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Scapigliatura, verismo, decadentismo, Appunti di Italiano

Argomenti trattati: scapigliatura, naturalismo, verismo, simbolismo, decadentismo, estetismo, Verga, Pascoli, Pirandello

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 16/09/2022

vittoriaam
vittoriaam 🇮🇹

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Scarica Scapigliatura, verismo, decadentismo e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IL SECONDO OTTOCENTO Il ruolo della scienza nel secondo 800 fu molto importante poiché determinò l’applicazione dei metodi scientifici nella letteratura (verismo e naturalismo); l’obiettivo era quello di ritrarre nei romanzi in maniera oggettiva l’intera società, e per questo si ricorse al ciclo, ossia una serie di romanzi legati tra loro, ciascuno dei quali rappresenta un aspetto della vita e della società contemporanea. Nasce la figura dell’artista scienziato, che vuole ritrarre in maniera fotografica e oggettiva la realtà, e analizza il comportamento umano in base alla razza, al momento storico e all’ambiente sociale. Nasce anche una letteratura fantastica attenta agli aspetti paranormali e occulti della realtà. In Francia si svilupparono contemporaneamente diverse correnti: ● il positivismo, che apre le porte al realismo e si divide in due fasi: 1. modello Flaubert 2. naturalismo di Zola ● decadentismo (Baudelaire) ● realismo (Flaubert) In Italia avviene il passaggio dal romanticismo alla scapigliatura, e si sviluppano poi delle correnti che sono consecutive: ● scapigliatura anni 60 ● verismo anni 70-80 (versione italiana del naturalismo) ● decadentismo anni 90 In letteratura verismo e decadentismo si sovrappongono (es. Pascoli e d’Annunzio) LA SCAPIGLIATURA In seguito alla delusione delle speranze risorgimentali, si sviluppò il movimento letterario della scapigliatura, caratterizzato da un acceso spirito di rivolta e che si pose come obiettivo quello di criticare l’intera società italiana postunitaria, in particolare la borghesia, infatti è detta scapigliatura democratica di spiriti antiborghesi. La scapigliatura nasce negli anni 50 a Milano e Torino (con l’opera di Cletto Arrighi La scapigliatura e il 6 febbraio) e conosce la sua maggiore fioritura nel primo ventennio dell’Italia postunitaria. Alla scapigliatura è legato uno stile di vita eccentrico, sregolato, stravagante e anticonfromista, simile a quello della bohème parigina (vita da zingari), che costò a più di uno scapigliato una morte prematura. Modello d’arte e di vita della scapigliatura fu Charles Baudelaire, denominato il poeta maledetto in quanto condusse una vita sfrenata, trasgressiva, stravagante e sregolata: consumava sostanze stupefacenti, frequentava bordelli e prostitute e per questo si ammalò di sifilide, che lo portò ad una morte prematura; voleva esagerare e provare tutte le ebbrezze per sfuggire alla noia, detta spleen. Baudelaire subì inoltre un processo per l’accusa di blasfemia, ma la sua grandezza artistica è innegabile, è fondamentale in quanto ha aperto le porte al decadentismo e fa da ponte al concetto di poeta veggente. Baudelaire scrisse I fiori del male, libro che creò scandalo e infatti fu sequestrato, in quanto celebrava la bellezza di azioni però depravate e sataniche. Si pose come il campione della rivolta antiborghese, infatti la modernità aveva trasformato la società in una massa anonima e priva di principi. Baudelaire documenta l’estinzione del poeta vate, cioè del custode dei valori tradizionali che si pone a guida del popolo, ma che ora non è più richiesto dalla società moderna. I temi principali della scapigliatura sono: ● il dualismo fra bene e male, che si confondono, lo stesso personaggio può per esempio essere orribile e stupendo allo stesso tempo ● il genere fantastico, nel quale realtà e immaginazione si confondono (sogno, allucinazione, spiriti, reincarnazione, magnetismo, telepatia…) ● il macabro, che adotta le strategie dello scandalo e dello shock (ricorrente il tema della giovane morta) ● la pittura dei bassifondi cittadini, dove si trovano gli emarginati, allo scopo di denunciare le ingiustizie sociali Il linguaggio è caratterizzato dallo sperimentalismo linguistico, riflesso della ribellione scapigliata contro le regole del buon costume, dallo straniamento e dall’espressionismo linguistico, ossia un registro linguistico irregolare, acceso ed espressivo. La scapigliatura si colloca tra le tre più importanti poetiche del’800, ossia romanticismo, verismo e decadentismo, ed è stato suo merito averle fatte dialogare: ● ereditò dal romanticismo gli ideali, il gusto del patetico e del sogno e le atmosfere notturne ● aprì la strada al verismo con la ricerca di una verità che mettesse in luce i drammi e i problemi dell’umanità ● il rapporto conflittuale con la società borghese, la sensibilità dei personaggi e l’interesse per l’anima preannunciarono il decadentismo L'albatro Il testo fa parte della prima sezione dei fiori del male intitolata spleen e ideale. Il poeta viene paragonato a un albatro, uccello marittimo forte quando dispiega le proprie ali in cielo, ma goffo quando si posa sul ponte delle navi, fuori dal proprio habitat naturale e zimbello dei marinai; questo ricorda a Baudelaire la condizione del poeta romantico nella società moderna, in quanto la sua patria è il cielo, dove si coltivano gli ideali, e non riesce ad adattarsi alla volgarità e all'insensibilità della gente comune. Il poeta soffre della sua inettitudine, a cui però non esiste rimedio, poiché la società è troppo intenta alle proprie lotte per aprirsi alla bellezza della poesia, e nell’età moderna quindi il poeta vive straniero e solo, come se fosse in esilio. Il poeta dichiara il ruolo che ha all’interno della società = con l’avvento del progresso e della società di massa diventa incompreso, inascoltato, sbeffeggiato, perde la sua superiorità e quindi preferisce prendere la strada di una vita sregolata. Corrispondenze Questo testo è considerato una sorta di manifesto del simbolismo, della poetica dell’analogia e della visione mistica del mondo; infatti la natura è presentata come un tempio (ma il punto di vista non è religioso), gli oggetti parlano e il profumo è associato al trasporto della mente e dei sensi. La teoria delle corrispondenze stabiliva l’esistenza di strette analogie tra le varie forme dell’essere, quindi le cose del mondo sensibile erano parvenze del mondo celeste; da ciò il loro valore simbolico che riflette, è il segno di qualcos'altro, ed è proprio il poeta che deve tradurre questi simboli della natura all’uomo comune. IL SIMBOLISMO Il simbolismo nacque come reazione al materialismo della cultura positivista, che pretendeva di dare a tutto una spiegazione scientifica e accentuò il sentimento del mistero in cui si trovavano immerse tutte le cose. Venuta meno la fiducia nella scienza, all’opera d’arte si richiedeva di esplorare l’inconoscibile, in quanto la scienza non sapeva spingersi oltre la realtà fenomenica e restava ancorata al mondo fisico, mondo che ormai aveva perso valore rispetto all’universo oltre quello naturale, a cui la scienza non ha accesso. L’esperienza dell’assoluto venne dunque riservata esclusivamente all’arte. Il primo dei poeti maledetti fu Rimbaud, che fece del poeta un veggente, che riceve un’illuminazione, un'apparizione o un'epifania (verità profonda che gli si rivela inaspettatamente) attraverso un semplice oggetto, che appunto nasconde un significato metafisico. Ma questa verità che si mostra al poeta veggente è intraducibile a parole (stessa impotenza verbale di Dante nel paradiso). L’unico modo per poter tradurre la voce divina è la musica, ritenuta l’unico linguaggio capace di rivolgersi direttamente all’anima. La poesia diventa così fonosimbolica, ossia affida il proprio messaggio da decifrare al ritmo e alla sonorità delle parole. Vengono utilizzate spesso la metafora, la sinestesia, l’ossimoro e soprattutto il simbolo, cioè un’immagine in cui si sovrappongono più significati, che però sono segreti e indecifrabili, e questo provoca un’impressione di oscurità e mistero. La poesia simbolista è oracolare poiché si presenta come una vocazione, che è privilegio e tormento allo stesso tempo. In Italia il poeta più vicino al simbolismo è Giovanni Pascoli, per il taglio evocativo e l'apertura al senso del mistero, mentre Gabriele d’Annunzio raggiunse esiti di straordinario virtuosismo musicale. IL DECADENTISMO E L’ESTETISMO Verso la fine dell’800 l’interesse e la fiducia nella scienza iniziarono a vacillare poiché essa venne accusata di aver deluso le aspettative e di non aver saputo mantenere le sue promesse, ossia liberare gli uomini dal dolore. La sua concezione materialistica non appagava più e così nacque una forte reazione al positivismo. In questo clima culturale, detto decadentismo, si diffuse il sentimento di essere entrati in una fase di irreversibile decadenza, e di essere quindi vicini alla fine della civiltà umanistica. Con l’espressione fin de siècle infatti si alludeva proprio a questo sentimento della fine. Nel poema Edel di Bourget viene ritratta la figura dell’uomo decadente, cioè un uomo al limite del vizio e della follia, che non ha più fede in nulla e cerca di affogare la noia che prova (spleen) nei piaceri più raffinati, cadendo così nel cattivo gusto. Come reazione alla mentalità positivista e borghese, che aveva causato uno scadimento del gusto e dei costumi sociali, nacque l’estetismo, che tributò un culto idolatrico alla bellezza come valore supremo; in una società in cui dominavano la volgarità, l’ignoranza e il cattivo gusto, la bellezza divenne inoltre un segno di distinzione sociale. Le opere d’arte erano discriminanti perché mostravano l'esistenza di un’élite che aveva il privilegio di godere della bellezza; un’opera d’arte era tanto più preziosa quanto rara, e molti artisti esteti furono anche collezionisti d’arte. Questa reazione al decadimento del buon gusto produsse due figure tipiche dell’estetismo: lo snob e il dandy. Lo snob è un uomo che ricerca l’assoluta originalità e prova invece disgusto per ciò che è accessibile a tutti, che si comporta all’opposto di come fanno tutti gli altri, fino a diventare stravagante, se necessario, ma pur sempre rimanendo elegante. Il dandy invece è un uomo che cura soltanto l’apparenza, che non sa che cosa sia la naturalezza e che costruisce la propria immagine per apparire bene in pubblico, incarnato dal poeta Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Gray). Altro maestro dell’estetismo è Walter Pater, che diffonde l’ideale di trasformare la vita in un’opera d’arte; l’arte quindi non deve più essere materia inanimata, non deve esistere più solo nell’immaginazione del lettore, ma deve concretizzarsi nella sua persona storica. Questa fu la massima aspirazione di Gabriele d’Annunzio, campione italiano dell’estetismo fin de siècle, a cui si deve l’introduzione dell'estetismo in Italia grazie al suo romanzo Il piacere. La vita, essendo concepita come opera d’arte, aveva il solo compito di ricercare il bello e di generare bellezza, e perfino la politica finì per rispondere a una funzione esclusivamente estetica (si assiste così al rovesciamento dei presupposti romantico-risorgimentali). La figura più caratteristica dell’estismo è la femme fatale, perfida sedutrice che utilizza il suo fascino come arma per soggiogare e sottomettere gli uomini, portandoli al delirio. VERGA Giovanni Verga nasce a Catania (Sicilia) nel 1840 da una famiglia agiata e in parte nobile, il nonno era stato il capo della carboneria di Vizzini, quindi Verga cresce in un ambiente liberale rispetto al governo borbonico e sviluppa uno spirito risorgimentale (= opere a sfondo patriottico e di impronta scapigliata influenzate dalla scuola di Antonino Abate). Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Catania senza però mai conseguire la laurea, e si arruola nel 1860 nella guardia nazionale, istituita dopo l’arrivo di Garibaldi nell’isola; contemporaneamente fonda e dirige il settimanale politico Roma degli italiani, di orientamento unitario e vicino al radicalismo garibaldino. Per uscire dalla marginalità culturale della Sicilia e inserirsi nel mondo letterario nel 1865 si reca a Firenze, divenuta capitale d’Italia, dove incontra Luigi Capuana, con il quale nasce un sodalizio umano e intellettuale; inoltre a Firenze inizia la sua fama nazionale grazie all’aiuto di Francesco Dall’Ongaro, che gli permette di pubblicare il romanzo epistolare Storia di una capinera, e che mette in contatto Verga con i drammi e le frivolezze di una società d’alto bordo, da cui trae ispirazione per per la stesura di una serie di romanzi che avrebbe caratterizzato la sua seconda stagione narrativa. Si trova in Sicilia nel 1867 quando scoppia un’epidemia di colera che lo obbliga a lasciare Catania e il cui scenario sarà presente più volte nella narrativa di Verga. Poi si trasferisce a Milano, che grazie al gruppo scapigliato era diventata la capitale letteraria dell’Italia; qui ha accesso ai salotti più prestigiosi e frequenta abitualmente il caffè Cova, noto ritrovo di scrittori e artisti, dove conosce i principali esponenti della scapigliatura. L’ambiente milanese è molto aperto a istanze europee e gli permette di mettersi in contatto con il realismo europeo e in particolare con quello francese, ossia il naturalismo. Nel 1874 pubblica un bozzetto siciliano, Nedda, ambientato nell’ambiente di sfruttamento e miseria delle campagne siciliane. Il grande successo che riscontrò invoglia Verga a cimentarsi di nuovo con il mondo siciliano, infatti nello stesso anno uscì un bozzetto marinaresco, Padron ‘Ntoni, primo nucleo dei futuri Malavoglia, che costituì un modello per le opere veriste successive. Nel 1878, con l’uscita della novella Rosso malpelo, iniziò la stagione verista di Verga (terza stagione della narrativa verghiana). A quell’anno risale anche la novella Fantasticheria. Nel 1880 fu pubblicata la novella Vita dei campi, e nel 1881 I malavoglia, che segnano l’inizio del progetto poetico di Verga di formare un ciclo di 5 romanzi dal titolo Vinti. La burrascosa relazione con Giselda Fojanesi (era una donna sposata ma il marito venne a sapere del tradimento con Verga) ispirò le scene di Cavalleria rusticana, una novella dedicata al tema della gelosia e del tradimento. Verga esordì in teatro nel 1884 con la compagnia di Cesare Rossi e con la celebre attrice Eleonora Duse; fu un vero successo, tanto che Cavalleria Rusticana divenne anche un’opera lirica. Dopo un periodo di scoraggiamento e di difficoltà economiche, nel 1888 uscì Mastro don Gesualdo, secondo romanzo del ciclo dei Vinti. Negli ultimi anni della sua vita si ritirò definitivamente a Catania, e si avvicinò sempre di più ad un conservatorismo sociale: appoggiò le guerre coloniali in Etiopia e Libia, si iscrisse al partito nazionalista, schierandosi in favore dell’intervento dell’Italia nella prima guerra mndiale e appoggiò con entusasmo l’impresa fiumana di d’Annunzio. Nel 1920 fu nominato senatore del regno. Morì nel 1922 in seguito a una paralisi cerebrale. Il ciclo dei vinti Nella lettera a Paolo Verdura, scritta nel 1878, Verga presenta un progetto, ossia l’intenzione di comporre un ciclo di romanzi, lo mette al corrente che intende orientarsi verso un nuovo tipo di romanzo, e che queste opere saranno poi organizzate in un vero e proprio ciclo, con un titolo, perché aveva di fronte a se il modello di Zola; questo ciclo, doveva comporsi di 5 romanzi, viene intitolato provvisoriamente La marea, ma successivamente sarà cambiato in I vinti. Lo scopo di Verga è quello di rappresentare la vita italiana moderna, e la scala sociale e i diversi ambienti che intende rappresentare vengono delineati in un’altra lettera, indirizzata a Emilio Treves. Il ciclo dei Vinti rimase incompiuto, Verga non riuscì ad andare oltre il Mastro don Gesualdo, il secondo dei romanzi previsti. Questo perché ebbe delle difficoltà tecniche nella scrittura, connesse all’abolizione del narratore onnisciente, che lo costringeva ad eliminare anche l’introspezione; non poteva quindi descrivere pensieri e sentimenti dei personaggi. Scrivendo i Malavoglia non aveva riscontrato particolari problemi poiché trattava di una piccola comunità di pescatori nella quale la psicologia è limitata a sentimenti elementari, mentre negli altri romanzi aveva a che fare con un’umanità sempre più resistente al suo metodo dell’osservazione dall’esterno, e la psicologia dell’alta società diventava sempre più complessa da esprimere. I 5 romanzi avrebbero dovuto legarsi tra loro tramite la ripresa di alcuni personaggi in modo da formare un ciclo non solo tematico ma anche familiare, ma non sono disposti in ordine cronologico (la vicenda dei Malavoglia si svolge nel periodo dell’unità d’Italia mentre quella del Mastro don Gesualdo in epoca risorgimentale). Nella prefazione al ciclo dei vinti Verga espone la propria visione del mondo. Verga è convinto che esista un’identica legge universale che governa i destini umani (fatalismo) e che per questo nessuno debba essere giudicato. Inoltre Verga assume una visione pessimista e immobilistica della storia, in quanto secondo lui il mondo e le persone non possono cambiare (da qui nasce il conservatorismo politico). Verga applica alla società umana le teorie scientifiche sull’evoluzione delle specie viventi, e da Darwin riprende 2 concetti in particolare: quello della lotta per la vita, e quello di un progresso all’infinito, in quanto crede che nei rapporti sociali non esistano pietà e solidarietà ma solamente egoismo, odio e cattiveria, e che si possa migliorare la propria condizione solo a discapito del prossimo. Infatti Verga condivide la visione brutale dell’homo homini lupus di Hobbes, secondo la quale i deboli e i più onesti sono condannati a essere sottomessi dai più forti, i più furbi. La lotta di tutti contro tutti è provocata dalla ricerca del meglio e alimenta lo sviluppo della storia, il progresso. E il progresso è considerato in modo negativo da Verga in quanto causa un susseguirsi incessante e fatale di vittime e di disgrazie, che colpisce senza eccezione tutte le fasce sociali. I Malavoglia Il primo romanzo del ciclo dei Vinti racconta le vicende accadute a una famiglia di pescatori siciliani (Catania) dopo l’unità d’Italia. Contrariamente al soprannome affibbiatogli, i Malavoglia sono grandi lavoratori, escluso ‘Ntoni che invece è pigro e proprio per questo è destinato a diventare l'eroe problematico del romanzo, in quanto i suoi valori sono in conflitto con le regole di vita della sua famiglia. L’interesse economico è il motore principale della vicenda, infatti finché i Malavoglia hanno una casa e una barca sono rispettati e stimati da tutti, mentre quando vanno in rovina vengono emarginati. Tutti i personaggi si curano sempre e soltanto dei propri interessi, non si curano minimamente dei problemi degli altri, l’egoismo viene elevato a morale e c’è una completa assenza della solidarietà, dell’altruismo e della generosità fra uomini. Il romanzo ruota attorno all’attrattiva ingannevole esercitata dal progresso su ‘Ntoni, che non sopporta più di doversi spezzare la schiena ogni giorno per riuscire a sopravvivere e che manifesta un’insofferenza crescente nei confronti del suo duro mestiere di pescatore. ‘Ntoni decide quindi di provare a diventare ricco e intraprende la propria esperienza di vita, un vero e proprio percorso di formazione che però si rivela un completo fallimento. Infatti il mito della ricchezza ha corrotto e degradato ‘Ntoni, spingendolo persino fino all'associazione a delinquere. La sua colpa è stata quella di non essersi accontentato della propria condizione di partenza. Al contrario, suo nonno padron ‘Ntoni incarna perfettamente l’ideale dell’ostrica, delineato nella novella Fantasticheria, che consiste in un principio di attaccamento alla propria terra e alle sue tradizioni, proprio come fa un’ostrica sullo scoglio. Ne deriva una visione statica del mondo, secondo la quale non è possibile modificare la propria posizione sociale (il figlio di un pescatore non potrà far altro nella vita), poiché questa modifica si rivelerà un vero e proprio fallimento dal punto di vista umano. Per essere felice occorre quindi accettare il proprio destino e la propria posizione di partenza. Alla fine ‘Ntoni capisce i suoi errori e si pente, rimpiange la vita dura ma serena del pescatore e per espiare la sua colpa, che è troppo grave per essere cancellata, decide di autocondannarsi a una vita da zingaro e emarginato. Ma non c’è possibilità di redenzione, chi ha sbagliato deve pagare, come nell’antica tragedia greca, secondo la quale chi cerca di sfuggire al fato pretendendo di cambiare o di elevarsi, è inevitabilmente condannato. La ricerca del meglio costituisce per Verga la versione moderna del grande peccato di hybris, ossia di tracotanza. Della tragedia greca Verga adotta anche l’unità di luogo, infatti il teatro principale dell’azione è il piccolo villaggio di Aci Trezza, e di tutto ciò che succede ai personaggi lontano da lì, il lettore non sa nulla. La scelta di restringere il campo è funzionale all’eclissi del narratore onnisciente, che avendo il dono dell'ubiquità è libero di spostarsi dove vuole. Invece il narratore omodiegetico non si sposta mai da Aci Trezza, e può riferire solamente quello che ha visto o sentito. Per mostrare una psicologia in azione e creare ritratti dal vivo dei personaggi, Verga utilizza gestualità e pose teatrali, usanze e mentalità tipicamente meridionali, proverbi e anche soprannomi, che solitamente dichiarano il contrario della vera natura fisica del personaggio, creando ironia. Verga adottò una lingua colloquiale, molto vicina al parlato, che presenta sgrammaticature poiché voleva sia rendere l’illusione completa della realtà utilizzando una lingua locale, sia evitare l’impiego del dialetto in modo da farsi intendere da tutta l’Italia. Mastro don Gesualdo Pubblicato nel 1889 è il secondo romanzo del ciclo dei vinti e racconta la storia di mastro don Gesualdo, muratore che grazie alle ricchezze accumulate inizia una rapida ascesa sociale, per poi morire nell'indifferenza di tutti, mostrando lo scontro tra aristocrazia e borghesia, due mentalità inconciliabili. La prima è immobilistica perché si fonda sulle origini, trae la sua legittimazione dal passato e dalla trasmissione ereditaria, mentre la seconda è dinamica poiché si basa sulla capacità di far fruttare la ricchezza. Verga sottolinea sia i limiti del sistema aristocratico, che consuma ricchezza senza produrne, sia di quello borghese mostrando i risvolti drammatici del sistema capitalistico. Sono presentate sia la figura dell’aristocratico che conta solamente sui privilegi e non si dedica ad alcuna attività economica in quanto la considera disonorevole per il suo rango, sia quella dell’imprenditore (Gesualdo), che invece è sempre in movimento e si dedica totalmente alle sue attività produttive facendo sacrifici e resistendo alla fatica, con l'obiettivo di accumulare ricchezza. Sembrerebbe che lo stile di vita dell'imprenditore sia il più efficace per arricchirsi, ma alla fine tutto torna circolarmente al punto di partenza (la ricchezza torna all'aristocrazia) = ancora una volta è presente una visione immobilistica del mondo. Il protagonista Gesualdo può essere considerato un vinto poiché nonostante la fortuna accumulata, le sue immense ricchezze gli procurano ingratitudine e infelicità; ciò che appariva virtuoso sul piano economico, è invece una colpa sul piano esistenziale, poiché lo priva di qualsiasi dimensione affettiva (= inconciliabilità fra interesse economico e felicità). La roba, se elevata a valore assoluto, porta irreparabilmente alla morte. E in un mondo dominato dall’interesse economico non c’è posto per le passioni (= l’avere distrugge l’essere). Rispetto ai Malavoglia, questo romanzo è ambientato nell’età risorgimentale e racconta le vicende accadute tra i moti del 1820 e la rivoluzione del 48. In questo romanzo Verga cura particolarmente la trasmissione dei tratti somatici e caratteriali. Come nei Malavoglia anche in questo romanzo interviene l’elemento deterministico della nemesi, ossia la punizione degli dei che colpisce l’eroe che ha osato uscire dai ranghi e aspirare al meglio, spingendo la vicenda in una direzione opposta a quella desiderata dal protagonista. Con la morte di Gesualdo tutto torna come prima, la roba che aveva rubato all'aristocrazia rientra nelle mani di un duca; la nemesi ristabilisce quindi l’equilibrio o il disequilibrio di partenza. problematiche sociali nelle sue poesie in quanto il suo obiettivo è quello di esprimere a parole qualcosa che tutti gli altri non sono in grado di dire; rifiuta quindi la poesia civile. Myricae Primo libro poetico di Pascoli, ha avuto una gestazione lunghissima, infatti i primi testi risalgono a quando l’autore era ancora uno studente universitario; è una raccolta di poesie dedicate alla memoria del padre, non a caso le prime Myricae pubblicate sulla rivista fiorentina Vita Nuova, risalgono al 10 agosto 1890, anniversario dell’assassinio del padre. Ci sono varie edizioni, la prima è del 1891, e si trattava di un piccolo libro offerto all’amico Raffaele Marcovigi come regalo di nozze, mentre quella definitiva è del 1911, composta da 156 componimenti di lunghezza varia, distribuiti in 15 sezioni. Il titolo è simbolico, myricae è la forma latina plurale di tamerice, ossia un piccolo arbusto o cespuglio simbolo di un mondo umile, che rimanda alla semplicità della materia trattata e dello stile. Inoltre le campagne dove Pascoli aveva trascorso la sua infanzia erano ricche di tamerici, di fatto Myricae è il libro di quel luogo e di quel periodo della sua vita. La parola latina fa anche riferimento all’incipit delle bucoliche di Virgilio, che conteneva una dichiarazione poetica in riferimento alla materia e allo stile della poesia, e quindi è anche un omaggio a Virgilio. Myricae è quindi un libro bucolico poiché canta la natura delle campagne romagnole. [Con questa raccolta Pascoli inaugura una nuova stagione poetica: sperimentalismo metrico, plurilinguismo, pluristilismo, vengono individuati 3 livelli stilistici in Pascoli: pregrammaticale (è come se le parole precedessero la grammatica, le regole della lingua, perché obbediscono a un’esigenza espressiva = onomatopee), grammaticale e post grammaticale (fatto di parole che sono proprie di altri linguaggi, non di quello comune, a volte appartengono a lingue straniere, tanti vocaboli tecnici desunti dal repertorio dialettale locale o dal lessico del contadino)] I libro è legato all’assassinio del padre, la prefazione è incentrata sul ricordo della tragedia familiare e il tema è funebre. Il nido è il luogo simbolico degli affetti, dei legami di sangue, dei rapporti stretti, a volte morbosi, è il luogo protetto in cui rifugiarsi dalla cattiveria del mondo esterno, che rappresenta una minaccia; è vietato staccarsi dal nido, perché ogni allontanamento è traumatico sia per chi parte sia per chi resta, e in questo modo il nido diventa una condizione immobile di beatitudine. Il nido di Pascoli non sarebbe immaginabile in città, la sua collocazione può essere solo rurale, in campagna, che rappresenta un rifugio dalla violenza della storia. La simbologia del nido si sposa con la poesia bucolica di Virgilio generando la visione di un luogo puro e felice, infatti il nido è un locus amoenus, idealizzato e piacevole, che però è costantemente minacciato da nemici, e alla fine verrà distrutto = la tragedia familiare, il tema della morte e del dramma spezzano il nido. Pascoli ha il merito di aver introdotto il simbolismo in Italia, non è un poeta verista perché non gli interessa dare delle campagne romagnole una fotografia realistica, ma vuole cogliere il senso metafisico del mondo e della vita, per questo nelle sue poesie gli oggetti non sono mai quello che sembrano, ma diventano simboli, messaggi impliciti. Non descrive, non spiega ma evoca, allude. Myricae è caratterizzata da sperimentalismo metrico e formale, infatti Pascoli è stato un eccezionale innovatore. Il verso più utilizzato da Pascoli è il novenario, metro molto raro nella poesia precedente. Una caratteristica strutturale di Myricae è la presenza di diverse sezioni metricamente omogenee (i sonetti sono concentrati in una raccolta, i madrigali in un’altra…). Altra caratteristica è il frammentismo, con predilezione per una sintassi semplice e per la coordinazione; la poesia di Pascoli è infatti essenziale, e si concentra più sugli oggetti simbolici portatori di significato piuttosto che sulla struttura sintattica tradizionale. I canti di Castelvecchio Raccolta di canti dedicati alla memoria della madre. Questa raccolta ha uno stretto legame con Myricae tanto che Pascoli riutilizza la stessa epigrafe virgiliana che aveva accompagnato le Bucoliche; il genere infatti è ancora quello bucolico, è come se i Canti di Castelvecchio fossero le Myricae autunnali. I temi sono simili: natura, morte, dolore, solitudine, lontananza, mistero, nido perduto, nostalgia dell’infanzia. Ma se Myricae è il libro della sua infanzia a San Mauro, i Canti fanno riferimento al presente del poeta, a un periodo cominciato nell’autunno del 1895 con la decisione di prendere in affitto e poi di acquistare insieme alla sorella Maria la casa di Caprona a Castelvecchio di Barga, in Garfaganana, con il tentativo di ricostruire il nido familiare infranto in Myricae (Myricae è il libro del nido infranto mentre I canti è il libro del nido ritrovato). Anche qui, già dalla prefazione è presente uno sfondo cimiteriale. La poesia assume una funzione riparatrice = il figlio ridona al padre attraverso la poesia ciò che l’assassino impunito gli ha tolto, ossia la vita; scrivere di lui e degli altri familiari defunti equivale per Pascoli a richiamarli in vita (Il gelsomino notturno). ● rispetto a Myricae i Canti di Castelvecchio presentano anche degli elementi di discontinuità: il titolo si ispira ai Canti di Leopardi, e da un lato indica il carattere lirico dei versi, dall’altro fa pensare a componimenti dalla solida struttura, mentre Myricae è caratterizzata da testi di misura breve e dal frammentismo pascoliano ● le strutture metriche sono più complesse, Pascoli riprende lo schema della forma metrica popolare chiamata “rispetto”, utilizza la rima ipermetra, amplia il ventaglio lessicale e il linguaggio è ricco di termini tecnici ● essendosi spostato in Grafagnana, un habitat diverso da quello di origine, Pascoli sente il bisogno di integrarsi culturalmente con le abitudini, la mentalità, e il linguaggio dei suoi nuovi compaesani, bisogno che invece in Myricae non aveva per il semplice fatto di essere nato e cresciuto a San Mauro; per questo recupera detti, proverbi e credenze della gente romagnola (componente folclorica assente in Myricae). Pascoli cerca nella cultura popolare quelle verità esistenziali e metafisiche che il poeta fanciullino di Myricae aveva colto soltanto nelle voci della natura. D’ANNUNZIO In Francia si erano già affermati in contemporanea il simbolismo e il realismo, che sarà rielaborato nel naturalismo di Zola. Passando attraverso la scapigliatura, in Italia avverrà la stessa cosa, si afferma il verismo e quasi in contemporanea il simbolismo e il decadentismo. Pirandello e d’Annunzio fanno parte del decadentismo. Pascoli ha un legame diretto con il simbolismo francese, è di una generazione precedente. Anche d’Annunzio si cimenta nella produzione di racconti veristi come Terra Vergine, poi però se ne allontana. Il decadentismo/simbolismo di d’Annunzio è totalmente differente rispetto a quello di Pascoli, hanno due visioni diverse di vita e di poesia, Pascoli è alla ricerca di una certa privacy, per lui il negativo è all’esterno, mentre d’Annunzio vuole fare della sua vita un’opera d’arte, per lui l’aspetto esteriore ed estetico è fondamentale. Pascoli non è indifferente alla politica, ma Pascoli e d’Annunzio sono due personalità totalmente diverse, si sono conosciuti ma poi il rapporto si è interrotto a causa della tendenza di d’Annunzio a imitare/copiare Pascoli. Gabriele d’Annunzio nacque a Pescara (Abruzzo) nel 1863 in una famiglia di modeste origini (il cognome è quello dello zio adottivo, dal quale la famiglia aveva ereditato una discreta fortuna). Compì gli studi ginnasiali e liceali a Prato e nel 1879, a soli 16 anni, esordì con la pubblicazione del libro di poesie Primo vere. Nel 1822 pubblicò un secondo libro di poesie, Canto novo, e una raccolta di novelle di ambientazione abruzzese, Terra vergine. D’Annunzio seguiva il modello di Carducci in poesia e quello di Verga in prosa, totalmente distanti tra loro, in quanto concepiva la letteratura più come un mezzo per affermarsi e fare successo, e non come l’espressione del suo mondo interiore, e all’epoca Carducci e Verga erano gli autori più rappresentativi del panorama letterario italiano. Si trasferì a Roma e nel 1883 sposò la duchessina Maria Hardouin di Gallese, dalla quale avrà 3 figli, per assicurarsi un tenore di vita all'altezza delle proprie ambizioni, ma attratto da uno stile di vita esuberante e sfarzoso finì per indebitarsi fino al collo, e molti creditori cominciarono a perseguitarlo, costringendolo a rifugiarsi in Abruzzo con la moglie. Sempre nell’83 pubblicò un’altra raccolta di poesie dal titolo Intermezzo di rime, preziosa nelle forme ma scandalosa per quanto riguarda i temi affrontati. Intraprese l’attività giornalistica, grazie alla quale le sue condizioni economiche migliorarono, ma con la pubblicazione della raccolta di novelle San Pantaleone venne accusato di plagio. Nel 1889 a Milano pubblicò da Treves il romanzo Il piacere, che esprime il suo modo di concepire la vita come un’opera d’arte. Nel 1890 le sue ripetute infedeltà portarono alla fine del matrimonio con la duchessina. Per sfuggire ai creditori d’Annunzio trascorse lunghi periodi in Abruzzo, nell’ex convento di San Francesco, acquistato dall’amico pittore Francesco Paolo Michetti e trasformato in un raduno di letterati e artisti. Sempre per attirare pubblico nel 1892 pubblicò il romanzo Giovanni Episcopo, che si rifaceva ai modelli russi di Dostoevskij. Si trasferì a Napoli, dove intraprese una relazione amorosa con la principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas (dalla quale avrà 2 figli) che per seguirlo abbandonò il marito; di conseguenza d’Annunzio subì un processo e una condanna per adulterio. La traduzione francese del romanzo L’innocente segnò il lancio di d’Annunzio a livello europeo, e l'inizio di un periodo di produzione letteraria frenetica. Nel 1893 pubblicò il I personaggi che rappresentano l’ideale del superuomo concludono quindi le loro vicende in maniera fallimentare (collegato anche il tema dell’inettitudine), infatti nell’ultima parte di Alcyone c’è un clima di disillusione, la vacanza estiva è diventata insostenibile e si torna alla base, si accentua il sentimento del tempo, dell’inarrestabile declino della vita. All'estate subentra l’autunno, la stagione del tramonto, del progressivo venir meno della bellezza e delle energie vitali. Stile: grande virtuosismo e raffinatezza lessicale, impiego di effetti musicali, dell’analogia e della strofa lunga. Il piacere Il piacere, pubblicato da Treves nel 1889 è il primo romanzo di d’Annunzio ed è centrato sulla tematica del fare della propria vita un’opera d’arte, la tematica estetica per eccellenza. Il protagonista Andrea Sperelli incarna perfettamente la figura decadente dell’esteta, è il dandy per eccellenza ed è l’alter ego dell’autore: è un artista, un cultore dell’arte, della bellezza e del lusso, un collezionista di oggetti di valore combattuto tra due donne, che fa di tutto pur di attirare l’attenzione su di sé, dimenticandosi di ogni fondamento morale. Il suo obiettivo è quello di fare della propria vita un’opera d’arte, da cui nasce il disprezzo della vita ordinaria, ma non riesce a realizzare nulla di importante nella sua vita poiché è troppo assetato di piaceri e non riesce ad accontentarsi della soddisfazione momentanea dei desideri, è destinato a fallire (tematica dell’intettitudine). L’opera è ambientata a Roma, ricca di palazzi aristocratici, monumenti barocchi e luoghi di ritrovamento mondani da cui d’Annunzio era sempre stato attratto. Le altre opere di d’Annunzio insistono invece sul tema del superomismo (superuomo). Fasi della produzione dannunziana ● Verismo/panismo (1879-1888): scrive novelle di ispirazione verghiana ambientate nel territorio abruzzese, anche se il suo realismo è più vicino a quello di Zola e Flaubert, in cui è presente anche un certo titanismo di ispirazione carducciana. Il 79 è l’anno di inizio della produzione di d’Annunzio, inizialmente esordisce giovanissimo con Primo vere, raccolta a cui seguirà quella di Canto novo 3 anni dopo, all’insegna dello stile di Carducci, di cui riprende la metrica barbara, e anche certa energia che si traduce in adesione al vitalismo/sensualismo (valore dei sensi), per il quale il poeta aderisce alle forze della natura, ai richiami dei sensi; in questi testi celebra una natura selvaggia molto rigogliosa e variopinta, nella quale il poeta si immerge. Questo aspetto del vitalismo e del sensismo si ritrova nei testi di impronta verista, nei bozzetti di Terra vergine, raccolta di novelle. Per quanto riguarda Verga c’è un richiamo esteriore (metrica) ma ha maggiore influenza il naturalismo; il mondo descritto è quello della campagna abruzzese, così come Verga aveva descritto il mondo rurale della Sicilia. Terra vergine non è l’unica raccolta di impronta verista, nell’84 esce Il libro delle vergini, nell’86 San Pantaleone e nel 92 Violenti, poi all’inizio del 900 viene pubblicata la raccolta Novelle della Pescara. Per quanto la fase verista vera e propria ha inizio nei primi anni 80 e si estende per tutto il decennio, non mancano però dei ritorni, delle rivisitazioni delle opere stesse che ci fanno capire come nell’individuazione delle fasi occorre sempre una certa elasticità, perché in realtà la fine degli anni 80 è segnata poi dall'affermarsi della fase estetica ● Estetismo (1888-1892): il decadentismo si identifica nella scelta dell’estetismo, d’Annunzio incarna l’esempio di poeta decadente esteta, l’opera più rappresentativa è il romanzo Il piacere, composto nell’88 e pubblicato nell’89. Possono ascriversi a questa fase anche opere precedenti come L’intermezzo di rime che risale all’84 e Le elegie romane del 94. Mentre la fase verista/panista si estende nel corso degli anni 80, quella dell’estetismo vero e proprio comprende il periodo tra l’88 e il 92. ● Biennio di ripiegamento (1892-1893): momento di pentimento, di conversione, di aspirazione a ideali di purezza che si vorrebbe ritrovare, bisogno di raccoglimento, è come se l’insuccesso di questo tentativo di fare della propria vita un’opera d’arte lo abbia indotto a scelte narrative diverse, vicine alla narrativa russa di scalo psicologico, momento di interesse verso la narrativa europea realista, in particolare c’è un interesse verso la narrativa russa e Dostoevskij, scrittore di romanzi caratterizzati dall’interesse per il dramma psicologico, realismo di scavo psicologico. Tra il 92 e il 93 escono i romanzi Giovanni Episcopo, in cui il personaggio è protagonista di un lungo monologo sullo stile di Dostoevskij, i personaggi sono molto complessi e colpevoli di delitti, il tono è cupo, e L’innocente. Un’opera poetica di questo periodo è Poema paradisiaco. ● Superomismo (1893-1910): tra il 93 e la prima decade del 900 possiamo individuare la fase superomisitica e del panismo, per quanto riguarda la poesia Alcyone fa parte di un progetto dal titolo Le laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. Per quanto riguarda la narrativa appartengono a questa fase il romanzo Il trionfo della morte, che esce nel 94, Le vergini delle rocce nel 95, Il fuoco e Forse che sì forse che no nel 1910. In questi testi la tematica del superuomo si coniuga paradossalmente con quella dell’inetto. ● Fase del notturno: segnata dal bisogno di raccoglimento interiore, anche dettato dall’incidente aereo del 1916, che lo aveva obbligato a stare al buio perché aveva riportato una grave ferita all’occhio. Questo spinge l’autore a rivolgere la sua attenzione a ciò che nella vita è più in ombra, alla notte, al buio. In questo periodo nascono le pagine diaristiche, poi raccolte nel Notturno, pubblicato nel 1921. Tra il 24 e il 28 pubblica le Faville del maglio, una raccolta di frammenti che non sono altro che rielaborazioni di testi precedenti, pagine di diario precedenti. Infine nel 35 le 100 pagine del libro segreto di Gabriele d’Annunzio che tenta di morire, conosciuto come Il libro segreto, un prosimetro in cui si percepisce il senso di un fallimento esistenziale, si coglie l’idea della morte, di vocazione alla morte. Gran parte della produzione teatrale di d’Annunzio si lega alla tematica superomistica, che viene sviluppata tra il 1899 e il 1904, periodo senato dalla relazione con l’attrice Eleonora Duse, che sicuramente favorisce questo avvicinamento di d’Annunzio al teatro. Nel 1897 scrisse per l’attrice Sogno d'un mattino di primavera, poi altri drammi come La Francesca da Rimini nel 1901, La figlia di Iorio scritto nel 1903 e pubblicato nel 1904, considerato il capolavoro del teatro dannunziano, tragedia in 3 atti composta in versi liberi. PIRANDELLO Luigi Pirandello è distante una generazione da Verga, infatti nacque nel 1867 a Agrigento in una famiglia agiata, in quanto il padre Stefano Pirandello gestiva l’estrazione dello zolfo da alcune miniere prese in affitto, dove lo stesso Pirandello lavorò per qualche mese, rendendosi conto di persona dei problemi connessi a quell’attività. Crebbe in un clima risorgimentale e patriottico, infatti il padre aveva combattuto al fianco di Garibaldi e aveva sposato Caterina Ricci Gramitto, che veniva a sua volta da una famiglia liberale. L'industria del padre ebbe alcuni problemi finanziari, ma poi tornò fiorente, tanto che Pirandello, dopo essersi diplomato al liceo classico, poté iscriversi alla facoltà di lettere di Roma; ma in seguito ad un contrasto con un suo professore fu costretto a cambiare ateneo e si iscrisse all’università di Bonn in Germania, dove si laureò (opponendosi agli interessi familiari). A roma Pirandello si inserì subito negli ambienti letterari, dove conobbe Luigi Capuana, che lo esortò a cimentarsi con la narrativa (non abbandonò comunque la poesia, sua prima passione). Nel 1897 divenne insegnante di lingua italiana a Roma, e per ottenere quell’incarico lo stesso anno pubblicò i due saggi Arte e scienza e L’umorismo. Nel 1903 una catastrofe imprevista sconvolse la vita di Pirandello: l’allagamento di una grande zolfara su cui il padre aveva investito tutto il patrimonio della famiglia, che fra l’altro causò il ricovero della madre in una casa di cura in quanto fu colpita da una grave forma di paranoia. Pirandello dovette quindi provvedere a mantenere la sua famiglia e così cominciò un periodo di lavoro febbrile nel quale scrisse novelle e romanzi per ricavarne sostentamento. Pirandello muove i primi passi nel verismo ma poi nel 1904 viene pubblicato il Il fu Mattia Pascal, il suo romanzo più celebre, che segna l’inizio di una fase poetica diversa, ovvero l'umorismo. Inoltre entra nella casa editrice Treves, la più importante di quegli anni. Seguirono altre raccolte di novelle e nuovi romanzi. Ma la fama mondiale di Pirandello è dovuta soprattutto al successo clamoroso delle sue opere teatrali, che risalgono agli ultimi anni dell’800. Il 1922 segnò l’inizio del successo internazionale del suo teatro, con la rappresentazione di opere a New York, Londra, Parigi e Atene. Nel 1924 costituì la compagnia del teatro d’arte e aderì al partito facsista ma solamente per motivi economici, non politici, in modo da ottenere finanziamenti e aiuti per il suo progetto teatrale. Fu un vero e proprio capocomico, tenendo anche alcune lezioni ai suoi attori. Elaborò il progetto di fondare e dirigere un teatro di stato, e chiese l’approvazione di Mussolini per poterlo realizzare, ma nonostante il conseguimento del premio nobel per la letteratura nel 1934, non riuscì nel suo intento. Morì di polmonite nel 1936 a Roma per aver rifiutato le cure in quanto non aveva fiducia nella scienza e nella medicina. Pirandello attraversa il periodo del decadentismo, detto anche la belle époque, finita nel 1914 quando affonda il Titanic e quando poi inizia la prima guerra mondiale. Passaggio dalla poetica di Verga a quella di Pirandello, che è il modello del poeta veggente, in quanto la riflessione è una prerogativa di pochi, non di tutti. Pirandello inizia con il verismo grazie all’influenza di Capuana → poetica dell’umorismo, anche se non abbandona mai del tutto il verismo, certi temi e figure rimangono (es. tema dell’inettitudine). Durante la fase del verismo Pirandello denuncia problematiche sociali e ambienta le opere nei luoghi in cui vive; durante la fase dell’umorismo NO. Il fu Mattia Pascal Pubblicato nel 1904, è considerato il capolavoro narrativo di Pirandello, appartiene totalmente alla poetica umoristica, e rifiutando la narrazione in terza persona oggettiva, tipica dei naturalisti, il narratore parla in prima persona in forma autobiografica (narratore autodiegetico), racconta in forma retrospettiva la strana vicenda a lui capitata. Tramite il personaggio di Mattia Pascal Pirandello esprime la propria visione del mondo e per farlo utilizza uno stile dialettico che spesso chiama in causa direttamente il lettore. Pirandello si pone non solo come scrittore di storie ma più come scrittore filosofo. L’unico scopo della narrazione per lui è quello di provare una tesi, di svelare all’uomo la sua alienazione e insignificanza = rifiuto della tradizione romanzesca. Il libro di Pirandello racconta la storia di Mattia Pascal, che vive a Miragno, in Liguria. Mentre si trova nella biblioteca della città, Mattia Pascal decide di raccontare la sua storia. Il protagonista del romanzo racconta che in precedenza viveva insieme alla madre e al fratello Roberto in condizioni agiate grazie al lavoro del padre, che investì soldi in proprietà. Dalla sua morte, avvenuta quando Mattia aveva quattro anni e mezzo, si erano affidati a Batta Malagna, il quale per pagare i debiti iniziò a venderle, arricchendosi sfruttando l’ignoranza della madre. Mattia Pascal era stato perciò costretto a cercare lavoro trovandolo presso la biblioteca. L’amico Pomino è innamorato di Romilda Pescatrice, la quale però si innamora di Mattia, che la sposa. Mattia e Romilda vivono insieme alla suocera. La famiglia e il lavoro rappresentano una trappola per Mattia Pascal. Lui e la moglie hanno due gemelle: la prima muore subito, la seconda dopo un anno; poco dopo muore anche la madre, così Mattia decide di andare in America. Si ferma a Montecarlo, dove gioca d’azzardo al casinò per 12 giorni, andandosene con un bottino di 82 mila lire. Mentre in treno escogita un modo per scappare dalla sua vita, legge il suo necrologio: la moglie e la suocera, credendolo morto, lo avevano riconosciuto in un cadavere ritrovato in quei giorni. Mattia, colto dall’ebbrezza di libertà, decide di iniziare una nuova vita lontana dai debiti, dalla suocera e dai libri, e sentendo due signori discutere sull’iconografia cristiana, ricava il nuovo nome: Adriano Meis. Adriano getta via la fede e si inventa un nuovo passato. Decide di operarsi l’occhio strabico e tagliare barba e capelli. Dopodiché, da Milano si trasferisce a Roma. Qui vive in affitto in una camera ammobiliata. Stringe amicizia con l’affittuario, la figlia Adriana e l’altra donna in affitto. Presto però si accorge che non avere un passato lo costringe alle bugie, se vuole entrare in relazione con qualcuno deve necessariamente inventarsi un passato che in realtà non gli appartiene, è costretto a recitare una parte e non può essere se stesso neanche per un istante. Mattia ha capito che la libertà assoluta è soltanto un miraggio, che il suo tentativo di fuga dalla prigione dei ruoli sanciti dalla società è destinato a fallire e che Adriano Meis è solo solo un fantasma, “l’ombra di un morto”. Così, sapendo di essere vivo per la morte ma morto per la vita, decide di fingere un suicidio. Lascia vicino al ponte un biglietto d’addio e torna al suo paese. Qui trova la moglie risposata con Pomino, con una figlia. Decide di non riprenderla in moglie ma di lasciarla all’amico, fa due giri intorno al villaggio ma nessuno se ne accorge. Non gli resta che chiudersi in biblioteca a scrivere la sua storia e portare ogni tanto dei fiori sulla sua tomba. L’unico motore della storia è il caso, che procede senza una logica, il casinò, dove tutto può accadere, è la grande metafora della vita in balia del caso, che spiazza sempre perché devia altrove il corso degli eventi, portandoli in una direzione opposta rispetto alle attese. Pirandello teatro Pirandello si accosta al verismo in tutti i generi su cui si cimenta, non solo la narrativa ma anche la produzione teatrale. Alcune opere sono atti unici, altre invece sono più articolate (Pensaci Giacomino). Poi la sua poetica si evolve in una direzione diversa che rompe con questa letteratura = poetica dell’umorismo, riconducibile a tematiche di tipo esistenzialistico e al relativismo. La produzione teatrale di Pirandello si divide in 3 fasi: 1. teatro verista fino al 1915 = composizioni che si svolgono all’insegna del realismo borghese regionale, drammi teatrali scritti in dialetto agrigentino. Opere significative di questa fase: La morsa e Lumie di Sicilia (1910) che sono atti unici, Pensaci Giacomino e Liolà, strutturate in 3 atti. 2. teatro del grottesco dal 1916 al 1920 = molti testi della produzione narrativa si prestano ad essere adattati e trasposti in testi teatrali, è il caso della commedia Così è se vi pare, rappresentata nel 1917, tratta proprio dalla novella La signora Frola e il signor Ponza suo genero. Opere significative di questa fase: Così è se vi pare, Il piacere dell’onestà e Il gioco delle parti, costituiscono la cosiddetta trilogia del teatro del grottesco, composte tra il 17 e il 18. In questa fase teatrale è presente la figura del personaggio ragionatore, la figura della maschera nuda capace di denunciare le finzioni imposte dalle convenzioni sociali. Nel 18 viene composta una versione teatrale della novella La patente, e poi nel 1920 Tutto per bene e Come prima meglio di prima. In tutte queste opere teatrali le diverse situazioni messe in scena, apparentemente improntate al realismo e all’oggettività, finiscono col prendere un’altra forma poiché perdono qualsiasi dimensione realistico naturalistica per trasformarsi in simboli assoluti della condizione dell’uomo contemporaneo. 3. fase del simbolismo dal 1926 al 1936 = appartiene a questa fase l’opera inxcompiuta (a causa della morte dell’autore) I giganti della montagna, l’autore punta su narrazioni mitiche e immagini simboliche che possano esprimere la condizione drammatica dell’uomo contemporaneo. La fase più nota di Pirandello drammaturgo è quella del metateatro, ossia il teatro nel teatro, in verità tutta la produzione teatrale di Pirandello è di natura metateatrale perché Pirandello era convinto che la vita fosse una gigantesca pupazzata, perciò rappresentare la vita significa fare del teatro sul teatro. Trilogia formata da I 6 personaggi in cerca d’autore (1921), Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita soggetto (1930). I 6 personaggi in cerca d’autore inaugura questa stagione ed è un’opera rivoluzionaria a dir poco tanto che il pubblico inizialmente non la accoglie bene, invece successivamente riscuote successo in teatri di tutto il mondo. La novità è che il dramma viene rappresentato allo scopo di svelare quelle che Pirandello chiama le finzioni, che poi sono messe in confronto con quelle della vita stessa; per esempio nei 6 personaggi c’è un confronto tra personaggio e autore, in Questa sera si recita soggetto al centro dell’opera sta il rapporto tra la vicenda scenica e il pubblico, l’azione drammatica e la recitazione degli attori (= metateatro). I 6 personaggi in cerca d’autore è probabilmente il capolavoro indiscusso di tutta la produzione teatrale pirandelliana; qui troviamo totalmente dissolta la struttura tradizionale dello spazio scenico perché il teatro si trasforma nel luogo in cui si svolge il vero dramma e non la finzione rappresentata. La trama è abbastanza semplice, si tratta di un atto unico, in un teatro mentre una compagnia sta provando un’opera dello stesso Pirandello, Il giuoco delle parti, entrano in platea 6 personaggi che non hanno nomi propri ma rappresentano dei ruoli = il padre, la madre, il figlio, la figliastra, il giovinetto e la bambina. Il padre spiega al capocomico che sono 6 personaggi che un autore ha respinto, cioè non ha voluto dar loro vita in un’opera, quindi sono personaggi che cercano un altro autore che permetta di rappresentarli sul proprio dramma. Dal racconto di questi personaggi viene alla luce una vicenda tragica, ossia che il padre ha avuto un figlio, poi ha indotto la madre a unirsi con il proprio segretario e da questo rapporto erano nati la figliastra, il giovinetto e la bambina. Alla morte del segretario la madre, che tra l’altro si era dedicata a dei lavori di cucito per madama Pace, entrerà in causa in una vicenda veramente drammatica perché a sua insaputa questa madama Pace in realtà gestiva una casa di appuntamenti, dove la figliastra aveva incontrato il padre, per una coincidenza non era stato consumato un incesto. Poi il padre aveva accolto in casa questi tre figliastri perché era morto il loro padre e all’interno di questa famiglia allargata insorge l’ostilità del figlio che non vede di buon occhio questa nuova situazione. A questo punto il capocomico si lascia convincere a mettere in scena il dramma. Mentre si prepara l’allestimento del salotto di madama Pace, il suo personaggio entra in scena dal nulla e il padre e la figliastra rivivono quell’incontro che poi sappiamo essere interrotto dall’arrivo della madre; ma nel rivivere l’incontro la prova non riesce perché questa finzione che viene inscenata dai due attori in realtà provoca il riso nella figliastra, un riso sarcastico, quindi tentano nuovamente ma questo incontro incestuoso viene interrotto dall’arrivo della madre, che svela al padre con un grido l’identità della figliastra. Nella scena finale, rappresentata nella casa del padre, esplode il dramma perché la bambina annega in una piccola vasca del giardino, il giovinetto per non essere riuscito a impedire la tragedia si uccide con un colpo di pistola, e gli attori cominciano a gridare, pensano che sia una finzione ma il padre grida che si tratta di una realtà. Così alla fine gli attori se ne vanno, il teatro piomba nel buio e sul fondale appaiono le ombre dei personaggi ma mancano realmente quelle della bambina e del giovinetto. Il concetto chiave è che una vera tragedia non è più rappresentabile, esiste il tragico però non può essere più fissato nell’arte, così che le vicende e i personaggi tragici rimangono incompiuti e quindi senza un autore. Questo testo vorrebbe dichiarare la fine del genere tragico per il fatto che la tragedia è nella vita e non può essere riproposta in forma fittizia in uno spettacolo. Nella prosa narrativa di Pirandello prevalgono le caratteristiche del parlato, un linguaggio colloquiale, disadorno, coscientemente antiletterario, l’uso del soliloquio, scandito da domande retoriche, incisi, esclamazioni, con lo scopo di tradurre i dialoghi interiori dei personaggi. Un altro elemento dello stile di Pirandello è la sua capacità di cambiare la focalizzazione dei punti di vista, presentando con lo stesso rilievo narrativo prima un personaggio o una teoria e poi un altro/a che gli si contrappone, pluralità delle prospettive attraverso cui la vicenda viene raccontata. Nelle opere letterarie di Pirandello ritroviamo le due forme del relativismo: ● conoscitivo e gnoseologico (Il fu Mattia Pascal, 1904, dove emerge anche il pessimismo scientifico) ● psicologico, in cui la frantumazione dell’io è causata dalla pluralità di stati di coscienza (Uno nessuno e 100 mila, 1925), ripreso da Montale e Saba Nelle sue opere Pirandello si accosta al tema della morte (Canta l'epistola) e della follia come unici mezzi per essere autentici.
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