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Scarpellini L'Italia dei Consumi. Dalla Belle époque al nuovo millennio Laterza, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

testo per esame Storia sociale dello spettacolo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 05/09/2019

boblo
boblo 🇮🇹

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Scarica Scarpellini L'Italia dei Consumi. Dalla Belle époque al nuovo millennio Laterza e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Scarpellini L’Italia dei consumi L’Italia liberale 1870-1913: il reddito pro capite 1499 dollari (al di sotto media europa) su una popolazione di 27.800.000… 2594 nel 1913. Grande trasformazione ma lenta, aumenta il livello di vita, si allunga, scende la natalità, riduce la mortalità (fine livello demografico dell’ancien regime). Da media 35 anni del 1880 a 43 anni nel 1900, 47 nel 1910. Aumento popolazione, esodo verso i centri industriali. Le persone hanno una vita più lunga e prospera, una libertà maggiore di scelta. L’alimentazione costituisce il 60% dei consumi, ed era composta in gran parte di frumento: es 1900 123 chili di frumento, 11 di risone, 25 di patate, 16 di legumi, 21 di pomodori, 16 chili di carne, di cui 6 bovina. Scarso i grassi, i condimenti, il caffè e lo zucchero. Escluso il vino 100 litri. Contadini Vita misera, gran parte delle risorse per il cibo, che ha un valore anche simbolico, religioso (mangiar di magro) e nelle feste o nei colori: il pane bianco puro rispetto a quello nero dei contadini, il grasso è positivo perché di solito non ce l’hanno, ma anche luogo collettivo, le fiere, feste di villaggio, osteria. Arrivano anche prodotto esterni come patate, mais e pomodori, ma cotti in modo locale, come le salse e la polenta fatta con la farina di mais. Le case, seconde voce di spesa, dipendono dai luoghi e lavori. Abbiamo le corti padane con la casa padronale e le case di contadini, le massaria del sud, i casali del lazio, e più grandi quelle dei mezzadri nel centro Italia, dove le famiglie vivono isolate su fondi che coltivano. La stalla è un luogo sociale, sede di molte attività e la promiscuità con gli animali è normale. La cucina è l’unica stanza riscaldata, dove si lavora anche. Una fame atavica sembra caratterizzare la vita dei contadini. Operai L’autoconsumo è limitato. Anche loro spendono molto per il cibo, un operaio di torino intorno al 70%, e un po’ più dei contadini per la casa, hanno un piccolo risparmio, ma mangiano poco e poca carne, con una dieta monotona, meno del fabbisogno necessario. Ovviamente differenze geografiche, a sud più ortaggi. In città la natalità è inferiore e i matrimoni minori e contratti in età più matura, invece forte la natalità fuori dai matrimoni. Quindi, avendo meno figli, si hanno più soldi per il consumo individuale. Gli operai si spostano molto e quindi hanno un rapporto più funzionale con i beni materiali. Hanno una vita lavorativa più variegata, spesso vengono dal mondo contadino e verso i 40 anni vengono licenziati e devono trovare un’altra attività. Spesso non sono specializzati e hanno una vita lavorativa molto precaria. Le abitazioni sono anguste, ci sono le case di ringhiera a Milano, fuori dai bastioni, con latrina comune e spesso con acqua solo nel cortile, non vi è un’edilizia popolare come all’estero, ma eccezioni come Nuova schio di Alessandro Rossi., crespi d’adda ecc. Si tende a creare relazioni di solidarietà e anche socializzazione, per gli uomini nelle osterie, con grande consumo di bevande fermentate (vino e birra e alcolici). Anche la tuta di lavoro diventa un mezzo di identificazione simbolica, insieme ai canti, le feste come il primo maggio: le tute blu, dalle fabbriche americane degli anni Trenta. È una vita fatta di suoni e odori, le risse, gli schiamazzi, l’Olona con l’acqua stagnante d’estate, la poca igiene. L’odore diventa fattore di differenziazione sociale. Con la rivoluzione industriale inizia una bipartizione tra tempo del lavoro e tempo libero, che però non è tempo dell’ozio, ma usato per lo sport, cultura, divertimenti sempre più commercializzati. Si crea una vera e propria industria del tempo libero, con sport da prticare ma anche da vedere (es il ciclismo). La cultura dell’operaio prende qcsa di quella borghese, entra più in contatto, ma è cmq diversa da quella del borghese, si accettano cmq solo contenuti legati al proprio stile di vita, es la bicicletta resta per l’operaio un mezzo per spostarsi. Ma ci sono anche alcuni contenuti operai, come il cibo, che diventano borghesi. In generale il problema principale è cmq la sopravvivenza. Il lavoro delle donne era generalmente dequalificato, considerato inferiore e pagato meno, e venivano osteggiate dagli uomini che temevano la concorrenza, durava di meno di solito fino al matrimonio e non oltre i 35 anni. In genere cmq continuavano a lavorare da casa, con picole commissioni a domicilio o facevano i servizi. I bambini: leggi limitative nel 1886 e 1902 per non far lavorare prima dei 12 anni. Borghesia Agli inizi si intendeva gli artigiani e mercanti del borgo, poi sono diventati gli imprenditori e si è allargata a includere un numero crescenti di professionalità. In italia possiamo distinguere tra un’alta borghesia di imprenditori, dirigenti e professionisti, una fascia di artigiani, commerciati, addetti ai servizi, militari, religiosi, e poi impiegati pubblici e privati e insegnanti. Alta bassa media, ma nell’800 si riconsoce sopr per il suo spirito patriottico. Su de dati di una famiglia di troia, provincia di foggia, possiamo vedere che la spesa principale è sempre il cibo, con alimenti magari più nobili, ma è molto alta anche la spesa per i vestiti. Per la famiglia più alta anche molte spese di rappresentanza, es illuminazione, e riscaldamento. Come nota Halbwachts su degli studi sulla Germania di inizio 900, gli operai se guadagnavano di più spendevano spendevano meno per alloggio, al contrario degli impiegati… insomma il consumo è culturalmente orientato. In italia invece le spese dell’alloggio sono più elevate per gli operai che per gli impiegati, forse anche a causa della scarsa edilizia popolare. La spesa per il cibo è alta per tutti. Il cibo è anche un elemento culturale a cui si dà molta importanza. La cultura del cibo in Italia comincia dai tempi dei romani… basta vedere i numerosi dipinti che hanno come soggetto dei banchetti, le nature morte… L’abito è segni di distinzione, vedi i colletti bianchi puliti rispetto agli operai. Simon shama nel disagio dell’abbondanza studia le classi mercantili del 600 in Olanda, che da un lato accumulano ricchezza, dall’altra se ne vergognano… da qui l’ossessione per il decoro e la pulizia domestica, che protegge dalla sporcizia del mondo. Lo spazio privato diventa un luogo di riparo dalle classi inferiori. Bourdieu studia i calibi in Algeria e nota come rappresentano lo spazio sociale. Le case borghesi diventano molto chiuse all’interno, i balconi ridotti per evitare “contaminazioni”. La casa è divisa tra spazio per chi ci vive e ospiti, che sono più riccamente arredate. In ambito borghese si comincia a pensare che i bambini siano un mondo a parte, con le proprie esigenze, e si caratterizzano per purezza, creatività e vulnerabilità. Maria Montessori fonda la Casa dei Bambini e varie scuole. Nasce una industria dedicata all’infanzia. Secondo Mosse questa moralità e controllo sessuale e immaginario sui ruoli distinti di uomo e donna, padrona dello spazio privato, ha favorito il diffondersi del nazionalismo, in opposizione alle avanguardie che lo mettevano in dubbio. I commercianti invece tendono all’endogamia e al risparmio. La borghesia si distingue anche per il suo capitale culturale. Nei caffè e club, Habermas mette l’inizio dell’opinione pubblica moderna. Ilo ballo, prima appannaggio solo dell’aristocrazia, aperto novità straniere come il valzer e il galop. Ciclismo, gare automobilistiche.. rispecchiano i valori del periodo: competizione, divertimento, gusto per le novità tecniche… nasce lo sport-spettacolo. Aristocratici Il potere ha bisogno di mostrarsi, deve esibire il capitale simbolico per ottenere la sua legittimazione da parte del corpo sociale. Con il periodo moderno il lusso è sottratto dal mobilità sociale e Catona vede il consumo come forza dietro la massa che non è solo spinta da redditi e prezzi, ma anche per le sue abitudini e aspettative verso il futuro. Negli anni 60-70 si diffonde una visione critica del consumismo, ma in generale il ruolo dei consumatori viene sempre più messo in primo piano, con un ruolo non più passivo ma attivo e dinamco, e si sviluppano settori come il marketing e lo studio delle abitudini dei consumatori. Si mette in luce anche il ruolo dei mediatori, i commercianti, e si vede questi rapporti non più come bilaterali ma come un cerchio che si influenza a vicenda. A inizio 900 Italia attraversa il primo effettivo slancio industriale, è u’economia a metà tr tradizionale e industrializzata. Esporta soprattutto prodotti agricoli e alimentari, tessili come la seta. Importa frumento, materie prime, semilavorati e prodotti industriali finiti, beni di lusso. Molto importante è anche l’autoconsumo, dei servizi scambiati, attraverso una rete di amici e parenti, che non viene registrato dalle statistiche, e che dovrebbero incidere per il 20-25%. Nei consumi si nota un sempre maggiore peso dell’industria alimentare, che da un terzo dei prodotti consumati al primo novecento nel giro di 60 anni occupa i primi posti, mentre agricolutura tradizionale solo 16%. E quindi alcune attività come la pulizia, taglio, conservazione e cottura non si svolgono più in casa, anche per il lavoro delle donne spesso fuori, miglioramenti economici e tecnologici es nelle tecniche conservazione. I consumatori mostrano attenzione verso i nuovi prodotti, saponi, detergenti, bici, moto, ma anche libri per la crescente scolarizzazione. Vi è la tendenza a passare a beni durevoli. Ma tutti questi cambi avvengono molto lentamente. I prodotti sono ancora molto legati al territorio. La grande distribuzione ha il problema di vendere il prodotto: nasce il marketing e prende importanza il concetto di marca. La marca ha due ruoli: informativa e valoriale, una specie di valore aggiunto rispetto al bene, ci fa sentire alla moda o appartenenti a un certo gruppo sociale. La costruzione della marca si basa ovviamente sulla pubblicità, che all’inizio ha più scopo informativo. Crescono nelle riviste gli “inserti” pubblicitari, inizialmente staccati. Importante anche il packaging, che serviva anche per caratterizzare il prodotto e far sì che il consumatore si “affezionasse”. In una dispensa di primo novecento, oltre a marmellate e prodotti secchi e artigianali, molto importante le conserve per mantenere il cibo a lungo, tra cui in particolare Cirio. Abbiamo le paste Buitoni, Barilla, Agnesi. I biscotti “inglesi”, molto cioccolato. Abbiamo i formaggi lombardi come Bel paese, Invernizzi, galbani, olio per lo più artigianale e di bassa qualità, anche riso più locale, mentre prodotti industrialmente nel senso che intendiamo noi, con tecnologie avanzate e una grande distribuzione, era lo zucchero, prodotto in c condizione di oligopolio e quindi caro, e la farina. Molte marce straniere, come il latte liofilizzato Nestlé, il brodo concentrato Starr. Molte marche di spumanti, i vermut (cinzano, Martini, tra i primi a utilizzare sistematicamente la pubblicità) e le birre (Peroni, Menabrea..) I mobili erano ancora per lo più artigianali, si consideravano i prodotti industriali inferiori, con qualche eccezione, es le sedie Thonet e i prodotti inglesi. Il nuovo impulso industriale avrebbe spinto il sapere artigianale locale, ancora ancorato a vecchie tradizioni, come i maestri vetrai di Murano, verso il famoso made in Italy. Gli spazi del commercio La nuova città moderna che è diventata Parigi nell’800, descritta da Baudelaire, impregnata dalla velocità e la mercificazione, colpisce anche Benjamin che parla del flaneur, che si guarda intorno con lo sguardo estraniato e vede la città come spettacolo, fantasmagoria. Simmel parla dell’atteggiamento distaccato e blasé del cittadino, per difendersi dall’iper stimolazione sensoriale, la sua solitudine, come seconda faccia della sua libertà, e la centralità del denaro, che trasforma le relazioni in contrattazioni. Tutto questo si realizza nei bazar e nei passage, come quello del Palais Royal o Colbert, diretti a un consumo spettacolarizzato, di passaggio, con bar, ristorante, e le luci bianche rispetto alla penombra della città. Le grandi vetrine di caffè e negozi diventavano dei palcoscenici dove si recitava senza copione. Anzi il teatro prese spunto dalle tecnologie, illumiando il palco a giorno. In Italia le gallerie sono molto più grandi e monumentali, come quella di Milano, disegnata da Mengoni, e costruita tra il 1865 e 1877, con due archi di trionfo dedicati al re. Quando la società fallì, fu il comune ad accollarsi le spese. Non a casa è uno spazio commerciale che rappresenta e celebra la grande città moderna. Poi ci sono i Grandi magazzini, come il Bon marché di Parigi. Emile Zola ambienta qui un suo romanzo (al paradiso delle signore). I fratelli Bocconi creano nel 1877 Aux villes d’Italie a Milano. Un intero palazzo dedicato alle merci, la merce è ben esposta, il personale discreto, il prezzo esposto sul cartellino. All’ultimo piano c’è una sala da tè, i parrucchieri, e poi si può consegnare la merce a domicilio o sceglierla a casa tramite un catalogo. Così era in tutte le città, i fratelli Bocconi poi avevano aperto una filiale a Roma. A Napoli i principali concorrenti erano i Grandi magazzini Mele. Sorgevano anche i primi magazzini cooperativi. Ma anche qui il lavoro era duro, precario, spesso a cottimo. I magazzini incarnano il mito del progresso, utilizzano le nuove tecnologie per cerare un contenitore che affascina lo spettatore, la spettacolarizzazione della merce, Il divertimento e il consumo diventano legati. Si ridefiniscono gli spazi urbani e i luoghi di consumo diventano centrali, luoghi di passeggio e incontro sociale e turismo. I magazzini sono i luoghi della borghesia in ascesa, riflettono i loro valori. Abbiamo la democratizzazione del lusso, nel senso dell’abbinamento a comportamenti di distinzione a valori come efficienza e risparmio. Il grande magazzino ricalca le modalità del teatro dove la gente va per divertirsi e provare piacere in un modo non troppo impegnativo. Per questo vengono subito inglobati nell’immaginario comune. Le donne in particolare sono le protagoniste in quanto principali consumatrici, in quanto questi spazi diventano adatti a rappresentare la messa in scena di se stesse, e conquistano così, nonostante i giudizi morali, la nuova scena pubblica. Il fascismo Tra le due guerre l’Italia diventa un paese veramente industrializzato e “moderno”. Il prerequisito e aumento del reddito procapite e stili di vita più urbanizzati. Aumento del consumo è dovuto da una parte al fatto che si comprano merci prima prodotte in casa come vestiario e cibo. Dall’altra dall’emergere di una nuova classe di impiegati che ha interesse a investire sulla sua formazione e cultura, mentre agli imprenditori conveniva risparmiare. Inoltre anche politiche più redistributive permettono ad altri classe di crescere i consumi. Dall’altra la classe di manager usa i consumi per distinguersi. Infine i mutamenti tecnologici impongono nuove merci che affascinano e più diversficiazione. Nel 1939 il pil procapite è 3819. Si spende di meno per casa e in parte vestiario, ma di più per igiene, bellezza, beni durevoli e trasporti. I cibi consumati sono per lo più gli stessi. La dieta è anzi meno ricca, divsa per ceti e sesso. La distanza con l’estero rimane. Nel 1938 in italia Il reddito procapite è 3300, quello medio in europa è 4817 dollari. Nonostante la propaganda, con la battaglia per il grano, la difesa della lira, la bonifica, la politica fascista fu assai cauta e continuista. Affrontò la drammatica crisi del 29, con salvataggi, nuovi istituti come l’Iri nel 33 (ist. Ricostruzione industriale), una politica di concentrazione industriale. Il fascismo sostenne le industrie e attuò una politica protezionistica, soprattutto dopo le sanzioni del 36 per invasione dell’Etiopia. Comprare italiano era un dovere patriottico. Il programma dell’autarchia si rivolge soprattutto alle donne (di classe media) che scelgono i consumi. Le donne hanno un ruolo preciso nel miglioramento e sviluppo della razza italiana. Offre assistenza sociale, maternità, ma le esclude da vari mestieri e dall’istruzione superiore e dalla politica. Il baricentro politico si sposta anche al meridione e al mediterraneo, esaltato con le sue spiagge e il suo sole. Si crea anche un immaginario coloniale con i prodotto e immagini che richiamano l’Africa. Importante era anche la richiesta di prodotti tipici dagli emigrati, i governi cercavano di mantenere forti i legami con loro. Durante la guerra di etiopia molti italoamericani comprarono prodotti italiani per contrastare le sanzioni. Cosa si consuma e anche come, es il mangiare in famiglia, diventava un modo per rafforzare la propria identità nazionale. Ovviamente col tempo le abitudini sono sempre più mescolate con quelle americane. Lo stato tende a spendere sempre di più per correggere il mercato, ma come notano Peacock e Wiseman, dopo una crisi o una guerra, la spesa sale rapidamente e poi, dopo la bufera, scende, ma non torna mai ai livelli precedenti, forse perché i cittadini non vogliono rinunciare a certi servizi. La tendenza generale è quindi l’aumento della spesa pubblica, ma non succede durante il fascismo, che controlla molto e orienta le spese e dopo la guerra lascia cadere molte spese assistenziali mentre si concentra su spese militari. Per l’istruzione il fascismo spende in percentuale meno, ma affianca alla scuola tutto un sistema di organizzazioni sportive e paramilitari, come i Figli della Lupa, Balilla… nel 23 Gentile aveva fatto una riforma gerarchica con gli studi umanistici e il classico in testa, Bottai la svuota dando importanza agli studi tecnici. Le donne anche se hanno meno speranze di studiare a lungo, nel lungo periodo aumenta la scolarizzazioni per la richiesta di lavoratrici. In generale si offre un’educazione diffusa, ma politicizzata, per creare un “uomo nuovo”. Più innovativa la politica sanitaria. Aumenta anche la previdenza. Nasce l’Infps per le pensioni e l’Infail per gli infortuni sul lavoro privato. Inoltre questi istituti sono luoghi di controllo e anche di relazioni clientelari. Molto importamte è la creazione di una maternità di due mesi pagata, asili nido, permessi, bonus bebe… La spese per assistenza e previdenza superano l’istruzione, probabilmente perché si mira ad affiliare dei gruppi specifici, donne, dipendenti pubblici, lavoratori dell’industria. Il fascismo investe anche nei consumi legati allo sport e al divertimento. Prima di tutto deve spazzare gli avversari socialisti, che hanno molte di queste attività. Un secondo impulso è il modello degli Usa, dove fioriscono i dopolavori aziendali. In generale il fascismo rende socialmente accettabili e un diritto di ciascun cittadino i consumi culturali, rendendo accessibili cosa che prima erano solo destinate alle fasce alte, come il teatro. L’aristocrazia resta cmq al centro come modello da seguire. Quotidianità fascismo.. (leggere sul libro) Consumi collettivi Consumi legati al tempo libero: sport, educazione, cultura, divertimento. In Italia le associazioni ricreative operaistiche, di natura socialista, sono molto diffuse. Il fascismo cerca di scioglierle o assorbirle, come nel caso dell’Opera nazionale dopolavoro. Il modello viene anche dagli Usa, dove fioriscono i dopolavori aziendali. Il tempo dall’Ottocento è diventato più strutturabile e misurabile, accelerato, interiorizzato, prezioso. Nons orprende che una delle battaglie più lunghe è proprio quella sull’orario di lavoro, passato da 12-5 ore a 8. L’occidente eredita il concetto di otium, per le classi aristocratiche, e la ri-creazione, per le attività collettive tipiche dei lavoratori. L’otium non è visto come adeguato per gli operai, inoltre il tempo va fatto fruttare, usato utilmente. Dedicare il tempo a svago e cultur e socialmente aprezzabile. Il fascismo scioglei tutte associazioni musicali che ritengono di ispirazione poltica, mentre aumentano le Ond e nel 29 vengono istituiti i carri di Tespi, teatri mobili per andare nelle zone rurali. Si mettono in scena gli spettacoli della tradizione italiana. La propaganda più efficace è quella che non si vede, dice Lazarsfeld. Il successo è grandissimo. Le fasce “protette” godono di varie agevolazioni. Prendono anche il via i concerti di fabbrica. Alcuni economisti hanno diviso tra beni time-saving (come gli elettrodomestici) e quelli time- spending, come tv, radio e grammofono. In effetti il lavoro femminile considerato poco importante non è quindi una molla troppo grande. Ai primi posti è infatti il frigorifero, che permette di risparmiare sui consumi. Al secondo alternativamente lavatrice o tv. C’è la tendenza a portare all’interno della famiglia, come nuovo nucleo intimi in cui proteggere la propria privacy, quello che prima era esperito collettivamente (vedi anche il cinema e i concerti, oppure le lavatrici condominiali). Gli studi dicono che l’introduzione di elettrodomestici non ha alleggerito il ruolo della donna, che si è vista moltiplicare le mansioni e il lavoro esterno. All’inizio le donne sono sospettose di questi mezzi, la lavatrice rovina i tessuti, il pavimento non viene così bene… poi però diventano anche simbolo di una casalinga moderna ed efficiente. Anche le cose comunicano, innanzitutto il colore bianco rimanda all’idea di pulizia. La tecnica è esposta nell’auto e domanda un coinvolgimento, negli elettrodomestici è occultata e bastano pochi semplici comandi. Anche il trucco, un secolo primo solo adatto a donne facili, ora diventa appannaggio di attrici e donne di classe, e poi quindi diffuso nella classe media. Soprattutto il rossetto, simbolo di una donna liberata e moderna. Così come profumi, saponette, deodoranti ecc. essere profumati è da sempre sinonimo di purezza e trasfigrazione, vedi anche nella mitologia. Solo negli anni Sessanta gli orologi si diffondono nella classe media, soprattutto per gli uomini. Un decennio dopo abbiamo gli Swatch che trasformano l’orologio in un oggetto alla moda per le tasche di tutti, mentre si rafforza anche l’orologeria di lusso. Anche la plastica si diffonde nelle case, pratica ed economica, si associa sempre ai valori della modernità. Giulio Natta, nobel nel 1963, inventa il moplen, prodott dalla Montecatini. Anche se è anche associata a qualcosa di negativo, artificiale, per non essere un materiale “nobile” e “naturale” come il legno. Anche i rumori cambiano, non più lo scricchiolare dei parqué, il pendolo, gli schiamazzi per strada, si sostituiscono il brusio dei motori elettrici, e soprattutto, la televisione. Il salotto ornai è disposto come una platea intorno alla tv. La tendenza è quella dei consumi culturali sempre più domestici, spinti da radio e tv. Ormai si hanno a disposizione un mix di media, il cinema –che dopo il boom degli anni 50, precipita – il teatro – a cui si va sempre meno, le riviste, i giornali, i libri – in lenta crescita, ma con il numero più alto di non-consumatori (80%) con uno e meno di libri all’anno - e sempre più la tv. C’è poi uno scambio fra i vari mezzi (cross-fertilization) per cui i rotocalchi parlano di tv, i fotoromanzi sono un incrocio tra cinema e fumetti, la tv parla della radio ecc. All’uscita nel 1954, la tv costa 200.000 lire, più il canone, ha un solo canale che trasmette 32 ore alla settimana, e quando è spenta resta un punto acceso. Nel 61 i canali sono due. I personaggi televisivi hanno qualcosa di familiare, entrano nelle case, e la tv mescola la spettacolarità del cinema con l’immediatezza del’informazione e la gratuità della radio. I programmi più popolari sono i quiz come lascia e raddoppia, in cui gente comune diventa ricca all’improvviso. La tv favorisce la cultura del consumo, indirettamente mostrando un modo di oggetti desiderabili e a portata di mano nei suoi programmi, direttamente con la pubblicità di Carosello. All’inizio la pubblicità è divertente, istruttiva, spiega i prodotti, con grandi attori come totò e de filippo. Insomma il primo consumo che lancia è quello della pubblicità stessa. Anche le riviste fanno da protagoniste e sono sempre meno pedagogiche per diffondere una cultura del consumo. Solo dagli anni 50 e 60 i giovani si riconoscono come generazioni, e condividono abitudini e pratiche culturali. Ovviamente è anche stimolato da un’industria che si specializza proprio in prodotto per questi giovani. Nel 1956 due giovani sequestrano una scuola elementari in provincia di Milano, Terrazzano di Rho. Dopo lunghe trattative, la polizia riesce a irrompere e a mettere fine al sequestro. La notizia scandalizza l’opinione pubblica, si comincia ad accusare i giovani di voler solo divertirsi e arricchirsi facilmente. In realtà, la violenza un tempo affare quotidiano, viene sempre più esclusa dalla vita sociale. Aumentano i furti e le rapine, ma diminuiscono omicidi e violenze alla persona, in un quadro comune in tutto l’Occidente. Diminuisce anche la violenza pubblica, come i linciaggi e la pena di morte, abolita quasi dappertutto. In realtà nel cinema si moltiplicano i film su giovani sbandati e violenti, noir e polizieschi, i fumetti con eroi come batman e superman. Si crea un cliché culturale che si applica poi all’interpretazione della realtà. Stanely Cohen e Stuart Halley, studiando la paura contro sottoculture giovanili in Inghilterra come il punk e gli skinhead, parlano di panico sociali: le reazioni sono esagerate, riflesso di un’ansia diffusa dovuta dai cambiamenti in corso che stanno rivoluzionando completamente usi e tradizioni antiche. I giovani invece vogliono esprimersi come soggetti attivi. Il primo spazio a loro dedicato è la cameretta, dove sottrarsi allo sguardo dei genitori, soprattutto per le ragazze, molto più controllare. Ma è soprattutto lo spazio extradomestico: il cinema, il bar, balere e discoteche, spostandosi con la vespa o la lambretta, simbolo di libertà. I beatles, rolling stones, doors portano la vera musica giovanile, il rock n roll. Il concerto dei beatlens nel 1965 dà vita a scene di panico e isteria, i genitori sono esterrefatti. I giovani si definiscono anche attraverso la moda, i tagli di capelli, colori forti, jeans, braccialetti e fibie di plastica, ma soprattutto in un nuovo prodotto: il collant di elastan. Si diffonde anche il movimento hippie, c’è una nuova voglia di esibire e valorizzare il proprio corpo. Come in una sorta di bricolage . quello del pensiero mitico di Levi Strauss – i giovani assemblano gli oggetti e danno loro un nuovo significato, creano un loro stile, che li differenzi dal loro luogo di origine. Politica, cultura, welfare, state Negli anni cinquanta compare la parola consumi nel dibattito pubblico e politico: alcuni se ne disinteressano perché non è un discorso alto, che ha che fare con le ideologie, altri si preoccupano del processo di omologazione, come denuncia con le sue inchieste Bocca, soprattutto gli economisti parlano di “distorsione dei consumi”, perché gli italiani su buttano su beni opulenti, come macchine, tv, elettrodomestici, invece dei beni di prima necessità. In generale si diffonde in tutto il mondo il concetto di sviluppo come crescita, per cui il benessere aumenta all’aumentare del tasso di crescita economica (Pil), per cui il consumo è visto come uno spreco rispetto agli investimenti. Anche i partiti non dimostrano più lucidità: la Dc è sospettosa dei consumi che allontanano dai valori cattolici, il comunismo sull’effettivo miglioramento degli operai all’interno del capitalismo. Il dibattito si fa acceso negli anni 50-60, intorno all’opera di Adorno e Horkheimer Dialettica dell’Illuminismo, in cui si parla del consumismo sfrenato indotto dall’industria culturale, il nuovo oppio dei popoli che attanaglia i consumatori in una spirale senza fine ala ricerca dell’ultimo bene uscito. Marcuse analizza i processi che portano alla manipolazione dei bisogni e creano un diffuso conformismo di massa, Debord parla di società dello spettacolo, Baudrillard dell’esperienza delle merci che diventa più efficaci del reale, per cui questi simulacri soppiantano la realtà e ci rendono impossibile distinguere tra vero e falso. Gabraith e Packard conducono analisi critiche del funzionamento della società del benessere. Pier Paolo Pasolini affianca la scomparsa delle lucciole per l’inquinamento al mutamento antropologico degli italiani, a partire dalla classe media soggiogata soprattutto dalla tv. Nelle inchieste fatte sul campo, si vede che la tv è vista come un modo per conoscere il mondo, piacciono soprattutto le trasmissioni dove si parla, si discute, esiste un dialogo, inoltre diventa centrale il ruolo del divertimento, forse grazie a una nuova attenzione sui bisogni dell’individui rispetto agli ideali arcaici del lavoro e del sacrificio. Quello che emerge è una nuova cultura del consumo, che è trasversale, crea nuovi linguaggi, valori, simbolismi e identità trasversali, investe le famiglie e la quotidianità, seguendo modelli di comportamento uguali in tutti i paesi. Se la tendenza è quella di criticare il consumismo, una parte della Dc non tarda a capire che un aumento dello standard di vita può favorire una società più stabile e gestibile, per questo diventa centrale il ruolo del welfare state. Questo si costruisce in continuità con quello dei governi precedenti sin dall’Ottocento, ma ora punta a tutte le fasce delle popolazioni. Infatti si diffondono le teorie che il welfare state sia fondamentale nella ricostruzione dopo la guerra, in opposizione al warfare state. Il sociologo di Cambridge Marshall, prendendo a modello la società inglese, parla di tre diritti fondamentali: i primi, quelli civili, legati alla libertà di espressione e parola, di fede e associazione politica e sindacale, che si sviluppano intorno al Settecento, poi quelli politici, nell’Ottocento, con la diffusione del suffragio universale, e poi quelli sociali di cittadinanza, legati all’istruzione e servizi di base per tutti, nel Novecento. Questi sono i diritti fondamentali per essere integrati in una comunità. Le sue idee ebbero vasta eco in tutto l’Occidente. Inoltre le politiche sociali italiane riflettono i sistemi diffusi in Europa, probabilmente in un’operazione di armonizzazione dei vari paesi. Il miglioramento economico permette di avere nuove risorse da investire, ed è qui che si pongono le basi per l’integrazione europea. Tra il 1950 e 73 si costruisce il moderno welfare state italiano. Negli anni sessanta le spese per l’istruzione superano quelle per le opere pubbliche: infatti il mercato richiede maggiore manodopera qualificata e anche lo sviluppo del capitale umano è ritenuto fondamentale per lo sviluppo economico. Nel 1962 viene creata la scuola media unica, obbligatoria, che segue i 5 anni delle elementari e che avvia ai licei o scuole tecniche-professionali. Le rivolte del 68 fanno sé che il professionale si allunghi e permetta l’accessi all’università. Queste sono invase di nuovi studenti, con aule piene, i docenti sono coadiuvati da assistenti sottopagati, i laboratori e le borse di studio sono miseri. Presto l’entusiasmo si smorza: i privilegi sociali scacciati dalla porta rientrano dalla finestra, il costo in città è alto, e il pezzo di carta non sembra garantire la mobilità sociale sperata, il numero di abbandoni e fuori corso sono più alti dei laureati. Anche a livello della sanità si procede a una razionalizzazione: nel 58 nasce il Ministero della Sanità, è finita l’epoca delle grandi malattie infettive e parassitarie come malaria e tubercolosi, anche grazie ai muovi farmaci, aumentano invece le malattie generative come cancro, arteriosclerosi, e quelle legate al sistema cardiovascolare. Le riforme sono lentie, nel 1968 gli ospedali diventano enti di diritto pubblico e solo nel 1978, su modello inglese, si crea il Servizio Sanitario Nazionale, e si crea un sistema centralizzato basato sulle Usl, unità sanitarie locali. Ma vera caratteristica del tempo è la spesa redistributiva, pensioni, assegni familiari, che rende meno visibile la presenza dello stato e quindi piace anche ai liberisti, inoltre potrebbe avvicinarsi alla logica del consumo e del capitalismo, dare soldi perché li spendano. Ma anche in questo caso si eredita la situazione fascista fatta di una “giungla” di centri ed enti diversi che se ne occupano. Viene introdotta la pensione di anzianità, con 35 anni di contributi, oltre alle baby pensioni per i funzionari pubblici, e quelle sociali, a chi ha più di 65 anni e non ha altri redditi, e anche per lavoratori autonomi con bassi redditi. A questi si aggiungono i sussidi della cassa integrazione guadagni, Cig, per le aziende in difficoltà. Queste spese sono dettate da un lato dalla crescita economica e dall’idea che una società più egualitaria è una società che funziona meglio, dall’altra è un’arma politica per ottenere consenso. Il rovescio è la creazione di una vera e propria rete clientelare degli enti previdenziali, con fenomeni come il gonfiamento delle pensioni di invalidità. Chi paga tutto questo? In parte il contribuente, le tasse aumentano, anche per l’aumento del livello di vita. Nel 1971-3 si introduce l’imposta indiretta dell’Iva, e poi l’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche, ovvero sui suoi redditi) e Irpeg (Imposta sul reddito delle persone giuridiche, ovvero le società). Si registra anche una forte crescita dei contributi sociali. Le disorganizzazioni del sistema fanno sì che alcune categorie sono maggiormente regionali italiani a diffondersi su scala nazionale, contribuendo a creare all’estero quello che verrà definito come cucina italiana tipica. Nascono altre marche, come la romana Gs, ma principalmente si diffondono le catene della Rinascente, la Sma, e quelle della Standa, che decide di integrare la parte alimentare nello stesso negozio. Poi ci sono le forme di acquisto associate, come la Coop, la Conad, la Vègé, la A&O e Despar. Nascerà poi anche la Coin. Come i grandi magazzini Ottocenteschi, i supermercati incarnano l’archetipo di un’epoca, con la sua abbondanza di prodotti accessibili, ma anche la paura dell’omologazione e dell’anonimato, come anche l’arte di Andy Warhol metterà in evidenza. Moles e Dorfles parlano di kitsch per indicare un abbondanza di merci che possono soddisfare tutti, i supermercati diventano allora gli altari di questa cultura che si realizza nel consumismo. Serialità, imitazione, semplicità, economicità, reperibilità, sono questi le loro qualità fondamentali. Si situano spesso in quartieri periferici e popolosi, mentre nel centro storico permangono piccoli negozi sempre più di pregio. L’americanizzazione della cultura europea dà forma a fenomeni che Kroes definisce creolizzazione, in ogni contesto culturale in modo diverso. La società affluente Nel 2000 il Guggenheim di new York dedica una mostra a uno stilista, Giorgio Armani. Gli anni Settanta sono un periodo di depressione economica, causato dallo shock petrolifero, da disoccupazione, inflazione e terrrorismo. Da una parte risuonano i critici radicali contro il consumismo, dall’altro la crisi economica getta un’ombra sul sogno di uno sviluppo infinito. Il risparmio è la parola d’ordine, il governo Rumor parla di austerity, riscaldamento e illuminazione vengono regolamentati, salgono i prezzi della benzina, cinema e negozi riducono gli orari di apertura. L’immagine più emblematica sono le domeniche a piedi. Gli anni Ottanta segnano invece una nuova fioritura: per l’Italia si parla anche di secondo miracolo, grazie al made in Italy. L’Italia è la quinta potenza al mondo, i consumi degli italiani sono infine agganciati a quelli Europei. Negli anni Novanta l’implosione del sistema politico, le incertezze sul mercato del lavoro, il rallentamento della crescita economica in tutta Europa, il terrorismo internazionale, l’erosione del welfare state, segnano un nuovo punto di arresto. Messo in ombra il concetto di classe, gli studiosi parlano di “stili di vita”. A grandi linee, questa è la “Narrativa” di quest’ultimo periodo. Dal punto di vista dei consumi, negli “anni di piombo”, i consumi crescono, sia pure irregolarmente: il punto più basso si tocca nel 1975. L’aumento medio è del 3% l’anno, in linea con tutta l’Europa. Certo, per gli economisti non sono le cifre spettacolari degli anni precedenti, ma questa crescita testimonia una vitalità nella società. I consumi si diffondono anche fra i ceti popolari, con un ritardo di vent’anni rispetto al Nordeuropa. Ormai il frigorifero e la televisione sono in più del 90% delle famiglie. La differenziazione sociale si sposta su beni più costosi, come il condizionatore, la lavastoviglie, o sui servizi e svaghi. Negli anni 80 e 90 il linguaggio della pubblicità acquisice un ruolo inedito: secondo Arvidsson pubblicità e cultura del consumo contano quasi più nella sfera simbolica e culturale che in quella pratica delle scelte di consumo. Siamo negli anni della “Milano da bere”. La comparsa delle tv private potenzia il ruolo della pubblicità, nel 1984 il gruppo Fininvest di Berlusconi ha tre canali, una società di produzione, Videotime, una per la gestione della rete di trasmissione, e una per la pubblicità, Publitalia ’80. Il suo impatto è enorme, non solo per la pubblicità, ma per la programmazione (vedi Dallas). Il consumo televisivo raggiunge i 229 minuti a testa al giorno nel 1999, quasi un record in Europa. I consumi tendono a diventare da familiari a individuali (cure per il corpo, divertimenti). Il tasso di natalità diminuisce, i singoli, che nel 1977 sono solo il 10%, in vent’anni raddoppiano e diventano la forma familiare più diffusa, davanti alle coppie senza figli, il 20%, e alle coppie con un figlio (19%). Cresce l’attesa di vita media, e l’invecchiamento della popolazione: all’inizio del XXI secolo gli over 65 sono un quinto della popolazione, segnando un primato europeo. Le differenziazioni sociali sono molto più confuse, ognuno sceglie il proprio stile. Secondo il sociologo Schizzerotto, il fattore che incide di più sul percorso individuale nell’Italia di fine 900 è la classe di origine, che può garantire una maggiore istruzione, l’inserimento nel mondo del lavoro, la carriera, la scelta del marito o moglie. Più ambiguo il fattore di genere. Le donne hanno ridotto il gap con gli uomini, anche se al lavoro vedono sempre sobbarcarsi il carico familiare, il che le spinge ad avere meno figli o posporre il matrimonio. Le persone nate negli ultimi decenni hanno poi un livello più alto di scolarizzazione, ma sono penalizzata da disoccupazione e precariato. Inoltre l’elemento geografico, la distanza tra sud e nord resta determinante. A partire dalla recessione degli anni 1991-2, si determina una “grande svolta a U” dopo decenni di avvicinamento sociale. Le differenze permangono, sono solo meno visibili. Nel trentennio 1973-2003 i consumi aumentano, ma diminuiscono le spese alimentari: dal 38 al 20%. La nuova dieta è sempre meno a base di carne, che nel 2003 arriva al 22% della spesa alimentare, scendendo di un terzo rispetto al 73. La dieta è più vegetariana e variata, avvicinandosi a modelli di tipo nordeuropei per la quantità di cibo. Anche l’abbigliamento si contrae, da 11 al 7%, una quota comunque elevata rispetto al resto d’Europa. Le spese di base, casa e combustibili si impenna: dal 16 al 30%. Trasporti e comunicazioni continuano ad aumentare, dal 10 al 16%, mentre le altre spese salgono di poco, dal 24 al 27, sudividendosi fra beni durevoli, 6%, istruzione e tempo libero, 6%, sanità 4%, altri beni e servizi 11%. Spicca il nuovo consumo per beni tecnologici, ma non c’è stato un massiccio spostamento verso beni di pregio. La macchina ora ha cambiato status, diventando strumento indispensabile di spostamento e lavoro. Anche l’arrivo massiccio di stranieri ha cambiato il paesaggio: sono fioriti negozi specializzati, boutique, ristoranti di varie etnie. Inoltre anch’essi sono consumatori: buona parte del reddito è speso per vitto e alloggio, un quarto tra vestiario e trasporti, gli altri quarti per rimesse al paese di origine e risparmio. Il bene posseduto da tutti è il cellulare, seguito dalla tv, mobili di casa, e più a distanza, la lavatrice. Il 22% possiede un pc, più di un motorino, lavastoviglie e seconda tv. Secondo gronow e Warde, il cambiamento fondamentale di fine secolo è stato la trasformazione del consumo stesso in routine. Politica e consumerismo: il modello politico che ha preso forma negli anni 60 e vede i consumi come elemento importante per il consenso politico, non viene messo in dubbio successivamente. Ci si muove verso una certa liberalizzazione e riduzione dei costi dello stato sociale, che pende a favore della spesa previdenziale e a sfavore di quella assistenziale. Ma se l’integrazione è avvenuta soprattutto su basi economiche più che politiche, le nuove problematiche economiche rischiano di far vacillare pesantemente il sistema. Nascono negli anni Cinquanta le prime organizzazioni dei consumatori, ma sono rimaste limitate a causa della forte presenza dei partiti. Recentemente però questi movimento conquistano una nuova visibilità mediatica, si assiste un po’ in tutto l’Occidente ad azioni individuali e collettive come scioperi della spesa, come il “buy nothing day” negli usa del 1992, o boicottaggio di certi marchi, come la Nike o Coca Cola, o altri episodi di “disobbedienza civile”, come i die in nei negozi in cui si fingono morti, o il girare mascherati con dei cartelli. In generali i protagonisti di questo “consumo politico” sono soggetti “sottorappresentati” politicamente: donne, giovani, emarginati. I luoghi possono essere negozi, ma anche Internet. In comune ai movimenti politici è anche il peso transazionale. “Consumerismo” e comunità virtuali sono le nuove frontiere della politica. Nuovi prodotti: i distretti sono i grandi protagonisti del made in Italy, nel settore tessile, alimentari, pelli/calzature, carta, plastica/gomma, oreficeria. Importante è anche il mercato interno. La peculiare struttura delle imprese ha influenzato il consumo, privilegiando moda, arredamento e alimentazione, anche grazie a una massiccia opera pubblicitaria negli anni Ottanta. In generale una valorizzazione dell’estetica si avverte in tutte le nazioni. Le nuove tecnologie, computer e telefonini, creano una nuova rivoluzione. Il computer è apprezzato dagli adulti per il suo aspetto didattico ed educativo, dai giovani per i videogiochi, i mariti lo usano per informarsi, i maschi per mostrare le proprie capacità, e il suo uso è più elevato nelle famiglie con liberi professionisti. De Certeu parla di “capovolgimento silenzioso” in riferimento agli indios con gli spagnoli: si accettano le regole venute da fuori, ma le si modifica e adatta dall’interno. In Italia il computer nel 2005 è presente nel 40% delle famiglie. L’uso di internet riguarda il 28% delle persone, sotto alla media europea, un po’ come era avvenuto per l’auto.Il vero strappo è il telefono cellulare, che si diffonde in pochi anni. Nel 2005 in Europa lo hanno il 78%. Anche in atri settori si diffondo nuovi prodotti. Nell’alimentare possiamo pensare ai prodotti light, le bevande energetiche o nutritive, i piatti pronti. Poi ci sono i prodotti tipici: grazie al marketing certi cibi diventano simbolici di un’intera tradizione regionale. Poi ci sono i biologici, che restano ancora di nicchia (1%). Ma è anche nell’esteticadei prodotti che c’è un intervento massiccio: uova tutte uguali, i tagli di carne perfetti… è soprattutto nel Novecento che questi interventi si accentuano, soprattutto grazie all’intervento della biologia e della chimica. Gli animali devono essere sani e standardizzati, per rispondere anche alle esigenze del packaging. Ma questo provoca anche una nuova ondata di ansietà verso il cibo. Malattie e scandali faranno il resto, con il desiderio di ritorno alla “natura” e il successo di movimenti come Slow Food. I limiti del consumo: Inglehart parla di valori “postmateriali”. Secondo lui, negli anni 60-70 si è verificata una rivoluzione silenziosa, alcune fasce di popolazione sono passate da valori materialistici a quelli post, come affetto, appartenenza, stima, piaceri estetici e intellettuali, ambientalismo. Sono spesso i giovani, minoranze, classi medio-alte che non hanno mai sofferto privazioni. Weber parla di razionalità sostanziale, orientata ai valori ultimi, e di quella funzionale, orientata ai mezzi per raggiungerli. I postmaterialisti sono portatori della prima forma: per questo sono insoddisfatti, le loro priorità sono mutate. Non mancano esperienze estreme, come quelle della giornalista Judith Levine, che non ha comprato nulla per un anno, spiegando come questo le abbia aumentato la sua sensibilità verso un consumo responsabile, ma l’abbia isolata dal resto della società. Si sono elaborati misuratori di “sostenibilità”, come l’Isew, indice di benessere economico sostenibile, nel 1989. In Italia sembrerebbe che cresca a lungo in parallelo del Pil, anche se a un livello più basso, per poi negli anni Settanta declinare: l’impatto ambientale di un certo modello di produzione fa sentire i suoi effetti negativi. L’arte contemporanea si è sempre più ispirata allo scarto, al rimosso. Daniel Spoerri offriva banchetti in cui venivano offerte opere d’arte, che venivano consumate. La vita quotidiana contemporanea Il corpo: la scienza spinge a ridefinire i limiti dell’inviolabilità corporea, ma anche tatuaggi, piercing, branding (baci di fuoco), implantation, lifting, liposuzioni… il nostro corpo diventa la nostra opera d’arte. Il corpo magro è bello, agile, efficiente. Se l’abbondanza è la cifra della modernità, la distinzione può avvenire solo nell’austerità, come osserva Schleifer. Geroge simmel aveva già identificato nel dualismo imitazione/differenziazione la chiave di un fenomeno tipico sociale: ci aggreghiamo un gruppo per conformismo, protezione, sicurezza,
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