo quella costruzione cosi tipica solo delle “cantigas de amigo”, e che ci ha fatto pensare ad un passo di danza, il leixaprén —> ogni strofa si inanella su quelle successive. Dal punto di vista del messaggio è un testo molto enigmatico, aperto ad una serie di possibili interpretazioni suggestive, ma questo sentimento di amore panico perché in un certo senso coinvolge non solo gli attanti/i partecipanti ma anche la natura, è in realtà un po’ caratteristico delle cantigas de amigo che partono sempre da dei contesti un po’ più marcati rispetto le Jarchas e qui notiamo che passiamo da una cultura delle Jarchas a carattere urbano ad una poesia di carattere più bucolico (pastorale), nel caso di Martin Codax il mar Vigo e mentre nel caso di Pero Meogu (il secondo trovatore che studiamo) ci troviamo proprio in un contesto paesaggistico; ma anche qui come nella II cantigas di Martin Codax c’è questo amore che coinvolge tutta la natura, qui non soltanto la flora ma anche la fauna. Pero Meogo ha scritto 9 cantigas de amigo che ci sono state tramandate/tradite da due canzonieri: il Colocci-Brancuti ed il Canzoniere della Vaticana: le 9 cantigas sono presenti in questi due canzonieri. Pero Meogo visse a cavallo fra il XIII-XIV secolo e che frequentò la corte del re Dom Dinis…quindi questi re si muovevano dalle corti castigliane alle corti portoghesi. NB! RICORDA CHE…Jarchas, Cantigas e Villancicos sono 3 manifestazioni che si muovono anche in un arco temporale diverso, più antiche le Jarchas (alcune precedono l’anno mille), le cantigas de amigo (XII-XIV secolo) ed i Villancicos (i primi, nella loro testimonianza scritta, XV secolo). III (Pag 34) Anche qui, realtà metaforico-simbolica che prevale…è più ricca quantomeno rispetto a quella delle Jarchas dove l’immediatezza era proprio fatta di termini comprensibili alla lettera; qui invece il tessuto metaforico-simbolico è certamente più interessante. E’ una scena idilliaca, in un contesto di questo “locus amoenus” cosi frequente nella letteratura medievale in cui in un certo senso lei semplicemente dice che lo sta aspettando in un luogo propizio per l’incontro amoroso, e lui lo sta dicendo in questo modo estremamente elaborato: l dove il lavaggio dei capelli alla fonte è un tema anche di origine assai antica, carico di sensualità che premette all’incontro fra i due. Le 9 cantigas di Pero Meogo sono ricche della figura del ‘cervo’, si è detto che il cervo sia il suo marchio poetico, come una sorta di firma. Il cervo come animale per la sua bellezza, sin dalla Bibbia, ed anche come trasposizione dell’amante. Dal punto di vista formale di nuovo le strofe che sono in numero di 8 sono distici a rima baciata e la cantiga de refrain perché anche qui c’è sempre il ritornello - “meu amigo” - . E qui come nella I o IV di Martin Codax notiamo che però queste 8 strofe sono costruite a coppia, strofa 1-2, strofa 3-4 etc… sono associate dal medesimo contenuto ma…qual è la caratteristica di queste 2 strofe fra di loro?, e che poi si ripeterà in tutte le altre, una strofa è al maschile e duna strofa è al femminile. A partire dalla strofa 5 c’è anche il leixaprén che prima non c’era: Il secondo verso della 5 strofa che torna nel primo verso della 7. Il secondo verso della 6 strofa che torna nel primo verso della 8. Però c’è una figura retorica in più: per poter mantenere una sostanziale ripetizione usa una figura retorica che si chiama “poliptoto” o derivazione - quando una stessa parola è presente in un testo ma declinata (se è una parola), coniugata (se è un verbo). Es: verbo “LIEY”, “LIARA” -> legai, ebbi a legarle. Pag 36 IV Ci troviamo di fronte ad una cantiga dialogica, cioè in cui c’è la fanciulla che parla e la confidente che è la mamma che risponde. Una variante delle cantigas rispetto alle Jarchas è che confidente…oltre alla mamma, alle sorelline o a Dio può essere anche la natura e addirittura, in alcune, la natura risponde. Anche qui c’è il cervo, come una sorta di marchio di fabbrica. Strofa 1-3 parla lei Strofa 4-5 risponde la mamma Apostrofe “madre” - strofa 2, v2 Malmaritata - sembra la stessa costruzione della Jarchas…con chi si è sposata? Perché è mal maritata? Però la suggestione di questo sguardo che si perde all’infinito ci può comunicare mille emozioni…quindi sempre questa “poetica del frammento” che nella sinteticità trova il massimo del lirismo. Fanciulla che non vuol farsi suora - Mayas - “L’ho visto arrivare!” Chi? Il mese di maggio o lui…? San Giovanni - sintesi metaforico-simbolico ci sta…nella figura del trifoglio, le cui foglie a forma id cuore sono simbolo d’amore ancora oggi e nel “carpe diem” (sullo stile di Lorenzo Il Magnifico). Morenica - celebrazione della fanciulla araba Serrana - la serrana era la montanara che custodiva il passaggio dei passi di montagna, dunque qui il cavaliere le sta chiedendo di farla passare perché non muoia d’amore…diverse interpretazioni dal punto di vista metaforico. NB! Nella poetica del villancico subentra un elemento diverso vs le cantigas, un elemento che un po’ somiglia alle Jarchas però… “Vivir en variantes!” - espressione coniata da Menendez Pidal. Perché che cosa succede? I villancicos esistono, i poeti di corte fra 400-500 nasce questa moda e quindi li trascrivono…già nella trasmissione uno stesso villancico ha delle versioni diverse, questo perché quando un testo viene trasmesso oralmente l’ennesima persona che lo recita non lo ricorda bene e cambia delle parole…poi nel passaggio dal testo orale a quello scritto, gli stessi poeti di corte tendono a regolarizzare, dal punto di vista metrico e formale, un testo che provenienti da una tradizione orale è molto irregolare e quindi per ‘regolarizzarlo’ lo limano cambiando dei termini. Quindi, nella poetica del villancico esiste questa espressione - “vivir en variantes!” - cioè questi testi non sono fissati una volta per tutte (come può succedere per le poesie d’autore, quando una poesia nasce sul foglio…non è soggetta a nessuna modifica, tuttalpiù le poesie d’autore); nel caso dei villancicos non sono varianti d’autore, sono varianti anonime come sono anonimi i testi per cui MP che aveva già elaborato quel concetto di “latenza”, elaborò questo altro concetto che è la poesia che vive nelle varianti. In che senso? Le varianti esercitano una funzione “ricercatrice” del testo, creatore e ricreatore operano all’interno di una poetica di gusto popolare, che si esprimeva in una sintesi concettuale e linguistica, con prevalenza dell’enunciato breve in forma diretta. Cioè il villancico che presenta varianti è una ricreazione del villancico precedente, cioè è allo stesso tempo un altro testo, un nuovo testo ma è anche una ricreazione di un villancico precedente; per cui creatore e ricreatore sono a tutti gli effetti autori di quel villancico. Sempre nella cultura popolare, oltre al villancico di base, esiste anche il “villancico strofico” nel quale noi abbiamo, oltre all’estribillo iniziale (villancico) anche una strofetta che amplifica il tema del villancico iniziale, e che però non è collegato al villancico iniziale soltanto tematicamente ma anche strutturalmente. Estribillo iniziale è il classico distico a rima baciata, in genere quando è un distico è a rima baciata perché deve avere una certa sonorità. La frase di commento, invece, è costituita da una quartina a rima abbracciata (ABBA), poi da un verso di “enlace” che si allaccia con la quartina e poi un verso di “vuelta” che si allaccia con le rime dell’estribillo… non è sempre così ma è una modalità del villancico strofico folclorico/ tradizionale/popolare è questa: una strofetta iniziale con “mudanza” (variazione) che ha questo tipo di costruzione: una quartina, un verso di enlace ed un verso di vuelta che riprende la rima dell’estribillo. Anche in questo caso ci troviamo sempre nel contesto di una lirica con “versos de arte menor”. Rispetto a queste rime cosa possiamo dire? Di nuovo ci troviamo con rime, prevalentemente, in assonanza: Abril/venir. Nella quartina le rime sono invece consonanti, quindi perfette. Esistono anche villancicos d’autore, Gongora per esempio è del 600, Rafael Alberti 900…quindi è una moda che è continuata e che continua ancora perché come il sonetto nella tradizione italiana continua ad essere utilizzato, cosi nella lirica popolare il villancico è una forma identitaria della cultura spagnola. Manuale Pag 42 I “Llaman a la puerta y espero yo a mi amor…corazón”. Bussano alla porta ed io a spetto il mio amore, ogni rintocco mi risuonano nel cuore”. Ad ogni rintocco sussulto. Ricordiamo Jarcha (VI) - variazione sul tema dell’attesa/del primo incontro, il linguaggio ci è ormai molto familiare…anche questo procedere enfatico creato dalle interrogative (non è questo il classò), dalle esclamative…un linguaggio emotivo. Si tratta di una quartina che ha un sistema di rime non regolare: assonanzano solo i versi pari (puerta, amor, aldabadas, corazón) -> ABCB. Rima INassonante soltanto nei versi pari. Rispetto alla lunghezza dei versi, troviamo una sostanziale irregolarità: V1 6 sillabe, V2-4 8 sillabe. Si tratta di una quartina di senari ed ottosillabi. NB!! Il fatto che sia una quartina ANISOSILLABICA ossia irregolare dal punto di vista sillabico e che sia assonanzata nei versi pari, è una spia dell’origine popolare/tradizionale di questo villancico. Si tratta infatti di un villancico di base. II È sempre un villancico tradizionale/popolare ma strofico. Qui ci troviamo di fronte alla struttura “zagialesca”. Molto particolare/misteriosa la storia che ci viene raccontata: “en Avila mis ojos… dentro en Avila” - ad Avila i miei occhi, proprio ad Avila, uccisero il mio amico proprio ad Avila”. Noi non sappiamo se questa poesia sia il frammento iniziale di una poesia più lunga, notiamo come di base il villancico precede il testo e non lo chiude (vs Jarchas). C’è una narrazione, qualcosa è successo, l’amico muore, lo uccidono ma questa narrazione viene sospesa…ci troviamo difronte ad un’ellissi narrativa cioè in cui la narrazione è appena accennata. Dal punto di vista strofico ci troviamo di fronte alla struttura zagialesca e anche qui un’irregolarità dei versi (dalle 7 alle 6 sillabe). III Altra variante: dal punto di vista della misura dei versi ci troviamo di fronte a quella struttura che viene definita “de pie quebrado” (it: piede spezzato”; ovviamente ci si riferisce al piede metrico; si dice così quando un verso, all’interno di un componimento, ricorre che un verso alla metà dell’altro, per questo “piede spezzato”. Le varianti di questo testo sono moltissime: in alcuni “villancicos”, invece di dire “que le duele” è presente “que le entretiene” - ed il significato cosi varia, nel primo caso c’è una sorta di lamento, c’è qualcosa che a lui fa male/lo affligge, nel secondo c’è qualcosa che lo intrattiene dunque c’è un canto di gelosia. **I villancicos proprio perché si prestano ad essere continuamente ricreati, hanno anche la possibilità di essere ricreati una dimensione satirica, parodica, ludica come per esempio “a lo divino” cioè venivano ripresi i testi e trasformati in versione satirico-burlesca in versione devota. IV A quale genere appartiene questo villancico? Di questo ne abbiamo parlato a proposito delle Muwassasha. Di quale dolore sta parlando? Del dolore amoroso e quindi a quale genere possiamo attribuirlo? È una definizione di amore che procede attraverso la coincidenza degli opposti: “Viene o non viene? Se ne va o rimane?” - quell’amore costruito attraverso quel sentimento d’amore, quella definizione d’amore costruita attraverso il dilemma…”pace non trovo e non ho da far guerra diceva Petrarca…e qui è esattamente la stessa cosa: è l’amore, Petrarca sta parlando d’amore e lo fa unendo degli opposti…è piu facile parlar d’amore se se ne parla attraverso il contrasto, perché l’amore di fondo è un dissidio/tormento/sofferenza. V Fatta precedentemente VI Metafora dell’ insonnia d’amore. Un sogno d’amore. La Rosa che fiorisce. Lui che arriva sotto l’acqua fredda che nella lirica spagnola sempre associata al sentimento d’amore, al luogo ameno dove gli amanti si incontrano. Rima ABCB perché rima “dia” con “frida” ma gli altri versi no. Dimensione simbolica - La rosa che fiorisce…suggestivo e che rientra nella dimensione metaforico tradizionale. VII Villancico strofico di un autore del ‘500 - Cristóbal de Castillejo - che è il massimo rappresentante della lirica tradizionalista nel ‘500, perché cosa succede nel 500? Nel 500 in Spagna si diffonde il sonetto, grandi coltivatori del sonetto (es Garcilaso); alcuni poeti reagiscono contro la moda italiana del sonetto…ed alcuni poeti tradizionalisti si oppongono alla diffusione del sonetto e si fanno portavoce della lirica tradizionale…Cristóbal de Castillejo è uno di questi poeti che prendo villancico di tipo tradizionale e li rielabora in forma propria MA non c’è dubbio che questo sia un testo d’autore…non è un testo folclorico, sia per tutto quello che abbiamo detto, sia perché lo stesso tessuto retorico è complesso: intanto qui al tema dell’ insonnia d’amore si sovrappone il tema dell’assedio/della guerra d’amore e a questi due temi si sovrappone anche il tema della follia d’amore - “yo poco menos de loco” - ad una metafora se ne sovrappone un’altra ed un’altra ancora ed anche questo è sintomatico di una grande elaborazione di un tessuto di artifici e di retorica più elevato rispetto a quell’immagine fresca presente nella quartina del villancico VI. Cosa accomuna questi due testi? L’estribillo iniziale che noi chiamiamo “villancico” - nella sua trasmissione cosa succede? È un villancico di carattere folclorico/popolare/tradizionale (esiste nella cultura); questo villancico ha una sua versione strofica popolare che è il testo n°6 (quella è la versione popolare…ce ne accorgiamo dalla quartina assonanzata nei versi pari). E’ una costruzione molto più complessa, sia dal punto di vista formale. Rima XY(ritornello); ABBAAYY (1° strofa); CDDCC YY (2 strofa); EFFEE YY Verso de enlace: A “los combates que le dan” C “pero los sueños pesados” E “y si los muevo y provoco” E due versi che riprendono l’ultimo verso dell’estribillo - “no pueden/puedan dormir”. **questi villancicos vengono raccolti ed oltre a trascriverli (come nel caso del I) si esercitano anche nel farli propri (come nel caso del VII). 26/10/2022 Riassunto lezione precedente: Tutta la lezione della volta scorsa è stata incentrata sulla definizione del genere epico in generale, della sua dimensione europea di epica medievale, non classica, con la quale condivide alcune caratteristiche ma non molte…abbiamo detto che fra l’epica classica e l’epica medievale c’è una cesura così profonda da costituire quasi un carattere di discontinuità fra questi due generi…e poi ci siamo addentrati nell’epica spagnola definendo quali sono l’età eroica su cui si innestano le principali narrazioni epiche spagnole, le modalità di trasmissione, quanti poemi ci sonno giunti e come ci sono giunti; poi abbiamo concluso la lezione cercando di chiarire il rapporto fra epica e romancero, epica e romances; nella domanda generale “prima nasce il romanzo e poi l’epica? O prima l’epica e poi il romance?”: Perché mettiamo questi due generi in relazione? La struttura metrica del romance e la struttura metrica dell’epica in realtà è la stessa…soltanto che quando noi leggiamo l’epica (ci renderemo conto nella prima lassa del Cantar del mio Cid) noi vediamo il verso scritto in due ottosillabi, divisi da una cesura…quindi abbiamo (come scelta tipografica) due ottosillabi divisi da una cesura oppure, come si suol dire, un verso di 16 sillabe con una forte cesura interna. Il verso epico è sulla base di 18 sillabe. Quando noi invece leggiamo i romance (=poesia/ballata), il più delle volte, ci troviamo con un ottosillabo sotto l’altro…eppure la struttura metrica è la stessa. Questo perché nell’epica sono versi di 16 sillabe che assonanzano tutti, nel romance invece sono 8 sillabe che assonanzano solo nei pari (v2,v4,v6,v8 etc)…se noi il romance lo scrivessimo diversamente cioè se noi mettessimo invece che un ottosillabo sotto l’altro, un ottosillabo accanto l’altro, ecco che abbiamo la metrica dell’epica: versi di 16 sillabe e tutti assonanzati, è solo una questione di disposizione dei versi!!! E siccome i romances hanno carattere/contenuto epico-lirico allora si è dedotto che probabilmente o nacquero prima i romances e gli interpreti li ricucirono insieme e ci fecero un poema epico oppure al contrario il romance nasce da una frammentazione dei poemi epici…e quindi quei nuclei del poema che piacevano di più alla gente, i menestrelli tendevano a cantarli, avulsi dal contesto e staccandoli dal contesto quel tono epico, ovverosia quel tono narrativo si va un poco liricizzando… Pag 55 IL POEMA DE MÍO CID Poema o cantar? Il manoscritto conservato nella biblioteca Nacional de Madrid non ha titolo, il suo rinvenitore che è Tomas Antonio Sanchez, questo studioso scopre questo manoscritto e lo pubblica nel 1779 e decide di titolarlo “poema del Cid”, invece nella letteratura spagnola poi è invalso, per i poemi epici, una diversa titolazione che è “cantares de gesta” (testi recitati con una base musicale di accompagnamento) e quindi poi sul titolo “Poema de (mio) Cid” nelle edizioni successive più moderne prevale il titolo “Cantar del (mio) Cid)” tanto più che poi l’opera si divide in 3 “cantares”. Come potremmo tradurre il termine “cantar”? In italiano usiamo un termine forse più aulico che è “canto/càntica”. Cos’è il “mio Cid” e che cosa si canta in questo poema epico? A posteriori è l’eroe della Riconquista ed in quanto tale, figura identitaria del riscatto, della cultura cristiano-visigota in Spagna dopo la conquista araba che predisporrà alla nascita della nazione spagnola con i Re cattolici. Cosa si narra nel “Poema de mio Cid”? Intanto ci troviamo al cospetto di un condottiero (“infanzon”) che ha già 40 anni…non abbiamo narrata nel poema la gioventù dell’eroe, come si è andato affermando, questa storia della sua gioventù è presente in parte nei romances; qui invece abbiamo il fanzon ormai maturo, ha già 40 anni circa e lo troviamo quando già a lui è stato comminato l’esilio (1081), il re di Castilla y León - Alfonso VI. E quindi della sua storia che cosa ci viene raccontato? A partire dall’esilio ci viene raccontato quel lungo processo di recupero dell’onore che questa condanna gli ha tolto; e quindi lo troviamo in un momento di crisi, viene cacciato dalla Castiglia; né assistiamo alle sue imprese (“gestas”) eroiche…quindi sostanzialmente nella guerra di riconquista, alle sue guerre di frontiera vs gli arabi fino a diventare signore di Valenza e quindi essere di nuovo riconosciuto dal Re e quindi termina, come avviene sempre, con il recupero dell’onore. Nel caso della storia del Cid, questo onore è sia riacquistato sul piano sociale (il Re lo riconosce di nuovo come suo cavaliere) e sia sul piano personale (spiegherò meglio poi…). Nella struttura gerarchica della società castigliana medievale, qual era il rapporto dell’infanzon con l’alta aristocrazia? Nella società medievale, ovviamente nel vertice c’era il Re, però poi la nobiltà si distingueva su 3 piani: nel livello più alto “ricos hombres”, poi i “caballeros” e poi “los infanzones”. Los ricos hombres era naturalmente l’alta nobiltà, mentre los infanzones era la piccola nobiltà ed in genere era la piccola nobiltà rurale…e proprio loro erano quelli che ricevevano più vantaggi dalla riconquista perché attraverso la dimostrazione della propria prodezza in quelle guerre di frontiera che avvenivano in Al-Andalus si riscatta, acquista importanza attraverso il valore…ed ovviamente questa ascesa della piccola nobiltà, degli infanzones a cui appartiene il Cid, era vista con sospetto/diffidenza ed anche con timore (da parte de los ricos hombres). Perché il Cid viene mandato in esilio? - “De los sos ojos tant fuertemientre llorando” - comincia l’opera con il Cid che piange, inizio molto ad effetto, molto bello…come in tutte le letterature ci sono degli incipit che conosciamo a memoria, e questo è uno dei tanti. È il pianto dell’eroe che è stato mandato in esilio, la storia comincia che l’esilio è già avvenuto; nel Poema de mio Cid non ci si racconta perché è stato mandato in esilio, poi capiremo meglio perché non ci viene raccontato. Il Cid viene mandato dal re, che adesso è Alfonso VI (Sancho II re di Castiglia muore nonostante abbia tentato un po’ in modo prepotente di impossessarsi dei regni dei fratelli) e Alfonso VI (re di León), suo fratello, acquista anche la Castiglia. Tutti i vassalli di Sancho II passano ad Alfonso VI e lui manda il Cid a riscuotere i tributi del re mussulmano di Siviglia. Cos’erano questi tributi? **Noi ci immaginiamo la riconquista come 7 secoli di guerra, i primi secoli (Es VIII secolo) certamente lo fu, il IX forse anche, ma poi le due fazioni del contendere, cristiani e mussulmani) si assestarono territorialmente e per mantenere una situazione di relativa pace i regni mussulmani delle Taifas pagavano, ai re di Castiglia, delle tasse per non essere attaccati; queste tasse erano chiamate “parias” dal verbo “parare”, pareggiare un conto, pagare. I Re cristiani a quel punto non soltanto non attaccavano i regni mussulmani ma addirittura, in qualche modo, se ne facevano protettori. Il Cid viene mandato nella Taifa di Siviglia a riscuotere le “parias” nel medesimo momento in cui al re di Siviglia viene mossa guerra dal Re di Granada sostenuto da un nobile della corte, uno dei “ricos hombres” chiamato García Ordóñez. Il Cid difende il Re sivigliano alla meglio, torna in patria ma il Garcia Ordonez (“malos mestureros” nel poema del Cid) dirà al re Alfonso VI che il Cid si è trattenuto una parte delle tasse, accusa il Cid di malversazione, cioè di aver rubato una parte degli introiti reali e di averli trattenuti con se, il re crede a lui e manda il Cid in esilio, e dunque lo disconosce come vassallo. NB! Questo evento è storico, in realtà il Cid fu 2 volte mandato in esilio da Alfonso VI secondo la storia, una volta l’esilio gli viene combinato in un modo più blando, la seconda volta, invece, ha delle caratteristiche estremamente cruenti anche per certi versi. Ma noi come la sappiamo questa storia iniziale, chi ce la racconta? Manuale pag 66 Quella prima lassa che vediamo è proprio cosi come inizia, quindi è la trascrizione della lassa che vediamo nel manoscritto, perché di questo stiamo parlando…la stampa era ancora lungi da essere…quindi noi ancora lavoriamo sui manoscritti. **piccola digressione sulle qualità in cui questo manoscritto ci è giunto - il manoscritto ci giunge in forma molto deteriorata per due motivi: il primo è perché sono manoscritti su pergamena e quindi possiamo capire che risentono dell’umidità ma soprattuto nel caso del Cantar de mío Cid per poterlo leggere meglio, già dal 600, è stato trattando con dei reagenti, per leggere meglio, sono reagenti però che invece di aiutare nella lettura, lo hanno danneggiato…anche in una parte considerevole…non impedendo però agli studiosi, soprattutto Menendez Pidal, di poterne fare edizioni paleografiche. Quindi questo è un codice, chiamiamo codice i manoscritti prima della stampa, ed è l’unico codice del Cantar de mío Cid che abbiamo ancora conservato nella biblioteca Nacional de Madrid. Se nel poema questa storia non ci è raccontata, dove la possiamo trovare? L’altra volta abbiamo detto che nell’epica noi dobbiamo sempre tenere presente 3 fasi: il fatto storico che ci viene raccontato, la formazione della leggenda trasmessa da vari cantares e poi quando approda al testo scritto…la maggior parte dei poemi epici antichi non approderà mai ad un testo scritto quindi si perderanno perché la memoria è labile; fortunatamente nel caso del Cid, invece, per qualche motivo questo testo ci è arrivato; questi poemi che sono andati perduti probabilmente furono anche delle fonti delle cronache medievali (gli scrittori delle cronache, gli storiografi di allora, quando dovevano compilare le cronache, avevano delle fonti che erano questi poemi). Quindi abbiamo due cronache: una è la cronica “di Castiglia” e l’altra è la cronica “de los veinte reyes” - che probabilmente basandosi su uno stadio del cantar più antico, rispetto a quello che ci è arrivato, oppure semplicemente intero, altre versioni, ci racconta quei fogli che sono andati perduti o quella storia che nel poema del mío Cid non viene narrata. Infatti, e qui abbiamo una piccola descrizione di questo codice, se è vero che il cantar de mío Cid ci giunge sostanzialmente completo, e da quello che si può capire (ma nessuno ci dirà mai se è vero) mancano sostanzialmente 150 versi, calcolando che la pagina che abbiamo visto prima, ogni “folio” (cosi si chiamano le pagine dei manoscritti) contiene circa una cinquantina di versi, quindi dire 150 versi vuol dire circa 3 folii, di cui 1 all’inizio e due all’interno…e quindi forse in questa 50ina di versi iniziali si narrava effettivamente l’antefatto che vi ho detto o quantomeno si dava la possibilità di risolvere alcune questioni che vedremo compariranno nella lettura che ci fanno presupporre che non poteva iniziare cosi. Intanto, la scelta tipografica che ho fatto all’interno dell’antologia è la scelta tipografica che si fa più usualmente ma non è quella del manoscritto…come vediamo il manoscritto non è diviso in strofe e inoltre non è diviso in cantares MA gli studiosi, basandosi su certe evidenze, lo hanno diviso in strofe ma per l’epica dovremmo dire “lasse”…per certe evidenze formali il testo per tutta una lunga sequenza di 3730 e passa versi viene diviso in lasse ed in 3 cantares. **la maggior parte degli studiosi sono d’accordo nel dire che probabilmente non iniziò cosi ma che questo inizio abbia avuto una grande fortuna, paradossalmente questo inizio con il pianto costituisce un elemento suggestivo. Alcune caratteristiche fonetiche della lettura - naturalmente ci sono dei fonemi che si sono persi nel castigliano attuale che sono tutti i fonemi fricativi, il castigliano attuale ha trasformato quel “ts” in un interdentale “Cid”…ancora siamo ad un livello di lingua che presenta una grande instabilità, seppure come avremo potuto apprezzare dalle letture precedenti, ci siamo resi conto come il castigliano medievale è molto più vicino al castigliano attuale di quanto non succeda per l’Italiano… I LASSA - ritorniamo su questo aspetto del pianto dell’eroe che viene messo in risalto anche dall’ occupare una posizione di primo piano nella lassa, è nel primo verso. La frase è costruita con un grande iperbato perché se dovessimo ricostruirla diremmo cosi: “(El Cid) girava la testa piangendo cosi fortemente dagli occhi e li stava a guardare”. NB! ANACOLUTO “LI stava a guardare” e proprio da questo “li”, da questa piccola spia/pronome inclitico che gli studiosi hanno dovuto immaginare che mancavano dei versi iniziali…che cosa stava a guardare? Poi ci dice “vide le porte aperte e gli usci senza serrami” quindi noi ci immaginiamo il Cid (in posizione ieratica) con gli occhi pieni di lacrime che piangendo gira la testa e guarda alle sue spalle cosa? I suoi palazzi, i suoi beni, il suo feudo che era Rodrigo Díaz de Vivar, una località a nord di Burgos, quindi il Cid stava già lasciando la città, è già in procinto di andarsene, già gli è stato detto che il re è arrabbiato con lui e che lo manda in esilio. La prima reazione che l’interprete (giullari) decide di risaltare è quella umana, quella del dolore e del pianto per dover lasciare tutti i propri beni. Dunque abbiamo detto il pianto viene messo in risalto perché è il primo verso della lassa, anche in costruzione iberbatica (alterazione struttura sintattica della frase) e poi perché c’è anche questo piangere dagli occhi…tautologia, è come un sottolineare il pianto, rimarcarlo…tanto più che questo piangere dagli occhi, parlare dalla bocca…saranno espressioni che ricorreranno ripetutamente nel poema con il senso che abbiamo appena dato, come nel caso del pianto…ma in più questo piangere dagli occhi” fa parte di quelle che vengono chiamate “frasi fisiche” (termine coniato da Colin Smith) e diceva che queste frasi erano sempre accompagnate da un gesto, quindi facevano parte del recitativo “drammaturgico”. 02/11/2022 Scorsa volta abbiamo affrontato questioni di carattere un po’ più generale relativamente a questo cantar, abbiamo detto che ci è giunto in un’unica “copia”…in realtà in un unico “codice” rinvenuto da Tomas Antonio Sanchez nel 1700 (XVIII secolo) e che però oggi il codice che ci è rinvenuto/ giunto è databile anche dal tipo di rilegatura…il codice dovrebbe essere del XIV secolo però vedremo come ragionare intorno alla data del codice e intorno alla data di composizione del poema è una cosa non semplicissima…e quindi ci dobbiamo avvicinare a questi due elementi di cronologia: il codice che ci è giunto ed il momento, invece, il poema del mío Cid fu elaborato per la prima volta in una dimensione di manoscritto…non coincidono. NB! Quella che noi abbiamo sarà probabilmente copia di una copia. Il codice rinvenuto si chiude con due rubriche finali, queste due rubriche appartengono a mani diverse e quindi dobbiamo immaginare l’una appartenente (a seconda delle ipotesi che sono state fatte) all’amanuense che ha copiato il codice o all’autore del codice stesso (più probabile la prima); e l’altra mano invece a cui appartiene la seconda rubrica… Il poema del mío Cid si compone di 3736-38 versi, gli ultimi versi sono in realtà due rubriche che servono a chiudere la narrazione, queste due rubriche sono: primo/secondo explicit - specularmente l’explicit sono gli ultimi versi di un’opera; viene da “explementum/expletar” che vuol dire completare. Abbiamo due explicit di mani diverse. NB!! COLOPHON - quando noi compriamo un libro e vogliamo vedere chi l’ha pubblicato e quando è stato pubblicato normalmente ora si va nel risvolto della seconda pagina…quindi explicit e colophon sono rubriche, la rubrica nel quale sono presenti i dati editoriali si chiama colophone, esiste anche oggi. Nel Medioevo non erano esattamente, come vedremo, *** però è presente…non ce lo dice nessuno perché la trasmissione è orale e quindi però ci da i dati della trasmissione…dunque l’opera si conclude o con 2 explicit oppure potremmo dire con un explicit ed un colophon finale che ci danno delle informazioni, che per gli studiosi di letteratura medievale, sono importanti. 1° explicit - “Chi scrisse questo libro che il Dio lo premi con il paradiso, Pietro Abbad lo scrisse nel mese di maggio, nell’era del 1245”. Abbad potremmo dire che si tratta di un cognome di origine monastica, Pietro Abate, potrebbe trattarsi anche della carica di abate…e questo sfumerebbe quei pochi contorni biografici che possiamo immaginare. NB! Noi sappiamo bene che i codici venivano copiati all’interno delle abbazie e monasteri, nulla di strano se gli amanuensi sono dei chierici o degli abati. *c’è chi ha voluto proprio vedervi, in quella data, l’autore…(ipotesi meno accreditata) data del poema del mío Cid. …ma poi intervengono una serie di altre circostanze, intanto quell’ “escribió”, il termine “escribir” nel castigliano medievale non voleva dire scrivere/comporre, perché comporre si rendeva con il verbo “faver”; quindi per capire chi è l’autore di un codice medievale dovremmo trovare scritto “fiso”e non “escribió” che stava per il termine “copiare”…in epoca medievale sarebbe stato quello che noi oggi interpretiamo come un falso amico. Quindi si qualifica come un amanuense. In Spagna esiste l’era hispánica - in Spagna, a partire dal medioevo fino al XIV-XV secolo, gli anni si cominciavano a contare dal 38 a.C, perché? Era una data convenzionale perché intorno al 38 a.C Augusto aveva diviso la Spagna in province…quindi se leggiamo questa era come va letta, cioè nell’era hispánica del 1845, per capire in che hanno è stato creato o copiato il manoscritto, dobbiamo fare 1245-38…e quindi 1207! Alcuni studiosi sono d’accordo, in particolare Colin Smith (che insieme a Menendez Pidal più studiò e dedico il suo tempo al Poema del mío Cid). **la filologia spagnola nasce proprio con lo studio cantar del mío Cid…e quindi si può dire che la filologia spagnola e le tutte le congetture (rispetto anche alla dimensione materiale di un testo) nasce proprio con questo poema. Allora qual è il problema? L’altra volta abbiamo dato un occhio al primo foglio del manoscritto che ci arriva in condizioni abbastanza deteriorate, perché molto antico, con macchie di umidità, e perché studiosi, nel corso degli anni, per leggerlo meglio, hanno usato dei reagenti che in realtà hanno peggiorato la qualità del manoscritto…e addirittura (come in questo caso della datazione) si nota una cosa curiosa, cioè uno stacco tra le centinaia e le decine…annotazione che potrebbe passare inosservata e invece inosservata non è passata…perché quando si scrivono i numeri romani non si ammette la divisone tra un carattere ed un altro; oltretutto come notò Menendez Pidal che del poema del mío Cid ci ha fornito una edizione paleografica, quindi esattamente copiandolo così com’è, lui ha notato fra la seconda “c” e la “x” una “raschiatura” non intenzionale (it:graffiatura/cancellatura)…e quindi lui ipotizza che in realtà sia dovuto alla modalità di trasmissione, essendo proprio un codice volto alla recitazione, passato di mano in mano…lui ‘suppone’ che in realtà c’era un’altra “c” quindi non più 1245 ma -> 1345-38 = 1307 (data del codice). TUTTO QUESTO PER QUANTO RIGUARDA IL 1° EXPLICIT 2° explicit - è di tutt’altra natura, tra l’altro ha anche un’altra calligrafia ed è altrettanto interessante perché testimonia la dimensione della tradizione orale - “el romans es leido…sobre ellos”: “il cantar è letto/finito, dateci del vino…se non avete soldi consegnateli/gettateli nei panni che in cambio/scambiandoli del vino ci daranno” - cioè potete pagare anche materialmente, e non in denaro… Quindi questo colophone non ci dice il luogo e la data dell’esecuzione ma ci dice che c’è un’esecuzione, dice “letto” e poi la classica forma giullaresca di essere ricompensati per il lavoro fatto. Menendez Pidal invece da una data: 1140. Dove ha ricavato questa data? Intanto diciamo che egli ritiene che comunque sia la datazione non può andare oltre il 1147 perché in quella data viene pubblicato il poema de Almería ed in questo poema c’è un passaggio nel quale si dice che esiste un cantar del mío Cid; e quindi questo sarebbe sufficiente… Perché 1140? Questa data secondo Menendez Pidal viene suggerita dallo stesso autore dell’opera. Vediamo quindi le ultime strofe, vediamo come finisce l’ultima lassa (Vv. 3722-3724) nel quale l’interprete dice “è finita l’opera, al Cid è stata fatta giustizia perché il Cid ha dato le sue figlie in sposa a dei nobili di Castiglia (infantes de Carrión), non avrebbe voluto dargliele in matrimonio ma è il re Alfonso VI che stabilisce queste nozze ed in un verso il Cid espliciterà la sua contrarietà - “siete voi che date le mie figlie in sposa agli infanti di Carrión, non sono io” - ed in questo verso si condensa tutta la perplessità che poi si rivelerà effettiva perché questi infanti sposseranno le figlie del Cid solo perché aveva acquisito molta fama, era molto ricco, addirittura Signore di Valenza…per risentimento/invidia e perché dicono di essere stati trattati male dai suoi compagni, con un espediente, portano via le figlie del Cid per riportarle in Castiglia ma nel “cuercheto di corpes” (titolo del 3° cantar) le menano/spogliano/battono, le lasciano in fin di vita alla mercé delle fiere del bosco…quando questo si scopre il Cid va dal re a chiedere giustizia, il re glie lo acconsente, c’è un duello fra i due (C id vs infanti di Carrión), gli infanti vengono sbaragliati, il matrimonio già annullato per il loro comportamento e…il poema finisce con un’apoteosi: il Cid ha avuto giustizia. Non poteva aver finale migliore questo poema perché se il poema del mio Cid è in realtà la storia di un onore calpestato e recuperato: viene mandato in esilio perché calunniato e recuperato sul piano sociale, sul sentimento dell’onore personale, di nuovo, macchiato dal comportamento degli infanti ma poi recuperato perche il re da ragione al Cid…ci dice che le figlie del Cid sono andate in sposa agli infanti di Navarra ed Aragona, sono dunque parenti di Re. NB!! Menendez Pidal si è chiesto quando le figlie del Cid sono andate in sposa agli infanti di Navarra ed Aragona e c’è una data, data nella quale Bianca di Navarra (pronipote del Cid) viene data in sposa ad un figlio di Alfonso VII (successivo ad Alfonso VI- re del poema) per evitare una guerra fra Castiglia e Navarra…e quindi siccome la data di questo matrimonio si sa, allora MP con grande intelligenza dice “probabilmente questa copia del poema o il poema fu proprio elaborato per celebrare queste nozze, cioè le figlie del Cid hanno sposato gli infanti di Aragona e per celebrare queste nozze nasce in poema del mío Cid. DATA: 1140!!! La cosa è effettivamente plausibile. Chi era Pero Abbad? - un copista. Le due tesi che si contrappongono, sempre di MP e CS, è che in una prima ipotesi MP diceva che si trattava di un giullare itinerante incolto, probabilmente operante nella regione di Burgos, per certi tratti linguistici e che l’antichità della lingua presentata nel poema del mío Cid conferma la data che lui sostiene. Colin Smith, invece, esattamente al contrario…notando usi e costumi ed anche una perizia di questo giullare nella conoscenza delle procedure giuridiche del tempo dice intanto che la data è posteriore, e già che questo giullare si dimostra esperto delle procedure giuridiche allora invece si tratta di un autore colto. Un’ultima tesi, MP in un momento successivo ci ripensò, notò anche una certa diversità all’interno dell’opera, per esempio nota che questo giullare, il giullare che secondo lui elabora il primo e secondo cantar, nota che questo giullare ha uno spirito più anti monarchico, c’è in particolare un verso nel quale sembra proprio quasi criticare il suo re e quindi dice probabilmente è andata cosi…c’è stato un primo giullare più animato e dallo spirito anti monarchico che ha elaborato il primo ed il secondo e poi un altro giullare che è intervenuto successivamente…perché vedremo ci sono dei momenti nel cantar in cui il Cid si inchina al re, gli bacia l’erba davanti, gli manda cavalli…e sembrerebbe, a quanto dicono gli studiosi, un atteggiamento nei confronti del monarca di maggior asservimento e quindi forse il cantar del mío Cid è frutto di una doppia mano. Manuale Pag. 66-68 (4 lasse che appartengono al 1° cantar) Intanto abbiamo detto che il codice ci è pervenuto come una sequenza ininterrotta di versi, sono stati gli editori successivi a dividerlo in 3 cantari…su che cosa si sono basati? (Guarda ppt) Si sono basati sulle informazioni presenti sul 2° cantar…che se lo leggessimo, il 1° verso del 2° cantar dice così: “Aqui comienza la gesta…Vivar”. Quindi è chiaro che ci sia stata una prima recitazione del 1° cantar che va Vv 1-1084; in un secondo momento viene letta la seconda parte che qui chiama “gesta”; poi nei versi finali del 2° cantar dice: “las coplas de…acabando” - si racchiude il 2° cantar in un unica unità recitativa, basandosi sul v1085 e v2276…gli editori hanno detto che quello che viene prima allora è una porzione di testo del 1° cantar, poi c’è il secondo è quello che viene dopo è il 3° cantar…e li hanno titolati come sappiamo, ma non esistono nell’opera; tematicamente dicono che il primo è sull’esilio, il secondo è sulle nozze e il terzo sull’ afrentas de corpes dove vengono battute dai loro mariti, le figlie del Cid. Vedendo il numero dei versi: 1084 è il primo, 1189 il secondo, 1455 il terzo…la porzione di recitazione va crescendo. Ogni cantar è diviso a sua volta in lasse (NB!!! per l’epica non possiamo parlare di strofe) - in spagnolo “tirada” - ed invece che cosa ha consentito di dividere questa sequenza ininterrotta di versi in lasse? Che cosa è una lassa? Pag. 66 II LASSA Li= inteso come luogo. Siamo di nuovo difronte ad una bimembrazione sinonimica perché dire di colpire i cavalli con gli sproni e dire di addentare le briglie vuol dire di andare veloce…la soluzione è andarsene…si tratta di una bimembrazione sinonimica oltre che parallelistica nella costruzione…fa parte dello stile formalistico dell’epica perché il recitatore/l’interprete un po’ sapeva a memoria/un po’ inventava e gli viene bene reduplicando il primo verso. La soluzione era uscire da Vivar e dirigersi verso Burgos, uscendo da Vivar sentono la cornacchia a dx, entrando a Burgos la sentono a sx…scrollò mio Cid le spalle e scosse la testa: evviva Alvar Fanez siamo stati cacciati dalla nostra terra ma con più onore torneremo in Castiglia”. NB! Il verso in corsivo è stato aggiunto da MP per analogia con altri passaggi e lo troviamo in corsivo perché è una interpolazione In questa seconda lassa siamo in una dimensione più eroica, nella lassa precedente questa la descrizione psicologica del Cid, uomo assai sofferente all’inizio ma anche assai misurato, anche molto devoto…quindi la prima lassa caratterizza il personaggio, qui invece entriamo nell’azione. “Ovieron la corneja diestra”/“ovieron la siniestra” - si dice che queste due espressioni facciano parte di una sorta di presagio…sentire la cornacchia destra è un presagio di malaugurio, succederà qualcosa di negativo, sentirla a sinistra invece è un messaggio/segnale ben augurale. A che cosa fa riferimento il mal augurio e il segnale ben augurale? Se leggiamo le lasse 07/11/2022 Riflessioni ricapitolative: Dal punto di vista formale abbiamo detto che il manoscritto, l’unico che ci è pervenuto, si presenta come una sequenza ininterrotta di versi che gli editori hanno diviso in lasse/tiradas. Che tipo di versi? In realtà di questo aspetto ne abbiamo fatto riferimento quando alla domanda “nasce prima il romance e poi il Cid o al contrario?”; la dove abbaiamo detto che il romance come sequenza di ottonari è un modo per scrivere il verso epico che invece si presenta come due emistichi; se dovessimo dare retta a quanto detto questi due emistichi nel cantar del mio cid dovrebbero essere un numero di quante sillabe ogni emistichio?8; diciamo però che questa è la tendenza, cioè la tendenza del verso epico è 8+8 e quindi 16 sillabe…ma giacchè ci troviamo all’interno di una forte irregolare estesa ad ogni aspetto formale del poema…raramente troveremo 8+8…troveremo piuttosto 8+7, 7+7, 6+9…quando l’interprete recitava puntava ad un verso di 16 sillabe. Quindi una sequenza diversi di 16 sillabe, con forte presenza di anisosillabismo, 16 sillabe che vengono a costituire le lasse tenute insieme da un’unica assonanza…e le lasse, a loro volta, organizzate in cantares…ma sempre come scelta editoriale degli editori moderni. Siamo autorizzati a chiamarli cantares e a chiamare il poema “cantar” perché nel V2276 il recitatore dice “Las coplas deste cantar qui van acabando). Nel verso iniziale del secondo cantar lo aveva chiamato “gesta” cioè le imprese, nel verso finale sempre del secondo cantar l’ha chiamato “cantar”. Il secondo cantar è importante perché nel verso iniziale (V1085) e nel verso finale del secondo cantar (2276) noi capiamo che si recitava in 3 parti perché dice “qui comincio adesso a cantare” e inizia il 2° cantar e poi “adesso termino” e quindi da via al 3° cantar. Perché l’interprete avesse facilità a riprodurre mnemonicamente dei versi che recitava, il piu delle volte, e almeno nella sua prima fase della trasmissione senza lettura, a che questo fosse possibile lo aiutava quello stile che abbiamo definito “stile formulare/formulistico” cioè una sequenza di frasi invariabili che ricorrono, se non sono frasi sono sintagmi che ricorrono a riempire/completare/elaborare certi emistichi. All’interno di questo stile formulare/formulistico troviamo la categoria degli epiteti. Cosa sono? (NB! “El Cid romancero ed il Cid nel cantar” argomento tesi triennale) EPÍTETO ÉPICO Sono frasi fisse che servono a qualificare un personaggio. Anche nell’epica classica avevamo gli epiteti (Achille piè veloce) ed ovviamente la maggior parte degli epiteti sono attribuiti al Cid, passato alla storia come: • “El Cid Campeador” - campeador era un grado militare. L’origine etimologica viene da “campi doctor” cioè dottore laureato sui campi di battaglia. La traduzione “prode” è un po’ semplificativa, e cioè chi si è distinto sui campi di battaglia. • “El de la barba vellida” - la barba folta stigmatizza la sua età matura intorno ai 40anni perché è il Cid dell’esilio e non il vassallo di Sancho II e poi Alfonso VI. • “El que en buen hora nasció” - epiteto astrologico, colui che nacque sotto una buona stella… anticipa…aspetto predittivo del poema, già nei primi versi l’ascoltatore già sa che ce la farà, quindi non è una narrazione costruita sulla suspense…i poemi epici non lo sono mai, perché hanno un carattere tendenzialmente consolatorio, ciooè già l’uditore realtà che si immedesima nell’interprete che si immedesima nell’eroe, sa che glie siti delle imprese narrate andranno a buon fine; quindi appellare il Cid con questo epiteto aiuta a collocarlo in un paradigma esistenziale certamente dagli esiti fausti. • “El que en buen hora cinxo espada” v60 LASSA IV - ossia fu armato cavaliere…cioè fu armato cavaliere sotto una buona stella e cioè poi le sue saranno “gestas” (imprese) gloriose. *chi leggerà il cantar del mío Cid dall’inizio alla fine vedrà come questi epiteti ricorreranno dall’inizio alla fine, vedrà come questi epiteti ricorreranno frequentemente sino a costituire una sorta di ‘cantilena’ e quindi a rafforzare una “etopea”…termine che indica la descrizione morale del personaggio, un’etopea alla dimensione virtuosa dell’eroe. NB! Quasi nulla, nel poema, è lasciato alla descrizione fisica…se non “el de la barba vellida”…più che altro descrizioni stereotipate…che più che andare a descrivere le caratteristiche nei caratteri somatici, un personaggio perché sia riconoscibile…lo attagliano alla figura semplicemente dell’eroe maturo…nonostante ci troviamo difronte ad un’opera epica marcatamente realistica, questo non sarà certamente il realismo 800esco nel quale invece sarà possibile, addirittura, raffigurarsi/immaginarsi nei dettagli delle descrizioni, i protagonisti della narrativa moderna…ma qui questo aspetto non interessa, non ha nessuna rilevanza. Alfonso - il re, personaggio assai poco presente nel cantar del mío Cid, è una figura di sfondo che in qualche modo l’interprete protegge nel senso che…ovviamente non possiamo parlare di un poema anti monarchico, la monarchia viene talvolta stigmatizzata ma sempre attraverso le figure dei calunniatori, è la nobiltà che ha danneggiato la vita del Cid. Il re è: • “El buen rey” • “Rey ondrado (honrado)” • “Mi señor natural” • “El castellano” • “El de León” *In questo contrasto, tra le due sovranità, sta una delle problematiche del Cid, Alfonso era re di León, uccide il fratello Sancho e diventa anche re di Castiglia; ma il poema si fa carico del conflitto delle due diverse origini, il Cid castigliano, Alfonso di León…il poema del mio Cid celebra l’ascesa della Castiglia in realtà. • Jimena, su esposa, es “mugier ondrada” • Martín Antolínez es el “burgalés de pro/complido/contado/leal/natural” • Álvar Fáñez “diestro braço” • Babieca es “el caballo que bien anda” y “el corredor” • Valencia es “la clara” y “la mayor”. Doppia ipotesi editoriale a cui approda Menendez Pidal dopo aver dapprima ritenuto che l’opera fosse opera unitaria e cioè scritta da un solo giullare analfabeta…poi arriverà invece a riconoscergli una doppia mano: un autore dei primi versi dove si riconosce di più un atteggiamento velatamente anti monarchico, riassunto nel V22 “Dios que buen vassallo si hubiese buen señor”…sostituito poi successivamente da una descrizione del vassallo nei confronti del re di maggiore obbedienza e sottomissione V2022 dove il Cid recatosi a Toledo, dal suo re “las hierbas del campo a dientes las tomó”, cioè si china a terra e morde l’erba del canto. IV LASSA Il pubblico, gli uditori venivano messi a parte di quale pena viene inflitta al Cid, questa pena non se la inventa il giullare, ma anche in questo caso ha carattere di grande verosimiglianza perché la pena che Alfonso VI infligge al Cid rientra all’interno di quello che abbiamo definito l’istituzione dell’ira regia, oggi forse inconcepibile, ma insomma quando il re era adirato ricorreva ad una serie di sanzioni. Diciamo intanto che il Cid, come altre volte abbiamo insistito, è il poema di grande verosimiglianza storica però anche nel caso dell’esilio ovviamente l’autore si concede delle licenze che poi vogliono dire anche delle semplificazioni storiche…come abbiamo già detto il Cid andò due volte in esilio, la prima volta non gli furono confiscati i beni, la seconda volta addirittura la formulazione dell’esilio fu più crudele perché non sono gli vengono confiscati i beni, gli vengono date disposizioni con 9 giorni per lasciare le sue terre (non 13) e dunque nella misura più restrittiva possibile…ma addirittura gli viene tolta la patria potestà, la famiglia viene rinchiusa in una fortezza. In questo caso il Cid è severamente giudicato: deve lasciare le sue terre, nessuno lo può aiutare pena a quell’elenco di minacce che abbiamo già visto nella lassa IV e cioè perdita degli occhi, della faccia fino ad arrivare alla morte e all’impossibilità di essere sepolti in un luogo sacro. Nella parte finale della lassa IV ci troviamo di fronte, per la prima volta, all’esule. Si tratta di pochi versi perché poi è rapido il passaggio dall’offesa al riscatto, e quindi dipinge la figura dell’uomo umiliato, solo, esiliato…V54 è questa la rappresentazione dell’esule che raggiunge la cattedrale di Santa Maria (ancora esistente nella città di Burgos) che oggi vediamo nella veste gotica e che nasce però su una Chiesa di origine romanico, fu voluta proprio da Alfonso VI, si cominciò a costruire proprio dal 1775, quindi il Cid va nella cattedrale come eroe cristiano perché eroe castigliano simbolo della cristianità che si muove contro i mori, giunto alla cattedrale attraversa il fiume Arlanzon e pianta le tende fuori la città e dorme sulla ghiaia, come fosse un fuggiasco, un indigente, un nullatenente. Vediamo il contrasto fra la grande attenzione al realismo dei luoghi perché nel poema del mío Cid ricorre una grande fedeltà nella toponomastica, quasi a voler radicare davvero il testo all’interno di una geografia riconoscibile, questo è il poema della Castiglia, dunque chi lo ascolta deve sentire riconosciuto lo scenario geografico che appartiene al Cid come appartiene anche all’uditore. Il contrasto fra questo realismo e le ricorrenti venature poetiche in cui l’autore ci dimostra la sua capacità di saper profilare, con sole due pennellate, la condizione di chi si trova senza più nulla, deve rimboccarci le maniche e andare avanti… Solo attraverso queste quattro lasse, quindi nei primi 60-70 versi, noi conosciamo un eroe battuto, sconfitto, umiliato…perché da qui in poi sarà un crescendo. Il Cid capisce fin da subito che se vuole farcela, cioè riottenere dal suo re un reintrego all’interno della sua patria, è partito senza nulla e deve procacciarmi dei beni materiali che consentano di mantenere la sua “masnada” e di cominciare la Riconquista NB! V22 -> “buen”—> beni. LASSA VI-XI Episodio di Rachel e Vidas: i due ebrei. Il Cid l’abbiamo conosciuto come eroe la cui caratteristica principale è la misura, un’altra qualità è l’astuzia (NB PPT CID_4) che riassumiamo in uno degli episodi più importanti, successivo all’esilio; il Cid assomiglia anche ad Ulisse, quando si tratta di dover macchinare delle strategie per superare una difficoltà lo fa, dunque metà eroe cristiano e misurato e metà conte scaltro Ulisse; non avendo nulla…propone ai suoi vassalli di giocare un tiro a due usurai ebrei, questo è l’episodio di Rachel e Vidas (due nomi di fantasia)…si tratta di un episodio di fantasia, non sappiamo se sia davvero avvenuto o meno. El Cid propone ai suoi vassalli, soprattutto a Martin Antolinez, di andare da due usurai ebrei con due casse molto preziose, rivestite con pregiato cuoio vermiglio e sigillate con chiodi e borchie d’orate, riempie di sabbia queste casse ma farà dire (agli usurai) che li dentro c’è proprio quel bottino che lui non ha restituito al re, cioè il motivo per cui è stato esiliato…e che se loro vorranno comprare quelle casse piene d’oro, lui che ha bisogno di finanziare le sue imprese, glie le darà ben volentieri…gli ebrei pensando al buono affare che stavano facendo gli daranno in cambio delle casse, che non aprono, bene 600 marchi, la somma che all’epoca è stata stimata una vera fortuna; è chiaro che questo episodio abbia dato adito a mille interpretazioni, la più corrente è l’immagine che viene data da questi ebrei, tanto avidi come anche ingenui. *tesi triennale: El Cid antisemita o filosemita Et estos eran judíos muy ricos con quel [El Cid] solía faser sus manlievas. (Crónica de Castilla). LASSE 58-63: Il conte di Barcellona Ramón Berenguer II. Fine del Primo cantare. Il Cid, provvisto di queste ricchezze, comincia a guerreggiare, rende suoi tributari i regni mori di Teruele, Saragoza…in che senso rende suoi tributari? NB! (SAPERE BENE LA GEOGRAFIA) Parte dalla Castiglia, Burgos, si sposta verso l’Aragona che era una taifa mora, un regno moro che divideva la Castiglia dal contatto di Barcellona. Quindi, sconfigge queste terre, sconfigge i mori che gli si assoggettano…e rende la taifa aragonese suoi tributari, dunque la ricchezza non è solo la ricchezza estorta con l’inganno agli usurai ebrei ma è anche una ricchezza che grazie al suo valore/prodezza come combattente riesce ad ottenere asservendo le popolazioni more. Altra considerazione: se abbiamo detto che è possibile una lettura del poema del mío Cid come poema antisemita, invece sul fronte dell’altra religione…il Cid si dimostra nei confronti dei mori estremamente giusto e compassionevole, al punto che le popolazioni quasi gli si arrenderanno grate, abbiamo vari lasse in cui vediamo diversi cittadini sottratti al dominio arabo che di fronte all’umanità di questo nemico quasi preferiscono passare sotto la protezione che non rimanere sotto quella dei monarchi del califfato andaluso; però in queste sue scorribande arriva a molestare il re di Barcellona, Ramón Berenguer II, il quale ne rimane cosi urtato che decide di muovere guerra al Cid…e quindi il Cid combatterà contro mori e contro cristiani e si farà strada senza rispettare troppo diciamo le origini del suo avversario…e nel ppt ci sono una serie di lasse (58-63) Gli infanti si predispongono…fingono di voler rimanere soli con le loro spose, mandano via tutti, dopo di che le minacciano, le picchiano…loro perché la loro morte non sia infamata ed infamante chiedono che sia tolta loro la vita perché da quel momento in poi vivrebbero disonorate; gli infanti non avranno neanche questa pietà e li abbandonano nel bosco alle fiere. I versi che ci interessano per l’esame VV2697-2704!!!!: La descrizione del querceto, dei monti alti…cosi alti che i loro rami arrivano addirittura verso le mura e le fiere girano tutto intorno…NON è un linguaggio realistico…è quello che in epoca medievale era il corrispettivo, diciamo, del LOCUS TERRIBILIS/HORRIBILIS…e che cosa ci ricorda? Dante nella selva oscura. Si tratta di un repertorio, un luogo comune a cui lo stesso interprete ricorre per far immaginare che di li a poco succederà qualcosa di violento…qui è l’inferno per le due spose…e quindi l’uditore medievale che ascoltava/coglieva queste cose…già sapeva che qualcosa di nefando sarebbe successo MA subito dopo al locus terribilis viene contrapposto, invece, trovano una radura che ha limpida una fonte…etc dunque il giardino e la fonte limpia, dunque acqua che scorre e dunque fertilità…che è invece il locus amoenus; quindi contrappone l’inferno al paradiso. La descrizione di tutto ciò è veramente molto sintetica, ma questo non ci esime dal riconoscergli il tributo a delle risorse retoriche notissime allora…è chiaro che se il luogo terribile presagisce all’offesa che poi faranno (denudandole e colpendole con gli speroni); invece questo giardino è rivolto piu alle spose che penseranno di passare un momento di piacere con i loro mariti…non sappiamo se l’oltraggio fu vero, non muoiono…si sposeranno con gli infanti di Navarra ed Aragona…perché i vassalli del Cid avevano a distanza seguito gli infanti e li trovano e a loro viene fatta giustizia nel modo che abbiamo già detto, non c’è vendetta personale, il poema si chiude con una vendetta/giustizia sociale: il Cid manderà dal re dei emissari e gli chiederanno giustizia, e il re accetterà, chiederanno alle cortes la punizione e le cortes decidono uno scontro a campo chiuso fra i 2 infanti di Carrión ed i 3 vassalli del Cid, gli infanti perderanno e dovranno restituire al Cid la dote, le spade, la colada e la tizona e restituire tutto…l’apoteosi sarà questo matrimonio riparatore delle sue figlie, il finale sarà esaltante: il Cid da infanzon passerà ad essere parente dei reali di Spagna. Per concludere…abbiamo capito come questo poema avrà una fortuna grandissima in tutta Europa, in particolare forse il testo più noto è il Cid di Corneille che narra, in realtà, tutt’altra storia…narra gli amori del Cid e Jimena e questo sarà un altro filone che avrà grande successo, e sempre chi di noi vorrà, proprio su questo filone degli amori del Cid e di Jimena nasce il primo film, la prima trasposizione. 9/11/2022 L’abbiamo detto varie volte, lo diciamo ancora…questa curiosa divisione della letteratura medievale (dalle origini al medioevo) in due grandi generi (non sono gli unici naturalmente), si tratta di due macrogeneri: il mester de juglaría ed il mester de clerecías. In realtà noi cominciano a distinguere il mester de juglaría proprio nel momento in cui si definisce l’altro “la clerecía”. Intanto diciamo che siamo nel XIII secolo e che le opere che appartengono al mester de clerecía occupano XIII secolo in particolare ed in parte, seppure in una forma meno rigida/attagliata sulle regole che normalizzano la clerecia del XIII secolo, nel XIV secolo (1200-1300). C’è una cesura netta tra i testi che abbiamo fino ad ora analizzato e studiato e quelli che faremo ora, e questa cesura netta sta proprio in una coscienza letteraria che è cambiata, e perché? Soprattutto perché…sostanzialmente a partire da questa importate battaglia de las navas de Tolosa…intorno al 1212, la Riconquista in una erto senso vive un periodo di stasi; cioè quell’oca che erano le guerre di frontiera che abbiamo visto soprattuto nel Cid, a questo punto la penisola Iberica è divisa sostanzialmente a metà, 1236-1238 l’avanzata verso il Sud è rapidissima (1236 Cordoba e 1238 Sevilla), cosicché già verso la fine del 1200, quando si dice Al-Andalus si parla sostanzialmente del regno di Granada. E quindi questo periodo in cui si passa da una condizione di scontri ripetuti ad una di sostanziale pacificazione, comporta la ripresa della cultura, la nascita di quello che in tutta Europa, ed in Spagna in particolare, viene considerato il Rinascimento del XIII secolo (anche in Europa) che in Spagna coincide con la stasi della riconquista. Quando si parla di “rinascita della cultura” cosa vuol dire? Rinascono, si creano dei luoghi centri di studio, ovviamente presso monasteri, cattedrali…insomma luoghi di formazione, di recupero dei classici e di divulgazione di questi ultimi, la dove per divulgazione si intende il volgarizzamento dei classici latini nella lingua romanza, quindi il recupero del patrimonio antico (classici greco e romani) che comincia ad essere, di fronte ad un pubblico sempre meno latinizzato e all’espansione del volgare,…la necessità di divulgare le opere classiche nella lingua romanza. Nascono così le prime Università che però si chiamavano “estudios generales” ma di fatto erano le prime Università; in Spagna la più antica fu fondata da Alfonso VIII ed è quella di Palencia, a seguire poi ci sarà Salamanca, saranno università alle quali parteciperanno anche maestri provenienti anche dall’Italia, in particolare Bologna, Parigi…creando anche una sorta di circolazione ed internalizzazione della cultura già allora…dunque “erasmus ante litteram”. Questo che cosa comporta? Comporta la nascita di una nuova tipologia di studiosi, di intellettuali che formandosi in centri di studio religiosi, non possiamo immaginare una forma di acculturazione laica, si trattava di scuole cattedrali, monastiche o episcopali…che ricevevano però, pur essendo centri religiosi, sostentamento anche dalla monarchia e a cui accudivano anche laici; quindi quando noi usiamo la parola “clerico”, mester de clerecía, dobbiamo intendere bene che cosa vuol dire? La traduzione in Italiano sarebbe “il mestiere/compito dei chierici”. Chi è il chierico? Il chierico è l’uomo di studi, che può essere anche l’uomo di chiesa, ma in generale è l’uomo di studi, in modo traslado potremmo dire lo studioso, l’intellettuale, il letterato…quindi il mester de clerecía è a tutti gli effetti una scuola poetica di carattere colto ed erudito perché nasce all’interno di centri di studio e di formazione. E’ proprio a partire da questa definizione che viene coniata, all’interno di un’opera che appartiene al mester de clerecía, che nasce (per contrapposizione) il mester de juglaría; per contrapposizione perché sono gli stessi scrittori che appartengono alla clerecía, con uno scatto di orgoglio, a voler marcare una cesura netta con le opere che li hanno preceduti. Intanto il clerico è uno scrittore colto ed istruito e che, in genere, presta il suo servizio presso un centro, quindi è stanziale; mentre il juglar (non sempre) può essere addirittura analfabeta oppure con la sua formazione culturale ma intanto itinerante, cioè non appartiene a cicli laici o religiosi che siano e soprattutto non è l’autore dei testi che promuove perché tutto ruota intorno a quel concetto, che abbiamo tante volte ripetuto, della trasmissione, dunque sono testi anonimi con giullari interpreti; nel caso invece del mester de clerecía le opere non hanno carattere anonimo, per dirla meglio…sempre meno hanno carattere anonimo…perché sono trasmessi da codici, non c’è trasmissione orale. *la dimensione dell’anonimato riguarderà molto la letteratura spagnola, molto che le altre letterature europee, tanto che la Celestina in parte e Lazarillo poi che saranno i nostri ultimi due testi, nasceranno come opere anonime o quantomeno di difficile attribuzione. Un’altra differenza che intercorre fra il mester de clerecía ed il mester de juglaría è la veste formale, per il mester de juglaría la veste formale non è rigida, perché sostanzialmente la metrica è irregolare, non ci sono strofe, le lasse sono una serie di versi illimitati, anche questo entra in una sorta di ametricità?? e la rima è assonante; nel mester de clerecía, invece, viene inaugurata in Spagna una forma metrica di grande sottigliezza e di grande perizia formale che è quella che va sotto il nome di “cuaderna via” detta anche “tetra strofo monorimo”; cuaderna via e cioè quattro vie, una quartina e tetra strofo cioè quattro versi monorimi di alessandrini (14 sillabe) quindi una struttura quasi matematica…e i suoi autori si fanno grande vanto di impiegare questo tipo di metrica in modo assolutamente inderogabile…noi non troveremo, all’interno delle opere del mester de clerecía del XIII secolo, nessun tipo di irregolarità…poi nel XIV secolo quando l’impiego di questa metrica si fa più rilassato invece nel libro di Buen Amor sarà applicata la cuaderna vía in modo meno stringente. Tutte le opere del mester de clerecía usano questa metrica? Si, quasi esclusivamente…nel XIII secolo molto esclusivamente, questi lunghi poemi si attagliano esclusivamente a questa costruzione che diventa identitaria. A questi principi corrispondono anche delle finalità, quando abbiamo introdotto l’epica e le sue origini, abbiamo detto che l’epica aveva un carattere informatico sostanzialmente di intrattenimento, ancor di più per quello che riguarda la lirica, non c’erano finalità di carattere didascalico o pedagogico di alcun tipo… Uno degli imperativi categorici del mester de clerecía è di fatto un carattere squisitamente divulgativo, abbiamo già detto prima, l’atteggiamento reverenziale che questi scrittori hanno nei confronti dei classici e della necessità di divulgarne i contenuti nei volgarizzamenti, nel nostro caso in lingua castigliana, perché questi classici divengano accessibili in un contesto culturale in cui la distanza del latino si era fatta drammaticamente importante. Abbiamo alcuni autori di epoca umanistica come Marqués de Santillana che, pur essendo colto ed erudito, non conosceva il latino/greco…lui così come tanti altri; quindi la necessità di “romansear”…dove il termine “romance” è quello che abbiamo detto finora ma il “romans” è anche la lingua romanza castigliana. Il mester di clerecía si trasmette tramite codici e non oralmente seppure c’è un aspetto legato alla recitazione pubblica, vedremo che la stessa opera di Gonzalo de Berceo che punta ad un certo proselitismo, c’è la recitazione a voce alta di fronte ad un pubblico e quindi la assimilazione di una certa modalità giullaresca ma i testi nascono come testi scritti e non nell’oralità, e quindi non abbiamo versioni diverse, non si ammettono varianti. Per quel che riguarda le tematiche, già nel tradurre la parola “clerecía” un’opera a carattere colto ed erudito, non esclusivamente opere a carattere religioso, possiamo dire che le tematiche sono di vasto raggio, anche religiose (vedi Gonzalo de Berceo - seppure una religiosità intesa in una formula assai poco dottrinale e quindi volta al prosevitismo?? e quindi la divulgazione di una religione a carattere popolare, ma anche opere che insistono sulla materia classica/antica, il romanzo d’avventura di tipo bizantino, quindi un repertorio molto amplio la cui finalità, però, rimane ad un certo didascalismo…nel senso che queste opere, tendenzialmente, hanno un carattere didattico-moraleggiante, che siano di taglio religioso oppure no, sono opere di carattere istruttivo/formativo, di divulgazione del patrimonio classico ma anche attraverso storie che potremmo definire, per certi versi, edificanti (a vari livelli). Pag. 86 E’ riportata una quartina nella quale, per la prima volta, appare questo costrutto del mester de clerecía. Questa quartina è fondamentale perché in un certo senso costituisce il manifesto poetico del mester de clerecía…non tutto ma molto di quello che c’è da sapere su questo genere poetico è condensato in questa quartina e nella precedente, e quindi è importante conoscerla se non impararla a memoria!!! NB. La quartina si trova all’interno del primo, probabilmente, poema che la impiega, ed è il libro de Alexandre dove per Alexandre si intende l’eroe, il re macete, Alessandro Magno, una figura sfruttatissima nella narrativa antica e medievale perché la sua vita, tutt’ora, veniva considerata una vita per certi versi esemplare nella sua parabola, dall’uomo che raggiunge, attraverso le d’avventura di tipo bizantino con la sua ultima opera “Los trabajos de Persiles y Sigismunda”. Il terzo è il poema di Fernan Gonzales, il primo conte di Castiglia, esiste anche un’epica in mester de clerecía, un’epica colta, in questo caso il poema di Fernan Gonzales è un poema epico però tardivo tra il XIII-XIV. NB!!! Gonzalo de Berceo che divenne un modello anche per la lirica contemporanea. La letteratura medievale, purtroppo, cosi importante perche sono le nostre radici, a volte può apparire come un momento letterario tramontato che non ci dica più niente ed invece ci dice molto anche a livello di contenuti ma soprattuto fu un modello sul quale si formarono gli scrittori del ‘27 e del ‘98; Machado parla di Berceo, scrive delle belle quartine su di lui (CERCALE!!!!) ricordando appunto la “consolatoria monotonia del suo verso”, la dove monotonia non è nell’ accezione negativa del termine ma questa cantilena che ti accompagna…in “soledades” di Antonio Machado troveremo questo stesso incedere. D’altra parte proprio “Retrato” di Antonio Machado è scritto proprio in alessandrini - “Mi infancia son recuerdos en un campo de Castilla”. Con Berceo entriamo nella dichiarazione di paternità. Fino ad ora abbiamo lo abbiamo visto soltanto nelle cantigas de amigo di carattere popolareggiante, gli autori che firmavano le loro opere; bisogna arrivare al mester de clerecía per arrivare al meccanismo chiamato “autonominatio”, una sorta di firma che però non viene collocata alla fine del proprio componimento ma viene detta all’interno del poema, per esempio nella “Vida de San Millán de la Cogolla” - Berceo scrive una serie di opere che sono vite di santi e sono di santi locali, Millán (Emiliano) de la Cogolla è un santo che nasce nella zona della Arioja (famosa per i suoi vimini nel nord della Castiglia), sappiamo poco e quel poco lo sappiamo grazie a Berceo, insiste in quella zona li, insiste sul monastero di San Millán de la Cogolla fondato nel V secolo…quindi forse fu un chierico di questo monastero che si formò presto questo monastero(??). In San Millán de la Cogolla lui dice “Gonzalo è il nome di chi ha scritto questo trattato, crebbe/trascorse la sua infanzia a San Millán de Suso, era naturale di Berceo lo stesso luogo dove è nato Santo Emiliano”- questa è l’autonominatio, si presenta e si dice autore della vita di San Millán de la Cogolla. In un’altra sua opera religiosa - la “Vida de Santo Domingo de Silos” - di nuovo ci dice “Io (NB! IO) il mio nome è Gonzalo, detto di Berceo, cresciuto a San Millán” - da questo noi sappiamo che le opere sono sue. Pag. 92 II quartina - “Yo, maestro Gonçalvo de Verceo nomando” - Verceo naturalmente è un toponimo, si tratta di una piccola cittadina di Arioja. Quindi lui dice di essere nato a Verceo ma di essere cresciuto nel monastero di San Millán de la Cogolla. Che altro possiamo dire su questo autore? Berceo conosce molte delle risorse retoriche della prosa medievale, una di queste, ripetutamente, manifesta/fa una dichiarazione di semplicità, si dice “affettazione di ignoranza”; si presenta come un uomo semplice, questo ovviamente rientra all’interno di quella precettistica che imponeva di contattare il proprio pubblico, renderlo benevolo nei propri confronti prima di leggere una opera…ed il modo per renderlo benevolo era di avvicinarlo a se..e quindi di dire per esempi - “Voglio scrivere una prosa in lingua romanza nel quale la gente parla con il suo vicino perché non sono così colto da poterlo scrivere in latino e penso che varrà bene un buon bicchiere di vino” - preso da Santo Domingo de Silos. …si dice “il giullare di Dio”, perché la figura di Gonzalo è un po’ particolare, diciamo a metà fra la clerecía e la juglaría perché essendo la sua intenzione una intenzione di divulgazione, di proselitismo, quindi di avvicinare a se il popolo per addottrinarlo sotto il profilo religioso, ovviamente lo fa attraverso anche delle strategie retoriche che gli possano venire utili, quindi si propone quasi come un giullare (ricordiamo il colophone del poema del mío Cid nel quale si dice la medesima cosa e cioe “per il mio lavoro potete darmi un bicchiere di vino”). Tutte le opere di Gonzalo de Berceo sono opere religiose, sono vite di santi…belle ma certamente il suo capolavoro sono Los Milagros de Nuestra Señora. Nostra signora è la Madonna Vergine ed è forse uno dei capolavori della lirica mariana; ci accorgeremo subito della leggerezza di questi racconti in versi che narrano…più che la storia della Vergine, narrano una serie di interventi che la Vergine fa per salvare i peccatori dalla loro condizione. E’ una religione intesa in modo davvero molto popolare, entusiasta, semplice…perché quello che vuole fare Berceo non è addottrinare, non si tratta della diffusione della religione in un contesto come può essere quello della scolastica; quello che vuole fare è semplicemente avvicinare alla Chiesa il populino e lo fa con dei graziosi e simpatici racconti sulla Vergine, in cui la Madonna appare in tutta la sua concretezza umana, a volte addirittura di donna gelosa, vendicativa…un po’ come è intesa la figura della Vergine nella cultura popolare della Spagna della Semana Santa in cui si insiste nella figura della madonna- donna proprio perché è un ponte di contatto, fa da mediatrice fra il mondo celeste ed il mondo terrestre. 14/11/202 Il mester de clerecia è una scuola poetica e all’interno dell’antologia c’è un’espressione e cioè“coscientemente assunta” - cioè assunta con consapevolezza, questo è molto importante perché tutte le opere che insistono su questo genere letterario aderiscono ad un programma, questo è importante anche perché è la prima volta nella storia della letteratura spagnola…in Italia no, già con lo stilnovismo si aderiva ad un programma. In Spagna è la prima, di una serie di volte, pensiamo all’importanza che hanno avuto le poetiche (es quella futurista) nel 900; diciamo che noi potremmo considerare le prime due quartine del Libro de Alexandre…il manifesto di una scuola poetica…e tutti gli autori del mester de clerecía si rifanno a quelle quartine, si rifanno proprio a quell’opera che a quel punto diventa un modello stilistico [si promuove la quartina di alessandrini mono rimati, i versi divisi in due emistichi ed ogni emistichio accentato sulla penultima, con l’obbligo della dialefe e con la proibizione di fare l’encabalgamiento (enjambement)…tutte queste cose sono contenute in quella quartina]. Dunque il Libro de Alexandre diviene esemplare/modello per gli scritti del mester de clerecía, dal punto di vista stilistico…ed anche però dal punto di vista tematico…perché il poema de Alexandre già nella sua versione medio-latina (NB! Il concetto di medio-latina) e sia nella versione francese è un enciclopedia: cioè la vita di Alessandro Magno costituisce una parabola vitale esistenziale abbastanza emblematica nel Medioevo dal punto di vista morale…dell’uomo che raggiunge il massimo della sua potenza e a questo massimo corrisponde (lo vedremo con la Celestina poi) il precipizio…pecca di orgoglio. MA questa biografia serve, ha un valore enciclopedico perché continuamente vi vengono intessute delle digressioni di ogni tipo…astrologiche, geografiche, narrative…quindi un romanzo dal valore didascalico enorme. Giacché in un manoscritto vi si dichiara la teoria di Gonzalo de Berceo, molto poco accreditata e condivisa, però diciamo dobbiamo comunque tenere in conto di questo aspetto. Nel caso del mester de clerecía del XIII secolo in realtà noi conosciamo un solo autore ovvero Gonzalo de Berceo…in realtà la dimensione dell’anonimato continuerà a caratterizzare molto la letteratura spagnola…fino ad arrivare all’indice dei libri proibiti del 1559 (qui la data è chiarissima); perché quando, a causa dell’Inquisizione, viene stabilito l’indice dei libri proibiti, a quel punto nel 1559 proprio per evitare la pubblicazione di opere eterodosse, contrarie alla morale religiosa, se ne vieta la pubblicazione; e quindi diciamo che è più o meno da quella data (e pure qui le eccezioni sono molte) che l’anonimato si fa meno assiduo…ma in Spagna Lazarillo de Tormes è anonimo, 1554. Gonzalo de Berceo - tutto quello che sappiamo lo sappiamo perché egli ce lo dice nella sua opera usando quella risorsa o motivo definito “autonominatio”, inaugurato questo motivo in sede romanza dai trovatori provenzali e recuperato in Spagna, in questo caso, da Gonzalo de Berceo che ci da qualche dettaglio sulla sua biografia: la sua patria/il suo luogo di nascita è Berceo, fu cresciuto a San Millán de la Cogolla. *si tratta di uno dei monasteri più importanti della Spagna medievale e moderna, si trova in uno zona che ha lo stesso nome del monastero. Millán (Emiliano) è un eremita che poi fu venerato e celebrato come santo dalla chiesa cattolica…predicatore di questi luoghi, intorno a lui si creò una comunità di fedeli da cui poi ebbe origine tanto il monastero di San Millán de Suso, come il monastero di San Millán de Yuso - si tratta di due monasteri entrambi dedicati a San Millán. NB! Che i nomi di questi santi sono nomi di santi locali, probabilmente proprio la cui nascita/creazione nasce proprio a ridosso del cammino di Santiago, cioè sono quei santi la cui venerazione diventa la tappa di un percorso che porterà a Santiago…e Gonzalo de Berceo è molto radicato nel proprio mondo, è uno scrittore fortemente ?? forse perché (si dice) le sue opere (tanto quelle dedicate ai santi dei luoghi come i Miracoli) probabilmente venivano recitati in lettura, a voce alta, proprio al gruppo dei fedeli che deviavano per San Millán per poi riprendere il cammino. (NB! PPT per la geografia). Perché insistiamo molto su questi luoghi e su questi due monasteri? Perché in particolare nel monastero di San Millán de Suso, che è il più antico fra i due, è conservata la prima testimonianza scritta della lingua castigliana, è la primissima…si tratta delle “glosas emilianenses” (NB! VIDEO nel PPT) - cosa sono? Si tratta di un codice medievale, religioso ed in latino…probabilmente chi lo stava leggendo, per aiutarsi, il latino cominciava a perdere quella diffusione che consentiva a tutti (o almeno ai colti) la lettura, e si vede che a margine si trovano proprio delle traduzioni, e questa traduzione sui margini delle glosse era o in castigliano o in euskera. Le glosse sono o a margine o interlineari…chi lèggeva probabilmente era un clérigo escolar che si aiutava con la traduzione interlineare dal latino…perché non aveva quel dominio della lingua che gli consentisse una lettura rapida e libera. Chi è Gonzalo de Berceo? - sulla sua formazione culturale le posizioni sono molto controverse perché effettivamente questo scrittore è una sorta di bifronte, nel senso che certamente attua una azione di divulgazione di storie, narrazioni colte…ma frequentemente assume l’atteggiamento dell’uomo umile e semplice. In una, l’abbiamo visto scorsa lezione, ama introdurre le sue composizioni con quella strategia retorica definita “affettazione di modestia” (modestia affettata) che noi oggi chiamiamo piuttosto falsa modestia…e a cui però non dobbiamo credere…quando lui ci dice “canos…letrado” come nella prima quartina presa dalla strofa 2 di Santo Domingo de Silos; ovviamente potremmo pensare che la fa in lingua romanza perché “no es tan letrado” cioè non conosce così bene il latino; MA invece nella dimensione della retorica della “falsa modestia” potremmo optare piuttosto per un motivo che egli usa per avvicinare il pubblico dei fedeli, si tratta di una strategia ancora oggi molto impiegata con la quale l’oratore si abbassa/schernisce della propria cultura per invogliare l’uditorio ad ascoltarlo e smuoverlo a simpatia nei propri confronti. *In epoca medievale queste dichiarazioni facevano parte della topica dell’esordio, cioè era nei prologhi, nelle introduzioni…queste strofe possiamo considerarle strofe/introduzioni perché sono le prime del componimento; l’autore invece di presentarsi severo ed orgoglioso del proprio sapere, piuttosto fa una professione di umiltà intellettuale. L’altro aspetto sono i toni di tipo giullaresco che adotta, questi probabilmente dovuti alla dimensione a cui abbiamo, poco prima, accennato…e cioè la fruizione/ricezione delle sue opere che probabilmente erano lette ad un gruppo di devoti/pellegrini che si riposavano/fermavano nel corso del loro pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Veniamo, ora, ad uno dei testi che leggeremo insieme e che fa parte di una raccolta di miracoli mariani. Intanto cerchiamo di capire qual era l’origine di queste raccolte e per quale motivo il culto della vergine Maria ebbe, in Spagna, e tuttora ha in Spagna un’importanza peculiare. Intanto i codici che raccoglievano i miracoli erano già presenti in Oriente ed in Occidente dall’ XI secolo…ed anzi potremmo dire che i miracoli non sono altro che dei brevi racconti, il termine latino era “exemplum” o “exempla”…racconti con un significato morale, potremmo dire che i miracoli stanno all’origine della novellistica medievale…quando leggeremo il miracolo presente nell’antologia intitolato “La boda y la Virgen” ci renderemo conto come la struttura è decisamente narrativa. Nella letteratura spagnola per arrivare ad una raccolta di racconti (come meglio la intendiamo oggi) dobbiamo arrivare a “El Conde Lucanor” di Don Juan Manuel…ma qui già siamo nella dimensione narrativa breve che testimonia un passaggio dalla narrazione epica alla narrazione di carattere più aneddotico. Los milagros de Nuestra Señora - di Gonzales de Berceo - è una raccolta di 25 miracoli, il numero 5 non è casuale perche 25 è multiplo di 5 e nella simbologia cristiana il 5 è il numero della Madonna quindi il senso di questa cifra è racchiusa nel senso stesso della raccolta. I miracoli di Berceo non sono originali, le storie che lui ci racconta non sono originali…come più volte dichiara lui li elabora a partire da un codice latino intitolato “Miracula beatae Mariae virginis”, si tratta di una raccolta di miracoli che conosciamo, si tratta di miracoli di periodo medio latino di 49 miracoli, da questi 49 miracoli Berceo ne sceglie 25…cioè 24 di essi sono presenti nei miracoli di Berceo perché li ritroviamo, il 25esimo intitolato “La iglesia robada” non lo ritroviamo, dovrebbe essere il penultimo della raccolta e quindi si suppone: o una fonte smarrita, o una fonte orale oppure potremmo pensare che sia di suo pugno. E poi continua nella strofa 4, oltre ai fiori ci sono tanti alberi, melograni, fichi, peri, peschi e ogni altra frutta di diversa qualità ma nessuna era guasta nè acerba. La strofa 5, per certi versi, riassume i vantaggi del pellegrino che arrivato in questo prato si rinfresca e si ritempra, il verde prato, il profumo dei fiori, l’ombra degli alberi dai soavi sapori mi rinfrescarono tutto, svanirono i sudori: potrebbe un uomo vivere anche solo di quegli odori. Dopo aver fatto questa descrizione cosi bella, carica di segno positivo, nella strofa 14 che possiamo considerare una strofa di transizione, compie una analogia fra quel giardino lì in cui all’improvviso si è trovato ed il paradiso. Ci dice “questo prato equivale al Paradiso, dove Dio ha profuso tanta grazia e benedizione; chi come Dio ha creato un tale luogo è stato davvero un maestro avveduto: chiunque vi abitasse, non ne perderebbe mai la visione. A questo punto tutti questi elementi che ha elencato: il prato verde, i fiori, gli alberi, le fonti… vengono a partire dalla strofa 16 tradotti cioè ognuno di questi elementi trova una sua interpretazione teologica. Intanto, la strofa 16 costituisce la seconda parte, si traduce l’allegoria presentata nelle 15 strofe precedenti che non sono riportate per completo…la strofa 16, di nuovo, recupera l’appello all’uditorio, si ristabilisce il contatto con il pubblico: “Signori ed amici, quello che abbiamo detto sono parole oscure, ma vogliamo spiegarla: togliamo la corteccia ed andiamo al midollo, prendiamo ciò che è dentro e lasciamo ciò che è fuori” - questo contenuto che sembra così accessibile in realtà recupera un’antica metafora (Dante) dove si invita sempre a leggere oltre il significato letterale, e questo contenuto ‘oltre’ viene identificato come il midollo, il contenuto interiore..e l’esterno come la corteccia. La corteccia è il giardino, il significato profondo è la traduzione delle metafore presenti nella allegoria a livello religioso e morale. Nella strofa 17 spiega il senso del pellegrinaggio - “tutti noi che viviamo e che camminiamo su due piedi, che ci troviamo in prigione o su un letto di dolore, tutti siamo romeos, siamo tutti pellegrini su questa terra, come dice San Pietro. Nella strofa 19 - in tale pellegrinare ci imbattiamo in un prato in cui trova rifugio il pellegrino spossato: la Vergine gloriosa, madre del ben Creato di cui l’eguale mai può essere trovato. Il prato è la Vergine perché il prato è verde ed il verde è il colore della verginità. *in alcune raffigurazioni della Madonna il manto che porta è un manto stellato blu, ma in altre effettivamente è un manto verde; nel caso della Vergine che qui viene celebrata è la vergine di Marzo, è una statua che compare anche nel monastero di San Miguel de Suso addobbata con un manto verde sopra una tunica bianca candida. Il verde nella simbologia mariana è la verginità… E ce lo dice nella strofa 20 - “questo prato fu sempre verde per onestà, mai venne maculata la sua verginità; post partum et in partu vergine in verità illesa, incorrotta nella sua integrità”. Maria nonostante partorisce Cristo rimane vergine, quindi vergine post partum ed in partu; qui Berceo utilizza la definizione teologica relativa alla verginità. Poi le 4 fonti. Noi sappiamo che nella Genesi il Paradiso terrestre viene descritto come un luogo nel quale i quattro angoli compaiono i quattro fiumi. “Le quattro fonti limpide che dal prato sgorgavano sono i quattro vangeli che questo significavano, perché gli evangelisti, i quattro che li dettavano, nel mentre li scrivevano e con la Madonna si consultavano”. Strofa 23 - l’ombra degli alberi, per tradurre subito la metafora, sono le preghiere che la Vergine fa per salvare i suoi peccatori. “All’ombra di quegli alberi, buona, dolce e pura, i pellegrini avranno protezione sicura: sono queste le orazioni che fa Santa Maria che per i peccatori giorno e notte scongiura”. Strofa 25 - se l’ombra degli alberi sono le preghiere, gli alberi sono invece i miracoli che la Madonna fa per salvare i suoi fedeli. E poi nelle strofe finali (45-56) spiegherà qual è lo scopo per il quale ha deciso di scrivere i Miracoli. Berceo utilizza un linguaggio molto semplice, immediato, non vi è nulla di artificioso, è un linguaggio che si attaglia sulla retorica del sermo humilis, quello che importa a Berceo è di essere capito da tutti e che la finalità di questi racconti è quella di riavvicinare i fedeli/il popolino alla religione…per questo il messaggio è un messaggio quasi gioioso, il giardino delle delizie ci può soltanto invogliare a continuare a sentire. Non c’è nessuna pesantezza di tipo morale, nessuna minaccia…è tutta una gioia, una religione di carattere estremamente ottimista, al punto che l’uomo non viene salvato per le opere, questi peccatori in realtà semplicemente per inginocchiarsi, per rivolgere una preghiera alla Vergine, per dimostrarsi devoti verranno salvati, senza nessuna richiesta di pentimento…quindi non una religione delle opere bensì della fede. Questi racconti non sono ambientati in luoghi specifici, con “La Boda y la Virgen” siamo a Pisa… perché i personaggi stessi non sono storicamente riconoscibili quindi quel realismo dell’epica non è presente nei Miracoli perché quello che interessa è rivolgersi a tutti, carattere universale del racconto. Pag. 96 LAS BODAS Y LA VIRGEN Narra di un sacerdote che deve prendere i voti, i genitori muoiono…lui è di famiglia molto ricca e quindi i parenti gli chiedono di lasciare le vesti religiose e di sposarsi altrimenti questa eredità andrà perduta, lui esita e poi conviene che è meglio fare cosi…a questo punto la Madonna si arrabbia proprio, vedremo poi in che modo. Canonico di ottimo lignaggio - sacerdote di famiglia ricca. Lo chiamavano di San Cassiano perché quella era la sua parrocchia. Come fecero altri - perché questo è il miracolo XV L’amava molto - linguaggio della poesia amorosa, religione sentimentale, il cappellano amava la Vergine. NB!!! Strofa 335 Il sacerdote si fa convincere (questo è il tradimento nei confronti della Vergine). Strofa 338 CLIMAX ASCENDENTE rapporto fra lui e la Vergine La Madonna gli lancia una serie di maledizioni nonché lo rimprovera con un atteggiamento di gelosia ed anche assai vendicativo. Si dice che se è vero che qui la Vergine attua come una dea della mitologia (cioè come una Giunone pagana) è anche vero che la crisi già si trova nel protagonista che sceglie la famosa legge del secolo e cioè che sceglie di sposarsi non per amore ma per interesse; sta di fatto che comunque il confronto tra i due è un confronto estremamente riavvicinato con questa figura eterna della Vergine che invece viene incarnata da una donna estremamente determinata/decisa che si esprime in un linguaggio semplice, anche molto fiorito… colloquiale…dice “non vali un fico” rivolgendosi al suo fedele. Come finisce questa storia? Strofa 343… In realtà lui non fa nulla, il peccatore non si pente, magari la teme…forse capisce lo sbaglio, ma è lei…lui si sposa ed è lei, la Madonna che lo strappa dal letto coniugale, lo porta via prima che il tradimento si verifichi. In questo, come in altri testi, il protagonista è un semplice peccatore che riceve gratuitamente l’aiuto dal Cielo, per intercessione della Vergine. E’ sufficiente l’intervento della Vergine perché il peccatore venga salvato, da parte sua può anche non far nulla, spesso non fa nulla, è la Vergine che interviene. NB! La grande sapienza della traduzione in italiano che abbiamo letto, la traduzione è di Tani, un grande filologo, ha tradotto tutti i miracoli per l’edizione Alessandria dall’Orso…una traduzione in cui bisogna rispettare la cuaderna via, le rime etc etc. NB!!! “Mis poetas” Antonio Machado - si tratta di un omaggio a Berceo e lo fa nelle stesse quartine che Berceo scrive…quindi recupera la forma della cuaderna vía. 16/11/2022 NB! IL PROLOGO DI LAZARILLO DE TORMES E CELESTINA!!! IL MESTER DE CLERECÍA DURANTE IL SECOLO XIV Nell’ambito della letteratura spagnola la sua importanza sta nell’essere probabilmente il precedente più diretto della Celestina, potrebbe essere stata una fonte di ispirazione della Celestina. Siamo partiti da un totale anonimato dettato dallo stesso genere, i contesti in cui nascevano le opere…ad una progressiva visibilità e quindi, prima con i trovatori galego-portoghesi, poi con Berceo, avevamo constato questa dimensione dell’ autonominatio, l’espediente che nasce prima con i trovatori e poi anche Berceo lo usa; nel caso di Berceo abbiamo una cosina in più e cioè nelle sue opere sono contenute informazioni relative al suo profilo biografico e che però in parte l’autobiografia che Berceo ci presenta nella famosa “Introducción a los Milagros” la possiamo intendere in parte come…alcuni dati che riferiscono effettivamente all’uomo storico, in altri casi l’io autobiografico era un io in quanto esemplare, io in quanto uomo… Qui ci troviamo con un’opera il cui autore si presenta e dice di essere Juan Ruiz, arciprete di Hita. L’opera che noi leggiamo in parte era una autobiografia, quindi questa volta la dimensione autobiografica non è piu relegata al solo prologo, tutta l’opera è un’autobiografia…vedremo poi in che senso…introdurremo il concetto di “autobiografia fittizia” o “pseudo autobiografia”…che poi ci sarà utile anche successivamente per esempio per il Lazarillo de Tormes. Quali sono i dati autobiografici che Juan Ruiz arciprete di Hita presenta all’interno del Libro de Buen Amor? NB! Soprattutto per il Mester de Clerecía (non usiamo il termine strofa) usiamo il termine “copla”, si tratta di una convenzione…al punto che le diverse cople del Mester de Clerecía si nominano così “Copla 1510a…1510b…1510c…1510d”. Notiamo che nel Libro de Buen Amor ci troviamo di fronte ad oltre 7mila versi, l’autore che scrive in chiave autobiografica e che quindi scrive a partire dall’io dice… “Fita - mucho vos saluda uno que es de Alcalá” (copla 1510a) Fita-Hita —> NB la “F” latina che cade in posizione finale atona !!! L’autore dice di essere nato ad Alcalá ma è arciprete di Hita/Fita (come Berceo dice di essere nato a Berceo e però lavora a San Millán de la Cogolla). *potrebbe far riferimento alla famosa Alcalá de Henares, dove nacque Miguel de Cervantes, Alcalá si trova in provincia di Guadalajara nella comunità autonoma di Madrid. Esiste però anche Alcalá la Real che si trova in Andalucía…quindi effettivamente è un’indicazione utile ma non dirimente. L’arciprete in generale è il capo, l’esponente, il prete più importante di una comunità. Era il parroco di una parrocchia o il sacerdote più anziano, con funzioni di vicario del vescovo. E’ una figura che, con funzioni organizzative/direzionali, sta sul capitolato di una chiesa/cattedrale… NB! Di Juan Ruiz arciprestes de Hita, nei registri medievali, ne compaiono più di uno…e quindi è difficile non solo l’identificazione ma poi stando ai contenuti del Libro de Buen Amor ci si viene da chiedere se questo nome Juan Ruiz non sia stato scelto perché ricorrente (NB pag 5 ppt) in quel tipo di carica, è un caso un po’ diverso da quello del cantar de mío Cid in cui c’è Pero Abbat…in questo caso essendo una carica ricorrente…il nome stava per la carica, è una sorta di figura di costruzione: uomo estremamente sensuale, l’arciprete tenta di avere fortuna con una, due, tre donne; la gentildonna una fornaia, la fornaia Cruz, una donna onesta ma nessuna di queste gli si concede e quindi entra in crisi e si rivolge al Dio amore che gli presenta l’Ars amatoria di Ovidio e gli dice che deve fare cosi, che se vuole farcela deve imparare a fare il buon amante ed anche di usare una mezzana, e proprio grazie a questa mezzana (Trottaconventi) che finalmente, nella IV avventura, Juan Ruiz ha successo. Questa IV avventura è molto curiosa perché qui c’è di nuovo una strana trasformazione della storia; se abbiamo detto che il Libro de Buen Amor ha una struttura autobiografica e quindi il protagonista è Juan Ruiz, nella IV avventura viene curiosamente narrata in 3° persona ed i protagonisti sono: don Melón (arciprete di Hita) e doña Endrina (Trottaconventi). Perché il narratore sia passato da una narrazione in prima persona ad una narrazione in terza persona, rimane un altro aspetto oscuro. Anche il nome è curioso, Endrina è il frutto del prugnolo, sta di fatto che la loro avventura sembrerebbe andare bene, se non che subito dopo le nozze doña Endrina muore…e quindi l’arciprete si ritrova di nuovo nelle medesime circostanze e quindi di nuovo tenta con una giovinetta, poi ci sono queste IV avventure, di cui ne leggeremo una, con le montanare (Chata, Gadea de Riofrio, Mengaldo Llorente, Alda) nomi estremamente rustici e le montanare sono anche piuttosto bruttalotte; poi una bella vedova, una donna di chiesa, donna Garoza, la donna rosa, la donna piccolina. In questo clima di sberleffi/irrisione, forse il momento in cui nel Libro de Buen Amor noi possiamo provare un momento di commozione, è proprio quando muore Trottaconventi, ci sono una serie di coplas che parlando anche della morte di Urraca, hanno un tono elegiaco molto spiccato. Che cosa ne ricaviamo, nell’ambito di quello che abbiamo detto prima, ovvero sia si è un’opera licenziosa perché si tratta di 14 avventure d’amore, a lieto fine o meno, ma in realtà nessuna di queste è a lieto fine perché implacabilmente laddove, invece, l’arciprete ce la fa, la morte incombe…quindi effettivamente quando l’autore (all’interno del prologo) ci dice che la sua opera vuole incamminare/avviare il lettore sulle ragioni del “buon amore” effettivamente ci potrebbe stare dicendo il vero, perché poi l’amore che viene rappresentato è destinato o al fallimento o alla morte, quindi il Libro de Buen Amor potrebbe essere un’opera che nella letteratura spagnola si chiama “reprobación de amor” (reprobatio amoris) e cioè la condanna dell’amore mondano. La complessità del Libro de Buen Amor non è solo questa, c’è tanto altro, per esempio è che appartiene al mester de clerecía del IV secolo, un po’ diverso da quello che abbiamo visto con Berceo, in che cosa diverso? Intanto nei temi, e poi perché non c’è più questo uso esclusivo della cuaderna vía; nel Libro de Buen Amor ci sono versi lunghi e versi corti, la cuaderna vía si alterna con quella struttura del tristico monorimo con vuelta di cui abbiamo già parlato quando parlavamo di poesia popolare (aa bb ba) e tanti versi di arte menor. Con il mester de clerecía del IV secolo siamo in una fase di transizione, tra il verso lungo (impiegato nella clerecía) e quello che poi sarà il verso per eccellenza della letteratura spagnola che è l’ottosillabo. Dunque la cuaderna vía del IV secolo è una transizione tra il verso lungo (epica-mester) e poi il successo del verso corto che sarà il verso della poesia spagnola, della letteratura rinascimentale e Barocca. Tra le molte zone oscure di quest’opera c’è anche che ad un certo punto narra una avventura amorosa e poi dopo alla fine di questa avventura ci dice “e adesso ve la racconterò in versos de arte menor” ed abbiamo però un solo caso in cui l’avventura viene raccontata esattamente la stessa ma in versi brevi, intanto perché? Non abbiamo una risposta. Ed intanto che fine hanno fatto tutte le altre replicazioni annunciate, ma non presenti. Questo ha permesso di dire che forse il Libro de Buen Amor, in realtà, fosse stato inteso come una sorta di repertorio/rosario di testi collegati da una sottile linea narrativa ma che in realtà rispondo ad una logica diversa a noi non nota, e per questo ci risulta oscura. I modelli orientali che vengono rievocati per capire questa struttura multiforme sono le “maqamat”, sono un genere letterario orientale, vengono descritte come una sorta di riunioni, segnali della picaresca…sembra che la picaresca sia nata in Spagna grazie a questo genere qui, sono riunioni in cui il natatore racconta, dove prevale la fabulazione (anche nel Libro de Buen Amor quello che prevale è il racconto). Si alternano narrazioni di diverso tipo, con spunti anche realistici, vicende, ma anche con variazioni di tipo fittizio se non fantastico. L’altro modello è il famoso “El collar de la paloma” di Ibn Hazm, opera in prosa del XI secolo. E’ un testo esclusivamente sull’amore, che indaga l’amore un po’ come nell’ars amatoria di Ovidio sotto tutti i suoi aspetti, che cosa induce l’amore, perché ci si innamora, quali sono i sintomi (lo vedremo poi con Calisto nella Celestina), le conseguenze, fino ad arrivare al perché un amore finisce, il tradimento, l’oblio, la morte degli amanti…una grande trattazione che investiga/analizza l’amore in tutti i suoi modi…queste sono le fonti orientali. E’ chiaro che in Spagna noi facciamo sempre i conti con la dimensione culturale, che in parte ci sfugge, e questo anche costituisce a volte gli aspetti enigmatici di questi testi. LIBRO DE BUEN AMOR. Prólogo Pag. 116-119 IL SAGGIO GRECO E IL RIBALDO ROMANO Si tratta di un testo chiave del Libro de Buen Amor, sempre si fa riferimento a questo testo perché in questo testo c’è racchiuso il messaggio dell’opera. Come dobbiamo leggere questa opera? In chiave profana, in chiave religiosa…nel prologo in versi, Juan Ruiz ci dice “voi dovete leggere quest’opera nello stesso modo in cui si parlarono, fra di loro, un greco ed un romano” e ci racconta una storia che in realtà non è una storia originale perché è presente già in un codice di diritto latino (translatio legis) di un certo Accursio del XIII secolo: però nel raccontarci questa storiella, divertente, lo fa come fa Berceo e cioè amplificandola molto e riscrivendola in una chiave che non è quella esattamente della folclarina. La premessa è questa: i romani, i latini, chiedono le leggi ai Grecia. La Grecia una civiltà più antica, più superiore, colta ed erudita rispetto ai romani ed i romani chiedono ai greci le leggi, i greci però per dargliele, per affidare la loro cultura ai romani gli chiedono una prova/discussione, se i romani ce la faranno, i greci daranno loro le leggi, i romani non parlano il greco e viceversa e dunque come avviene questa discussione? Attraverso i gesti, se questi gesti si capiranno, allora avverrà la transizione altrimenti no. “Parole son di un saggio, lo disse pure Catone…e giudichi se il verso per arte fu preciso”: si tratta di un’introduzione che ci dice che gli insegnamenti passano solo se sono divertenti altrimenti, lo dice anche Catone, che quando uno è triste ha bisogno di rallegrarsi e quindi vi racconto questo. “Intendi bene i detti, rifletta la tua mente…e incapaci di capire una legge tanto avanti”: i greci davano ai romani dei “villici” e quindi vogliono prima capire se è il caso di affidargliele…le leggi. 52 - i romani scelgono per il dialogo un ‘omaccione’, un popolano. Lo vestono con dei panni pregiati e lo fanno salire sul podio. L’arciprete ci dice che non c’è cattiva parola se non è intesa male, quindi la storia che lui racconta dipenderà tutta da come la vorrà leggere/interpretare il lettore…inaugurando quello che oggi noi (dopo Umberto Eco ‘lector in fabula’) sappiamo che il messaggio di un testo procede dalla collaborazione fra l’autore ed il lettore, ma a questa altezza è un bel esempio anche di modernità perché sottolinea, con questa modalità, il fatto che un testo sia polisemico…è chiaro che qui è un modo per schermirsi…io vi racconto la storia dei greci e dei romani, gli uni capiscono una cosa, gli altri un’altra ma arrivano comunque ad una soluzione… Quindi le finalità con le quali si scrive possono essere la chiave di lettura del lettore che le legge. ** Uno dei più grandi studiosi del Libro de Buen Amor, Giuseppe di Stefano, parla di “poetica dell’ambiguità” cioè che alla chiave di fondo c’è la possibilità di interpretarlo in tanti modi e che lo stesso autore si è collocato da questa stessa prospettiva, cioè dal fatto che la sua opera possa essere letta a più livelli. CANTIGA DELLA MONTANARA Pag. 122-127 Nello scrivere le “cantigas de serrana” Juan Ruiz ha un modello: la pastorella francese. Nella letteratura trovadorica francese c’erano dei componimenti intitolati “le pastorelle” ed erano componimenti cortesi, i protagonisti erano una pastorella bellissima ed un cavaliere, dunque due livelli sociali. La pastorella narra, nella maggior parte dei casi, ma non in tutti, un idillio delicato fra questi due mondi, questo è un amore in chiave cortese, non sempre però…ci sono pastorelle più esplicite. Nel Libro de Buen Amor invece di avere la pastorella abbiamo la montanara, già nel cambiare il personaggio cambia tutto ovviamente e quindi anche qui, come negli altri testi, quello che prevale è la parodia di un genere. Arciprete che sta attraversando un valico di montagna e si trova una montanara che gli ostacola il passaggio. NB!!! La capacità di questi traduttori. Il traduttore della ‘cantiga della montanara’ è un ingegnere. 21/11/2022 LA CELESTINA Seconda parte del corso. Ci siamo lasciati scorsa lezione alla prima metà del sec XIV ed oggi iniziamo con la Celestina o comedia o tragicomedia de Calisto y Melibea…ragioneremo poi intorno alle tre diverse intitolazioni. Se facciamo fede alla prima data della pubblicazione della Celestina, della prima pubblicazione della commedia, è il 1499, quindi c’è un abbondante ellissi temporale per quanto riguarda il corso perché ci siamo fermati al 1343 ed ora siamo al 1499; a noi starà colmare nella storiografia letteraria questo periodo, ovviamente è necessario fare delle scelte e soprattutto sarà necessario entrare in quell’epoca che viene definita “El siglo de Oro” (con la Celestina siamo ancora un po’ in anticipo) e cioè in quelle opere che sono ritenute, sia in Spagna che in Europa, dei classici. Su questo elemento è necessario fare alcune riflessioni La prima che farei rispetto al percorso che abbiamo fatto insieme è una riflessione di influenze, nel senso che i generi che abbiamo strusciato, la lirica popolare, un po’ meno l’epica, ma certamente il mester de clerecía…sono generi che non hanno riscontro in Europa e quindi nascono in una condizione…… **non so se vi ricordate quando alla presesentazione del corso abbiamo parlato di un romanzo di Saramago, della zattera di pietra…cioè di questa Spagna che se ne va da sola; ecco in un certo senso sono generi che riguardano quella Spagna che ha pochi contatti, più di quanti ne potremmo immaginare, con la letteratura europea. Diciamo “più di quanti potremmo immagine” perché comunque riguardo all’epica abbiamo parlato di una possibile influenza visigota, causa invasione dei goti in Spagna, riguardo al mester de clerecía abbiamo parlato dell’importazione dell’alessandrino (verso francese); quindi la circolazione di temi, forme, anche nel Medioevo c’era, meno in Spagna che altrove… A questo dobbiamo aggiungere un altro concetto, che se c’è una circolazione di forme in Europa, la letteratura spagnola ne è gregaria, cioè le importa. Questo aspetto della letteratura spagnola come gregaria, quindi che importa delle poetiche europee poi ce lo ritroveremo a lungo, ritornerà con il romanticismo, per esempio. Invece, a partire dalla Celestina, a partire da fine ‘500, ci troviamo con un ribaltamento di questa relazione perché Celestina e Lazarillo, e poi l’anno prossimo Don Quijote, diventano, al contrario, dei modelli per la letteratura universale, non più soltanto europea, e quindi come tali si qualificheranno come dei classici della letteratura spagnola ed universale. *Definizione di ‘classico’ di Calvino - “classico è quel libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire perché è passato al vaglio del critico più severo: il tempo”. Cosa vuol dire? Classico è quell’opera, che appartenga ad un’antichità remota o meno, che continua a percepirsi come saggio, come attuale, cioè ci continua a parlare, ed in effetti, come esperienza di didatta, io (la docente) mi rendo conto come queste letture (Celestina, Lazarillo e Quijote) continuino ad essere percepite dai lettori più giovani come delle letture importanti, che riescono a dialogare con la modernità. In sostanza Calvino vuole dire che classico è quel libro che non invecchia. La seconda definizione riguarda più voi (noi studenti) - “si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti ed amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserva la fortuna di leggerli « per la prima volta » nelle migliori condizioni per gustarli. Le migliori condizioni consiste nell’agganciarli al loro tempo ma anche vedere se il loro messaggio ci può riguardare. PRELIMINARI DELLA CELESTINA • Portada (frontespizio) • Abbiamo un testo iniziale che si intitola “El autor a un su amigo” Pag. 71 che in sostanza potremmo dire che è un epistola dedicatoria che potrebbe avere la funzione di “primo prologo. • Abbiamo poi un certo numero di ottave, sono 11, dove si dice che l’autore scusandosi dell’autore che ha compiuto nello scrivere quest’opera. • Ancora, un altro documento, in prosa: [Prólogo] che potrebbe avere la funzione di “secondo prologo”. • E ancora, alla fine, un “Siguese”, una formula incipitaria che ripete il titolo • argomento generale. Sono tutti una serie di documenti prima di iniziare il primo atto. TESTI FINALI Alla fine del XXI atto, l’ultimo dell’edizione della tragicomedia, l’opera poi vede: • 3 ottave dell’autore, che rimane anonimo però, di nuovo dice “Concluye el autor, aplicando la obra al propósito por que la hizo” - chiama se stesso ‘autor’ ma non ci dice chi è • 6 ottave di un signore che si chiama Alonso de Proaza, il quale presenta se stesso come “corrector de la impressión, al lector” - potremmo dire redattore, editore…c’è chi dice che lui fu l’editore della prima edizione della Celestina… ed è proprio in una di queste ottave che si svela la modalità con la quale il lettore può ritrovare all’interno dell’opera, il nome dell’autore, una sorta di enigma, per cui il nome dell’autore c’è, malgrado abbiamo visto che nelle diverse edizioni non compare mai il frontespizio, viene esplicitato ma allo stesso tempo occultato in un curiosos meccanismo in cui si dice chi è ma lo si nasconde, e sta al lettore individuarlo!!! Pag. 347 DECLARA UN SECRETO QUEL EL AUTOR ENCUBRIÓ EN LOS METROS QUE PUSO AL PRINCIPIO DEL LIBRO 5. “Né lo vuol la mia penna, né il senno richiede, che restin la fama di questo grand’uomo, la degna sua lode e il chiaro suo nome, d’oblio ricoperti per nostra cagione” - in sostanza dice “non voglio proprio che il nome di questo autore si perda nell’oblio, cioè venga dimenticato, dunque vi dico come fare a ritrovarlo - “Perciò, se riuniamo di ognuno dei versi delle 11 strofe la lettera prima, in essi si scopre in savia maniera il nome, il villaggio, la illustra nazione”. “El bachiller Fernando de Rojas acabó la comedia de Calisto y Melibea y fue nacido en la puebla de Montalban” - lo studente FdR portò a termine la commedia di C y M e nacque nella puebla di Montalban…ed ecco che attraverso il consiglio di Alonso de Proaza. Per quale motivo la paternità dell’opera viene affidata ad un marchingegno cosi complicato?! È un meccanismo di svelamento ed allo stesso tempo di occultamento di identità… Fino al XVIV secolo la dimensione storica di questa figura era messa fortemente in discussione, cioè non vi si credeva…che fosse esistito un Fernando de Rojas, e qualora fosse esistito che fosse l’autore della Celestina. Poi però cominciarono ad affiorare alcuni documenti, un documento del 1902 di Manuel Serrano y Sanz e poi una serie di documenti riportati alla luce fra il1925-1929 di questo Fernando del Valle Lersundi, Stephen Gilman, The Spain of Fernando de Rojas, 1972; persona assai importante per gli studiosi perché è un discendente di Fernando de Rojas che ha ** molti documenti resi pubblici e tra questi compare anche un testamento di Fernando de Rojas datato 1541; e da questi documenti viene fuori…intanto sappiamo che un tal Fernando de Rojas nacque intorno agli anni 60-70 del ‘400, che fu studente a Salamanca intorno al 1497, dati che ci ** da alcune informazioni che sono all’interno del testo…sappiamo poi che era ebreo converso, giurista che svolse anche, all’interno dei processi inquisitoriali il ruolo di avvocato difensore del suocero, nonché padre della moglie, anch’ella ebrea conversa. E allora soprattutto su una tesi articolare di un bellissimo libro di Stephen Gilman, storicamente uno dei più grandi studiosi della Celestina e della Spagna di Fernando de Rojas soprattutto… quindi uno studioso della Celestina in una prospettiva storica e sociologica, lui ritiene che l’acrostico (lettura verticale delle prime lettere di ogni verso) è il segno della prudenza, del titolo del suo autore di proteggersi da eventuali problemi che potevano nascere in una Spagna nella quale gli ebrei conversi erano sottoposti ad una serie di esami e di indagini che doveva attestare tanto l’autenticità della loro conversione quanto la moralità dei loro costumi. La Celestina è una storia di amore e morte, nella quale gioca un ruolo di assoluto rilievo la mezzana che è anche fattucchiera…quindi vediamo come questo rientra sia nella moralità della proposta narrativa, sia anche nella eterodossia, la possibilità con l’intervento della magia nera che in particolare è quella che può aver avuto un’influenza all’interno della storia dei due amanti, che poteva compromettere il suo autore. A questo punto dobbiamo fare una piccola parentesi, di taglio storico, sulla vita degli ebrei in Spagna e sui problemi che un ebreo, non convertito ma poi anche un ebreo converso, viveva in Spagna tra 400-500. Intanto noi abbiamo già parlato del grande contributo, anche a livello letterario, degli ebrei nella penisola iberica quando abbiamo letto le muwassasha ispano-ebraiche, è impossibile dire da quando stanziarono, nella penisola iberica, gli ebrei, da tempi immemorabili. Avevamo già detto come spesso si è fatto ricorso alla Spagna medievale, proprio per esaltare questa Spagna delle tre religioni, una Spagna in cui la religione islamica, ebraica e cristiana convissero pacificamente…effettivamente finché gli sforzi della Riconquista portarono i diversi staterelli cristiani del nord ad impegnare/unificare le loro forze contro…nella riconquista del territorio di Al-Andalus, effettivamente gli ebrei in realtà funzionavano anche come intermediari/ mediatori/ponte tra la cultura romanza e quella orientale; ricordiamo l’importantissimo ruolo che svolsero (parliamo sempre degli ebrei), durante il regno di Alfonso X, nella scuola dei traduttori… dove appunto l’ebreo fu un elemento chiave di trasformazione di testi orientali nella lingua romanza, proprio perché a cavallo tra le due culture…quando inizialmente in Spagna gli ebrei sono agricoltori, viticoltori…ma poi sempre più si afferma un patriziato, anche culturalmente. Questo sistema di convivenza entra in crisi per due motivi - entra in crisi già nel 1300, abbiamo detto che la riconquista vive un periodo di stasi intorno al 1200. Abbiamo dato una data simbolica 1212 las batallas de las naves de Tolosa, in cui la Spagna cristiana riconquista i suoi territori, tranne il regno di Granada. E quindi a questa stasi che coinvoglia le forze…subentra invece poi un periodo da una parte di fioritura culturale, dall’altra però di crisi economica…nel ‘300 in tutta Europa, ed in Spagna anche è il periodo delle grandi pestilenze (la prima 1330, la seconda 1343… 1343 data in cui muore Laura di Petrarca) sono epidemie che investono l’Europa e che anche in Spagna portano alla crisi economica, e nelle crisi economiche inevitabilmente si cerca un nemico e gli ebrei vengono accusati, dal popolino anche aizzato dalla propaganda del basso clero, portarono il popolino a scatenarsi contro la popolazione ebraica che veniva accusata di ogni cosa: della scarsità di cibo nei mercati, di avvelenare l’acqua dei pozzi. Nel frattempo gli ebrei si erano affermati anche come mercanti ed erano diventanti molto abili nel maneggiare il denaro, in termini di usura da una parte ed in termini di resti che avanzavano alle corone…insomma questo loro benessere li fece obiettivo di violenze (1345 l’assalto alle case degli ebrei a Barcellona, 1355 il saccheggio ed i massacri di Toledo, 1391 i pogrom…) la vita per gli ebrei diventa complicata al punto che da Enrico IV, fratello di Isabella, gli ebrei non convertiti veniva posto un segnale di riconoscimento (es barba lunga, capelli lunghi, eventuali distintivi), non potevano avere accesso alle cariche pubbliche etc etc, tutto questo portò a conversioni di massa, alcune anche molto plateali, ricordiamo la conversione di Salomón. Insomma, conversioni sincere in alcuni casi, opportune in altri…che tuttavia non risolveranno la crisi che ormai si è creata fra fedi diverse, al punto che prima Enrico IV, poi Isabella e Ferdinando, chiedono al papa di Roma di poter istituire, in terra spagnola, il tribunale dell’Inquisizione; la differenza è che questo Tribunale in Spagna sarà alle dirette dipendenze della Corona, il primo tentativo venne fatto nel 1460 da Enrico IV che chiede 2 inquisitori al papa, uno per la vecchia Castilla ed uno per la nuova Castilla e a questo non c’è risposta…poi con Isabella e Ferdinando, quando si avrà finalmente l’unificazione della Spagna, anche con un obiettivo strategico, convogliare le lacerazioni presenti fra nobiltà e corona, fra popolino e nobiltà…convogliarle in un’altra operazione militare importane che sarà nel 1492 la presa di Granada, quindi l’unificazione completa del territorio, e nel 1492 poi la cacciata degli ebrei non convertiti dalla penisola, quindi la 1° diaspora; è con Ferdinando ed Isabella che Sisto IV, attraverso una bolla papale intitolata “esige una conversione sincera”, si istituisce in Spagna il Tribunale dell’Inquisizione che dovrà fare luce, intanto sugli ebrei convertiti, ma anche sullo stabilire se la conversione dell’ ebreo fosse sincera, nel senso autentica, perché effettivamente queste conversioni forzate in alcuni casi erano ad uso e consumo delle manifestazioni esteriori, molti ebrei continuarono a praticare all’interno delle loro case i riti ebraici e quindi a festeggiare il sabato, e non la domenica, a leggere la Bibbia ebraica, a non consumare la carne di maiale etc… Questo fenomeno veniva definito “criptogiudaismo” o “giudeizzare” in privato o di nascosto. Si stabilisce una vera e propria guerra sociale perché i cripto giudei potevano essere denunciati, la denuncia era segreta, anche dai loro vicini, dunque venivano segnalati al tribunale della santa inquisizione, le indagini potevano durare anche anni, la condanna era la morte sul rogo, venivano confiscati loro i beni che venivano a far parte dei beni della corona; quindi capiamo come i motivi religiosi si uniscono ai motivi di politica e anche di economia. Detto tutto questo ovviamente si può capire meglio, almeno per i sostenitori di Fernando de Rojas autore della Celestina nella sua intera parte o in una parte di essa, però capiamo bene come l’identità di questo autore fosse inizialmente nascosta e poi svelata ma comunque nascosta sotto forma di acrostico. C’è anche chi sostiene che in realtà l’autore del **(min 58:20) nonostante l’autore sembrerebbe parlare di una persona, fosse lo stesso Alonso de Proaza, e che quindi le avesse confezionate lui e all’interno delle quali fosse possibile appunto individuare il profilo dell’autore… Procediamo con la lettura dell’opera e la cominciamo proprio da quella famosa lettera di un autore al suo amico. Questa lettera è scritta in uno stile alto retoricista perché la retorica del prologo imponeva l’uso ed il ricorso di una serie di luoghi comuni che qui vengono tutti spesi perché qui l’autore è un umanista, li conosce bene, e tributa a questi luoghi comuni, che poi ritroveremo nel Lazarillo e nel Quijote, però in mezzo disseminate intorno a questi luoghi comuni troveremo anche delle informazioni sull’autore, che si presenta come anonimo ma che ci racconta qualcosa di se e ci racconta anche qualcosa dell’opera che sta presentando. El autor a un su amigo (Toledo 1500) Suelen los que de sus tierras ausentes se hallan considerar de qué cosa aquel lugar donde parten mayor inopia o falta padezca, para con la tal servir a los conterráneos,3 de quien en algún tiempo beneficio recibido tienen. E viendo que legítima obligación a investigar lo semejante me compelía para pagar las muchas mercedes de vuestra libre liberalidad recibidas, asaz veces retraído en mi cámara (acostado sobre mi propia mano, echando mis sentidos por ventores e mi juicio a volar) me venía a la memoria, no sólo la necesidad que nuestra común patria tiene de la presente obra por la muchedumbre de galanes e enamorados mancebos que posee, pero aun en particular vuestra misma persona, cuya juventud de amor ser presa se me representa haber visto y dél cruelmente lastimada, a causa de le faltar defensivas armas para resistir sus fuegos. Las cuales hallé esculpidas en estos papeles; no fabricadas en las grandes herrerías de Milán, mas en los claros ingenios de doctos varones castellanos formadas. E como mirase su primor, sutil artificio, su fuerte e claro metal, su modo e manera de labor, su estilo elegante, jamás en nuestra castellana lengua visto ni oído, leílo tres o cuatro veces. E tantas cuantas más lo leía, tanta más necesidad me ponía de releerlo, e tanto más me agradaba y en su proceso nuevas sentencias sentía. Vi no sólo ser dulce en su principal historia o ficción toda junta, pero aun de algunas sus particularidades salían deleitables fontecicas de filosofía; de otras, agradables donaires; de otras, avisos e consejos contra lisonjeros e malos sirvientes, e falsas mujeres hechiceras. Vi que no tenía su firma del autor; el cual, según algunos dicen fue Juan de Mena, e según otros Rodrigo Cota. Pero, quienquiera que fuese, es digno de recordable memoria por la sutil invención, por la gran copia7 de sentencias entregeridas8 que so color de donaires tiene. ¡Gran filósofo era! E pues él, con temor de detractores e nocibles lenguas, más aparejadas a reprender que a saber inventar, quiso celar e encubrir su nombre, no me culpéis si, en el fin bajo que lo pongo, no expresare el mío. Mayormente que, siendo jurista 23/11/2022 (SEGUIRE LA LEZIONE CON IL PRIMO PPT - CELESTINA) LA CELESTINA Insieme leggiamo quelle componenti testuali un po’ più difficili, difficili perché quello che leggiamo…insomma tutto questo materiale che abbiamo definito preliminare/para testuale…dove la retorica prescriveva chiaramente l’impiego di certi artifizi/espedienti e nessuno si slava, nel senso che tutti questi autori, vedremo anche nel prologo di Lazarillo, tributeranno un debito verso la precettistica dell’epoca, la dove invece sia Celestina che Lazarillo, ovviamente è chiaro che a noi ci sembri un linguaggio chiaro quello che si presenta all’interno della narrazione ma invece anche quello è frutto di una grande elaborazione…però dove l’aspetto mimetico con il linguaggio parlato è più evidente, qui ci risulta più semplice. Stratificazione del testo - fondamentale per la Celestina, un testo che cambia nel tempo e cambia nel tempo soprattutto perché cresce, non soltanto nel numero degli atti, ma questo è certamente l’aspetto più macroscopico, ma cresce anche per delle inserzioni che si chiamano “interpolazioni” che noi possiamo facilmente distinguere perché sono riportate, certamente nell’edizione italiana, ma anche in quella in spagnolo, in CORSIVO, in quel caso si tratta di interpolazioni successive. Per esempio quando abbiamo letto “El autor a un su amigo” che doveva essere una lettera dedicatoria, abbiamo visto che ad un certo punto questo autore anonimo cita come probabili autori della Celestina Juan de Mena e Rodrigo Cota, in quel caso i due nomi sono in realtà delle aggiunte che non sono presenti nell’edizione della commedia ma sono presenti nell’edizione della tragicomedia. Nel primo atto un “a parte”, cioè quando il personaggio si rivolge al pubblico come se gli altri personaggi sulla scena non sentissero, Sempronio volto a criticare il suo padrone è in corsivo… insomma l’autore è molto curioso e curiosamente ritorna sul testo, sia per quelle aggiunge e anche per altre ragioni, interviene a vari livelli della comunicazione, sono interpolazioni diverse, alcune molto colte/erudite, proprio per dare uno spessore culturale (quello che piaceva molto all’epoca) per es il riferimento a miti e alla classicità in generale. Chi è l’autore di queste interpolazioni? Non possiamo dare nulla di certo e rimane un punto che poi capiremo meglio quando leggeremo un altro dei paratesti. NB! Diapositiva ppt chiarificatrice dell’evoluzione della Celestina Celestina è un titolo che si afferma un secolo dopo la sua uscita proprio perché questo personaggio che non era nuovo, di mezzane la letteratura medio-latina, il romanzo elegiaco già le aveva presentate, ma a questo punto era un personaggio cosi dirompente/riuscito che diventa per antonomasia la mezzana, seppure già ce ne erano state molte, non ultima “Trotta conventi” del Libro de Buen Amor. Il titolo dell’opera è “Comedia de Calisto y Melibea” nella prima redazione. Noi abbiamo due redazioni (chiamiamole cosi) una in XVI atti ed una in XXI atti, la redazione in XVI atti ci è giunta in tre edizioni: (1) l’edizione di Burgos 1499, (2) l’edizione di Toledo 1500 e (3) l’edizione di Sivilla 1501, tre edizioni della commedia. (SAPERE A MEMORIA!) In che cosa si distinguono queste tre edizioni? Intanto nella prima edizione (che ci è giunta) non c’è il fascicolo inziale, né i testi finali…e quindi non abbiamo tutto quel materiale para testuale che poi sarà fondamentale per la comprensione dell’opera. L’edizione di Burgos inizia subito con il riassunto, che all’epoca si chiamava ‘argumento’. La seconda edizione di Toledo 1500 e la terza edizione di Sivilla 1501, presentano queste novità: presentano “el autor a un su amigo”, presentano quel capolavoro di meccanismo che cela e allo stesso tempo rivela il nome dell’autore, che sono le ottave acrostiche e presentano le ottave di Alonso de Proaza, quelle finali…dunque tanti dei testi ma non tutti, dunque dovevano essere dei testi che accompagnavano l’opera già originariamente. I testi preliminari e finali presenti nell’edizione della commedia non ci aiutano a chiarire tutto… dobbiamo ricorrere all’edizione della tragicomedia (quella che leggiamo noi oggi in XXI atti) per capire meglio come l’opera, grazie alla sua fortuna, cambi nel tempo… ** La prima edizione della tragicomedia (che ci è giunta) è nella versione italiana (dunque in traduzione), Roma 1506. Circolavano bene questi testi, erano già arrivati in Italia, già erano stati apprezzati, a tal punto che un editore fosse disposto a farli tradurre. La prima che ci è giunta invece in spagnolo è Zaragoza 1507. Perché sono importanti i paratesti della tragicomedia? Perché ce n’è in particolare uno che è il prologo in prosa che ci dice molte cose. Intanto perché veicola una visione del mondo (cosmovisión), termine con il quale si intende qual è la visione del mondo che sull’opera si rappresenta, in questo prologo da subito noi siamo lanciati in una certa visione del mondo, che secondo tanti studiosi e soprattutto quelli che aderiscono ad un Fernando de Rojas ebreo converso che ancora va per la maggiore, e quindi in quanto visone del mondo di un ebreo converso, noi sappiamo che spesso la letteratura ebraica viene definita una letteratura pessimista perché riflette una condizione di vita, secondo Fernando de Rojas Stephen Gilman uno dei più grandi studiosi della Celestina ed uno dei più grandi fautori di Fernando de Rojas come ebreo converso, Stephan Gilman dice che Fernando de Rojas scrive come uno “straniero in patria”, ovvio e perché nel 1942 gli ebrei erano stati cacciati, erano costretti alla conversione e nonostante ciò il tribunale dell’Inquisizione volentieri apriva delle indagini…insomma una persona che viveva in una terra nella quale sostanzialmente si sentiva espulso, questo per quanto riguarda gli ebrei spagnoli (sefarditi). Ma in generale la letteratura ebraica veicola una visione del mondo pessimista ed in questo prologo questo c’è, ma poi perché ci spiega due cose fondamentali alle quali dobbiamo prestare attenzione dunque NB!! Perché l’autore decide di scrivere altri V atti e perché cambia il nome da “Comedia” a “Tragicomedia”? - (mentre leggiamo il prologo ci dobbiamo fare un’idea su queste tre cose). Pag. 79 PROLOGO (in prosa) *non c’è nella Comedia, viene aggiunto nella Tragicomedia per chiarire i cambiamenti che ci sono stati! NB!!! *seppure la prima edizione della Tragicomedia è Saragoza 1507, si suppone che la prima che la prima edizione della Tragicomedia sia in realtà fra il 1502 ed il 1504! Perché se noi pensiamo che la terza edizione della Comedia è 1501, il fatto che si suppone una prima edizione della Tragicomedia 1502-1504 vuol dire che il cambiamento è molto riavvicinato. Prime tre frasi del prologo sono importantissime, perché in queste c’è TUTTA l’opera: “Tutte le cose sono create a guisa di contesa o battaglia, dice il gran sapiente Eraclito a questo modo: ‘Omnia secundum litem fiunt”. Bellezza delle costruzioni sapienti che hanno alle loro spalle una tensione parenetica, cioè di voler persuadere chi ascolta…di ciò che l’autore/retore vuole dire, e si avvalgono di argomentazioni molto costruite/elaborate che danno il tono di un testo alto retoricista. Molto diverso dal linguaggio adottato all’interno… Alla fine lui che cosa ci vuole dire con tutta questa articola riflessione? - vuole arrivare ad introdurre il tema del contrasto a livello sia interpretativo, quindi c’è chi la legge per dilettarsi, chi la legge per ricavarne degli insegnamenti, chi la legge per entrambi i motivi (NB c’è tanto Libro de Buen Amor)…sono testi che si aprono a diverse interpretazioni. Ma poi si introduce due dei temi che gli interessa chiarire…perché l’edizione della Tragicomedia, l’abbiamo visto scorsa volta dal fronte spizio dice “nuevamente añadida”, come se uscisse un romanzo per la seconda volta e l’autore dicesse ‘rivisto e corretto’, dunque davvero una nuova redazione. 1. Perché gli cambia il titolo? (e con il cambiamento del titolo gli cambia il genere// drammaturgico). 2. Perché da XVI atti a XXI atti? 1. Cambia il titolo perché il primo autore (e qui ritorna questa narrazione del primo autore alla quale, è difficile non credere) l’aveva intitolata Comedia perché iniziava bene. Ricordiamoci che se è vero che il primo autore l’aveva intitolata Comedia perché iniziava bene, la narrazione del primo autore rimane sospesa…quindi forse nella versione del primo autore rimane sospesa, quindi forse la storia era a lieto fine…o comunque nelle intenzioni del primo autore l’opera doveva avere un lieto fine e la chiama Comedia.“Pues acabava en tristeza, sino que se llamase tragedia” - lui ci pensa, in questo curioso dialogo con i lettori. Allora io per venire incontro (uomo di grande sensibilità per le esigenze del pubblico) ho tagliato la cosa a metà e l’ho chiamata Tragi-Comedia, perché inizia bene e finisce male. 2. I lettori si lamentano perché la storia d’amore tra Calisto y Melibea dura troppo poco, dura molto poco perché nelle edizioni della Comedia che era in XVI atti, all’altezza dell’atto XIV avveniva il primo incontro notturno fra i due. Atto XIV - Cosa fa Calisto? Va da Melibea, con una scala, scavalca il muro del giardino, va da lei, passa la notte con lei, sente poi dei rumori nella strada, si spaventa…teme che stia succedendo qualcosa e precipitosamente scende dalla casa, mette un piede in fallo, cade e muore. I lettori rimasero un po’ male. Comedia Atto XV - Melibea, venuta a sapere dalla servetta/criata che Calisto era morto, presa dalla disperazione, sale sull’alto della torre della casa e si butta giù. Dunque un atto dopo muore Melibea. La loro storia d’amore, a cui per XIII atti siamo stati preparati…durò poco il “procesos de los amores”, l’amore dura in termini di atti, V atti…cioè Rojas scrive altri V atti; in termine di tempo è molto difficile calcolarlo, si potrebbe parlare di un mese, con molte omissioni, non ci viene raccontato il loro mese d’amore dettagliatamente, però la storia si fa un pochino più lunga ed intrigata, ma il finale è sempre lo stesso. Tragicomedia Nella storia della Tragicomedia, Calisto scende dalla scala e muore nel XIX atto; Melibea si butta dalla torre nel XX. Il XXI atto della Tragicomedia corrisponde al XVI atto della Comedia, l’opera si chiude definitivamente con il lamento di Pleberio di fronte al cadavere della figlia. Quindi gli ultimi due-tre atti rimangono gli stessi fondamentalmente. L’autore arresta l’opera a metà del XIVesimo atto, inserisce i V atti interpolati, la seconda metà del XIVesimo atto dove Calisto muore, diventa la prima metà del XIX…per questo non si parla di atti aggiunti bensì di ATTI INTERPOLATI!!! Ci troviamo nella prima ed unica volta in cui un autore descrive con tale ‘domizio’ di particolari la genesi di un’opera, sente di dover rendere conto proprio dettagliatamente di come l’opera è nata da una parte, e di come poi è vissuta nel corso degli anni. Come ce lo dice? L’autore della Celestina è certamente un raffinato umanista, il profilo culturale è indubbio, lui ci dice di essere studente di giurisprudenza, intanto nelle università medievali, saggiamente, il percorso era “Letras y derechos”, si trattava di un unico perso formativo, per cui dimostra di conoscere molto bene i classici greco-latini ed anche italiani; a questo proposito dobbiamo dire anche che quando si ragiona intorno un autore, due autori…ma se il primo atto è stato scritto da un altro sarà stilisticamente diverso dagli altri?! Queste sono le domande che ci si fa. La cui risposta è ‘no’, in realtà a livello stilistico, a livello di analisi stilometrica la Celestina, cioè questo salto fra il I atto e i restanti non si percepisce. Quello che si percepisce però è una differenza di fonti: il primo atto è molto basato su Aristotele, negli atti successivi l’autore più citato è Petrarca. Questa è l’unica vera divergenza che si può vedere; per il resto o la Celestina è in mano da un solo autore (data l’omogeneità dello stile) o il secondo autore/ i secondi autori hanno saputo imitare con grande sapienza lo stile del primo. Perché abbiamo detto questo sulle fonti? Perché in realtà questa amplificazione del concetto dell’ “Omnia secundum litem fiunt” di Eraclito e che Petrarca rielabora come “Sine lite atque offensione ni(hi)l genuit natura parens” - è tutta presa, non proprio alla lettera ma sufficientemente alla lettera, dal prologo di un’opera di Francesco Petrarca che si intitola “De remediis NB!!!, opera da tenere bene in conto. Quando oggi noi parliamo di Petrarca ci viene in mente il canzoniere, quindi Petrarca poeta, chi ricorderebbe oggi Petrarca per il De remediis?! Ma il modo in cui conosciamo noi Petrarca non è il modo in cui lo conoscevano fino al ‘500, poi dopo le cose un po’ cambiano. Il 28/11/2022 (AUDIO PESSIMO) Oggi approfondiamo il tema dei modelli. La volta scorsa parlando dell’Anfitrione di Plauto avevamo fatto menzione dei modelli più antichi (Plauto e Terenzio - commedia latina). Non sono modelli ma proprio esempi sui quali elaborare delle vere e proprie riscritture perché gli studenti di epoca umanistica imparavano il latino proprio sulle commedie di Terenzio e abbiamo concluso il nostro discorso dicendo che opere come la Celestina erano spesso dei veri e propri “trabajos escolares” ovvero compiti da fare a casa, nonché scrivere una commedia sullo stile platino e/o terenziano. Questi modelli non ebbero “eco” solo nel 400, solo nell’ umanesimo…ma già erano stati ripresi nel corso dei secoli, soprattutto in questi altri due generi (ppt): la commedia elegiaca e la commedia umanistica. La commedia elegiaca del XII secolo e la commedia umanistica del XIV secolo, questi sono modelli che funzionano per Rojas ma anche per scrittori italiani come Leon Battista Alberti, il Berni…cioè modelli di larga esemplarità. Cos’è la commedia elegiaca? - si chiama così perché era scritta per lo più in versi ed è una commedia di taglio amoroso, in particolare è da ricordare per il grande successo che ebbe in Spagna (prima di Rojas) nel Libro de Buen Amor di Juan Ruiz…questo famoso “Phamphilus de Amore” che viene considerata una fonte del Libro de Buen Amor, una fonte molto vicina della Celestina…perché la trama è assai simile. Panfilo è un giovane innamorato di Galatea, lui è di umili origine, lei invece è nobile. NB!! A tal punto innamorato che chiede l’aiuto di Venere (contesto mitologico diverso da quello della Celestina), Venere non soltanto raccomanda a Panfilo la lettura dell’Arsamande di Ovidio, ma gli dice anche che dovrà provvedersi assolutamente di una ‘vetula’, si tratta di una vecchia/mezzana, Panfilo lo fa, la mezzana va da Galatea e cerca di convincerla, in realtà scopre che Galatea è già innamorata, la mezzana torna da Panfilo, glie la rende un po’ difficile, gli dice che per convincerla c’era molto lavoro, che si sarebbe dovuto spendere molto…NB che il lavoro della mezzana è un ‘mercimonio’, lei vende le sue prestazioni, vende la sua intermediazione con l’amante…e Panfilo accetta, la compensa abbondantemente e la quale chiama ed invita (con inganno) Galatea a casa di Panfilo, i due consumano il loro amore, Galatea piange disperata perché ha perso la sua verginità, ma la vecchia le da la soluzione e cioè il matrimonio ‘riparatore’; la storia dunque ha lieto fine. NB! Perché è negli scarti semantici che si capisce la complessità, l’ambiguità, il cambiamento dei tempi anche che invece prospetta la Celestina. Dopo la commedia umanistica, questo stesso modello, si diverserà, nel XIV secolo, nel ‘300…ne abbiamo moltissime in Italia di commedie umanistiche…alcuni di loro pubblicavano alcune commedie, alcuni di loro pubblicarono le loro commedie addirittura pure in Spagna, quindi circolavano assai e non è detto che oltre a conoscere Plauto e Terenzio, il nostro “autore” Fernando de Rojas, non avesse letto anche queste… *Questo mancato senso di proprietà dell’opera letteraria si dimostra, soprattutto nella letteratura spagnola, con quel famoso stereotipo del ‘manoscritto ritrovato’. NB! Da approfondire…perché in Spagna la Celestina non sappiamo se è uno stereotipo o se è vero; ma in tutti i libri di cavalleria (circa una 80ina di esemplari) è immancabile nel prologo, la storia nella storia, è un momento che può durare poche pagine o più… Noi abbiamo esordito dicendo che la Celestina aveva un carattere di assoluta novità, è vero ma non è che non sia figlia di nessuno, alle spalle ha tante opere…la Celestina rompe questa barriera e diventa un’opera popolare, e se la rompe avrà delle caratteristiche che è sempre difficile definire ma che comunque ha consentito all’opera di sopravvivere nel tempo. Abbiamo parlato di generi (comedia e tragicomedia) e di modelli…abbiamo anche detto che questa opera si presenta in XVI e poi XXI atti, un’enormità, come poteva essere allestita un’opera del genere? Abbiamo letto la famosa ottava di Alonso de Proaza che ci ha aiutato a capire l’autore e a capire come la Celestina veniva letta a quell’epoca; nella IV ottava ci dice che l’opera veniva recitata a voce alta, anche recitata, imitando i caratteri, le pose, le tonalità…questo non è bastato, soprattuto la critica, a cavallo fra il XIX secolo ed il XX secolo, aveva ritenuto di dover dare un’altra definizione di genere e cioè la Celestina si fa fatica ad inquadrarla in un genere drammatico (dove per drammatico intendiamo teatrale/mimetico che rappresenta la realtà come tale) e quindi data la particolarità…decisero di definire la Celestina come ‘romanzo dialogato’, ‘romanzo drammatico’, fino a definirla - “La celestina è dialogo puro”. Per capire questo problema di capire che cos’è quest’opera che abbiamo in mano fosse importante…Marcelino Menendez Pedayo nell’opera “origenes de la novela” (cioè le origini del romanzo in Spagna), dopo aver detto in altre occasioni che “la Celestina è teatro”, in “origenes de la novela” mette la Celestina come nella catena di quei testi che hanno portato poi, anche in Spagna, alla nascita del romanzo ottocentesco, quindi si contraddice…perché se la Celestina (come il Lazarillo de Tormes ed il Quijote di Cervantes) è in quella linea di filiazione della scrittura narrativa, è chiaro che i germi della narrativa ci sono, e che il genere della narrativa è un problema anche importante. Per chiarire bene perché tutte queste parole, per capire bene (come disse Carmelo Samonà) quanto di teatrale c’è nella Celestina, bisogna riflettere sulla difficoltà, che ha questa opera, di rispettare i tempi scenici. Es: la Celestina che si presenta in realtà, nelle edizioni, senza divisioni in scene…le divisioni in scene come poi sarà la divisone in trattati nel Lazarillo, le divisioni in scene noi le riconosciamo perché c’è una pausa fra una scena e l’altra. C’è una prima scena dove parlano solo Calisto e Melibea, abbiamo poi una seconda scena dove parlano Calisto e Sempronio, una terza scena dove di nuovo parlano Sempronio e Calisto, dopo che Calisto esce dalla sua stanza, la quarta scena è quella in cui Sempronio va a casa di Celestina per dirle che ha convinto il suo padrone a servirsi della mezzana…nelle scene precedenti Calisto si era dichiarato improvvisamente a Melibea nella prima seconda, seconda scena arriva a casa in preda alla follia amorosa e comunica questa passione travolgente a Sempronio, terza scena Sempronio capisce che dall’amore del suo padrone potrà ricavarne dei vantaggi e gli propone di usare una mezzana, quarta scena gli interlocutori sono Celestina, Elicia e Sempronio (questa è la modalità di conoscenza dell’opera da sapere all’esame) Sempronio va da Celestina, dove c’è anche la sua amante Elicia, e le dice che possono fare un bel affare, se lui aiuta il suo padrone poi divideranno insieme i compensi…la quinta scena è incriminata, nel senso che ci accorgiamo che l’autore non riesce a gestire i tempi scenici… Pag 108 SEMPRONIO. Tha, tha, tha, it:toc toc toc. Sempronio e Celestina stanno tornando da casa di Celestina, a casa di Calisto, si trovano fuori casa sua e gli bussano alla porta. Dentro casa ci sono Parmeno e Calisto. Sempronio bussa alla porta, nel frattempo Parmeno e Calisto parlano fra di loro…Sempronio e Celestina sono sempre fuori dalla porta…questo ci fa capire la difficoltà di allestimento. Pag 110-113 // Mancanza di capacità di gestire la scena…e nel teatro la tempistica è fondamentale. La conversazione di Calisto e Parmeno non finisce qui, soltanto un bel po- più avanti, finalmente aprono la porta e Celestina e Sempronio vengono accolti a casa. Si tratta di un passaggio fondamentale per moltissimi motivi> si definiscono bene le personalità della coppia dei servi, di ascendenza plautina e terenziana; sempre nella tragedia romana come nella commedia medio- latina, questi servi svolgono due ruoli, uno è il servo ‘sfallax’ cioè adulatore, furbo ed anche meschino che punta a trarre il maggiore profitto dal padrone…e questo è Sempronio; l’altro è il servus fidus e cioè il servo fedele e quindi anche buono, ingenuo, che si preoccupa per il padrone, parliamo di Parmeno. La grande novità che si riscontra già, rispetto alle commedie dei modelli precedenti, è che almeno Parmeno subisce nel corso dell’opera un’evoluzione psicologica, quindi non siamo più di fronte a dei tipi stereotipati, ma a dei caratteri che cominciano ad essere più ricchi, proprio perché dimostrano una crescita all’intero del testo; e quale sarà l’evoluzione di Parmeno?! Celestina riuscirà a corrompere anche lui. La corruzione avviene a due livelli: attraverso il sesso ed attraverso il denaro, i due grandi motori di questa tragedia come dice Carmelo Samonà. Sempronio corromperà Parmeno, promettendogli di dividere con lui i compensi che Celestina e lui riusciranno ad avere dal padrone e Celestina rendendolo amante di una delle sue figlie (cioè le aiutanti, le prostitute che vivono con lei) Areusa…l’altra figlia Elicia è già l’amante di Sempronio. E’ fondamentale, poi, questo passaggio, perché ci troviamo di fronte (non per la prima volta, bensì la seconda) alla descrizione di Celestina che è il personaggio al quale si dedicano più pagine, non abbiamo infatti descrizioni fisiche di Calisto, altrettanto rapida è la descrizione di Melibea. Non è un caso che la figura della mezzana, che nel panfilo d’amore, nel Libro de Buen Amor, aveva una funzione strumentale; qui invece la sua descrizione va avanti per tante pagine. La prima descrizione di Celestina ce l’abbiamo in una battuta precedente di Sempronio quando aveva proposto al padrone di avvalersi di una mezzana, dirà così (pag 104)…la descrive come una vecchia barbuta, questo appellativo tornerà nella tragicomedia varie volte, nel I, III, IV e ancora nel VI atto. Perché vecchia barbuta? Intanto la figura della Celestina è a metà fra mezzana e fattucchiera, è l’unica che, nell’opera, vive del proprio lavoro, la sua casa è un vero e proprio laboratorio. Perché vecchia barbuta? Intanto la barba in una donna veniva considerata la depurazione degli umori caldi e questa dimensione della barba, della peluria, essendo simile al genere maschile, indicava una tendenza alla lussuria e alla libidine, quest’era stessa caratteristica veniva sconsiderata come una manifestazione della dimensione anche malefica delle donne pelose, tanto che in questa immagine che noi vediamo rappresentata che è una delle tante rappresentazioni di Celestina, di Pablo Picasso, immagine a cui sarà molto affezzionato… Intermediaria e strega, e questa stessa dimensione di Celestina come strega, e non soltanto come intermediaria, riaffiora anche nel passaggio che abbiamo letto prima, quando Parmeno descrivendo la casa/laboratorio di Celestina, insiste sull’elenco di quasi 60 unguenti e pozioni, che oggi ci dicono poco, e che però insistono nell’ambito della cosmesi, delle erbe mediche e dei prodotti che corrompono/inducono all’amore i soggetti interessati…sono circa 60 gli elementi elencati + 20 talismani; tutto questo ci fa capire che è l’antro di una strega e con un semplice cenno dirà che sul viso di Celestina compare un graffio, che nei manuali di anti stregoneria dell’epoca…il “malleus maleficarum” 1487 (it: il martello delle streghe), il graffio sul naso o qualsiasi altra cosa presente nel viso o nel corpo della donna veniva considerato uno “stigma diavoli”, cioè un marchio che lasciava il diavolo sulle sue adette??. Perché martello? Perché è un manuale anti stregoneria, e quindi martello che serve per abbattere definitivamente…per unire definitivamente le streghe. Il tema della stregoneria, nell’epoca di Rojas, aveva subito una definiva torsione, nei primi del ‘400 la chiesta stessa (NB la Celestina non è mai stata censurata, effettivamente questi temi erano più vicini alla mentalità di quegli anni, di quanto non lo siano oggi. Tuttavia la magia che era stata considerata, fino ai primi del ‘400, semplicemente come una superstizione (anche dalla chiesa), andò invece sempre più acquisendo…(anche a causa della Inquisizione in Spagna che si preoccupava di fare luce sull’ eresie) andava sempre più ad essere in odore di eresia…soprattutto la magia di carattere diabolico la dove nella presenza del diavolo le streghe venivano considerate mediatrici delle forze diaboliche. Prima edizione della Celestina 1499. Rojas nasce intorno agli anni ‘70 del 400. Nel 1487 fu incaricata, al domenicano Heinrich Kramer, una prima opera anti-stregoneria, da Innocenzo III. E questo fu un manuale che entra proprio nei dettagli, degli strumenti delle streghe, delle caratteristiche fisiche…proprio perché doveva servire poi agli Inquisitori per dirimere i casi dove la donna che veniva condannata doveva essere esplicitamente condannata come strega ed intermediatrice del diavolo. Tutto questo lungo passaggio che avviene nella battuta di Parmeno, dove descrive Celestina, è farcito da tanti passaggi presenti in questo stesso ‘martello delle streghe’ e che però subito accende una questione interpretativa all’interno dell’opera. Prima ci siamo chiesti quanto di teatro ci sia nella Celestina? Ma, quanta magia c’è sulla Celestina? Perché la critica si è fatta questa domanda? Perché se effettivamente Celestina opera all’interno di questa tragicomedia, riesce a far capitolare Melibea grazie alle sue arti magiche, il senso di quest’opera è uno. Se invece la magia, di cui qui abbiamo visto alcuni passaggi, ne vedremo un terzo, invece è puro ‘colorismo’; il personaggio di Celestina si arricchisce anche di questi dettagli che la possono far apparire come strega ma in realtà convince Melibea perché è un’abilissima retore, allora il significato è un altro; nel senso che se Melibea è vittima del sortilegio di Celestina, lei opera senza disporre della sua volontà e quindi non è condannabile; Melibea si concede a Calisto, poi viene il matrimonio e poi addirittura si suicida per amore, commette a livello morale ed anche religioso due grandi infrazioni/peccati. Se la lettura è questa, come la lessero anche i contemporanei, Melibea non è condannabile e quindi, per certi versi, lei è salva…l’opera stessa forse ha un carattere meno novedoso/dirompente, la strega, il sortilegio, la fanciulla si innamora e cede alle pressioni del cavaliere. Altra cosa è invece se Melibea opera in proprio e quindi diciamo è in possesso totale del suo arbitrio, in questo caso invece la morale ne risentirebbe assai, e perché? Per quello che abbiamo detto prima e cioè perché stiamo parlando di una nobildonna, di buona famiglia che si concede al 30/11/2022 Dinamica che governa le morti dei diversi protagonisti, perché come avevamo già anticipato, assistiamo alla morte di tutti i personaggi protagonisti e comprimari; cioè tutti quelli che partecipano all’azione drammatica, avranno una fine tragica: i servi Sempronio e Parmeno, la mezzana Celestina, e i due innamorati Calisto e Melibea. Dei XXI atti, è a partire da dopo il XXeimo (la dove ci confrontiamo con una Melibea appassionata, ormai in preda alla passione d’amore) che subentra la catastrofe. Quindi nella vecchia edizione in XVI atti erano i cinque atti successivi mentre nell’edizione in XXI atti i dieci atti successivi che però a livello di pagine occupano 1/4 del testo quindi precipitare è anche molto rapido rispetto a tutta una prima parte dove l’azione è più rallentata, nei termini anche di un retoricismo diffuso, tutta la prima parte è un parlare assai elaborato, in cui i personaggi, Celestina tenta di convincere i servi, in particolare Parmeno, Calisto convince Sempronio del suo amore, Celestina convince Melibea, Melibea convince Lucrezia…insomma questo dialogo vivo. A partire dall’XXesimo l’azione si fa più incalzante e tutto precipita…(termine non usato a caso) perché molti dei personaggi, cioè tutti tranne Celestina, in realtà muoiono per caduta, ovverosia muoiono precipitando dall’alto. Dorothy S. Severin dice che lo spazio determina la morte. E’ una caduta attraverso lo spazio. Questo spazio ha una valenza fortemente simbolica; sulla valenza fortemente simbolica torneremo dopo aver constato la meccanica delle morti dei personaggi…invece riguardo la caduta dall’alto, se non si vuole ragionare intorno alla dimensione simbolica o metaforica, dobbiamo dire che è anche la verticalità delle città gotiche medievali (si sviluppano verso l’alto) che determina la verticalità delle morti; sono morti che avvengono per caduta. MORTE DI MELIBEA E’ l’ultima ed occupa molto spazio, con una ‘dimensione retorico-patetica’ estremamente accentuata, nel caso di Melibea infatti assistiamo ad una morte tragica. Nel caso di Calisto ad una morte tragicomica (parodica). Nel caso dei servi non tragica ma certamente violenta. E’ chiaro che questo finale può anche essere letto in linea con l’intenzione morale dell’autore che ci esplicita nell’argumento iniziale, nella lettera a un su amigo, è che l’opera ha una valenza morale e che serve a mettere sull’avviso gli innamorati di non cadere nelle trame dei servi e delle alcahuetas e quindi la Celestina è un exemplum, una storia a contrario, chi la legge non deve fare quello che fanno i protagonisti altrimenti succederà loro come i protagonisti dell’opera (come nel Libro de Buen Amor). La morte è un segno del pessimismo dell’opera, legato alla figura dell’ ebreo converso, della dimensione moralizzate del testo…ma come vedremo questi segni nella Celestina proprio perché c’è un intreccio parallelo che si sovrappone a quello tragico, che è quello della parodia, rende difficile dare una risposta netta. La morte di Melibea è una morte assai tragica, al punto che ne sono stati ravvisati dei possibili modelli, modelli classici perché la trama sentimentale poteva attingere a due modelli, il modello più vicino a Rojas è il modello cortese, il modello più lontano a Rojas è quello della mitologia classica. Melibea non assomiglia alle protagoniste della narrativa cortese, tanto che questa sia declinata nei termini dei libri di cavalleria (come nei termini della novela sentimental che riceveva in Spagna la dimensione cortese dell’amore) ma assomiglia invece all’eroine della classicità, perché di suicidi per amore, anche nella mitologia classica, se ne potevano annoverare più di uno e la stessa Melibea, nel suo assolo?? (anche se il padre ascolta), ne citerà qualcuno…modello più vicino a Melibea è segnalato da Menendez Pidal e trovato nella figura di Ero, la storia di Ero e Leandro. La storia di Ero e Leandro è una storia classica che in Spagna ha avuto una enorme fortuna, nei termini di riprese liriche, molte poesie sulla coppia di questi amanti sfortunati, anche di poemi; la fortuna della storia di questi due, in Spagna, è studiatissima, in particolare c’è un volume di M del B, studiosa che la ripercorre tutta. Secondo Menendez Pidal, la figura di Melibea può essere ricostruita sulla figura di Ero. Ero è una sacerdotessa di Venere e vive su una sponda dei Dardanelli, zona Turchia, dall’altra parte dello stretto dei Dardanelli vive Leandro che in una festa delle vestali la vede e se ne innamora profondamente; ovviamente Ero è votata al culto della verginità, in quanto sacerdotessa di Venere, e allora Leandro preso da una passione d’amore incontenibile, prende l’abitudine ogni notte di tuffarsi in mare e di raggiungere la riva opposta dello stretto a nuoto, i due diventano amanti clandestini, se non che una notte il mare è agitato da una tremenda tempesta, la passione di Leandro è talmente forte che comunque si butta in mare perché Ero gli accende sempre una lucina dall’altra parte dello stretto, ma la tempesta è tale ed il vento talmente forte che non solo le onde sono impetuose ma la luce si spenge e Leandro muore annegato…vuole la pena/ compassione degli dei che le spoglie di Leandro siano trasportate sotto la casa delle vestali, che Ero veda Leandro e che quindi presa dalla disperazione si getta giù e muore. Questo potrebbe essere un modello. Ma in che cosa si distingue il modello di Ero da quello di Melibea? Si distingue dal fatto che nel caso di Melibea, e vedremo che questo avrà anche un peso sulla dimensione morale del testo, la morte di Melibea è una morte premeditata, mentre non lo è la morte di Ero che invece in preda alla passione istintivamente si getta giù. Altri modelli possibili, più vicini a noi, e che a loro volta prendevano come modello quelli classici - “La fiammetta” di Boccaccio - storia completamente diversa, dove c’è un suicidio evitato di Fiammetta tradita. Perché la storia di Melibea si avvicina a quella di Fiammetta? Per il tessuto argomentativo, molta parte del discorso di Melibea ripete quegli argomenti detti da Fiammetta che a sua volta ripetono argomenti presentati da Ovidio nelle Eroidi, quindi è una trasmissione dei luoghi comuni ed il fatto che lo sia…non sottrae letterarietà al testo, la letteratura antica ma infondo anche quella di oggi, sempre manipola un materiale pregresso, è nell’efficacia di questa manipolazione che poi si vede la dimensione artistica dello scrittore. MORTE DI MELIBEA - premeditata Pag 332 ATTO XX Calisto cade dalla scala, Melibea lo vede e di dispera a tal punto che Lucrecia l’ancella chiama il padre Pleberio perché accorra…talmente vede disperata la figlia, quando il padre chiede poco prima che cosa hai Melibea, lei sul momento parla di un malore e che per riprendersi chiederà al padre di portarla sull’alto della torre, di farle portare un ‘liuto’ perché lei si possa distrarre… quando però il padre si allontana, manderà Lucrecia a dire a suo padre Pleberio di aspettarla, di non risalire su, ma di aspettarla ai piedi della torre. E qui comincia il suo lamento. Il tono è molto chiaro, è un tono squisitamente e solamente tragico, tra l’altro lei dice di aver avuto dei modelli - “come quello che ho letto nei libri che mi facevi leggere” - non è casuale il fatto che Melibea cerchi i suoi modelli nel mondo classico, era un’eroina classica, Calisto invece no apparteneva al mondo cortese e ne è assolutamente la parodia perché tragicomico. In una battuta che non abbiamo letto Melibea dice - “andiamo sulla torre, da li potrò vedere le navi - e li la critica si è avvelenata perché la Celestina non è ambientata in un luogo esplicitato, si dice Salamanca perché Rojas fa il bachillerato li, e allora da li queste navi che si vedono sul fiume Salamanca, il Tormes non navigabile, ma l’ipotesi era anche il Guadalquivir e quindi Siviglia…tutte ipotesi. Non c’è nel lamento di Melibea, come non c’è nel lamento di Calisto, nessuna meditazione cristiana della morte, cioè Melibea non si pente e NB il suicidio è visto dalla morale cattolica è visto come peccato; ma Melibea non è sfiorata da nessuna di queste preoccupazioni, muore senza confessione, senza pentirti, ed anzi, tutto questo suo monologo è improntato, in realtà, a sottolineare la tensione edonistica del piacere, lei ripensa a Calisto e alla loro storia con nostalgia, la rivendica davvero, in questo senso appare una figura femminile assolutamente fuori degli schemi dell’epoca perché…ci sono anche studi che sottolineano la modernità di Rojas, io penso semplicemente che non è che fosse tanto un pensiero alternativo quello di Rojas, è la costruzione di un modello, si rifa ai modelli classici, ovviamente, e rifacendosi a quei modelli li per Melibea quel tipo di morale non entra - anche nel lamento di suo padre Pleberio si noterà questo aspetto - ed il fatto che non sia presente nessuna meditazione cristiana della morte potrebbe anche, come sempre, fare riferimento alla dimensione ebreo-conversa. Quindi, abbiamo sottolineato i modelli, la rivendicazione del piacere, si dice anche che l’argomento che spende Melibea nei confronti di suo padre sia lo stesso che spende Celestina nei confronti di Melibea per convincerla ad incontrare Calisto (forse IV ATTO) quando scrive per invogliarla a godere dei piaceri e dell’amore, e che quindi l’amore di Melibea nasca, non tanto dalla magia, quanto dalla capacità paretenica ovverosia persuasiva della mezzana che è un’abilissima retore…qualcuno disse che Celestina è la più abile retore che abbia conosciuto la storia della letteratura. Al monologo di Melibea è destinato il riassunto, racconta di nuovo tutta la storia, aspetto epilogativo della conclusione, la cosa curiosa è che nel riepilogare la storia appare una figura di Calisto che il lettore, in realtà, non ha conosciuto nel testo, Calisto qui appare con la rappresentazione di ogni idealità: gentile, premuroso, generoso nei confronti dei servi, raffinato ed in realtà il Calisto che noi abbiamo conosciuto è ben altro, è invece un padrone assai mosso dalla concupiscenza, violento ed a volte anche volgare, che si abbassa al linguaggio dei servi, che spazza via ogni ostacolo attraverso il denaro…e quindi abbiamo un contrasto fra queste due immagini. Poi scopriamo che in realtà è nobile - “Tu padre lo conoscevi” - questo lo diciamo perché l’altra domanda che ci si fa è - “ma perché se Calisto era nobile, Melibea era nobile, questi due non potevano sposarsi? Qual era l’ostacolo?” - prima di fare delle possibili ipotesi, vediamo come muore Calisto. MORTE DI CALISTO La morte di Calisto viene reduplicata. XIII ATTO Pag 279-280 Prima commentiamo la morte dei due servi che viene prima. All’altezza del XIII atto ci viene raccontata la morte di Sempronio e Parmeno, morte che avviene perché Celestina viene premiata da Calisto ben due volte, una prima volta alla fine del I atto con 100 monete d’oro ed una seconda volta (forse nel XI atto) dopo che Melibea innamorata confida la sua passione a Celestina e le dice che potrà incontrarsi con Calisto, lui contentissimo premia di nuovo Celestina dandole una collana d’oro; quando i due servi Parmeno e Sempronio vanno a casa di Celestina per chiedere di spartire la ricompensa, Celestina si nega…ed è in quel momento che i servi l’ammazzano, poi per sfuggire saltano la finestra, nel saltare la finestra quindi di nuovo verticalità, si fanno male, cadono a terra, arriva la giustizia li prende e li decapita. Questa storia viene raccontata da Sosia a Calisto. XIX ATTO Morte non diversa farà Calisto e sarà presentata da Sosia e Tristan. La morte di Calisto è abbastanza tragicomica. Calisto sta nella parte alta della scala, sta scendendo, Tristan che è il nuovo servo sta ai piedi della scala e dice a Calisto di fare molta attenzione e quindi di reggersi bene alla scala. Era Centuriò che faceva dei rumori per strada e allora Calisto si affretta per andare a salvare i servi. La morte di Calisto è una morte tragicomica: primo motivo perché mettere un piede in fallo e cadere è un motivo comico (ne parla lo stesso Freud in un suo famoso saggio), secondo perché è una morte del tutto inutile, in realtà non sta succedendo nulla quindi questa sua fretta non ha senso di esistere, è del tutto ingiustificata, e terzo per il contesto tragicomico in cui avviene, uno dei servi dice - “è morto come mio nonno” - e poi più avanti addirittura dirà - “Sosia, prendi il cervello del padrone che è qui” - un contesto assolutamente risibile (che suscita derisione e scherno). Perché abbiamo detto che la verticalità delle morti ha un suo valore simbolico? Perché nella mentalità medievale la vita dell’uomo era paragonata ad una parabola, una parabola esistenziale guidata dalla fortuna, la fortuna veniva intesa non nel senso in cui la intendiamo oggi ma nel senso della fortuna guidata dal destino (dea Fortuna) che dispensava tanto i piaceri quanto dolori, tanto fortune quanto disgrazie. C’era un genere particolarmente in voga - “La caída de principes” - che stava proprio ad emblematizzare (l’abbiamo già visto con Alessandro Magno con il mester de clerecia) la ascesa dell’uomo mosso dal piacere, dalla concupiscenza, dal desiderio di dominare il mondo….questa parabola veniva assimilata alla parabola umana, un po’ doveva servire come ammonizione…di fare attenzione a non ripercorrere quei modelli, a tal punto che una delle immagini spesso usate per rappresentare la vita umana era questa che vediamo e cioè la ruota della fortuna che in genere rappresentava una donna, a volte la donna era bendata (“la fortuna è cieca”) una donna che collocata o nel fulcro di una ruota o rappresentata mentre muove un argano, la ruota non è sempre e soltanto una ma possono essere due o tre, perché possono rappresentare il presente, il passato ed il futuro. Questa donna bendata o meno, muove la ruota e nel muovere la ruota determina il destino dell’uomo. 5/12/2022 - 7/12/2022 (SONO 2 LEZIONI) Profesor español Pablo Núñez ?? EL CONDE LUCANOR - Pag 71-80 Don Juan Manuel nació en Escalona (Toledo) 1282; era sobrino de uno de los personajes importantes de la historia de la literatura española de Alfonso X El Sabio. Quedó huérfano a edad muy temprana y a los 12 fue enviado a Murcia a pelear contra los moros. Una cuestión importante es que a la muerte de Alfonso X El Sabio, que muere cuando Don Juan Manuel tiene 2 años, su familia apoyó siempre a Sancho IV, por lo que Sancho IV les dio su protección…Don Juan Manuel va a relacionarse y va a establecer relaciones interesantes por su forma de ser, su personalidad, su ambición con los otros tres reyes. Don Juan Manuel se casó con la infanta Isabel de Mallorca, quien murió a los 2 años de casarse, o sea 2 años después del casamiento. Fue aumentando su actividad política…movido/impulsado por la ambición; Don Juan Manuel era un hombre ambicioso… Cuando muere el rey Sancho IV que le había dado su protección, le encargó que protegiera a su mujer y a su hijo, el futuro rey Fernando IV. Dentro de esta actividad y de esa preocupación por tener influencias social es importante tener en cuenta cómo buscó la alianza con Jaime II de Aragón…buscó esta alianza por medio de casarse con la hija de Jaime II, Costanza. Se prometió con Costanza y cuando ya cumplió la edad correspondiente se casó con ella, en 1311. Cuando muere Fernando IV, tenemos a un Juan Manuel convertido en corregente, hasta la mayoría de edad, de Alfonso XI…estos son los reyes con los que va a tener contactos Don Juan Manuel. Y de nuevo vemos la personalidad de Don Juan Manuel, le va a declarar la guerra al rey y se va a aliar con los moros de Granada; él quería que el rey se casara con su hija Costanza también, como su mujer, pero bueno ese matrimonio no fue adelante y la atracción de Don Juan Manuel declara la guerra al rey; por lo tanto va a perder ese cargo que tenía de adelantado de Murcia, aunque finalmente hará las partes y volverán a tener una buena relación: el rey y Don Juan Manuel. Por tanto nació en 1282 y va a fallecer en 1348…una vida muy afincada y no hemos hablado de los literario, hemos hablado solamente y muy simplemente de su perfil biográfico y político. • Alfonso X El Sabio (1221-1284) • Sancho IV el Bravo (1258-1295) • Fernando IV de Castilla (1285-1312) • Alfonso XI el justiciero (1311-1350) PERFIL POLÍTICO Y UMANO Don Juan Manuel siempre le interesó tener poderío y influencia. Por esa ambición, él quería sacar el máximo partido al poderío y a la influencia. En su obra se mostró contrario a la guerra pero en cambio, en la práctica, se pasó la vida en conflictos bélicos por hacienda (dinero) y honra. Era un noble y tenía una fe religiosa muy arraigada…pero parece que estaba preocupado por las cuestiones del alma y al mismos tiempo parece que en la practica estaba bastante alejado de esos principios que proponía en sus escritos…parece que se dejaba llevar con la soberbia, lujuria, ira…etc SU OBRA Porqué es importante, en la literatura española, Don Juan Manuel? Hay varios aspectos, uno de ellos, Don Juan Manuel va a mostrar mucho interés y mucha preocupación por la conservación de su obra, porque los copistas tengan cuidado…lo que el ha escrito, él quiere que se transmita como el lo ha escrito; eso hoy en día lo podemos entender: cualquier escritor, hoy en día, quiere que lo que ha escrito se mantenga así…pero tenemos que ponernos en la perspectiva de la época…cuando el arcipreste de Hita en el Libro de Buen Amor se mostraba en este aspecto muy flexible pero Don Juan Manuel no, el quiere que los copistas que van a tomar su obra, tengan mucho cuidado y la trasmitan tal y cual, que no le cambien y sobretodo que no le introduzcan errores…que después va a pensarse que son de Don Juan Manuel. Un autor preocupado porqué se preserve su obra como el la ha escrita. No es sólo que se preserve su obra así, sino que en escribirlas, va a mostrar una voluntad de estilo que también es algo bastante novedoso para la época. Estilo personal y propio y va esperarse en mantenerlo. Ambas cosas están relacionadas con el individualismo, allí está el escritor y la importancia a su “yo” escritor…no se limita a recurrir a fuentes anteriores para mostrar las cosas (es clásicos, biblia, obras anteriores) a él le basta con decir que lo afirma el, considera sus escritos suficientes. Don Juan Manuel ha influjo oriental…esos cuentos del Conde Lucanor tienen influjo oriental, tenemos cuentos tradicionales orientales pero en el caso de Don Juan Manuel…digamos que en los cuentos orientales hay una fantasía desbordante, en Don Juan Manuel no, los suyos son cuentos mas realistas, no hay esa fantasía desbordante y tampoco hay la sensualidad de los cuentos orientales. En Don Juan Manuel hay un realismo, hay concisión (conciso) y hay sobriedad. Sin esta fantasía esa sensualidad de la literatura oriental…aunque si que hay cierto un influjo/influencia; lo mas que importa es lo que el dice pero también va a recurrir y va a tener presentes de la Biblia, de la literatura y otros textos medievales, los proverbios de Salomón… porqué veremos que tiene una carga importante moralizante…pero lo importante de Don Juan Manuel es que todo eso el lo va a elaborar de una manera muy personal, y en algunos casos el va a ser superior, va a mejorar el modelo precedente. Desde luego siempre le va a dar personalidad/ autenticidad y en algunos casos podemos decir que mejora el modelo precedente. ESTILO Y LENGUA Ese español que va evolucionando, el Don Juan Manuel se va dar un paso más allá en esa autonomía del castellano porqué va a utilizar pocos latinismos, pocas palabras procedentes del latín, se va en la autonomía del castellano. Don Juan Manuel al escribir es claro y es conciso, lo que quiere expresar lo expresa con claridad y de manera concisa…y también muestra especial agilidad al construir los **, porqué en la obra veremos como se establece ??. Don Juan Manuel es un escritor racional, después lo veremos en algunos cuentos que les he traído, veremos cómo entra a razonar en una manera profunda, utilizando la retórica y esos se observa muy bien en como precisa, como hace incisos, para aclarar (chiarire) con precisión que es lo que quiere decir, el sentido de lo que dice, la idea porqué estamos viendo un autor que destaca, en ese caso, por la racionalidad. 3 propuestas de títulos 1. El hombre que le declaró la guerra al rey 2. Don Juan Manuel ** el equilibrio entre claridad y concisión 3. Don Juan Manuel el primer escritor castellano con voluntad de estilo. EL CONDE LUCANOR o el libro de los ejemplos del Conde Lucanor et de Patronio Es una obra de 1335. A pesar de que tenía empeños en que los copistas tuvieran mucho cuidado en la transmisión textual compleja…la obra nos ha llegado muy contaminada: hay errores, hay variantes de los copistas, cuestiones ya de critica textual. En esta critica textual los filólogos tienen que preparar la edición más limpia/fiel/cercana para lo que escribió el autor, la más cercana a la última voluntad del autor…pues los filólogos trabajan con 5 códices que son ya del siglo XV. Es una obra de la que se tienen ediciones en las principales editoriales académica. NB! CERVANTES VIRTUAL STRUTTURA DELL’OPERA La obra está precedida por 2 prólogos: 1. En el primero se indican todas las obras que había publicado ya el autor, se expresa esa voluntad de que se respete su texto, que los copistas respeten su texto, y que sea de provecho para los lectores. 2. En el segundo prólogo aparece un tópico que es el de “enseñar deleitando” o sea enseñar de manera que el lector disfrute mientras lee, que aprenda y disfrute al mismo tiempo. Y como expresa eso Don Juan Manuel? Lo hace por medio de una comparación, una comparación pre scientifica: dice que igual que cuando se prepara una medicina, le echamos azúcar porqué le gusta el azúcar…pues de la misma forma al preparar una obra voy a tratar enseñar lo didáctico, lo molar pero de manera que le guste, que disfrute, como si fuera azúcar. La parte más importante, después de los 2 prólogos, es la parte de los 51 cuentos (primera parte). Qué estructura siguen esos 51 cuentos? Pues tenemos al Conde Lucanor que tiene a una persona que se encarga de su educación, Patronio. Así que el conde le va a hacer una pregunta a Patronio, una cuestión de duda sobre como actuar en la vida o ante una situación que el joven no tiene clara…Patronio en lugar de responderle directamente, con una información concreta sobre lo que debe hacer, lo que va a hacer es contar a Don Juan Manuel una historia y de ese cuento se va a extraer una enseñanza. Así que tenemos la pregunta del Conde a Patronio, el cuento de Patronio y finalmente la enseñanza. Pregunta, cuento, enseñanza. En la parte final aparece el autor, Don Juan Manuel, para resumirlo todo con 2 versos. De esta forma, apareciendo en la parte final…lo que va a hacer Don Juan Manuel es mostrarse como intermediario entre la obra y el lector. Así que esos versos, lo que vienen a ofrecernos es la moral sintetizada; después de ese cuento y de esa enseñanza va a resumir unos versos que suelen sen “pareados” o sea que riman ambos versos; suelen ser endecasílabos pero a veces pueden variar. ** falta un pedacito 42:59 ** Porqué es importante leer al Conde Lucanor de Don Juan Manuel literariamente? Qué nos va a portar el Conde Lucanor? Qué valores tenemos que tener en mente al leerlo? Don Juan Manuel va conseguir crear personajes vivos…creíbles y va a penetrar en la psicología de los personajes. También va a ofrecernos a personajes de distinto estrato sociales y al plantearnos sus mansiones lo va a hacer teniendo en cuenta verosimilitud, o sea verosímil, que sea creíble lo que se está contando. En unos de los cuentos que vamos a leer veremos un ejemplo de cómo logra verosimilitud, o sea creíble. Va a escribir con técnicas realistas, al concretar los detalles y al justificar los comportamientos de los personajes, de actuar con realismo. HUMOR En el Conde Lucanor vamos a encontrarnos con el “humor suave” que nos lleva a la sonrisa! PROPÓSITO MORALIZANTE Don Juan Manuel tiene en cuenta y quiere transmitir lo que está bien y lo que está mal, cómo debemos actuar, que debemos tener en cuenta en la vida: hay un propósito moralizante. La obra va a ver consejos de Patronio al Conde, consejos que nos ** en cuanto a cómo debemos actuar en las relaciones humanas. CUENTO V Lo que sucedió a una zorra con un cuervo que tenía un pedazo de queso en el pico Don Juan Manuel no va a ser original. Ya está algo similar en Pedro y también en el arcipreste de Hita en el Libro de Buen Amor…lo importante es que Don Juan Manuel lo va a hacer de forma personal y va reescribir su propia versión. Vamos a ver el cuento, fijándonos en dos cuestiones: en primer lugar, según lo que vamos a leer, vamos a ver si podemos ir marcando el esquema (pregunta, cuento, enseñanza, intervención de Don Juan Manuel en 2 versos) o sea ver esta estructura y si la vamos a encontrar; y que podemos destacar de la forma en que razona su argumentación, la zorra. A ver como razona la zorra. Que podemos destacar del razonamiento de la zorra? Cómo va razonando para convencer al cuervo? No se limita a decir cosas buenas al cuervo, sería muy sencillo, hace algo un poco más complejo…dice también sus defectos; porqué si lo que quieres es alabarlo/convencerlo de que cante, esta utilizando verdades a medias, le habla de los defectos porqué lo que está utilizando es la retórica, está utilizando una manera más compleja de engañarlo, complejidad racional de ESTRUCTURA • Primera parte (coplas 1 a 13): consideraciones sobre al fugacidad de la vida. • Segunda parte (coplas 14 a 34): ejemplos de personajes históricos. • Tercera parte (coplas 25 a 50): exaltación de la figura paterna. Lo que va a hacer es hablar de manera muy personal, de manera muy autentica, y de manera muy atinada también sobre esos temas…pero son temas que ya están por supuesto. • Lázaro Carreter y Tusón señalan que estos pies quebrados sugieren un ritmo funeral. • Se ha definido las Coplas como sermón funeral, y, como indican Pedraza Jiménez y Rodríguez Cáceres, las Coplas son “eso [un sermón funeral] y mucho más”. • Como afirmó Luis Cernuda, en las Coplas hay un “perfecto dominio del pensamiento sobre la palabra.” Luis Cernuda poeta de la generación del 27, la generación de García Lorca, Rafael Alberti… • Uno de los principales valores del poema es su lenguaje coloquial y directo. • Las Coplas tienen “un tono sobrio, esencial, aparentemente simple” y “sorprende esa concisión, esa llaneza en medio de la hojarasca cultista o trovadersca que inunda la poesía del siglo XV” (Pedraza Jiménez y Rodríguez Cáceres). • Por eso las Coplas se encuentran tan cercanas a nuestra sensibilidad actual… • La belleza de las estrofas 16 a 24… • El poeta desarrolla el tópico del “ubi sunt”? Limitándose a nombrar “realidades que impresionaron sus sentidos y que la muerte a deshecho” (Pedraza Jiménez y Rodríguez Cáceres): “Qué se hizo aquel trovar, las músicas acordadas que tañían?”. • En las coplas son importantes las antítesis: “vida/muerte”, “juventud/senectud”, “emperadores/ pastores”… • Poco adjetivos y muy bien usados. • Y en cambio muchos sustantivos y verbos. LAS TRES VIDAS • En la Edad Media se creía en dos vidas: la presente y la futura en el cielo. En cambio, con la llegada del Humanismo, se va extendiendo la idea de que hay tres vidas: la terrenal, la de la fama y de la eterna. • Señalan Lázaro Carreter y Vicente Tusón que habría por tanto “un modo de perduracion gloriosa: el heroísmo, la perfección religiosa, en las artes y en las ciencias”. • El poeta exalta, como ocurrirá en el Renacimiento, esa vida de la fama, aunque deja claro que la mejor de las tres es la vida celestial (estrofa XXXV: “aunque esta vida de honor…”). • El poeta aborda la muerte del padre con serenidad, entereza y gran sobriedad. Destacan la sencillez, la hondura, el sentimiento humano verdadero que expresa. TÓPICOS • Tempus fugit (fugacidad del tiempo, ya en Virgilio…En las Coplas: daremos lo no venido por pasado) • Ubi sunt? (Qué se hizo el rey Don Juan?) • La vida como río (vita flumen) (Nuestras vidas son los ríos…) los ríos o sea la muerte. MÁS TÓPICOS • Homo viator (la vida es un camino con destino la muerte, el hombre como peregrino). • Vida de la fama (pero de importancia relativa, pues la vida celestial es superior). 12/12/2022 In un articolo del 6 Settembre del 1980 (Menendez Pidal) sul quotidiano La Repubblica, Carmelo Samonà nel presentare una delle tante traduzioni ?! Mentre per la Celestina abbiamo una sola traduzione in italiano; nel Lazarillo ci si sono cimentati molti studiosi…in quegli anni Rosa Rossi ne fece una traduzione per **. L’ultima traduzione che abbiamo è quella di Antonio Gargano, il manuale da me scelto. Carmelo Samonà - il pubblico italiano scriveva del Lazarillo “Un povero mugnaio processato per furto ed esiliato, una madre vedova che fa la lavandaia per tirar su i figlioletti, un bambino orfano e denutrito che si mette a servizio di un mendicante cieco, di un prete sordido e avaro e di uno scudiero millantatore e povero, ed è costretto a subire ogni sorta di privazioni e di angherie... Potrebbero essere gli ingredienti tipici di un romanzo ottocentesco, magari d'epoca vittoriana, destinato alla proba commiserazione dei lettori borghesi e al pianto delle giovinette. Invece sono i personaggi, e i primi avvenimenti, di un capolavoro della narrativa classica, spagnolo e non inglese: il Lazarillo de Tormes, dato alle stampe verso la metà del Cinquecento e rivolto a un pubblico più incline, con ogni probabilità, a divertirsi e a sorridere beffardamente che a versare lacrime”. E qui c’è tanto, non dico tutto, di questa opera che del ‘500 cambia le sorti della narrativa Europa e si capisce. Samonà ne fa una sintesi molto agile: quindi il protagonista è un bambino povero, figlio di genitori umili, che si mette al servizio di vari padroni subendovi le angherie. Questa storia ci ricorda tanto il romanzo inglese dell’epoca vittoriana; ci riferiamo al 1749 con Tom Jones, ma anche a Dickens 1830 e via dicendo. Centralità dell’infanzia, protagonista assai giovane e nell’Inghilterra a cavallo fra 800 e 900 della pre industrializzazione. Questa sintonia fra il Lazarillo ed il romanzo di epoca vittoriana, non è una sintonia dovuta a delle semplici coincidenze, è una vera e propria linea di…cioè scrittori inglesi utilizzarono il Lazarillo e la ‘picaresca’ come dei modelli, certamente in un caso (come dice Samonà) ci troviamo di fronte ad un’operetta di una 50ina di pagine con una grande dimensione anche ironica, è un testo che pur fotografando la realtà di quei tempi, e siamo a metà ‘500, con spirito critico, in realtà si dimostra un’opera leggera, anche divertente, comica… La picaresca poi, dopo il Lazarillo, si incamminerà verso una narrazione di storie diciamo tragiche ma il capostipite di questo genere, che così si riesce ad imporre con tanta forza nel panorama letterario della sua epoca e delle epoche a venire, in realtà se dovessimo appunto ripetere e dire quale ne è la caratteristica: un realismo critico, ma di carattere assolutamente volto all’intrattenimento, alla leggerezza. Del Lazarillo de Tormes abbiamo 4 edizioni simultanee, cioè uscite tutte nello stesso anno…anzi negli anni ‘90 del 900 ne conoscevamo soltanto tre ed erano quelle di Alcalá de Henares, Burgos e di Anversa; grazie ad un sorprendente rinvenimento si è aggiunta anche l’edizione di Medina del Campo…edizione ritrovata durante i lavori di ristrutturazione di una abitazione…nel buttare giù un muro, ritrovarono una biblioteca ed in questa biblioteca c’era un’edizione sconosciuta del Lazarillo de Tormes. Già le modalità di questo rinvenimento fanno capire come il Lazarillo circolasse, a causa della filografia?? impietosa potremmo dire del padre delle istituzioni (poi capiremo meglio), circolò certamente dopo i primi anni e a causa anche della sua grande fortuna che ebbe circolò in forma clandestina; il fatto che sia stato ritrovato in una biblioteca murata accanto ad altri testi, di natura vagamente eterodossa, trattati di magia per esempio…fa capire come l’opera continuasse a circolare però di nascosto. Qui abbiamo l’edizione di Alcalá de Henares che raffigura Lazzaro con dei padroni, in questo caso il padrone è il cieco, il primo padrone di Lazzaro. E quindi in questa edizione questo trattato, in cui si narra di Lazzaro con il cieco, viene ritenuto il più importante. Nell’edizione, invece, di Medina del Campo anche si ripete questo stesso motivo, Lazaro, il bambino con il cieco. Nella terza edizione, quella di Burgos, viene messo in risalto il protagonista, di nuovo Lazarillo ed il suo interlocutore e cioè l’anonimo “Vuestra Merced” al quale si rivolge tutto il discorso di questo personaggio…e poi all’esterno una città, Toledo. Queste edizioni simultanee del 1554 sono le prime edizioni? Probabilmente no, probabilmente se ne suppone una precedente del 1550 o del 1552 da cui deriva l’edizione di Burgos e a loro volta le tre edizioni di Anversa e di Medina che hanno errori comuni. Quando parliamo di Lazarillo siamo autorizzati a parlare di ‘picaresca’, cioè con Lazarillo inizia il genere di grande successo definito come ‘picaresca’; non è facile riassumere quali siano le caratteristiche, perché un’opera è picaresca e l’altra no, intanto diciamo che il termine ‘picaresca’ ai tempi del Lazarillo non era un termine noto/conosciuto, in realtà sulla scia del Lazarillo uno scrittore del ‘600 che si chiama Mateo Aleman, intuendo la grande fortuna che la struttura narrativa di quest’opera poteva avere verso i lettori a causa della fortuna che stava riscuotendo, decide di riutilizzare quella stessa struttura su scala maggiore, il Guzmán de Alfarache è cioè oltre le 200 pagine, però ne sfrutta la ricetta ed intitola l’opera “Vida del pícaro Guzmán de Alfarache” - è proprio in questo titolo che il termine ‘picaro’ viene impiegato per la prima volta…a qualificare questo personaggio letterario. Retrospettivamente il termine verrà poi, anche con fini editoriali, a partire dalla pubblicazione del Guzmán prima parte 1599, seconda parte 1602, gli editori cominciarono a pubblicare il Guzmán ed il Lazarillo, proprio per calcare la fortuna di questa seconda opera, e ad includere entrambe le opere in un genere unico e cioè la ‘picaresca’. Lazarillo de Tormes quando diede vita a questa narrazione, diciamo lavorava senza prodromi (preludio/premessa) cioè senza modelli, o quantomeno senza modelli così affidabili…quindi quando Lazarillo de Tormes viene pubblicato a metà del 500 ha carattere di assoluta novità, forse questi caratteri di assoluta novità già soltanto da quella trama che abbiamo letto di Carmelo Samonà…quando diciamo che ci imbattiamo a metà del 500 in un romanzo che ha come protagonista un povero orfanello, Lázaro, se pensiamo alla narrativa ma anche alla letteratura che abbiamo studiato finora, ci rendiamo perfettamente conto com’è la prima volta che un personaggio di origine assai umili, se non anche discutibili, e poi lo vedremo, assurge al protagonista di una storia. Se soltanto limitassimo il nostro orizzonte, la nostra visione alla narrat iva contemporanea, dovremmo r icordare che poco pr ima del Lazar i l lo, contemporaneamente al Lazarillo, la scena editoriale era diciamo occupata dalle ‘novelas sentimenales’ (Celestina) cioè la storia di un cavaliere innamorato ma dal destino tragico ed i libri di cavalleria dove troviamo un cavaliere innamorato che però di fronte al filone dell’amore si sviluppa il filone dell’avventura, storie assai astratte perché collocate in tempi ignoti, cosi remoti, degli spazi assolutamente favolosi, personaggi principi, regine…una narrativa idealista. Invece per il Lazarillo dobbiamo parlare di ‘realismo’, quel realismo che poi Menendez Pidal dice essere ‘una caratteristica chiave della letteratura spagnola’. Se gli scrittori dell’800 si rivolsero alla picaresca, si rivolsero alla picaresca per una sintonia di ‘cosmovisión’. Quando parliamo dell’Oliver Twist (Charles Dickens), del Tom Jones o di Copper stiamo parlando di romanzi che si sviluppano all’interno di una poetica realista, anche quelli erano romanzi di denuncia, cosi come lo è il Lazarillo…quindi si rivolgono alle prime opere che a loro sembrano proporre per la prima volta una rappresentazione fedele/intenzionale dei contesti storici/sociali/reali. Quindi potremmo dire che con il Lazarillo de Tormes inizia il romanzo realista…è inizio di tante cose, in quanto inizio di romanzo realista è anche inizio del romanzo moderno, perché quando si parla di romanzo moderno si parla appunto del romanzo realista, potremmo anche dire che il bambino all’interno del romanzo cresce e Lazarillo de Tormes è il modello del romanzo di formazione, il, bambino adolescente che attraverso una serie di delusioni ed esperienze giunge alla maturità. Quindi è l’inizio di tante cose che ovviamente contiene assolutamente in germe, in qualche modo segnò uno spartiacque fra il romanzo ‘antico’ (nel senso di tutto quello che viene prima) ed il romanzo moderno. Chi è il picaro? E’ una creatura bajo, di umili condizioni, ruibide, doloso, falto de amor, senza dignità e vergogna. Certamente Lázaro è questo e non è questo, sarà poi il picaro come invece emergerà nel Guzmán de Alfarache 1599 (2° romanzo) e poi nel Buscón di Francisco de Quevedo 1628 (3° romanzo per importanza). Ma la picaresca come genere non morirà mai, la sua fortuna continuerà nella letteratura spagnola ad essere cavalcata fino al ‘900, quindi è un genere che (un po’ come la Celestina, avrà una grande fortuna in Spagna. Il picaro non è un personaggio cosi disperato/negativo però saranno questi gli aspetti: le origini umili, l’essere smaliziato per dover sopravvivere e se la dovrà cavare nell’ astuzia…però il termine picaro che però poi è rimasto nella letteratura spagnola (ed anche italiana) è rimasto vivo il termine ad indicare il giovane che diventa uomo che riesce a sopravvivere grazie alla furbizia e ai numerosi espedienti ai quali ricorre. El Buscón - Francisco de Quevedo - la traduzione che si è data in italiana è stata “Il trafficone”, colui che si imbusca per sopravvivere. NB!!! I critici si sono tanto chiesti quali e quanti romanzi possono essere inclusi in questo genere letterario. Perché? Perché un’opera sia annoverata all’interno della picaresca, basta che il personaggio sia un pícaro? Ci sono romanzi di tema picaresco e romanzi picareschi: noi Se la classe sociale più presa di mira è la chiesa, il tema ricorrente all’interno del Lazarillo è la fame. Lázaro muore di fame, rimane per 3/4 della sua storia senza mangiare…e poi però ce la fa, e vediamo a che prezzo ce la farà. Ma in questo caso vediamo che al servizio del cieco ci sta per 1 anno e questo anno ci viene raccontato in 17 pagine. Dal cieco passa al prete avaro, il famoso clérigo de Maqueda, presso cui sta 6 mesi che vengono narrati in 15 pagine. Presso lo scudiere passa 15 giorni che vengono narrati in 20 pagine. Poi diventa tutto più rapido 8 giorni con il frate della Mercede che vengono raccontanti in 1 pagina, 4 mesi con il Buldero che vengono raccontati in 7 pagine, 4 mesi con il pittore ed il cappellano che vengono raccontati addirittura con una sola pagina ed ancora Lázaro adulto, l’ultimo trattato, 3-4 pagine. Da questo schema risalta intanto che il padrone al quale verrà dedicata più importante sarà lo scudiero. Il rapporto fra Lázaro e lo scudiero è un rapporto molto speciale perché se con gli altri alitri padroni si instaura una guerra, loro che gli sottraggono il cibo, lui che invece assalta i luoghi del cibo per potersi sfamare e quindi mette in atto una serie di strategie per sopravvivere; con lo scudiero c’è un capovolgimento del rapporto: lo scudiero è un morto di fame quanto Lázaro, solo che fa finta di invece di stare bene. ** Aneddoto curioso: lo scudiere che sulla porta di casa con uno stuzzica denti si pulisce i denti come se avesse mangiato invece sono giorni che non mangia. Lázaro è intenerito da questo padrone, sfortunato come lui, affamato come lui ma che non può andare a mendicare perché se lo facesse perderebbe il proprio ‘status’. È l’unico trattato in cui Lázaro invece di essere sfamato dal padrone, va a chiedere l’elemosina per poter nutrire anche il suo padrone. In alcuni passaggi di questo tratto si intuisce proprio l’empatia fra il bambino e l’hidalgo che ha fatto pensare ai critici che l’autore del Lazarillo appartenesse a questa classe sociale: nel senso che la descrive cosi bene, è cosi partecipe di questa condizione che…il problema del chi sia l’autore del Lazarillo è rimasto assolutamente aperto, tra le tante ipotesi di nomi e cognomi concreti o di profili c’è quello di un “hidalgo pobre”. Quindi certamente maggior importante viene dedicata a questo trattato, dove noi notiamo anche che il bambino sta crescendo; quindi la cosa importante di questo romanzo è che non ci troviamo più difronte a dei tipi narrativi, il picaro (=monello) bambino furbo/ smaliziato…NO! Il pícaro è un personaggio che noi vediamo crescere, riflettere ed arrivare al terso trattato in cui gli notiamo anche una certa maturità, è un personaggio in continua evoluzione. Quando lo leggiamo ci sembra di leggere due storie diverse perché nei primi tre trattati noi leggiamo una certa storia, narrata in un certo modo, con una fabulazione ricca, un personaggio “in progress” che va maturando e poi ad un certo punto assistiamo quasi ad un cambiamento di modello perché a partire dal IV trattato tutto è estremamente più stereotipato nel senso che Lázaro quasi scompare, più che altro ci racconta con poche parole quello a cui assiste, è cresciuto…ma soprattutto diciamo che il Lazarillo passa alla storia per i primi tre trattati e non per i restanti quattro. Cosa sia intervenuto non lo sappiamo ma certamente c’è un certo scadimento a partire dal quarto trattato…da qui in poi sia Lázaro che i padroni ci appaiono, più che dei personaggi a tutto tondo, schiacciati, invece, su una dimensione folclorica della narrazione. **se per la celestina si parla di una doppia mano che scrive…per il Lazarillo si parla di un anonimato piuttosto resistente. Diego Hurtado de Mendoza è uno di quei nomi che ha resistito per più tempo e che tuttora a volte compare nelle edizioni del romanzo, che non appare dunque come ‘anonimo’. Perché è stata fatta questa ipotesi? Perché c’è un’altra testimonianza di un altro frate, José de Siguenza, che racconta nel 600 che alla morte di Diego Hurtado de Mendoza gli fu trovato nella cella, o forse addirittura fra le mani, una edizione manoscritta di Lazarillo de Tormes. Lazarillo de Tormes viene pubblicato nel 1554 ma la storia che ci racconta in che epoca è ambientata? Pur essendo un’opera estremamente realista, in realtà non abbiamo moltissimi appigli all’interno, abbiamo soltanto tre momenti nei quali riusciamo a riconoscere in quello che ci dice Lázaro degli eventi storici che possiamo considerare “post quem” siccome li racconta, allora il Lazarillo deve esser stato scritto per forza dopo. Il primo di questi eventi che ci viene narrato è in un passaggio a pagina 116 del romanzo, dunque primo trattato, e ci si racconta di quando la madre di Lázaro affida quest’ultimo al cieco e dice cosi: “En este tiempo vino a posar al mesón un ciego, el cual, pareciéndole que yo sería para adestralle, me pidió a mi madre, y ella me encomendó a él, diciéndole cómo era hijo de un buen hombre, el cual, por ensalzar la fe, había muerto en la de los Gelves, y que ella confiaba en Dios no saldría peor hombre que mi padre” quindi si fa accenno a Gerba, alla battaglia di Gerba (1510) nella quale il papa di Lázaro sarebbe morto per il trionfo della fede. L’altra data si trova nel secondo trattato in cui Lázaro sostanzialmente dice che muore così di fame che soffre più del re di Francia. Gli studiosi ritengono che questo accenno alle sofferenze del re di Francia faccia riferimento alla battaglia di Pavia (pavía) del 1525 in cui Francesco I di Francia fu fatto prigioniero da Carlo V. Pagina 155 - “Y con aquello algún tanto consolado, tornando a cerrar, me volví a mis pajas, en las cuales reposé y dormí un poco, lo cual yo hacía mal, y echábalo al no comer. Y así sería, porque cierto, en aquel tiempo, no me debían de quitar el sueño los cuidados del rey de Francia”. L’ultimo riferimento lo troviamo nell’ultimo trattato. Pagina 220 - “Esto fue el mesmo año que nuestro victorioso emperador en esta insigne ciudad de Toledo entró y tuvo en ella Cortes y se hicieron grandes regocijos y fiestas”. La struttura del romanzo è una struttura circolare. Quando diciamo che il Lazarillo ha una struttura circolare lo diciamo perché nel prólogo sono contenuti degli indizi in cui noi troviamo la risoluzione soltanto nel trattato finale in cui ci viene spiegato qualcosa che nel prologo viene solo anticipato. NB!!! PRÓLOGO - ULTIMO PARAGRAFO “Vuestra Merced” è un pronome di cortesia. Lázaro lo supplica di ricevere il “povero omaggio”. Evidentemente all’autore del Lazarillo è stato chiesto (NB!) di scrivere/raccontare il “caso” e lui lo fa. E ci dirà che lo farà dall’inizio perché lei abbia intera notizia della sua persona, sennò non capirebbe…etc etc etc. NB!!! TRATADO 7 - Lazaro è contento perché riesce ad ottenere un impiego reale, quello che noi oggi definiremmo un impiego statale, farà il banditore. Quindi qual è il “caso” sul quale Lázaro deve fare luce e sul quale Vossignoria gli chiede di rendere conto? Lazaro è diventato banditore grazie all’arciprete di San Salvator che gli ha dato in sposa la sua servetta, oltre ciò gli trovò una cosa, nei giorni di festa stanno insieme…insomma vivono in modo assolutamente soddisfacente ma circolano delle voci nella città che dicono che lei entra ed esce di giorno e di notte dalla casa dell’arciprete e che lei è stata incinta 3 volte di lui e quindi il caso è quello del “ménage à trois”, dunque un caso di lenocinio. Un caso censurabile moralmente ma anche condannabile giuridicamente sia dalla parte dell’ arciprete e sia da parte di Lazzaro accusabile di lenocinio cioè di tenere la moglie per profitto. **questa è una delle letture proposte da Francisco Rico sul ricorrere del termine “caso” dal prologo al settimo trattato, “Vuestra Merced” idem e che quindi la giustificazione è quella di Lázaro che dice “sono arrivato qui, a queste condizioni, perché provengo da lì” quindi ci racconta quella che per lui è un’ascesa sociale ma in realtà quello che ci sta raccontando è un processo che lo porta al disonore e cioè a vendere il proprio amore a cambio del profitto.
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